Webgiornale 16 aprile – 15 maggio 2024

Inhaltsverzeichnis

1.     L’aggressione iraniana a Israele e il diritto internazionale. 1

2.     Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati: il fallimento della solidarietà europea. 1

3.     I migranti e l'Europa più forte. 1

4.     Putin e quel disperato bisogno di guerra all’Ucraina. 1

5.     Ucraina. La Germania schiera truppe in Lituania. 1

6.     Italia e Germania insieme alle Fosse Ardeatine. 1

7.     “Destinazione Francoforte”: un anno di iniziative verso l’Italia “Ospite d’onore” alla Fiera del Libro di Francoforte 2024. 1

8.     L'interscambio Italia-Germania nel 2023. La Germania primo partner economico dell'Italia. 1

9.     Lucio Blandini, un’eccellenza italiana in Germania. 1

10.  Giorgio Brignola: 47 anni di impegno per il Corriere d’Italia di Francoforte. 1

11.  Giuseppe Assandri a Dortmund (il 28 aprile) ed a Bochum (il 29) 1

12.  Le recenti puntate di Cosmo italiano, x Radio Colonia. 1

13.  L’ambasciatore Varricchio alla Fiera del Libro di Lipsia. 1

14.  Visita a Memmingen del Console in Baviera dr. Maffettone. 1

15.  Berlino. In Ambasciata una serata in onore di Giacomo Puccini 1

16.  A Monaco di Baviera il 26-28 aprile la sesta edizione de ILfest - Italienisches Literaturfestival 1

17.  Consolato di Francoforte: alcune iniziative di aprile. 1

18.  Italia Altrove: compie 10 anni l’associazione a Düsseldorf 1

19.  “Lingua Madre”, il 16 aprile all’Istituto di Cultura di Amburgo l’incontro letterario italo-tedesco. 1

20.  Spettacolo di artisti trentini a Kempten. 1

21.  Istituto Italiano di Cultura di Amburgo: Giornate del Cinema Europeo 2024. 1

22.  Berlino: l’ex vice cancelliere Fischer in Ambasciata per parlare di Europa. 1

23.  L’Ambasciatore Varricchio alla Fiera del Libro di Lipsia. 1

24.  Brevi di politica e di cronaca tedesca. 1

25.  Visioni Sarde all’Istituto Italiano di Cultura di Colonia il 17 e il 18 aprile. 1

26.  Assia. La tutela dell’umano. 1

27.  Karlsruhe. “L’Europa siamo Noi”: incontro delle ACLI del Baden-Württemberg sulle elezioni Ue. 1

28.  La Costituzione tedesca compie 75 anni. Buon compleanno Grundgesetz! 1

29.  Cannabis, legale in Germania. Un mito, che non sia dannosa per la salute. 1

30.  Presidenziali americane: partita aperta tra Trump e Biden. 1

31.  In arrivo nuovi obblighi dall’Europa. Case ed edifici verso l’efficienza energetica. 1

32.  I compiti della Nato. 1

33.  Il piano dell’Ue per attrarre i talenti extracomunitari 1

34.  Una deludente scelta europea. 1

35.  Il Paese. “Giovani 2024: il bilancio di una generazione”: quasi 18 mila laureati espatriati nel 2021. 1

36.  Comites. 1

37.  Deceduto Michele Schiavone, segretario generale del CGIE. 1

38.  “Oltre gli sbarchi”: un’agenda di riforme delle politiche migratorie in Italia. 1

39.  Dalla Commissione Ue incentivi a dieci regioni contro l’esodo dei giovani talenti 1

40.  Ucraina, Zelensky e il piano di Putin: "Dateci armi o guerra presto in Europa". 1

41.  Polemiche e realtà. 1

42.  Le politiche migratorie europee e tunisine: una ricetta per fallimento e sofferenza. 1

43.  Il Manifesto in 8 punti della FILEF per le elezioni europee 2024. 1

44.  Digitalizzazione dei servizi consolari: operazione riuscita, paziente morto?. 1

45.  Le buone idee. 1

46.  Gli italiani all’estero detenuti 1

47.  Esistenza in vita: partita la prima campagna 2024. 1

48.  Una riflessione a posteriori 1

49.  Nasce “Giornaliste italiane”, un’associazione di donne nel mondo dell’informazione. 1

50.  Studiare in Italia: procedure ingresso, soggiorno, immatricolazione degli studenti internazionali per il 2024-2025. 1

51.  Italiani nel mondo. 1

52.  Proventi dei passaporti ai Consolati: la Commissione Esteri conclude l’esame. 1

53.  Portale unico per gli italiani all'estero: gli emendamenti presentati in Commissione. 1

54.  Agli uffici diplomatici e consolari parte dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all’estero?. 1

55.  L’assegno unico universale e gli iscritti Aire: i deputati Pd interrogano Giorgetti 1

56.  Spid e patronati: Ricciardi (Pd) interroga il Governo. 1

57.  M.I.R.T.A.: inaugurata dalla Farnesina la nuova piattaforma digitale di assistenza ai connazionali all’estero. 1

58.  Porta (Pd): l’indebolimento della tutela previdenziale degli italiani all’estero. 1

59.  Assegno Unico agli italiani con figli a carico residenti all’estero: i deputati Pd interrogano la Ministra Calderone. 1

60.  Risorse ai consolati dalle pratiche – passaporto: il parere della Commissione Affari Costituzionali 1

61.  Dottorati conseguiti all’estero: ddl per il riconoscimento automatico in Italia. 1

62.  Premio Italia Radici nel Mondo 2024 – I Edizione. 1

63.  A Taranto il 17 aprile il 1° Meeting Internazionale sul “Turismo delle Radici Italiane nel Mondo”. 1

64.  Il Sottosegretario Silli risponde all’interrogazione sulla disciplina del personale assunto a contratto nelle sedi estere. 1

 

 

1.     EU-Asyl-Reform. Das erwartet Schutzsuchende zukünftig in Europa. 1

2.     Deutlich härtere Regeln. Fragen und Antworten zur EU-Asylreform.. 1

3.     Die Mär vom NATO-Defizit 1

4.     Schärfere Regeln: EU-Parlament beschließt Asylreform.. 1

5.     Das Spiel ist aus. 1

6.     EU-Asylpakt: „Historischer Tag“ oder „Tiefpunkt“. 1

7.     Fachleute warnen vor Zuspitzung der Schuldenkrise armer Länder. 1

8.     Wegweisendes Klima-Urteil. Europäischer Gerichtshof: Klimaschutz ist Menschenrecht. 1

9.     EURO 2024 in Deutschland: Nachhaltig wie nie zuvor. 1

10.  Umfragen. Rechtspopulistische Wähler für Abbau des Sozialstaats – wegen Zuwanderern. 1

11.  Wer hat Angst vorm bösen Wolf 1

12.  Pfingsten in Kalabrien. Beste Reisezeit für den Süden des Stiefels von Mai bis Mitte Oktober. 1

13.  Der Krieg in Zahlen. Sechs Monate Gaza-Krieg und kein Ende in Sicht 1

14.  Oldenburg. Entsetzen nach Anschlag auf Synagoge. 1

15.  Despotendämmerung. 1

16.  Klagen gegen „Schikane“. Seenotretter wehren sich gegen Italien. 1

17.  „Inflation ist ein echter Präsidentenkiller“. 1

18.  Vom Staat im Stich gelassen. 1

19.  Vom Stadion ins Gefängnis? Das Rassismus-Problem des Fußballs. 1

20.  Die größte Protestmobilisierung. Die Massendemos gegen rechts flauen ab – was haben sie gebracht?. 1

21.  Neues Migrationsmuseum in Köln Kalk. 1

22.  Migranten mit Stethoskop. 1

23.  Flucht und Migration. Extremismusforscher: Politiker Vorurteile bedienen Vorurteile. 1

24.  Was Lehrer sollen. Debatte über Umgang mit AfD im Unterricht 1

25.  Gesetzliche Neuregelungen. Was ändert sich im April 2024?. 1

26.  Keine Lehren aus NSU. Forscherin: Gerichte zeigen große Defizite, Rassismus zu erkennen. 1

27.  Italien: Wie die Hilfe für die Ukraine eine Familie verändert hat. 1

28.  Amtliche Zahlen. Mehr Schüler durch Einwanderung. 1

29.  Vatikan: Frieden durch Vereinbarungen zwischen Völkern. 1

30.  Bericht für 2022. Jeder Zweite in Armut hat Migrationserfahrung. 1

31.  Ehrengast 2024 Italien: „Destinazione Francoforte“. 1

32.  Welche nationalen Interessen?. 1

33.  Studie. Europa größter Profiteur aus Zwangsarbeit. 1

34.  Die Rückkehr des Terrors. 1

35.  Berlin. Koalition sagt Rassismus den Kampf an. Grüne und Linke fordern mehr. 1

36.  Kulturstaatsministerin Roth zum Gedenken an die Opfer des Massakers in den Ardeatinischen Höhlen in Rom.. 1

37.  Italienische Friedens-Bewegungen unterstützen Papst-Appell zu Ukraine. 1

38.  Die unbeabsichtigten Folgen der Zeitenwende. 1

39.  Vor 80 Jahren. Für jeden toten Deutschen ermordeten NS-Besatzer zehn Italiener. 1

40.  Die andere europäische Wahl 1

41.  Religionsmonitor. Die meisten Deutschen solidarisch mit Flüchtlingen. 1

42.  Fachkräftemangel bedroht den deutschen Wohlstand – Lösungswege führen nach Europa. 1

43.  Wahlprognose zur Europawahl 2024: Rechte Parteien auf dem Vormarsch, Sitzmehrheit nur mit großer Koalition möglich. 1

44.  Putin 5.0. 1

45.  Flüchtlingspakt. EU verspricht Ägypten Milliarden für Grenzschließung. 1

46.  „Meilenstein mit Abstrichen“. EU-Lieferkettengesetz kommt trotz deutscher Enthaltung. 1

 

 

 

L’aggressione iraniana a Israele e il diritto internazionale

 

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile, l’Iran ha condotto un attacco armato contro Tel Aviv, mediante il lancio di un’ingente quantità di missili balistici e droni. Alcuni di essi sarebbero provenuti anche dal territorio libanese, attribuiti a Hezbollah.

Secondo le prime dichiarazioni dello Stato iraniano, si tratterebbe dell’esercizio del diritto naturale di legittima difesa ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite in risposta alle continue aggressioni israeliane, culminate nell’attacco alla sede diplomatica della Repubblica dell’Iran a Damasco, in Siria, e nel “martirio”- secondo quanto riportato – dei consiglieri militari iraniani presenti. Il ministro degli Esteri iraniano evoca anche una responsabilità del suo Stato connessa al suo ruolo funzionale al mantenimento della stabilità nell’area regionale a fronte di Israele, accusato, tra l’altro, di portare avanti un regime di apartheid nei territori occupati e una “campagna genocidaria” nei confronti del popolo palestinese.

Fonti di intelligence avevano preannunciato l’imminente attacco da parte dell’Iran, cui Israele ha risposto efficacemente. Grazie al sistema Iron Dome e al supporto difensivo fornito dagli assetti navali statunitensi presenti nel Mar Rosso, tra cui l’ammiraglia portaerei della marina statunitense USS Eisenhower, gli effetti dell’attacco iraniano non hanno prodotto effetti devastanti.

Numerose le dichiarazioni di supporto manifestate pubblicamente a Israele e di condanna all’aggressione da parte dell’Iran, compresa quella italiana. La prima reazione del Segretario Generale dell’ONU, limitata a un invito all’immediata cessazione delle ostilità per evitare “un’altra guerra”, è stata piuttosto flebile, in linea con l’orientamento scarsamente decisionista dei tempi più recenti. Nella giornata del 14 aprile, è attesa una riunione del Consiglio di Sicurezza, dopo circa 24 ore dall’avvenuto.

L’aggressione iraniana e il punto di vista giuridico

L’azione militare dell’Iran rivolta contro Israele tramite ingenti operazioni aeree pare difficilmente riconducibile a un esercizio della legittima difesa ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite a fronte dell’attacco dell’ambasciata iraniana in Siria. In primo luogo, sotto il profilo temporale, essa non segue a un attacco armato attuale o imminente, essendosi concluso da giorni quello richiamato. In secondo luogo, Israele non ha rivendicato questo attacco, ma è stato attribuito allo stesso dall’Iran. Peraltro, esso ha colpito una sede diplomatica iraniana ma sita sul territorio di uno Stato terzo, la Siria.

Per contro, l’azione iraniana condotta il 13 aprile potrebbe avere i caratteri di un’aggressione ai sensi dell’art. 2 par.4 della Carta dell’Onu, in quanto chiaramente e dichiaratamente un massiccio attacco armato è partito dal territorio della Repubblica islamica dell’Iran nei confronti di un altro Stato sovrano. La risposta israeliana sembra, invece, configurabile come un’azione in legittima difesa a fronte di un attacco armato attuale e finalizzata a respingerlo secondo criteri di proporzionalità, in conformità all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Il supporto statunitense o di altri Stati nella difesa pare a sua volta configurabile come un’ipotesi di intervento in legittima difesa collettiva.

Da un punto di vista formale – per quanto sin dalle prime battute del conflitto armato tra Israele e Hamas si sia ipotizzato un coinvolgimento, non dimostrato, della repubblica islamica dell’Iran a supporto di quest’ultimo oppure degli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso -, si trattava di un appoggio non incontroverso e di natura logistica. Un coinvolgimento indiretto nel conflitto armato, tramite il supporto di gruppi armati, ma senza un intervento diretto, generalmente non è ritenuto idoneo a far qualificare uno Stato come parte dello stesso. Risultava pertanto da escludere un coinvolgimento diretto dell’Iran come parte belligerante di un conflitto armato internazionale. Dal punto di vista giuridico, gli eventi recenti sono invece configurabili come un atto di aggressione, come definito in maniera condivisa a livello internazionale, contro la sovranità di un altro Stato, tale da dare origine a un conflitto armato internazionale. In tal caso, apparirebbe incontrovertibile la sussistenza di un animus bellandi, tale da far qualificare quest’ultimo come “guerra” dal punto di vista giuridico.

I bombardamenti iraniani, pertanto, hanno rappresentato certamente un’esclalation sotto il profilo militare, ma anche un momento di svolta, rendendo chiara e diretta la contrapposizione armata tra Israele e la Repubblica islamica dell’Iran.

Soltanto un’intensa attività diplomatica, in ogni sede, potrebbe attenuare il deterioramento della crisi nell’area mediorientale, che, allo stato attuale, appare destabilizzata in maniera critica, senza dimenticare che c’è il sospetto del possesso dell’arma nucleare tra le parti al conflitto.

Le imminenti riunioni del G7 e del Consiglio di sicurezza dell’ONU, già convocate, unitamente alle reazioni di supporto a Israele provenute da un ampio novero di attori, inclusa la NATO, testimoniano la preoccupazione della Comunità internazionale rispetto alla destabilizzazione dell’area. Valeria Eboli, AffInt 15

 

 

 

Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati: il fallimento della solidarietà europea

 

Il Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati, approvato oggi al Parlamento europeo a Bruxelles, avrebbe dovuto modificare le regole di Dublino, favorire la protezione internazionale in Europa di persone in fuga da disastri ambientali, guerre, vittime di tratta e di sfruttamento, persone schiacciate dalla miseria, con un impegno solidale di tutti i Paesi membri dell’Unione europea nell’accoglienza, il ritorno alla protezione temporanea come si era visto con gli 8 milioni di migranti in fuga dall’Ucraina, un monitoraggio condiviso tra società civili e Istituzioni del mar Mediterraneo per salvare vite nel Mediterraneo.

Invece l’Europa – mentre continuano le tragedie nel Mediterraneo – a maggioranza di voti si chiude in se stessa, trascura i drammi dei migranti in fuga, sostituisce la vera accoglienza con un pagamento in denaro. E pretende ancora di più dai Paesi di frontiera, come l’Italia: controlli più veloci, ritorni nel primo Paese di sbarco di chi si muove in Europa senza un titolo di protezione internazionale, rimpatri facilitati in Paesi terzi non sicuri, chiudendo gli occhi su esternalizzazioni dei migranti. Indebolendo, non da ultimo, la tutela delle famiglie e dei minori.

Il Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati segna così una deriva nella politica europea dell’asilo e il fallimento della solidarietà europea, che sembra infrangersi come le onde contro i barconi della speranza. Confidiamo che l’art. 10 della nostra Costituzione rimanga come presidio sicuro per tutelare i richiedenti asilo.

Le prossime elezioni europee saranno un banco di prova importante per rigenerare l’Europa a partire dalle sue radici solidali e non piegarla a nazionalismi e populismi che rischiano di dimenticare la nostra comune storia europea. Gian Carlo Perego, migrantes 11

 

 

 

I migranti e l'Europa più forte

 

Il nuovo accordo: con il Patto la Ue compie un piccolo ma importante passo in avanti in termini di sovranità condivisa - di Maurizio Ferrera

 

Non è stato un bello spettacolo, ma alla fine il Parlamento europeo ha votato sì: tutte e dieci le misure del nuovo Patto sull’Immigrazione e l’Asilo sono state approvate l’altro ieri. Le reazioni sono state molto diverse, dal trionfalismo acritico alla condanna senza appello. Succede sempre così nel caso di pacchetti articolati e complessi, su temi delicati. Per un giudizio ragionato di sintesi conviene utilizzare criteri, per così dire, di sistema. Ad essere in gioco sono infatti elementi costitutivi di ogni comunità politica (inclusa la Ue, dunque): i confini territoriali e il loro controllo. In che misura il Patto rafforza la condivisione di sovranità su questo delicato fronte, sotto la guida della Ue?

Sappiamo che, per quanto riguarda il movimento delle persone, la Ue ha progressivamente neutralizzato le frontiere fra i Paesi membri: pensiamo all’area Schengen. Gli ingressi dall’esterno sono invece controllati dai governi nazionali, ai quali spetta di determinare i flussi regolari e di gestire quelli irregolari. La pressione migratoria colpisce i vari Paesi in modo asimmetrico. La rotta mediterranea è oggi quella di gran lunga prevalente e il famigerato Regolamento di Dublino scarica ogni responsabilità sui Paesi più esposti: l’Italia, la Grecia e in misura minore la Spagna. Un caso evidente di quanto la sovranità puramente nazionale possa causare svantaggi immeritati, in base a ciò che accade al di fuori dell’Europa.

Il Patto approvato mercoledì non abolisce Dublino, ma lo tempera sotto almeno tre profili. Primo, uniforma per tutti i Paesi le procedure di screening alle frontiere esterne, rendendole più veloci ed efficaci. Secondo, crea un sistema di condivisione degli oneri: una quota di irregolari «in eccesso» può essere trasferita da un Paese ad un altro. Se quest’ultimo non è disponibile, deve almeno fornire un contributo finanziario. Terzo, l’Ue stipula (ha già iniziato) dei partenariati con Paesi terzi, in modo da facilitare i rimpatri. Insieme alle operazioni della già vigente Guardia costiera comune, con il Patto la Ue compie un piccolo ma importante passo in avanti in termini di sovranità condivisa.

Le nuove misure chiudono poi una spaccatura politica profonda che si era aperta a metà del decennio scorso proprio sul tema dei confini. Il massiccio incremento di rifugiati provocato dalle crisi libica e la guerra in Siria aveva messo a nudo due drammatiche impossibilità: quella di una gestione puramente nazionale delle frontiere e quella di procedere verso una gestione più centralizzata. L’Ungheria di Orbán, appoggiata da Polonia, Cechia e Slovacchia, approfittò del momento per lanciare un guanto di sfida all’autorità di Bruxelles. Si rifiutò di applicare una decisione sul ricollocamento dei rifugiati fra Paesi, organizzò un referendum nazionale «contro l’Europa» (cui partecipò meno del 40% degli elettori) e attaccò apertamente il principio della supremazia del diritto europeo. Fu la pagina più buia dell’ Europa post-allargamento, che peraltro alimentò una vera e propria ondata di xenofobia ed euroscetticismo in molti Paesi (Italia compresa). 

Va dato atto a Ursula von der Leyen di aver saputo ricucire gli strappi, dando il via a un lungo e paziente negoziato a partire dal 2020. Il tema esplosivo dell’immigrazione esterna è stato trasformato da una questione di principio difficilmente sanabile (l’opposizione binaria fra sovranità nazionale o condivisa) ad un confronto più maneggevole e costruttivo sui termini specifici della gestione in comune.

Vi è infine un terzo aspetto. La percentuale di voti a favore delle dieci misure del Patto è stata piuttosto risicata. Ciò che conta è però che, nel complesso, abbia tenuto la maggioranza fra socialisti, popolari e liberali, senza frantumarsi lungo linee territoriali. Il Parlamento non esprime la volontà dei Paesi membri ma quella dei cittadini, rappresentati dai partiti in base a obiettivi e valori condivisi. Si tratta di una distinzione importante, che definisce la natura di un regime politico, la sua capacità di essere qualcosa di più di una confederazione tra stati sovrani che difendono solo i propri interessi. L’imminenza delle elezioni ha creato tuttavia qualche disturbo agli allineamenti partitici: ci sono state defezioni, per fortuna non decisive, da parte di alcune delegazioni nazionali. Per limitarci al caso italiano, all’interno del gruppo conservatore Fratelli d’Italia ha votato a favore (allineandosi ai popolari e dunque a Forza Italia) tranne che sulla misura riguardante la condivisione degli oneri, la più osteggiata da Orbán. Fra i socialisti, il Pd ha votato in modo quasi speculare al partito di Meloni, schierandosi a favore solo sulla condivisione degli oneri. Per come funziona il Parlamento europeo, le defezioni di chi fa parte della maggioranza fanno più danni di quelle in direzione contraria. I socialisti e democratici si sono sempre distinti per la capacità di votare uniti, componendo ex ante eventuali differenze di orientamenti. Speriamo si tratti solo di un incidente di percorso: è importante che la tradizione continui. CdS 12

 

 

 

Putin e quel disperato bisogno di guerra all’Ucraina

 

L’importanza delle elezioni presidenziali in Russia svoltesi il 15-17 marzo non riguarda il loro esito bensì quel che ci dicono sulla traiettoria della Russia e della guerra in Ucraina.

La vittoria di Putin non è frutto di una competizione elettorale

Che Vladimir Putin avrebbe stravinto le elezioni, assegnandosi un quinto mandato e divenendo così il leader russo più longevo dai tempi di Josef Stalin, era una delle pochissime certezze di questo periodo di profondi sconvolgimenti. L’elezione di Putin non è mai stata un cigno nero, piuttosto un gigantesco rinoceronte grigio che tutti avvistavano nitidamente da lontano. In Russia non c’è stata alcuna competizione elettorale. I tre contendenti ufficiali di Putin – Leonid Slutsky, Nikolai Kharitonov e Vladislav Davankov – sono sostenitori del presidente. L’unica voce fuori dal coro, Boris Nadezhdin – con un approccio più critico nei confronti non tanto di Putin quanto della sua guerra in Ucraina – è stato squalificato dalla contesa elettorale, mentre l’unica vera minaccia al potere di Putin è stata assassinata. Come noto, infatti, il leader dell’opposizione democratica Alexey Navalnhy è stato ucciso a febbraio nella colonia penale artica di Kharp. Al netto dei brogli, della propaganda e dell’intimidazione, è difficile non stravincere quando non c’è competizione. Insomma, l’operazione elettorale speciale in Russia, con la vittoria schiacciante di Putin, è andata come voluto e ampiamente previsto.

Cosa ci dice questo 87%

Eppure queste elezioni ci dicono molto sia sulla Russia sia sulla sua guerra contro l’Ucraina. Il fatto che non siano state elezioni democratiche non rende irrilevante la vittoria di Putin con l’87% dei voti, ossia ben 10 punti percentuali in più rispetto alla sua ultima vittoria nel 2018. Lo stesso aumento ha caratterizzato anche l’affluenza, un dato tanto (o forse più) significativo di quello sull’esito, specie in un sistema autoritario. Questo, tuttavia, non significa che non ci sia una reale opposizione a Putin: le lunghe file ai seggi a mezzogiorno di domenica 17 marzo in Russia e davanti alle ambasciate russe in diverse città europee e del Caucaso, di cittadini russi che coraggiosamente e silenziosamente hanno aderito all’appello dell’opposizione democratica a presentarsi alle urne a quell’ora in segno di protesta, ci parlano di un’opposizione che resiste, nonostante la violenza e la repressione. Tuttavia, è probabile che anche se questa opposizione avesse avuto piena libertà di esprimersi e votare liberamente il proprio candidato, Putin avrebbe comunque vinto seppur non con l’87% dei voti. Sarebbe fuorviante, infatti, dedurre che alla luce dei brogli e della repressione Putin non goda di un reale sostegno della maggioranza nel suo Paese. Non è una novità che la maggioranza dei russi sia profondamente nazionalista e anti occidentale, amante dell’uomo forte al potere e dell’idea – mai veramente abbandonata – di essere un impero, considerando i Paesi limitrofi indegni di sovranità. Oppure, più banalmente, questa maggioranza vuole tenersi alla larga dalla politica e sarebbe disposta a votare chiunque le venga suggerito o imposto. Putin rappresenta perfettamente questa maggioranza.

Putin ha bisogno della guerra in Ucraina

L’esito delle elezioni in Russia ci dice inoltre che la guerra per Putin sta svolgendo la funzione voluta in casa. Negli ultimi due anni, il leader russo ha trasformato la narrazione e la legittimazione del conflitto nel suo Paese: l’invasione dell’Ucraina non ha più solo o principalmente lo scopo di denazificare e demilitarizzare il Paese, alla vigilia di una sua ipotetica entrata nella Nato, ma è diventata una nuova grande guerra patriottica contro l’Occidente. Questa è una narrazione che ha molta più presa sull’opinione pubblica russa e le elezioni, nonché il terribile attacco al Crocus City Hall di Mosca del 22 marzo scorso, lo dimostrano. Non a caso Putin è ingaggiato nel tentativo maldestro di scaricare la responsabilità indiretta dell’attacco su Kyiv.

Se la prosecuzione della guerra funziona così bene per Putin, anzi se Putin ne ha bisogno per alimentare il suo consenso interno, perché mai dovrebbe porvi fine con un cessate il fuoco e una trattativa? Le elezioni in Russia e l’attacco al Crocus City Hall confermano ciò che è evidente da tempo: della guerra Putin ha e continuerà sempre più ad avere un disperato bisogno. A noi trarne le dovute conseguenze. Nathalie Tocci, AffInt 8

 

 

 

Ucraina. La Germania schiera truppe in Lituania

 

Il Cremlino: "Così aumentano tensioni". Scambio di accuse Mosca-Kiev per l'attacco alla centrale che ha danneggiato un reattore. Grossi: "Rischio grave incidente nucleare"

La Germania invia soldati in Lituania e la tensione con la Russia aumenta. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha annunciato oggi l'inizio del dispiegamento di una brigata in Lituania: "E' un giorno importante per la Bundeswehr. E' la prima volta che dispieghiamo in forma permanente un'unità di questo tipo fuori dalla Germania", ha dichiarato nel corso di una cerimonia in occasione della partenza di un primo distaccamento formato da una ventina di militari, che saranno poi raggiunti dagli altri a partire dai prossimi mesi.

Dopo l'attacco russo contro l'Ucraina, il governo tedesco si è impegnato a schierare in Lituania un'unità pronta al combattimento con capacità indipendenti. La brigata dovrebbe essere operativa entro il 2027. È prevista una presenza permanente di circa 4.800 soldati e circa 200 civili della Bundeswehr, che potranno portare con sé le proprie famiglie.

Il primo distaccamento è partito oggi per il Paese baltico insieme al capo di Stato maggiore dell'esercito, il tenente generale Alfons Mais. A Vilnius, i primi membri della brigata saranno ricevuti dal ministro della Difesa lituano Laurynas Kasciunas. Questo comando iniziale dovrebbe crescere fino a raggiungere una forza di circa 150 unità entro il quarto trimestre del 2024. Le altre unità cominceranno a schierarsi dopo l'entrata in servizio ufficiale della brigata - che prenderà il nome di Panzerbrigade 45 - nel 2025.

Cremlino: "Truppe tedesche in Lituania aggraveranno tensioni"

Il dispiegamento di una brigata tedesca in Lituania ''aggraverà le tensioni già in crescita'', ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. ''Si tratta di aumentare una tensione già in crescita, creare situazioni di pericolo per noi ai nostri confini e ci richiede di adottare misure speciali per garantire la nostra sicurezza", ha detto Peskov rispondendo alle domande dei giornalisti sui piani della Germania di creare una base militare in Lituania.

Allarme per rischio incidente nucleare a Zaporizhzhia

Intanto cresce l'allarme per il rischio di un incidente nucleare a Zaporizhzhia. L'involucro del reattore dell'impianto è stato danneggiato dagli attacchi con droni lanciati nelle scorse ore dalla Russia,ha dichiarato il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Rafael Mariano Grossi, parlando di ''almeno tre colpi diretti contro il reattore'' e di ''grave incidente che ha messo in pericolo la sicurezza nucleare''.

L'attacco alla centrale, si legge in una nota dell'Aiea, rappresenta una chiara violazione dei cinque principi fondamentali per la protezione dell’impianto illustrati da Grossi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel maggio dello scorso anno. Su X, l’Aiea ha comunque sottolineato che il danno all’impianto controllato dalla Russia "non ha compromesso la sicurezza nucleare". In ogni caso"'si tratta di una grave escalation dei rischi per la sicurezza nucleare che la centrale nucleare di Zaporizhzhya deve affrontare. Tali attacchi sconsiderati aumentano significativamente il rischio di un grave incidente nucleare e devono cessare immediatamente'', ha affermato Grossi in una nota.

 Mosca nega di essere responsabile dell'attacco e accusa Kiev. E' stata una "provocazione molto pericolosa", ha dichiarato Peskov. "I dipendenti dell'Aiea che sono sul posto hanno avuto l'opportunità di assistere a questi attacchi. Questa è una tattica molto pericolosa che avrà conseguenze molto negative a lungo termine. Il regime di Kiev, purtroppo, continua le sue attività terroristiche" ha sottolineato il portavoce del Cremlino citato dalla Tass.

Nelle ultime 24 ore i russi hanno colpito "357 volte" otto centri abitati nella regione di Zaporizhzhia, ha reso noto il capo dell'amministrazione regionale, Ivan Federov, secondo il quale tre persone sono morte e tre sono rimaste ferite.

Zelensky: "Kharkiv attaccata giorno e notte, alleati ci aiutino a proteggerla"

''Kharkiv. Ogni giorno e ogni notte la città è soggetta a atroci attacchi russi. Stiamo facendo ogni sforzo per fornirgli una migliore protezione. I nostri alleati possono fornire assistenza nella difesa aerea ed esercitare pressioni sulla Russia''. Lo ha scritto in un tweet il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dicendo di voler ''ringraziare tutti coloro che già stanno assistendo. Ringrazio tutti coloro che a Kharkiv salvano vite umane e fanno tutto il possibile per sostenere la città in questo momento difficile''. Zelensky ha aggiunto che ''ogni comunità ucraina che ora sta aiutando Kharkiv, ogni città che sta al fianco di Kharkiv e ogni combattente che difende la regione di Kharkiv stanno tutti proteggendo l’Ucraina''.

10mila bambini russi evacuati da area Belgorod

Sono circa 10mila i bambini evacuati dalla regione russa al confine con l'Ucraina di Belgorod in seguito agli attacchi dell'Ucraina, ha reso noto il governatore Vyacheslav Gladkov. Presto, i ragazzini saranno trasferiti in campi in Ossezia del Nord. E nelle regioni di Pskov, Ivanovo, Kostroma e Bashkiria. Molti genitori hanno lamentato le condizioni di viaggio dei bambini e le loro sistemazioni.

Lavrov a Pechino, incontro con Wang

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è arrivati oggi a Pechino per una visita di due giorni durante la quale incontrerà il collega cinese Wang Yi. Alla vigilia della partenza, il ministero degli Esteri russo aveva sottolineato che obiettivo dei colloqui è di discutere di "un'ampia gamma di temi di cooperazione bilaterale così come l'interazione in ambito internazionale". E' poi previsto "uno scambio dettagliato di opinioni su una serie di 'temi caldi' e questioni regionali, tra cui la crisi in Ucraina e la situazione nella regione Asia-Pacifico".

Non è escluso che Lavrov e Wang - che si sono incontrati l'ultima volta a Pechino in ottobre - parlino anche della possibilità di una visita in Cina del presidente russo Vladimir Putin, che secondo indiscrezioni recenti potrebbe avvenire a maggio. Adnkronos 8

 

 

 

Italia e Germania insieme alle Fosse Ardeatine

 

ROMA - Nella mattina di ieri, 24 marzo, in occasione dell’ottantesimo anniversario della strage delle Fosse Ardeatine, la ministra di Stato per la Cultura e i Media del Governo federale della Germania, Claudia Roth, e il ministro italiano della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si sono recati insieme al Mausoleo delle Fosse Ardeatine per deporre una corona di fiori davanti alla lapide commemorativa dell’eccidio.

Presente anche il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, i ministri Roth e Sangiuliano, accompagnati dal capo dell'Ufficio per la tutela della cultura e della memoria della Difesa, generale di divisione dei Carabinieri Diego Paulet, hanno visitato il Mausoleo.

Roth e Sangiuliano si sono poi recati al Portico D’Ottavia, alla Sinagoga e al Museo Ebraico dove hanno deposto una corona di fiori. Ad accoglierli il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, insieme al presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, il presidente della Fondazione Museo Shoah, Mario Venezia, il presidente della Fondazione per il Museo Ebraico di Roma, Alessandra Di Castro, e gli assessori della Comunità ebraica ai Rapporti istituzionali, Alessandro Luzon, ai Rapporti internazionali, Johanna Arbib, e alla Memoria, Daniele Regard.

“È stata una giornata densa di significati, con gesti che vogliono affermare i valori dei diritti individuali della persona e della concordia tra i popoli”, ha commentato Sangiuliano. “Ottant’anni fa si consumava l’eccidio delle Fosse Ardeatine: 335 persone, tra militari e civili e molti cittadini di religione ebraica, furono trucidate dalle truppe di occupazione naziste con la feroce collaborazione dei fascisti”.

“A mia memoria, credo che mai tre ministri, fra cui uno tedesco, si siano recati insieme al sacrario delle Fosse Ardeatine”, ha osservato Sangiuliano. “La memoria è fondamentale affinché nelle coscienze si radichi il rifiuto del male. Significativa e rilevante è stata anche la presenza al Portico d'Ottavia nel punto in cui furono rastrellati gli ebrei romani”.

Il ministro ha ringraziato “gli amici fraterni della comunità ebraica per averci accolto in un momento tragico nel quale, dopo l’attacco del 7 ottobre, riappare il demone dell’antisemitismo. Sia pur nella tragicità degli eventi rievocati”, ha aggiunto, “sono stati momenti positivi di ricostruzione morale”. (aise/dip 25.3.)

 

 

 

“Destinazione Francoforte”: un anno di iniziative verso l’Italia “Ospite d’onore” alla Fiera del Libro di Francoforte 2024

 

Berlino - È stato presentato venerdì scorso, 15 marzo, dall’ambasciatore d’Italia a Berlino, Armando Varricchio, il ricco programma di “Destinazione Francoforte”: eventi con incontri, festival e rassegne in avvicinamento alla partecipazione dell’Italia come “Ospite d’onore” alla Fiera del Libro di Francoforte 2024. Decine di autori e libri italiani si alterneranno nei maggiori eventi letterari ed editoriali tedeschi, grazie all’azione degli Istituti Italiani di Cultura in Germania e il coordinamento dell’Ambasciata d’Italia a Berlino.

“Destinazione Francoforte” inizierà a marzo con gli incontri previsti alla Stuttgarter Kriminächte e alla Leipziger Buchmesse, per proseguire nei mesi successivi con ILfest di Monaco, Europäisches Festival des Debütromans di Kiel, Literatursommer Schleswig-Holstein, Poetische Quellen a Bad Oeynhausen, Internationaler Graphic Novel Salon di Amburgo, Globale Festival di Brema, il Krimifestival di Amburgo, Stuttgarter Buchwochen e molti altri appuntamenti letterari.

Curato dai cinque Istituti Italiani di Cultura che operano in Germania (Berlino, Amburgo, Colonia, Monaco di Baviera e Stoccarda), in collaborazione con AIE e con il coordinamento dell’Ambasciata a Berlino, il percorso di “Destinazione Francoforte” permetterà sia di ampliare notevolmente il numero degli autori italiani che nel 2024 avranno la possibilità di presentare le loro opere in Germania, sia di anticipare alcuni dei filoni e dei focus che saranno protagonisti a ottobre alla Fiera del Libro di Francoforte.

“Il 2024 è un anno che ci consente di presentare agli amici tedeschi molteplici volti della cultura italiana”, ha detto l’ambasciatore Armando Varricchio. “Arriveremo a ottobre alla Fiera del Libro, dopo le tappe in molteplici festival letterari, sparsi su tutto il territorio. “Destinazione Francoforte” sarà infatti un vero e proprio “Giro della Germania” intrapreso da autori e editori italiani, toccando le grandi metropoli e le piccole città, i festival letterari e le fiere tematiche. Presenteremo in Germania la creatività e l’innovazione che sono gli elementi centrali della cultura italiana, così come le nostre capacità nell’economia, nella scienza e in tutti i settori in cui operiamo”.

La Fiera del Libro di Francoforte, in programma dal 16 al 20 ottobre, rappresenta un appuntamento di grande importanza internazionale che vede impegnate tutte le istituzioni coinvolte nel progetto: il Ministero della Cultura con il Centro per il libro e la lettura, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’Ambasciata d’Italia a Berlino, ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. L’AIE – Associazione Italiana Editori curerà il programma editoriale. Il Commissario straordinario Mauro Mazza assume la responsabilità complessiva di questa iniziativa.

A tenere traccia del percorso di Destinazione Francoforte, con approfondimenti, informazioni e calendari, è il sito https://italiafrancoforte2024.com/  aise/dip 19.3.

 

 

 

L'interscambio Italia-Germania nel 2023. La Germania primo partner economico dell'Italia

 

La Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK Italien) ha presentato oggi, 20 marzo, i dati di interscambio commerciale italo-tedesco 2023, con approfondimenti territoriali, settoriali e relativi al contesto internazionale e macroeconomico.

Secondi i dati Istat, la Germania rimane il principale partner economico dell'Italia, sia in termini di export (74,6 miliardi) sia di import (89,7 miliardi), con una partnership complessiva che nel 2023 ha raggiunto il valore di 164,3 miliardi. Si rileva così un calo del 3,7% dell’export e dell’1,4% per l’import, con una diminuzione della partnership commerciale pari al 2,5% rispetto al 2022.

Anche per il 2023, il distacco della Germania rispetto al secondo partner commerciale italiano, la Francia, resta netto, con ben 54 miliardi di differenza.

"Pur registrando un calo rispetto al 2022, restiamo in anni globalmente di crescita per la partnership economica italo-tedesca", ha dichiarato il Consigliere Delegato AHK Italien, Jörg Buck. "Anche in un contesto di recessione, rileviamo come gli anni post-pandemici abbiano dato sempre più evidenza di un rapporto di co-produzione strutturale tra i nostri due Paesi, con risultati ben superiori rispetto ai 127 miliardi del 2019. Il 2023 ci restituisce così il secondo risultato più alto di sempre. Se consideriamo, inoltre, che lo scorso anno l’inflazione è calata rispetto al 2022 e la diminuzione dell’interscambio è stata molto contenuta, possiamo continuare a fare affidamento sulla solidità dei legami commerciali costruiti con la Germania".

Per quanto riguarda i territori, non si rilevano cambiamenti nella gerarchia delle regioni italiane più attive commercialmente con la Germania. La Lombardia continua a svolgere un ruolo di traino: da sempre al primo posto e con un peso che è aumentato negli ultimi anni, anche nel 2023 la regione ha registrato un valore (53,8 miliardi) più che doppio rispetto al Veneto e all’Emilia-Romagna, che occupano rispettivamente la seconda e terza posizione con 24,6 e 18,9 miliardi di euro.

L’interscambio è invece più distribuito nel caso dei Länder tedeschi, con valori più omogenei tra i territori. A fare da traino in Germania sono il Baden-Württemberg, che con 31,9 miliardi conferma la prima posizione registrata già nel 2022, la Baviera (29 miliardi) e il Nordrhein-Westfalen (26,2 miliardi).

A livello settoriale, si conferma il ruolo fondamentale dei settori da sempre al centro dei rapporti italo-tedeschi. Troviamo al primo posto il chimico farmaceutico, con 25,8 miliardi, seguito dall’automotive con 25,76 miliardi, dunque in sostanziale parità; al terzo posto i macchinari con 22,33 miliardi, mentre la siderurgia vale complessivamente 21,27 miliardi.

Osserviamo come nel 2023 a crescere sia soprattutto l’automotive: + 14% nell’export e +17% nell’import, trainato tuttavia a livello di volumi soprattutto dall’import (+16%). Anche i macchinari registrano crescite considerevoli, del 7% nell’export e del 11,6% nell’import, un aumento che ritroviamo anche nei volumi, dove l’import cresce del 26,7%. Dinamiche più diversificate, invece, per siderurgia e chimico-farmaceutico, dove i cali percentuali del valore non rispecchiano i cali di volume, molto più contenuti.

"I dati dimostrano la strutturalità dei rapporti italo-tedeschi pur nel contesto del rallentamento tedesco", afferma la Presidente di AHK Italien, Monica Poggio. "Stiamo attraversando una fase di rimodulazione dei nostri sistemi produttivi e la priorità per Italia e Germania sarà portare a termine trasformazioni decisive per coniugare sostenibilità, innovazione e competitività. La prossima legislatura europea sarà quindi fondamentale per rinforzare il mercato interno e proseguire sul percorso di transizione ambientale e di integrazione produttiva europea e i nostri due Paesi possono svolgere un ruolo determinante in questo processo". (aise/dip 20.3.) 

 

 

 

Lucio Blandini, un’eccellenza italiana in Germania

 

Scorrendo il suo curriculum, il catanese Lucio Blandini è un globetrotter dei tempi moderni. Oggi più di ieri, chi vuole affermarsi in settori professionali e artistici di alto profilo, ha bisogno di accumulare esperienze all’estero.

È il caso dell’ingegnere Blandini, professore ordinario di Strutture Leggere all’Università di Stoccarda ed esperto di facciate e architettura sostenibile.

Dopo gli studi di Ingegneria Strutturale presso le Università di Catania e Bologna, il giovane Lucio si trasferisce a Stoccarda dove nel 2002 consegue il dottorato su Strutture a guscio in vetro, sviluppando e costruendo la “Volta di Stoccarda” come prototipo in vetro.

Queste sue due grandi capacità innovative lo portano all’Università di Filadelfia in Pennsylvania e all’Architectural Association di Londra. Successivamente torna a Stoccarda per affrontare le sfide di Project Manager presso la Werner Sobek AG, azienda leader nel settore dell’ingegneria, design e sostenibilità che dà lavoro a 400 dipendenti.

Tra i progetti più importanti realizzati da Lucio Blandini spiccano il Museo Ferrari di Modena, le facciate speciali della Japan Post Tower di Tokyo, l’Etihad Museum di Dubai, le facciate a Cavi del Grand Egyptian Museum del Cairo, la Casa della Storia Europea di Bruxelles, il Terminal 2 dell’Aeroporto Internazionale del Kuwait e la Stazione Centrale di Stoccarda 21. Tutte queste importanti esperienze ed interessanti sfide l’hanno fatto assurgere a Ordinario di Strutture Leggere presso l’Università di Stoccarda che, in termini più semplici, il Prof. Dr. Ing. M. Arch. Lucio Blandini ci spiega così:

“Significa che ho la responsabilità accademica per questo settore. Dirigo un dipartimento con oltre 40 persone e composto da altri due professori, tre ricercatori, molti dottorandi e altro personale. Insieme definiamo le linee guida per la ricerca scientifica e l’insegnamento. In questo modo riesco a spingere per rendere il mondo delle costruzioni più sostenibile”.

Oggi si parla sempre più dell’utilizzo di risorse naturali per incrementare la sostenibilità ambientale nel settore delle facciate e strutture edili. In concreto, di che cosa si tratta?

Il mondo delle costruzioni è responsabile per oltre il 60% dell’utilizzo di materie prime, il 50% della produzione di “spazzatura” e il 50% delle emissioni nocive per il clima. È necessario quindi trovare un equilibrio diverso attraverso una trasformazione radicale dei processi costruttivi. Sostenibilità ambientale per me significa ridurre drasticamente l’uso di materie prime non solo attraverso l’uso di sistemi più leggeri, ma anche attraverso processi di riuso e recycling. Significa anche prolungare l’utilizzo di strutture esistenti e ridurre l’uso di processi e tecnologie ad alto impatto ambientale. La mia visione mira a sviluppare degli approcci che possano dimezzare l’uso di materie prime e la produzione di spazzatura in modo da azzerare le emissioni nocive per il clima.

In che cosa consistono le innovazioni?

Nel mondo della ricerca ci occupiamo, tra le altre cose, di materiali simili al calcestruzzo, dove grazie a dei batteri -totalmente innocui- possiamo in prospettiva azzerare la produzione di C02 (il calcestruzzo è responsabile dell’8% della produzione mondiale di anidride carbonica). Sviluppiamo dei metodi digitali di progettazione e produzioni di componenti strutturali, che comportano un dimezzamento nell’uso delle risorse naturali. Lavoriamo a dei sistemi di strutture e facciate adattive che abbattono l’utilizzo di risorse e consentono un incremento del comfort. Tra queste tecnologie per le facciate, ne cito una ad esempio che consente di assorbire l’acqua piovana attraverso dei particolari tessuti tridimensionali, così da ridurre notevolmente l’uso di acqua potabile. In estate, inoltre, l’acqua raccolta può essere riutilizzata per rinfrescare gli spazi urbani (abbiamo dimostrato che differenze di oltre 20°C sono realizzabili). Questi sono alcuni esempi delle innovazioni a cui lavoriamo.

Quali sono i progetti realizzati per i quali ti senti più orgoglioso e professionalmente appagato?

Al di là dei progetti di ricerca e dell’attività di didattica svolta negli ultimi anni con studenti di Ingegneria e Architettura, sono orgoglioso dell’attività professionale svolta a partire dal 2003. Ho realizzato strutture e facciate innovative in quasi tutti i continenti. Tra questi, mi rendono particolarmente fiero il Museo delle Ferrari a Modena, le facciate del Grand Egyptian Museum che rivelano le piramidi di Giza, l’Etihad Museum che documenta la fondazione degli Emirati Arabi, il nuovo aeroporto in Kuwait e le strutture per la stazione ferroviaria “Stuttgart 21”.

Quali esperienze professionali sei riuscito a fare in Italia prima di varcare le Alpi?

Ho fatto un po’ di insegnamento all’Università, ma sono partito sei mesi dopo la laurea. La pratica professionale in Italia è stata più “facile” una volta che mi ero qualificato all’estero.

Perché hai scelto di trasferirti in Germania, e proprio a Stoccarda?

A Stoccarda c’è una tradizione unica al mondo nell’approccio interdisciplinare ai temi dell’architettura e dell’ingegneria, che ha il suo culmine nel campo dei sistemi leggeri. Sono partito da questa constatazione e ho fatto domanda per un dottorato all’istituto che adesso dirigo.

Che cosa rappresenta per te la Germania?

La Germania è stata un’occasione unica di crescita professionale e umana. Ho imparato molto dall’approccio tedesco alla precisione e dall’interesse per le tecnologie in generale; ma è stato per me fondamentale il connubio tra questa dimensione e la ricerca del bello, che è tipica della nostra cultura. Umanamente ho imparato a mettere da parte tutto ciò che è superfluo per concentrarmi su ciò che merita cura, attenzione e amore.

È stato difficile convincere la tua famiglia a trasferirsi in terra sveva?

Ho lasciato la mia famiglia di origine in Sicilia, ma ne ho creata una nuova a Stoccarda 18 anni fa. Ed è stato per me fondamentale mantenere i legami con l’Italia e la sua tradizione culturale. Ormai i miei due figli sono perfettamente bilingui e si sentono parte di entrambe le comunità. È una grande occasione per loro, ma anche un chiaro segno di integrazione.

Hai dei rimpianti?

E chi non ne ha? Un percorso come il mio richiede anche parecchi sacrifici.

Qual è l’indice d’integrazione anche sociale e culturale che hai raggiunto a Stoccarda?

L’integrazione è oramai molto alta; ma non è sempre stata una passeggiata. Ho dovuto sudare per conquistarmi ogni traguardo. Ma in Germania ho trovato sempre uno spazio per dimostrare cosa ero in grado di fare.

Hai rapporti anche con la nostra collettività che nella sola Stoccarda conta oltre 16mila connazionali?

Ho avuto diversi contatti in passato a titolo personale. Negli ultimi anni però si sono aggiunti anche i contatti istituzionali. E sono stato ben contento di alcune iniziative con il COM.IT.ES e con il Consolato.

C’è anche una tua mano nel megaprogetto Stuttgart 21 ovvero nella realizzazione della Stazione Centrale sotterranea?

Oltre 10 anni fa mi sono occupato di sviluppare un nuovo sistema digitale di progettazione e di calcolo per la realizzazione dei “calici” in calcestruzzo armato che sostengono la Stazione Centrale. È un’incredibile emozione vedere adesso questi spazi finalmente realizzati e coglierne l’atmosfera particolare. A mio avviso si può considerare (in un contesto laico) una cattedrale dei nostri tempi.

Come mai questi enormi ritardi nell’esecuzione dei lavori?

I motivi sono molteplici: tra i vari aspetti vedo molti margini per ottimizzare in futuro i processi di decisione e autorizzazione (ai vari livelli necessari).

Qual è la data più realistica dell’inaugurazione?

Non sono più coinvolto in questa fase, quindi non mi avventuro in prognostici… ma il più è fatto.

In questo mondo del lavoro e di esperienze senza confini, che posto occupa la tua terra natia?

Sono le mie radici. Le decisioni più impegnative le ho sempre prese in silenzio davanti al “mio” mare. Tony Màzzaro, CdI marzo

 

 

 

Giorgio Brignola: 47 anni di impegno per il Corriere d’Italia di Francoforte

 

È con grande emozione e profondo rispetto che vogliamo dedicare un momento speciale per ringraziare Giorgio Brignola per la sua straordinaria dedizione e impegno nel campo del giornalismo di emigrazione.

Dopo 47 anni di ininterrotta collaborazione, Giorgio Brignola lascia il Corriere d’Italia con un’eredità di professionalità e passione senza pari.

Caro Giorgio, da oltre cinquant’anni hai dedicato la tua vita al giornalismo, con una particolare attenzione al mondo dell’emigrazione italiana.

Da ben 47 anni hai portato avanti il tuo servizio con il Corriere d’Italia, contribuendo in modo significativo a fornire informazioni molto utili ai nostri connazionali all’estero.

Quando ti chiedono come sia nata questa tua passione, tu stesso la definisci „servizio“. Hai sempre creduto che i nostri connazionali all’estero avessero il diritto di ricevere un’informazione specifica e mirata, un diritto che hai cercato di garantire con impegno e dedizione.

La tua rubrica sociale, presente sul Corriere d’Italia dal 1977, è diventata un punto di riferimento per molti italiani in Germania. È nata da una tua proposta all’EPI, che la dirigenza ha accolto con entusiasmo, dando così inizio a un servizio che ha arricchito la vita di tanti.

Le domande che hai ricevuto dai lettori spaziano dall’ambito socio/previdenziale a quello politico e personale.

Con pazienza e professionalità hai sempre cercato di rispondere a ogni interrogativo, fornendo informazioni precise e chiare rassicurazioni ai lettori.

Nonostante le sfide e le difficoltà, hai continuato a svolgere il tuo lavoro con entusiasmo, dimostrando sensibilità e rispetto nei confronti dei bisogni dei nostri connazionali all’estero. Le istituzioni italiane, purtroppo, non sempre sono sensibili a queste esigenze, ma tu hai saputo colmare questa lacuna con il tuo impegno instancabile.

Le telefonate e le lettere ricevute sono state numerose e talvolta anche pressanti, ma per te sono state anche un segno di fiducia e riconoscimento da parte dei lettori.

Il tuo motto, „Servire gli italiani, non servirsene”, rispecchia perfettamente la tua visione del giornalismo e del tuo ruolo nella società. La tua lunga e illustre carriera è stata caratterizzata da un impegno costante a favore della comunità italiana nel mondo, senza mai perdere di vista l’importanza del servizio e della solidarietà.

Caro Giorgio, grazie di cuore per tutto quello che hai fatto e continui a fare per i nostri connazionali all’estero. La tua eredità rimarrà sempre viva nei cuori di coloro che hai toccato con il tuo lavoro e la tua generosità.

Ti auguriamo ogni bene e tanta salute per il futuro, consapevoli che il tuo contributo resterà indelebile nella storia del Corriere d’Italia.

Don Gregorio Milone, editore del CdI, Licia Linardi, direttrice del CdI. (CdI marzo)

 

 

 

Giuseppe Assandri a Dortmund (il 28 aprile) ed a Bochum (il 29)

 

Dortmund - Il 28 aprile, alle ore 17, il zib Zentrum für Information Bildung di Dortmund ospiterà una conversazione con Giuseppe Assandri, autore del libro “Berlino 1936 - La storia di Luz Long e Jesse Owens” (Editore San Paolo, 2023).

L’evento, organizzato da Il Mitte | Quotidiano di Berlino per italofoni e dal Comites Dortmund, sarà moderato da Lucia Conti, direttore de Il Mitte, con letture a cura di Clelia Tollot. L’entrata sarà libera.

Due atleti, due nazioni, un’amicizia contro ogni previsione e quelle Olimpiadi entrate nella storia, nell’era più buia della Germania e dell’Europa. Aneddoti, curiosità, informazioni poco note: la conversazione con Giuseppe Assandri sarà un viaggio appassionante che porterà i presenti ad assistere alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e alla vittoria dell’atleta afroamericano Jesse Owens, il “fulmine” nero che, guadagnando ben quattro medaglie d’oro e segnando il record di 8.06 m. nel salto in lungo, trionfò sulle tesi suprematiste della Germania nazista.

C’è di più, però. C’è un’amicizia inaspettata, quella tra Jesse Owens e l’atleta tedesco Luz Long, un’amicizia fatta di lealtà sportiva e di quello che gli uomini possono darsi quando interagiscono al di fuori delle categorie dell’odio e del pregiudizio.

Si parlerà, dunque, delle luci di questo incontro storico, mentre già si addensavano all’orizzonte le ombre dei terribili eventi che si sarebbero verificati a breve in Europa, in tutto il loro orrore, e parleremo anche di come Owens, dopo le Olimpiadi, tornò a fronteggiare un’altra vergogna, quella della segregazione razziale negli Stati Uniti dell’epoca. La forza di quella vittoria e di quel legame, però, restò per sempre nella memoria dei due atleti e del mondo.

L’indomani, lunedì 29 aprile, Giuseppe Assandri sarà ospite della Ruhr-Universität Bochum per un incontro con gli studenti del seminario di romanistica di Irene Gallerani. Questo secondo incontro è organizzato in collaborazione con Italienverein Centro di promozione linguistico culturale.

Nato ad Acqui e laureato in filosofia a Genova, Giuseppe Assandri ha lavorato come insegnante e dirigente scolastico. In Germania, è stato addetto scolastico al Consolato italiano di Dortmund e ha collaborato con l’Internationale Jugendibliothek di Monaco di Baviera. Collabora come formatore con Ali – Associazione Literacy Italia. Scrive da oltre vent’anni per il Pepeverde – letture e letterature per ragazzi. Lavora come autore per Zanichelli Editore, con cui ha pubblicato varie antologie per la scuola media, e con Sanoma Italia. Con San Paolo ha pubblicato “La rosa bianca di Sophie” (2020, selezione “White Ravens” 2021) e “Berlino 1936, La storia di Luz Long e Jesse Owens” (2023).

(aise/dip 11)

 

 

 

 

Le recenti puntate di Cosmo italiano, x Radio Colonia

 

15.03.2024 I guai del calcio tedesco e italiano alla vigilia degli Europei

Ha preso il via a Francoforte il processo per evasione fiscale a carico di tre ex funzionari della Federcalcio tedesca. Un procedimento che potrebbe far luce anche sull'assegnazione dei Mondiali del 2006 proprio alla Germania. Agnese Franceschini ci spiega i dettagli della vicenda. Con il giornalista sportivo Riccardo Cucchi parliamo, invece, dei nuovi scandali nel calcio italiano, ma facciamo anche il punto della situazione su previsioni e aspettative per gli Europei di calcio che inizieranno tra meno di tre mesi proprio qui, in Germania.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/processo-calcio-tedesco-italiano-vigilia-europei-100.html

 

14.03.2024 Speciale: Stefano Cassetti, attore di film e serie tv

La passione di Stefano Cassetti era il design, ma poi un casting fatto per caso e per curiosità lo hanno trasformato nell’attore dagli occhi di ghiaccio che tutti conosciamo e che lo rendono il cattivo perfetto o per lo meno il tragico outsider, come nel film "Der Fall Collini", ma non solo. Vive e lavora tra Parigi, Berlino e l’Italia e recita in più lingue per cinema, tv e per le principali piattaforme di streaming. Ripercorriamo la sua storia con Agnese Franceschini, e parliamo con lui della sua vita di attore tra tre paesi e dei ruoli che interpreta.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/stefano-cassetti-attore-collini-anthracite-berlino-francia-100.html

 

13.03.2024 Tutti i guai di Tesla in Germania.La Gigafactory di Tesla in Germania incontra difficoltà e polemiche a non finire. Migliaia di nuovi posti di lavoro non bastano per convincere cittadini e ambientalisti ad accettare l’ampliamento della fabbrica. E un attentato terroristico ha alzato i toni della polemica, diffondendo paura e insicurezza. Ma Elon Musk promette: “Nessuno ci fermerà!”

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/tesla-attentato-auto-elettriche-germania-ambientalisti-100.html

 

12.03.2024 L'AfD vuole eliminare i corsi di lingua e cultura d’origine

Alternative für Deutschland della Renania Palatinato ha proposto la cancellazione dei corsi di lingua e cultura finora offerti ai bambini delle diverse comunità straniere in Germania. Per AfD questi corsi sarebbero costosi e controproduttivi per l'integrazione dei piccoli stranieri. Di come funzionino questi corsi, quali obiettivi abbiano e di quanto siano diffusi in Germania ne parliamo con la collega Agnese Franceschini. Mentre l'insegnante Marisa Varriale di Düsseldorf ci racconta la sua esperienza e il politico SPD, Manuel Liguori, spiega perché la proposta di AfD sia “semplicemente assurda”.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/corsi-madrelingua-origine-renania-palatinato-nordreno-vestfalia-100.html

 

11.03.2024 Lo scandalo delle intercettazioni militari in Germania

È polemica dopo la diffusione da parte russa della intercettazione di un colloquio tra alti ufficiali dell’esercito tedesco sul sostegno militare all’Ucraina, ce ne parla Agnese Franceschini. Sul confronto NATO-Russia abbiamo sentito Francesca Giovannini, esperta di geopolitica della Harvard Kennedy School.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/intercettazioni-militari-tedeschi-ucraina-russia-scholz-100.html

 

08.03.2024 Parlando di femminismo, e tanto altro, con Paola Cortellesi

La regista e attrice Paola Cortellesi sta presentando in Germania il suo film "C'è ancora domani" che in Italia ha riscosso un enorme successo di critica e di pubblico. Il film, ambientato nella Roma del 1946, parla di temi attualissimi, come la violenza di genere, il patriarcato e la lotta per l'emancipazione femminile. Francesco Marzano ha intervistato per noi Paola Cortellesi. Ma nella Giornata Internazionale della donna facciamo anche il punto sulla condizione femminile nel mondo del lavoro tedesco: numeri e dati raccolti da Cristina Giordano.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/femminismo-film-paola-cortellesi-germania-100.html

 

07.03.2024 La Calabria vista da lontano, e da chi torna

Terra di emigrazione e immigrazione, e meta turistica che a fatica si fa conoscere in Germania: oggi parliamo di Calabria con il cantautore Peppe Voltarelli, che sta presentando in Germania il suo ultimo album e che da decenni esplora e canta il mondo in musica all'insegna delle contaminazioni. Spesso in dialetto, con uno sguardo alle sue radici. L'astrofisica Sandra Savaglio, invece, è tornata a lavorare in Calabria dopo anni in Germania e negli Stati Uniti: qual è il suo bilancio oggi?

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/emigrazione-calabria-voltarelli-savaglio-100.html

 

06.03.2024 L'odio in rete minaccia la democrazia? Una minoranza che nei social media alza la voce, insulta e discrimina può spingere molte categorie a ritirarsi nel silenzio e distorcere così il dibattito pubblico: lo sottolinea uno studio presentato di recente in Germania sull'odio in rete. Ce ne parla Enzo Savignano. Il dibattito nel mondo digitale è strettamente collegato a quello reale, sottolinea anche la ministra della famiglia Lisa Paus (Grüne). E preoccupa il successo del partito di estrema destra e populista AfD su TikTok.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/odio-online-germania-100.html

 

05.03.2024 La lunga latitanza dell'ex RAF Klette e i rapporti con l'Italia

Ha suscitato enorme scalpore la cattura di Daniela Klette, l'ex terrorista della RAF ricercata da oltre 30 anni. Mentre prosegue la caccia ai suoi complici, in questo podcast proviamo a ricostruire la carriera criminale di Klette e la sua latitanza con l'aiuto di Cristina Giordano. Mentre con il giornalista e storico Giovanni Fasanella parliamo degli stretti rapporti intercorsi tra RAF e Brigate rosse e ci chiediamo su che aiuti possano contare gli ex terroristi in clandestinità.

https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/arresto-daniela-klette-raf-brigate-rosse-terrorismo-100.html

 

04.03.2024 La Germania legalizza la cannabis. A partire dal primo aprile dovrebbero entrare in vigore una serie di misure che depenalizzano il consumo e la coltivazione della cannabis sul suolo tedesco, tutti i dettagli da Cristina Giordano. Per alcuni esponenti delle forze di polizia però, si tratta di una riforma che non aiuta a combattere il mercato nero. L'intervista a Steffen Geyer della federazione che riunisce i CSC (Cannabis Social Club) che saranno tra i primi a chiedere il permesso di coltivare la cannabis a norma di legge.

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L’ambasciatore Varricchio alla Fiera del Libro di Lipsia

 

LIPSIA - Nella giornata di ieri, 21 marzo, l’ambasciatore d’Italia in Germania, Armando Varricchio, ha visitato la Fiera del Libro di Lipsia, che si svolge sino a domenica, 24 marzo. Si tratta del primo grande appuntamento editoriale dell’anno in Germania, che riunisce lettori, autori, editori e media.

L’Italia è presente alla Fiera con uno stand e con un programma denso di appuntamenti, proposto e curato dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino in collaborazione con il Centro interdisciplinare di Cultura italiana (CiCi) e l’Associazione Italiana Editori (AIE). Il programma fa parte di “Destinazione Francoforte”, il percorso di attività legate alla partecipazione dell’Italia come Ospite d’Onore alla Fiera del Libro di Francoforte 2024 il prossimo ottobre.

L’ambasciatore Varricchio ha visitato lo stand italiano, allestito con le novità editoriali in italiano e in traduzione tedesca, e ha partecipato a due eventi curati dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino: l’incontro con l’autrice Jana Karšaiová, che ha presentato il suo romanzo d’esordio “Divorzio di velluto” con la moderazione della giornalista Anna Vollmer e l’incontro, moderato dalla giornalista e scrittrice Maike Albath, con il Premio Strega Domenico Starnone, che ha condiviso la sua vita da autore e lettore appassionato. Identità, radici, legami e lingua italiana al centro delle interessanti conversazioni.

Durante la Fiera sarà inoltre reso omaggio ad autori ed opere italiane del Novecento: La pelle di Curzio Malaparte, con Frank Heibert, traduttore della nuova versione in uscita sul mercato tedesco, in dialogo con Maike Albath e il romanzo La Storia di Elsa Morante, di cui ne ha parlato la scrittrice Nadia Terranova, come anche del recente adattamento televisivo della co-sceneggiatrice Ilaria Macchia. Infine, dedicata al mondo dei fumetti la Comic Night, alla quale parteciperanno Paolo Bacilieri, Sergio Ponchione, Federico Cacciapaglia, moderati da Andreas Platthaus, critico letterario della “Frankfurter Allgemeine Zeitung”.

A Lipsia l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino presenta infine Newitalianbooks, il sito creato nel 2020 per promuovere la lingua, la cultura e le pubblicazioni italiane nel mondo e ora disponibile anche nell’edizione in lingua tedesca grazie al finanziamento del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. (aise/dip 22.3.)

 

 

 

Visita a Memmingen del Console in Baviera dr. Maffettone

 

Memmingen. Il 15 Marzo scorso il Console Generale d’Italia in Baviera, Dr. Sergio Maffettone si è recato in visita ufficiale a Memmingen.

Al suo arrivo il Cav. Maffettone è stato accolto nel piazzale antistante il Municipio dal locale Corrispondente Consolare, Comm. Antonino Tortorici  – promotore dell’incontro – e da alcuni connazionali, invitati per l'occasione, che gli sono stati subito presentati. Quindi il Gruppo è stato ricevuto dal Primo Borgomastro della città, Jan Rothenbacher.

Particolarmente cordiale il clima dell'incontro. Dopo i saluti e le presentazioni dei convenuti, il Primo Borgomastro ha ricordato i legami di amicizia che legano i nostri due Paesi. Relazioni cementate da decenni di presenza italiana in Germania, in Baviera in particolare. Parlando anche delle iniziative della città in favore di una ragionevole integrazione tra le varie culture presenti e citando a mo' di esempio la particolare  laboriosità dei concittadini italiani, tra cui spicca quella del Comm. Tortorici, attuale Presidente Onorario nel Consiglio Consultivo degli Stranieri, per anni da lui presieduto, e impegnato inoltre  nell'Associazione Culturale Italo-tedesca, nel Patronato INAS e in altre attività, come quella svolta nel Comitato del Gemellaggio di Memmingen con Teramo.

Prendendo spunto degli elogi espressi verso i nostri connazionali dal Primo Borgomastro, il Console Generale ha parlato in particolare dell’attenzione dell’Amministrazione Consolare – e sua in particolare – nei confronti degli Italiani presenti in Germania e della sua soddisfazione per ciò che molti di essi hanno ottenuto con il loro onesto lavoro, a fianco a fianco dei loro amici tedeschi. A questo proposito ha citato anche lui Tortorici, che, oltre a esercitare la funzione di Corrispondente Consolare per Memmingen e dintorni – come già detto da Rothenbacher – svolge altri incarichi, a titolo onorifico, pur essendo da anni in pensione. Meffettone non ha dimenticato, inoltre, di esprimere il suo compiacimento nel constatare di persona le condizioni di serena convivenza tra la popolazione locale e quella che, nel frattempo – di fatto – lo è diventata e ha lodato oltre a ciò le misure promosse dall’Amministrazione Comunale della città, atte a favorire, tra l’altro, il regolare svolgimento delle lezioni di lingua e cultura italiana a Memmingen. Non dimenticando di formulare i suoi più sentiti ringraziamenti per il fattivo apporto dell'Amministrazione per l'istituzione di due seggi elettorali italiani, per favorire il voto dei connazionali in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo del prossimo giugno.

 

Subito dopo il Console Generale ha apposto la firma  nel Libro d’Oro della città, seguito dal Primo Borgomastro e da alcuni dei presenti, Quindi  hanno avuto luogo  un brindisi augurale – di cui si è occupata l'Assistente, Signora Sandra Manz – e uno scambio di  omaggi e vicendevoli inviti.  

Dopo di ciò il gruppo, formato dal Console Generale, dal Corrispondente Tortorici e dagli altri invitati, si è accomiatato dal Primo Borgomastro, non dimenticando di posare subito dopo per una foto ricordo davanti al palazzo comunale.

 

Successivamente il gruppo, tra cui: la Signora Alexandra Hartge, Responsabile dell'Europa Büro; la Dr.ssa Erica Rustia, Assistente del Console Generale; l'Insegnante del Corso di Italiano, Maria Pappalardo; il Signor Francesco Abate (Incaricato per AG Migration); il Signor Cosimo Lazzoi, Collaboratore dei Tortorici; il Signor Vincenzo Lo Medico e il Signor Mathias Fendrich, ha intrapreso un breve giro nella bellissima zona pedonale della città. Tra i presenti inoltre: giunto appositamente da Kempten, il Dr.  Fernando A. Grasso, Corrispondente Consolare per Kempten e dintorni, nonché Vicepresidente delle ACLI Baviera e Membro della Presidenza delle ACLI Germania.

Alla fine della passeggiata, piacevolmente interrotta nella nota gelateria Mister Eis di Michele Valentini, che ha omaggiato il gruppo con ottimi espressi – che più espresso non si può – il Comm. Tortorici ha condotto il Ministro e gli invitati negli ambienti messi a disposizione del Consiglio degli Stranieri, sede anche del suo ufficio di Corrispondente Consolare. E qui il gruppo – dopo la firma da parte del Console Generale, da parte dei Corrispondenti Tortorici e Grasso e degli altri presenti nell'albo dell'ufficio consolare – si intrattenuto per qualche tempo, effettuando anche una telecomunicazione con la sede consolare di Monaco, allo scopo di rispondere ad alcune domande d'ordine tecnico amministrativo sorte nel gruppo.

Verso le 13:00, infine, prima di accomiatarsi da Tortorici, da Grasso e dal gruppo il Dr. Maffettone non ha mancato di dichiararsi piacevolmente sorpreso dalla sistemazione dell’ufficio di Tortorici, una degna Rappresentanza dell’Amministrazione Consolare, ha tenuto a commentare.

Fernando Grasso, dip

 

 

 

Berlino. In Ambasciata una serata in onore di Giacomo Puccini

 

Berlino- L’Ambasciata italiana a Berlino ha ospitato la scorsa settimana una serata dedicata a Giacomo Puccini nell’ambito delle celebrazioni per il 100° anniversario della sua morte. L’evento si inserisce nella serie di manifestazioni ufficiali promosse dal Comitato nazionale per le celebrazioni pucciniane, ente fondato nel 2022 e presieduto dal direttore d’orchestra Alberto Veronesi. Proprio in questa occasione, il prossimo 31 marzo la Stagione dei Concerti Popolari della Filarmonica di Berlino dedicherà a Puccini il tradizionale Concerto di Pasqua nella Grande Sala della storica Filarmonica.

Dopo il saluto dell’Ambasciatore Armando Varricchio sono intervenuti Mario Pardini, Sindaco di Lucca e Presidente della Fondazione Giacomo Puccini, il Maestro Riccardo Cecchetti, Direttore artistico del Festival Virtuoso & Belcanto, il Maestro Alberto Veronesi del Comitato nazionale pucciniano e Helen Müller, Responsabile degli affari culturali della multinazionale tedesca Bertelsmann. Müller nel suo discorso ha presentato per la prima volta la mostra “Opera Meets New Media”, curata da Archivio Ricordi.

A seguire, si è tenuto un concerto in omaggio a Puccini a cura del Festival Virtuoso & Belcanto di Lucca: si sono esibite Anna Cimmarusti e Rosa Vingiani, con l’accompagnamento al pianoforte del Maestro Cecchetti e la voce narrante di Debora Pioli. Altre protagoniste della serata sono state le terre del compositore, in una mostra di pannelli curati dalla Camera di Commercio Toscana Nord Ovest.

“Giacomo Puccini fu un grande compositore profondamente influenzato dalla sua terra, che plasmò il suo carattere e lasciò una traccia indelebile nella sua formazione contribuendo a farne un personaggio influente nel panorama musicale e culturale del suo tempo”, ha evidenziato l’Ambasciatore Varricchio nel suo discorso di apertura. “Oggi celebriamo una personalità che s’identifica nel mondo con la cultura italiana, con la sua capacità di innovare e al tempo stesso di mantenere uno stretto rapporto con le proprie radici. Questa bella occasione cade in un anno davvero speciale, che ha visto l’Italia protagonista durante la Berlinale come country in focus dello European Film Market e che proseguirà alla Fiera del libro di Francoforte 2024, alla quale saremo Paese Ospite d’Onore. È un anno di grandi appuntamenti per l’Italia in Germania: la musica di Giacomo Puccini ne costituisce una colonna sonora unica”. (aise/dip 19.3.)

 

 

 

A Monaco di Baviera il 26-28 aprile la sesta edizione de ILfest - Italienisches Literaturfestival

 

Dal 26 al 28 aprile 2024 si terrà la sesta edizione de ILfest - Italienisches Literaturfestival München, unico festival dedicato alla letteratura italiana in Germania. Il festival è organizzato da Elisabetta Cavani di ItalLIBRI e dall’Istituto Italiano di Cultura diretto da Giulia Sagliardi, con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia di Monaco di Baviera e con il sostegno dell'Assessorato alla cultura della città di Monaco.

ILfest - Italienisches Literaturfestival München si terrà al Neuhauser Trafo, Nymphenburger Str.171 a, 80634 München, direttamente alla U-Bahn1 Rotkreuzplatz.

Programma 2024 - ‚L’umanità è un tirocinio‘

Il tema di quest’anno è ispirato da una frase di Domenico Starnone, che nel suo ultimo libro scrive: “Umani si diventa, l’umanità è un tirocinio di esito incerto. E al tirocinio contribuisce non poco la letteratura con le sue oscillazioni tra

commento e sgomento”. *

Vivere è un continuo processo di definizione, di noi stessi e dell’altro da noi. Indagare il nostro essere umani significa riflettere sulle relazioni tra noi e gli altri – partner, genitori, figli, società, anche la natura. È nel confronto con le

diversità altrui che scopriamo e rafforziamo la nostra individualità e impariamo a convivere con i nostri lati oscuri e riconoscendoli negli altri. La letteratura ci permette di entrare nella vita degli altri, di superare la separazione dall’altro

per rispondere alla domanda: Chi sono io? Chi sono gli altri? Chi è l’Altro?

La risposta dipende spesso da ciò che sperimentiamo nell’infanzia. L’amore può per eccesso trasformarsi nel suo opposto, chiudendoci in relazioni claustrofobiche che ci tolgono spazio, e sfociare in rifiuto, odio e perfino violenza, come purtroppo vediamo troppo spesso.

La qualità delle nostre relazioni in famiglia fa di noi adulti più indipendenti ed aperti o più paurosi e chiusi. Che tipo di linguaggio usiamo o non usiamo trasmette il nostro modo di essere umani. Tutto ciò si riflette nel rapporto che la

società ha verso gli altri, il diverso, l’estraneo.

La lingua ha il potere di creare realtà, la letteratura è lo strumento sia per capire il proprio mondo che per conoscere l’Altro da noi. E in questo risiede il fascino che la parola scritta esercita, sullo scrittore non meno che sul lettore.

(*Domenico Starnone, L’umanità è un tirocinio, Einaudi 2023)

Oltre a Domenico Starnone, saranno con noi a discuterne Laura Pigozzi, psicoterapeuta autrice di Amori tossici, Troppa famiglia fa male, Adolescenza zero, Maddalena Vaglio Tanet il cui romanzo Tornare dal bosco (Marsilio/ dt.

Suhrkamp in autunno) è stato candidato al Premio Strega 2023, Gaia Manzini autrice di Nessuna parola dice di noi (Bompiani) / Für uns gibt es keine Worte (nonsoloverlag 2024), Nicolò Moscatelli che con I calcagnanti (La nave di

Teseo) ha vinto il Premio Italo Calvino 2022, Carlo Lucarelli e Harald Gilbers, autori di gialli e sceneggiature.

Un incontro sarà dedicato a tre grandi scrittrici italiane del ‘900, Alba de Cespedes, Sibilla Aleramo e Elsa Morante: con Maja Pflug, traduttrice, Julia Eisele, editrice e Silvia Di Natale, scrittrice, approfondiremo i motivi per cui le loro opere negli ultimi anni sono oggetto di riscoperta in Italia e ritraduzione in tedesco.

Con il linguista Giuseppe Antonelli si parlerà invece degli sviluppi dell’italiano digitale e dell’intelligenza artificiale, così come con alcuni dei traduttori e traduttrici letterari dall’italiano, sulle conseguenze di ciò sul lavoro di chi traduce.

La Stadtbibliothek Neuhausen contribuisce al programma con una lettura in italiano per bambini.

Gli eventi sono in italiano con traduzione in tedesco.

Il programma in dettaglio è sul sito del festival www.ilfest.de.

I biglietti sono in vendita online su www.ilfest.de, al Neuhauser Trafo alla cassa nei giorni del festival: Evento singolo € 10,-, studenti € 8,- solo alla cassa del festival Biglietto giornaliero sabato, domenica 34,- €

Sponsor del festival sono Air Dolomiti, CircoloCentoFiori, Lions Club München Mediterraneo, Münchner Stadtbibliothek Neuhausen, Studio italiano. Media Partner Zeitsprachen ADESSO. IlFest/dip 22.3.

 

 

 

Consolato di Francoforte: alcune iniziative di aprile

 

Il 12 aprile a Darmstadt è stata aperta presso la Universitäts– und Landesbibliotek TU Darmstadt (Magdalenenstraße 8 – 64289 Darmstadt) la mostra dal titolo “Algoritmic you – Density Design”. La mostra rimarrà aperta fino al 24 giugno 2024 e prevede nel corso dei prossimi mesi, oltre all’esposizione, una serie di performance degli artisti.  Un’iniziativa inserita nel programma delle manifestazioni realizzate per la Giornata del Made in Italy 2024.

Sono opere pensate e realizzate da giovani studentesse e studenti  del Politecnico di Milano , dipartimento di Design della comunicazione, i quali hanno raccolto  ed analizzato momenti della loro vita presenti come dati digitali su piattaforme o social media, esplorando successivamente il rapporto tra tecnologia , ricordi personali e i dati che li registrano e progettando ‘infopoesie’ ovverosia una nuova narrazione dei dati raccolti attraverso processi creativi che li rendono artisticamente comprensibili e tangibili.

Si tratta di una rappresentazione visiva delle informazioni digitali che sono stati poi tradotti in prodotti quali: poster stampati, libri, siti web interattivi, video e installazioni fisiche e performance.

Le domande che si pongono questi giovani artisti sono: osservando e analizzando i nostri dati, cosa possiamo capire del nostro rapporto con le piattaforme digitali e gli algoritmi che le controllano? Ci si può riappropriare di queste informazioni ripensandole artisticamente?

Ulteriori appuntamenti ed informazioni in lingua tedesca legati alla mostra li trovate in questa pagina: https://kultur-digitalstadt.de/projekte/profile/die-poesie-der-daten/algorithmicyou/

In collaborazione con: Darmstadt Kultur einer Digital Stadt e.V ed il Politecnico di Milano – Dip di Design (PoliMI). Con la collaborazione ed il Patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Francoforte.

 

Il 15 aprile a Bad Soden, presso il cinema Casablanca, è stato proiettato il secondo film -  in originale, con sottotitoli in italiani -  del ciclo dedicato a Marcello Mastroianni, per il centenario della nascita, del regista Alessandro Blasetti “Peccato che sia una canaglia“ (1954)  in cui la non ancora conosciuta ed affermata coppia Mastroianni-Sofia Loren (agli inizi delle rispettive carriere) - affiancati e sostenuti dalla presenza da un divo del cinema italiano degli anni ’50, Vittorio De Sica -   si incontrano per la prima volta sullo schermo e si cimentano in una commedia  di caratteri e da un ritmo agile e coinvolgente.

È la storia di un tassista romano che si innamora di una bella ragazza, figlia di un ladro e ladruncola pure lei in cui lui cerca di redimerla, ma invero lei gli farà fare una serie di brutte figure prima che l’agognato e tormentato lieto fine si compia.

 

 #MetteteinAgenda: venerdì 26 aprile, alle ore 19:00, presso la Deutsch - Italienische Vereinigung di Francoforte (Arndtstr.12/FFM),  ha luogo il secondo incontro di “Voci italiane a….” interverrà il filosofo Pietro del Solda con il suo spettacolo dal titolo:  “Le parole della filosofia”.

Una lettura scenica in lingua italiana in cui verranno proposte 5 voci filosofiche rilette, rivisitate e collegate a vari temi di attualità ed accompagnate da intermezzi musicali scelti ed eseguiti dalla pianista Marta Cametti. Per partecipare si prega di inviare una mail a: francoforte.culturale@esteri.it. Un’iniziativa ad ingresso libero organizzata in collaborazione con la DIV di Francoforte.

Maggiori informazioni sui prossimi eventi li trovate qui: https://consfrancoforte.esteri.it/it/italia-e-germania/diplomazia-culturale/i-nostri-eventi-culturali/  De.it.press

 

 

 

 

Italia Altrove: compie 10 anni l’associazione a Düsseldorf

 

Düsseldorf. Compie 10 anni l’associazione Italia Altrove a Düsseldorf che festeggerà questo importante traguardo il prossimo 26 aprile, dalle 19:00 alle 23:00, al Palais Wittgenstein (Bilker Str. 7-9, Düsseldorf, 40213).

Aprirà la serata un momento particolarmente significativo: una lettura con accompagnamento musicale di alcuni brani tratti dal romanzo “Vivere altrove” di Marisa Fenoglio (ultima edizione Rubbettino, 2019), interpretata dalla voce di Elena Zegna, attrice teatrale e amica di Marisa, accompagnata da Ubaldo Rosso al flauto traverso e Andrea Vigna-Taglianti al pianoforte.

A un decennio dalla fondazione, l’evento del 26 aprile, sottolinea l’associazione, vuole essere “un omaggio a Marisa Fenoglio, madrina onoraria di Italia Altrove, purtroppo scomparsa nel novembre del 2021: donna tenace, gentile e colta nonché scrittrice dallo stile elegante, ironico, realista e profondo, che con il suo romanzo ha ispirato il nome dell’associazione”.

Seguirà un momento conviviale, tanta bella musica e, ovviamente, una torta di compleanno.

Alla realizzazione dell’evento hanno contribuito GI Group, come sponsor principale, il Consolato Generale di Colonia, la Stadtsparkasse Düsseldorf e Marcegaglia. L’evento è patrocinato dalla VDIG, (Vereinigung Deutsch-Italienischer Gesellschaften). I diritti di “Vivere altrove” sono gentilmente concessi dalla casa editrice Rubbettino Editore.

Per partecipare all’incontro – a ingresso gratuito – è necessario prenotarsi qui. https://italia-altrove.org/duesseldorf/eventi/italia-altrove-festeggia-i-suoi-10-anni/  aise/dip

 

 

 

“Lingua Madre”, il 16 aprile all’Istituto di Cultura di Amburgo l’incontro letterario italo-tedesco

 

Aamburgo – L’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo organizza per il 16 aprile alle ore 19 un incontro letterario italo-tedesco sul libro “Lingua Madre” (Italo Svevo, 2021) di Maddalena Fingerle, tradotto in tedesco nel 2022 dalla Casa editrice Folio Verlag con il titolo “Muttersprache”. L’evento, che si terrà presso la sede dell’IIC Amburgo, rientra nel ciclo mensile del “Caffè Letterario”: l’incontro verterà questa volta sul libro di Maddalena Fingerle “Lingua Madre”. La partecipazione è gratuita, ma è richiesta la registrazione tramite il seguente link https://caffeletterario_april24.eventbrite.de/. Nel libro di Maddalena Fingerle il protagonista, Paolo Prescher, odia le “parole sporche”, quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile. Si consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere e, attraverso uno stile fulmineo e raffinato, rivela il senso più profondo del linguaggio. Il prossimo incontro del “Caffè letterario” si svolgerà martedì 28 maggio 2024 alle ore 19. Il libro che verrà discusso sarà scelto durante l’incontro di aprile e verrà comunicato tempestivamente tramite il sito, la newsletter e i canali sociali dell’Istituto. Gli incontri del “Caffè Letterario” sono dedicati agli appassionati di letteratura italiana e si tengono in italiano e tedesco – generalmente una volta al mese – e danno la possibilità a chi legge volentieri libri italiani di incontrarsi per discutere su un libro letto a casa e scelto durante il precedente incontro, scambiarsi opinioni, cercare nuove ispirazioni, decidendo insieme i prossimi libri da leggere e discutere. Se siete quindi amanti dei libri e alla ricerca di una nuova ispirazione oppure avete scoperto qualcosa che vi interesserebbe leggere e volete parlarne insieme, allora non fatevi sfuggire le occasioni degli incontri presso l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo. Maddalena Fingerle è nata a Bolzano nel 1993. Ha studiato Italianistica e Germanistica presso la Ludwig-Maximilian-Universität di Monaco di Baviera, dove si è laureata con il tema “La vigilanza e l’allegoria” in Torquato Tasso e Giovan Battista Marino. Attualmente lavora come assistente di ricerca presso il Centro di ricerca collaborativo “Vigilance Cultures” diretto da Florian Mehltretter.  “Muttersprache” è il suo primo romanzo. Per il manoscritto del romanzo “Lingua madre”, pubblicato nel 2020 ha ricevuto il prestigioso Premio Italo Calvino per il miglior esordio inedito in Italia. Dopo la pubblicazione ha ottenuto ulteriori riconoscimenti, come il Premio Giovanni Comisso under 35, il Premio Flaiano under 35, il Premio Città di Girifalco, il Premio Fondazione Megamark, il Premio POP e la menzione speciale della Giuria all’OrbetelloBookPrize. “Muttersprache” è stato tradotto dall’italiano al tedesco da Maria E. Brunner. (Inform/dip 4)

 

 

 

Spettacolo di artisti trentini a Kempten

 

Kempten. Molto divertente e variegato lo spettacolo offerto da  alcuni artisti trentini,  invitati a Kempten  dalla Presidente del Circolo dell'Amicizia delle città gemellate con la nostra città, Signora Petra Le Méledo-Heinzelmann (incaricata per il Gemellaggio con Quiberon); che è stata coadiuvata attivamente dall'incaricata per il Gemellaggio  con Trento, Signora M. Haase e dagli altri Membri della Presidenza:  Signor P. Würzle (incaricato per Bad-Dürkheim), Signora Michna-Aardeck (incaricata per Sligo), e – non da ultimo –  dal Signor L.  Fischer, incaricato per il Gemellaggio con Sopron.

Il simpatico varietà si è svolto nella Casa Internazionale venerdì, 15 marzo scorso; e ha avuto inizio - come da programma - alle 19:00, subito dopo un breve saluto di benvenuto al numeroso pubblico da parte della Signora Le Méledo-Heinzelmann, che ne ha approfittato per presentare il Circolo e le sue recenti attività.

Ha aperto lo spettacolo con la sua fisarmonica Marco Tabilio con brani italiani e melodie klezmer. È stata poi la volta del giocoliere Enrico Menotti, che ha incantato il pubblico con le sue numerose performance; e così pure il Mago Federico Zanin, che ha coinvolto alcuni dei presenti nei suoi numerosi giochi di destrezza. Le esibizioni sono state interrotte da altri momenti musicali e da  alcune brevi presentazioni da parte di altri membri della Presidenza del Circolo e da una pausa, che ha dato la possibilità agli intervenuti di venire a diretto contatto con gli artisti, di incontrarsi con conoscenti, soci e non e di fare nuove conoscenze.

Tra i presenti, e qui ci scusiamo con le persone che non verranno nominate non conoscendo la stragrande maggioranza degli intervenuti  e non essendo stata presa nota durante lo spettacolo: alcuni Consiglieri Comunali e Membri dell'Amministrazione, tra cui la Signora G. Flaig, per tanti anni incaricata per i Gemellaggi, l'attuale incaricato per i Gemellaggi, inoltre: la Dr.ssa Rosanna Meo, seduta in prima fila accanto al Dr. Fernando A. Grasso, anche lui Socio del Circolo, e che – addirittura – è stato coinvolto personalmente dal Mago trentino durante una delle sue esibizioni.

Fernando A. Grasso, Corrispondente Consolare (de.it.press 22.3.)

 

 

 

Istituto Italiano di Cultura di Amburgo: Giornate del Cinema Europeo 2024

 

Amburgo – Da lunedì 8 aprile a lunedì 6 maggio si svolgeranno ad Amburgo le Giornate del Cinema Europeo, una rassegna cinematografica organizzata dall’Associazione EUNIC Amburgo, in collaborazione con il cinema 3001 di Amburgo e Creative Europe MEDIA Hamburg (Regione Nord https://creative-europe-desk.de/service/hamburg-region-nord). Ogni lunedì dall’8 aprile al 6 maggio 2024 alle ore 19:00 presso la Sala cinematografica 3001-Kino di Amburgo verrà proiettato un film di un regista europeo. La proiezione si terrà in lingua originale con sottotitoli in inglese. Il costo del biglietto è di 11.00 €, scontato 8,00€. I soci dell’Istituto possono acquistare il biglietto ridotto, mostrando una tessera socio valida. Le informazioni su come acquistare i biglietti sono ricavabili sul sito web del cinema 3001-kino.de

EUNIC Hamburg è l’associazione degli istituti culturali europei che hanno sede nella città anseatica e cioè l’Instituto Cervantes, l’Istituto Italiano di Cultura, l’Institut français, l’Instituto Camões dell’Università di Amburgo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Istituto di Studi Romanzi e il Goethe-Institut. Insieme questi Istituti organizzano da anni alcuni progetti culturali dallo sguardo internazionale come ad esempio le Giornate del Cinema Europeo in collaborazione con il Cinema 3001 di Amburgo e Creative Europe MEDIA. Alcuni dei film proposti sono opere prime o film che non vengono presentati sul mercato internazionale a causa del formato, del genere cinematografico o di altri fattori.

Il programma del festival di quest’anno:

Lunedì 8 aprile, ore 19.00, Creative Europe MEDIA presenta “Solitude” di Ninna Pálmadóttir del 2023. La storia di un anziano contadino che si trasferisce per la prima volta in città e incontra un giovane fattorino, che consegna giornali a domicilio.

Lunedì 15 aprile, ore 19.00, l’Instituto Cervantes presenta “Secaderos” di Rocío Mesa del 2022. Una piccola città di campagna è il mondo dei sogni di una ragazza di città e la prigione di una ragazza del posto. Due vite parallele che si svolgono tra i capannoni per l’essiccazione del tabacco durante un’estate piena di magia e realismo.

Lunedì 22 aprile, ore 19.00, l’Institut français presenta: “La Grande Magie” di Noémie Lvovsky del 2022, un libero adattamento della commedia italiana La grande magia di Eduardo De Filippo. Nella Francia degli anni Venti, uno spettacolo di magia intrattiene gli ospiti oziosi di un hotel sul mare. Marta (Judith Chemla), una giovane donna disperata con un marito geloso, Charles (Denis Podalydès), accetta l’invito del mago (Sergi López) a un numero di sparizione, in cambio della sua scomparsa a vita. Il marito pretende il suo ritorno, ma il mago gli dice che lei è nella scatola, che non deve aprirla o scomparirà per sempre, e che deve avere fiducia in lei: Charles si sente davvero male…

Lunedì 29 aprile, ore 19.00, l’Istituto Italiano di Cultura presenta: “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli del 2020 sulla figura di Eleonor Marx, la colta e brillante figlia minore di Karl Marx, che è stata in prima linea nel promuovere il socialismo nel Regno Unito, partecipando alle lotte operaie, combattendo per i diritti delle donne e l’abolizione del lavoro minorile. Nel 1883, conosce Edward Aveling, talentuoso commediografo ma anche un uomo egoista e scialacquatore. Mentre è intento a indebitarsi e a consumare vilmente l’eredità lasciata a Eleanor da Friedrich Engels, Edward non si rende conto di consumare anche l’intera esistenza della devota compagna, la quale, pur consapevole di consumare vivendo quella stessa “oppressione morale” imposta dalla società dell’epoca e da lei condannata, non è in grado di riscattare la propria felicità, e, alla fine, neppure la propria vita. Nel 1898 infatti, dopo aver scoperto che l’ormai malato in stadio terminale Edward Aveling aveva sposato segretamente una giovane attrice con cui si era impegnato sentimentalmente, persa ogni energia ed ormai dipendente da oppio Eleonor si toglie la vita.

Lunedì 6 maggio, ore 19.00, l’Instituto Camões presenta: “Alma Viva” di Cristèle Alves Meira, lungometraggio del 2023.

Nella regione di Trás-os-Montes, nell’estremo nord-est del Portogallo, la gente crede nei miti e negli spiriti. Alma Viva racconta della piccola Salomé, perseguitata dallo spirito della nonna defunta. (Inform/dip 4)

 

 

 

Berlino: l’ex vice cancelliere Fischer in Ambasciata per parlare di Europa

 

Berlino - In occasione della Conferenza “Europe 2024”, tenutasi a Berlino dal 19 al 20 marzo, l’Ambasciata d’Italia in Germania ha ospitato un evento organizzato in collaborazione con le testate tedesche Die Zeit, Handelsblatt, Tagesspiegel e WirtschaftsWoche e al quale ha partecipato, fra gli altri, l’ex vice cancelliere e ministro degli Affari Esteri tedesco Joschka Fischer. 

La Conferenza “Europe 2024”, luogo di confronto e dialogo in cui esperti, leader e professionisti di vari settori riflettono sul futuro dell’Europa alla luce delle crisi e delle sfide attuali, si interroga in particolare su come l’Europa possa emergere più forte dalle sfide economiche, ambientali e sociali che si trova a dover fronteggiare.

L’iniziativa in Ambasciata, introdotta dall’ambasciatore Armando Varricchio e da Rainer Esser, amministratore delegato di Die Zeit, ha visto come ospite d’eccezione l’ex vice cancelliere Fischer, intervistato dalla giornalista dello Zeit online Rieke Havertz sul tema “Europe at the crossroad: developing a security architecture for a new geopolitical framework”.

La serata ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti istituzionali, esponenti dei media, di imprese tedesche e multinazionali, di associazioni ed enti di ricerca.

Nel suo indirizzo di saluto, l’ambasciatore Armando Varricchio ha sottolineato l’importanza della cooperazione tra Italia e Germania con l’obiettivo di un’Europa sempre più forte e unita. “L’Europa deve aumentare la sua ambizione. Una sfida che sarà ampiamente affrontata dalla Presidenza italiana del G7 quest’anno, già avviata qui in Germania il mese scorso con la prima riunione dei Ministri degli Esteri a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco”, ha detto Varricchio, che non ha mancato di sottolineare l’importanza delle elezioni europee di quest’anno, “un’occasione per ribadire i valori fondamentali della pace, della democrazia e dello stato di diritto”. (aise/dip 21.3.)

 

 

 

L’Ambasciatore Varricchio alla Fiera del Libro di Lipsia

 

Berlino – L’Ambasciatore d’Italia in Germania Armando Varricchio ha visitato la Fiera del Libro di Lipsia, svoltasi dal 21 al 24 marzo. Si tratta del primo grande appuntamento editoriale dell’anno in Germania, che riunisce lettori, autori, editori e media.

L’Italia ha partecipato alla Fiera con uno stand e con un programma denso di appuntamenti, proposto e curato dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino in collaborazione con il Centro interdisciplinare di Cultura italiana (CiCi) e l’Associazione Italiana Editori (AIE). Un programma parte di “Destinazione Francoforte”, il percorso di attività legate alla partecipazione dell’Italia come Ospite d’Onore alla Fiera del Libro di Francoforte 2024 il prossimo ottobre. L’Ambasciatore Varricchio ha visitato lo stand italiano, allestito con le novità editoriali in italiano e in traduzione tedesca, e ha partecipato a due eventi curati dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino: l’incontro con l’autrice Jana Karšaiová, che ha presentato il suo romanzo d’esordio “Divorzio di velluto” con la moderazione della giornalista Anna Vollmer e l’incontro, moderato dalla giornalista e scrittrice Maike Albath, con il Premio Strega Domenico Starnone, che ha condiviso la sua vita da autore e lettore appassionato. Identità, radici, legami e lingua italiana al centro delle interessanti conversazioni. Durante la Fiera, è stato inoltre reso omaggio ad autori ed opere italiane del Novecento: La pelle di Curzio Malaparte, con Frank Heibert, traduttore della nuova versione in uscita sul mercato tedesco, in dialogo con Maike Albath e il romanzo La Storia di Elsa Morante, di cui ha parlato la scrittrice Nadia Terranova, come anche del recente adattamento televisivo della co-sceneggiatrice Ilaria Macchia. Infine, dedicata al mondo dei fumetti la Comic Night, alla quale hanno partecipato Paolo Bacilieri, Sergio Ponchione, Federico Cacciapaglia, moderati da Andreas Platthaus, critico letterario della “Frankfurter Allgemeine Zeitung”.

A Lipsia l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino ha presentato inoltre Newitalianbooks, il sito creato nel 2020 per promuovere la lingua, la cultura e le pubblicazioni italiane nel mondo e ora disponibile anche nell’edizione in lingua tedesca grazie al finanziamento del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. (Inform/dip 25.3.)

 

 

 

Brevi di politica e di cronaca tedesca

 

La Germania discute sulla propria capacità difensiva

Oggi le forze armate tedesche non sarebbero all’altezza di far fronte a un attacco della Russia all’Europa occidentale. I principali partiti democratici concordano sul fatto che, di fronte alle minacce sempre più aggressive del dittatore russo Putin di attaccare la NATO sul suo territorio e di annettere gli Stati baltici, è necessario procedere con la massima urgenza. ma nonostante un fondo speciale di 100 miliardi di euro per il riarmo delle forze armate tedesche (quasi completamente esaurito) continuano a mancare attrezzature, idoneità al combattimento, efficienza delle strutture, munizioni e personale. 

Il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) nell’annunciare la sua riforma ha intenzione di rafforzare la capacità di difesa dei militari con un comando operativo unificato. Inoltre, “le forze armate tedesche verranno riorganizzate sulla base di quattro sezioni facenti capo a un comando di supporto congiunto”, ha dichiarato il politico dell’SPD durante la presentazione della riforma. Oltre all’Esercito, all’Aeronautica e alla Marina, ora nelle quattro sezioni di arma figurerà anche la truppa per lo spazio cibernetico e informatico (CIR), specializzata in combattimento elettronico e operazioni cibernetiche, ricognizione e protezione dell’infrastruttura elettronica. Pistorius ha sottolineato: “La situazione di minaccia in Europa si è aggravata. Ci prepariamo ad affrontare le sfide conseguenti. Ciò significa riformare le nostre forze armate in modo che possano posizionarsi nel migliore dei modi, soprattutto in caso di difesa. Deve essere chiaro a tutti: difendiamo il nostro Paese e i nostri alleati. Nessuno deve avere anche solo l’idea di attaccarci.”

 

Nel novembre 2023, il ministro Pistorius aveva già annunciato “l’idoneità alla guerra come massima di azione”. Un altro grande cantiere in costruzione riguarda la mancanza di personale della Bundeswehr, le forze armate tedesche, per cui ci si sta interrogando se la Germania possa introdurre un obbligo generale di servizio di leva dopo la sospensione del servizio militare obbligatorio. Il governo sta esaminando dei modelli, e per orientarsi sta osservando ciò che è stato fatto nella pratica nei Paesi scandinavi.

Tuttavia, il Cancelliere Scholz rifiuta l’idea di un servizio militare obbligatorio come negli anni precedenti. La campagna di reclutamento delle forze armate tedesche non ha fatto progressi dall’invasione russa dell’Ucraina, al contrario: il numero di soldati tedeschi è sceso a quota 181.500. I partiti di opposizione CDU e CSU hanno espresso forti critiche, dichiarando che il problema della “forza lavoro” nelle forze armate tedesche continua a trascinarsi senza sosta. Nel frattempo, la Germania ha iniziato a trasferire una brigata di combattimento in Lituania per sorvegliare, nell’ambito della NATO, il “Corridoio di Suwalki”, l’asse di collegamento nevralgico che dalla Bielorussia porta all’enclave russa di Kaliningrad. L’Occidente teme che qui nel giro di poco tempo possa verificarsi un conflitto militare con Mosca.

 

Il governo semaforo continua a perdere consenso

Le continue dispute tra i partner della coalizione semaforo, il declino dell’economia tedesca, l’eccesso di spesa pubblica e la creazione di una sempre nuova burocrazia legata alla politica climatica portano tre quarti dei cittadini (78%) a non essere soddisfatti della coalizione semaforo composta da SPD, Liberali e Verdi. La maggior parte dei tedeschi valuta positivamente solo l’operato del ministro della Difesa dell’SPD Boris Pistorius.

Se domenica in Germania si svolgessero le elezioni federali, i Socialdemocratici del Cancelliere Olaf Scholz raggiungerebbero solo il 15%, con un calo di circa il 10% rispetto alle elezioni parlamentari del 2021. La CDU/CSU rimarrebbero i partiti più forti con il 30% delle preferenze. I Verdi sono alla pari con l’SPD, attestandosi quindi al 15%, l’FDP arriverebbe solo al 4% e quindi non sarebbe più rappresentato in Parlamento a causa della clausola di sbarramento al 5%. L’AfD incassa qualche perdita attestandosi al 18%, ma resterebbe comunque il secondo partito più forte. La Sinistra arriverebbe al 3% e quindi, come anche l’associazione comunale dei Freie Wähler “Liberi elettori” (3%), si troverebbe al di sotto della soglia del mandato. Il nuovo partito dell’ex Presidente del partito della Sinistra, Sahra Wagenknecht, si troverebbe al momento al 5%. La CDU e la CSU potrebbero quindi scegliersi il loro partner di coalizione per governare. In termini di mandati, il leader della CDU Friedrich Merz sarebbe presumibilmente il nuovo Cancelliere. 

 

Criminalità in netto aumento in Germania          

Basta uno sguardo alle statistiche sulla criminalità del 2023 per osservare come la migrazione resti un tema che fa il gioco dei populisti di estrema destra. Con circa 215.000 casi, il numero di crimini violenti ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 15 anni. Le cifre del ministero dell’Interno mostrano un forte aumento dei casi soprattutto tra i criminali non tedeschi. A colpire è il numero di giovani criminali stranieri: il dato è aumentato del 31,4%, per un aumento complessivo di 16.674 criminali in questo gruppo. Al confronto, il numero di giovani tedeschi è aumentato solo di un punto percentuale, pari a 1326 persone. Il numero di reati commessi in Germania lo scorso anno è aumentato complessivamente del 5,5%, arrivando a 5,94 milioni.

Nel frattempo, dopo lunghe discussioni, il governo ha concordato una base giuridica comune per la nuova “carta di pagamento per i rifugiati”, pronta a essere introdotta in tutta la Germania, per cui in futuro i richiedenti asilo non riceveranno più denaro contante. Il governo aveva già deliberato la relativa modifica legislativa a marzo su pressione dei Länder. Alcune regioni si sono già portate avanti col lavoro e hanno nel frattempo introdotto la carta di pagamento.

 

Gli automobilisti tedeschi voltano le spalle al motore elettrico

Secondo i piani del governo, approvati sulla scia della “svolta energetica” verde, saranno 15 milioni le auto elettriche in circolazione in Germania entro il 2030. Tuttavia, il numero di auto elettriche di nuova immatricolazione in Germania è in costante calo da mesi. Le ultime statistiche, a marzo dicono che sono state immatricolate solo circa 31.000 nuove auto a batteria. Quasi il 29% in meno rispetto a marzo dell’anno precedente.

Considerando anche il 2024, per raggiungere la quota che il governo si è prefissato occorrerebbero quindi quasi due milioni di veicoli nuovi all’anno, ovvero 162.000 al mese. Gli esperti sono pertanto scettici sul fatto che tale obiettivo possa essere raggiunto. Le previsioni nel settore automobilistico indicano che nel migliore dei casi si raggiungeranno le vendite dell’anno precedente. Intanto i produttori sono pronti a riconsiderare i loro investimenti nella mobilità elettrica e a tornare a investire più denaro nei motori a combustione.

 

I vescovi tedeschi approvano il documento del Vaticano

Il documento vaticano “Dignitas infinita” è stato accolto positivamente in Germania. “Considerando il fatto che viviamo in un mondo in cui la dignità umana viene quotidianamente disprezzata, minata, erosa e relativizzata in molti modi, è estremamente apprezzabile che il Dicastero per la Dottrina della Fede insista sull’inalienabile, inviolabile e illimitata dignità dell’uomo”, ha dichiarato il Presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Georg Bätzing, che ha inoltre sottolineato: “Con un linguaggio e un ragionamento oggettivi e adeguati, il testo offre un incoraggiamento per tutti coloro che si impegnano a favore del rispetto della dignità umana e dei diritti umani fondamentali che ne derivano”.

Nel suo complesso, la dichiarazione è inoltre caratterizzata da una linea di pensiero molto coerente, che fa derivare le considerazioni etiche e le linee guida per l’azione dal concetto di base della dignità umana, senza scadere sempre nel moralismo. “Questo riferimento coerente alla dignità umana non porterà automaticamente al fatto che le affermazioni dottrinali della Chiesa riceveranno un consenso unanime da parte di tutti e in tutte le società del mondo, ma rafforza certamente la capacità di creare connessioni e la discorsività degli argomenti presentati”, ha sottolineato il vescovo di Limburgo.

 

I cattolici piangono “l’abate rock”                           

Padre Notker Wolf, ex abate primate dei benedettini di tutto il mondo, è scomparso all’età di 83 anni durante il viaggio di ritorno dall’Italia al suo monastero di origine tedesco nei pressi di Monaco di Baviera. La morte improvvisa del religioso, noto anche per i numerosi libri, i talk show e la sua predilezione per la musica rock, ha provocato forte sgomento nella sua Baviera. Dopo l’ingresso nell’ordine benedettino, Wolf studiò prima al Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo a Roma, poi alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Ordinato sacerdote nel 1968, nel 1977 fu eletto arciabate del centro missionario di St. Ottilien presso Monaco di Baviera, divenendo quindi responsabile dei benedettini missionari attivi in tutto il mondo. Nel 2000, divenne abate primate della Confederazione benedettina, con sede sul colle Aventino, da cui ha diretto per 16 intensi anni circa 130.000 benedettini e impiegati in tutto il mondo. La sua passione è stata suonare la chitarra elettrica nella sua rock band, diventando famoso come “monaco rock” grazie a concerti e registrazioni CD.

 

Luoghi in Germania: Cottbus                                    

Una fonte di riscaldamento comune per tutta la città? Sarà infatti una pompa di acqua lacustre a rappresentare la svolta energetica nella vecchia roccaforte carbonifera di Cottbus (Land Brandeburgo) e a rifornire in futuro oltre 30.000 abitazioni. Questi sono i piani che l’amministrazione comunale ha sviluppato in collaborazione con il rinomato Istituto Fraunhofer per la fisica. L’ambizioso progetto diventerebbe la più grande pompa di calore della Germania, per cui almeno il 40% del teleriscaldamento verrebbe fornito tramite questa tecnologia.

A oggi circa la metà dei 100.000 abitanti di Cottbus dipende dalla rete di teleriscaldamento urbana, che finora acquisisce il suo calore da una vicina centrale a carbone, pronta a essere dismessa nel 2028 per le decisioni legate alla politica climatica, motivo per cui si rende necessaria una soluzione alternativa. Il Cottbusser Ostsee, il più grande specchio d’acqua artificiale della Germania che sorgerà su un’ex area mineraria a cielo aperto, è quindi destinato a diventare un’ancora di salvezza per il clima e l’energia. Cottbus è il capoluogo della Bassa Sorba. Le lingue ufficiali della città sono il tedesco e il sorabo.

 

La pseudo-vittoria di Putin accolta con indifferenza in Germania

Le elezioni farsa in Russia con la prevedibile rielezione di Putin a sovrano assoluto sono state accolte con fredda indifferenza in Germania. Non sono quindi stati inviati gli auguri ufficiali di buon governo e il Presidente dello Stato Frank-Walter Steinmeier che non invierà alcuna lettera a Putin ha invece dichiarato in una nota sui social media: “Oggi penso alle persone in Russia che lottano per la libertà e la democrazia e che vivono in costante pericolo davanti agli occhi del regime di Putin. Non dimentichiamo queste persone coraggiose”. Il ministero degli Esteri ha adottato una formula simile aggiungendo: “Le pseudo-elezioni in Russia non sono né libere né eque, il risultato non sorprende nessuno”.

Il Cancelliere Olaf Scholz (SPD) ha dichiarato in un discorso al Consiglio europeo di Bruxelles: “La Russia non è così forte come ora si pensa”. Dal punto di vista militare, la guerra di Putin in Ucraina è “brutale”, tuttavia, dal punto di vista della politica interna il regime repressivo del Cremlino inizia a mostrare segni di debolezza e di paura per il mantenimento del proprio potere. Per questo motivo è ancora più importante che l’Unione Europea sostenga l’Ucraina contro la Russia con compattezza e perseveranza, questo l’appello di Scholz. “Se il Presidente russo crede di dover solo attendere che questa guerra faccia il suo corso e che il nostro sostegno finirà per indebolirsi, allora ha sbagliato a fare i conti”. 

 

L’ex Cancelliere Schröder mette in imbarazzo l’SPD

L’ex Cancelliere Gerhard Schröder è al centro delle polemiche dei partiti di opposizione CDU/CSU per il suo appoggio a Olaf Scholz contro la fornitura di missili Taurus all’Ucraina. Il membro dell’Ufficio di Presidenza della CDU Jens Spahn ha criticato Schröder: “Chi vanta sostenitori, come l’ex Cancelliere e amico di Putin Schröder, in realtà, non ha più bisogno di avversari politici”. Il leader della CSU Markus Söder ha esortato Scholz a un cambio urgente di linea: “Essere elogiato e ‘conquistato’ da Gerhard Schröder dimostra chiaramente che si è sulla strada sbagliata. Al suo posto mi chiederei con urgenza se sto facendo la cosa giusta per quanto riguarda la questione missili Taurus”. Julia Klöckner (CDU) ha inoltre aggiunto: “Abbiamo visto più volte che l’ex Cancelliere Schröder non ha motivazioni credibili né ha mai preso distanza dalla Russia. Dopo tutto, viene anche pagato bene da loro”.

Schröder è amico di Putin sin dal suo Cancellierato del 1998-2005 e continua a lavorare per le società, a maggioranza russa, dei gasdotti Nord Stream che attraversano il Mar Baltico. Ha dichiarato che l’attacco russo all’Ucraina è stato un errore, ma la sua amicizia con il capo del Cremlino non è mai venuta meno.

 

L’SPD discute sul “congelamento” della guerra in Ucraina

Le dichiarazioni del Presidente del gruppo parlamentare dell’SPD Rolf Mützenich sul congelamento della guerra in Ucraina stanno agitando la politica tedesca. Il ministro della Difesa Boris Pistorius (anch’egli SPD) ha preso le distanze dal suo alleato di partito affermando che “ciò alla fine aiuterebbe solo Putin”. Il ministro ha ribadito che non ci deve essere una pace imposta coi Diktat, né un cessate il fuoco o un congelamento, condizioni queste che finirebbero solo per rafforzare Putin e che gli consentirebbero di continuare il conflitto quando vuole. Anche il Presidente della CDU Friedrich Merz ha espresso il suo biasimo alle dichiarazioni del capogruppo dell’SPD: “La volontà di pace può provocare il contrario della pace. Un criminale di guerra così spietato non può essere affrontato con vigliaccheria, ma solo con lucidità e determinazione”. Germania e Polonia sono intanto pronte a collaborare per aumentare la produzione di munizioni per l’Ucraina: è quanto concordato dal ministro Pistorius e dal suo omologo polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz ad un incontro a Varsavia. Sostenere l’esercito ucraino nella guerra contro le truppe di invasione russe non significa solo fornire tali munizioni, che comunque “pur si trovano da qualche parte”, ma ciò che invece è maggiormente necessario è provvedere anche a un aumento della produzione in Germania, Polonia e in altri Paesi. Berlino e Varsavia hanno quindi intenzione di lavorare con l’industria bellica di entrambi i Paesi, ha spiegato Pistorius.

Inoltre, la Germania ha annunciato che nel giro di poco tempo consegnerà nello specifico 10.000 proiettili di artiglieria provenienti dalle scorte delle forze armate tedesche, 100 veicoli blindati per la fanteria e 100 veicoli da trasporto. Il valore del pacchetto complessivo ammonta a circa 500 milioni di euro, e con ciò per quest’anno l’assistenza militare a Kiev copre già un importo pari a sette miliardi di euro.

 

Debito pubblico tedesco “pericoloso” secondo gli esperti

Secondo gli esperti del ministero delle finanze la combinazione di debolezza della congiuntura economica e il progressivo invecchiamento della popolazione potrebbe portare il debito pubblico tedesco entro il 2070 fino a raggiungere il 345% del prodotto interno lordo, come si apprende dall’ultimo rapporto presentato dal ministro delle Finanze Christian Lindner (FDP). Un aumento del genere è quindi prevedibile “in uno scenario sfavorevole”, si legge nel documento del ministero, mentre in uno “scenario favorevole” il debito pubblico potrebbe aumentare dall’attuale 64% al 140% del prodotto interno lordo, valore questo che sarebbe superiore al debito corrente dell’Italia. Il ministro Lindner ha valutato i risultati come “un appello alla politica per avviare riforme strutturali in tutti i settori d’importanza per la politica”.

L’attuale strutturazione dell’assicurazione pensionistica, sanitaria e per la non autosufficienza “nella sua forma attuale non è finanziabile sul lungo termine”. Il ministro ha esortato quindi i partner della coalizione di governo a una pronta volontà riformistica: “Il report mostra che senza una forte crescita economica, il florido stato sociale non sarà più finanziabile in futuro”.

 

Le pensioni della Germania est e ovest si equivalgono per la prima volta

A partire dal 1° luglio 2024 le pensioni aumenteranno del 4,57% in Germania. Pertanto, l’adeguamento delle pensioni per il terzo anno consecutivo sarà superiore al 4%, come annunciato dal Ministero degli Affari Sociali. Tale adeguamento in Germania viene stabilito una volta all’anno tenendo conto di diversi fattori economici. Il livello pensionistico attuale è fissato per legge al 48% di un salario medio.

 

Secondo i dati del ministero, senza questo limite minimo l’aggiornamento di quest’anno sarebbe risultato leggermente inferiore. Inoltre, l’aumento di quest’anno è nettamente superiore al tasso di inflazione e per la prima volta sarà uniforme a livello federale, ha spiegato il ministro degli Affari sociali Hubertus Heil (SPD), sottolineando come tale uniformità per la prima volta a 34 anni dall’unificazione tedesca rappresenti una pietra miliare per la nazione: “In termini pensionistici, ora il lavoro nell’ovest e nell’est del Paese vale allo stesso modo”. L’anno scorso, il valore delle pensioni nei Länder della Germania orientale (cioè l’ex “DDR”) aveva raggiunto il valore dei Länder della Germania occidentale.  

 

Il Cardinale Marx definisce il patriarca di Mosca Kirill guerrafondaio

L’arcivescovo di Monaco e Frisinga Reinhard Marx, alla cerimonia di consegna del premio Julius Itzel ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha denunciato una “ricaduta della storia mondiale ai tempi della guerra, della violenza e del terrore”, lasciando trapelare tutto il suo profondo sconcerto: “Noi cristiani, tuttavia, non faremo mai venire meno la speranza e non ci rassegneremo”, ha sottolineato il cardinale Marx, che ha precisato come nel dialogo interreligioso oltre a ciò che unisce è importante esaminare anche ciò che separa gli uni dagli altri: “Se non parliamo onestamente di questo, non andremo avanti né nel dibattito interreligioso né in quello politico”, per cui non ha risparmiato parole forti contro “i guerrafondai in nome della fede cristiana come il patriarca Kirill”.

Il cardinale Marx, confidente di Papa Francesco, ha chiesto inoltre un maggiore impegno nella società, la quale “non avrà futuro se le persone fanno solo ciò che sono legalmente obbligate a fare. Ciò che ci fa vivere è fare di più, in famiglia, nella comunità, nella cultura, nella convivenza, nel rivolgerci verso il prossimo. La lotta per la democrazia, la libertà e la responsabilità è in pieno corso. (…) Il fulcro della questione è anche chiedersi quale sia la base della convivenza umana”.

 

Luoghi in Germania: Pasqua in Alta Lusazia

Nella Germania orientale, al confine con la Polonia, c’è un piccolo gruppo etnico che mantiene da molti secoli la sua specificità culturale: sono i Sorbi cattolici che abitano nell’Oberlausitz, Alta Lusazia, un territorio collinare verdeggiante situato nel triangolo di confine posto tra Land di Sassonia, Repubblica Ceca e Polonia. Una loro particolare tradizione sono i “cavalieri pasquali” (Osterreiter), i quali la domenica di Pasqua portano in alto a cavallo alla comunità il messaggio della resurrezione di Cristo, sfilando in processioni dai colori sgargianti. Anche ai tempi della dittatura della DDR quest’antica tradizione non subì modifiche.

Durante la cosiddetta “cavalcata di benedizione” si possono ammirare paramenti ecclesiastici, raffigurazioni della resurrezione e portatori di croce, mentre i cavalieri pasquali indossano frac, cilindro e, intonando inni pasquali, chiedono la benedizione per il Paese. Vi è anche un grande crocifisso con stola bianca che simboleggia il messaggio della vittoria di Gesù sulla morte. Il modo migliore per raggiungere l’Alta Lusazia è partire da Dresda, situata a circa 50 chilometri a ovest. Kas 11

 

 

 

Visioni Sarde all’Istituto Italiano di Cultura di Colonia il 17 e il 18 aprile

 

Colonia – Doppio appuntamento in Germania per Visioni Sarde. L’Istituto Italiano di Cultura di Colonia proietterà la rassegna il 17 e il 18 aprile presso il proprio Teatro. Le due serate si inseriscono nel fitto programma di incontri culturali, concerti musicali, laboratori di lettura creativa, workshop didattico, gruppi di lettura, conferenze storiche, performance di danza, offerti dall’Istituto nel solo mese di aprile per diffondere la cultura italiana in Germania. L’Istituto Italiano di Cultura di Colonia svolge quest’impegnativa e meritoria attività di promozione culturale dal 1954 nella Renania Settentrionale-Vestfalia. Dal 2014 ha allargato l’area di competenza all’Assia.

È un vero e proprio angolo d’Italia a Colonia!

Dal 2021 l’Istituto Italiano di Cultura è diretto da Jolanda Lamberti.

Di seguito il programma completo delle due serate dedicate al giovane cinema sardo.

Mercoledì 17 aprile ore 19.00

“Giù cun Giuali” di Michela Anedda. Due cugini sono diversissimi tra loro: uno è pulito e ordinato, l’altro è sporco e irriverente. I due, giocando, trovano un modo per andare oltre le apparenze.

“Incappucciati, Foschi” di Nicola Camoglio. Una coppia viene a contatto con una banda di rapitori, sperimentando sulla propria pelle la realtà degli anni 70 in Sardegna.

“La punizione del prete” di Francesco Tomba e Chiara Tesser. Un avido prete e un astuto cieco avviano una lunga trattativa che porterà la furbizia di uno a prevalere sull’avarizia dell’altro.

“Ti aspetto qui” di Gabriele Brundu. Un bambino di 9 anni si ritrova a dover ristabilire un equilibrio nella sua vita dopo un evento sconvolgente che mette a dura prova il suo spirito gioviale.

“Dalia” di Joe Juanne Piras. Thriller drammatico che racconta di una psicologa infantile alle prese con un caso molto delicato e complesso. Smarrimento e ossessioni si avvicendano fino a confondersi.

Giovedì 18 aprile ore 19.00

“Ranas” di Daniele Arca. Due amici affrontano alcune sfide che metteranno a dura prova il loro coraggio, la loro concezione della vita e il loro rapporto con la morte.

“Spiaggia libera” di Ludovica Zedda. Un confronto tra generazioni e la difficoltà di trovare un equilibrio tra sogno e realtà, nella cornice senza tempo di una spiaggia deserta

“Tilipirche” di Francesco Piras.  Un’invasione di cavallette costringe un allevatore ad abbandonare le attività e ad affrontare l’impossibile passaggio di testimone con il figlio.

“Quello che è mio” di Gianni Cesaraccio. Quattro ex soldati malati terminali compiono una rapina dietro l’altra per riprendersi ciò che lo Stato gli ha negato.

I film saranno proiettati in originale con sottotitoli in inglese.

La rassegna “Visioni Sarde nel mondo” è co-organizzata da Sardegna Film Commission e Cineteca di Bologna. La distribuzione è assicurata dal Circolo Sardi Torino “Antonio Gramsci” e dell’Associazione “Visioni da Ichnussa” di Bologna. (Bruno Mossa, Inform/dip 12)

 

 

 

Assia. La tutela dell’umano

 

C’è da domandarsi quanto resisterà la decisione del tribunale dell’Assia (regione nel centro della Germania) di impedire l’apertura della catena di negozi alimentari “Teo” alla domenica. In realtà in Germania molti negozi rispettano la chiusura domenicale. La particolarità di questa decisione è che i negozi in questione sono totalmente automatizzati, assicurando una programmazione dell’esercizio che non preveda nessun tipo di intervento umano durante la domenica, compresa l’eventuale sostituzione di prodotti, che cesserebbe

durante il riposo settimanale. Quindi il motivo della chiusura non è per tutelare i lavoratori, ma gli acquirenti (anche da se stessi): è per preservare la loro salute mentale e relazionale che i negozi restano chiusi. La domenica si fa altro, si spende il tempo senza spendere. È una indicazione per sollecitare la libertà, non per impedirla, per indicare anche pubblicamente che nella vita esiste qualcosa di diverso dal commercio. Non ci viene detto quanto gli abitanti dell’Assia siano felici di questa scelta, sicuramente contro corrente: la tutela dell’umano è meno

perseguita della tutela di altro, ma è bello sapere che qualcuno la tenti e la indichi come valore. Marco Mori, La Voce del Popolo 11

 

 

 

Karlsruhe. “L’Europa siamo Noi”: incontro delle ACLI del Baden-Württemberg sulle elezioni Ue

 

Karlsruhe - Si terrà il prossimo 19 aprile alle ore 18.30, presso la sede della Deutsch-Italienische Gesellschaft (DIG) di Karlsruhe - Kaiserstrasse 150 (Europaplatz), l'incontro "L’Europa siamo Noi!" che le ACLI del Baden-Württemberg dedicheranno alle elezioni del Parlamento Europeo del prossimo 9 giugno.

A discuterne ci saranno Giuseppe (Pino) Tabbì, Presidente delle ACLI Germania, insieme al sociologo Norbert Kreuzkamp, allo storico Francesco Leone e ad Aldo Venturelli, DIG-Karlsruhe.

L’incontro rientra nel quadro di incontri promossi dal Land Baden-Württemberg per promuovere la massima partecipazione consapevole alle prossime elezioni europee. Esso ha quindi una finalità informativa, riguardante le modalità di voto, le possibilità di scelta nel partecipare alle elezioni italiane o a quelle tedesche per la elezione del prossimo Parlamento Europeo, ricordando altresì la possibilità per coloro che hanno compiuto 16 anni di partecipare a queste elezioni – qualora scelgano di votare per le elezioni tedesche – e le possibilità di voto per gli studenti Erasmus – o di altri progetti europei – italiani di votare in Germania. Queste informazioni vengono completate da uno sguardo informativo sulla storia e i compiti del Parlamento Europeo, sui valori fondativi dell’Unione Europea e sui temi principali affrontati sia nella precedente che, presumibilmente, nella prossima legislatura dal Parlamento Europeo.

Scopo dell’incontro, che si rivolge a un pubblico prevalentemente ma non esclusivamente italiano, è quindi quello di promuovere una partecipazione consapevole alle prossime elezioni europee. Di grande importanza in questo incontro sono così la partecipazione attiva e le domande poste dal pubblico.

Un piccolo Europa-Party conclusivo permetterà inoltre di meglio esaminare e discutere insieme i diversi aspetti del voto europeo e di approfondire insieme ai relatori le informazioni messe a disposizione del pubblico. (aise/dip 15) 

 

 

 

La Costituzione tedesca compie 75 anni. Buon compleanno Grundgesetz!

 

Era nata solo “provvisoriamente” la Legge fondamentale tedesca. Il nome – Grundgesetz – decisamente macchinoso doveva servire, infatti, a celare la vera intenzione degli Alleati: quella di costituire un nuovo Stato federale che doveva comprendere il territorio occupato dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia (cosiddetta: “Trizone”). Fu l’ex sindaco socialdemocratico della città di Amburgo, Max Brauer, ad avere l’idea che fu presto accolta da uno dei padri della Costituzione, il professore universitario, anche lui socialdemocratico, Carlo Schmid: “Chiamiamola Grundgesetz e non Verfassung” (per l’appunto: Costituzione). I socialdemocratici, infatti, volevano evitare a tutti i costi che l’Unione Sovietica reagisse dal canto suo con la costituzione di uno Stato attorno a Berlino.

L’idea, dunque, era quella di uno statuto provvisorio fino alla riunificazione delle Germanie. E così nel luglio del 1948, a Francoforte, i generali degli Alleati a capo della Commissione che governava lo Statuto di occupazione della Germania dell’ovest, diedero l’incarico ai singoli primi ministri dei Länder tedeschi, affinché formassero un Consiglio per la nuova costituzione. Nell’agosto del 1948 ventidue delegati, professori, politici ed esperti di diritto costituzionale, si incontrarono sull’isola di Herrenchiemsee in Baviera per elaborare una prima bozza. Quello che i delegati in soli tredici giorni riuscirono a fare fu un vero e proprio miracolo: 146 articoli, una base solida per la Costituente che si tenne a Bonn tra settembre 1948 e maggio del 1949.

A Bonn fu Konrad Adenauer a presiedere la Costituente (Parlamentarischer Rat): mentre Carlo Schmid (Spd) e Adolf Süsterhenn (Cdu) diedero un contributo sostanziale alla Legge fondamentale, discutendo articolo per articolo nelle apposite commissioni parlamentari, Adenauer soltanto di rado partecipava alle sedute. Il suo compito era, invece, quello di costruire attorno alla Costituente un clima di consenso, soprattutto con gli Alleati. Un contributo che, nel corso della Costituente, si rivelò fondamentale: difatti nel febbraio 1949 il progetto rischiò di saltare. Gli Alleati non erano d’accordo su due punti: il primo riguardava l’accettazione da parte del popolo tedesco della Costituzione. Mentre gli Alleati volevano un referendum, i delegati della Costituente premevano su un voto parlamentare da parte dei Länder. Insomma: i delegati, quasi tutti oppositori del regime nazista, non si fidavano del proprio popolo. Per Theodor Heuss, il politico liberale che divenne in seguito il primo presidente federale della nuova Germania, i tedeschi non erano ancora maturi per una democrazia. In altri termini: l’era nazista era passata ma non il nazismo stesso, ancora presente nelle menti di quella generazione. Il secondo punto riguardava il federalismo: secondo gli Alleati il Bund aveva troppi poteri, motivo per cui temevano di nuovo un rischio di concentrazione del Potere e, dunque, un nuovo rischio di un regime totalitario.

Ma i 65 delegati della Costituente non cedettero: o accettate il nostro testo o non ci sarà una Costituzione! Adenauer, che fino a quel momento si era impegnato a mantenere un clima di consenso con gli Alleati, sfruttò il suo ottimo rapporto personale con il generale francese Koenig e con quello americano Clay, per strappare all’ultimo secondo un “sì” alla nuova Costituzione, assicurandosi in questo modo anche un ruolo centrale dopo l’entrata in vigore del Grundgesetz. Non a caso divenne il primo cancelliere e diede via ad un’era politica che durò fino agli anni 60.

E fu proprio l’8 maggio, a distanza di esattamente quattro anni dalla capitolazione del Terzo Reich, che Adenauer proclamò che pochi giorni dopo – il 23 maggio 1949 – sarebbe entrata in vigore la nuova costituzione, per l’appunto il Grundgesetz. Fu un evento storico, ma allo stesso trascurato dai media: quasi quasi si aveva la sensazione, come scriveva anni dopo l’opinionista Sebastian Haffner, che i delegati si vergognassero della nuova costituzione. Neanche minimamente potevano immaginare lo straordinario successo di questo testo: l’articolo 1 con l’apertura alla dignità umana, alla “Menschenwürde” (poi copiata da tante carte costituzionali, come ad esempio la Carta Europea dei diritti umani), il rafforzamento del parlamento (il presidente federale non può sciogliere le camere se prima le forze politiche non abbiano raggiunto un consenso sul prossimo cancelliere), la garanzia dello Stato sociale (articolo 20 del Grundgesetz e, con esso, la nascita del sussidio sociale di tipo universalistico), la possibilità per ogni cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale e, infine, l’inserimento di una garanzia per i partiti (e, dunque, un netto sì al pluripartitismo).

L’intento degli Alleati e dei delegati di non formare due Germanie, tuttavia, non si realizzò: difatti, solo cinque mesi dopo, l’Unione Sovietica fece proclamare la Costituzione che fondò la Repubblica democratica tedesca, la cosiddetta DDR.

Oggi, a distanza di 75 anni, la Costituzione tedesca è amatissima. Oltre l’80 per cento dei tedeschi sostengono che si tratti di un testo “ottimo”, di una costituzione che “funziona”. Addirittura, anche i nemici del sistema (i vari “Querdenker” ad esempio) e gli stessi sostenitori dell’Afd, quando criticano le forze politiche al governo, si appellano – per assurdo – proprio alla Legge fondamentale. Un dato di fatto che dovrebbe, tuttavia, far riflettere: difatti le carte costituzionali sono importanti, ma ancor più importanti sono le istanze politiche che le interpretano. E una democrazia non ha bisogno per sopravvivere soltanto di un’ottima Costituzione, ma soprattutto di ottimi democratici. Alessandro Bellardita

(L’autore dell’articolo, giudice presso il Tribunale di Karlsruhe, quest’anno terrà molte conferenze sulla Costituzione tedesca: ulteriori informazioni su www.alessandro-bellardita.de).  CdI aprile

 

 

 

 

Cannabis, legale in Germania. Un mito, che non sia dannosa per la salute

 

Tra feste di piazza e aspre polemiche è da ieri in vigore in Germania la legge che liberalizza la cannabis per uso ricreativo. Ai maggiorenni sarà consentito girare anche con 25 grammi di cannabis e sarà possibile anche coltivare in casa fino a tre piante per il consumo privato. Resta vietato invece fumare cannabis nei parchi giochi, negli impianti sportivi, stadi compresi e nelle strutture per bambini e giovani. "Questa sostanza - spiega l’esperto al Sir, “interferisce con la maturazione cerebrale negli adolescenti, modifica la loro personalità e la loro capacità decisionale, crea un deficit dell’attenzione, della memoria e quindi dell’apprendimento" - Gigliola Alfaro

 

Tra feste di piazza e aspre polemiche è da ieri in vigore la legge che liberalizza in Germania la cannabis per uso ricreativo. Ai maggiorenni sarà consentito girare anche con 25 grammi di cannabis e sarà possibile anche coltivare in casa fino a tre piante per il consumo privato. Resta vietato invece fumare cannabis nei parchi giochi, negli impianti sportivi, stadi compresi e nelle strutture per bambini e giovani. La riforma è stata ampiamente criticata, in particolare dalle associazioni mediche e dalla magistratura. La nuova legge conferisce alla Germania uno dei sistemi legali più liberali d’Europa, seguendo le orme di Malta e Lussemburgo, che hanno legalizzato la cannabis a scopo ricreativo rispettivamente nel 2021 e nel 2023. Sui rischi legati all’uso della cannabis abbiamo interpellato Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia alla Sapienza e responsabile scientifico della Commissione dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Roma e Provincia per la valutazione, prevenzione e divulgazione delle conseguenze dell’uso della cannabis e di altri disturbi dell’area delle dipendenze.

Professore, tra le droghe più diffuse tra i giovani c’è la cannabis che ora viene legalizzata in Germania.

Certamente, la cannabis è la sostanza tra le più utilizzate nella popolazione giovanile dopo l’alcol ed è preoccupante il suo uso nella fascia di età soprattutto tra gli 11 e i 15 anni. Nella Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia anno 2023 (dati 2022) del Dipartimento per le politiche antidroga, si evidenzia che la cannabis è stata consumata dal 24% degli studenti e da oltre un quarto dei 18-24enni. Dall’analisi qualitativa è emersa una importante variabilità del quantitativo di principio attivo contenuto nei campioni con un sostanziale incremento medio di quello rinvenuto nei sequestri di hashish che dal 2018 è passato da una concentrazione media del 17% al 29%. Inoltre, c’è da tener presente che il contenuto del principio attivo Thc, che determina psicosi e dipendenza, è ben diverso dal contenuto che la cannabis aveva negli anni Ottanta-Novanta: allora questo principio attivo era intorno al 4% in peso mentre oggi è intorno al 20-25% in peso, con un incremento notevole. Non solo: questo è quello che si valuta quando le forze dell’ordine fanno dei sequestri, ma i ragazzi possono trovarlo su internet con concentrazioni di Thc molto più elevate che può arrivare fino al 50-55%.

Quindi, bisogna smascherare il falso mito che la cannabis non sia dannosa per la salute…

È assolutamente un falso mito.

Il nostro cervello si sviluppa fino all’età di 24/25 anni. Quindi se c’è un insulto tossicologico come quello provocato dalla cannabis in un’età così esposta come quella adolescenziale/giovanile, si registreranno problematiche importanti sullo sviluppo del cervello. I danni scientificamente dimostrati che queste droghe determinano sui ragazzi sono molteplici. Tra di essi, la cannabis interferisce con la normale maturazione cerebrale negli adolescenti, modifica la loro personalità e la loro capacità decisionale, i disturbi sono tanto più gravi quanto più precoce è la prima assunzione e quanto più è frequente e duratura, crea un deficit dell’attenzione, della memoria e quindi dell’apprendimento, determina una difficoltà di concentrazione, perfino una diminuzione del quoziente intellettivo di circa 8-9 punti in chi fa uso costante della cannabis ricreativa. Ancora, altera la percezione e l’interpretazione della realtà, riduce la motivazione a impegnarsi e ad affrontare i problemi. Il primo campanello di allarme che i genitori o gli insegnanti debbono cogliere è quella che viene definita la sindrome amotivazionale: un ragazzo, che prima andava bene a scuola, aveva interessi molteplici, amava fare attività sportiva, frequentare persone, avere amici, si isola, si rinchiude in se stesso, non vuole uscire dalla propria camera, non vuole continuare a studiare. Sono problemi che l’insegnante e l’istruttore di sport devono essere capaci di intercettare. Soprattutto la famiglia deve essere edotta sui rischi e saper riconoscere i segni. Il danno più importante che determina la cannabis è la schizofrenia e stati dissociativi, un disorientamento spazio-temporale, stati di ansia, attacchi di panico. Ovviamente una parte dei danni che la sostanza determina è definita anche da una componente individuale genetica. La cannabis crea dipendenza attraverso il principio attivo Thc, che determina gli effetti psicotici, mentre il Cbd, l’altro componente che c’è nella cannabis, non determina effetti psicotici anzi contrasta quello il Thc.

Ci sono effetti solo sulla salute mentale?

No, quelli che abbiamo citato finora sono i danni sulla salute mentale, ma la cannabis determina anche dei danni importanti per la sfera sessuale, sia nei ragazzi sia nelle ragazze, nello sviluppo endocrinologico, ad esempio una diminuzione del numero degli spermatozoi nei ragazzi, oppure una riduzione dello sviluppo ovarico nelle ragazze. Gli studi scientifici hanno messo a fuoco in tutto il mondo questo problema. Negli Stati Uniti ci sono casi sempre più frequenti di problemi cardiaci, di ischemie, di infarti del miocardio in età giovanile, soprattutto per l’uso di queste canne con altissimo contenuto di Thc.

L’uso di queste droghe è anche tra le cause dell’aumento di incidenti e altro?

Secondo il Ministero della Salute, recentemente c’è stato un aumento dei ricoveri in condizioni di emergenza nei Pronto Soccorso: il 16% dei ricoveri arriva per intossicazione acuta da droga generalmente considerata, l’incremento è in gran parte legato alla cannabis. Questo si vede soprattutto nei fine settimana, con un aumento di incidenti stradali oppure di risse nella movida o nelle discoteche. Gli effetti sono pesanti ed evidenti, bisogna conoscerli.

Ma i danni da cannabis sono irreversibili?

Chi ha iniziato a farne uso molto presto e ha continuato a fare uso di questa sostanza con elevata presenza di Thc e con una genetica particolarmente favorevole può manifestare problemi schizofrenici che difficilmente vengono controllati, negli altri casi gli effetti nocivi possono regredire, a patto che il ragazzo o la ragazza smettano totalmente di utilizzare la cannabis perché altrimenti la dipendenza non si vince. La malavita istiga i minori davanti alle scuole, già all’età di 10-11 anni, a fumare la cannabis perché diventano dipendenti, saranno clienti per tutta la vita e influenzeranno altri ragazzi, così il mercato si diffonde a macchia di olio. Per recuperare i deficit accumulati con l’uso della cannabis, oltre che smetterne l’uso, è importante rivolgersi ai centri di salute mentale, presenti in ogni Asl, sia per ottenere una diagnosi sia per avere terapie. Se parliamo solo di cannabis c’è la possibilità di ottenere risultati positivi.

Da quanto ci ha spiegato, la legalizzazione della cannabis non può essere una buona notizia in Germania né una buona idea a cui pensare in altri Paesi…

In Germania c’è stata una sollevazione da parte della comunità scientifica rispetto al progetto di legge che dovrebbe entrare in vigore il 1° aprile. Nel caso tedesco vengono presi in considerazione problemi più sotto il profilo economico, più sociali, rispetto ai problemi della salute che queste sostanze determinano. Quindi ci si concentra sulla possibilità di coltivazione, per dare ai contadini l’opportunità di incrementare la propria attività perché la cannabis ha un notevole sviluppo di crescita in poco tempo. Per avere un’idea di cosa significa la legalizzazione della cannabis bisogna guardare a quei Paesi, gli Stati Uniti soprattutto, dove già c’è stata: la percentuale di accessi ai Pronto Soccorso è aumentata, soprattutto da parte di giovani. Nei reparti pediatrici c’è un aumento del ricovero di bambini, anche molto piccoli, perché erroneamente prendono in casa dei cioccolatini che contengono cannabis, magari di genitori o fratelli maggiori.

Che attività di prevenzione si può fare?

Abbiamo elaborato un progetto pilota per la prevenzione primaria precoce nelle scuole contro le dipendenze come Commissione dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Roma e Provincia per la valutazione, prevenzione e divulgazione delle conseguenze dell’uso della cannabis. Andiamo nelle scuole e nei centri sportivi a divulgare un messaggio scientifico ai giovani, spiegando quello che la cannabis determina sulla salute mentale e sul cervello. Anche l’Agidae ci ha chiamati a formare gestori e insegnanti dei propri istituti nei campus estivi a Venezia nel 2022 e a Genova nel 2023. Con il progetto pilota nel 2023 abbiamo raggiunto 1.100 studenti dalle terze medie alle superiori di vari istituti, 90 allievi di circoli sportivi, 290 genitori di studenti e circa 150 insegnanti. Il progetto, che prosegue ed è sempre più attivo, prevede l’azione di prevenzione attraverso l’intervento di psichiatri e psicoterapeuti che nelle scuole attuano la strategia dell’educazione tra pari che si svolge durante il periodo scolastico da ottobre a giugno. In attività di laboratorio dei ragazzi preparano video con cui parlano ai loro compagni e sono loro gli attori che parlano delle problematiche legate alle dipendenze perché il linguaggio dei giovani arriva più direttamente ai coetanei. Il nostro obiettivo è fare una prevenzione primaria precoce, andando in molte scuole e coinvolgendo sicuramente i ragazzi delle medie dall’età di 12-13 anni, ma noi vogliamo intervenire ancor prima, nelle scuole elementari, a partire dalla quarta e dalla quinta elementare perché l’Oms ci dà questo input.

Dobbiamo far capire ai ragazzi che la cannabis non serve a rilassarsi o a vincere l’ansia.

Il progetto pilota è romano, ma abbiamo intenzione di diffonderlo in campo nazionale attraverso il coinvolgimento di tutti gli Ordini dei medici di Italia, che potranno adattarlo alle loro realtà e anche grazie a un nostro manuale formativo sull’educazione tra pari nelle scuole. Sir 2

 

 

 

Presidenziali americane: partita aperta tra Trump e Biden

 

Con le primarie a oltre metà percorso e a poco più di sette mesi dalle elezioni presidenziali negli Usa, sembra ormai consolidata la prospettiva che sarà Trump il candidato del partito repubblicano, ora allineato, salvo rarissime eccezioni, sulle posizioni dell’ex Presidente. Analogamente, sul fronte del partito democratico sembra da considerare acquisita la candidatura dell’attuale Presidente in carica, malgrado il pesante handicap dell’età, qualche problema di salute e le perplessità che emergono da vari settori del suo stesso partito e perfino da diversi organi di stampa normalmente vicini ai democratici. Salvo sorprese le due nomination alle rispettive conventions dovrebbero essere poco più che formalità.

Alle presidenziali americane 2024 si ripeterà la sfida Biden contro Trump

Se alle elezioni del prossimo novembre si assisterà a una replica della sfida fra Biden e Trump del 2020, gli americani si troveranno a scegliere tra due candidati molto anziani, entrambi deboli (anche se per motivi diversi), ambedue con una base elettorale caratterizzata da un marcato profilo identitario. Dovranno decidere tra due candidati che rappresentano due “Americhe” profondamente diverse e contrapposte e che ripropongono lo scenario di un Paese diviso verticalmente su quei valori e principi che dovrebbero essere alla base del corretto funzionamento della democrazia della nazione che resta pur sempre la più ricca e potente del mondo.

I sondaggi più recenti danno il candidato repubblicano in testa sia pure di misura. La sensazione prevalente è che contro Biden giochi soprattutto il fattore età – con la conseguente impressione di fragilità, malgrado l’ottimo andamento dell’economia americana e del mercato del lavoro – e una gestione accorta e responsabile della politica estera. Contro di lui anche la crescente sensazione d’impotenza degli Usa rispetto al conflitto in Ucraina e, ancora di più, alla ripresa del conflitto israelo-palestinese, malgrado l’impegno della Amministrazione. A suo sfavore, infine, vi sono l’impatto dell’inflazione sul potere d’     acquisto dei ceti medi e la percezione di una scarsa capacità di gestire flussi migratori e sicurezza interna, soprattutto nelle grandi città. La campagna elettorale di Donald Trump

Trump, convinto di non essere riuscito, nel suo precedente mandato alla Casa Bianca, a realizzare il suo programma elettorale per le resistenze del cosiddetto “deep state”, ha già minacciato di attuare un drastico ricambio a tutti i livelli della dirigenza federale, con l’obiettivo di fare affidamento esclusivamente su collaboratori di fede provata. Inoltre, sta trasformando i processi avviati contro di lui da varie procure statali e federali in altrettante occasioni per presentarsi, con un certo successo, come un perseguitato politico. Sta anche conducendo una campagna elettorale, secondo il suo inimitabile stile, con dichiarazioni clamorose e spiazzanti, che sarebbero inammissibili per qualsiasi persona di buon senso, ma che sono in grado di mobilitare il suo elettorato. E la fa promettendo meno Stato e più mercato, sgravi fiscali e meno spesa pubblica, più sicurezza interna e contrasto più efficace delle migrazioni, la fine delle politiche ambientali e degli impegni sulla transizione energetica e sulla decarbonizzazione. Promette un’America più in grado di tutelare autentici interessi nazionali, più isolazionista e meno propensa ad assumersi le responsabilità che dovrebbero competere a una grande potenza una volta egemone, più favorevole a declinare le relazioni con gli altri attori sulla scena internazionale sulla base di rapporti di forza e, infine, poco interessata a ripristinare un multilateralismo efficace e istituzioni internazionali funzionanti.

La partita è ancora aperta e molto può ancora succedere prima di novembre. Ma la prospettiva di un ritorno di Trump alla Casa Bianca non può essere scartata anche perché l’ipotesi di una rielezione dell’ex Presidente repubblicano che, secondo le nostre sensibilità, rappresenta una minaccia per la democrazia negli Usa e un incubo per la componente più moderata del Paese, è convintamente sostenuta perlomeno da metà dell’elettorato americano. I rischi di un secondo mandato di Trump per gli alleati europei

Un ritorno di Trump rischia di provocare una soluzione di continuità traumatica, con la rimessa in discussione di valori, principi e politiche caratteristiche degli Stati Uniti e sancirebbe una lacerazione profonda nella società americana. Provocherebbe, inoltre, una forte discontinuità quanto al ruolo del Paese sulla scena internazionale e, soprattutto, rappresenterebbe una fonte di grandi preoccupazioni per i suoi alleati europei.

Pur scontando la notoria imprevedibilità dell’ex Presidente e le scarse indicazioni finora fornite su un suo ipotetico programma organico di politica estera, è facile prevedere che per gli europei un suo ritorno comporterebbe seri problemi di gestione del rapporto transatlantico. Anche senza prendere alla lettera le sue dichiarazioni più clamorose sulla Nato, che lasciavano presumere un prossimo disimpegno americano, appare verosimile che la solidità e la credibilità dall’Alleanza Atlantica possano subire un serio ridimensionamento. Sicuramente con Trump di nuovo alla Casa Bianca diventerebbero molto più pressanti le richieste agli europei perché spendano di più per la loro difesa. Trump in fondo non ha mai creduto nel valore strategico del rapporto con gli europei, dimostrando in più occasioni di considerare l’Ue con un misto di fastidio e condiscendenza, preferendo stabilire relazioni con singoli Paesi europei più congeniali. Senza contare poi che un suo successo contribuirebbe verosimilmente a rafforzare anche in Europa la popolarità di formazioni politiche dichiaratamente sovraniste ed euro-scettiche, rischiando di accentuare le distanze fra Paesi dell’Ue come conseguenza di una maggiore convergenza o divergenza rispetto a Trump e alle sue politiche.

La politica estera dell’ex Presidente

Un cambio della guardia a Washington potrebbe poi segnare una soluzione di continuità nella posizione americana sulla guerra in Ucraina, con la sospensione degli aiuti militari americani e la tentazione di realizzare un accordo con la Russia, anche al costo di forzare soluzioni indigeste per l’Ucraina. Ugualmente, potrebbe comportare un diverso posizionamento degli Usa rispetto al contesto medio-orientale, con un allentamento delle pressioni americane sul governo israeliano, la definitiva rinuncia all’ipotesi di un accordo sulla base della formula dei due popoli e due Stati e con la ripresa di una più aggressiva politica di contenimento dell’Iran. Due possibili sviluppi che, come minimo, accentuerebbero le distanze dagli europei.

Verosimile anche aspettarsi che un’amministrazione americana a guida Trump adotti nuove misure protezionistiche e limitazioni delle importazioni, a tutela di produzioni nazionali e posti di lavoro negli Usa, minacciati dalla concorrenza dall’estero. E non solo contro la Cina (come già annunciato) ma anche nei confronti degli alleati europei. Analogamente, con il venire meno dell’interesse degli Usa per l’Europa come partner strategico e con una probabile maggiore concentrazione di interesse su Asia e Indo-pacifico, potrebbero essere rimesse in discussione altre forme di cooperazione (come il Trade e Technology Council) su cui europei e americani fanno attualmente affidamento per regolare in maniera cooperativa sfide comuni su temi di attualità (sicurezza economica, sviluppi del digitale, regolazione dell’intelligenza artificiale), ma potenzialmente divisivi.

Gli europei non votano alle presidenziali americane ma, se potessero esprimere una preferenza, il buon senso dovrebbe indurli a favore dell’usato sicuro di Biden rispetto a un Trump imprevedibile e destabilizzante. Anche se, magra consolazione, va riconosciuto che il ritorno di un Presidente americano così poco sensibile alle preoccupazioni e agli interessi degli europei potrebbe fare il miracolo di costringerli a impegnarsi sul serio per realizzare concretamente il progetto di una autonomia strategica dell’Europa.

Ferdinando Nelli Feroci, AffInt 8

 

 

 

In arrivo nuovi obblighi dall’Europa. Case ed edifici verso l’efficienza energetica

 

Il Parlamento europeo ha messo ai voti l’approvazione di una direttiva mirante a ristrutturare l’efficienza energetica degli edifici entro il 2030, spingendo l’Unione Europea verso una svolta green nel settore delle costruzioni. La direttiva, nota come Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), ha suscitato divisioni nel Parlamento europeo ma ha comunque ottenuto il via libera, stabilendo obiettivi ambiziosi per gli Stati membri.

L’Italia, tra i Paesi interessati da questa nuova normativa, ha chiesto maggiore flessibilità per adeguarsi ai nuovi standard, considerando l’ampio impatto che tali misure avranno sul territorio nazionale. Secondo la nuova direttiva, entro il 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero, con un’anticipazione di due anni per le opere pubbliche. Inoltre, si prevede lo stop alle caldaie a gas entro il 2040, con un’imposizione anche sulle ristrutturazioni degli edifici esistenti.

Residenze private e uffici rappresentano circa il 40% del consumo energetico e oltre un terzo delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea. Questa direttiva è, pertanto, un passo cruciale verso il raggiungimento degli obiettivi di neutralità delle emissioni entro il 2050.

Per quanto riguarda le ristrutturazioni, si prevede una riduzione del 16% delle emissioni entro il 2030, con l’obbligo di lavori per il 43% degli immobili con i rendimenti energetici peggiori. Si stima che in Italia ci saranno circa 5 milioni di edifici da ristrutturare su un totale di 12,5 milioni. Le misure necessarie per adeguare gli edifici saranno simili a quelle finanziate fino ad oggi dal superbonus, comprendendo interventi come il cappotto termico, la sostituzione degli infissi, l’installazione di nuove caldaie a condensazione e pannelli solari.

La Commissione europea stima che saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti annui per realizzare questa svolta energetica, con i Paesi membri che potranno accedere ai fondi europei per sostenere questi costi e finanziare così sussidi, bonus e mutui agevolati.

Tuttavia, non mancano voci critiche nei confronti di questa direttiva che ha suscitato reazioni contrastanti, mentre i politici discutono gli effetti che avrà sulle tasche dei cittadini, compresi i connazionali italiani all’estero. Simone Billi, deputato della Lega e presidente del Comitato Italiani nel Mondo, ha espresso preoccupazione per l’impatto finanziario che questa direttiva avrà sulle famiglie italiane.

Secondo il deputato, la direttiva impone agli edifici di essere a emissioni zero entro il 2050, vietando le caldaie a gas dal 2040 e richiedendo una riduzione del consumo energetico entro il 2030 e il 2035. Si stima che saranno necessari lavori per un totale di 270 miliardi di euro per ristrutturare il 60% delle abitazioni in Italia entro il 2050, con costi medi stimati tra i 35.000 e i 60.000 euro per abitazione.

Billi ha criticato aspramente questa direttiva definendola “una vera e propria follia ideologica”, paragonandola al comunismo per il suo obiettivo senza analizzarne nel dettaglio le inevitabili conseguenze. Ha inoltre criticato l’opposizione italiana, accusando il PD e i 5 Stelle di aver votato a favore della direttiva e definendoli “nemici degli italiani”.

Le reazioni alla direttiva sulle case green mostrano chiaramente le divisioni politiche e gli interrogativi riguardo all’equilibrio tra gli obiettivi ambientali e l’impatto economico sulle famiglie e sulle economie nazionali. Nonostante le critiche, l’Unione Europea ha posto l’accento sull’urgenza di agire per contrastare il cambiamento climatico e migliorare l’efficienza energetica degli edifici, proiettando il continente verso un futuro più sostenibile e verde.

In conclusione, mentre l’Unione Europea adotta politiche green ambiziose, sorgono interrogativi sull’efficacia di tali misure a livello globale. Saranno sufficienti i cambiamenti proposti per salvare il clima, considerando l’impatto economico sulle famiglie e sulle economie nazionali? E se l’Europa si muovesse verso un’economia green mentre altre parti del mondo no, che impatto avrebbe sull’ambiente? Potrebbe questa discrepanza causare un aumento dell’inquinamento al di fuori dell’Europa, vanificando gli sforzi locali per la sostenibilità? L’effetto dell’Europa, che adotta politiche green mentre altre parti del mondo rimangono indietro potrebbe comportare sfide significative. Da un lato, potrebbe portare a un miglioramento locale dell’aria e alla riduzione delle emissioni di gas serra. Dall’altro, potrebbe spingere l’industria europea verso Paesi con normative ambientali meno rigide, aumentando l’inquinamento in altre regioni. Inoltre, la mancanza di azione globale potrebbe compromettere gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico, poiché le emissioni da altre parti del mondo potrebbero annullare i progressi fatti in Europa. È essenziale promuovere una collaborazione internazionale efficace per affrontare il cambiamento climatico in modo coerente e garantire un futuro sostenibile per il pianeta e le generazioni future. Licia Linardi, CdI aprile

 

 

 

I compiti della Nato

 

Sono, in generale, contrario a ogni guerra che, tra l’altro, tende a espandersi. Così, avrei preferito scrivere sulla NATO in tempi meno angosciosi. Ma l’informazione, pur con tutti i limiti, ha il diritto d’essere manifesta. La “North Atlantic Treaty Organization”, meglio nota come “NATO”, nasce a Washington nel 1949. La struttura, di natura militare, è oggi costituita da oltre quarantacinque Paesi membri. Escluso gli Stati Uniti d’America, tutti gli Stati aderenti si trovano in Europa e ne fa parte anche Paesi già membri del Patto di Varsavia. Altri ne hanno già chiesto d’aderire. L’intento della NATO è di proteggere tutti gli Stati membri da ogni ingerenza militare sul territorio esterno e, se necessario, anche con le armi. Infatti, la NATO è una struttura internazionale per difendere la Democrazia e per la Collaborazione (art.5 comma 1 del Trattato di Washington).

 

L’alleanza è, quindi, di natura “globale”e “inscindibile”. Come a scrivere che se uno Stato membro è attaccato è considerato come un atto di guerra che coinvolge tutti gli Stati membri. La stessa integrità socio/politica dei Paesi aderenti è tutelata dalla NATO (art. quattro del Trattato). Il caso dell’Ucraina, attaccata improvvisamente da forze militari sovietiche, esula, quindi, dall’intervento armato NATO perché il Paese implicato non è membro di questa Istituzione internazionale. Ciò premesso, pur condannando l’intervento militare russo in una Repubblica indipendente non è possibile che forze armata della Nato, per il Trattato del quale abbiamo scritto, l’intervento miliare in Ucraina.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Il piano dell’Ue per attrarre i talenti extracomunitari

 

Tra le righe del partenariato strategico con l’Egitto, avviato con il recente viaggio al Cairo di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e tre altri primi ministri Ue, ci sono misure volte a facilitare l’ingresso regolare in Europa di giovani qualificati. Un’iniziativa, quella della “mobilità internazionale dei talenti” che si intreccia a doppio filo con la crisi demografica dell’Ue.

La denatalità sta riducendo le prospettive del continente, ormai “vecchio” non solo in termini geologici. La necessità di competenze, soprattutto nelle discipline Stem, in Italia è ancora più grave che della media europea, a causa della annosa “fuga dei cervelli”. E allora, l’idea è quella di portarli di nuovo nella penisola, i cervelli. Da una parte con le agevolazioni per chi torna nel Belpaese, dall’altra con le misure cui si faceva riferimento in apertura che riguardano anche gli altri Paesi Ue.

D’altra parte molti Paesi europei hanno meno talenti di quanti il mondo produttivo ne richiede. Nell’Unione è laureato il 41% dei giovani tra i 25 e i 34 è pari al 41%. In Italia appena il 21%, praticamente la metà della media Ue.

Fuori dalle percentuali, in termini assoluti la diminuzione dei laureati è già scritta: il numero dei giovani e dei nuovi nati è così basso che anche se si laureassero tutti (praticamente quintuplicando le attuali percentuali) non basterebbero a coprire le esigenze produttive del Paese. E con la crisi delle nascite, è lecito aspettarsi che caleranno anche i laureati, seguendo una previsione realistica e non onirica.

Insomma, se fino ad ora l’immigrazione ha tenuto a galla la natalità (seppure con un deciso rallentamento negli ultimi anni), ora neanche questo basta più: adesso gli immigrati devono salvare la nostra produttività.

Il Piano della Commissione Ue

A tal fine, la Commissione Ue vuole creare una piattaforma che agevoli l’incontro fra domanda di talenti delle imprese europee e l’offerta disponibile nei Paesi partner e in altri Paesi. La proposta di una piattaforma dedicata, la prima del suo genere nell’Unione, si presenta come una soluzione per rendere il reclutamento internazionale più semplice e rapido, a partire dal riconoscimento degli studi di formazione e professionali svolti dagli immigrati nei loro Paesi d’origine.

Attualmente, infatti, il maggiore ostacolo per le assunzioni “qualificate” dei cittadini extra-Ue è l’iter amministrativo per attribuire le relative certificazioni, soprattutto per le professioni regolamentate e di cui esiste un albo. I tempi molto lunghi e l’esito incerto, uniti all’urgente necessità di soldi da parte degli immigrati, finiscono per far lavorare milioni di immigrati in mansioni sottoqualificate.

Secondo le stime Eurostat oltre un quarto degli extra-comunitari residenti in Ue è già altamente qualificato, ma quasi la metà svolge mansioni di livello molto inferiore rispetto alla loro preparazione.

Il problema della sovraqualificazione coinvolge anche molti cittadini nativi italiani, ma raggiunge livelli altissimi tra gli stranieri extracomunitari. Secondo i dati Inapp relativi al 2020, il tasso di sovraqualificazione tra gli stranieri non comunitari in Italia ha toccato quota 71,8% con un gap rispetto a quello dei cittadini italiani del 54,1%, che nelle Isole e nel Nord-Est supera addirittura il 60%. Peggiorano il quadro le difficoltà linguistiche e i pregiudizi, purtroppo, ancora molto presenti.

La piattaforma pensata dalla Commissione servirà quindi a definire procedure di accertamento e convalida armonizzate tra i vari Paesi Ue, ma anche più semplici e digitalizzate.

Estendere la Carta Blu

Una delle soluzioni sostenute dalla Commissione è estendere l’accesso alla Carta Blu, un permesso di soggiorno che consente ai lavoratori extra-Ue di soggiornare e lavorare in uno dei 27 Stati sulla base di un contratto di lavoro altamente qualificato.

Una prospettiva che parte da lontano, come dimostrano le parole scelte nel 2016 in occasione della revisione della Carta Blu: “L’Ue – si legge nel documento – deve già far fronte a un contesto strutturale di carenze e squilibri tra domanda e offerta di competenze in determinati settori, che rischiano di limitare crescita, produttività e innovazione. […] In futuro, i cambiamenti strutturali nelle economie dell’Ue continueranno ad alzare la domanda di competenze professionali non immediatamente reperibili sul mercato del lavoro, creando ulteriori deficit di professionalità. L’attuale regime dell’Ue relativo all’immigrazione dei lavoratori altamente specializzati non è attrezzato per far fronte alle sfide attuali e future”.

La Carta Blu è stata resa più accessibile agli studenti che hanno completato un titolo triennale e stanno terminando i loro studi offrendo loro l’opportunità di rimanere nell’Ue per cercare lavoro o avviare un’attività imprenditoriale dopo il completamento degli studi e l’intenzione è di ampliarne il bacino di utenza.

Canali per una migrazione legale

Un altro asset su cui l’esecutivo Ue punta è l’aumento dei canali legali di immigrazione. Ancora una volta, le parole scelte dalle istituzioni europee sono eloquenti: “Per quanto riguarda la migrazione legale – si legge nella Proposta di decisione del parlamento europeo e del consiglio relativa a un Anno europeo delle competenze 2023 – la Commissione ha proposto una serie di iniziative per contribuire ad attirare cittadini di paesi terzi che hanno competenze necessarie nell’UE. Ciò comprende la creazione di un bacino di talenti dell’Ue e di partenariati volti ad attirare talenti con i paesi partner. […] La Commissione europea promuoverà anche percorsi complementari verso l’Ue per le persone bisognose di protezione internazionale, in modo da mettere a profitto il talento dei rifugiati”.

Che cos’è la migrazione “circolare”

L’ultimo aspetto del nuovo corso riguarda la formazione dei migranti.

Per questo sono previste misure di assistenza tecnica e finanziaria per espandere e migliorare scuola e istruzione superiore nei Paesi di origine. Poi, si punta anche sulla migrazione “circolare”, che mira a gestire i flussi migratori in modo da consentire una mobilità legale di andata e ritorno tra due Paesi. Con questo approccio i giovani immigrati in Ue potrebbero essere incentivati a tornare nel proprio Paese tramite congedi o distacchi di durata predefinita. Una soluzione che, almeno in linea teorica, è vantaggiosa per tutti: il Paese d’origine (in questo caso l’Egitto) che può ottenere il ritorno (anche temporaneo) di cittadini altamente qualificati; i Paesi Ue dove magari il giovane ha perfezionato la propria formazione e può tornare a dare il proprio contributo; e i migranti stessi che possono accedere a nuove competenze professionali e beneficiare di un canale agevolato spostandosi tra i due Paesi.

La migrazione “circolare”, infatti e ovviamente, prevede che, dopo il periodo nel proprio Paese d’origine, i giovani extracomunitari possano tornare in Ue. Perché qui ce n’è urgente bisogno. Adnkronos 21.3.

 

 

 

Una deludente scelta europea

 

Il Consiglio Affari esteri dell’Ue ha approvato il lancio dell’operazione militare navale Aspides, il cui obiettivo è di assicurare la libertà di navigazione nel Mar Rosso e Golfo Persico e difendere imbarcazioni civili e commerciali dai continui attacchi lanciati dal gruppo yemenita degli Houthi dall’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza. Rimane da capire se la missione sia uno strumento efficace per prevenire ulteriori attacchi e assicurare la stabilità di questa importante rotta marittima dalla quale transita circa il 12% del commercio mondiale. 

Gli attacchi Houthi danneggiano il commercio italiano ed europeo

Dopo i messaggi contraddittori delle alte cariche europee in sostegno o critica a Israele e il voto disgiunto dei paesi Ue all’Assemblea delle Nazioni Unite sul cessate il fuoco, con Aspides gli Stati membri sembrano quasi voler affermare che l’Europa è ancora capace di prendere decisioni comuni in materia di politica estera. Con la missione l’Europa tenta poi di mostrare solidarietà e capacità di autonomia strategica agli alleati atlantici. Invece di unirsi alla missione anglo-americana Prosperity Guardian che contrattacca gli Houthi, la missione Aspides ha strettamente carattere difensivo e si propone di proteggere le imbarcazioni europee senza però impegnarsi in controffensive. Riaffermando il carattere difensivo di Aspides, i Ventisette sperano poi di ribadire l’impegno costante dell’Europa nella regione del Golfo ma anche quello volto alla distensione delle tensioni. 

La missione è, infine, un modo per rassicurare le proprie imprese europee il cui commercio dipende dalla stabilità del Mar Rosso e negli stretti di Baab al-Mandab, Hormuz e Suez. Gli attacchi hanno portato a un aumento delle spese assicurative per le imbarcazioni che decidono di transitare nel Mar Rosso, o a un aumento dei costi per quelle che decidono di percorrere rotte marittime alternative. 

Tra i paesi europei l’Italia è tra i più colpiti. È proprio dalla viabilità nel Mar Rosso e dall’utilizzo del Canale di Suez, infatti, che dipende la centralità del Mediterraneo e di molti dei porti italiani. Seconda potenza industriale in Europa, la nostra penisola realizza il 54% delle proprie esportazioni via mare, di cui il 42,7% transita proprio attraverso il Mar Rosso, il Canale di Suez per poi arrivare nei nostri porti. Il volume del commercio estero italiano sta perdendo circa 95 milioni di euro al giorno dal novembre 2023. Tra i porti italiani che soffrono di più c’è sicuramente Trieste, dove arriva da Suez gran parte delle merci che poi vengono distribuite in Europa centrale. Anche i porti di Genova e Gioia Tauro risentono del conflitto. Genova, da cui parte il 30% della tratta con la Cina, rischia di perdere il proprio rilievo in Europa, visto che nelle ultime settimane il costo del nolo medio per il trasporto dei container è più caro in Italia che nel porto di Rotterdam. Gioia Tauro, primo porto italiano dopo il Canale di Suez, sta subendo una diminuzione di traffico, poiché le navi che circumnavigano l’Africa iniziano a fermarsi in Spagna, oppure proseguono verso nord, optando per il trasporto terrestre della merce dal Mare del Nord attraverso l’Europa centrale.   

La missione europea Aspides rischia di essere un fallimento

Ma con il lancio della missione, l’Europa rischia di fallire sia nel proprio intento di risolvere il problema degli attacchi Houthi sulle rotte del Mar Rosso sia in quello di resuscitare la sua credibilità in politica estera. Anche se difensiva, la missione potrebbe non essere percepita come tale. Lanciata in assenza di una posizione europea chiara per il cessate il fuoco a Gaza, o una linea diplomatica per la risoluzione della questione palestinese, la missione rischia di confermare tra gli Houthi e i numerosi attori legati a Teheran, la percezione di un’Europa appiattita sulla posizione americana, parte di un polo occidentale da considerarsi un bersaglio nel suo insieme. L’impegno militare di Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa nel Mar Rosso rischia poi di rafforzare la legittimità del gruppo yemenita come difensori in prima linea della causa palestinese. Di fatto, provoca un effetto a catena che incoraggia gli Houthi e la miriade di gruppi alleati con Teheran a continuare attacchi su diversi fronti costringendo l’Occidente a dispiegare risorse militari, rendendolo parte di una progressiva espansione del conflitto invece che di una soluzione. 

Dai paesi arabi, e più in generale dal sud globale, l’immagine che emerge è quella di un’Europa che delude. I tempi lenti con cui l’operazione Aspides è stata lanciata sono altresì un sintomo dell’impaccio con cui l’Ue si sta muovendo. Piuttosto che duplicare la strategia americana, tagliando in qua e in là gli elementi in contrasto con la propria politica estera, l’Europa avrebbe potuto ispirarsi all’esperienza di molti paesi del Golfo, e in particolare dell’Arabia Saudita, facendo ricorso alla dissuasione militare mantenendo al contempo aperto il canale della diplomazia e del dialogo con i propri avversari. Dopo anni di conflitto in Yemen, è stato il ritorno dell’Arabia Saudita al dialogo con l’Iran e con gli Houthi ad aver portato a una drastica diminuzione degli attacchi sulle sue infrastrutture—risultato che non è stato invece ottenuto in anni di controffensiva militare. 

Aspides può essere un modo per l’Europa di raccontare a se stessa che è ancora capace di fare politica estera. Ma, in realtà, è il sintomo di un’Europa intenta a ricucire le divisioni interne e sempre meno capace di definire il suo ruolo nel conflitto in corso e nell’ordine globale che questo contribuirà a definire. Maria Luisa Fantappie | Nadia Bamoshmoosh, AffInt. 25.3.

 

 

 

 

Il Paese. “Giovani 2024: il bilancio di una generazione”: quasi 18 mila laureati espatriati nel 2021

 

Roma - Il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù hanno presentato il nuovo rapporto “Giovani 2024: bilancio di una generazione”, sulla condizione giovanile in Italia. Un lavoro per tracciare un quadro dettagliato delle principali sfide e delle opportunità che i giovani italiani affrontano oggi, offrendo al contempo spunti concreti per politiche future.

Il documento rivela dati preoccupanti riguardanti la demografia, l’istruzione e l’occupazione, evidenziando in modo particolare la riduzione demografica dei giovani, il fenomeno della fuga di cervelli, la precarietà lavorativa e la disuguaglianza territoriale e di genere. Tuttavia, il rapporto non getta solo luce su problemi persistenti, ma apre anche alla speranza, proponendo vie d’uscita basate sull’innovazione, l’inclusione e la sostenibilità.

L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un calo significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Questo fenomeno ha colpito particolarmente il segmento femminile, con una diminuzione di quasi il 23% contro il quasi 20% maschile. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea.

La fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno optato per l’espatrio nel 2021, un aumento del 281% rispetto al 2011. Questo scenario si accompagna a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i più giovani.

Le disparità territoriali aggiungono un ulteriore livello di complessità, con il Sud Italia che registra tassi di disoccupazione giovanile notevolmente superiori rispetto al Nord, e dove il salario medio annuo dei giovani lavoratori è significativamente più basso. Queste condizioni sfavorevoli si riflettono anche sulla capacità dei giovani di accedere a opportunità di lavoro stabili e retribuzioni adeguate, influenzando negativamente la qualità della vita e le aspettative future.

Le basse retribuzioni dei giovani nel settore privato rappresentano una problematica significativa. Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato (15-34 anni) si è fermata a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore. Questa disparità retributiva si manifesta anche nei diversi tipi di contratto: i giovani con contratti stabili percepiscono in media 20.431 euro, mentre coloro con contratti a termine e stagionali guadagnano rispettivamente 9.038 euro e 6.433 euro. Nel settore pubblico, invece, i giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, che rappresenta una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, nonostante un incremento nominale delle retribuzioni dal 2018, sia nel settore privato sia in quello pubblico, considerando l’inflazione, si registra una diminuzione del potere d’acquisto, con una variazione negativa delle retribuzioni reali pari al -1,7% nel privato e al -7,5% nel pubblico.

Dal punto di vista politico e sociale, la diminuzione della popolazione giovanile ha avuto ripercussioni evidenti sull’ elettorato giovane, che in 20 anni si è drasticamente ridotto – passando dal 30,4% del 2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Più rilevante il dato sulla rappresentanza politica, il taglio dei Parlamentari ha colpito quasi esclusivamente gli under 35, con un drastico calo dei giovani eletti, che tra il 2018 e il 2022 hanno subito un decremento dell’80%, passando da 133 a 27, determinando un’influenza sempre minore dei più giovani. L’indagine realizzata tra i giovani italiani mostra un forte senso di alienazione dalle istituzioni, percepite come inefficaci nel rispondere alle loro esigenze: solo il 12% esprime un giudizio positivo sulla sensibilità delle istituzioni verso le problematiche giovanili e per l’85% del campione il livello di attenzione politica nei confronti dei giovani è inadeguato. La percezione cambia se si guarda all’Unione Europea, che riceve una piena sufficienza (6/10) nell’indice di fiducia.

Il percorso formativo viene valutato positivamente dalla maggior parte delle ragazze e dei ragazzi, con un apprezzamento particolare per le opportunità offerte da programmi europei come l’Erasmus+. Tuttavia, la realizzazione personale e professionale rimane ostacolata da barriere significative, tra cui l’instabilità occupazionale e l’accesso limitato all’abitazione, che impediscono una piena transizione verso l’indipendenza e la vita adulta.

Le preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano il panorama giovanile, con la paura di precarietà e sotto-retribuzione che si sommano ai timori di ricatti, molestie o vessazioni sul posto di lavoro, indicati dal 17,5% dei giovani.

Cosa serve agli under 35 per diventare adulti? Per affrancarsi dai genitori, condizione primaria è quella di ottenere un lavoro stabile. Allo stesso modo, per crearsi una famiglia, quasi il 70% dei giovani indica il bisogno di una situazione economica adeguata. A proposito di genitorialità, più del 60% degli intervistati esprime il desiderio futuro di avere figli. Il 72% del campione, inoltre, attribuisce un ruolo centrale al fenomeno della denatalità.

Nel rapporto tra generazioni, colpisce il fatto che secondo l’opinione di tre intervistati su quattro (quasi il 75%), gli adulti comprendano “poco” (61%) o “per niente” (più del 13%) le esigenze e il vissuto dei giovani, in particolare le paure e fragilità (quasi il 61% delle indicazioni), seguito da aspirazioni e sogni (circa il 50%).

La ricerca “Giovani 2024: bilancio di una generazione” è stata realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù, con il supporto scientifico di EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali. (aise/dip 11) 

 

 

 

Comites

 

Sui Com.It.Es. anche noi, abbiamo preso, già a suo tempo, una posizione. Ora ci torniamo perché una successiva valutazione potrà, forse, stimolare un articolato confronto sul fronte della rappresentatività dei Connazionali all’estero. Limiteremo, in ogni modo, la nostra analisi agli aspetti “pratici” della questione. Ogni altra considerazione la lasciamo, volentieri, ai politici.

 

 Noi c’eravamo, quando di Com.It.Es. neppure s’ipotizzava. Sul fronte dell’Emigrazione siamo presenti dal 1961. Questa è, almeno, una garanzia di continuità. Ciò premesso, pur non volendo generalizzare, i Comitati hanno perduto, progressivamente, alcuni loro fini primari. Non pochi si sono trasformati in propagazioni dei partiti e, scriviamolo francamente, in “trampolini” di lancio per affermazioni politiche personali o di cordata. Così, pur se organismi elettivi, i Com.It.Es. non rappresentano che delle “minoranze” degli aventi diritto a eleggerli. Anche i Candidati, in linea di massima, sono, di solito, gli stessi.

 

 Con molta umiltà, ma anche con scarsa fortuna, qualche proposta operativa, per superare gli “ostacoli”, l’avevamo presentata anche noi, all’inizio del nuovo Millennio. In allora, avevamo considerato certe finalità dei Com.It.Es. come “superate”. Sorpassate, in pratica, dai tempi e dai ruoli della nostra Comunità nel mondo. Coerenti, come da sempre, non intendiamo rigettare, ora, quanto avevamo esposto anni addietro. Pur senza manifestazioni “possibilistiche”, ma convinti delle nostre idee, confidiamo in un contributo da parte di chi, ufficialmente, rappresenta i vertici dei Comitati. Perché un contributo d’idee potrebbe giovato a tutti. Siamo, però, pronti a prendere in esame consigli per rivedere posizioni più adeguate alle esigenze dei tempi. La nostra disponibilità resta per contribuire agli intenti dei Connazionali “altrove”. Certo sarebbero urgenti progetti innovativi che, per la verità, non abbiamo rilevato.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Deceduto Michele Schiavone, segretario generale del CGIE

 

Al termine di una lunga malattia, lo scorso sabato, 30 marzo, si è spento nella sua casa di Tägerwilen, in Svizzera, Michele Schiavone, Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

Nato a Fasano, in Puglia, nel 1960, Schiavone diciottenne si trasferì in Svizzera per ricongiungersi ai suoi genitori, emigrati a Kreuzlingen agli inizi degli anni ’60. Eletto nel Cgie dal 2004, era al suo secondo mandato come Segretario generale; candidato del Pd nella circoscrizione Europa alle ultime politiche, Schiavone per anni ha guidato la federazione svizzera del partito. Oltre alla moglie Angela, lascia i due figli Yanek Vincenzo e Ismène Teresina.

Tra i primi ad esprimere cordoglio i consiglieri del Cgie e il Ministro degli esteri Antonio Tajani, che del Consiglio generale è Presidente.

“Tutti i Consiglieri insieme al Comitato di Presidenza, alla Segretaria esecutiva e alla Segreteria del Cgie sono vicini ai famigliari in questo tragico momento ed esprimono loro il cordoglio più sincero ed affettuoso, associandosi a quello espresso ieri dal Presidente del Cgie, il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, On.le Antonio Tajani”, si legge nella nota del Cgie.

“Esprimo il mio personale cordoglio, quello del Governo e della Farnesina per la scomparsa di Michele Schiavone, Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero”, ha scritto il Ministro su X. “Ne ricordiamo, con riconoscenza, il costante impegno a favore dei connazionali nel mondo”.  

Cordoglio del Comites di Berlino. Nell’esprimere “le più sentite condoglianze alla famiglia” anche a nome delle consigliere e dei consiglieri del Comites, il presidente Federico Quadrelli, ricorda sui social come Michele Schiavone “da quando ho iniziato la mia attività di impegno per la comunità italiana all’estero sia sempre stato presente con i suoi consigli”. “Abbiamo portato avanti insieme battaglie per le comunità delle italiane e degli italiani all’estero e il suo impegno è un esempio per tutte e tutti noi. Michele è parte della storia dell’emigrazione italiana, dell’attivismo ed impegno civile e politico. La sua morte è un grave perdita per tutte e tutti noi”. Questo il ricordo della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera: “Michele Schiavone è morto. Ce lo aspettavamo, fin dal momento in cui abbiamo capito che aveva smesso di lottare contro un destino nei confronti del quale ad un certo punto ha capito di dover capitolare. Ciò non toglie che prendere atto che Michele non è più tra noi si accompagna al dolore che ci lascia il distacco definitivo da un affetto che vorremmo sempre rimandato. Perché a Michele tutti noi volevamo davvero bene. Perché Michele era uno di noi, anzi era, lo abbiamo sempre pensato, uno meglio di noi. Perché lui era quello al quale abbiamo sempre associato il concetto di generosità, intesa come la capacità di darsi senza risparmiarsi agli altri, di votarsi in modo disinteressato ad una causa purché improntata dall’obiettivo di superare ingiustizia e disparità umane e sociali.

Michele ha meritatamente ricoperto numerosi e importanti incarichi, sempre con lo spirito di servizio che ha caratterizzato il suo impegno fra e per gli italiani all’estero.

A noi ora preme ricordare l’uomo, l’amico, il compagno di un viaggio terreno con cui abbiamo condiviso esperienze che ce lo hanno reso caro. Anche per questo, seppur magra consolazione, possiamo affermare che la sua vita non è transitata invano.

 

Lo sappiamo: mancherà soprattutto a sua moglie Angela ai suoi figli Yanek e Ismene. Ma tanto mancherà anche a noi”. (Aise/de.it.press 2.4.)

 

 

 

“Oltre gli sbarchi”: un’agenda di riforme delle politiche migratorie in Italia

 

Analizzando l’efficacia e gli effetti delle politiche migratorie italiane a partire dal Testo Unico sull’immigrazione (l. 246/1998), con particolare attenzione alla gestione delle migrazioni economiche e alle questioni ad essa strettamente correlate, come l’integrazione e la cittadinanza, saltano agli occhi gravi criticità, causate da procedure contorte, meccanismi disfunzionali e previsioni irrealistiche, applicati per oltre un quarto di secolo. Criticità che rendono sofferenti non solo le condizioni di vita di moltissimi immigrati, mantenendo precario il loro status giuridico anche a dispetto di un pluriennale radicamento, ma anche il tessuto sociale, economico e culturale del Paese, che – pur indebolito – preclude loro una partecipazione piena e attiva, inibendo le loro potenzialità e compromettendo il loro senso di appartenenza.

La rigida saldatura del permesso di soggiorno al contratto di lavoro, in fase sia di primo rilascio sia di rinnovo, unita alla contestuale abolizione del permesso di ingresso per ricerca lavoro, varati dalla cosiddetta “legge Bossi-Fini” del 2002, non solo ha dato un grande potere coercitivo ai datori di lavoro, e quindi la stura a gravissimi abusi, ma ha condannato moltissimi soggiornanti per lavoro a perdere il titolo, non essendo nelle condizioni di esibire un contratto in essere al momento del rinnovo del permesso.

Non è un caso che la sacca di stranieri in condizione di irregolarità giuridica resti da anni fissa intorno al mezzo milione di persone. Solo nel 2022 gli irregolari – secondo Ismu – sono scesi a circa 458.000 (erano ancora 506.000 nel 2021), grazie agli effetti di riassorbimento, piuttosto tenui, della regolarizzazione del 2020, proceduta con sfiancante lentezza e non ancora portata a termine: a maggio 2023, delle 207.000 domande presentate dai datori di lavoro 3 anni prima, soltanto 65.000 (31%) avevano terminato l’iter con il rilascio di un permesso per lavoro, mentre un altro 15% ha conosciuto un definitivo rigetto. A conferma dell’effetto di breve durata delle regolarizzazioni di massa varate una tantum (le emersioni, se non supportate da solide tutele e condizioni contrattuali, restano labili: gli immigrati che ne beneficiano possono ricadere nel sommerso già alla prima scadenza del permesso, essendo nel frattempo decaduto il rapporto di lavoro regolarizzato).

Né va meglio il sistema di espulsione degli irregolari dal territorio: a fronte della suddetta sacca di 458.000 irregolari, nel 2022 quelli intercettati e raggiunti da un provvedimento di espulsione sono stati appena 36.770, di cui solo l’11,7% effettivamente rimpatriato (4.304 persone), a fronte del 15,1% nel 2021 e del 13,7% del 2020; mentre dei migranti transitati, lungo il 2022, in uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sparsi sul territorio nazionale (6.383: +45,5% rispetto ai 4.387 del 2021), ad essere rimpatriati sono stati solo il 49,1%.

Alla luce di una verifica fattuale delle politiche e della governance delle migrazioni economiche in Italia, IDOS ha elaborato una agenda di auspicabili riforme nazionali in materia di politiche e gestione delle migrazioni, organizzata per ambiti tematici.

Tra i punti più innovativi delle proposte di revisione, spiccano:

- la abolizione dello status di irregolarità giuridica dei non comunitari (da cui deriverebbero la decadenza del “reato di clandestinità”, l’abrogazione del provvedimento di espulsione e della detenzione amministrativa e, quindi, l’abolizione dei Centri di permanenza per il rimpatrio), da realizzare mediante l’estensione fino a 5 anni della durata dei permessi di soggiorno per lavoro e famiglia (così da passare poi, senza ulteriori rinnovi, o al già previsto permesso Ue di lungo-soggiorno o all’acquisizione della cittadinanza italiana per naturalizzazione);

- l’istituzione di un permesso annuale di reinserimento socio-occupazionale (che consentirebbe l’ingresso in appositi programmi di reintegrazione) e un piano di completo riassorbimento della sacca di irregolarità mediante il rilascio di tale permesso;

- la revisione dei meccanismi di ingresso e soggiorno per motivi di lavoro, che si basi su una programmazione triennale delle quote pienamente rispecchiante il fabbisogno effettivo del mercato, da effettuare ripristinando il permesso di ingresso per ricerca lavoro sotto sponsor (opportunamente aggiornato), connettendo la chiamata nominativa dall’estero a corsi di formazione pre-partenza da effettuare nei Paesi d’origine o di transito, ripartendo le quote annuali in sotto-quote dedicate a specifiche casistiche e abolendo sia l’ordine cronologico di presentazione delle domande di rientro nelle quote (click day) sia altri inutili obblighi previ imposti ai datori (la verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani presso i Centro per l’impiego e l’onerosa produzione dell’asseverazione di sostenibilità economica);

- la acquisizione della cittadinanza italiana o per naturalizzazione, dopo 5 anni di soggiorno regolare, o, nel caso dei minorenni, alla nascita o all’arrivo in Italia, eventualmente come seconda nazionalità insieme a quella trasmessa dai genitori stranieri, con il diritto di scegliere se mantenerla o rinunciarvi quando abbiano compiuto la maggiore età (invertendo la ratio attualmente in vigore per i neo-maggiorenni).

“Questa agenda virtuale di proposte di riforma delle politiche migratorie nazionali, che contiene vari spunti innovativi rispetto alle pur notevoli direttrici di revisione già da tempo circolanti, rappresentano – dice Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – il risultato di una riflessione originale condotta sull’analisi scientifica del fenomeno. Con questo documento, si intende contribuire attivamente all’attuale dibattito pubblico sul tema, fornendo spunti derivanti dalla rigorosa e sistematica rilevazione, ormai ultratrentennale, degli effetti delle politiche sulla vita concreta dei migranti che arrivano e vivono in Italia”. Idos 20.3.

 

 

 

 

Dalla Commissione Ue incentivi a dieci regioni contro l’esodo dei giovani talenti

 

Bruxelles - Oggi, 20 marzo, la Commissione europea ha selezionato 10 regioni dell'UE a rischio di cadere in una "trappola per lo sviluppo dei talenti" che riceveranno un sostegno su misura nell'ambito del meccanismo di incentivazione dei talenti allo scopo di attenuare gli effetti dei cambiamenti demografici e dell'esodo della popolazione più giovane.

Dopo la pubblicazione di un invito a manifestare interesse nel dicembre 2023, un comitato di esperti della Commissione ha esaminato le sfide e le esigenze di ciascuna regione e le motivazioni a ricevere il sostegno di esperti. Sono state selezionate 10 regioni di 8 Stati membri: Campania (Italia), Nord-Vest (Romania), Castilla y León (Spagna), Norte (Portogallo), Estremadura (Spagna), Centre-Val de Loire (Francia), Região Autónoma dos Açores (Portogallo), Pohjois-Savo (Finlandia), Tessalia (Grecia) e Banská Bystrica (Repubblica slovacca).

Le regioni beneficeranno di analisi dettagliate, raccomandazioni strategiche e piani d'azione concepiti per affrontare le sfide demografiche e territoriali specifiche, con il sostegno di esperti dell'OCSE.

Il sostegno nell'ambito del pilastro 2 del meccanismo di incentivazione dei talenti si rivolge specificamente alle regioni che rischiano di cadere nella cosiddetta "trappola per lo sviluppo dei talenti", ossia un esodo dei giovani che comporta un calo della popolazione in età lavorativa, un basso numero di laureati e diplomati dell'istruzione superiore e difficoltà nel trattenere i talenti.

Nell'ambito del pilastro 1 del meccanismo di incentivazione dei talenti, lo scorso novembre sono state selezionate 10 regioni che si trovavano già in una trappola per lo sviluppo dei talenti. Queste regioni riceveranno assistenza tecnica per creare quadri concreti volti ad affrontare gli effetti dei cambiamenti demografici.

Il meccanismo di incentivazione dei talenti, comprendente otto pilastri, è stato introdotto dalla comunicazione sull’utilizzo dei talenti nelle regioni d'Europa. Il meccanismo aiuta le regioni dell'UE colpite dal rapido declino della popolazione in età lavorativa a formare, trattenere e attrarre persone dotate delle competenze necessarie per attenuare l'impatto della transizione demografica. (aise/dip 20)

 

 

 

Ucraina, Zelensky e il piano di Putin: "Dateci armi o guerra presto in Europa"

 

La Russia di Vladimir Putin può essere fermata in Ucraina. Nel momento forse più critico della guerra, con Kiev a corto di armi e munizioni, l'analisi dell'Institute for the Study of War (ISW) - think tank americano che monitora il conflitto - descrive un quadro più fluido e meno scontato di quanto si possa pensare.

"L'Occidente ha un vantaggio, ma deve decidersi a sfruttarlo. Tutto ciò che deve fare è prendere posizione" e mobilitarsi per sostenere lo sforzo bellico dell'Ucraina. Ma cosa significa 'mobilitarsi'? "Significa aumentare la propria produzione militare, utilizzare maggiormente le proprie capacità militari attuali e i propri asset economici, accettare una soglia più alta di sofferenza e rischio ora per evitare maggiori costi, sofferenza e rischio in futuro".

Zelensky: "Ora tocca a noi, dopo Putin punterà all'Europa"

"Per Putin, siamo un satellite della Federazione russa", dice il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Cbs descrivendo i rischi di un'estensione del conflitto.

"Per ora -aggiunge- siamo noi. Poi il Kazakistan, i paesi baltici, poi la Polonia, la Germania. O almeno una parte della Germania. Anche domani, i missili possono arrivare in ogni paese. Questa aggressione e l'esercito di Putin possono arrivare in Europa. E a quel punto i cittadini degli Stati Uniti e i soldati degli Stati Uniti dovranno proteggere l'Europa in quanto membri della Nato".

Molti paesi occidentali hanno assunto l'impegno di sostenere l'Ucraina fornendo a Kiev armi nei primi 25 mesi del conflitto. Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo di primissimo piano sinora, ma il quadro è cambiato alla fine del 2023 con lo stop al pacchetto da 60 miliardi di dollari attualmente fermo al Congresso.

I fondi stanziati dagli Usa, dice Zelensky, vanno valutati in maniera corretta: "Decine di miliardi -dice alla Cbs- rimangono negli Usa. Il denaro stanziato dal Congresso rimane, per il 75%, negli Stati Uniti. Le munizioni vengono date a noi, ma la produzione avviene lì e il denaro rimane negli Usa. E le tasse restano negli Usa".

Il nodo degli aiuti Usa

Dopo il via libera del Senato, la legge cruciale deve essere ancora discussa dalla Camera dei Rappresentanti. Lo stop alle forniture Usa ha messo in grave crisi le forze armate ucraine in diversi settori del paese: "L'Ucraina deve prendere decisioni drastiche e scegliere se ritirarsi da alcune zone", ha detto recentemente il Pentagono attraverso una propria portavoce.

Zelensky sottolinea la necessità di una rapida approvazione degli aiuti statunitensi da parte del Congresso americano nel corso di un colloquio con il presidente della Camera dei Rappresentanti di Washington, Mike Johnson. A riferirne è lo stesso Zelensky, in un post su X: "Ho parlato con lo Speaker Johnson, e ho ringraziato personalmente lui, entrambi i partiti, il popolo americano e il presidente Biden per il loro sostegno all'Ucraina dall'inizio dell'invasione su vasta scala della Russia".

"Ho informato il presidente Johnson sulla situazione sul campo di battaglia, in particolare sul drammatico aumento del terrore aereo russo", aggiunge Zelensky. "Solo la scorsa settimana, 190 missili, 140 droni Shahed e 700 bombe aeree guidate sono state lanciate contro città e comunità ucraine. La più grande centrale idroelettrica è stata bloccata". "In questa situazione - ha sottolineato - il rapido passaggio degli aiuti statunitensi all’Ucraina da parte del Congresso è vitale. Riconosciamo che ci sono opinioni divergenti in seno alla Camera dei Rappresentanti su come procedere, ma la chiave è mantenere la questione degli aiuti all’Ucraina come fattore unificante".

"Abbiamo anche discusso dell'importanza di tagliare al più presto possibile le fonti di finanziamento della Russia per la sua guerra e di utilizzare i beni russi congelati a vantaggio dell’Ucraina. A questo riguardo contiamo anche sulla leadership del Congresso", conclude.

La nuova fase della guerra, Kharkiv nel mirino

La guerra dovrebbe andare incontro ad una nuova fase a partire da maggio, quando potrebbe prendere forma la nuova offensiva della Russia. Putin, dopo la vittoria nelle elezioni presidenziali, ha più volte fatto riferimento alla necessità di creare una 'zona cuscinetto' che nella regione di Kharkiv garantisca maggiore sicurezza ai territori controllati dalla Russia.

Nelle ultime ore, le truppe russe hanno sferrato nuovi attacchi nell'Ucraina orientale, con pesanti combattimenti segnalati intorno alle città di Avdiivka e Bakhmut. Nel suo rapporto quotidiano sulla situazione sul terreno, lo Stato maggiore ucraino ha elencato 11 parziali avanzate russe in direzione di quattro località. Lungo tutta la linea del fronte, dal sud all'est dell'Ucraina, secondo il rapporto, sono scoppiate complessivamente 48 battaglie. Ci sono inoltre stati attacchi aerei e di artiglieria russi vicino a Kharkiv.

Cosa deve fare l'Occidente

Proprio Kharkiv potrebbe essere il nuovo teatro principale della guerra di logoramento, con Mosca che continua a riversare uomini al fronte sostanzialmente incurante delle perdite. La Russia da tempo investe circa un terzo del Pil nel settore della difesa, garantendo il funzionamento costante della macchina militare.

Dall'altra parte, serve un impegno di livello adeguato dei paesi occidentali, che - secondo l'ISW - devono "compiere passi specifici e immediati. Dovrebbero dare aiuto militare sufficiente e altro supporto richiesto dall'Ucraina per ricominciare a operare sul campo di battaglia".

L'Occidente dovrebbe anche aiutare l'Ucraina a sfruttare i punti deboli delle forze armate russe, con particolare attenzione alla possibilità di colpire la flotta del Mar Nero. Secondo l'Ucraina, Mosca potrebbe aver perso circa un terzo della sua flotta. "La Russia non può sconfiggere l'Ucraina o l'Occidente – e probabilmente perderà – se l'Occidente mobilita le sue risorse per resistere al Cremlino", la sintesi dell'ISW. Adnkronos 29.3.

 

 

 

Polemiche e realtà

 

La politica ha ripreso, rapidamente, il suo ruolo. Con tante polemiche, qualche promessa e tempi d’applicazione difficilmente gestibili. Intanto, l’Italia “affonda” nel mare dei suoi problemi socio/economici. Non è facile presentare un quadro dell’Italia tra com’era e come sarà.

 

 Quello che appare evidente è la necessità di nuove risorse e di progetti innovativi che consentano, almeno, di non peggiorare la situazione del Paese. Ci sono ancora troppe incertezze da eliminare per garantire un futuro meno ambiguo in un’Europa che dovrà far fronte comune per uscire dalla depressione. Manca ancora, a nostro avviso, la consapevolezza di una politica che renda operativi i rapporti tra i politici delle più disparate tendenze. Le polemiche non risolvono.

 

Per fronteggiare l’emergenza, mancano ancora programmi che tengano conto di com’eravamo e come potremo essere. La Penisola avrebbe necessità di una ristrutturazione globale che coinvolga il presente per garantirci un migliore futuro. Insomma, ci sono delle priorità che non sono state ancora evidenziate nella loro globalità. Per fronteggiare l’emergenza economica sono indispensabili nuove idee e priorità da focalizzare. I rischi di un aggravamento della recessione proprio non mancano.

 

 La tecnologia potrà esserci d’aiuto; ma non sostituirà ciò che solo l’impegno umano può realizzare. Ristrutturare il Paese non sarà facile. Tra l’altro, ci vorrà tempo e volontà per farlo. E su questa volontà si è appunta la nostra attenzione. Perché non la sentiamo valida come, invece, dovrebbe essere. E’ lo Stato che potrebbe affrontare le tante emergenze del Bel Paese. La Solidarietà Stellata non verrà a mancare. Ma se la concretezza dovesse essere sopraffatta dalle polemiche, non ci sarà futuro.Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Le politiche migratorie europee e tunisine: una ricetta per fallimento e sofferenza

 

Dopo mesi di aumento significativo della migrazione irregolare dalla Tunisia all’Europa, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ad altri leader dell’Ue, hanno scelto di promuovere quella che ritengono la migliore via per produrre risultati immediati: aumentare la fornitura di denaro, attrezzature e formazione alle forze di sicurezza tunisine (FST) per combattere l’industria crescente dell’immigrazione irregolare.

A fine 2023, la Commissione europea ha annunciato di voler creare accordi su “nuovi partenariati operativi anti-trafficanti” che aumenterebbero i controlli alle frontiere, la cooperazione tra le forze di polizia e il reparto giudiziario e quella con le agenzie dell’Ue (ad esempio, Frontex). Il 28 novembre è stata inoltre convocata a Bruxelles una “conferenza internazionale su un’alleanza globale per contrastare il traffico di migranti”. Come ha affermato un alto funzionario dell’Ue a Tunisi a Refugees International, “c’è un forte desiderio da parte di alcuni in Europa di fornire al governo tunisino e alle forze di sicurezza la massima quantità possibile di risorse il più presto possibile per fermare le barche, ora e in futuro”.

La strategia prevista dall’Ue, tuttavia, sembra destinata al fallimento, non raggiungendo l’obiettivo di controllare l’immigrazione irregolare e mancando i criteri più ampi di adesione agli impegni legali, ai principi dei diritti umani e a un’efficace politica migratoria complessiva. Questo approccio dimostra quattro carenze principali.

Le pratiche abusive e autoritarie del governo Saïed

Innanzitutto, a differenza della Turchia (secondo alcuni leader dell’Ue modello di successo per prevenire l’immigrazione irregolare), la Tunisia è uno Stato più debole e diviso che sta diventando ancora più fragile a causa del crescente autoritarismo del presidente Kaïs Saïed. Nonostante l’urgenza di aiuti finanziari per evitare la bancarotta, Saïed continua a minare gli sforzi per ottenere sostegno dal Fondo Monetario Internazionale.

Allo stesso tempo, Saïed ha ripetutamente minacciato stabilità e capacità dello Stato da quando ha sospeso unilateralmente il Parlamento nel luglio 2021, smantellato le istituzioni locali e utilizzato le forze di sicurezza per reprimere l’opposizione politica e imprigionare importanti dissidenti. Saïed ha sistematicamente ridotto l’indipendenza del sistema giudiziario e attaccato la libertà di associazione e quella di stampa.

Meno apprezzato – ma cruciale per gli obiettivi dell’Ue – è il simultaneo indebolimento del settore della sicurezza del paese: già gravemente diviso prima della presidenza di Saïed, appare ora lacerato da una crescente frammentazione e da conflitti interni. Un importante analista politico tunisino ha osservato a Refugees International che il ministero degli Interni, che controlla polizia, Guardia nazionale e Guardia costiera, sta attraversando un ulteriore collasso centrifugo.

Per quanto riguarda la politica migratoria, il governo di Saïed e le forze di sicurezza tunisine hanno risposto non tanto con una gestione professionale della migrazione, quanto con politiche incoerenti e pratiche abusive come le espulsioni illegali nelle aree desertiche e di confine di migliaia di persone durante l’estate 2023. Ciò ha provocato decine di morti e feriti, nonché centinaia di migranti rimasti bloccati senza aiuti. In un altro riflesso dell’approccio illegale adottato, le autorità tunisine hanno effettuato nuove espulsioni alle frontiere nel settembre 2023 trasportando migranti in autobus verso località note per il traffico di esseri umani. In tal modo, i funzionari ne hanno agevolato l’industria e hanno dimostrato pubblicamente che avrebbero periodicamente facilitato gli imbarchi se e quando lo avessero ritenuto necessario.

In questo contesto di crescente fragilità statale, malgoverno e misure illegali, è improbabile che l’attuale governo tunisino sia in grado di allocare efficacemente nuove risorse al settore della sicurezza, attuando riforme di supervisione e responsabilità necessarie per ridurre partenze e migliorare la gestione umana e ordinata della migrazione. Il risultato più probabile è il rinnovato abuso dei migranti con scarso impatto sulle partenze verso l’Europa.

I profitti legati al traffico di esseri umani

Questa realtà è ulteriormente rafforzata dalla presenza di sempre più elementi delle FST che lucrano sulle operazioni di traffico. L’indagine condotta tra agosto e ottobre 2023 da Refugees International indica che quest’ultimi sono da tempo coinvolti nell’industria del traffico di esseri umani del paese. Attraverso dozzine di interviste, tra cui una con dieci funzionari della sicurezza nel sud della Tunisia, è chiaro che i sostanziali profitti disponibili dall’industria del traffico e il debole controllo statale hanno portato a una maggiore collusione da parte delle FST poiché sempre più migranti, rifugiati e richiedenti asilo transitano per e lasciano la Tunisia – mentre l’economia nelle aree meridionali si contrae.

Sebbene i possibili collegamenti tra tale collusione e la leadership delle FST di livello superiore rimangano poco chiari, vi sono minime evidenze di condanne per tali pratiche. Negli ultimi mesi le operazioni di sicurezza contro trafficanti e migranti hanno portato all’arresto di un funzionario della sicurezza, denunciato pubblicamente. Questa assenza di indagini solleva dubbi significativi su come risorse aggiuntive e formazione per le FST possano aver un impatto sui flussi migratori, soprattutto considerando che rimarrà un forte motivo di profitto. Il maggiore sostegno dell’Ue alla repressione dell’immigrazione, unito a occasionali interventi di sicurezza da Tunisi, produrrà solo “risultati” temporanei. Tuttavia, questo potrebbe aumentare la pressione per nuove ondate di abusi, poiché il governo cerca di dimostrare di avere la situazione degli imbarchi sotto controllo.

La rotta tunisina è meno pericolosa

Il terzo fattore che mina gli sforzi dell’Europa per scoraggiare l’immigrazione irregolare attraverso la Tunisia è che, nonostante l’abusività delle FST, le condizioni rimarranno con ogni probabilità relativamente meno terribili rispetto alle vicine Libia o Algeria, dove l’impunità, le violazioni dei diritti umani e i rischi per i migranti sono assai peggiori. Come ha affermato un migrante guineano arrivato a Sfax dopo le espulsioni di inizio luglio: “Almeno in Tunisia sento ancora l’odore della libertà e dei diritti… E questo basta per andare avanti”.

Le condizioni di partenza spingono le persone a emigrare

Questo aspetto, così come la posizione geografica della Tunisia a cavallo tra diverse isole europee, è collegato a un quarto fattore che indebolisce l’attenzione primaria sulla migrazione irregolare e sul traffico di esseri umani: il numero di persone in fuga da guerre, povertà e instabilità nella regione non diminuirà dato che le condizioni che le spingono sono destinate a peggiorare. Il risultato, quindi, è che continuerà a esserci un gran numero di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in transito proprio attraverso la Tunisia. Come in tanti altri luoghi nel mondo, la domanda costante di servizi di traffico di esseri umani per viaggi pericolosi verso le coste europee sarà molto probabilmente soddisfatta da un’industria sempre più radicata; questo accadrà tanto più che lo stato tunisino vacilla e sempre più funzionari si corrompono.

Ripensare le politiche migratorie in difesa dei diritti umani

L’approccio di breve termine nei confronti della Tunisia, avanzato dal “Team Europe”, è quindi destinato a fallire sia sul piano proprio, non riuscendo a contenere l’immigrazione irregolare, sia sul piano giuridico ed etico, vincolando il sostegno dell’Ue all’inevitabilità di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine. Come è stato ampiamente citato dai difensori di tali diritti, dal Ombudsman dell’Ue e da alcuni funzionari europei, l’incapacità dell’Ue di includere garanzie e controlli significativi per gli abusi dei diritti umani in Tunisia la espone a una condizione di complicità. Ciò è in diretta contraddizione con il diritto e i valori dell’Ue.

Se la migrazione informale verso la Tunisia non può essere controllata in modo significativo dalle politiche dell’Ue e della Tunisia, e se quella irregolare dalla Tunisia non può essere scoraggiata a causa della corruzione delle forze di sicurezza e della debolezza generale dello Stato, quali opzioni restano ai politici dell’Ue? Nell’immediato, l’Ue deve essere disposta a porre ferme condizioni su qualsiasi accordo di gestione della migrazione con Tunisi, anche a rischio di far saltare eventuali trattative. Ciò includerebbe, come minimo: cessare gli abusi sui migranti da parte delle FST, in particolare la pratica di detenzione ed espulsione sommaria dei migranti verso le aree di confine, indagare e condannare gli elementi delle FST coinvolti nel traffico di esseri umani e negli abusi sui migranti e facilitare una maggiore espansione dei servizi di aiuto d’emergenza per i migranti attraverso la Mezzaluna Rossa Tunisina e le organizzazioni umanitarie tunisine e internazionali.

L’attuale urgente necessità dell’Ue nel raggiungere un accordo finisce per concedere a Saïed un’enorme leva negoziale, a scapito di garantire un’intesa che potrebbe essere umana o efficace. Nelle consultazioni con Refugees International, alti funzionari dell’Ue a Tunisi e Bruxelles hanno espresso riluttanza nell’adottare misure significative di supervisione o responsabilità sulla cooperazione migratoria Ue-Tunisia, per paura che il governo tunisino abbandonasse il tavolo. Se così fosse, l’Ue avrebbe già perso la prospettiva di un accordo fattibile. Lo scenario predefinito basato sulle pratiche seguite finora dalla Tunisia è che un nuovo accordo farebbe ben poco per affrontare la corruzione che sta parzialmente consentendo l’impennata dell’immigrazione irregolare, ma potrebbe rafforzare il potere delle forze di sicurezza che sono state responsabili di abusi sistematici. In un simile scenario l’Ue otterrebbe scarsi progressi in materia di migrazione, ma si troverebbe a esporre gravemente la propria reputazione.

Adottare una linea più dura con la Tunisia comporterebbe dei rischi: Saïed potrebbe abbandonare un accordo che prevede una significativa responsabilità per gli abusi e misure per mitigare la collusione con i trafficanti. Ma in entrambi i casi i livelli di emigrazione potrebbero non apparire così diversi. Almeno, sollevando il dibattito sui controlli, l’Ue avrebbe la possibilità di dare potere a voci più responsabili all’interno del sistema tunisino che sono rimaste sconvolte dagli abusi, dalla corruzione e dallo smantellamento dello Stato a cui si è assistito nel 2023.

Nel lungo termine, l’Ue dovrebbe riconsiderare la fattibilità di una politica migratoria basata sulla deterrenza nel Mediterraneo. Quasi un decennio di politiche di deterrenza ed esternalizzazione ha spostato l’immigrazione irregolare verso punti diversi, alimentato la crescita di reti criminali che possono renderla più pericolosa e monetizzare la disperazione dei migranti.

È imperativo che l’Ue esplori e attui percorsi di migrazione legale espansivi e incentrati sugli aspetti umanitari. Questo cambiamento può rappresentare la soluzione più efficace per una politica sostenibile a lungo termine che affronti la migrazione irregolare. Refugees International, AffInt 18.3.

 

 

 

Il Manifesto in 8 punti della FILEF per le elezioni europee 2024

 

La rete FILEF ha pubblicato in queste ore un Manifesto per le elezioni europee 2024 con 8 punti per un futuro possibile in quanto considera il rinnovo del Parlamento Europeo un appuntamento cruciale per la storia del continente e dei suoi cittadini.

L'idea del manifesto è quella di sollecitare i cittadini italiani (all’estero e in Italia) e il mondo politico su alcuni punti che crediamo necessari per caratterizzare una Unione Europea progressista, che metta la vita, il benessere e i diritti dei cittadini al centro della sua legislazione e delle sue politiche.

Gli 8 punti

1. Una mobilità europea circolare e sostenibile nel tempo

Politiche economiche e di sviluppo della UE che favoriscano uno sviluppo armonico di tutti i paesi. La mobilità interna sia solo una delle possibilità di sviluppo dei cittadini, e non l’unica scelta rimasta per sopravvivere. Il diritto al restare nelle aree di provenienza con una vita dignitosa deve essere un diritto garantito.

2. Per un welfare e una cittadinanza europea

Far convergere i sistemi di welfare nazionale allineandoli agli standard più elevati. Una cittadinanza europea che garantisca un’uniformità di prestazioni e una portabilità dei diritti fondamentali a chi vive nell’Unione Europea.

3. Per una migrazione sicura e solidale

Rafforzare i percorsi migratori sicuri e solidali, migliorare le tutele, i diritti e il sostegno ai migranti e ai richiedenti asilo all’interno dell’UE. Le vite umane da salvare devono essere una priorità, va rispettata la Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Nessuna esternalizzazione delle frontiere e per il rafforzamento delle politiche di cooperazione con i paesi di partenza.

4. Uno sviluppo europeo equilibrato, nessuno rimanga indietro Realizzare politiche di sviluppo per colmare il divario tra i paesi più forti e le periferie dell’Unione Europea. La cura delle aree interne e spopolate è una delle leve per uno sviluppo più equilibrato. No ad un ritorno alle politiche di austerità.

5. Migliori servizi e infrastrutture

No alle politiche di austerità, sì ad un piano di investimenti pubblici. Le risorse vanno reperite da una tassazione progressiva che sposti il carico fiscale nella UE dal lavoro alla rendita.

6. Ridurre la precarietà del lavoro e aumentare le protezioni sociali

È tempo per avviare un reddito universale europeo per garantire a tutti una vita dignitosa.

7. Transizione ecologica e sociale

Per una transizione ecologica che tenga conto della transizione sociale necessaria ad accompagnare i cambi di paradigma energetici.

8. Per un’Europa protagonista

Un'Unione che agisca a livello globale per promuovere la pace, la democrazia, i diritti umani, lo stato di diritto e la giustizia economica globale e tutti i principi richiamati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

(aise/dip 29.3.) 

 

 

 

Digitalizzazione dei servizi consolari: operazione riuscita, paziente morto?

 

La Farnesina procede con la digitalizzazione. Gli italiani all’estero fanno fatica a starci dietro

Forse è solo un problema di generazioni. Cambia la tecnologia e la gente fa fatica a tenere il passo. Sono però trascorsi quasi trent’anni da quando la Farnesina, con i suoi consolati all’estero, si affacciò sulla digitalizzazione dei servizi.

Pochi lettori ricorderanno Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri, quando s’inventò il “totem” che era una specie di colonnina alle entrate dei consolati, con la quale i connazionali digitavano i propri dati e le proprie richieste per un servizio.

I totem sparirono, e Alfredo Mantica pure, ma la Farnesina non si scoraggiò. Fu creato il SIFC- Sistema Integrato Funzioni Consolari-, uno strumento a disposizione dei consolati veramente utile e prezioso. Una sorta di banca dati, con cui l’operatore può accedere ai vari servizi, alle informazioni sull’utente e alla comunicazione diretta con le altre banche dati italiane.

Poi fu la volta del FAST-IT -Farnesina Servizi telematici Italiani all’Estero- con il quale il connazionale può iscriversi all’AIRE e può accedere, via internet, ai propri dati e chiederne la variazione come il nuovo indirizzo, il cambiamento dello stato civile e via dicendo.

Infine, PrenoT@ami, che è il sistema di richiesta appuntamenti con il consolato “comodamente” da casa.

Ora è la volta di Chatbot, un sistema di comunicazione che accoglie le domande degli utenti e fornisce risposte preconfezionate.

Non si può dire, pertanto, che la Farnesina stia dormendo per quanto riguarda i vari tentativi di modernizzare i suoi servizi all’estero.

Tentativi, appunto. Infatti, ciò che salta all’occhio è lo scarsissimo effetto che questa digitalizzazione dei servizi consolari ha sulla percezione di una reale facilitazione della vita dell’utente nei confronti dell’amministrazione.

In netto contrasto sono l’enfasi con la quale il nostro Ministero degli Affari Esteri annuncia le sue ultime soluzioni telematiche e lo scetticismo con il quale la comunità italiana all’estero le accoglie.

Qui c’è qualcosa che non va. Non si spiega come mai ogni nuova idea per modernizzare la burocrazia italiana all’estero sia accolta piuttosto come un ostacolo e mai con entusiasmo.

È un problema di generazione? È un problema di mentalità? È un problema di comunicazione?

Una cosa è certa e cioè che la digitalizzazione non ha raggiunto (ancora?) i suoi obiettivi che dovrebbero essere quelli di facilitare la vita dell’utente, di velocizzare i servizi e di comunicare meglio.

Dove sta, infatti, la differenza tra oggi e trent’anni fa?

Trent’anni fa mi presentavo al consolato alle otto del mattino, mi mettevo in fila con la sigaretta in mano, mi facevo la chiacchierata con l’amico incontrato per caso, riempivo un formulario con la penna a biro, e dopo due ore e mezza me ne andavo a casa per tornare dopo una settimana a ritirare il documento. Oggi le due ore e mezza le perdo spesso davanti al PC per chiedere un appuntamento che mi viene dato dopo otto mesi. Il formulario lo compilo online. Online significa che, se non capisco una domanda, davanti a me non c’è nessun essere umano che me la spiega. Ma, l’effetto peggiore è la crescente perdita di ogni riferimento personale tra soggetti che lavorano per rendere servizi e soggetti che li chiedono. E questo, sia ben inteso non è un problema che riguarda solo i consolati. Tutta l’amministrazione italiana, europea e mondiale digitalizza i suoi servizi. Così è, punto e basta. È un processo irreversibile. La risposta “Mi dispiace ma lei non è registrato nel sistema” è demoralizzante ed è possibile riceverla in ogni parte del mondo. Il che significa che, se il computer non mi riconosce, io non esisto. Gli appuntamenti online non riconoscono concetti come urgenza, emergenza, disgrazia, paura.

La digitalizzazione non ha sentimenti, sensazioni e umanità. Un filosofo tedesco, mi pare si chiamasse Heidegger, ha messo in guardia tutti contro la tecnologizzazione della società. Secondo lui, dopo che la tecnica ha invaso il nostro modo di vivere, il bosco e la foresta perdono l’incanto e diventano una semplice riserva di legna da ardere mentre i fiumi si privano del fascino della natura e sono ora semplici masse d’acqua per ricavare energia elettrica. E il consolato? Il luogo che era la “casa degli italiani” dove “il tricolore sventola con orgoglio in terra straniera” dove “mi rifugio” se sono perseguitato all’estero”?

Cosa diventa il consolato? Un posto dove farmi una bella chiacchierata con Chatbot? Speriamo di no.  Pasquale Marino, CdI aprile

 

 

 

Le buone idee

 

Il problema politico, complicato da una burocrazia che sarà difficile sradicare, dovrà essere adeguato alle nuove esigenze di un Paese da “riordinare” a tutti i livelli. I cambiamenti, pur se progressivi, ci saranno. Ne va della stessa sopravvivenza economica nazionale. La nuova ripartizione dell’Italia dovrebbe partire dai “vertici” e, poi, distribuirsi verso la base. Comprendiamo che sarà difficile trovare i mezzi per riuscirci. Ma è indispensabile trovarli. Partendo dalla semplificazione burocratica e dai meccanismi di giustizia sociale.

 

 Le prime da “sanificare” saranno le nostre infrastrutture e i rapporti tra Burocrazia e Cittadino. L’attuale modello d’Italia non è più in grado di reggere una situazione tanto complessa. La nostra economia è sempre stata fragile; ora è in rapido declino. I rapporti tra Stato e Cittadino dovranno essere ridisegnati con una ripresa sostenibile che, però, non freni i progetti per il “nuovo”. Si dovranno riesaminare i concetti di beni comuni per agevolare le iniziative che, dai singoli, potrebbero passare ai più. Il pregio economico nazionale, necessariamente, dovrà essere distribuito in modo assai differente dall’attuale.

 

In questi mesi, tutti i “mali” nazionali sono emersi in modo tragico. Ovviamente, la politica dovrà fare la sua parte. Ma in modo diverso da quello al quale c’eravamo assuefatti. Prima, c’era molta inerzia. In futuro non dovrebbe essercene più. I progetti, a tempi brevi, non avranno più pregio e la responsabilità per realizzarli dovrà essere condivisa tra economia e politica. Favorendo i beni generali da quelli individuali. Insomma, l’Italia sarà soggetta a cambiamenti profondi; ma con la partecipazione responsabile di tutti. Come a scrivere che le buone idee dovranno essere trasferite nei fatti. Diversamente, non avranno il pregio che meritano. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Gli italiani all’estero detenuti

 

Sotto le catene del silenzio: Un viaggio nel labirinto delle detenzioni italiane all’estero

La vicenda della maestra Ilaria Salis portata in tribunale a Budapest con “i ferri” ha suscitato indignazione e sottolineato la scarsa furbizia del governo di Orban che – se avesse evitato quelle immagini, facendo accompagnare in aula la detenuta senza catene e inutili manette – avrebbe potuto gestire il caso giudiziario senza offrire un punto debole di immagine proprio nel momento in cui aveva bisogno di “sponde” a Bruxelles.

Anche se negli Stati Uniti d’America nessuno si indigna, e gli imputati hanno anche la tuta arancione come il nostro Chico Forti, che secondo il Rappresentante speciale dell’UE per la regione del Golfo, già Ministro degli Esteri italiano, doveva essere in Italia da anni, bisogna chiedersi: dove sono i “buonisti e pronti ad accusare certi governi”, ma ovviamente non quelli orientati a sinistra?

Essendo la Salis evidentemente un’attivista di sinistra (andata volutamente in Ungheria per protestare, unitamente ad anarchici e comunisti tedeschi), si è comunque subito mobilitata la solidarietà con il coro delle accuse per il comportamento “disumano” e le condizioni nelle carceri magiare.

Il caso ha ovviamente preso così una piega tutta politica e come tale finirà, ma ha anche aperto (forse) qualche interrogativo sulla situazione di tanti altri detenuti italiani all’estero di cui purtroppo si sa poco o nulla con l’impressione che una certa politica fa sempre due pesi e due misure. Basti ricordare l’arresto di un nostro diplomatico, l’ambasciatore Bosio nel 2013 nelle Filippine, dopo l’accusa infamante di due attiviste della Ong ‘Bahay Tuluyan‘ australiana, che dopo averlo denunciato per pedofilia sono subito “scappate” in Australia.

Il governo di sinistra di allora (presidente del Consiglio Renzi) nulla ha fatto per aiutarlo. Era stato arrestato a Manila il 5 aprile 2014 – quando era a capo della sede diplomatica del Turkmenistan – dopo avere rifocillato e portato in un parco tre bambini, con il via libera dei rispettivi genitori, avendo una lunga militanza nel volontariato per bambini. Tante le falle della Farnesina nella vicenda, dalla scelta dell’avvocato al silenzio dell’ambasciata di Manila, che non si è affatto preoccupata per un collega. E lui oggi dice: “Devo riprendere il mio lavoro. Spero solo di non continuare a essere considerato un problema burocratico”.

È rientrato in Italia “dopo cinquanta giorni di carcere in condizioni disumane, quaranta giorni di ospedale e venti mesi di incubo”, dopo essere stato arrestato per traffico di esseri umani e di abuso e sfruttamento dei minori.

Dove erano allora i ben pensanti che ora giudicano disumano il fatto di una attivista di sinistra andata appositamente all’estero per protestare, così come successe durante il G20 ad Amburgo nel 2017, dove tra l’altro ci furono violenti scontri con i black block e vari arresti anche di italiani che si professarono innocenti? Non potevano starsene a casa? Una cosa è protestare in maniera pacifica, un’altra è protestare con violenza, e quindi poi debbono assumersene le responsabilità.

D’altronde, ad esempio, se sei incarcerato in un paese africano passano a volte dei mesi prima che qualcuno sappia di te e ben raramente – e comunque dopo tempi infiniti – un nostro console passerà a trovarti, anche perché (ma questo non lo sa quasi nessuno) in moltissimi paesi del mondo non ci sono nostre ambasciate o consolati, ma al più solo consoli onorari che si occupano di tutt’altro e non hanno ovviamente una immunità diplomatica.

Sono oltre duemila gli italiani detenuti all’estero, ma mentre la notifica di detenzione alle nostre autorità viene rallentata dagli oscuri meandri della burocrazia – che spesso – ad esempio – in Africa ha tempi ben peggiori dei nostri – oltre alle consuete violenze fisiche, se ti chiudono in un carcere straniero spesso ti ritrovi senza soldi, senza collegamenti, senza difesa.

In Egitto sono normali celle con 50-60 detenuti, in Venezuela i penitenziari sono di fatto controllati dalle bande interne, mentre vi sconsigliamo la visita a un carcere indiano. Altro che garanzie o assistenza diplomatica: nulla. In Ruanda le carceri sono semplicemente tendopoli circondate da filo spinato senza neppure l’acqua corrente.

L’iniquità, le violenze e la corruzione sono poi di solito endemiche e più è basso il livello di vita di un paese più i detenuti sono considerati la feccia umana, su cui tutto è permesso.

Certamente se sei ricco e te lo puoi permettere diventerai il pupillo del corrotto direttore del carcere, ma a volte – se neppure i tuoi sanno che sei in galera – è impossibile perfino collegarsi con l’esterno per chiedere aiuto.

Ricordiamo l’impegno di don Leonardo, un giovane sacerdote milanese, il quale aveva organizzato “Soccorso Icaro”, ovvero un’assistenza per gli italiani rilasciati dal carcere in Venezuela in libertà condizionale, ma obbligati a rimanere nel paese fino ai processi di solito per incidenti stradali o piccoli traffici di droga.

Spesso, soprattutto in Africa ed America Latina, lo straniero è tra l’altro accusato ed incarcerato senza alcuna colpa, ma solo per un ricatto economico in vista di una “mancia” ai giudici o ai secondini e così resti detenuto finché la famiglia non paga un vero e proprio riscatto, di solito attraverso avvocati corrotti più dei giudici, e che hanno tutto l’interesse affinché il cliente resti a lungo nel bisogno.

Forse ci si immagina che un italiano detenuto sia in qualche modo aiutato e protetto, ma pochi sanno come siano minime le nostre presenze diplomatiche “sul campo” e spesso passano settimane e mesi prima che un governo africano comunichi all’ambasciata italiana (che di solito è in un altro paese) l’avvenuto arresto di un connazionale che nel frattempo è carne da macello, purtroppo spesso in tutti i sensi.

D’altronde se una nostra ambasciata-tipo, da quelle parti ha solo due diplomatici (di solito l’ambasciatore ed un suo giovane vice) e deve coprire molti paesi contemporaneamente, difficile che almeno il “vice” possa arrivare a visitare un italiano detenuto, magari in un piccolo carcere di provincia a centinaia o migliaia di chilometri dalla nostra più vicina sede diplomatica.

Le avventure dei nostri turisti in Madagascar (paese in cui la nostra ambasciata è stata chiusa, dipendendo ora da Pretoria, in Sudafrica, che contemporaneamente “copre” sette diversi paesi in tutto il sud del continente e che al Madagascar non è neppure collegata direttamente via aerea) come quelle in altri paesi hanno spesso portato a proteste ed inascoltate interrogazioni parlamentari. Spesso è poi difficile la cooperazione all’estero tra gli stessi paesi della UE in una sorta di malcelata rivalità, mentre sarebbe molto più logico ed economico che – soprattutto nei piccoli paesi africani o asiatici – una rappresentanza unica ma efficiente dell’Unione Europea segua le vicende di tutti i cittadini europei, compresi quelli detenuti, come già in teoria dovrebbe essere, ma che nella pratica, spesso, purtroppo non avviene.

Tematiche di cui si sa poco o nulla, che raramente vanno sui giornali, ma hanno sconvolto le vite di molte famiglie quando hanno scoperto, spesso dopo lungo tempo, che il familiare scomparso era semplicemente detenuto iniziando, per cercare di liberarlo, un vero e proprio calvario, e di questi nostri connazionali chi se ne preoccupa? …. soprattutto se non sono attivisti di sinistra, per i quali invece c’è subito pronta una poltrona in parlamento ed in questo caso specifico, la proposta è di candidare la Salis all’europarlamento, come la Carola Rackete, candidata per la Die Linke, che a capo della Sea Watch che ha un equipaggio prevalentemente tedesco, ma naviga sotto bandiera olandese, ha fatto quello che tutti sanno nel nostro Paese. Nei Paesi Bassi, il più grande partito al governo, VVD, ha dichiarato che le organizzazioni non governative che prelevano consapevolmente persone senza permesso devono essere condannate per favoreggiamento della tratta di esseri umani ed il portavoce Jeroen van Wijngaarden ha dichiarato: “In realtà non sono un servizio di emergenza, ma un servizio di traghetti!” Pierluigi Vignola, CdI marzo

 

 

 

Esistenza in vita: partita la prima campagna 2024

 

Roma - È iniziata lo scorso 20 marzo la prima fase della campagna di esistenza in vita che l’Inps rivolge, attraverso Citibank, ai pensionati italiani all’estero.

Questa prima fase, riferita all’anno 2024, si svolgerà fino a luglio 2024 e riguarderà i pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi scandinavi, Stati dell’Est Europa e Paesi limitrofi.

Citibank N.A. ha iniziato la spedizione delle richieste di attestazione dell’esistenza in vita il 20 marzo; i pensionati dovranno far pervenire le attestazioni entro il 18 luglio 2024. Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta, il pagamento della rata di agosto 2024, laddove possibile, avverrà in contanti presso le Agenzie Western Union del Paese di residenza. In caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 agosto 2024, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di settembre 2024.

La seconda fase della verifica, che si svolgerà da settembre 2024 a gennaio 2025, riguarderà i pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania. Le comunicazioni saranno inviate ai pensionati a partire dal 20 settembre 2024 e i pensionati dovranno far pervenire le attestazioni di esistenza in vita entro il 18 gennaio 2025.

Per razionalizzare lo svolgimento dell’attività di verifica in un’ottica di semplificazione amministrativa, l’Inps ha chiesto a Citibank N.A di escludere dall’accertamento iniziato a marzo 2024 alcuni gruppi di pensionati:

A. pensionati che sono oggetto di scambi mensili di informazioni con lo ZUS polacco. Poiché è operativo l’accordo che l’Istituto ha stipulato con lo Zaklad Ubezpieczen Spolecznych (ZUS) per scambiare telematicamente informazioni relative al decesso di pensionati comuni, si fa presente che sono stati esclusi dalla richiesta di fornire la prova annuale di esistenza in vita i beneficiari di trattamenti pensionistici residenti in Polonia, a condizione che tali soggetti siano titolari anche di prestazioni pensionistiche a carico dello stesso ZUS;

B. pensionati che hanno riscosso personalmente agli sportelli Western Union almeno una rata di pensione in prossimità dell’avvio del processo di verifica. Infatti, la riscossione personale presso il partner d’appoggio della Banca è stata considerata prova sufficiente dell’esistenza in vita, poiché le agenzie Western Union accertano, all’atto dell’incasso, l’identità del beneficiario attraverso documenti validi con foto;

C. pensionati i cui pagamenti sono stati già sospesi da Citibank N.A. a seguito del mancato completamento delle precedenti campagne di accertamento dell’esistenza in vita o di riaccrediti consecutivi di rate di pensione.

Citibank invierà un plico che conterrà una lettera esplicativa e un modulo standard di attestazione ai pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi scandinavi, Stati dell’Est Europa e Paesi limitrofi.

La modulistica è stata redatta sia in lingua italiana sia, a seconda del Paese di destinazione, in inglese, francese, tedesco, spagnolo o portoghese. Con riferimento ai pensionati residenti in Canada e Svizzera, Citibank N.A. invierà la lettera e il modulo in tre lingue (italiano, francese e inglese in Canada, italiano, francese e tedesco in Svizzera).

Come per gli anni passati, diverse sono le modalità per fornire la prova dell’esistenza in vita: in modalità cartacea, cioè restituendo il modulo ricevuto debitamente compilato entro il 18 luglio; attraverso il portale web di Citibank con l’aiuto degli operatori di patronato abilitati o dei funzionari delle Rappresentanze diplomatiche indicati dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (INPS e Farnesina hanno condiviso un progetto che prevede la possibilità per i pensionati di rapportarsi con gli Uffici consolari tramite un servizio di videochiamata); con la riscossione personale presso gli sportelli Western Union.

Il Servizio di Citibank a supporto dei pensionati, operatori di Consolato, delegati e procuratori che necessitino di assistenza riguardo alla procedura di attestazione dell’esistenza in vita è raggiungibile sul sito www.inps.citi.com; inviando un messaggio di posta elettronica all'indirizzo inps.pensionati@citi.com; telefonando a uno dei numeri telefonici indicati nella lettera esplicativa.

Il messaggio dell’Inps firmata dal Direttore generale Vincenzo Caridi è disponibile qui. (aise/dip 27.3.) 

 

 

 

 

Una riflessione a posteriori

 

La nostra Emigrazione merita una più accurata osservazione. Noi la monitoriamo da oltre mezzo secolo. Tanto per evitare confusione, facciamo aggiornamenti su periodi trentennali; con inizio dal 1900. La prima Generazione Migrante è terminata nel 1930 più verso le Americhe che l’Europa. La seconda nel 1960, la terza nel 1990 e l’ultima è iniziata nel 2020. Negli anni Trenta non eravamo nati e ci siamo affidati alle cronache del tempo. Con gli anni Sessanta ci rammentiamo, però, delle valigie di cartone, dei treni superaffollati che portavano per l’Europa uomini e donne d’Italia alla ricerca di quel futuro che in Patria non potevano realizzare. Tempi difficili. Chi li ha vissuti potrà dare conferma di quest’oggettività che, ora, sembra lontana.

 

 L’Emigrazione italiana, dopo il secondo conflitto mondiale, si è riversata nel Vecchio Continente. Le mete erano Paesi vicini all’Italia; ma, per chi partiva, sempre lontanissimi. Con la Seconda generazione, il processo d’integrazione, con la realtà dei Paesi ospiti, è iniziato. Con i nati in terra straniera, già si profilava la Terza generazione. Perfettamente adattata allo stile di vita della terra che l’ha vista nascere. Dei milioni d’italiani, loro figli e loro nipoti nel mondo, solo poco più di cinque milioni hanno mantenuto la nostra cittadinanza, magari acquisendo anche quella del Paese ospite. Questa premessa l’abbiamo voluta sintetizzare per evidenziare che, indipendentemente dai tempi e dalle generazioni, gli italiani oltre confine hanno dovuto fare i conti anche con normative partorite solo per i residenti nel Bel Paese.

 

Il voto politico è sempre stato consentito; ma chi l’ha esercitato non è riuscito a prospettare nessun cambiamento per l’Italia da oltre confine. La legge che permette il voto dei Connazionali direttamente dalla loro residenza all’estero, è stata una “goccia” che non ha potuto riempire un “mare”. Sono passati anni dalla sua approvazione. Nessuno ha, mai, chiesto un “aggiornamento”. Così gli eletti nella Circoscrizione Estero non sono altro che parlamentari inquadrati nella scacchiera dei partiti politici nazionali. Dei quali, gioco forza, sono tenuti a seguire i doveri. Insomma, per gli italiani all’estero si sono spese poche parole, ma per i fatti la prospettiva non è stata migliore. Ci siamo resi conto che, pur mancando l’equiparazione per certi diritti, l’adeguamento ai doveri è stato più rapido. Riteniamo, però, che gli italiani all’estero, che non sono degli ingenui, ora faranno comprendere, a chi li dovrebbe rappresentare, che la riforma elettorale, quando ci sarà, non li dovrà più condizionare. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

Nasce “Giornaliste italiane”, un’associazione di donne nel mondo dell’informazione

 

Giovedì 21 marzo, a Roma è stata presentata l'associazione "Giornaliste Italiane", presso la sede di Associazione Civita a Piazza Venezia.

 

Le donne stanno vivendo una congiuntura storica favorevole che le vede alla guida delle Istituzioni europee, dalla Commissione con Ursula von der Leyen, al Parlamento con Roberta Metsola ed in Italia con Giorgia Meloni, prima donna Presidente del Consiglio della storia repubblicana. E poi ancora con Antonella Polimeni, prima rettrice donna dell’Università La Sapienza, una delle più grandi d’Europa, dove si forma la futura classe dirigente.

 

Le fondatrici credono sia giunto il momento di spingere sull’acceleratore per superare i luoghi comuni e passare alle azioni: quante donne dirigono quotidiani, agenzie e testate radio e tv? E quelle poche che ci sono, guadagnano quanto i loro omologhi uomini?

 

Su 38 direzioni di giornali in Italia, 6 direttori sono donne e 32 sono uomini. È quanto emerge dalla mappatura digitale del divario di genere nel giornalismo italiano, realizzata da SocialCom e presentata durante l’evento. Sono necessarie azioni mirate alla valorizzazione delle donne e al raggiungimento di una piena parità di genere sia nell'occupazione sia nella crescita professionale.

 

La parità dei diritti deve essere reale e non artificiosamente simulata attraverso la creazione di quote stabilite per legge. L’obiettivo finale non può e non deve essere l’introduzione di neologismi come “direttora”, ma lo sradicamento dei pregiudizi che pongono le giornaliste in posizione subalterna rispetto agli uomini. Le riforme vere e necessarie non sono quelle lessicali, bensì quelle culturali. Come ha ricordato il Presidente Mattarella, le donne hanno bisogno di un supplemento di fatica per affermarsi, ma quando ottengono ruoli di rilievo, sono affidabili, capaci, caparbie e rispettose.

 

Un ringraziamento ad Ilaria Alpi, di cui il 20 marzo ricorreva il trentesimo anniversario dell'uccisione, perché "ci ha lasciato un messaggio importante e cioè che non conta essere uomini o donne, l'importante è che i giornalisti siano capaci. Ecco perché abbiamo pensato di creare un'associazione di giornaliste, per dare voce a tutte quelle colleghe che oggi, pur essendo brave, non hanno il successo che meriterebbero". Così Ida Molaro, giornalista parlamentare di Mediaset, ha dato il via alla presentazione.

 

“Questa è un’associazione di cui c'era un gran bisogno, per ottenere più diritti, meno pregiudizi ed essere libere di valere, come dice il nostro slogan”, afferma Paola Ferazzoli, giornalista Rai nonché segretario di “Giornaliste italiane”.

 

“Farsi valere non è facile e non è uguale per tutti. Vogliamo essere una squadra che cammina insieme alle altre, per raggiungere obiettivi comuni. Puntiamo a nuovi modelli di organizzazione del lavoro che non implichino rinunce professionali per le donne, che garantiscano loro le stesse prerogative di cui godono i colleghi uomini nelle progressioni di carriera e nel raggiungimento di ruoli apicali. L’associazione ha l’ambizione di diventare un manifesto culturale per tutte le giornaliste libere: libere dalle appartenenze e dalle catene del conformismo linguistico-culturale. Dar vita ad una nuova associazione di giornaliste è una priorità non più rinviabile. Siamo professioniste della comunicazione che meritano rispetto, lo stesso che darebbero ad un uomo. Siamo tenaci, affidabili e caparbie e abbiamo l'ambizione di diventare un movimento culturale per le colleghe. Non siamo le "mogli di", "fidanzate di", "amiche di", non siamo una specie protetta. Non ci interessa essere chiamate 'direttora', ma farci trattare da direttore ed il confronto con tutte le donne, con l'obiettivo di migliorare questo percorso, è per noi una stella polare”.

 

Questo il messaggio unitario che vuole essere diffuso dalle fondatrici dell’associazione: Paola Ferazzoli, Federica Frangi, Elisabetta Mancini, Maria Antonietta Spadorcia, Ida Molaro, Francesca Avena e Manuela Biancospino. Tra le promotrici dell’evento, Giovanna Ianniello, responsabile della comunicazione e storica portavoce del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e Silvia Cirocchi, portavoce del Ministro Nello Musumeci. Direttrici e direttori di vari quotidiani, agenzie di stampa, testate televisive e volti noti della tv hanno partecipato all’evento, nonché vertici Rai.

 

Importanti le parole delle istituzioni presenti, tra cui il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano; la Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Maria Roccella ed il Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci.

 

“Libere dai pregiudizi, libere di valere. Abbiamo sintetizzato in questo slogan, riportato anche nel nostro sito (www.giornalisteitaliane.it), le ragioni che ci hanno convinte a costituire l’associazione “Giornaliste Italiane”. Giornaliste perché abbiamo fatto la gavetta macinando chilometri e fallimenti, Italiane perché veniamo da ogni angolo di quello che consideriamo il Paese più bello del mondo, la casa che ci ha dato le radici. E proprio come di una casa ce ne prendiamo cura raccontandone, con il nostro lavoro, non solo i pregi ma anche i difetti da correggere. Il Tricolore richiamato nella penna stilografica che abbiamo nel nostro logo è un omaggio alla Costituzione che all’articolo 12 recita: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso a tre bande verticali di eguali dimensioni”, è questo che affermano coralmente le fondatrici.

 

La mission di “Giornaliste italiane” è di puntare a nuovi modelli di organizzazione del lavoro che non implichino rinunce professionali per le donne, che garantiscano loro le stesse prerogative di cui godono i colleghi uomini nelle progressioni di carriera e nel raggiungimento di ruoli apicali.

 

Tra gli obiettivi centrali anche una battaglia culturale e fattuale per promuovere la reale parità di genere, anche grazie ad azioni che rimuovano gli ostacoli che le donne incontrano ogni giorno per coniugare lavoro e famiglia. L’intenzione è quella di lavorare con la solerzia che scaturisce dalla forza femminile: coscienza e coraggio. Manuela Biancospino, de.it.press

 

 

 

Studiare in Italia: procedure ingresso, soggiorno, immatricolazione degli studenti internazionali per il 2024-2025

 

ROMA – Pubblicate dal Ministero dell’Università e della Ricerca le procedure per l’ingresso, il soggiorno, l’immatricolazione degli studenti internazionali e il relativo riconoscimento dei titoli, per i corsi della formazione superiore in Italia.

Le procedure sono valide per l’anno accademico 2024-2025 presso: le Università italiane statali e non statali autorizzate a rilasciare titoli aventi valore legale; le Istituzioni italiane statali per l’alta formazione artistica e musicale e non statali autorizzate a rilasciare titoli aventi valore legale e le Istituzioni autorizzate a rilasciare titoli di Alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Le procedure annuali 2024/2025 – si legge sul portale del MUR Universitaly.it  – sono redatte sulla base degli esiti ottenuti dalla riunione annuale del Gruppo di lavoro indetto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, di concerto col Ministero dell’Istruzione e del Merito, col Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e col Ministero dell’Interno. Lo scopo di tali procedure è coordinare e orientare le politiche delle Istituzioni italiane della formazione superiore, delle Rappresentanze diplomatico-consolari e delle Questure in materia di ingresso, soggiorno, immatricolazione e riconoscimento dei titoli degli studenti internazionali per i corsi della formazione superiore in Italia.

Per l’anno accademico 2024/2025 le domande di visto dovranno essere presentate, presso le competenti Rappresentanze diplomatico-consolari, entro e non oltre il 29 novembre 2024. In caso di proroga dei termini, le Istituzioni della formazione superiore potranno continuare le proprie procedure di reclutamento degli studenti internazionali e la relativa valutazione dell’idoneità dei titoli esteri da essi posseduti, così come le Rappresentanze diplomatico-consolari potranno procedere con la trattazione delle domande di visto fino ad esaurimento delle domande di pre-iscrizione, purché pervenute entro le date previste e dai successivi aggiornamenti. Inoltre, con riferimento al termine del 29 novembre 2024, le Istituzioni della formazione superiore potranno, sulla base della propria autonomia e in riferimento ai singoli corsi di studio presenti all’interno della propria offerta formativa, indicare sui propri portali una data precedente a quella indicata per ogni singolo corso, sulla base delle esigenze specifiche collegate all’inizio delle attività didattiche.

La domanda di preiscrizione per il rilascio del visto per i candidati ai corsi di studio presso le Istituzioni della formazione superiore italiane dovrà essere presentata esclusivamente per il tramite del portale UNIVERSITALY1, unico portale di accesso gratuito e ufficiale del Ministero dell’Università e della Ricerca. Il Ministero dell’Università e della Ricerca si riserva la possibilità di emettere successive integrazioni o modifiche alle Procedure previa consultazione con gli altri Ministeri competenti. https://www.universitaly.it/studenti-stranieri  (Inform/dip)

 

 

 

 

Italiani nel mondo

 

Gli italiani all’estero sono milioni e la nostra emigrazione resta un evento sociale ancora meritevole d’essere monitorato. 

Col tempo, l’integrazione è riuscita a fornire una nuova dimensione di vita per i Connazionali nei Paesi ospiti. Molti hanno cambiato cittadinanza e per chi ha mantenuto quell’italiana, al voto nazionale non manifesta particolare interesse.  Eppure, limitandoci al Vecchio Continente, gli italiani sono quasi tre milioni. Molti sono figli, se non nipoti, di chi, negli anni 50/60, si erano recati al lavoro nelle miniere con contratti di “scambio” (braccia per carbone).

 

 Rammentiamo, con profonda amarezza, che la nostra Emigrazione è stata “tribolata”. Tutto, ora, sembra lontano. Eppure è storia di ieri. Oggi impensabile, ma che ha segnato almeno una Generazione. Ora, in UE, i problemi si sono modificati; pur essendo, in parte, presenti ancora alcuni. E’ di scena il Parlamento Europeo, la moneta unica, La Banca Centrale, ma i nazionalismi, anche in questo 2023 avranno preponderanza sul concetto di tutela dei problemi socio/economici del Vecchio Continente. L’apprezzamento per chi ha conservato la cittadinanza d’origine, è indiscutibile, ma non basta. Insomma, l’Europa “stellata” non brilla sempre di luce propria.

 

Anche la posizione d’italiani all’estero non dovrebbe essere equiparata ai residenti nella penisola unicamente al momento del voto. Ai Connazionali nel mondo spetta un trattamento più consono al loro stato. Ma quando? E come? Sono interrogativi che non sono stati ancora risolti; perché mai affrontati. Quelli che scarseggiano restano i “fatti” irrisolti. Lo scriviamo perché l’Italianità non è un termine vago e indistinto; ma una realtà che può essere di supporto anche per il Paese d’origine. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

Proventi dei passaporti ai Consolati: la Commissione Esteri conclude l’esame

 

ROMA - Nella seduta di ieri pomeriggio la Commissione Affari Esteri della Camera ha concluso l’esame degli emendamenti presentati alla proposta di legge Ricciardi “Destinazione agli uffici diplomatici e consolari di quota dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all'estero”.

Alla presenza della sottosegretaria agli esteri Maria Tripodi, il relatore Emanuele Loperfido (FdI) ha letto gli emendamenti presentati dagli eletti all’estero - Di Sanzo (Pd), Porta (Pd) e Onori (Az) – esprimendo parere favorevole o contrario.

Posto che, come spiegato da Ricciardi nella presentazione del testo, l’obiettivo della proposta di legge è destinare ai Consolati parte dei proventi incassati dal rilascio dei passaporti, anche per l’assunzione di personale interinale, Di Sanzo ha presentato un emendamento, accolto dal relatore, in cui si precisa: “Tali risorse sono destinate al rafforzamento dei servizi consolari per i cittadini italiani residenti o presenti all'estero, con priorità per i servizi maggiormente richiesti”.

Parere sfavorevole, invece, per gli emendamenti di Onori e Porta sulla valorizzazione contrattuale del personale a contratto.

Via libera, dopo una riformulazione, anche a due identici emendamenti di Porta e Onori sulla destinazione alla rete del 30% delle risorse ottenute dai passaporti.

Parere contrario sugli emendamenti Porta e Onori che chiedevano la destinazione di parte delle risorse al riadeguamento retributivo del personale a contratto.

Parere favorevole, infine, all’emendamento Onori, riformulato, in cui si dispone che “Entro il 31 marzo di ogni anno a decorrere dall'anno successivo all'entrata in vigore della presente legge, nel sito internet del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è pubblicata una relazione contenente i dati aggregati relativi all'utilizzo dei proventi di cui al comma 1”.

Nel breve dibattito che ha preceduto il voto, Billi (Lega) ha espresso “perplessità sull'efficacia della proposta in esame ai fini di un rafforzamento della rete diplomatico-consolare”, sostenendo che servirebbe “definire meglio le finalità attese ed approfondire l'adeguatezza delle risorse finanziarie rispetto agli scopi che il provvedimento si prefigge”.

Ricciardi, dopo aver espresso “apprezzamento per l'onestà intellettuale del collega Billi” si è detto “disponibile a proseguire il confronto sul provvedimento. Credo – ha aggiunto – che l'eventuale approvazione dell'emendamento Di Sanzo 1.2, su cui relatore ed Esecutivo hanno espresso parere favorevole, possa contribuire a dissipare le perplessità espresse dall'onorevole Billi”.

Passando ai voti, la Commissione ha approvato gli emendamenti segnalati dal relatore.

Il testo del provvedimento sarà ora trasmesso alle Commissioni assegnatarie in sede consultiva per l'espressione dei pareri. (aise/dip 21.3.) 

 

 

 

Portale unico per gli italiani all'estero: gli emendamenti presentati in Commissione

 

ROMA - Quattro gli emendamenti presentati alla proposta di legge “Istituzione del Portale unico telematico per gli italiani all'estero” a prima firma Federica Onori, deputata di Azione eletta in Europa.

A comunicarlo è stato il Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera Giulio Tremonti nella seduta di ieri pomeriggio, alla presenza della sottosegretaria Tripodi.

Alla luce dei testi presentati, il relatore del provvedimento, Simone Billi (Lega), ha proposto il rinvio dell’esame per “approfondire taluni profili delle proposte emendative presentate”. Proposta su cui ha convenuto anche Onori.

Con il Portale si vuole “racchiudere in un unico contenitore virtuale tutte le informazioni di fondamentale utilità per gli italiani all'estero, come richiesto in appositi atti di indirizzo approvati nella scorsa legislatura”, aveva spiegato Onori nella seduta del 14 febbraio scorso.

E proprio la deputata, prima firmataria della legge, ha presentato un emendamento per precisare: “Il Portale è finalizzato a racchiudere in un unico contenitore virtuale tutte le informazioni di maggiore utilità oltre che coordinare i flussi informativi, migliorare e semplificare gli strumenti di comunicazione a favore dei soggetti indicati al primo periodo, anche attraverso l'armonizzazione della rete dei terminali dello Stato all'estero e lo sviluppo di standard comunicativi omogenei, garantendo l'interoperabilità tra le diverse piattaforme di informazione esistenti”.

Di Sanzo e Porta (Pd), invece, con la loro proposta emendativa chiedono che il portale contenga sia “informazioni relative alla normativa fiscale” che “informazioni riguardanti gli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero (Comites e CGIE), con le relative modalità di elezione”.

Porta, con un altro emendamento, chiede di aggiungere alla legge che il Portale contenga “uno spazio dedicato a riunioni online riservate ai membri di Comites e CGIE e ad eventuali ospiti. Tale spazio deve garantire la fruibilità dell'interconnessione tecnologica tra un numero elevato di partecipanti, anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie”.

Con l’ultimo emendamento, sempre Di Sanzo e Porta chiedono di aggiungere alla legge che “Le informazioni normative presenti sul portale devono, comunque, essere visibili al pubblico generale”. (aise/dip 21.3.)

 

 

 

Agli uffici diplomatici e consolari parte dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all’estero?

 

ROMA – Prosegue, presso la Commissione Esteri della Camera l’esame del provvedimento “Destinazione agli uffici diplomatici e consolari di quota dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all’estero” (C. 960 Toni Ricciardi ed altri). Nel corso della seduta sono stati approvati, dopo il parere favorevole del relatore Emanuele Loperfido (Fdi), i seguenti emendamenti:  1.2 Di Sanzo “Tali risorse sono destinate al rafforzamento dei servizi consolari per i cittadini italiani residenti o presenti all’estero, con priorità per i servizi maggiormente richiesti”; 1.5 Porta – 1.6 Onori riformulati “La percentuale di cui al comma 1 è pari al 30 per cento a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge; 1.9. Onori Nuova formulazione “Entro il 31 marzo di ogni anno a decorrere dall’anno successivo all’entrata in vigore della presente legge, nel sito internet del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è pubblicata una relazione contenente i dati aggregati relativi all’utilizzo dei proventi di cui al comma 1”. Durante il dibattito il deputato Simone Billi (Lega – ripartizione Europa) ha espresso perplessità sull’efficacia della proposta in esame ai fini di un rafforzamento della rete diplomatico-consolare. In particolare, secondo il deputato occorrerebbe definire meglio le finalità attese ed approfondire l’adeguatezza delle risorse finanziarie rispetto agli scopi che il provvedimento si prefigge. Su questo punto è intervenuto il deputato del Pd e primo firmatario della proposta di legge Toni Ricciardi  (Pd- ripartizione Europa), che si è dichiarato disponibile a proseguire il confronto sul provvedimento. Per il deputato l’approvazione dell’emendamento Di Sanzo 1.2, su cui relatore ed Esecutivo hanno espresso parere favorevole, può contribuire a dissipare le perplessità espresse dall’onorevole Billi. A seguire il Presidente della Commissione Giulio Tremonti ha segnalato la conclusione dell’esame delle proposte emendative. Il testo del provvedimento sarà ora trasmesso alle Commissioni assegnatarie in sede consultiva per l’espressione dei pareri previsti. (Inform/dip 24.3.)

 

 

 

L’assegno unico universale e gli iscritti Aire: i deputati Pd interrogano Giorgetti

 

ROMA - Ripristinare le detrazioni familiari per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni a favore dei contribuenti residenti in Italia ma con nucleo familiare a carico residente all'estero. A chiederlo sono i deputati Pd eletti all’estero Toni Ricciardi, Fabio Porta e Christian Di Sanzo in una interrogazione a risposta in Commissione indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze Giorgetti.

Nella premessa, i tre deputati ricordano che “a partire dal 1° marzo 2022 l'assegno al nucleo familiare (Anf) e le detrazioni per figli a carico di età inferiore ai 21 anni sono stati sostituiti dall'assegno unico universale (Auu); il diritto all'Auu è vincolato alla residenza in Italia e quindi l'abrogazione dal 28 febbraio 2022 delle prestazioni familiari (assegni Anf e detrazioni) ha penalizzato esclusivamente i contribuenti italiani residenti all'estero, pensionati e soprattutto lavoratori (i cosiddetti «non residenti Schumacher» che producono reddito in Italia per almeno il 75 per cento del loro reddito complessivo)”.

“In più occasioni – puntualizzano i tre eletti all’estero – la Corte di giustizia dell'Unione europea ha sentenziato che (sulla scorta dell'articolo 7 del regolamento n. 883 del 2004, intitolato “abolizione delle clausole di residenza”) le prestazioni familiari in denaro dovute a titolo della legislazione di uno o più Stati membri non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il fatto che il beneficiario o i familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova l'istituzione debitrice (l'ultima sentenza in materia è quella riferita alla causa n. 328/2020 del 16 giugno 2022); con riferimento ai contribuenti residenti in Italia i quali hanno a proprio carico familiari residenti all'estero e ai quali sono negati l'assegno unico, le detrazioni e gli assegni familiari per i familiari residenti all'estero, - sottolineano Ricciardi, Porta e Di Sanzo – la Corte di giustizia dell'Unione europea ha quindi dichiarato che una persona ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente, anche per i familiari che risiedono in un altro Stato membro”.

Ricordato, infine, che “la Ue ha aperto due procedure di infrazione contro l'Italia in tema di reddito di cittadinanza e di assegno unico universale, (INFR 2022/4024) e (INFR 2022/4113), censurando per discriminazione i requisiti di residenza richiesti dalle norme istitutive dei due benefìci”, i parlamentari chiedono al Ministro se “stante il mancato accesso ai benefìci derivanti dall'assegno unico universale, nelle more di un'azione del Governo volta a conformare l'ordinamento italiano alle direttive UE e sanare le procedure di infrazione in corso, se non si ritenga di colmare questa ingiusta discriminazione descritta in premessa adottando le iniziative di competenza volte almeno a ripristinare le detrazioni familiari per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni a favore dei contribuenti residenti in Italia ma con nucleo familiare a carico residente all'estero”. Pd/dip

 

 

 

Spid e patronati: Ricciardi (Pd) interroga il Governo

 

ROMA  - Facilitare il lavoro dei patronati che all’estero trattano le pratiche per l’ottenimento dello Spid. Questo, in sintesi, quanto richiesto da Toni Ricciardi, deputato Pd eletto all’estero, in una interrogazione ai Ministri degli esteri e del lavoro, sottoscritta anche dal collega Fabio Porta.

“Nel febbraio 2023 – spiega Ricciardi nella premessa – la società Infocert – unico provider per l'ottenimento dello Spid (sistema pubblico di identità digitale) che consentiva l'utilizzo del video-riconoscimento per i residenti all'estero non in possesso di un documento di identità rilasciato da un'amministrazione dello Stato italiano – ha comunicato ai patronati esteri, pena la sospensione dello Spid, l'obbligo di fornire un documento italiano per chi era stato abilitato alla registrazione senza esserne in possesso, in adeguamento all'articolo 7 del regolamento Agid che recita: “L'operatore che effettua l'identificazione accerta l'identità del richiedente tramite la verifica di un documento di riconoscimento integro e in corso di validità rilasciato da un'amministrazione dello Stato, munito di fotografia e firma autografa dello stesso, e controlla la validità del codice fiscale verificando la tessera sanitaria anch'essa in corso di validità””.

“Da oltre un anno, dunque, - continua Ricciardi – gli operatori di patronato che non hanno la cittadinanza italiana e, di conseguenza, non sono titolari di un documento di identità italiano, non possono più svolgere gran parte del lavoro a cui sono assegnati, perché non hanno i requisiti fondamentali per il rilascio di un'identità digitale; l'utilizzo dello Spid consente lo svolgimento da parte dei patronati all'estero di servizi al cittadino senza gravare sulla rete consolare, ma l'applicazione letterale dell'articolo 7 del regolamento Agid rende impossibile continuare a garantire servizi a centinaia di migliaia di italiani all'estero, in particolare nei Paesi extra-europei”.

“Difatti, - chiarisce il parlamentare dem – in assenza dello Spid, i patronati dovrebbero ricorrere, per lo svolgimento delle migliaia di pratiche quotidiane, alla posta elettronica certificata, con un conseguente aggravio e rallentamento del lavoro soprattutto per Inps”.

“Gli uffici consolari – ricorda Ricciardi – sono già in affanno per mancanze strutturali e di personale e faticano a soddisfare l'attuale carico di lavoro; inoltre, il centro patronati (CE-PA) (Acli, Inca, Inas, Ital) ha evidenziato più volte la totale assenza di un dialogo da parte del Ministero del lavoro, senza aver ricevuto, ad oggi, alcuna certezza o riscontro che la problematica possa essere risolta”.

Ricordato che “già, nel marzo 2024, alcuni Senatori del gruppo del Partito democratico avevano presentato un atto di sindacato ispettivo al Ministro interrogato, senza allo stato aver avuto alcun riscontro”, il deputato chiede ai Ministri Tajani e Calderone “quali iniziative intenda intraprendere il Governo per risolvere la problematica esposta in premessa e consentire agli operatori di continuare ad assicurare l'erogazione dei servizi strumentali all'esercizio dei diritti dei nostri connazionali all'estero”. (aise/dip 25.3.) 

 

 

 

M.I.R.T.A.: inaugurata dalla Farnesina la nuova piattaforma digitale di assistenza ai connazionali all’estero

 

ROMA - M.I.R.T.A. (Monitoraggio In Rete Tutela e Assistenza consolare): è la nuova piattaforma digitale che permetterà alla rete diplomatico-consolare del Ministero degli Esteri il monitoraggio degli interventi di assistenza a beneficio dei cittadini italiani nel mondo.

La nuova piattaforma, strumento versatile e articolato, è stata inaugurata oggi 3 aprile su impulso del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani. Assistenza ai detenuti, prestiti ai connazionali in difficoltà, minori contesi e rimpatri sanitari sono solo alcuni dei settori di intervento che impegnano quotidianamente le Sedi italiane all’estero e la cui gestione – sottolinea la Farnesina – i sarà, grazie alla nuova piattaforma, improntata a una capillarità ancora maggiore, incentivata da un’interfaccia di più agevole consultazione e aggiornamento e volta a prestare una più puntuale e costante assistenza a tutti gli italiani nel mondo. “Con il lancio della nuova Piattaforma, continua l’impegno della Farnesina per rendere sempre più efficiente ed efficace la tutela degli italiani nel mondo” ha commentato Tajani, che ha aggiunto: “Digitalizzazione e innovazione si confermano processi centrali anche nel monitoraggio delle numerose e complesse vicende che coinvolgono i nostri connazionali all’estero: dai detenuti ai rimpatri sanitari, dai minori contesi ai connazionali indigenti”. (Inform/dip 3)

 

 

 

Porta (Pd): l’indebolimento della tutela previdenziale degli italiani all’estero

 

ROMA - “Nell’ultima rilevazione fornita dall’Inps per il 2023 risulta che su circa 680.000 pensioni in regime internazionale sono circa 317.000 le pensioni pagate all’estero in 160 Paesi dall’Istituto previdenziale italiano per un importo totale di 1.600 milioni di euro l’anno”. A ricordarlo è Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, che specifica: “dal punto di vista tendenziale diminuiscono le pensioni pagate nelle Americhe e in Oceania (continenti che rappresentano storicamente le destinazioni preferite dei nostri emigrati nel secolo scorso e che adesso ospitano i pensionati più anziani il cui numero sembra destinato per ovvie ragioni a diminuire) mentre aumentano, anche se di poco, quelle pagate in Europa, in America centrale, in Africa e in Asia”.

“Purtroppo – rileva il deputato – sono ancora esclusi, come sto continuamente denunciando nel corso della mia attività parlamentare, dalla possibilità di ottenere la pensione in regime internazionale gli italiani i quali dopo aver lavorato in Italia sono emigrati in Paesi con cui l’Italia non ha stipulato una convenzione di sicurezza sociale, come ad esempio il Cile (vuoto normativo convenzionale incomprensibile visto che l’accordo era già stato firmato tra i due Paesi negli anni ’90 del secolo scorso), il Perù, la Colombia, l’Ecuador, il Messico ed altri Paesi dell’America Latina dove vivono importanti comunità di italiani, e quasi tutti gli immigrati in Italia con alcune eccezioni”.

“In realtà – denuncia Porta – la tutela socio-previdenziale da parte dello Stato italiano a favore dei nostri connazionali ha subito negli ultimi decenni un evidente freno e indebolimento con lo stop alla stipula e al rinnovo delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e con il ridimensionamento del sistema di tutela a causa dello smantellamento delle strutture di coordinamento dell’Inps nazionale (vedi la soppressione della Direzione delle Convenzioni Internazionali ora invece accorpata nella Direzione Centrale pensioni con un inevitabile indebolimento delle risorse e del personale e quindi delle funzioni, delle competenze che erano state svolte per anni con risultati soddisfacenti dalla Direzione Convenzioni Internazionali)”.

“Questo ridimensionamento a livello nazionale – continua il parlamentare dem – si è inevitabilmente riflesso sull’operatività dell’Istituto a livello locale ove, secondo le numerose segnalazioni degli Istituti di Patronato, le problematiche persistenti e irrisolte relative alla scarsa funzionalità delle sedi Inps per le pratiche in regime internazionale ostacolano la definizione delle domande di pensioni, soprattutto di invalidità e di reversibilità. È comunque chiaro che siamo di fronte a un problema politico, che se l’Inps e il Ministero del lavoro (lo Stato italiano e il Governo) non riconoscono le difficoltà legate alle procedura pensionistiche per la definizione delle pratiche in regime internazionale e per il superamento delle molteplici criticità incontrate in questi anni di ridimensionamento della tutela socio-previdenziale dei nostri connazionali residenti all’estero e quindi non riconoscono l’assoluta peculiarità del comparto delle convenzioni, rafforzando e riqualificando il settore, valorizzando il lavoro che svolgono i patronati all’estero, e – conclude – impegnandosi maggiormente con un rinnovato servizio di tutela, la situazione è destinata a compromettere ulteriormente i diritti previdenziali delle nostre collettività all’estero”. (aise/dip 3) 

 

 

 

 

Assegno Unico agli italiani con figli a carico residenti all’estero: i deputati Pd interrogano la Ministra Calderone

 

ROMA - I deputati del Pd eletti all’estero, Fabio Porta, Christian Di Sanzo e Toni Ricciardi, hanno in queste ore presentato un’interrogazione alla Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone, riguardo il respingimento da parte dell’INPS della domanda per la concessione dell'assegno unico universale ai cittadini italiani residenti in Italia con figli minorenni a carico residenti all'estero.

I due deputati, infatti, chiedono “se il Ministro non intenda assumere le iniziative di competenza volte a riconoscere il diritto all'assegno unico universale attualmente negato al richiedenti residenti in Italia ma con nucleo familiare a carico residente all'estero”, anche “in conformità con quanto disposto da regolamenti e direttive comunitari e da numerose sentenze della Corte di giustizia europea e alla luce delle recenti procedure di infrazione contro l'Italia da parte della Commissione europea”.

I due deputati dem hanno infatti spiegato di aver ricevuto numerose segnalazioni di cittadini italiani residenti in Italia e con figli minorenni a carico residenti all'estero ai quali gli uffici competenti dell'Inps respingono la domanda per la concessione dell'assegno unico universale.

La normativa italiana, attualmente in vigore, disciplina il diritto all'assegno unico universale e, seguendo anche il diritto e i regolamenti europei di sicurezza sociale, spiegano Porta, Di Sanzo e Ricciardi, “la prestazione in oggetto dovrebbe essere erogata, fermo restando il rispetto dei requisiti di legge, anche per i figli a carico residenti all'estero del richiedente residente in Italia”.

Secondo l'Inps, spiegano ancora i due eletti all’estero, “il problema della mancata erogazione dell'assegno unico universale sarebbe dovuto al fatto che i figli seppur fiscalmente a carico sarebbero residenti all'estero e pertanto non inclusi nel nucleo familiare ai fini Isee in quanto non conviventi con il richiedente la prestazione”, ma “la legge istitutiva dell'assegno unico prevede la concessione del beneficio, seppur con un importo minimo previsto dalla normativa, anche a coloro i quali ne fanno richiesta in assenza di Isee”.

Secondo quanto si apprende dai due onorevoli del Pd, in più occasioni la Corte di giustizia europea ha statuito che (sulla scorta dell'articolo 7 del regolamento n. 883 del 2004, intitolato “Abolizione delle clausole di residenza”) le prestazioni familiari in denaro dovute a titolo della legislazione di uno o più Stati membri non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il fatto che il beneficiario o i familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova l'istituzione debitrice (l'ultima sentenza in materia è quella riferita alla Causa n. 328/2020 del 16 giugno 2022); l'Inps, nelle circolari n. 23 e n. 34, rispettivamente del 9 febbraio e del 28 febbraio 2022, aveva indicato che in riferimento ai riflessi della normativa comunitaria e bilaterale sulla prestazione dell'assegno unico «verranno fornite successive istruzioni» in attesa della valutazione in merito alla eventuale applicabilità di accordi bilaterali e multilaterali stipulati dall'Italia nonché delle regole dettate dal regolamento (CE) n. 883/2004 tuttavia ad oggi tali chiarimenti non sarebbero ancora pubblicati.

“La Commissione europea – concludono Porta, Di Sanzo e Ricciardi - ha aperto contro l'Italia una procedura di infrazione sull'assegno unico e ha inviato al Governo italiano una lettera con parere motivato – che prevede una risposta urgente per evitare un eventuale deferimento alla Corte di giustizia europea – in cui spiega che la richiesta di due anni di residenza e li requisito della “vivenza a carico” – necessari per l'ottenimento dell'assegno unico – “violano il diritto dell'Ue in quanto non trattano i cittadini dell'UE in modo paritario, il che si qualifica come discriminazione””. (aise/dip 4) 

 

 

 

 

Risorse ai consolati dalle pratiche – passaporto: il parere della Commissione Affari Costituzionali

 

ROMA - Il Comitato permanente per i pareri della Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato parere positivo alla proposta di legge “Destinazione agli uffici diplomatici e consolari di quota dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all'estero” a prima firma Ricciardi (Pd) all’esame della Commissione Esteri.

Nel presentare il testo ai colleghi, Paolo Emilio Russo (Fi) ha spiegato che l’obiettivo della proposta di legge è di “rafforzare gli uffici diplomatici e consolari all'estero in modo che questi riescano a evadere più efficientemente e rapidamente le richieste di emissione di passaporti all'estero che, stando alla relazione illustrativa, rimangono spesso inevase”.

La proposta di legge è composta da un solo articolo suddiviso in quattro commi: il primo, ha elencato Russo, “prevede che i proventi derivanti dal versamento degli importi dovuti da chi richiede il rilascio del passaporto all'estero siano attribuiti mensilmente al bilancio dell'ufficio diplomatico-consolare che ha rilasciato il relativo passaporto, in misura percentuale rispetto al totale degli introiti collegati all'emissione di passaporti e carte di identità e destinati al rafforzamento dei servizi consolari”. Il secondo “specifica che la percentuale degli introiti in questione sia pari al 30 per cento. Il comma 2-bis prevede che entro il 31 marzo di ogni anno, a decorrere dall'anno successivo all'entrata in vigore della legge, nel sito internet del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale venga pubblicata una relazione contenente i dati aggregati relativi all'utilizzo dei proventi di cui al comma 1. Il comma 3 dispone che agli oneri derivanti dall'attuazione della legge si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per far fronte alle esigenze indifferibili istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze”.

Passando ai profili di competenza della Commissione Affari costituzionali, Russo ha rilevato che “per quanto riguarda il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite la disciplina del rilascio dei passaporti investe le materie “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato”, “stato civile e anagrafe” e “ordinamento civile”, di competenza legislativa statale esclusiva ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere g), i) e l), della Costituzione”.

Il relatore ha quindi formulato una proposta di parere favorevole che il Comitato ha approvato. Ne riportiamo il testo integrale.

“Il Comitato permanente per i pareri della I Commissione,

esaminata la proposta di legge C. 960, recante “Destinazione agli uffici diplomatici e consolari di quota dei proventi derivanti dal rilascio dei passaporti all'estero”, come risultante dall'esame delle proposte emendative svolto presso la Commissione di merito;

rilevato che:

la proposta, composta da un solo articolo suddiviso in quattro commi, è finalizzata a rafforzare gli uffici diplomatici e consolari all'estero in modo che questi riescano a evadere più efficientemente e rapidamente le richieste di emissione di passaporti all'estero;

in particolare, la proposta prevede che i proventi derivanti dal versamento degli importi dovuti da chi richiede il rilascio del passaporto all'estero siano attribuiti mensilmente, nella misura del 30 per cento, al bilancio dell'ufficio diplomatico-consolare che ha rilasciato il relativo passaporto, e destinati al rafforzamento dei servizi consolari e che annualmente debba essere pubblicata una relazione sull'utilizzo dei relativi proventi;

ritenuto che:

per quanto attiene al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite:

la disciplina del rilascio dei passaporti investe le materie “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato”, “stato civile e anagrafe” e “ordinamento civile”, di competenza legislativa statale esclusiva ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere g), i) e l), della Costituzione, esprime PARERE FAVOREVOLE”. (aise/dip 5) 

 

 

 

Dottorati conseguiti all’estero: ddl per il riconoscimento automatico in Italia

 

ROMA – “Fra i motivi che scoraggiano i nostri giovani a tornare in Italia dopo aver conseguito un dottorato all’estero, l’incertezza e il labirinto normativo che regolano il riconoscimento del titolo nel nostro Paese giocano un ruolo importante. L’attuale disciplina, infatti, non solo prevede un pesante iter burocratico ma anche un margine di incertezza per quel che riguarda il successo della procedura. La drammatica conseguenza è che la maggior parte degli studenti italiani che consegue il dottorato in Università straniere non torna in Italia ma sceglie di rimanere all’estero. Un danno inestimabile per il nostro Paese”. Lo afferma il senatore del PD Andrea Crisanti (circoscrizione Estero-ripartizione Europa), membro della 7^ Commissione (Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport),  che ha presentato un disegno di legge al fine di  “assicurare il riconoscimento automatico e l’equipollenza a tutti gli effetti di legge del titolo di dottore di ricerca conseguito in Università estere che abbiano determinati requisiti di qualità con il titolo conseguito presso le Università italiane”. Il disegno di legge è stato firmato anche dal presidente della 7ª Commissione Roberto Marti (Lega). “Il numero di persone in possesso del dottorato di ricerca è un indicatore della competitività scientifica e industriale di un Paese e dunque del suo potenziale di sviluppo” sottolinea Crisanti ricordando che “l’Italia è purtroppo uno degli ultimi Paesi OCSE per percentuale di dottori di ricerca sulla popolazione in età lavorativa 25-64 anni: si tratta infatti solo dello 0,5% della popolazione, un quarto rispetto a Paesi come Svizzera, Stati Uniti, Svezia e Germania. Se a questo dato aggiungiamo il progressivo calo di iscritti nelle nostre Università, il quadro si fa ancora più preoccupante”.  “Per il nostro Paese è dunque più urgente che mai facilitare l’inserimento di coloro che hanno conseguito il dottorato all’estero (italiani e non) nel nostro tessuto produttivo e scientifico, se non vogliamo rassegnarci a un costante impoverimento di risorse economiche e conoscitive” , conclude il senatore eletto all’estero. (Inform/dip 7)

 

 

 

 

Premio Italia Radici nel Mondo 2024 – I Edizione 

 

Il John Fante Festival “Il dio di mio padre” e il Piccolo Festival delle Spartenze Migrazioni e Culturabandiscono la I edizione del concorso letterario internazionale PREMIO ITALIA RADICI NEL MONDO per racconti inediti, rivolto ad autori/autrici oriundi/e e a italiani/e residenti all’estero.

Il tema dell’edizione 2024 è: Le mie radici plurime.

Il Premio Italia Radici nel Mondo 2024 è organizzato dal Comune di Torricella Peligna, nell’ambito delle iniziative del MAECI “2024 – Anno delle radici italiane nel mondo”, ed è un’attività culturale che si inserisce all’interno della XIX edizione del John Fante Festival “Il dio di mio padre”, in collaborazione con il Piccolo Festival delle Spartenze. Migrazioni e Cultura, con il contributo della Fondazione Pescarabruzzo, dell’Associazione AsSud e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. 

Ideato da Giovanna Di Lello e Giuseppe Sommario, il Premio nasce dalla volontà dei due Festival di instaurare una collaborazione stabile e sistematica, tesa ad ampliare, in Italia e all’Estero, la discussione sui temi e sui valori da sempre affrontati nelle due manifestazioni, che riguardano l’emigrazione italiana e le sue infinite declinazioni, l’italianità, il legame fra le comunità dei restati e quelle degli spartiti, i tratti identitari, le identità mobili, le radici che le due comunità condividono. Radici molteplici, multisituate, plurime, che non sono ferme in/ad un luogo, in/ad un tempo. 

Il Premio non vuole essere celebrativo, o quantomeno non solo celebrativo, ma intende contribuire alla discussione sulla nostra storia migrante, arricchendola di nuovi contenuti, scrivendo nuove pagine, inaugurando una nuova narrazione, una nuova stagione nei rapporti fra l’Italia, gli italiani, e gli oriundi italiani sparsi in tutto il mondo.

Come afferma il linguista Raffaele Simoni, da un lato, le prime generazioni di emigranti italiani «pur avendo lasciato il paese da molto tempo hanno conservato molti meccanismi generativi dell’italiano»; dall’altro, le generazioni successive (II, III, IV) sono protagoniste «di una ripresa non accidentale di interesse e di “lealtà” verso la lingua [e la cultura] delle origini». Date tali premesse, si è pensato che un concorso letterario in lingua italiana fosse il modo migliore per omaggiare gli italiani nel mondo e i valori legati alle radici italiane di cui sono portatori sani. 

PREMIO ITALIA RADICI NEL MONDO 2024 – Racconto le mie radici plurime

Concorso letterario internazionale per racconti inediti, rivolto agli autori e alle autrici oriundi/oriunde italiani/italiane, e agli italiani e alle italiane residenti all’estero.

Il tema dell’edizione 2024: Le mie radici plurime.

Il racconto inedito: in lingua italiana, o in altre lingue con traduzione in italiano.

Lunghezza: tra le 10.000 e le 20.000 battute, spazi inclusi.

Giuria. La giuria è composta dagli ideatori del premio, Giovanna Di Lello e Giuseppe Sommario, da personalità del mondo editoriale, scrittori/scrittrici ed esperti di emigrazione.

Il presidente della giuria dell’edizione 2024 è l’antropologo Vito Teti.

Scadenze. Chiusura bando: 31 maggio.

Annuncio semifinalisti: 8-11 agosto, nell’ambito del Piccolo Festival delle Spartenze. Annuncio vincitore/vincitrice: 22-25 agosto, nell’ambito del John Fante Festival. Cerimonia di premiazione: in autunno in una sede istituzionale (in via di definizione).

Premi. All’autore/autrice dell’opera vincitrice andrà un premio in denaro di Euro 1.000 (mille). A tutte le opere finaliste sarà garantita la pubblicazione.

Il bando: https://www.johnfante.org/premio-italia-radici-nel-mondo-2024-i-edizione/  dip

 

 

 

 

A Taranto il 17 aprile il 1° Meeting Internazionale sul “Turismo delle Radici Italiane nel Mondo”

 

Taranto - In occasione dell'"Anno del Turismo delle Radici", designato per il 2024 dal Ministero degli Affari Esteri, il 17 aprile dalle 9:00 alle 20:00 si svolgerà a Taranto il primo “Meeting internazionale sul Turismo delle Radici” presso il Dipartimento Jonico dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro – Via Duomo 259. In questa occasione, sarà anche presentato – alle 15:00 - il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, con la sua curatrice Delfina Licata.

A ideare e curare il Meeting, la giornalista Tiziana Grassi, per molti anni autrice di programmi di servizio per gli italiani all’estero a RAI International, presidente dell'Associazione "Turismo delle Radici a Taranto e provincia”.

La giornata di studio, di testimonianze e progetti ha l’obiettivo di creare o implementare stabili connessioni culturali e socio-economiche tra le “due Italie”, ovvero tra le comunità italiane dentro e fuori i confini, riconoscendo e valorizzando l'incommensurabile patrimonio affettivo e identitario costituito dalla diffusa presenza dei connazionali nel mondo, giunti oggi sino alla quinta generazione, che hanno coltivato legami profondi con i luoghi di partenza dei loro antenati.

Il Meeting sarà aperto dai saluti di Paolo Pardolesi, Direttore del Dipartimento Universitario Jonico, Loredana Capone, Presidente del Consiglio Regionale della Puglia, e dai rappresentanti del Comune di Taranto e della Provincia di Taranto, rispettivamente Assessore alla Pubblica Istruzione e Università Desirée Petrosillo e Consigliere Provinciale Goffredo Lo Muzio.

Seguiranno gli interventi - tra i partecipanti ai quattro panel tematici che si articoleranno durante la giornata - di Giovanni Maria De Vita, Responsabile Progetto ITALEA del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale; Gianfranco Lopane, Assessore al Turismo della Regione Puglia; Aldo Patruno, Direttore Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia; Stella Falzone, Direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Taranto; Stefano Vinci, Coordinatore Corsi Giuridici del Dipartimento Jonico; i Consiglieri Regionali Enzo Di Gregorio, Presidente Commissione Affari generali Regione Puglia e Michele Mazzarano, Presidente Commissione Ecologia Regione Puglia; Giovanni Battafarano, già Sindaco di Taranto e Parlamentare; Sergio Prete, Presidente Autorità di Sistema Portuale del Mar Jonio - Porto di Taranto; Leonardo Giangrande, Presidente Confcommercio Taranto; Marcello De Paola, Presidente provinciale Federalberghi; Fabio Tagarelli Presidente Fondazione Taranto25; Carmelo Fanizza, Fondatore Jonian Dolphin Conservation; Pierpaolo De Padova, Direttore generale Taranto Opera Festival; Nunzia Nigro, già Project Manager Progetto “Europa InCanto”; Enza Tomaselli “ambasciatrice” di Taranto nel mondo, e numerosi rappresentanti dei comparti economico e turistico-culturale del territorio jonico.

“Fondamentale è per la nostra città e la sua provincia, stabilire ponti relazionali con quell'altra straordinaria Italia che ha scritto una pagina fondamentale della storia del nostro Paese”, annota Tiziana Grassi. “Una pagina che ho conosciuto da vicino nel mio lavoro a Rai International, fatta di sogni, sacrifici e conquiste, e che oggi si riverbera in oltre 80 milioni di oriundi che aspettano da noi partecipativi segnali di attenzione e accoglienza nelle feconde sinergie tra ‘Restanti e Ritornanti’, come giustamente auspica la ricercatrice sociale Carla Sannicola. Perciò ringrazio le Istituzioni e i soggetti pubblico-privati locali, nazionali e internazionali che con slancio hanno risposto al mio invito a partecipare a questo Meeting, dal Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) all’Associazione Nazionale Italiani nel Mondo, dall’Ordine dei Giornalisti Puglia al Gruppo Protezione Civile Taranto e CSV Taranto. E le tante appassionate Scuole del territorio, tra cui il Liceo Scientifico “Battaglini”, l’Istituto Tecnico Commerciale “Pitagora” e l’Istituto Professionale “Cabrini” di Taranto; l’Istituto Superiore “Mauro Perrone” di Castellaneta che negli anni ha portato “i sapori di Puglia” nelle scuole del Canada; la rete di eccellenze gastronomiche del nostro territorio “Salento delle Murge”; FIPPA Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri che, con l’Associazione Autonoma Panificatori di Taranto e provincia e l’Istituto Professionale per l’Ospitalità Alberghiera “Mediterraneo” di Pulsano, generosamente cureranno per gli ospiti degustazioni di prodotti tipici locali; Posa Edizioni che a dicembre prossimo pubblicherà gli Atti del convegno, e i numerosi sostenitori che confermano quanto sia indispensabile fare squadra per accompagnare attivamente lo sviluppo e la rinascita dell’area jonica parallelamente alla necessità di una nuova narrazione di Taranto e delle sue innumerevoli bellezze. La sfida oggi per il nostro territorio è fare rete tra aziende, operatori, enti pubblici e associazioni, tutti testimoni attivi delle innumerevoli risorse di cui disponiamo, che sono cultura, tradizioni, natura, enogastronomia, antico senso dell’ospitalità. Siamo dunque la destinazione ideale per il Turismo delle radici, o del ritorno, per accogliere gli italiani nel mondo in un territorio multiforme e tutto da scoprire”.

In questo percorso rigenerativo, un ruolo determinante avranno le Associazioni di Pugliesi nel mondo iscritte all’Albo regionale e presenti in tutti i continenti, nell’ambito delle iniziative avviate dal Dipartimento Sviluppo economico della Regione Puglia che ha promosso una collaborazione con Aret PugliaPromozione per realizzare attività mirate alla promozione del Turismo delle radici proprio con il coinvolgimento attivo di tali Associazioni dalla forte spinta culturale-identitaria. Con il patrocinio di RAI Puglia e RAI TGR Puglia Media Partner, i panel del Meeting saranno moderati dai giornalisti Salvatore Catapano, Giovanna Chiarilli, Monica Golino, Angelo Di Leo e Michele Tursi.

Sarà possibile seguire l’evento anche in streaming sulla piattaforma zoom.

(aise/dip 10) 

 

 

 

 

Il Sottosegretario Silli risponde all’interrogazione sulla disciplina del personale assunto a contratto nelle sedi estere

 

ROMA – Il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli ha risposto, presso la III Commissione della Camera, all’interrogazione, rivolta al Ministro degli Esteri, del deputato del Pd Fabio Porta (ripartizione America Meridionale), sulla disciplina del personale del Ministero degli Esteri assunto a contratto nelle sedi estere. Nel testo, sottoscritto anche dai deputati Pd Di Sanzo, Toni Ricciardi e Carè, si chiedono sia lumi su questioni previdenziali relative al contratto sottoscritto dagli impiegati a contratto in servizio in Thailandia, sia di intervenire “sulla disciplina in materia di dipendenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale impiegati a contratto sulla base delle disposizioni vigenti a livello locale attraverso una riforma strutturale improntata alla salvaguardia dei diritti inderogabili dei lavoratori”

“Sono al momento in servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Bangkok – ha spiegato nella risposta Silli – diciassette impiegati a contratto. Di questi, tredici sono cittadini italiani. A norma dell’articolo 158, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, ‘gli impiegati a contratto di cittadinanza italiana possono optare per l’applicazione della legislazione previdenziale italiana’. Ciò significa che questo personale può sempre iscriversi alla gestione previdenziale INPS. Versando i propri contributi, possono naturalmente godere di quelli a carico dell’Amministrazione. Opzione che alcuni dipendenti in servizio in Thailandia hanno preferito non esercitare, per utilizzare in altro modo la quota contributiva di loro spettanza. Al personale di cittadinanza non italiana si applica, invece, la disciplina locale in materia previdenziale. Anche questo è previsto dall’articolo 158. Nel caso in cui la tutela previdenziale non sia prevista dalla legislazione locale, o lo sia in maniera ‘manifestamente insufficiente’, la norma prevede la facoltà di richiedere una tutela previdenziale in forma privata. È una misura in favore dei dipendenti. Questa facoltà – ha continuato il Sottosegretario – deve essere esercitata dal dipendente, tramite specifica istanza, in seguito alla quale l’Amministrazione verifica la sussistenza dei requisiti di legge per la stipula di una polizza privata e trasmette le risultanze al vaglio degli organi di controllo della spesa. Questa istanza è stata trasmessa dai dipendenti a contratto all’Ambasciata a Bangkok la settimana scorsa, il 5 aprile. L’Amministrazione ha già iniziato a esaminare la questione, assai complessa dal punto di vista contrattuale e amministrativo-contabile, anche per l’assenza di precedenti in materia. Confermo dunque che stiamo valutando le opportune iniziative a tutela dei diritti previdenziali delle 4 unità di personale a Bangkok di cittadinanza non italiana. Tutto il personale a contratto presso le sedi estere – ha proseguito Silli – è oggetto della massima attenzione da parte dell’Amministrazione e, personalmente, del Ministro Tajani. Che si è impegnato per ottenere, nell’ultimo anno e mezzo, importanti riconoscimenti a favore della categoria. Ricordo ad esempio il nuovo assegno per situazioni di famiglia, misura datoriale di sostegno economico a beneficio del personale a contratto con familiari a carico. Più di recente, una novità significativa ha interessato il personale a contratto in Svizzera. Infatti, a seguito dell’approvazione del decreto interministeriale Maeci -Mef dell’8 gennaio, questo personale viene integralmente retribuito in franchi svizzeri. Si tratta di una misura che viene incontro a numerose richieste ed è mirata a eliminare l’erosione del potere di acquisto dell’Euro determinata dalle fluttuazioni del tasso di cambio, perseguendo un principio di equità retributiva. Abbiamo concluso di recente, per la prima volta sulla rete diplomatico-consolare, – ha concluso il Sottosegretario – una polizza previdenziale integrativa per il personale a contratto in servizio nei Paesi Bassi, che in attuazione dei regolamenti europei era transitato al sistema previdenziale locale, meno generoso di quello italiano”. In sede di replica il deputato Porta si è dichiarato parzialmente soddisfatto della risposta dell’Esecutivo, anche in considerazione dell’oggettiva complessità della problematica in oggetto. Per Porta comunque l’attenzione specifica che l’amministrazione degli esteri ha dedicato alla situazione dei dipendenti a contratto della sede diplomatica in Thailandia, unita al quadro complessivo delineato dal sottosegretario, dimostra l’urgenza di introdurre meccanismi strutturali e permanenti per superare le attuali problematiche. Dal deputato è stata quindi auspicata l’elaborazione, anche con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, di una riforma in grado di garantire una copertura assicurativa e previdenziale omogenea per tutto il personale a contratto, sia di cittadinanza italiana sia di nazionalità locale.

(Inform/dip 14)

 

 

 

 

EU-Asyl-Reform. Das erwartet Schutzsuchende zukünftig in Europa

 

Das Europäische Parlament hat der Reform des EU-Asylsystems zugestimmt. Es ist eine massive Verschlechterung des bisherigen EU-Asylrechts – in vielerlei Hinsicht. Von Wiebke Judith

 

Am 10. April 2024 hat das Europäische Parlament der Reform des Gemeinsamen Europäischen Asylsystems (GEAS) zugestimmt. Durch verpflichtende Grenzverfahren unter Haftbedingungen – auch für Kinder – sowie gesenkte Standards für sogenannte „sichere Drittstaaten“ und zusätzliche Verschärfungen im Fall von „Krisen“ stellt die Reform eine massive Verschlechterung des bisherigen EU-Asylrechts dar. Am Vortag hatten 161 Organisationen noch an das Parlament appelliert, diese Verschärfung nicht mitzutragen.

Die beschlossenen Gesetzestexte werden nach letzter Zustimmung der Mitgliedstaaten im Rat, die sicher ist, voraussichtlich im Mai 2024 in Kraft treten. Sie sehen jedoch einen Umsetzungszeitraum von zwei Jahren vor und finden damit erst ab der zweiten Jahreshälfte 2026 Anwendung. Die Bundesregierung muss bis Ende dieses Jahres einen Umsetzungsplan vorlegen. Hierzu werden auch verschiedenste Gesetzesänderungen gehören müssen.

Was passiert konkret dann künftig mit nach Europa fliehenden Menschen, wenn die Verordnungen ab 2026 angewendet werden? Ganz genau lässt sich das nicht vorhersagen, denn schon in den letzten Jahren sind EU-Staaten vor allem dadurch aufgefallen, das geltende Recht falsch oder gar nicht anzuwenden. Auch unterlaufen einige Regierungen schon jetzt das EU-Recht, indem sie es mit neuen Deals umgehen wollen – wie die italienische Ministerpräsidentin Meloni mit ihrem Albanien-Deal.

Um zu verdeutlichen, um wen und um was es geht, hat die Menschenrechtsorganisation Pro Asyl basierend auf den beschlossenen Verordnungen und einer realistischen Umsetzungsprognose folgende Einzelfälle fingiert, die in der Ausgangslage auf typischen Fluchtgeschichten beruhen.

Beispiel 1: Schnellverfahren an den Außengrenzen – auch für politisch Verfolgte aus der Türkei

Bahar* engagiert sich für die Rechte von Kurd:innen in der Türkei und wird zunehmend von der Polizei unter Druck gesetzt. Als sie davon hört, dass es einen Haftbefehl wegen Unterstützung einer „terroristischen Organisation“ – ein häufig gegen die politische Opposition eingesetzter Vorwurf der politischen Verfolgung in der Türkei – gegen sie gibt, beschließt sie spontan, das Land zu verlassen.

Sie schafft es mit ihrem fünfjährigen Sohn trotz der weiterhin verbreiteten illegalen Pushbacks über die Landgrenze nach Bulgarien. Sie will Asyl beantragen, kommt aber zunächst in das neue Screening-Verfahren. Dieses ist nun für alle Personen vorgesehen, die an den Grenzen aufgegriffen werden ohne die Einreisevoraussetzungen zu erfüllen oder nach Seenotrettung an Land gebracht werden. Während des Screenings gelten Bahar und ihr Sohn als „nicht eingereist“. Sie darf deswegen das Screening-Zentrum an der Außengrenze nicht verlassen und sich nicht frei bewegen. In dem Zentrum wird sie von bulgarischen Grenzschutzbeamt:innen zu ihren persönlichen Daten befragt. Auch gibt es einen medizinischen Check. Nach sieben Tagen ist das Screening vorbei.

Da Bahar während des Screenings als Türkin registriert wurde, wird sie mit ihrem Asylantrag automatisch nach dem Screening in das neue Asylgrenzverfahren der Asylverfahrensverordnung weitergeleitet. Das neue Asylgrenzverfahren ist verpflichtend, wenn jemandem vorgeworfen wird, eine Gefahr für die öffentliche Sicherheit zu sein oder den Behörden zum Beispiel falsche Identitätsdokumente vorgelegt zu haben – oder wenn die Anerkennungsquote des Herkunftslandes weniger als 20 Prozent europaweit umfasst. Seit dem Januar 2024 liegt die europaweite Schutzquote für das Herkunftsland Türkei bei nur noch 18 Prozent und damit knapp unter der Schwelle.

Keine Ausnahmen vom Grenzverfahren für Kinder mit ihren Familien

Bahar und ihre Sohn dürfen deswegen auch weiterhin nicht einreisen und sind für die gesamten drei Monate des Asylgrenzverfahrens in dem Lager an der Außengrenze festgesetzt – denn eine Ausnahme für Kinder mit ihren Familien von der haftähnlichen Unterbringung gibt es nicht. Ihr Asylverfahren soll lediglich priorisiert werden. Selbst die angeordnete Inhaftnahme von Kindern während des Grenzverfahrens ist nicht ausgeschlossen.

Statt ein reguläres Asylverfahren zu bekommen, müssen sie also ein beschleunigtes Verfahren an den Außengrenzen durchlaufen – abgeschottet von der Außenwelt. In Bulgarien wird diese Art von Schnellverfahren schon seit 2023 in einem Pilotprojekt erprobt. Anwält:innen in Bulgarien befürchten, dass sie durch die Reform künftig die Schutzsuchenden gar nicht mehr erreichen und unterstützen können.

Sollten die beiden im Asylverfahren abgelehnt werden – was bei einem absehbar voreingenommenen und unfairen Verfahren ohne ausreichende Unterstützung trotz drohender Verfolgung keine Überraschung wäre – können sie weitere drei Monate an der Außengrenze als „nicht-eingereist“ isoliert werden.

Für dieses neue Abschiebungsgrenzverfahren musste ganz zum Schluss der Verhandlungen noch eine eigene Verordnung geschaffen werden, um es rechtssicher zu gestalten. Sollte eine Abschiebung in der Zeit nicht erfolgen, kann immer noch die Abschiebungshaft angeschlossen werden. Die Grenzverfahren erhöhen damit die Gefahr, dass der Schutzbedarf geflüchteter Menschen nicht erkannt wird und sie trotz drohender Verfolgung abgeschoben werden.

Beispiel 2: Märchen der „sicheren Drittstaaten“

Fadi* flieht aus Syrien, denn er ist wegen der Unterstützung von Anti-Assad-Demos in den Fokus des Geheimdienstes geraten. Über die Türkei flieht er nach Griechenland und schafft es, mit dem Boot auf einer griechischen Insel anzukommen. Während des Screenings wird Fadi auch nach seinem Fluchtweg gefragt, im Screening-Formblatt wird eingetragen, dass er sich nach seiner Flucht aus Syrien kurz in der Türkei aufgehalten hat. Deswegen wird Fadi in das Lager nebenan verlegt, für ein Asylverfahren einreisen darf er nicht. Denn in Griechenland gilt die Türkei weiterhin als „sicherer Drittstaat“, laut der Asylverfahrensverordnung können Mitgliedstaaten die Grenzverfahren auch zum Beispiel auf Personen anwenden, die über „sichere Drittstaaten“ geflohen sind.

Die Türkei gilt seit 2016 für Syrer:innen in Griechenland als „sicherer Drittstaat“ und seit 2021 unter anderem auch für Afghan:innen, obwohl die Türkei die bisherigen Kriterien für „sichere Drittstaaten“ hierfür nicht erfüllt (siehe auch hier für eine aktuelle Studie). Mit der GEAS-Reform werden die Anforderungen an die Sicherheit in dem Drittstaat stark heruntergeschraubt, was zumindest in Teilen sehr auf die Türkei zugeschnitten scheint. So muss Fadi in der Türkei keinen Flüchtlingsstatus nach Genfer Flüchtlingskonvention (GFK) bekommen können, sondern es reicht, dass er dort einen sogenannten „effektiven Schutz“ erhalten kann – der jedoch nicht alle Rechte nach der GFK umfasst.

Die Türkei hat die GFK nur mit einem geografischen Vorbehalt ratifiziert, weshalb Flüchtlinge aus Syrien und Afghanistan ihn nicht bekommen können. Deswegen war bisher umstritten, ob die Türkei überhaupt für sie europarechtlich als „sicher“ gelten kann. Das soll nun umgangen werden. Zudem schiebt die Türkei sogar regelmäßig in beide Länder ab, was völkerrechtswidriges refoulement ist. Das müsste – wenn die Regeln ernst genommen werden würden – auch künftig dazu führen, dass die Türkei nicht als sicher gelten kann. Mit der GEAS-Reform muss zudem nicht mehr das ganze Land sicher sein, Teilgebiete können ausreichen.

Durch die Reform liegt es jetzt vor allem bei Fadi zu beweisen, dass die Türkei für ihn nicht sicher ist. Er war allerdings nur kurz in dem Land, weil er viel Schlechtes über den Umgang mit syrischen Flüchtlingen dort gehört hat. Auch nach der Reform muss es eine Verbindung zu dem Drittstaat geben aufgrund derer es sinnvoll für Fadi erscheint, in das Land zu gehen. Laut den Erwägungsgründen der Verordnung ist dies zum Beispiel anzunehmen, wenn sich Familienangehörige von Fadi in diesem Land aufhalten oder wenn sich Fadi in diesem Land niedergelassen oder aufgehalten hat. Sollte all dies von den griechischen Behörden als gegeben angenommen werden, dann wir der Asylantrag von Fadi als „unzulässig“ abgelehnt. Was ihm in Syrien passiert ist, ist den Beamt:innen dann egal – für sie zählt nur, dass sie ihn in einen außereuropäischen Staat abschieben wollen.

Und was heißt das alles für Asylverfahren in Deutschland?

Aber nicht nur an den europäischen Außengrenzen, sondern auch in Deutschland wird sich durch die Reform sehr vieles ändern. Die Asylverfahrensverordnung wird – sobald sie ab 2026 in Anwendung kommt – wohl die meisten Regelungen im aktuellen Asylgesetz verdrängen und ist direkt anwendbar. Wie genau die Umsetzung in Deutschland aussehen wird, das muss die Bundesregierung bis Ende 2024 in einem Umsetzungsplan festhalten. Viele Änderungen sind entsprechend der Gesetzestexte, die nun final verabschiedet werden, aber schon absehbar: Auch in Deutschland werden die neuen Screenings angewendet werden. Zum einen an den deutschen EU-Außengrenzen, was primär die Flughäfen sind. Zum anderen gibt es eine spezielle Norm für das Screening im Inland.

Wenn also eine Person in Deutschland von der Polizei kontrolliert wird und kein Visum hat und auch nie an den Außengrenzen registriert (gescreent) wurde, dann ist Deutschland verpflichtet, ein Inlands-Screening durchzuführen. Während des Screenings muss die Person den Behörden „zur Verfügung stehen“, Deutschland muss Regeln erlassen um sicherzustellen, dass die Person nicht untertaucht. Das könnte zu Haft oder haftähnlicher Unterbringung führen.

Die Person gilt aber – im Gegensatz zum Screening an den Außengrenzen – als eingereist. Das ist wichtig, denn wenn sie einen Asylantrag stellt, kann sie im Anschluss nicht einem Asylgrenzverfahren zugeleitet werden – denn hierfür müsste sie noch als „nicht-eingereist“ gelten. Die Screening-Verordnung stellt auch extra klar, dass die Binnengrenzen auch bei der Anwendung von Grenzkontrollen Binnengrenzen bleiben und dort aufgegriffene Personen nach dem Screening im Inland behandelt werden müssen.

Es gibt jedoch eine Sonderregelung, dass das Inlands-Screening nicht angewendet werden muss, wenn die Person basierend auf einer bilateralen Vereinbarung direkt an der Binnengrenze zurückgewiesen wird – das Screening findet dann in dem anderen Mitgliedstaat statt. Asylsuchende müssten hiervon jedoch ausgeschlossen sein, da auch nach dem neuen Schengener Grenzkodex ihre direkte Zurückweisung europarechtswidrig bleibt (siehe hier zur aktuellen Praxis der Zurückweisungen an deutschen Binnengrenzen).

Massive Änderung des deutschen Grenzverfahrens

Die neuen Asylgrenzverfahren sowie die Abschiebungsgrenzverfahren werden also primär an den deutschen Flughäfen angewendet werden und werden das bisherige Flughafenverfahren ersetzen. Während das bisherige deutsche Grenzverfahren nach 19 Tagen vorbei ist, können ab 2026 die Verfahren zum Beispiel am Frankfurter Flughafen bis zu drei Monate dauern. Insgesamt können dann Personen ein halbes Jahr im Transitbereich festgehalten werden, wenn sie nach Ablehnung noch in das Abschiebungsgrenzverfahren genommen werden. Fraglich ist aber, ob die bisherige Art der Unterbringung an den deutschen Flughäfen für eine solch lange Zeit geeignet ist. Auch wird man genau schauen müssen, ob die Standards, die das Bundesverfassungsgericht für das Flughafenverfahren aufgestellt hat, im neuen Grenzverfahren beachtet werden (siehe hier für eine Studie zum Vergleich des Flughafenverfahrens und der GEAS-Reform).

Doch es gibt eine weitere Konstellation, wann Asylsuchende in Deutschland ins Grenzverfahren kommen können. Hierfür nehmen wir nochmal das Beispiel von Bahar und ihrem Sohn, der kurdisch-türkischen Asylsuchenden, die in Bulgarien ins Grenzverfahren gekommen ist: Schon bevor die beiden ins Grenzverfahren gekommen sind, hatte die bulgarische Regierung bei der EU-Kommission eine Notifikation eingereicht, um als Mitgliedstaat anerkannt zu werden, in dem ein sogenannter „Migrationsdruck“ herrscht. Seitdem dies anerkannt wurde, stehen Bulgarien Solidaritätsmaßnahmen von anderen Mitgliedstaaten zu. Hierzu gehört auch die Aufnahme von Asylsuchenden, wobei die meisten Mitgliedstaaten versuchen, stattdessen Geld zu zahlen. Deutschland hatte im Zuge des neuen jährlichen High Level Solidaritätsforums verbindlich zugesagt, 3.000 Asylsuchende aus Bulgarien aufzunehmen. Insgesamt liegt der fair share Deutschlands – also der faire Anteil an den Solidaritätsmaßnahmen – anhand der Quote von Bevölkerungszahl und Bruttoinlandsprodukt bei circa 22 Prozent der benötigten Umverteilungsplätze sowie der finanziellen Leistungen. Dies Solidaritätsmaßnahmen sollen pro Jahr mindestens 30.000 Umverteilungsplätze und 600 Millionen Euro Finanzhilfen umfassen, die an Mitgliedstaaten gehen, die unter Migrationsdruck stehen.

Bahar und ihr Sohn werden für Deutschland für die Umverteilung ausgesucht, sie selbst haben kein Mitspracherecht. In Deutschland kann das Asylverfahren von Bahar und ihrem Sohn dann weiterhin als Grenzverfahren geführt werden, wofür Deutschland einen weiteren Monat Zeit zur Bearbeitung bekommt. Auch über den Umverteilungsmechanismus können also Asylsuchende künftig in Deutschland ins Grenzverfahren kommen.

Das neue alte Dublin-System

Besonders relevant sind in Deutschland in den letzten Jahren stets die sogenannten Dublin-Verfahren gewesen, in denen festgestellt wird, ob ein anderer EU-Mitgliedstaat für den Asylantrag zuständig ist und die asylsuchende Person in den Mitgliedstaat überstellt wird. Auch wenn es ab 2026 keine Dublin-III-Verordnung mehr geben wird sondern eine Verordnung über das Asyl- und Migrationsmanagement, so bleiben die Grundprinzipien des Dublin-Systems bestehen. Der Mitgliedstaat, in dem die asylsuchende Person als erstes eingereist ist, wird in den meisten Fällen für den Asylantrag zuständig sein. Ein kleiner Zusatz bei den Kriterien ist nur, dass im neuen System auch in einem Mitgliedstaat erworbene schulische Qualifikationen in den letzten sechs Jahren als Zuständigkeitskriterium gelten.

Auch wenn sich unter anderem die deutsche Bundesinnenministerin Nancy Faeser von der GEAS-Reform zu versprechen scheint, dass künftig möglichst viele Asylsuchenden an den Außengrenzen „hängen bleiben“ und es gar nicht erst nach Deutschland schaffen, so scheint das nach den Erfahrungen der letzten Jahre eine wenig realistische Prognose. Schon jetzt müssten Mitgliedstaaten wie Griechenland oder Italien menschenwürdige Bedingungen für Asylsuchende garantieren und bei festgestellter Zuständigkeit die Person zurücknehmen – in der Praxis passiert das jedoch kaum. Der Erfahrung der letzten Jahre nach wird es weiterhin gute Gründe für viele geflüchtete Menschen geben, weiter nach Deutschland zu flüchten. So auch im fiktiven Fall von Fadi:

Dublin 4.0.: Kürzere Fristen und weniger Rechtsschutz

Nachdem der Asylantrag von Fadi als „unzulässig“ abgelehnt wurde, musste er noch weitere drei Monate im Abschiebungsgrenzverfahren ausharren – obwohl die Türkei gar keine Rückführungen akzeptiert (so auch der aktuelle Stand der EU-Türkei Erklärung). Jetzt steht er in Griechenland vor dem Nichts, denn als offiziell abgelehnter Asylsuchender steht ihm keine Unterstützung zu. Fadi hat schon einen Onkel in Deutschland, deswegen entscheidet er sich, es nochmal in Deutschland mit dem Asylverfahren zu versuchen. Doch hier angekommen gerät er in die Mühlen des neuen Dublin-Systems: Die Fristen zur Kommunikation zwischen Deutschland und Griechenland sind deutlich beschleunigt. So muss Deutschland der griechischen Behörden innerhalb von nur zwei Wochen notifizieren, dass eine Wiederaufnahme von Fadi stattfinden soll. Wenn Griechenland innerhalb von zwei Wochen keine Gründe vorlegt, warum es doch nicht zuständig ist, wird die Zustimmung zur Rückübernahme angenommen.

Ab dann läuft die sogenannte Überstellungsfrist, die bei sechs Monaten bleibt. Sollte Fadi als flüchtig gelten oder angeblich bestimmten medizinischen Vorgaben nicht folgen, die für seine Überstellung notwendig sind, dann wird die Frist direkt auf drei Jahre verlängert – eine Verdopplung gegenüber der aktuellen Regelung bei „Flüchtigsein“. Zudem wurden für Fadi und andere betroffene Asylsuchende die Rechtsschutzmöglichkeiten im Vergleich zur Dublin-III-Verordnung verschlechtert, insbesondere soll offensichtlich ausgeschlossen werden, dass Fadi nach Fristablauf auf ein Asylverfahren in Deutschland klagen kann.

Während die Frist läuft, kann Fadi in Deutschland für die nicht gewünschte Weiterwanderung bestraft werden, indem seine Sozialleistungen gekürzt werden. Dies ist so ähnlich schon im  Asylbewerberleistungsgesetz in Deutschland vorgesehen, wobei schon diese Leistungseinschränkung verfassungsrechtlich höchst fragwürdig ist.

Für Fadi würde noch eine neue Regelung gelten: Für Personen, die im Asylgrenzverfahren abgelehnt wurden, hört die Zuständigkeit des Mitgliedstaates 15 Monate nach ergangener Ablehnung auf zu gelten. Fadi kann also 15 Monate nach der Ablehnung im griechischen Grenzverfahren doch einen neuen Asylantrag in Deutschland stellen, der dann hier als neuer Asylantrag bearbeitet werden muss.

Verschärfungen im Fall von Krisen, höherer Gewalt und „Instrumentalisierung“

Durch die Reform wird es zudem zum ersten Mal eine Krisen-Verordnung geben, die den Mitgliedstaaten verschiedene Ausnahmen von den dann eigentlich gültigen Regeln erlaubt – und absehbar unerträglichen Zuständen an den Außengrenzen weiter Vorschub leisten wird. Ob es eine Krise in einem Mitgliedstaat gibt, der solche Ausnahmen erlaubt, wird von der Kommission auf Antrag des Mitliedstaates festgestellt und in Entscheidungen der Kommission sowie einem Umsetzungsrechtsakt des Rates festgehalten. Darin muss stehen, warum die Anwendung der Krisen-Verordnung notwendig und verhältnismäßig ist, ab und bis wann die Ausnahmen gelten sollen – aber nicht zwingend, welche Ausnahmen angewendet werden. Generell sollen die Ausnahmen zunächst nur für drei Monate angewendet werden, was aber verlängert werden kann. Insgesamt soll ein solcher „Krisen-Zustand“ nicht länger als zwölf Monate gelten.

Sollte zum Beispiel Bulgarien in dem Zeitraum, in dem Bahar mit ihrem Sohn ihren Asylantrag stellt, im „Krisenmodus“ sein, so kann sich einiges für sie ändern. Erstens hätte Bulgarien dann vier Wochen Zeit, um ihr Asylgesuch zu registrieren. Was harmlos klingt kann in der Praxis zu einer stärkeren Pushback-Praxis führen, wenn die schutzsuchenden Menschen länger nicht staatlich erfasst werden. Zweitens kann Bulgarien das Grenzverfahren variieren: Wenn es sich um eine Krise wegen sehr hoher Ankunftszahlen oder „höherer Gewalt“ handelt, dann kann Bulgarien den Schwellenwert für die Quote, bei der das Grenzverfahren verpflichtend ist, entweder auf 5 Prozent senken – dann wären Bahar und ihr Sohn nicht im Grenzverfahren – oder auf 50 Prozent erhöhen, also deutlich mehr Menschen ins Grenzverfahren nehmen. Wenn es keine ausreichenden Kapazitäten gibt, dann müsste Bulgarien auch das Kriterium der Quote generell nicht mehr anwenden. Wenn es jedoch um den Krisenfall einer Instrumentalisierung geht, dann kann Bulgarien das Grenzverfahren auf alle Asylsuchenden ausweiten, die von einer anderen Regierung oder nicht-staatlichen Akteuren „instrumentalisiert“ werden. Nur für diesen Fall ist eine Ausnahme von Familien mit Kindern unter zwölf Jahren vorgesehen.

Man merkt: Von einem wirklich gemeinsamen Europäischen Asylsystem bleibt trotz einer ursprünglich gewünschten stärkeren Angleichung der Verfahren in den Mitgliedstaaten wenig übrig, denn durch die Krisen-Verordnung können ständig unterschiedliche Sonderregelungen gelten. Das betrifft auch die Überstellungsfristen und Solidaritätsmaßnahmen.

*Die Fälle in diesem Text sind fiktiv, aber nah an aktuellen Praxisfällen entwickelt. Mig 15

 

 

 

 

Deutlich härtere Regeln. Fragen und Antworten zur EU-Asylreform

 

Jahrelang wurde über das europäische Asylrecht gestritten - nun hat das EU-Parlament einer Reform zugestimmt. Geplant ist insbesondere ein deutlich härterer Umgang mit Menschen aus Ländern, die als relativ sicher gelten. Antworten auf wichtige Fragen. Von Stella Venohr

 

Warum soll die Asylpolitik in der EU reformiert werden?

An einer Reform wird bereits seit 2015 und 2016 intensiv gearbeitet. Damals waren Länder im Süden Europas wie Griechenland mit einer Vielzahl von ankommenden Menschen aus Ländern wie Syrien überfordert. Hunderttausende kamen in andere EU-Staaten.

Dies hätte eigentlich nicht passieren dürfen, denn nach der sogenannten Dublin-Verordnung sollen Asylbewerber da registriert werden, wo sie die Europäische Union zuerst betreten haben.

Wie soll es in Zukunft ablaufen, wenn Geflüchtete an einer EU-Außengrenze ankommen?

Die Reform sieht einheitliche Grenzverfahren an den Außengrenzen vor. Geplant ist insbesondere ein deutlich härterer Umgang mit Menschen aus Ländern, die als relativ sicher gelten. Bis zur Entscheidung über den Asylantrag sollen diese Menschen bis zu zwölf Wochen unter haftähnlichen Bedingungen in Auffanglagern untergebracht werden können.

Menschen, die aus einem Land mit einer Anerkennungsquote von unter 20 Prozent kommen, sowie solche, die als Gefahr für die öffentliche Sicherheit gelten, müssen künftig verpflichtend in ein solches Grenzverfahren. Ankommende Menschen können dem Vorhaben nach mit Fingerabdrücken und Fotos registriert werden, auch um zu überprüfen, ob sie eine Gefahr für die öffentliche Sicherheit sein könnten.

Was passiert bei Ankunft besonders vieler Asylsuchender?

Bei einem besonders starken Anstieg der Migration könnte von den Standard-Asylverfahren mit der sogenannten Krisenverordnung abgewichen werden. Zum Beispiel kann der Zeitraum verlängert werden, in dem Menschen unter haftähnlichen Bedingungen festgehalten werden können. Zudem könnte der Kreis derjenigen vergrößert werden, der für die geplanten strengen Grenzverfahren infrage kommt. Das gälte dann für Menschen aus Herkunftsländern mit einer Anerkennungsquote von maximal 50 Prozent.

Sind Familien mit Kindern vom Grenzverfahren ausgenommen?

Nein, und das, obwohl die Bundesregierung zunächst gefordert hatte, Familien mit Kindern aus humanitären Gründen von den Grenzverfahren auszunehmen. Dieses zentrale Anliegen scheiterte jedoch. Nur unbegleitete minderjährige Flüchtlinge bilden eine Ausnahme. Außenministerin Annalena Baerbock (Grüne) bedauerte dies und sagte, dass nun bei der Umsetzung des neuen Asylsystems umso mehr darauf geachtet werden müsse, „dass es fair, geordnet und solidarisch zugeht“.

Wie werden die Geflüchteten dann verteilt?

Die Verteilung der Schutzsuchenden auf die EU-Staaten wird den Plänen zufolge mit einem „Solidaritätsmechanismus“ neu geregelt: Wenn die Länder keine Flüchtlinge aufnehmen wollen, müssen sie Unterstützung leisten, etwa in Form von Geldzahlungen.

Ab wann soll das neue Recht gelten?

Die Einigung muss noch von den EU-Staaten bestätigt werden. Das ist normalerweise eine Formalität. Dann haben die EU-Staaten zwei Jahre Zeit, um die Vorgaben umzusetzen. Das soll den Staaten an den Außengrenzen genügend Zeit geben, entsprechende Einrichtungen zur Unterbringung von Menschen aus Staaten mit einer Anerkennungsquote von weniger als 20 Prozent zu schaffen.

EU-Innenkommissarin Ylva Johansson beteuerte, dass die Mitgliedstaaten um Schnelligkeit bemüht seien. „Einige der Mitgliedsstaaten haben bereits mehr oder weniger mit der Umsetzung begonnen.“

Was heißt das jetzt für Deutschland?

Kurzfristig wird sich an der Situation in Deutschland nichts ändern. Denn bis die nun politisch geeinten Regelungen in die Praxis umgesetzt werden, kann es noch dauern. Die Analyse des konkreten Anpassungsbedarfs in Deutschland sei noch nicht abgeschlossen, sagte ein Sprecher des Bundesinnenministeriums auf Nachfrage.

Dabei gehe es um rechtliche, praktische, technische und sonstige Anpassungen. Die rechtlichen Anpassungen betreffen laut Innenministerium voraussichtlich das Asylgesetz und das Aufenthaltsgesetz, liegen zum Teil aber auch in den Zuständigkeitsbereichen anderer Ressorts und der Länder. Gespräche mit den anderen betroffenen Bundesressorts und den Ländern seien geplant.

Könnte die Reform die Zahl der Geflüchteten in Deutschland verringern?

Ja, denn ein Teil der Schutzsuchenden wird dann von den Außengrenzen direkt zurückgeschickt, und die verschärften Regeln könnten abschreckend wirken. Darauf hoffen neben den Verhandlern auch CDU und CSU sowie Länder und Kommunen. Kurzfristig wird sich an der Situation in Deutschland laut Migrationsforscherin Zeynep Yana?mayan vom Deutschen Zentrum für Integrations- und Migrationsforschung nichts ändern. „Wie die Aufnahmestaaten agieren, wirkt sich auf Migration, vor allem auf Flucht, nur sehr begrenzt aus“, sagte sie.

Der Deutsche Städtetag dringt jedoch weiterhin auf sofortige Unterstützung bei der Unterbringung der Geflüchteten. „Die Verordnung soll ab 2026 von den Mitgliedstaaten angewendet werden. Doch schon in einigen Monaten müssen sie mit der Vorbereitung und Umsetzung beginnen. Das könnte sich dann schon auf die Migrationszahlen auswirken, deutliche Effekte wird es aber von heute auf morgen nicht geben“, sagte Hauptgeschäftsführer Helmut Dedy der Deutschen Presse-Agentur. „Bund und Länder bleiben deshalb weiterhin in der Pflicht, auch die in Deutschland beschlossenen Maßnahmen zur Flüchtlingsfinanzierung und zur besseren Steuerung von Migration konsequent umzusetzen. Die Städte müssen dringend entlastet werden.“ (dpa/mig 12)

 

 

 

Die Mär vom NATO-Defizit

 

In der EU heißt es, man müsse die Militärausgaben drastisch erhöhen. Dabei sind diese deutlich höher als der russische Verteidigungshaushalt. Herbert Wulf

 

Der große Bruch in der europäischen Sicherheitsarchitektur ereignete sich im Februar 2022 durch Russlands Aggression gegen die Ukraine. Vorher hatte man in Europa immer noch gehofft, mit den Minsker Abkommen eine friedliche Lösung zu finden. Doch das heutige Russland, so die allgemeine Einschätzung, ist auf absehbare Zeit die größte Bedrohung für Frieden und Sicherheit im euro-atlantischen Raum. Deshalb auch die rasche Entscheidung für ein 100 Milliarden Euro schweres Sondervermögen für die Bundeswehr.

In Reaktion auf den russischen Angriff gelobten NATO und EU uneingeschränkte Solidarität mit der Ukraine und versprachen ihre politische, wirtschaftliche und militärische Unterstützung. Die Rüstungsproduktion wurde in vielen Ländern Westeuropas hochgefahren. Mehr und mehr NATO-Mitgliedsländer verpflichteten sich, ihre Militärausgaben auf mindestens zwei Prozent des Bruttoinlandsproduktes (BIP) zu steigern, entsprechende Vorkehrungen wurden von den meisten Staaten bereits getroffen. Mit Finnland und Schweden kamen zudem zwei neue NATO-Mitglieder dazu. Es sollte alles getan werden, um Moskau in die Schranken zu weisen und sich vor Russlands imperialen Ambitionen zu schützen.

Seit dem russischen Angriff auf die Ukraine wurde zumindest die Notwendigkeit einer einheitlichen EU-Sicherheits- und -Rüstungspolitik gebetsmühlenartig wiederholt. Aber allzu oft wurden typische EU-Kompromisse vereinbart, die die offensichtlichen Brüche und Spaltungen zwischen den Mitgliedstaaten der EU kaum verschleiern können. Es bleibt eine offene Frage, ob die EU wirklich ihre eigene Rolle in der Sicherheits- und Verteidigungspolitik finden wird. Der im März 2022 vereinbarte Strategische Kompass der EU verspricht „einen ehrgeizigen Aktionsplan für die Stärkung der Sicherheits- und Verteidigungspolitik der EU … und einen Quantensprung nach vorn“. Dazu sei es notwendig, nachzurüsten und die Lücken in den Verteidigungskapazitäten so schnell wie möglich zu schließen. Aber gibt es überhaupt ein europäisches oder ein NATO-Defizit?

Laut offiziellen Zahlen der NATO wuchsen die Militärausgaben von NATO-Europa plus Kanada zwischen 2015 und 2022 in jedem einzelnen Jahr. Das Wachstum schwankte real zwischen 1,6 und 5,9 Prozent. Im Jahr 2023 wuchsen die Budgets sogar um 8,3 Prozent. Die europäischen NATO-Länder und Kanada haben ihre Budgets von 235 Milliarden US-Dollar im Jahr 2014 auf geschätzte 380 Milliarden US-Dollar im Jahr 2024 erhöht – eine Steigerung um mehr als 60 Prozent. Die Gesamtausgaben der NATO, einschließlich der USA, erreichten im Jahr 2024 zusammen 1 160 Milliarden US-Dollar.

Vergleicht man diese Entwicklungen und Trends mit den russischen Militärausgaben, ergibt sich ein interessantes Bild. In den letzten zehn Jahren hat Russland jährlich rund vier Prozent seines BIP für das Militär ausgegeben (mehr als doppelt so viel, wie die NATO jetzt anstrebt). 2022 belief sich das russische Budget für die Streitkräfte auf 86,4 Milliarden US-Dollar. Der russische Verteidigungshaushalt ist drastisch gestiegen und wird im Jahr 2024 auf etwa 109 Milliarden US-Dollar geschätzt, knapp ein Drittel des gesamten Staatshaushalts. Aber allein der Verteidigungsetat der europäischen NATO-Länder ist größer als der gesamte russische Staatshaushalt. Obwohl die Militärausgaben eine schwere Belastung für die russische Wirtschaft darstellen, die inzwischen weitgehend auf Kriegswirtschaft umgestellt ist, sind die Ausgaben der NATO in Europa und Kanada dreieinhalb Mal höher. Mit den neuen NATO-Mitgliedern Finnland und Schweden ist die negative militärische Bilanz Russlands noch ausgeprägter. Russlands Militärausgaben belaufen sich auf lediglich zehn Prozent der Ausgaben der NATO, wenn man die US-Ausgaben mit einbezieht. Allein Frankreich (53,6 Milliarden US-Dollar) und Deutschland (55,8 Milliarden US-Dollar) haben 2022 insgesamt so viel ausgegeben, wie Russland jetzt plant.

Gemessen an diesen Zahlen hat es nie ein Defizit gegenüber Russland gegeben und gibt es, trotz aller Anstrengungen Moskaus, auch heute nicht. Selbst wenn die unterschiedliche Kaufkraft in Russland und in der NATO berücksichtigt wird, zeigt sich ein deutliches Übergewicht der NATO. Ein ähnliches Bild ergibt sich, wenn man die Zahl der Soldaten oder die Ausrüstung mit Kampfflugzeugen, Kampfpanzern, Raketen, Kriegsschiffen und U-Booten vergleicht. Schließlich waren Russlands Streitkräfte nicht in der Lage, die als schwach eingestufte Ukraine sofort erfolgreich zu besetzen. Dass die NATO rein quantitativ betrachtet hoch überlegen ist, wird aber kaum thematisiert.

Warum also das Narrativ, dass Europa nicht in der Lage sei, sich selbst zu verteidigen? Warum schrillen die Alarmglocken in Westeuropa, wenn Donald Trump verkündet, wer nicht bezahlt, wird „von uns“ nicht verteidigt? Ist Europa ohne Unterstützung der USA wirklich nicht fähig, sich konventionell gegen Russland zu verteidigen? Dass die Europäer tatsächlich zu einer eigenständigen Rüstungs- und Verteidigungspolitik nicht in der Lage sind, wird durch viele international bedeutsame militärische Aktionen der letzten Jahrzehnte bestätigt. Im Kosovokrieg 1999 erwiesen sich die Europäer als unfähig, ihre völkerrechtlich problematische Politik ohne die USA durchzusetzen. Die Evakuierung der westlichen Truppen aus Afghanistan 2021 endete im Chaos. Die Europäer waren auf die Lufttransportkapazitäten der USA angewiesen. Auch die militärisch gestützte EU-Sahelpolitik endete kürzlich mit einem Misserfolg und dem Rückzug der Streitkräfte.

Der Hauptgrund für die jahrzehntelange Unfähigkeit der Westeuropäer, im Rahmen der EU oder im europäischen Teil der NATO strategische Autonomie zu erzielen, die der französische Präsident Emmanuel Macron seit Langem fordert, ist die unkoordinierte, weitgehend national orientierte Rüstungs- und Verteidigungspolitik – und eben nicht die angeblich fehlenden finanziellen Mittel. Denn in den vergangenen Jahrzehnten wurden in Europa Unmengen von Geldern bereitgestellt. So liegt Deutschland auf Platz 6 der Weltrangliste bei den Militärausgaben. Dennoch heißt es, die Bundeswehr stehe „blank“ da, sie sei „kaputtgespart“ worden. Was ist eigentlich aus den mehr als 3 000 Milliarden US-Dollar geworden, die die europäischen NATO-Länder in den letzten zehn Jahren für ihre Streitkräfte aufgewendet haben?

Die Erklärungen und Versprechungen für eine eigenständige europäische Politik und deren Umsetzung klaffen weit auseinander. Nach wie vor ist die Verteidigungspolitik in der EU höchst umstritten. Die jüngsten Diskussionen um die Möglichkeiten des Einsatzes europäischer Bodentruppen in der Ukraine bestätigen die Kluft zwischen Anspruch und Wirklichkeit. Kaum hatte der französische Präsident diese Möglichkeit ins Gespräch gebracht, zerfiel die EU in zwei Lager: in Befürworter und vehemente Gegner.

Der Krieg Russlands gegen die Ukraine hätte das endgültige Aus für eine national ausgerichtete Sicherheits- und Verteidigungspolitik in Europa sein müssen. Doch das Gegenteil ist der Fall, wie auch der Streit um die Möglichkeit zeigt, einen EU-Kommissar für Verteidigung zu schaffen. Die in allen europäischen Ländern erklingenden Rufe nach mehr Waffen ist reine Symbolpolitik. Es ist eine Ersatzhandlung, um nicht die wirklichen Konsequenzen aus dem Ukrainekrieg ziehen zu müssen. Es ist symbolischer Aktionismus, mit dem die gescheiterten gemeinsamen Konzepte und Strategien kaschiert werden. IPG 12

 

 

 

Schärfere Regeln: EU-Parlament beschließt Asylreform

 

Seit Jahren streitet die EU über die gemeinsame Asylpolitik. Am Mittwoch hat das EU-Parlament die EU-Asylreform final gebilligt. Die Entscheidung gilt als „historisch“ beziehungsweise „unmenschlich“ – je nach Betrachtungswinkel.

Nach jahrelangen Verhandlungen hat das EU-Parlament die umstrittene EU-Asylreform final gebilligt. Eine Mehrheit der Abgeordneten stimmte am Mittwoch in Brüssel für alle zehn Gesetzesvorschläge der Reform. Die neuen Regeln soll die Zahl von Geflüchteten und Migranten in die EU begrenzen und steuern.

Im Kern geht es um einheitliche Verfahren, schnellere Abschiebungen und mehr Solidarität unter den EU-Staaten. Über viele der Vorschläge streitet die EU bereits seit 2016, ausgelöst durch die große Fluchtbewegung im Jahr 2015.

Proteste bei Abstimmung im EU-Parlament

Die Abstimmung im EU-Parlament wurde von Protestrufen unterbrochen. Demonstrierende auf den Zuschauerrängen riefen auf Englisch „Der Pakt tötet. Stimmt dagegen!“ und warfen Papierflugzeuge in das Plenum. Parlamentspräsidentin Roberta Metsola musste die Abstimmung unterbrechen. Die unerwartete Aktion sorgte für gemischte Reaktionen unter den Abgeordneten: Einige standen auf und applaudierten, während andere den Protest kritisierten.

Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) bezeichnete die Asylreform als historischen und unverzichtbaren Schritt. Im Internetdienst X, vormals Twitter, schrieb Scholz am Mittwoch, die Reform stehe für die Solidarität unter den europäischen Staaten. „Sie begrenzt die irreguläre Migration und entlastet endlich die Länder, die besonders stark betroffen sind“, fügte er hinzu. Außenministerin Annalena Baerbock (Grüne) schrieb bei X, mit dem Ja zur Reform beweise die EU in schwierigen Zeiten Handlungsfähigkeit. Europa bekomme verbindliche Regeln mit „Humanität und Ordnung“.

Faeser: Überlassen Thema nicht Rechtspopulisten

Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) begrüßte die Zustimmung des EU-Parlaments ebenfalls. Die Reform werde die irreguläre Migration wirksam begrenzen und zu einer Entlastung der Kommunen führen, erklärte sie in Berlin. Mit der Einigung habe Europa „eine tiefe Spaltung“ überwunden. Die Ministerin kündigte an, sich dafür einsetzen zu wollen, dass die Reform möglichst schnell Wirkung entfaltet. Deutschland werde jetzt gemeinsam mit der EU-Kommission und der belgischen Ratspräsidentschaft „sehr intensiv daran arbeiten, das Gemeinsame Europäische Asylsystem schnellstmöglich umzusetzen“.

Die Entscheidung zeige auch: „Wir überlassen dieses zentrale Thema nicht den Rechtspopulisten, die Menschen in Not für ihre Stimmungsmache missbrauchen“, sagte Faeser. Kritiker bestätigten hämisch: die beschlossene Asylreform sei rechtspopulistisch, mithin werde den Rechtspopulisten tatsächlich nichts überlassen.

Unterschiedliche Reaktionen, SPD mit gemischten Gefühlen

Innerhalb des EU-Parlaments fällt die Bewertung der EU-Asylreform sehr unterschiedlich aus. „Das heutige Votum ist ein historischer Moment für Europa und ein Meilenstein für ein gemeinsames europäisches Asylsystem“, erklärte die CDU-Europaabgeordnete Lena Düpont. Ähnlich sieht es die FDP. „Endlich schaffen wir klare Regeln für die ankommenden Menschen und schnellere Verfahren an den Außengrenzen. Damit bringen wir mehr Ordnung in das europäische Migrationssystem“, erklärte der FDP-Parlamentarier Jan-Christoph Oetjen.

Die Sozialdemokraten betrachten die Reform mit gemischten Gefühlen. Die Europaabgeordnete Birgit Sippel (SPD) erklärte, um einen Kompromiss zu erzielen, habe ihre Fraktion „hohe Zugeständnisse“ machen müssen. Sie wolle Kritik nicht verschweigen. So seien etwa verpflichtende Grenzverfahren für Familien eines der „hochproblematischen Elemente“.

Linke: Krokodilstränen von SPD und Grüne nicht glauben

Die Grünen im Europaparlament sehen das Paket als eine „Verschlechterung der aktuellen Situation“ und stimmten gegen eine Mehrheit der Gesetzesentwürfe, wie die Europaabgeordnete Katrin Langensiepen (Grüne) erklärte.

Die Linke äußerte deutliche Kritik. Der Beschluss „ebnet den Weg für einen beispiellosen Rechtsruck in der EU-Asylpolitik“, sagte die Abgeordnete Cornelia Ernst. Der Vorsitzende der Linksfraktion im EU-Parlament, Martin Schirdewan, kritisierte SPD und Grüne: „Niemand sollte den scheinheiligen Krokodilstränen Glauben schenken, mit denen Vertreter von SPD und Grünen dieses Ergebnis bedauern werden.“ Er warf ihnen ein „durchsichtiges Spiel“ vor, denn sie würden der unmenschlichen Reform erst zustimmen und dann erfolglos versuchen, sie abzumildern.

Kinderrechtler warnen vor EU-Asylreform

Das Gesetzespaket sieht unter anderem vor, dass Asylsuchende mit geringer Bleibechance schneller und direkt von den EU-Außengrenzen abgeschoben werden. Für die Schnellverfahren sollen die Menschen bis zu zwölf Wochen unter haftähnlichen Bedingungen untergebracht werden. Während der Verfahren gelten die Menschen juristisch als nicht eingereist („Fiktion der Nicht-Einreise“). Das bedeutet, sie haben nicht dieselben Rechte wie Asylbewerber. Deutschland wollte, dass Kinder von diesen sogenannten Grenzverfahren ausgenommen werden, setzte sich mit dieser Forderung aber nicht durch.

Das internationale Kinderhilfswerk Terre des Hommes hatte bereits im Vorfeld der Abstimmung appelliert, gegen die EU-Asylreform zu stimmen. Das Migrations- und Asylpaket sei mit Kinderrechten nicht vereinbar, teilte das in Osnabrück ansässige Werk mit. Die Asyl-Reform bedeute für zahlreiche Kinder auf der Flucht die „Inhaftierung hinter Stacheldraht und Lagermauern und die Gefahr von Rückführungen in Länder, in denen sie nicht sicher sind“, sagte Joshua Hofert, Vorstandssprecher von Terre des Hommes. Insbesondere die Inhaftierung zur Migrationskontrolle widerspreche der UN-Kinderrechtskonvention.

Sonderregeln für EU-Staaten

Die sogenannte Krisenverordnung ist ein weiterer Baustein des Reformpaketes. Sie sieht Sonderregeln für EU-Staaten vor, die aufgrund ihrer geografischen Lage vergleichsweise viele Geflüchtete aufnehmen. Zum Beispiel können sie Schutzsuchende dann noch länger an der Außengrenze festhalten. Deutschland hatte auch diese Regelung zunächst wegen humanitärer Bedenken abgelehnt.

Gemäß den neuen Regeln ist grundsätzlich weiterhin das EU-Land für einen Asylbewerber zuständig, in dem dieser zuerst europäischen Boden betreten hat. Zusätzlich ist ein EU-Solidaritätsmechanismus geplant. Dieser soll hauptsächlich die EU-Staaten an der Außengrenze entlasten und Schutzsuchende innerhalb der EU umverteilen. Länder, die keine Personen aufnehmen wollen, sollen aber auch Ausgleichszahlung leisten können.

Expertin: Auswirkungen der Reform „begrenzt“

Nach dem EU-Parlament muss noch der Rat der EU-Mitgliedstaaten der Reform zustimmen. Dies gilt als Formsache. Anschließend haben die EU-Staaten zwei Jahre Zeit für die Umsetzung. Das soll den Staaten an den Außengrenzen genügend Zeit geben, entsprechende Einrichtungen zur Unterbringung von Menschen aus Staaten mit einer Anerkennungsquote von weniger als 20 Prozent zu schaffen.

Kurzfristig wird sich also an der Situation in Deutschland nichts ändern. Migrationsforscherin Zeynep Yana?mayan vom Deutschen Zentrum für Integrations- und Migrationsforschung mahnte an, dass sich Veränderungen in Fluchtbewegungen vor allem nach Konflikt- und Verfolgungslagen in Herkunfts- und Transitländern richteten. „Wie die Aufnahmestaaten agieren, wirkt sich auf Migration, vor allem auf Flucht, nur sehr begrenzt aus“, sagte sie der Deutschen Presse-Agentur. (epd/dpa/mig 12)

 

 

 

Das Spiel ist aus

 

In Großbritannien bedauern immer mehr den EU-Austritt. Doch auch unter einer Labour-Regierung wird es keine Neuauflage der Brexit-Verhandlungen geben. Michèle Auga

 

Am 30. Juli 1966 läuft bereits die Verlängerung im WM-Endspiel in Wembley zwischen England und Deutschland. Nach 101 Minuten steht es noch immer 2:2, als der englische Spieler Geoff Hurst den Ball von der rechten Seite des Torraums mit einem strammen Schuss über den Kopf des deutschen Torwart Hans Tilkowski hinweg aufs Tor schießt. Der Ball prallt zunächst an die Unterseite der Torlatte, von dort direkt auf die Tor-Linie und zurück in den Strafraum, wo der deutsche Verteidiger Wolfgang Weber ihn beherzt über das Tor ins Aus köpft. Tor oder nicht Tor – das ist hier die Frage. Das Spiel ist lange abgepfiffen, England wurde Weltmeister und dennoch blieb das Wembley-Tor eine Generationenfrage. Der Diskussionsprozess war so schmerzhaft, dass vor allem die deutschen Spieler lange nicht darüber sprechen wollten.

Der britische Labour-Vorsitzende Keir Starmer, ein Linksfüßler, spielt noch immer jede Woche Fußball (Alte Herren) in – wie er sagt – „einer taktisch-kontrollierenden Rolle im Mittelfeld“. Was er an Fußball liebe, seien die Toleranz und der Respekt, den man gegenüber dem gegnerischen Team aufbringen müsse. Zwischen 2016 und 2019, als er die Rolle des Schattenministers für die Brexit-Verhandlungen ausfüllte, musste er, der überzeugte Europäer, diese Toleranz vor allem gegenüber weiten Kreisen der eigenen Anhängerschaft aufbringen. Über 30 Prozent der klassischen Labour-Wähler hatte sich für den Austritt aus der EU stark gemacht.

Gerade in den traditionellen Wahlkreisen der Arbeiterpartei in den Midlands und im Norden Englands war die Anti-EU-Stimmung besonders stark. Ausgerechnet diese ehemaligen Hochburgen von Labour gingen 2019 in der von Boris Johnson ausgerufenen „Get Brexit Done“-Parlamentswahl krachend für die Partei verloren. Seither hat sich das Vereinigte Königreich dramatisch verändert. Das Land ist durch eine schwere Pandemie, einen heftigen Anstieg der Lebenshaltungskosten und eine erneute Austeritätspolitik schwer gebeutelt. Die Auswirkungen des Brexits sind nicht mehr nur abstrakte Warnungen der Pessimisten, sondern werden vor allem im Alltag durch gestiegene Preise, Fachkräftemangel und Beschwernisse beim Reisen deutlich.

Großbritannien wartet gespannt auf die nächsten Parlamentswahlen, die bis zum Januar 2025 abgehalten werden müssen. Die Entscheidung über den genauen Zeitpunkt obliegt allein dem derzeitigen Premierminister Rishi Sunak. Am Wahltag wird die Konservative Partei seit mehr als 13 Jahren an der Macht sein. Lange galt sie als fast unbesiegbar, aus den letzten vier Wahlen zum Unterhaus ist sie jeweils als stärkste Partei hervorgegangen. Seit 2021 befinden sich ihre Umfragewerte jedoch im freien Fall. Eine Reihe von verlorenen Nachwahlen verstärkt den Eindruck, dass die Tories an den Urnen auf eine dramatische Niederlage zusteuern. Von heute 365 Sitzen in Westminster würden ihnen nach jetzigem Stand nur noch 155 bleiben, während die Labour-Fraktion von vormals 202 Abgeordneten auf 403 anwachsen würde. Ein neues Schlagwort macht die Runde: „Bregret“ – das Bedauern über den Brexit.

Labour dürfte sich die Downing Street nicht nur für eine, sondern mindestens zwei Wahlperioden sichern. Wäre es daher jetzt nicht an der Zeit, dass der Europäer Starmer den „Fehler“ des EU-Austritts wiedergutmacht? So kurz vor den Europawahlen böte es sich doch an, die mediale Aufmerksamkeit für das Thema zu nutzen. Im März 2024 waren schließlich 55 Prozent der Menschen in Großbritannien der Meinung, dass es falsch war, die EU zu verlassen, gegenüber 34 Prozent, die es weiterhin für eine richtige Entscheidung halten. Der Anteil derjenigen, die den Brexit bedauern, liegt bereits seit zwei Jahren durchgehend über 50 Prozent. Diese Zahlen spiegeln die sinkenden Zustimmungswerte der Regierung wider, zumal die Tories und ihr ehemaliger Premierminister Johnson stark mit dem Brexit und dem „Leave“-Votum in Verbindung gebracht werden.

Obwohl es eine klare Mehrheit gibt, die den Brexit tatsächlich bedauert, gibt es noch immer keine bestimmte Politik mit Blick auf die EU. Noch Ende 2023 wollten nur 31 Prozent der Britinnen und Briten tatsächlich zurück in die EU, während 30 Prozent lediglich die Handelsbeziehungen verbessern und weder der EU noch dem Binnenmarkt wieder beitreten wollten. Auch der Ukraine-Krieg hat daran nichts geändert.

„Es ist von grundlegender Bedeutung, dass das Vereinigte Königreich und Europa engste Beziehungen unterhalten, und die Zeit des Brexits ist vorbei, die Situation ist geklärt“, so Labours vermeintlich zukünftiger Außenminister David Lammy auf der Münchner Sicherheitskonferenz im Februar 2024. Labour werde einen neuen Sicherheitspakt mit der EU anstreben, der regelmäßige Treffen zwischen Ministerinnen und Ministern beider Seiten vorsehe – derzeit gibt es keine Treffen dieser Art. Im EU-Lager der Labour-Partei hoffen viele, dass ein regelmäßiger Sicherheitsdialog eine katalysatorische Wirkung hätte. Wer über Sicherheit spreche, der werde bald auch über andere Themen Informationen austauschen wollen wie zum Beispiel Energie, Lieferketten oder Migration.

Bereits 2026 steht die nächste Herausforderung im bilateralen Verhältnis mit der EU an: die im Handelsabkommen (TCA) vorgesehene Überprüfung der bisherigen Vereinbarungen. Vorstellbar sei deshalb auch, dass sich Labour für atmosphärische Verbesserungen einsetzen könnte, unter anderem durch ein Abkommen zum Abbau von Handelshemmnissen, über die gegenseitige Anerkennung beruflicher Qualifikationen, die Erleichterung der visafreien Kurzzeitbeschäftigung von Briten in der EU und umgekehrt oder über die Übernahme von EU-Standards im Bereich Pflanzen- und Tiergesundheit. Auch die viel zitierten Schwierigkeiten bei der Durchführung von Musik-Tourneen könnte man leicht aus dem Weg räumen. Anders als die Tories werde man sicherlich auch nicht permanent nach Divergenz zur EU streben, sondern versuchen, gemeinsame Standards zu halten.

Der Taktiker Starmer ist jedoch nicht bereit, das Vereinigte Königreich zurück in den Binnenmarkt oder die Zollunion zu führen. Eine Rückkehr zur Personenfreizügigkeit wäre aus seiner Sicht eine Verletzung der Spielregeln. Die Kontrolle darüber, wer ins Land kommt, dürfe nie wieder aufgegeben werden. Die Brexit-Parole „Take back control“ schwingt vor allem in den ehemaligen Bergbaustädten Englands noch immer nach und die Parteistrategen sind überzeugt, dass sie von der dortigen Wählerschaft – ohne deren Stimmen ein Wechsel in London unmöglich bleibt – sofort abgestraft würden, sollten sie das Thema Migration preisgeben. Ein weiteres Abkommen mit der EU könne auch die Vorteile der Freihandelsregeln mit Australien und Neuseeland gefährden oder die Bedeutung der Mitgliedschaft in der CPTPP-Freihandelszone schmälern. Zwar möchte Labour gern eine Vereinbarung mit der EU treffen, um die Auswirkungen der Kontrollen von Lebensmitteln und landwirtschaftlichen Erzeugnissen zu mildern, aber dies würde wahrscheinlich voraussetzen, dass man eine Angleichung an zukünftige EU-Vorschriften akzeptierte – ein Narrativ, das Starmer tunlichst vermeiden will.

Der Wahlexperte Rob Ford von der Organisation UK in a Changing Europe hält den derzeitigen Kurs aus wahltaktischen Gründen durchaus für sinnvoll: „In Dudley, Nuneaton, Leigh und all den anderen Orten, die viel stärker von der Linken geprägt sind, funktioniert das gut.“ Andererseits, so warnt er, könnte die Partei später in der Regierung von ihren eigenen Abgeordneten unter Druck gesetzt werden.

Das Lager um Abgeordnete wie Stella Creasy, die im Labour Movement for Europe den Vorsitz innehat, formiert sich wiederum gerade neu und stellt erfolgversprechende pro-europäische Kandidatinnen und Kandidaten auf. Die Labour-Partei unter Starmer ist zwar instinktiv pro-europäisch, aber im Vorfeld der Parlamentswahlen bleibt sie vorsichtig und konzentriert sich darauf, die red wall seats zurückzugewinnen. Brexit ja oder nein, das war keine Wirtschafts-, sondern Identitätspolitik und viele Unzufriedene könnten sich vielleicht schnell an ihre starke „Leave“-Identität erinnern, sollte sich die politische Auseinandersetzung wieder vermehrt um Europa drehen.

Starmer weiß, es gibt noch viele andere Gegner auf dem Spielfeld. Möchte Brüssel tatsächlich eine Neuauflage der Brexit-Verhandlungen? Hat das Königreich diesbezüglich nicht ein Glaubwürdigkeitsproblem? Und wer garantiert, dass eine europafeindliche Konservative Partei bei der nächsten Wahl nicht doch wieder an die Macht gelangt? Haben die Hardliner unter den Brexiteers wirklich an Einfluss verloren? Die rechtspopulistische Reform UK-Partei (früher „Brexit-Partei“) erfährt wieder Zulauf und hat mit dem TV-Sender GB News ein neues, lautes Sprachrohr.

Ob Wembley oder Brexit: Das Spiel ist aus. Es ist abgepfiffen, aber ob die Schiedsrichterentscheidung korrekt war, darüber wird wohl noch über Jahre gesprochen werden. Bis eine nächste Generation auf dem Feld steht, könnte die Spieltaktik von Labour lauten: Festlegung einer Agenda und Prioritäten, Kommunikation mit Brüssel, Ermutigung der britischen Behörden, ihre Netzwerke in den EU-Hauptstädten zu halten und auszubauen, Verbreitung von Wissen über Europa, Schaffung von strukturellen Verbindungen in der Außen- und Verteidigungspolitik, Aushandlung eines zusätzlichen Kapitels über Mobilität sowie Abkehr von der Divergenz und Anerkennung der EU-Vorschriften zur Pflanzen- und Tiergesundheit sowie zur Lebensmittelsicherheit.

Es war lange unklar, ob der Ball im Wembley-Stadion hinter der Torlinie war oder nicht. Erst in den 1990er Jahren kam eine von britischen Ingenieuren veröffentlichte Studie zu dem Schluss, der Ball sei nicht im Tor gewesen. Aufbereitete Fotos und Filmaufnahmen zeigen den hochgeschleuderten Kalk der Torlinie. Starmer weiß, spätere Generationen werden anders auf Europa schauen: Nach dem Spiel ist vor dem Spiel. IPG 12

 

 

 

 

EU-Asylpakt: „Historischer Tag“ oder „Tiefpunkt“

 

Nach jahrelanger Diskussion hat das Europäische Parlament am Mittwoch einer weitreichenden Reform des Europäischen Asylsystems zugestimmt. Dies markiert einen historischen Moment, da zum ersten Mal einheitliche Asylverfahren an den Außengrenzen der EU eingeführt werden. Die Reaktionen aus Politik, Gesellschaft und Kirche gehen weit auseinander.

Das Europäische Parlament hat am Mittwoch über eine Reform des Asylsystems abgestimmt. Die zentrale Änderung der Reform besteht darin, dass Ankommende unter Bedingungen ähnlich der Haft in Lagern untergebracht und registriert werden sollen.

Personen aus Ländern mit einer Anerkennungsquote von weniger als 20 Prozent und die nicht minderjährig sind, sollen innerhalb von drei Monaten abgeschoben werden. Zudem wird es für einzelne Länder möglich sein, Geld zu bezahlen als Alternative zur Aufnahme von Flüchtlingen.

Die Bestätigung der ausgehandelten Kompromisstexte durch den Rat der 27 Mitgliedsstaaten steht noch aus. Bis die Reform in Kraft tritt, kann es bis zu zwei Jahren dauern.

Aus den ersten Reaktionen von Vertretungen der Politik, NGO’s und der Kirche lassen sich sehr unterschiedliche Sichtweisen erkennen.

Migrationspolitik auf „bessere Beine gestellt“

Auf der Plattform X haben sich viele Politiker und Politikerinnen zu Wort gemeldet.

„Die EU-Migrationspolitik wird auf neue und bessere Beine gestellt. Die EU ist handlungsfähig. Ein guter Tag für Europa,“ schreibt Manfred Weber (CSU), Vorsitzender der Europäischen Volkspartei.

EU-Parlamentspräsidentin Roberta Metsola nennt die Beschlüsse einen „robusten Gesetzesrahmen für den Umgang mit Migration und Asyl in der EU“.

 „Ein historischer, unverzichtbarer Schritt,“ nennt sie Olaf Scholz.

Die deutsche Innenministerin, Nancy Faeser (SPD), sieht in der Einigung eine tiefe Spaltung Europas überwunden. „Wir schützen weiterhin die Menschen, die aus furchtbaren Kriegen, vor Terror, Folter und Mord zu uns fliehen. Aber diese Verantwortung für Geflüchtete wird künftig auf mehr Schultern verteilt sein.“

Bundesaußenministerin Annalena Baerbock zeigt sich ebenfalls zufrieden mit dem Ergebnis der Abstimmung. Mit der Zustimmung zur Asylreform „beweist die EU in schwierigen Zeiten Handlungsfähigkeit“, schreibt die Grünen-Politikerin.

Pakt kann die unerträgliche Situation nicht lösen

Die Grünen zeigen verschiedene Meinungen zu diesem Thema. Terry Reintke, Ko-Vorsitzender der Grünen im Europaparlament, beklagt, dass der Asyl- und Migrationspakt „die unerträgliche Situation an den EU-Außengrenzen nicht lösen“, und kaum dazu beitragen, werde, Migration besser zu steuern, stattdessen aber mehr Bürokratie schaffen werde.

Tiefpunkt für Flüchtlingsschutz

Amnesty International bezeichnet die gebilligte Asylreform als „verpasste Chance“ und „beschämend“. Die Organisation Pro Asyl nennt das Paket einen „Tiefpunkt für den Flüchtlingsschutz in Europa“. „Ärzte ohne Grenzen“ warnt, dass das System bestehende Dynamiken verschärfen und Menschen dazu zwingen wird, noch gefährlichere Fluchtrouten zu wählen.

„Scheitern der europäischen Solidarität“

Europa vernachlässige die Dramen der Migranten auf der Flucht und ersetze Aufnahme durch Geldzahlungen, kommentiert die bischöfliche Stiftung Migrantes am Donnerstag. Der Pakt markiere das Scheitern der europäischen Solidarität. Auf Grenzländer wie Italien kämen nicht weniger, sondern mehr Herausforderungen zu, etwa schnellere Kontrollen. Die kommenden Europawahlen seien ein wichtiger Test, um Europa nicht Nationalismus und Populismus zu überlassen. Im laufenden Jahr sind laut italienischem Innenministerium mehr als 15.000 Menschen über die Mittelmeerroute nach Italien gekommen. (sz / kna 11)

 

 

 

 

Fachleute warnen vor Zuspitzung der Schuldenkrise armer Länder

 

Geld für Gläubiger – darunter Deutschland – statt Schulbücher oder Ärztinnen: Viele wirtschaftlich schwachen Länder leiden laut einem Report unter hohen Staatsschulden. Das Geld fehlt für notwendige Investition in Bildung und Gesundheit. Folge: Migration in reichere Länder.

 

Die Situation für hoch verschuldete Staaten im globalen Süden spitzt sich einem Bericht zufolge weiter zu. Nicht zuletzt durch die wieder gestiegenen Zinsen erreiche der Schuldendienst an die ausländischen Gläubiger in diesem Jahr neue Höchststände, hieß es in dem veröffentlichten Schuldenreport 2024 des katholischen Hilfswerks Misereor und des Bündnisses erlassjahr.de. Demnach fließen in den untersuchten 152 Ländern insgesamt über eine Milliarde US-Dollar pro Tag in den Schuldendienst – so viel wie noch nie. Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) mahnte eine „gerechte Lösung der Schuldenproblematik“ an.

Kritisch bis sehr kritisch verschuldet sind dem Bericht zufolge inzwischen 55 Prozent der Länder, im Vergleich zu 37 Prozent im Jahr 2019 vor Beginn der Corona-Pandemie. Als Folge geht ein wachsender Teil der Staatseinnahmen in die Tilgung der Verbindlichkeiten. In 45 Staaten seien es bereits mehr als 15 Prozent.

Geld fehlt für Bildung, Gesundheit, Klima

Dieses Geld fehle für dringend notwendige Investitionen in Bildung, Gesundheit und Klimaschutz. „Viele Länder im Süden stehen buchstäblich mit dem Rücken zur Wand“, warnen die Fachleute. So sind im Libanon die Ausgaben für den Schuldendienst laut dem Bericht inzwischen zehnmal so hoch wie die für Bildung. In Ghana fließt elfmal mehr Geld in Zins- und Tilgungszahlungen als in das Gesundheitswesen.

Info & Download: Der "Schuldenreport 2024" kann kostenfrei heruntergeladen werden.

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Einen Ausweg aus der Schuldenkrise seien umfangreiche Schuldenerlasse. Ohne die Streichung von Verbindlichkeiten könne eine bessere wirtschaftliche und soziale Entwicklung in den betroffenen Ländern nicht erreicht werden.

Schulze: Überschuldung eine „tickende Zeitbombe“.

Entwicklungsministerin Schulze sagte mit Blick auf den Bericht, es brauche einen „neuen internationalen Konsens zum Umgang mit der dramatischen Verschuldung“. Für die Stabilität der Weltwirtschaft sei die Überschuldung eine „tickende Zeitbombe“. Eine gerechte Lösung sei nur möglich, wenn sich alle Gläubiger gleichwertig an Schuldenerlassen beteiligten. Die SPD-Politikerin verwies in diesem Zusammenhang insbesondere auf China, das zum größten staatlichen Gläubiger armer Länder geworden sei.

Die ersten Umschuldungen nach der Corona-Pandemie zeigen den Fachleuten zufolge, dass Gläubiger so wenig Erlass wie möglich gewährten. „Gläubigerinteressen dominieren. Es sind die Menschen in den Schuldnerländern, die dafür bezahlen“, sagte Klaus Schilder, Experte für Entwicklungsfinanzierung bei Misereor. Folge: Immer mehr Menschen in diesen Ländern verlieren die Hoffnung auf eine Zukunft und migrieren in andere Länder.

Deutschland weltweit viertwichtigster Gläubiger

Mit Blick auf den im Herbst anstehenden UN-Zukunftsgipfel appellieren Misereor und erlassjahr.de an die Bundesregierung, sich dort für einen neuen Konsens zum Schuldenmanagement einzusetzen, um die Weichen für faire Entschuldungsverfahren zu stellen. So müssten sich öffentliche und private Gläubiger verpflichtend an Schuldenerleichterungen beteiligen. Zudem brauche es endlich den „politischen Grundstein“ für ein Staateninsolvenzverfahren.

Zu den größten Gläubigerstaaten von Ländern mit niedrigem Einkommen gehört inzwischen China. Auch die G7 als die Gruppe der größten Industriestaaten spielen eine bedeutende Rolle. Deutschland ist der viertwichtigste sogenannte bilaterale Gläubiger weltweit. Bilaterale Schulden sind Kredite eines Staates bei einem anderen Staat. Zu den privaten Gläubigern gehören insbesondere Investmentbanken. (epd/mig 11)

 

 

 

Wegweisendes Klima-Urteil. Europäischer Gerichtshof: Klimaschutz ist Menschenrecht

 

Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte hat wegweisende Klima-Urteile gesprochen: Die sogenannten Klimaseniorinnen siegten, Jugendliche aus Portugal scheiterten hingegen mit ihrer Klage. Die Urteile stellen wichtige Präzedenzfälle dar. Klimaforscher begrüßen Urteil.

Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte (EGMR) hat geurteilt, dass Staaten gegen Menschenrechte verstoßen, wenn sie zu wenig für den Klimaschutz tun. Der mangelhafte Klimaschutz der Schweiz habe das Recht auf Achtung des Privat- und Familienlebens der Europäischen Konvention für Menschenrechte verletzt, entschieden die Straßburger Richter am Dienstag in einem wegweisenden Klima-Urteil. Geklagt hatte der Schweizer Verein der Klimaseniorinnen.

Zwei weitere Klima-Klagen scheiterten aus formellen Gründen vor dem Gerichtshof. Auch Jugendliche aus Portugal und ein französischer Bürgermeister hatten wegen Folgen des Klimawandels geklagt.

Recht auf Schutz durch vor den Auswirkungen des Klimawandels

Die Klage der Schweizer Seniorinnen gilt als erste Klima-Klage, die vor dem Menschenrechtsgerichtshof verhandelt wurde. Die von Greenpeace unterstützte Gruppe wollte damit erreichen, dass die Schweiz ihre Treibhausgasemissionen stärker reduzieren muss. Die Seniorinnen argumentierten, dass sie durch ihr Alter besonders durch den Klimawandel gefährdet seien, beispielsweise wegen großer Hitze.

Die Straßburger Richter gaben den Frauen recht. Der Gerichtshof stellte fest, dass Artikel 8 der Menschenrechtskonvention ein Recht auf wirksamen Schutz durch die staatlichen Behörden vor den schwerwiegenden nachteiligen Auswirkungen des Klimawandels auf Leben, Gesundheit, Wohlbefinden und Lebensqualität beinhaltet. Das Urteil bindet nur die Schweiz, schafft darüber hinaus aber einen Präzedenzfall für weitere Klima-Klagen auch vor nationalen Gerichten.

Zwei weitere Klagen aus formellen Gründen abgelehnt

In zwei weiteren Fällen wies der Gerichtshof am Dienstag die Klage ab. In einem Fall hatten Jugendliche aus Portugal eine Klima-Klage eingereicht. Auslöser waren verheerende Waldbrände im Jahr 2017. Die Kläger warfen ihrem Heimatland, Deutschland und weiteren europäischen Staaten vor, die Klimakrise verschärft zu haben und damit die Zukunft ihrer Generation zu gefährden. Die Straßburger Richter entschieden am Dienstag, die Jugendlichen hätten sich zuerst in Portugal durch die Instanzen klagen müssen, bevor sie den Gerichtshof in Straßburg anrufen.

Im dritten Verfahren ging es um die Klage eines ehemaligen französischen Bürgermeisters. Auch er hatte wegen mangelhaften Klimaschutzes gegen sein Heimatland Frankreich geklagt. Seine Klage wurde abgewiesen, weil er nicht als Opfer der potenziellen Menschenrechtsverletzung betroffen sei. Der Mann lebt aktuell nicht in Frankreich.

Klimaforscher begrüßen Urteil

Klimaforscher haben das Urteil begrüßt. Dass das Gericht dem Verein der Schweizer Klimaseniorinnen recht gegeben und unzureichende Klimapolitik als menschenrechtsverletzend anerkannt habe, „ist bahnbrechend“, erklärte der Direktor des Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung, Ottmar Edenhofer, am Dienstag: „Dieses Urteil sollte auch andere Staaten an ihre internationalen Verpflichtungen erinnern: Wer sich Klimaziele setzt, ist dafür verantwortlich, diese einzuhalten.“

Edenhofer betonte zugleich, Europa könne das „1,5-Grad-Celsius-Ziel“ des Pariser Abkommens zur Begrenzung der Erderwärmung alleine nicht halten. Auch die Schweiz trage hier nicht alleine die Verantwortung. Verantwortlich für die Bekämpfung des Klimawandels sei die gesamte internationale Staatengemeinschaft, vor allem die Hauptemittenten. Es seien bindende Mechanismen über Staatsgrenzen hinweg nötig, um Kooperation zu ermöglichen. Ko-Direktor Johan Rockström erklärte, zum ersten Mal habe sich ein internationales Gericht zum Klimawandel als Menschenrechtsfrage geäußert. Dies werde wichtige Auswirkungen für alle Politiker, insbesondere für die Regierenden haben.

Der EGMR ist für die Einhaltung der Menschenrechtskonvention zuständig. Er ist ein Organ des Europarates. Zu diesem zählen unter anderem die EU-Staaten, die Schweiz, Großbritannien und die Türkei. (epd/mig 10)

 

 

 

EURO 2024 in Deutschland: Nachhaltig wie nie zuvor

 

„Wir wollen, dass diese Europameisterschaft das nachhaltigste Sportereignis der Geschichte wird“: Diesem Vorsatz haben sich die Organisatoren der Fußball-Europameisterschaft EURO 2024 verschrieben, die ab Mitte Juni in Deutschland ausgetragen wird. Vorgestellt wurde das Sportevent an diesem Mittwoch in der Residenz des deutschen Botschafters in Italien, Hans-Dieter Lucas.

Unter den Gästen waren neben Weltmeister Miroslav Klose und dem UEFA-Direktor für soziale und ökologische Nachhaltigkeit, Michele Uva, weitere Starfußballer und Funktionäre. Mit einem ähnlichen Format wurde die EURO 2024 auch in anderen europäischen Ländern offiziell vorgestellt. In Rom moderierte Valentina Maceri. Die Deutsch-Italienerin hatte selbst mehrere Jahre in der deutschen Frauen-Nachwuchs-Nationalmannschaft gespielt.

„Heimspiel für Europa“ ist das Motto für die EM, das die gastgebende Bundesregierung gewählt hat. Allerdings soll die Europa-Meisterschaft nicht nur ein großes Fest des Fußballs sein, sondern auch neue Maßstäbe für die Nachhaltigkeit von Sportgroßveranstaltungen setzen – unter sozialen, ökologischen und wirtschaftlichen Gesichtspunkten.

„Wir wollen, dass diese Europameisterschaft das nachhaltigste Sportereignis der Geschichte wird“, betonte Botschafter Lucas bei der Vorstellung, für die er Sportgrößen und Funktionäre eingeladen hatte. Zwar stehe der Sport im Mittelpunkt der Meisterschaft, so Lucas weiter: „Aber wir wollen nicht den Kontext vergessen, in dem diese Europameisterschaften stattfinden. Der Krieg ist nach Europa zurückgekehrt. Deshalb muss diese Meisterschaft auch deutlich machen, was für unsere Vereine und für den Fußball in Europa wichtig ist: gegenseitiger Respekt, friedlicher und fairer Wettbewerb, Vielfalt und Freiheit.“

Dem stimmt Weltmeister Miroslav Klose zu. Der ehemalige Torjäger der Deutschen Nationalmannschaft saß gemeinsam mit Ex-Mitgliedern der italienischen Nationalmannschaft, Simone Perrotta und Damiano Tommasi, auf dem Podium. Was die Werte angehe, die mit EURO 2024 vermittelt werden sollten, so seien dies wohl vor allem die, für die er selbst einstehen wolle, so Klose gegenüber Radio Vatikan:

„Vor allem Respekt. Wenn man weiß, wie viele Nationen nach Deutschland kommen, wenn man weiß, wie unsere Nationalmannschaft, die ja 2014 auch Weltmeister wurde, aufgebaut war - mit Podolski, mir selbst, der ich in Polen geboren wurde, Mesut Özil mit seiner türkischen Abstammung, Khedira mit seiner tunesischen Abstammung… Das war bei uns schon kunterbunt und wir haben das auch so gelebt, weil jeder etwas dazu beigetragen hat. Dieses Miteinander ist auch ein Wert, den ich vorlebe: mit Respekt. Das ist mir immer wichtig und ich hoffe, dass das auch bei dieser EM der Fall sein wird.“

Innovativ werde die EM auf jeden Fall unter zahlreichen Gesichtspunkten sein, und auch der Spaß solle nicht zu kurz kommen, so Klose, der sich auch „schönes Wetter wie 2006“ - als Deutschland die Weltmeisterschaft ausgetragen hatte - für die EM wünschte. Damals sei das Wetter jedenfalls so gut gewesen, dass ihm der italienische Torhüter Buffonversichert habe, er wolle seine nächsten Ferien in Deutschland verbringen, schmunzelte er.

Nachhaltigkeit auf allen Ebenen

Besonderes Gewicht legen die Organisatoren des Sportgroßereignisses jedenfalls auf die Tatsache, dass für diese Europameisterschaft kein einziges Stadion neu gebaut werden musste. Klimafreundlich soll es vor allem dadurch werden, dass Fans mit verbilligten Zugtickets aus ganz Deutschland und dem Ausland für die Spiele anreisen können, auch ist ein ausgetüftelter Spielplan entstanden, der aufeinanderfolgende Spiele in denselben Gegenden Deutschlands bündelt, um weite Reisewege bestmöglich zu vermeiden. Eine Neuigkeit stellt außerdem der Fokus auf die Achtung der Menschenrechte dar: So wurde im Vorfeld der Spiele durch die UEFA und den DFB nicht nur das Versprechen abgegeben, besonders auf den Respekt der Menschenrechte zu achten, sondern auch eine eigene Anlaufstelle eingerichtet, bei der erlittene oder beobachtete Menschenrechtsverletzungen jeder Art angezeigt werden können. Diese sollen dann zentral weiterverfolgt und möglichst auch bereinigt werden – bis hin zu einer eventuellen strafrechtlichen Anzeige bei den zuständigen Behörden. 

„United by Football - Together for Nature“

Während der gesamten Europameisterschaft werden darüber hinaus Maßnahmen zur Reduzierung und Messung der CO2-Emissionen ergriffen. Unter dem Motto „United by Football - Together for Nature“ hat die UEFA im Namen der Nachhaltigkeit auch einen Fonds für Klimaschutzprojekte eingerichtet, in den für jede Tonne CO2, die während der EURO 2024 produziert wird, ein Beitrag von 25 Euro eingezahlt wird. Derzeit wird mit rund 7 Millionen Euro gerechnet. Soziale Nachhaltigkeit soll dadurch garantiert werden, dass flächendeckend in Deutschland vor allem Jugendmannschaften in ihrer Arbeit gefördert werden. 

51 Spiele in zehn Städten

Die Fußball-Europameisterschaft der Männer findet vom 14. Juni bis 14. Juli in Deutschland statt – die der Frauen wird 2025 in der Schweiz ausgetragen. Zehn Stadien werden die 51 Spiele der EURO 2024 beherbergen; Austragungsorte sind Berlin, Hamburg, Leipzig, Köln, Dortmund, Gelsenkirchen, Düsseldorf, Stuttgart, Frankfurt und München. Es handelt sich um die erste Fußball-EM in Deutschland seit 1988, als der internationale Wettkampf – noch vor der Wiedervereinigung – in Westdeutschland ausgetragen wurde. 24 Mannschaften treten in der aktuellen Ausgabe an. Das Eröffnungsspiel bestreitet Deutschland gegen Schottland am 14. Juni in München. Das Endspiel wird am 14. Juli in Berlin ausgetragen. (vn 10)

 

 

 

Umfragen. Rechtspopulistische Wähler für Abbau des Sozialstaats – wegen Zuwanderern

 

Wähler rechtspopulistischer Parteien werden beim Thema Zuwanderung von Neid getrieben. Sie sehen im Sozialstaat eine Umverteilung hin zu Zuwanderern. Das geht aus einer Forschungsumfrage in mehreren Ländern hervor. Auch in Deutschland steht Zuwanderung im Zentrum politischer Forderungen.

Wähler rechtspopulistischer Parteien sprechen sich stärker für einen Abbau sozialer Leistungen aus. Zu diesem Ergebnis kommt eine Umfrage unter 12.000 Wählern in Deutschland, Frankreich, Spanien und dem Vereinigten Königreich, wie das ifo Institut in München mitteilte. „Das rechtspopulistische Spektrum sieht im Sozialstaat eine Umverteilung hin zu Zuwanderern“, sagte Marcel Thum, Leiter der ifo-Niederlassung in Dresden, laut Mitteilung.

Linkspopulistische Wähler lehnten dagegen einen Abbau des Wohlfahrtsstaats am vehementesten ab. Die Ansichten derer, die nicht-populistische Parteien wählen, liegen demnach dazwischen. „Trotz dieser verschiedenen Wahrnehmung des Sozialstaates unterscheiden sich die drei Wählergruppen nicht in den Sorgen um ihr derzeitiges Haushaltseinkommen“, sagte Thum. Auch ihre Zukunftsaussichten sehen alle drei Gruppen ähnlich.

Der Blick auf die offenen Grenzen in der EU unterscheide sich ebenso je nach gewählter Partei: Je weiter rechts jemand eingestellt sei, desto größer werde die Gefahr offener Grenzen für die eigene Arbeitsplatzsicherheit angesehen.

Die Armut im eigenen Land wird laut der Umfrage von Wählenden populistischer Parteien deutlich überschätzt. Am stärksten sei dies bei Wählern von Rechtspopulisten der Fall. „Wer populistischen Tendenzen entgegenwirken will, sollte diese überschätzte Armuts-Wahrnehmung mit kluger Information korrigieren“, sagte Thum.

Für den Aufsatz „Den populistischen Wähler verstehen“ wurden Personen im Alter von 18 bis 92 Jahren befragt. Die Teilnehmer wurden gefragt, für welche Partei sie bei der jüngsten Wahl gestimmt haben und welcher Partei sie bei der nächsten Wahl ihre Stimme geben wollen.

Mehrheit in Deutschland sieht Handlungsbedarf bei Zuwanderung

Wie aus einer anderen Umfrage, dem ARD-Deutschlandtrend, hervorgeht, sehen Deutsche bei den Themen Zuwanderung und Flucht großen politischen Handlungsbedarf. Jeder Vierte (26 Prozent) nannte das Thema als eines der wichtigsten Probleme. Den Ukraine-Krieg nannten 21 Prozent der Befragten als drängendes Thema für die deutsche Politik. An dritter Stelle folgte mit 19 Prozent der Befragten der Komplex der Wirtschaft.

Beim Thema Ukraine-Krieg sei mit einem Plus von zwölf Prozentpunkten gegenüber September 2023 das Problembewusstsein deutlich angestiegen, hieß es. Beim Thema Zuwanderung blieb der Wert demnach auf dem gleichen Niveau.

Als weitere Themen für politischen Handlungsbedarf wurden soziale Ungerechtigkeit, Armut, Klimawandel sowie Bildung genannt. Infratest dimap hatte für den ARD-Deutschlandtrend am Dienstag und Mittwoch vergangener Woche 1.304 Wahlberechtigte befragt. Die Umfrage erfolgte nach einem Zufallsprinzip per Telefon oder online.

Eine deutliche Mehrheit von fast 80 Prozent befürwortete Kürzungen des Bürgergeldes, wenn Leistungsempfänger Arbeitsangebote ablehnen. Sieben von zehn Deutschen (72 Prozent) sprachen sich für bessere Rahmenbedingungen für Familien aus, damit vor allem Mütter mehr arbeiten können. Ebenso viele sprachen sich für eine schnellere Integration von Flüchtlingen in den deutschen Arbeitsmarkt aus. Eine Mehrheit von 56 Prozent befürwortete eine erleichterte Einwanderung nach Deutschland für ausländische Fachkräfte. Mehr als jeder zweite Befragte (52 Prozent) sieht das Rentenalter nicht ausreichend abgesichert. (epd/mig 9)

 

 

 

Wer hat Angst vorm bösen Wolf

 

Im Rennen um das Weiße Haus liegt Donald Trump laut Umfragen derzeit vorne. Doch die große Panik bleibt bislang aus. Warum? Marco Bitschnau

 

Was sich lange abgezeichnet hat, ist seit kurzem offiziell: Donald Trump ist designierter Präsidentschaftskandidat der Republikaner. Noch gut vier Monate muss er sich gedulden, dann werden ihm die Delegierten seiner Partei auf der Bühne des Fiserv-Forums zu Milwaukee offiziell den Spitzenplatz auf ihrem presidential ticket antragen. Trump – so steht zu erwarten – wird annehmen, eine (je nach Parteitagsterminologie) feurige oder patriotische Rede halten, für diese viel Applaus entgegennehmen und so seinen Eintrag in den Geschichtsbüchern um einen neuen Passus erweitern. Nur wenige US-Präsidenten haben sich je um ein Comeback bemüht, keiner davon in den letzten acht Jahrzehnten. Und lediglich einem ist es am Ende gelungen: Grover Cleveland, der als New Yorker Gouverneur die Wahlen 1884 gewann, 1888 von Benjamin Harrison abgelöst wurde und diesen dann seinerseits 1892 schlug. Für Trump eine offensichtliche Blaupause, zumal ihn mit dem Demokraten Cleveland nicht nur Leibesfülle und Heimatstaat verbinden, sondern auch eine beachtliche Vorwahldominanz.

Vermutlich ist umstandslos das richtige Wort, um die Beiläufigkeit zu beschreiben, mit der der 77-Jährige diesmal seine innerparteiliche Konkurrenz beiseitegeräumt hat. Ron DeSantis, der wahrscheinlichste Brutus, der monatelang den Dolch gewetzt hatte? Strich nach der ersten Vorwahl in Iowa die Segel. Mike Pence, einstiger Vizepräsident und erklärter Liebling der Evangelikalen? Schaffte es erst gar nicht so weit, sondern gab noch vor den Vorwahlen auf. Vivek Ramaswamy, jugendlicher Hoffnungsträger der Partei mit indischen Wurzeln? Stimmte immer wieder Loblieder auf seinen nominellen Rivalen an und hofft nun auf einen Platz am Kabinettstisch. Und Nikki Haley, die letzte im Rennen verbliebene Kandidatin, die Wolfram Weimer noch im Dezember zu seiner Person der Woche kürte („Ihre Umfragewerte steigen nicht bloß, sie springen nach oben“)? Wurde von Trump in South Carolina – dem Staat, dem sie einst als Gouverneurin vorstand – mit mehr als 20 Prozentpunkten Unterschied abgewatscht und bald darauf von ihren wohl bedeutendsten Geldgebern als Fehlinvestition abgeschrieben.

In der Folge blieb auch ihr nichts anderes übrig, als sich dem übermächtigen Rivalen geschlagen zu geben. Wenn auch mit schmollendem Unterton: Sie könne ihren Wählern derzeit nicht die Unterstützung Trumps empfehlen, verkündete sie. Vielmehr müsse dieser in den kommenden Monaten hart dafür arbeiten. Ein durchsichtiges Manöver, um den Rest politischen Kapitals zu bewahren, den sich Haley als last (wo)man standing zusammengeklaubt hat. Nur dass sie hier bei Trump an den Falschen geraten sein dürfte, denn dieser verlangt bekanntlich bedingungslose Loyalität und hat keinen allzu langen Geduldsfaden für die Machtspielchen einer Gescheiterten. Gleiches gilt übrigens für DeSantis, der sich nach seiner Kapitulation widerwillig hinter seinen vormaligen Gönner gestellt hat und dem das Geziere der Ex-Kontrahentin sichtlich aufzustoßen scheint: „Jetzt nach Hause gehen und den Ball mitnehmen, das geht nicht.“

Indes läuft für den Wahlfloridianer Trump auch ohne Haley als Sekundantin vieles nach Plan. So etwa die Umfragen, in denen er inzwischen meist vor Amtsinhaber Joe Biden rangiert – und die insofern ein Novum darstellen, als seine bisherige Rolle ja immer die des Underdogs war, des Mannes, dem niemand im Vorfeld eine Chance gibt (und der diese „Nicht-Chance“ dann nutzt). Jetzt aber prasseln die guten Werte wie ein warmer Regen auf ihn ein, während der historisch unbeliebte Biden einen Nackenschlag nach dem anderen hinnehmen muss. Dabei stemmt der Präsident sich mit aller Kraft gegen den Trend und lässt keine Gelegenheit aus, die Bilanz seiner Regierung in ein günstiges Licht zu rücken. Zuletzt funktionierte er gar die alljährliche Rede zur Lage der Nation in eine kämpferische Kampagnenansprache um, was von der Presse auch entsprechend goutiert wurde. Nur an den Zahlen hat sein Auftritt denkbar wenig geändert.

Zusammengefasst gilt also: Donald Trump ist Präsidentschaftskandidat. Er weiß, anders als bei seiner ersten Kandidatur (die ja von diversen Nickligkeiten und Sabotageversuchen begleitet war), seine Partei fast geschlossen hinter sich. Er liegt augenscheinlich in Front und hat gute Aussichten auf eine baldige Revanche. Sollten da, fragt man sich, nicht längst alle Alarmglocken schellen? Vor acht Jahren genügte schon das Gedankenspiel, dieser Reality-TV-Zampano könnte tatsächlich den Sieg davontragen, um in Redaktionen und Regierungskreisen wahlweise kalten Angstschweiß oder hysterische Lachsalven hervorzurufen. Nun aber tut sich bis auf einige Unkenrufe vergleichsweise wenig, was natürlich auch daran liegen mag, dass es im Moment einfach genug andere Krisenfelder zu beackern gibt. Dennoch: Irgendwie scheint die Luft aus dem Thema raus zu sein, scheint Apathie statt Aufregung an der Tagesordnung.

Nur weshalb? Ganz unvermittelt kommt einem hier die Äsop’sche Fabel vom Hirtenjungen und dem Wolf in den Sinn. In ihr narrt der titelgebende Hirtenjunge die Bewohner seines Dorfes ein ums andere Mal mit falschen „Wolf“-Rufen, sodass sie ihm keinen Glauben schenken, als der Wolf eines Tages tatsächlich auftaucht und die ganze Schafsherde reißt. Versucht man sich an der naheliegendsten Analogie, erscheinen die unzähligen Warner und Fabulanten der letzten Jahre als leichtsinnige Jungen und Trump als ausgedachter Wolf. Zu oft haben sie die Paniktrommel geschlagen, zu schrill waren ihre Schreckensvisionen, seine Wahl vor acht Jahren würde einen dritten Weltkrieg auslösen oder die Errichtung einer faschistischen Diktatur nach sich ziehen. Trump im Oval Office, so hieß es, wäre eine Revolution, eine Zäsur, eine gewaltige Farce mit verheerendem Ausgang. Ein Paradebeispiel: Die Journalistin Anne Applebaum, die im März 2016 in einem vielbeachteten Kommentar klagte, sie könne sich in ihrem ganzen Erwachsenenleben an keinen „Moment erinnern, der so dramatisch war, wie dieser“.

Da stand Trump (anders als heute) zwar noch nicht als republikanischer Kandidat fest, doch Applebaum bediente sich bereits munter aus dem Füllhorn düsterer Ahnungen: „Wir sind zwei oder drei Wahlen entfernt vom Ende der NATO, dem Ende der EU sowie dem Ende des liberalen Westens, wie wir ihn kennen.“ Damals ließ sich eine solche Position schon ob des fehlenden Erfahrungswerts noch halbwegs vermitteln. Doch wie bei der Geschichte mit dem Jungen und dem Wolf wird auch die schönste Bedenkenträgerei schal, wenn sie sich immer wieder als übertrieben herausstellt – und zugleich die Sinne für jene Konstellationen abstumpfen, in denen Bedenken tatsächlich angebracht sein könnten. Gerade im Falle Trumps – der einst im Wahlkampf versprochen hatte, „weitaus schlimmere“ Verhörtechniken als Waterboarding abzusegnen, Massenabschiebungen durchzuführen und eine gewaltige, von Mexiko finanzierte Mauer entlang der Grenze zu bauen – lehrt der vielzitierte gesunde Menschenverstand, nicht jede unsinnige Aussage direkt auf die Goldwaage zu legen.

Das gilt namentlich auch für den neuesten Kurzzeitaufreger, nämlich die Haltung des Kandidaten zur NATO. Geradezu seltsam mutet hier die Annahme an, derselbe Mann, dem man jahrelang in Faktenchecks Lug und Trug vorgehalten hat, lasse sich irgendwie auf einen dahingeschluderten Wahlkampfhalbsatz festnageln. Zumal eine gewisse Kaltschnäuzigkeit gegenüber den eigenen Ergüssen bei ihm seit jeher zum guten Ton gehört: Wenn „die Partner fair spielen“, bleibe man dem Bündnis natürlich „zu 100 Prozent“ treu, stellte er jüngst in einem Fernsehgespräch mit der Brexit-Ikone Nigel Farage klar. Jede anderslautende Aussage sei nichts als Taktik, um die anderen Mitgliedstaaten zu diesem Fairspielen zu bewegen, also zum Einhalten des 2014 beschlossenen Zweiprozentziels. Der Ton mag dahingehend ruppig erscheinen, die Absicht aber ist kaum zu beanstanden: Noch immer gibt die Mehrheit der europäischen NATO-Partner deutlich zu wenig für Verteidigung aus und versteckt sich lieber hinter bestehenden US-Kapazitäten. Ein Umstand, der die Entscheidungsträger in Washington, D. C. schon seit einiger Zeit frustriert und Zweifeln an der Wertigkeit der Allianz Vorschub leistet.

In jedem Fall dürfte auch bei einer zweiten Trump-Präsidentschaft die alte (und auch im Fall Meloni gültige) Lebensweisheit zutreffen, dass nichts so heiß gegessen wie gekocht wird. Die relative Unbetroffenheit, mit der man diesem Szenario entgegensieht, spricht dabei Bände – der Junge hat einmal zu oft geschrien und die Dorfbewohner sind misstrauisch geworden. Auch der gelegentlich zu hörende Einwand, diesmal sei wirklich alles anders, weil Trump entweder besser vorbereitet oder schlicht „radikaler“ sei als 2016, überzeugt nur bedingt. Denn selbst wenn außer Acht bleibt, dass es sich dabei vorrangig um Kaffeesatzleserei handelt, lassen sich gegen beide Punkte zahlreiche Einwände vorbringen: etwa, dass auch die Weltgemeinschaft dieses Mal besser vorbereitet ist, dass Trump im Amt lieber den Showman als den Ideologen spielt und dass ihm eine zum Durchregieren nötige Kongressmehrheit keineswegs sicher ist. Auch und gerade vor diesem Hintergrund erscheint (wachsame) Gelassenheit als Gebot der Stunde. IPG 9

 

 

 

Pfingsten in Kalabrien. Beste Reisezeit für den Süden des Stiefels von Mai bis Mitte Oktober

 

München – Italien ist eines der beliebtesten Reiseländer der Welt. Eine Region, die es noch zu erkunden gilt und die alle schönen Dinge des italienischen Lebens beinhaltet, ist die „Stiefelspitze“ Kalabrien. Traumhafte Buchten, azurblaues Meer, bezaubernde historische Küstenstädtchen wie Pizzo, Tropea, Scilla und vor allem eine herzliche Gastfreundschaft zeichnen die südlichste Region Italiens aus. Kalabrien ist bislang von den großen Touristenströmen noch nicht erreicht, es ist ein Geheimtipp für Italienliebhaber, ein Geheimtipp für Menschen, die sich nach einem Urlaub an traumhaften Stränden und Buchten sehnen, für Familien, die die Urlaubskasse nicht überstrapazieren möchten, und für Kulinariker, die sich gerne auf die Spur neuer Geschmäcker begeben.

Flüge nach Lamezia Terme

Lamezia Terme ist der Flughafen, der aus Deutschland, Österreich und der Schweiz angeflogen wird. Je nach Abflugflughafen dauert ein Direktflug zum Beispiel aus Deutschland zwischen zwei und drei Stunden. Von Lamezia Terme aus empfiehlt es sich, einen Leihwagen zu mieten, einige Hotels bieten aber auch Shuttle an. Wer sich für die Ostküste Kalabriens, also das Tyrrhenische Meer, entscheidet, fährt entlang der Küste Richtung Pizzo und Tropea. Nach einer Stunde erreicht man Tropea auf einem Felsen thronend mit Blick auf das Meer und die Äolischen oder Liparischen Inseln Stromboli, Vulcano, Lipari, Panarea und Salina. Tropea gehört zu den „I borghi più belli d’italia“, den schönsten kleinen Städtchen Italiens, und befindet sich so unter anderem mit Capri, San Gimignano oder Positano in bester Gesellschaft. 

Familienurlaub mit viel Abwechslung und Erholung für alle

Von Tropea ist es nur ein Katzensprung zu den Hotels wie zum Beispiel das Familienresort Baia del Sole und das Capovaticano Resort Thalasso Spa, die beide direkt an weißen Sandstränden am Tyrrhenischen Meer liegen, dessen Wasser zu Pfingsten bereits Badetemperatur erreicht. Kleine Bungalows und Häuser mit Gästezimmern und Suiten liegen im Baia del Sole in einem üppig bewachsenen Garten zwischen, Palmen, Bananenstauden, Gewürzgärten, bunten Blumen und mit direktem Zugang zu Strand und Meer. Für Kinder wird im Baia del Sole die ganze Woche täglich ein Programm aus Spielen und kreativen Aktivitäten wie Malen und Basteln geboten, und auch zum Mittag- und Abendessen ist eine Betreuung möglich, so dass die Eltern ein paar freie Stunden genießen können. Dieser Service ist kostenlos. Für Teenager bieten sich insbesondere die Aktivitäten des Wassersportclubs an, um sich auszupowern und neue Freundschaften zu schließen. Tennis, Kanu- und Tretbootfahren, Yoga, Pilates und die Nutzung des Fitnessraumes sind im Preis inbegriffen. Annehmlichkeiten wie Sonnenliegen und Sonnenschirme sind für die Gäste kostenlos. 

Dies gilt ebenso für das Capovaticano Resort Thalasso Spa, auch hier werden keine Gebühren für Sonnenliegen und -schirm erhoben. Das für seine Thalasso-Therapien bekannte Resort liegt nur unweit einer der schönsten Aussichtspunkte an der kalabrischen Küste. Von Capovaticano kann man bis nach Sizilien sehen. Einer der schönsten Plätze für einen Sundowner mit Aussicht ist die Strandbar und die Terrasse des Resorts, von der man die Äolischen Inseln liegen und die Sonne ins Tyrrhenische Meer fallen sieht. Das weitläufige Resort verfügt über einen direkten Zugang zum Strand und Meer. Für Taucher und Schnorchler ist das Gebiet um Capovaticano durch Klippen und Untiefen ideal. Das Hotel kümmert sich um den Verleih von Ausrüstungen und organisiert geführte Tauchgänge und Tauchkurse. Auch Wanderungen, Fahrradtouren und Bootsausflüge sowie Weinverkostungen werden angeboten und geplant.

Auch die Liebe zu Kalabrien geht durch den Magen

Kalabrien bietet nicht nur einzigartige Naturerlebnisse und kulturelle Schätze, es ist außerdem das Land des Geschmacks und der Aromen. Essen und Genuss ist ein wichtiger Teil des Reiseerlebnisses geworden. In Kalabrien ist die bekannte Bergamotte zuhause, eine intensive Zitrusfrucht; die berühmte Chilischotte, das Viagra Kalabriens; die süße rote Zwiebel aus Tropea, die sich in Saucen wiederfindet, aber auch als Marmelade oder Chutney daherkommt; die berühmte „nduja“, eine pikante, würzige Wurst zu Brot oder auch in Pastagerichten, und nicht zuletzt das Tartufo-Eis, das in Pizzo erfunden wurde und in den Cafés in allen möglichen Varianten angeboten wird. Für Familien mit Kindern der absolute Gelato-Himmel, und schließlich sind es die besonderen Spezialitäten, die einen Urlaub zum Erlebnis und unvergesslich machen. Von den Griechen stammen vermutlich die Rebsorten Gaglioppo, Greco Bianco und Trebbiano, die bis heute die Weine aus Kalabrien prägen. Der überwiegende Teil kalabrischer Weine sind übrigens Rotweine. Fangfrischer Fisch und Meeresfrüchte sind selbstverständlich fester Bestandteil auf jeder Speisenkarte in Kalabrien. 

Reisebuchungen

Reisen in die beiden Resorts können unter anderem über TUI und FTI gebucht werden. Fit Reisen hat außerdem das Capovaticano Resort Thalasso Spa im Programm. GCE 8

 

 

 

Der Krieg in Zahlen. Sechs Monate Gaza-Krieg und kein Ende in Sicht

 

Es ist der längste und blutigste Krieg Israels seit dem Unabhängigkeitskrieg 1948. Die Zahl der Toten im Gazastreifen ist so hoch wie noch nie. Die Kriegsziele Israels sind bisher unerreicht, eine Befriedung der Region nicht in Sicht. Menschenrechtler schlagen Alarm. Israel immer stärker in der Kritik. Von Sara Lemel und Lars Nicolaysen

 

Die Bilanz des seit sechs Monaten wütenden Gaza-Krieges ist verheerend. Mehr als 33.000 Menschen wurden nach Angaben der von der Hamas kontrollierten Gesundheitsbehörde bisher im Gazastreifen getötet und knapp 76.000 weitere verletzt. Die Behörde unterscheidet dabei nicht zwischen Zivilisten und Kämpfern. Nach israelischen Angaben wurden im Gazastreifen rund 12.000 Terroristen getötet, das wären mehr als ein Drittel der Toten. Die Angaben beider Konfliktparteien lassen sich derzeit nicht unabhängig überprüfen.

Auslöser des Krieges

Auslöser des Krieges war der Terrorangriff der islamistischen Hamas auf das israelische Grenzgebiet am 7. Oktober vergangenen Jahres, bei dem mehr als 1.200 Menschen getötet wurden. Es war das schlimmste Massaker in der Geschichte des Landes; einschließlich Leichenschändungen und Vergewaltigungen. Außerdem verschleppten Terroristen der Hamas und anderer extremistischer Organisationen mehr als 250 Menschen in den Gazastreifen. Bis heute werden dort nach israelischen Informationen noch 133 Menschen festgehalten, davon sollen aber höchstens noch knapp hundert am Leben sein.

Auf der israelischen Seite wurden seit dem 7. Oktober insgesamt mehr als 1.500 Menschen getötet, darunter 600 Soldaten. Mehr als 15.000 erlitten Verletzungen.

Verheerende Reaktion Israels im Gazastreifen

Israel reagierte mit massiven Luftangriffen und einer zerstörerischen Bodenoffensive im Gazastreifen. Rund 300.000 israelische Reservisten wurden zu Beginn des Krieges einberufen.

Mehr als 1,7 Millionen der insgesamt 2,2 Millionen Einwohner des Küstenstreifens wurden nach UN-Angaben seitdem zu Binnenvertriebenen. Das Gebiet am Mittelmeer, das flächenmäßig etwa so groß ist wie München, liegt weitgehend in Schutt und Asche. Unter den mehr als 33.000 Toten sind auch Sanitäter, Journalisten und Mitarbeiter von Hilfsorganisationen.

Alle Gaza-Einwohner sind nach UN-Angaben von „hoher, akuter Ernährungsunsicherheit“, die Hälfte von ihnen sogar von „katastrophaler Ernährungsunsicherheit“ betroffen. Hilfsorganisationen warfen Israel vor, die Hilfslieferungen zu behindern. Israel wies dies zurück und sagte, das Problem liege vielmehr im Gazastreifen, weil die Akteure dort offenbar nicht in der Lage seien, mehr Hilfsgüter zu verteilen.

Nach Angaben der israelischen Cogat-Behörde wurden seit Beginn des Krieges mehr als 388.850 Tonnen humanitärer Hilfsgüter in den Gazastreifen transportiert, in mehr als 20.700 Lastwagen.

Krieg verursachte Schäden in zweistelliger Milliardenhöhe

Der Gaza-Krieg hat einer Schätzung der Weltbank und der Vereinten Nationen zufolge einen Sachschaden in zweistelliger Milliardenhöhe verursacht. Die Institutionen bezifferten den Schaden an der kritischen Infrastruktur im Gazastreifen mit rund 18,5 Milliarden US-Dollar (rund 17,2 Milliarden Euro). Dies entspricht den Angaben zufolge 97 Prozent des Bruttoinlandsprodukts im Gazastreifen und Westjordanland im Jahr 2022.

Dem Bericht zufolge machten Schäden an Wohngebäuden 72 Prozent des Gesamtschadens aus. Auch im israelischen Grenzgebiet zum Gazastreifen sowie zum Libanon hat der Krieg schwere Verwüstungen angerichtet.

Dauergefechte an der Grenze zum Libanon

Seit Kriegsbeginn hat die sogenannte „Achse des Widerstands“ – Iran und seine nicht staatlichen Verbündeten im Libanon, Irak und Jemen sowie in Syrien – Israel in Kämpfe an mehreren Fronten verwickelt. Der Iran hat nach einem mutmaßlich israelischen Luftangriff auf ein Gebäude der iranischen Botschaft in Syriens Hauptstadt Damaskus mit mehreren Toten Vergeltung angekündigt.

Seit Beginn des Gaza-Kriegs kommt es bereits täglich zu Konfrontationen zwischen Israels Armee und militanten libanesischen Gruppierungen wie etwa der Hisbollah. Bei Angriffen auf den Norden Israels wurden bislang 18 Menschen getötet – zehn Soldaten und acht Zivilisten. Im Libanon wurden nach Medienberichten 279 Kämpfer getötet, die große Mehrheit davon aus den Reihen der Schiitenmiliz Hisbollah. Außerdem seien 68 Zivilisten bei Angriffen ums Leben gekommen.

43 israelische Wohnorte an der Grenze zum Libanon wurden evakuiert. Mehr als 60.000 Israelis und mehr als 90.000 Libanesen mussten angesichts der fortwährenden Gefechte das jeweilige Grenzgebiet verlassen. Nach israelischen Angaben wurden mehr als 3.100 Raketen von Syrien und Libanon aus auf den israelischen Norden geschossen.

Attacken auch aus dem Jemen

Die aus dem Jemen agierenden Huthi-Miliz hat nach Informationen des israelischen Instituts für Nationale Sicherheit (INSS)seit Beginn des Gaza-Kriegs 63 Angriffe auf Israel verübt. 159 Mal habe sie zudem Schiffe im Roten Meer attackiert. Die Miliz will so ein Ende der israelischen Militäreinsätze im Gazastreifen erzwingen.

Gewaltanstieg auch im Westjordanland

Während des Gaza-Kriegs hat sich die Sicherheitslage auch in dem von Israel besetzten Westjordanland noch massiv verschlechtert. Nach Angaben des palästinensischen Gesundheitsministeriums in Ramallah wurden in dem Zeitraum 438 Palästinenser getötet – bei Militäreinsätzen Israels, Konfrontationen oder ihren eigenen Anschlägen. 19 Israelis wurden bei Anschlägen im Westjordanland oder Jerusalem getötet. Rund 3.700 Palästinenser wurden im Westjordanland festgenommen, 1.600 davon mutmaßliche Hamas-Mitglieder.

Kriegsziele sind weiter unerreicht

Erklärte Ziele des Gaza-Kriegs sind laut Israel die Zerstörung der Führung sowie der militärischen Fähigkeiten der Hamas sowie die Freilassung der Geiseln. Der israelische Ministerpräsident Benjamin Netanjahu versprach mehrfach den „totalen Sieg“ über die Hamas. Diese Ziele sind allerdings auch nach sechs Monaten verheerenden Krieges nicht erfüllt.

Trotz massiver internationaler Warnungen plant Israel einen militärischen Einsatz in der Stadt Rafah an der Grenze zu Ägypten, wo sich mehr als eine Million Flüchtlinge drängen. Israel will dort die letzten Bataillone der Hamas zerschlagen, um ein Wiedererstarken der Terrororganisation nach dem Krieg zu verhindern.

Auch die Raketenangriffe auf israelische Grenzorte zum Gazastreifen konnten bislang nicht vollends unterbunden werden. Insgesamt sind seit dem 7. Oktober nach Militärangaben mehr als 14.000 Raketen aus dem Gazastreifen auf Israel abgefeuert worden. Mehr als 9.000 davon seien auf israelischem Gebiet abgefangen worden oder eingeschlagen.

Strategie der harten Linie bisher gescheitert

Die Hamas kämpft unter anderem aus einem Hunderte Kilometer langen, weitverzweigten Tunnelsystem unter dem Gazastreifen gegen die israelische Armee. Auch nach sechs Monaten ist es nicht gelungen, die Hamas-Führung – an der Spitze Jihia al-Sinwar – zu fassen, die in Tunneln im Süden des Gazastreifens vermutet wird. Die Annahme ist, dass Sinwar sich zu seinem eigenen Schutz mit Geiseln umgeben hat und ein Einsatz gegen ihn daher extrem riskant wäre.

„Israel hat militärischen Druck zu verschiedenen Zeitpunkten Verhandlungen vorgezogen, unter der Prämisse, dass je mehr die Hamas in die Ecke gedrängt wird, desto flexibler ihre Verhandlungspositionen werden“, schrieb ein Kommentator der Zeitung „Israel Hajom“ am Sonntag. „Die harte Linie der Hamas in den vergangenen Monaten zeigt jedoch, dass dieser Ansatz gescheitert ist.“

Israelische Regierung zunehmend unter Druck

Wegen seiner brutalen Kriegsführung ist Israel auf der Weltbühne zunehmend isoliert. Selbst Verbündete üben nun offen Kritik an Ministerpräsident Netanjahu. In den Vereinigten Staaten und Großbritannien mehren sich Rufe nach einem Stopp der Waffenlieferungen an Israel. Gleichzeitig stehen Netanjahu und seine Regierung im eigenen Land unter wachsendem Druck. Kritiker werfen ihm vor, den Schutz der Gaza-Grenze vernachlässigt zu haben und die Interessen des Landes seinem politischen Überleben unterzuordnen.

Bei Massenprotesten am Samstagabend entfachten Demonstranten mehrere Feuer auf der Straße. Dabei kam es zu Zusammenstößen mit der Polizei, wie Medien berichteten. Angehörige der Verschleppten werfen Netanjahu vor, einem Geisel-Deal im Wege zu stehen. Im Laufe einer einwöchigen Feuerpause Ende November hatte die Hamas 105 Geiseln freigelassen. Im Gegenzug entließ Israel 240 palästinensische Häftlinge aus seinen Gefängnissen. Knapp 100 der im Gazastreifen verbliebenen Geiseln dürften nach israelischen Schätzungen noch leben. Israel und die Hamas verhandeln seit Monaten – aber nicht direkt miteinander. Stattdessen treten die USA, Katar und Ägypten als Vermittler auf. Die Gespräche über eine Feuerpause und Freilassung der Geiseln stocken seit Wochen. Washington will einen Durchbruch erzwingen.

„Ärzte ohne Grenzen“: Arbeitssituation in Gaza „ein Albtraum“

Die Hilfsorganisation „Ärzte ohne Grenzen“ in Deutschland fordert einen sofortigen und dauerhaften Waffenstillstand im Gaza-Streifen. Die Situation vor Ort sei „gelinde gesagt ein Albtraum“, sagte Geschäftsführer Christian Katzer am Samstag im WDR5-„Morgenecho“. Die Lage sei sehr angespannt. Bei einem israelischen Luftangriff Anfang der Woche waren sieben Mitarbeitende der Hilfsorganisation World Central Kitchen getötet worden.

Dieser Angriff sei kein Einzelfall. „Wir sehen immer wieder ganz klar Angriffe auf medizinische Einrichtungen“, betonte Katzer: „Seit Beginn des Krieges sind fast 200 Mitarbeitende von Hilfsorganisationen getötet worden, darunter auch fünf Mitarbeitende von Ärzte ohne Grenzen.“ Entweder seien die Angriffe der israelischen Armee Absicht oder „rücksichtslose Inkompetenz“, kritisierte der Geschäftsführer. Denn mit allen Konfliktparteien sei abgesprochen, mit welchen Fahrzeugen Hilfsorganisationen unterwegs und wo sie tätig seien.

Bericht: USA drängen Israel zu Zugeständnis

Wie das „Wall Street Journal“ am Samstag unter Berufung auf amerikanische, israelische und ägyptische Beamte berichtete, will die US-Regierung erreichen, dass Israel bei einer neuen Verhandlungsrunde der Vermittler in Kairo eine begrenzte Rückkehr von Zivilisten in den Norden des umkämpften Gazastreifens erlaubt.

Die von der Hamas geforderte Rückkehr der palästinensischen Zivilisten in den Norden des abgeriegelten Küstengebiets sei ein entscheidender Streitpunkt bei den Gesprächen, berichtete das „Wall Street Journal“. Israel sei bereit, die Rückkehr von täglich 2.000 Menschen, hauptsächlich Frauen und Kinder, in den Norden zuzulassen. Insgesamt bis zu 60.000 Palästinenser könnten nach einem von Israel als akzeptabel erachteten Vorschlag zurückkehren. Männer zwischen 18 und 50 Jahren wären davon aber ausgeschlossen.

Experten warnen vor Anarchie in Gaza

CNN zitierte am Samstag den Nahost-Experten Nathan Thrall in Jerusalem: „Israel kann sein erklärtes Ziel, die Hamas zu eliminieren, nicht erreichen, weil die Hamas ein integraler Bestandteil der palästinensischen Gesellschaft im Westjordanland und im Gazastreifen ist. Ihre Popularität hat in den vergangenen Monaten zugenommen. Nachdem Israel erklärt hat, dass es die Hamas im Norden besiegt hat, sieht man, dass jede Woche israelische Soldaten im Norden sterben“, sagte Thrall. Es sei offensichtlich, dass die Hamas auch nach dem Krieg existieren werde.

Höchstwahrscheinlich werde es zu einer unbefristeten israelischen Militärpräsenz in Gaza kommen, sagte Elgindy dem Sender. „Es wird so etwas wie einen Zusammenbruch von Recht und Ordnung und immer mehr Chaos geben. Wir werden Warlords, Banden und Clans sehen (…) Gaza ist zu einem Ort geworden, der nicht wirklich lebenswert ist“, wurde der Experte zitiert. Wenn es jemanden geben sollte, der glaubt, dass diese Situation den Israelis Sicherheit bringen werde, „dann ist das eine völlig wahnhafte Vorstellung“, sagte Elgindy. (dpa/epd/mig 8)

 

 

 

Oldenburg. Entsetzen nach Anschlag auf Synagoge

 

Eine widerwärtige Attacke und eine feige Tat: Mit deutlichen Worten haben Vertreter aus Politik und Kirchen auf den Brandanschlag auf die Oldenburger Synagoge reagiert. Auch die Polizei äußerte sich am Samstag erneut.

Der Brandanschlag auf die Synagoge in Oldenburg hat bundesweit Entsetzen ausgelöst. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) bezeichnete auf der Plattform X die Tat als „widerwärtigen, menschenverachtenden Angriff“. Auch Vertreter der katholischen und evangelischen Kirche prangerten die Attacke an. Medienberichten zufolge versammelten sich am Freitagabend, zu Beginn des jüdischen Ruhetags Schabbat, Hunderte Menschen zu einer Mahnwache in Oldenburg (Niedersachsen). Die Polizei sagte am Samstagvormittag der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA), dass es keine neuen Erkenntnisse gebe und weiter nach dem Täter oder den Tätern gefahndet werde.

Die Polizei hatte die Sicherheitsmaßnahmen an der Synagoge erhöht. Es werde in alle Richtungen ermittelt, auch der polizeiliche Staatsschutz sei einbezogen worden, hatte es am Freitag geheißen. Am selben Tag war nach Polizeiangaben ein Brandsatz auf eine Tür der Synagoge geworfen worden. Die Tür sei dadurch in Mitleidenschaft gezogen worden, Menschen hätten keine Verletzungen erlitten. Das Feuer habe sich wegen eines schnellen Eingreifens nicht weiter ausgebreitet, und die Feuerwehr habe nicht mehr löschen müssen. Die Gemeinde hatte angekündigt, den Betrieb in der Synagoge wie geplant aufrechtzuerhalten.

Reaktionen

Faeser betonte, dass der oder die Täter ermittelt und zur Verantwortung gezogen werden müssten. Ihre Gedanken und ihre Solidarität seien bei der jüdischen Gemeinde.

Das Bistum Münster sprach auf Instagram von einem „feigen Anschlag“. „Alle Christinnen und Christen sind aufgerufen, sich mit ihren jüdischen Geschwistern solidarisch zu zeigen.“ Antisemitismus dürfe in der Gesellschaft keinen Platz haben.

Der Bischof der Evangelisch-Lutherischen Kirche in Oldenburg, Thomas Adomeit, zeigte sich entsetzt. „Dieser niederträchtige und menschenverachtende Anschlag zeigt leider erneut, dass wir das Übel des Antisemitismus in unserer Gesellschaft nicht überwunden haben“, erklärte Adomeit am Freitagabend. „Dass unsere jüdischen Schwestern und Brüder Sorge um ihr eigenes Leben haben müssen, ist nicht hinnehmbar.“

Der Präsident der Polizeidirektion Oldenburg, Andreas Sagehorn, verurteilte den Angriff „auf das Schärfste. Die Polizei wird alles tun, um die Hintergründe dieser feigen Tat aufzuklären und den oder die Täter zu ermitteln.“ (kna 6)

 

 

 

Despotendämmerung

 

Erdogan kassiert bei den Kommunalwahlen die heftigste Niederlage seiner politischen Karriere. Wie nah ist ein Machtwechsel in der Türkei? Henrik Meyer

Keine 48 Stunden nach seinem rauschenden Wahlsieg hatte die Realität des Bürgermeisteralltags Ekrimmamoglu wieder eingeholt. „Möge Gott unseren Bürgern, die ihr Leben verloren haben, gnädig sein“, schrieb er sichtlich angefasst auf dem Nachrichtendienst X. Bei einem Brand im quirligen Stadtbezirk Beikta waren 29 Menschen ums Leben gekommen. Das tragische Ereignis und die Wut der Angehörigen der Opfer zeigten, wie schnell sich Stimmungen verändern können. Für Imamoglu sowie andere siegreiche Politikerinnen und Politikern der Opposition waren die erfolgreichen Kommunalwahlen sicherlich ein wichtiger Schritt. Wie lange die Freude hierüber anhalten wird, ist jedoch keineswegs sicher.

Dennoch: Am Sonntag ereignete sich Historisches in der Türkei. In nicht für möglich gehaltener Manier räumten die Oppositionsparteien ab. Erstmals seit 1977 wurde die sozialdemokratische CHP mit knapp 38 Prozent landesweit stärkste Kraft und gewann die Wahl in 35 von 81 Provinzen. Die linke, pro-kurdische Partei DEM errang die Mehrheit in zehn Provinzen. Die Rathäuser von Istanbul, Ankara, Izmir, Antalya, Adana und Diyarbakir – um nur einige der größten zu nennen – bleiben in den Händen der Opposition. Unter anderem die Millionenstadt Bursa, die Schwarzmeerstadt Zonguldak und das zentralanatolische Krykkale kamen sogar noch neu hinzu. Mehr als zwei Drittel aller Türkinnen und Türken leben von nun an in Städten und Gemeinden, die von oppositionellen Parteien regiert werden. Man kann es drehen und wenden, wie man will: Die Wahlen waren eine schallende Ohrfeige für Staatspräsident Erdogan und die regierende AKP. Der im vergangenen Jahr bei den Präsidentschaftswahlen noch knapp siegreiche Langzeitherrscher der Türkei muss erkennen, dass sein Stern weiter sinkt.

Dieser Niedergang zeigte sich insbesondere in Istanbul. Die Wahl hier wurde bereits weit im Voraus von allen Parteien als herausragend wichtig bezeichnet. Die 16-Millionen-Metropole am Bosporus ist nicht nur wirtschaftliches und kulturelles Zentrum der Türkei, sondern gilt als Gradmesser für nationale Entwicklungen. Ein Sieg hier hat eine enorm hohe Symbolkraft. Bereits vor fünf Jahren hatte die AKP gegen den damals noch nahezu unbekannten Ekremmamolu von der CHP verloren. Erdogan, 1994 einst selbst Bürgermeister von Istanbul, hat diese schmerzliche Niederlage nie verwunden. Seit dem damaligen Wahltag hat er Kmamolu als gefährlichsten Rivalen auf nationaler Ebene ausgemacht und lässt ihn die ganze Härte des türkischen Staatsapparats spüren. In einem laut Human Rights Watch politisch motivierten Prozess wurde Mamolu 2022 wegen Beleidigung erstinstanzlich zu einem Politikverbot verurteilt – ein wesentlicher Grund, warum dieser bei den letztjährigen Präsidentschaftswahlen nicht als Kandidat aufgestellt wurde, obwohl er beste Chancen gehabt hätte, für die Opposition siegreich zu sein.

Erdogan, ein erwiesenermaßen begnadeter Wahlkämpfer, nahm sich bei den diesjährigen Kommunalwahlen der Sache persönlich an. Der Nominierung des blassen AKP-Kandidaten Murat Kurum folgte ein Wahlkampf, in dem es für Außenstehende so aussehen musste, als trete Erdogan persönlich gegen Imamoglu an. Immer wieder lenkte er die Debatte weg von kommunalen Themen, hin zu Fragen nationaler Identität. Erdogan insinuierte mehr als einmal, dass es doch sehr hilfreich für Vorhaben aller Art sei, wenn kommunale und nationale Politik in einer Hand lägen. Und selbst bei Kundgebungen außerhalb der Stadt rief er dazu auf, in Istanbul für die AKP zu stimmen. Dass in diesem de facto-Duell Imamoglu gegen Erdogan der CHP-Bürgermeister eine absolute Mehrheit erringen konnte, muss beim Staatspräsidenten alle Alarmglocken schrillen lassen.

Schmerzlich aus Sicht der AKP ist ebenfalls die erneute Bestätigung, dass sie in den kurdischen Gebieten der Südosttürkei längst nicht mehr mehrheitsfähig ist. Die pro-kurdische DEM-Partei errang dort erwartungsgemäß mit großem Abstand die meisten Mandate. Von der Anziehungskraft der AKP auf konservative Kurdinnen und Kurden ist nicht mehr viel übrig. Schlimmer noch: Die in Anatolien traditionell schwache CHP gewann in Kilis und Adiyaman die Mehrheit, in den früheren AKP-Hochburg Ganlurfa und Yozgat siegte mit der Yeniden Refah-Partei gar erstmals eine als direkte Konkurrenz zur AKP angetretene islamisch-konservative Partei. Der identitäre Block, den Erdogan über so viele Jahre erfolgreich aufbauen und hinter sich versammeln konnte, wackelt.

Diese Erschütterungen der in der Vergangenheit so festgefahrenen politischen Landschaft können indes leicht dazu verleiten, bestehende Realitäten und Machtverhältnisse aus den Augen zu verlieren. Tatsächlich müssen bei nüchterner Analyse viele aus Sicht der demokratischen Opposition positive Zeichen relativiert werden. Die regierenden Parteien AKP und MHP haben gemeinsam nach wie vor mehr Stimmen als die derzeit ohne Bündnispartner dastehende CHP. Ekrem Imamoglu könnte jederzeit per Gerichtsurteil aus dem politischen Verkehr gezogen werden. Die von der pro-kurdischen HDP gewonnenen Kommunen der Osttürkei wurden nach der Kommunalwahl 2019 unter Zwangsverwaltung gestellt und die gewählten Bürgermeisterinnen und Bürgermeister abgesetzt.

Eine Wiederholung der Geschichte ist, diesmal für die DEM-Partei, durchaus möglich, wie sich bereits kurz nach der Wahl am Gerangel um den Bürgermeister der Stadt Van zeigte. Und schließlich: Staatspräsident Erdo?an wurde erst vor zehn Monaten für fünf Jahre wiedergewählt. Ihm bleibt viel Zeit, sich aus der politischen Zwickmühle zu befreien. Ein Kunststück, das ihm in seiner Karriere schon mehrfach gelungen ist. Sollte die lahmende türkische Wirtschaft wieder anspringen, ist ihm dies ohne Weiteres zuzutrauen. Die teils euphorische Berichterstattung, gerade in den deutschen Medien, verkennt diese Ambiguität.

Was als Hoffnungsschimmer allerdings bleibt und in den Analysen der Kommunalwahl beinahe untergeht, ist eine Beobachtung jenseits der Mehrheitsverhältnisse. Die säkulare Opposition scheint begriffen zu haben, dass für eine echte Machtperspektive ein Kulturwandel nötig ist. In der von einer langen Geschichte der gesellschaftlichen Spaltung geprägten Türkei, in der seit Gründung der Republik identitäre Trennlinien zwischen Ost und West, Stadt und Land, säkular und religiös, arm und reich in unversöhnlicher, polarisierter Rhetorik und Politik resultierten, scheint sich eine vorsichtige Trendwende einzustellen. Die bei den Kommunalwahlen erfolgreichen Politikertypen der Opposition haben sich vom teils allzu plakativen Laizismus der Vergangenheit glaubhaft losgesagt. Sie wollen die Lagerbildung aktiv aufbrechen. Ekrem Imamoglu und Mansur Yava, überaus erfolgreicher Bürgermeister von Ankara, verzichten auf spaltende Rhetorik und Symbole.

Der im letzten Jahr neu gewählte CHP-Vorsitzende Özgür Özel sorgte durch eine konsequente Verjüngung sowie die verstärkte Einbindung von Frauen für eine angemessene Modernisierung der Partei. Er gibt den sanften Weg der nationalen Aussöhnung als Linie vor und setzt damit die Politik der Sozialdemokratisierung der CHP fort, die bereits sein Vorgänger, Kemal K?l?çdaro?lu, gegen große Widerstände angestoßen hatte. Alle drei Führungsfiguren hielten am Wahlabend Reden, in denen sie auf Siegesgeheul verzichteten, Gemeinsamkeiten betonten und auf ihre politischen Rivalen zugingen. Die zukünftigen Herausforderer nehmen Erdo?an somit ganz bewusst seine mächtigste Waffe aus den Händen: Die Fähigkeit zur Mobilisierung der Massen durch Zuspitzung und Polarisierung.

Die Kommunalwahlen waren für die türkische Opposition ein Etappenerfolg. Weder bedeuten sie das politische Ende Erdo?ans, noch die triumphale Rückkehr der Demokratie. Wenn die Opposition den eingeschlagenen Weg weitergeht, könnte der 31. März 2024 dennoch als Wendepunkt für die demokratische Kultur der Türkei in die Geschichte eingehen. IPG 5

 

 

 

Klagen gegen „Schikane“. Seenotretter wehren sich gegen Italien

 

Italiens Regierungschefin Giorgia Meloni hatte im Wahlkampf versprochen, die Migration massiv einzudämmen. Doch Maßnahmen gegen Schiffe von zivilen Seenotrettern werden von Gerichten immer öfter als rechtswidrig einkassiert. Von Almut Siefert

 

Etwa 50 Personen haben sich versammelt. Anfang April demonstrieren sie vor dem Gerichtsgebäude in Massa. Auf ihrem Banner steht: „Solidarität ist kein Verbrechen“. In der toskanischen Stadt wird derzeit darüber verhandelt, ob die Festsetzung des Rettungsschiffes „Geo Barents“ von „Ärzte ohne Grenzen“ rechtens war. Für diesem Freitag ist ein weiterer Termin angesetzt.

Die Hilfsorganisation hatte gegen die Festsetzung Klage eingereicht – nicht die einzige in den vergangenen Wochen. Zuletzt konnten die Seenotretter Erfolge vor Gericht erzielen.

Schiff festgesetzt

Am 20. März war die „Geo Barents“ mit 249 im Mittelmeer geretteten Flüchtlingen und Migranten an Bord im Hafen von Marina di Carrara eingelaufen. Kurz darauf wurde das Schiff von den italienischen Behörden für 20 Tage festgesetzt. Der Grund: Die Crew war den Schutzsuchenden in drei aufeinanderfolgenden Einsätzen zu Hilfe gekommen. Das aber ist nach aktueller italienischer Gesetzeslage verboten.

Anfang 2023 hatte die italienische Regierung unter der rechtsnationalen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni ein entsprechendes Dekret erlassen. Dieses schreibt unter anderem vor, dass zivile Schiffe nach einer Rettung sofort den ihnen zugewiesenen Hafen anlaufen müssen. Bei einem Verstoß drohen bis zu 10.000 Euro Strafe und die Festsetzung des Schiffes für mindestens 20 Tage. Die „Sea-Eye 4“ der gleichnamigen Organisation wurde am 11. März in Reggio Calabria sogar für 60 Tage festgesetzt.

Zuweisung entfernter Häfen

Auch darüber hinaus haben die Behörden die Gangart gegenüber den Seenotrettern verschärft. Laut SOS Humanity wurde den Schiffen von Hilfsorganisationen 2023 in 107 Fällen nach dem Rettungseinsatz ein weit entfernter Hafen zugewiesen. Insgesamt seien so mehr als 150.000 zusätzliche Kilometer zurückgelegt worden.

Maßnahmen, die wohl vor allem Symbolpolitik sind: Nur acht Prozent der rund 157.000 Flüchtlinge und Migranten, die 2023 über das Mittelmeer nach Italien gekommen sind, wurden von zivilen Rettungsschiffen an Land gebracht. Für den Großteil der Rettungen ist die italienische Küstenwache verantwortlich.

Seenotretter klagen gegen „Schikane“

Gegen die „Schikane“ durch die italienischen Behörden, wie sie es nennen, setzten sich die Seenotretter nun immer öfter mit Klagen zur Wehr. Die Festsetzung der „Humanity 1“ erklärte ein Richter zuletzt vorläufig als rechtswidrig. Das Schiff wurde sofort wieder freigegeben. Die finale Anhörung vor dem Zivilgericht in Crotone ist für Mitte April geplant.

Ein weiterer juristischer Erfolg: Strafen drohten laut dem Gesetz auch, wenn die Seenotretter die Menschen nicht nach Libyen zurückbringen, sollte ihnen das von der Leitstelle in Rom befohlen werden. Diese Regel ist seit ein paar Wochen faktisch hinfällig. Im Februar stufte das Oberste Gericht Italiens die Rückführung von Bootsmigranten nach Libyen als Verstoß gegen italienisches und internationales Recht ein.

Rechtsexperte: Italiens Vorgehen rechtswidrig

Der Rechtsexperte Valentin Schatz, der die Organisation Sea-Eye berät, hält das Vorgehen der italienischen Behörden und das Gesetz für rechtswidrig. Dafür gebe es mehrere Gründe, sagte der Juniorprofessor für öffentliches Recht und Europarecht an der Leuphana Universität in Lüneburg dem „Evangelischen Pressedienst“. So widerspreche ein Verbot mehrerer Rettungseinsätze internationalen Übereinkommen, die eine Rettungspflicht beinhalten.

„Aus diesen Übereinkommen lässt sich ohne Weiteres eine Pflicht ableiten, Handlungen zu unterlassen, die der Verhinderung von Rettungshandlungen dienen und diese faktisch auch zur Folge haben“, sagt Schatz. Zudem habe kein Küstenstaat die Kompetenz, Regeln zur Seenotrettung ausländischer Schiffe auf Hoher See zu erlassen.

14.000 Unterschriften

Trotz der Teilerfolge vor Gerichten haben die Seenotretter das Gefühl, dass Italien seine Regeln derzeit rigider durchsetzt als zuvor. Sea-Watch spricht gar von einer Eskalation der Behinderung ziviler Seenotrettung. Nachdem in der letzten Märzwoche vier Schiffe zeitgleich festgesetzt waren, hat „Sea-Eye-4“-Einsatzleiterin Julia Schweickert unter dem Hashtag #FreeTheShips eine Petition gestartet, um die Schiffe aus der Blockade zu befreien.

Mehr als 14.000 Mal wurde der Aufruf bisher unterzeichnet. „Eigentlich wäre ich auf dem offenen Meer und hätte keine Zeit, das hier zu schreiben“, betont Schweickert. (epd/mig 5)

 

 

 

„Inflation ist ein echter Präsidentenkiller“

 

Der konservative Politikberater Geoffrey Kabaservice über Trumps Übernahme der Republikaner, Bidens Fehler und Deutschlands internationale Rolle. Die Fragen stellte Mira Groh.

 

Joe Biden gegen Donald Trump – im November kommt es in den USA aller Voraussicht nach zum ersten Mal seit fast 70 Jahren zur Neuauflage eines Wahlduells, das es schon einmal gab. Der 77-jährige Ex-Präsident sucht die Revanche, der 81-jährige Amtsinhaber hatte wiederum vor seinem Wahlsieg signalisiert, er werde nach einer Amtszeit den Stab an eine neue Generation übergeben. Heute behauptet er, nur er sei in der Lage, Trump zu besiegen. Sind die Vereinigten Staaten im Stillstand gefangen?

70 Prozent der Amerikanerinnen und Amerikaner waren dagegen, dass bei der diesjährigen Präsidentschaftswahl Biden und Trump zum zweiten Mal gegeneinander antreten. Trotzdem würde ich nicht sagen, dass die USA nicht mehr fähig wären, sich vorwärts zu bewegen. Im politischen System der Vereinigten Staaten gibt es bestimmte Strukturelemente, die früher gute Dienste geleistet haben und heute nicht mehr funktionieren. Das hat vor allem zwei Gründe. Erstens ist die Gesellschaft viel stärker in Lager gespalten und polarisiert als in früheren Zeiten, und zweitens wirken sich genau dadurch manche Strukturen, die sich früher kaum bemerkbar machten, inzwischen sehr deutlich aus. Das offensichtlichste Beispiel ist das Electoral College – das Wahlleutegremium. Dieses demokratische Konstrukt läuft dem Mehrheitsprinzip zuwider und hat sich schon kurz nach seiner Einführung im 18. Jahrhundert als dysfunktional erwiesen. Heute führt es dazu, dass es bei der bevorstehenden Wahl genau wie bei jeder Wahl der vergangenen 20 Jahre letztlich auf sechs Bundesstaaten ankommt – und auf die Stimmen von vielleicht gerade einmal 50 000 Menschen in diesen Staaten. Dass eine demokratische Gesellschaft mit dieser Methode ihre politische Führung wählt, ist aberwitzig.

Es gibt in der Gesellschaft ein Gefühl von Stillstand oder vielleicht sogar von Erschöpfung. Die Aufspaltung in parteipolitische Lager ist so tief, dass wir es noch nicht einmal schaffen, Gesetze zu verabschieden, die eigentlich Routine sein sollten, aber nötig sind, um den Staat am Laufen zu halten. Es fehlt die Fähigkeit, Kompromisse einzugehen oder sich auf etwas zu einigen, besonders auf Seiten der Republikaner. Schon bevor er nominiert wurde, hat Trump den Republikanern im Kongress erfolgreich verboten, sich mit den Demokraten auf Vereinbarungen zu verständigen. Ein Beispiel ist das Thema Einwanderung: Trump will, dass die Situation an der Grenze zu Mexiko sich so schlimm wie möglich gestaltet, damit er Biden dafür verantwortlich machen kann. Die Demokraten waren sogar bereit, für ein Einwanderungsgesetz Positionen aufzugeben, an denen sie seit Jahrzehnten festhalten. Viele Republikaner waren gewillt, dieses Gesetz anzunehmen, das viel striktere Kontrollen an den Grenzen vorsah. Im Nachhinein werden viele bedauern, dass sie diese parteiübergreifende Übereinkunft ausgeschlagen haben. Wer weiß, was ein Präsident Trump bei diesem Thema erreichen kann, falls die Demokraten keine Kompromisse machen? Andererseits: Werden die Wählerinnen und Wähler sich im November überhaupt noch daran erinnern, dass Trump und die Republikaner die Kompromissverhinderer waren?

Was heißt es für die Republikanische Partei, dass Trumps Schwiegertochter Lara Trump neuerdings Co-Vorsitzende des Republican National Committee (RNC) ist – also des nationalen Organisationsgremiums der Partei?

Dass Trump die Kontrolle über den RNC übernimmt, hat für die Republikaner eine große Tragweite. An sich ist es nichts Ungewöhnliches, dass ein Präsidentschaftskandidat in dem Gremium seine eigene Mannschaft installieren will, zumal wenn die vorherige Führungsriege eine andere ideologische Einstellung hatte. Aber dass ein Präsident so viele Mitarbeitende des RNC vor die Tür setzt und seine Schwiegertochter ernennt, ist schon sehr außergewöhnlich. Gegen Trumps Vorgehen gab es auch bereits einigen Widerstand – nachdem er zum Beispiel im ganzen Land Kontaktstellen (sogenannte Outreach Centers) dichtgemacht hatte, die Amerikaner mit hispanischen, afrikanischen und asiatischen Wurzeln als Wähler für die Republikaner gewinnen sollten.

Größere Sorgen bereiten den Republikanern allerdings zwei andere Dinge: Zum einen gibt es die Befürchtung, Trump könnte die gesamten Ressourcen der republikanischen Wahlkampforganisation für seine Anwaltskosten aufbrauchen. Die zweite Sorge ist, dass er den RNC benutzen könnte, um Trump-Anhänger als republikanische Kandidaten für die vielen anderen bei der Wahl zu vergebenden Ämter auszusuchen. Das wäre deswegen ein Problem, weil die Republikaner ideologisch ein breiteres Spektrum abbilden müssen, wenn sie auch dort gewinnen wollen, wo sie nicht traditionell die stärkste Kraft sind. Dass Trump die Angewohnheit hat, ihm treu ergebene und deshalb genehme Kandidaten zu platzieren, hat er am deutlichsten bei den Midterms 2022 bewiesen. Man kann fast mit Sicherheit sagen, dass dies 2022 den Republikanern die Senatsmehrheit gekostet hat – und das Gleiche könnte in diesem Jahr bei der Wahl zum Repräsentantenhaus passieren.

Gibt es für Republikaner, die keine Trump-Anhänger sind, überhaupt noch Platz in der Partei?

Der Platz ist sehr begrenzt. Natürlich gibt es Ausnahmen. Ein Beispiel ist David Valladeo. Er ist einer der beiden Republikaner im Repräsentantenhaus, die nach dem Aufstand vom 6. Januar für Trumps Amtsenthebung gestimmt haben. Er hält sein Mandat noch immer. Doch die Basis der Republikanischen Partei steht hinter Trump und diese Basis ist so stark, dass sie gegen alle Widerstände seine erneute Nominierung durchsetzen konnte. Sie wird auch nicht verschwinden, selbst wenn Trump sich morgen in Luft auflösen würde. Diese Art von Populismus in Frage zu stellen, ist für Republikaner, die ein Amt oder Mandat innehaben, sehr schwer.

Die meisten Republikaner sind im Grunde ihres Herzens Konservative à la Ronald Reagan. Sie sind weder überzeugt von Trumps Absage an den Globalismus noch von seinem Wunsch, unsere Verbündeten und speziell die NATO sich selbst zu überlassen. Sie sind auch nicht von Trumps erklärter Präferenz für Russland und von der Abkehr von Handel oder nationaler Geschlossenheit überzeugt. Das dürfen sie aber nicht öffentlich sagen – und das ist in der politischen Geschichte der USA eine durchaus erstaunliche und ganz neuartige Entwicklung. Die Wenigen, die dafür bekannt sind, dass sie ihre Stimme gegen Trump erheben, sind überwiegend ehemalige Mandatsträger wie Liz Cheney.

2020 verlor Trump die Stimmen der weiblichen Wählerschaft in den Vorstädten. Werden diese Stimmen auch diesmal eine Rolle spielen?

Bei dieser Wahl werden sie wohl keinen signifikanten Einfluss haben, weil die Dynamik nicht sehr viel anders sein wird als bei den beiden vorangegangenen Wahlen. Eine etwas größere Rolle könnte die weiße Arbeiterschaft spielen, denn sie hat 2020 mehrheitlich für Biden votiert und wird das diesmal möglicherweise nicht tun. Der Grund dafür ist eine massive Strukturveränderung, die seit relativ kurzer Zeit in Amerikas politischer Landschaft vor sich geht: Die Parteien sind dabei, ihre Klassenbasis zu tauschen. Bill Clinton verlor die Stimmen der Akademiker, gewann aber dafür eine stattliche Mehrheit bei der amerikanischen Arbeiterschaft hinzu. Heute ist es umgekehrt. Trump wird bei den Amerikanern ohne Hochschulbildung die Mehrheit holen und dafür fast alle Stimmen der Akademiker verlieren, zu denen tendenziell auch die Wählerinnen in den Suburbs gehören. Bei ihnen ist die Wahrscheinlichkeit, dass sie die Demokraten wählen, sehr hoch – und auch der Stimmenvorsprung der Demokraten dürfte sich bei dieser Gruppe gegenüber der letzten Wahl vergrößern. Um ihre Stimmen wird Trump sich im Wahlkampf nicht besonders intensiv bemühen. Die entscheidende Frage ist, wie viele von ihnen zur Wahl gehen, denn sie gehören nicht zur klassischen Demokraten-Wählerschaft. Sie wünschen sich einen Kandidaten, der viel mehr als Joe Biden über einen ausgeglichenen Staatshaushalt, ein starkes Amerika mit einer starken Verteidigung, über Hochschulbildung und die Leistungsgesellschaft redet.

Wirtschaftspolitisch kann sich Bidens Bilanz sehen lassen. Er sorgt wieder für mehr Beschäftigung und arbeitet im Vergleich zum Chaos der Trump-Regierung geräusch- und reibungslos. Warum verliert er den Rückhalt der amerikanischen Arbeiterschaft?

Fakt ist, dass Biden eine bessere Wirtschaftsbilanz vorzuweisen hat als Trump 2019. Was Bidens wirtschaftspolitisches Team in gerade einmal anderthalb Jahren bewerkstelligt hat, damit das Land sich von der Inflation erholt, gehört zu den größten Leistungen, die ich in meinem ganzen Leben unter irgendeinem Präsidenten erlebt habe. Trotzdem haben die Menschen nach wie vor das Gefühl, es wäre ihnen 2019 besser gegangen. Der Präsident steht vor einem doppelten Problem: Erstens versteht Bidens Team sich nicht gut darauf, seine Erfolge kommunikativ zu vermitteln. Die meisten Wählerinnen und Wähler wissen gar nicht, dass es diese Erfolge gab. Zweitens ist die Inflation nicht verschwunden und trifft die Arbeiterschicht am härtesten. Momentan wenden die Amerikaner einen so großen Anteil ihres Einkommens für Lebensmittel auf wie seit 30 Jahren nicht mehr. Inflation ist leider in vielen Fällen ein echter Präsidentenkiller.

Aktuell liegt Trump in den Umfragen vorn. Was würden Sie den führenden Politikern in Europa in der jetzigen Situation raten?

Wir wissen nicht, ob Trump die Wahl gewinnt, und wir wissen auch nicht, was passiert, wenn er sie denn gewinnt. Wie viele andere Populisten auch kündigt Trump bestimmte Maßnahmen an, die er in Wahrheit nicht durchziehen will oder nicht durchziehen kann. Zum einen hat er anscheinend wirklich eine Antipathie gegenüber den Bündnissen der USA und ein empathisches Verhältnis zu Diktatoren. Zum anderen gab es aber während Trumps Präsidentschaft keine signifikante Hinwendung der USA zu Russland oder China. Europa sollte jetzt nicht in Panik verfallen, aber sich darauf einstellen, dass Amerika weniger als bisher eine weltweite Führungsrolle spielen würde. Auch für den Fall, dass Trump verliert, sollte Europa sich bereitmachen, denn Sätze wie „Wir müssen raus aus der NATO, unsere Verbündeten hauen uns alle übers Ohr“ könnte Trump nicht sagen, wenn sie nicht der tatsächlichen Stimmung in Teilen der amerikanischen Bevölkerung entsprechen würden.

Die Politiker in Europa müssen begreifen, dass für die USA die transatlantische Beziehung nicht mehr den gleichen Stellenwert hat wie früher. Sie müssen sich mehr als bisher ernsthaft klarmachen, was eine „Zeitenwende“ real bedeuten würde: dass Europa entschlossener als bisher die Führung übernimmt, dass Deutschland seine militärischen Kapazitäten stärkt und bereit ist, sich der amerikanischen Führungsrolle zu widersetzen und zu einer Instanz zu werden, die demokratische Gesellschaften in der ganzen Welt zusammenführt. Deutschland muss in Europa und in der Welt eine andere Rolle einnehmen und in vielfältiger Weise das Vakuum füllen, das durch Amerikas Rückzug entsteht. IPG 5

 

 

 

 

Vom Staat im Stich gelassen

 

Studie: Rassismus-Opfer werden zweites Mal Opfer durch Polizei und Justiz

Sympathien für Täter, blind am rechten Auge, Verfahrensverschleppung, Täter-Opfer-Umkehr – Studie belegt: Betroffene rassistischer Gewalt werden nach der Tat oft ein zweites Mal Opfer durch Polizei und Justiz. Forscher stellen gravierende Mängel fest.

Eine Studie wirft ein Schlaglicht auf die Erfahrungen von Personen, die Opfer rechter, rassistischer, antisemitischer und sexualisierter Gewalt wurden, insbesondere im Umgang mit Polizei und Justiz. Viele Betroffene erleben nach der Tat weitere Diskriminierungen durch staatliche Stellen, hauptsächlich im Kontext der Polizei und Justiz. Insbesondere die Erfahrungen von Geflüchteten und Migranten würden heruntergespielt oder ignoriert.

Der Untersuchung zufolge bemängeln 82 Prozent der Befragten, dass rechte Tatmotive bei polizeilichen Ermittlungen nicht berücksichtigt wurden. Mehr als die Hälfte der Befragten fühlten sich durch Polizeibeamten in ihrer Würde verletzt. Zwei Drittel stimmten der Aussage zu, sie seien von Polizisten „wie ein Mensch zweiter Klasse“ behandelt worden. Die Kommunikation mit der Polizei wird von 66 Prozent der Befragten als „schwierig“ empfunden. Besonders gravierend: Immer wieder wurde eine Täter-Opfer-Umkehr wahrgenommen, mit der den Betroffenen zumindest eine Mitverantwortung an Angriffen zugewiesen wird.

Viele Verfahrenseinstellungen

Die aktuelle Studie „Sekundäre Viktimisierung von Betroffenen rechter, rassistischer, antisemitischer und sexualisierter Gewalt – Fokus: Polizei und Justiz“ folgt auf die im Jahr 2014 veröffentlichte Untersuchung „Die haben uns nicht ernst genommen“. Ein interdisziplinäres Team von Forschern analysierte die Erfahrungen von Geflüchteten, Migranten und anderen marginalisierten Gruppen, die Gewalttaten ausgesetzt waren. Durchgeführt wurde die aktuelle Studie vom Institut für Demokratie und Zivilgesellschaft (IDZ) in Kooperation mit Opferberatungsstellen.

Herausgearbeitet haben die Forscher ein hohes Maß an Verfahrenseinstellungen durch Staatsanwaltschaften nach Strafanzeigen. In den wenigen Fällen, in denen es zu einer Anklageerhebung kam, berichteten die Betroffenen überwiegend, dass ihr Wunsch nach Gerechtigkeit – juristische Verhandlung bzw. Bestrafung der Täter – nicht erfüllt wurde. Richter hätten teilweise Sympathien für die Täter gezeigt, unnötige Begegnung mit Tätern wurden nicht verhindert. Zwei Drittel der Betroffenen mit Justizkontakt stimmten der Aussage zu, durch die Justiz erneut eine Viktimisierung erfahren und geschädigt worden zu sein.

Lange Verfahrensdauer

„Die Ergebnisse der Studie geben einen Einblick, was Betroffene auch nach der eigentlichen Tat noch an diskriminierenden Erfahrungen in Behörden machen müssen. Das beginnt oftmals mit der ungleichen Behandlung durch Polizist:innen am Tatort und hört auch bei der Verhandlung im Gerichtssaal – wenn es überhaupt dazu kommt – nicht auf“, erklärt Janine Dieckmann, stellvertretende wissenschaftliche Leiterin des Instituts für Demokratie und Zivilgesellschaft (IDZ).

Die Forscherin verweist exemplarisch auf einen aktuellen Fall für verschleppte Strafverfolgung. Der Prozess gegen einen Teil von zwei Dutzend Neonazis, die im September 2018 in Chemnitz zivilgesellschaftliche Gegendemonstranten angegriffen haben, hatte erst nach fünf Jahren begonnen. Die Angegriffenen hätten jahrelang darum kämpfen müssen, dass es überhaupt zu einer Hauptverhandlung kommt.

Vom Rechtsstaat im Stich gelassen

Theresa Lauß, Beraterin bei der Thüringer Gewaltopferberatungsstelle ezra fasst zusammen: „Seit Jahren weisen wir auf die fatalen Auswirkungen sekundärer Viktimisierung durch Strafverfolgungsbehörden hin, die die Betroffenen zusätzlich zu den unmittelbaren Tatfolgen zu verarbeiten haben“. Betroffene würden vom Rechtsstaat im Stich gelassen. Viele Ermittlungsverfahren würden verschleppt und letztlich eingestellt. „Kommt es zu Gerichtsverhandlungen, stellen wir eine starke Zentrierung auf die Täter:innen fest, Betroffene werden nur in Ausnahmefällen adäquat geschützt“, so Lauß weiter.

Die Forscher betonen die Notwendigkeit von Sensibilisierungsmaßnahmen und Schulungen für Polizei- und Justizpersonal. Die Perspektiven und Bedürfnisse von Geflüchteten, Migranten und anderen marginalisierten Gruppen müssten stärker berücksichtigt werden in den Sicherheitsbehörden und in der Justiz, um eine gerechtere und respektvollere Behandlung sicherzustellen. (mig 5)

 

 

 

Vom Stadion ins Gefängnis? Das Rassismus-Problem des Fußballs

 

Die jüngsten Vorfälle in Spanien und Italien zeigen: Rassismus in Fußballstadien ist ein wachsendes Problem – auch in Deutschland. Die Verbände sind vor der EM alarmiert. Doch reichen ihre Initiativen noch aus? Von Sebastian Stiekel und David Joram

 

In zweieinhalb Monaten beginnt in Deutschland die Fußball-EM. Und ein Problem dieses eigentlich so völkerverbindenden Sports beschäftigt die Verbände immer mehr: der zunehmende Rassismus in den europäischen Stadien. Der Deutsche Fußball-Bund (DFB) hat bereits im März ein Anti-Rassismus-Projekt zu seiner Heim-EM gestartet. Der Weltverband FIFA will im Mai bei seinem Kongress in Bangkok eine entsprechende Resolution aller 211 Mitgliedsstaaten verabschieden.

Die Frage ist nur: Reicht Symbolpolitik allein noch aus angesichts der Szenen, die sich in den vergangenen Wochen vor allem in Italien und Spanien gehäuft haben? Oder braucht es andere Maßnahmen wie härtere Strafen und schnellere Spielabbrüche, wenn der Fußball rassistische Vorfälle nachhaltig bekämpfen will?

„Zu lange nichts gegen Rassismus getan.“

„Was wir beim Fußball sehen, ist nicht nur ein gesamtgesellschaftliches Problem, sondern hat auch mit dem Fußball selbst zu tun: Denn an diesem sozialen Ort wurde viel zu lange nichts gegen Rassismus getan, es wurde jahrzehntelang toleriert, fast schon normalisiert“, sagt Rassismus-Forscher Lorenz Narku Laing von der Evangelischen Hochschule Bochum. Empfindlichere Strafen könnten helfen, meint er: „Wir müssen tatsächlich darüber nachdenken, ob man Spiele abbrechen soll und zu Ungunsten der rassistisch agierenden Fanblöcke wertet.“

Der brasilianische Stürmerstar Vinicius Junior von Real Madrid brach in der vergangenen Woche in Tränen aus, als er bei einer Pressekonferenz seines Nationalteams zum Thema Rassismus befragt wurde. Am Osterwochenende forderte der 23-Jährige dann via X, dem früheren Twitter: „Rassisten müssen entlarvt werden und die Spiele dürfen nicht mit ihnen auf der Tribüne fortgesetzt werden. Wir werden nur dann gewinnen, wenn die Rassisten die Stadien direkt ins Gefängnis verlassen, den Platz, den sie verdienen.“

Vinicius ist schon häufiger Opfer rassistischer Anfeindungen geworden – im Stadion und darüber hinaus. 2021 baumelte eine schwarze Puppe mit einem Trikot des Stürmers von einer Brücke in Madrid – aufgehängt wie an einem Galgen.

Laing: Seminar statt Gefängnis

Von Stadionverboten oder gar Gefängnisstrafen für einzelne Täter ist Forscher Laing aber wenig überzeugt. „Mein Traum ist eigentlich, dass ein Mann, der in der Kurve eine rassistische Beleidigung loslässt, von seinen Mitmenschen gesagt bekommt, dass das nicht geht. Dann sollte der Fall gemeldet werden und dieser Mensch vom Sportverband ein Seminarangebot zum Thema Rassismus bekommen, damit er wirklich für sich verstehen lernt, was das bedeutet, wie sehr es Menschen verletzt.“

Die Wahl müsse am Ende sein: Stadionverbot oder Seminar. „Es geht nicht nur um Rauswürfe, mehr Polizei in Stadien und Verbote, sondern es geht um mehr Empathie, mehr Fairness, mehr Miteinander, Vergebung und tatsächlich eine emotional persönliche Lernreise der Menschen, die sich da falsch verhalten“, meint Laing.

Ob die Täter dazu bereit sind? Zumindest in Spaniens vierter Liga setzten die Spieler jüngst ein Zeichen: Der Torwart des Madrider Vorstadt-Clubs Rayo Majadahonda wurde von einem Zuschauer mutmaßlich rassistisch beleidigt, ging auf diesen los und sah dafür die Rote Karte. Aus Solidarität mit dem Senegalesen Cheikh Kane Sarr verließen seine Mitspieler mit ihm das Spielfeld.

Momentaufnahme aus Deutschland: Spielabbruch in der Landesklasse

Nach einem Rassismus-Vorwurf ist in der Landesklasse Sachsen-Anhalts am 23. März 2024 ein Punktspiel abgebrochen worden. Beim Stand von 3:1 für Gastgeber SV Plötzkau verließ die Mannschaft des VfB Ottersleben II nach etwa 70 Minuten geschlossen das Spielfeld. Abseits des Balls soll ein Plötzkauer Spieler einen Gegenspieler mit Migrationshintergrund rassistisch beleidigt haben.

„Der Junge hat in der Kabine geweint. Er ist vom Plötzkauer als Affe bezeichnet worden und soll sich gefälligst dorthin verpissen, wo er hergekommen sei“, berichtete der VfB-Trainer Stefan Otremba. „Rassismus hat auf dem Sportplatz nichts zu suchen. Wir stehen als Team hinter unserem Mitspieler und konnten deswegen nicht einfach so zur Tagesordnung übergehen, weiterspielen und so tun, als sei nichts passiert.“

Plötzkaus Trainer Christian Bilkenroth distanzierte sich von jeglicher Art Diskriminierung. „Wir haben in allen Mannschaften unseres Vereins selbst Spieler mit Migrationshintergrund in unseren Reihen. Deswegen kann ich mir auch nicht vorstellen, dass solche Worte gefallen sind. Ich bin ein absoluter Gegner von rassistischen Äußerungen und ausländerfeindlicher Hetze“, sagte Bilkenroth.

Der Spielabbruch ist nun ein Fall für das Sportgericht des Fußballverbandes Sachsen-Anhalts. Im Spielberichtsbogen hatte der Schiedsrichter den Punkt „Rassistische Beleidigung“ jedoch nicht angekreuzt. Weder er noch seine beiden Assistenten hätten solche Äußerungen vernommen.

Eine neue Sensibilität gegen Rassismus

In der italienischen Serie A lief es im Januar genau andersherum. Torwart Mike Maignan vom AC Mailand verließ den Platz, weil ihn Fans von Udinese Calcio mit rassistischen Gesängen überzogen hatten. Das Spiel wurde unter-, aber nicht abgebrochen: Die eigenen Teamkollegen überredeten den Franzosen im Kabinengang zum Weitermachen. „Ganz häufig galt die Mentalität: der Fußballer auf dem Platz hat doch hart zu sein, er ist doch ein hochbezahlter Profi“, erklärt Laing.

In der Gesellschaft gebe es zwar eine „neue Sensibilität dafür, dass Rassismus falsch ist, auch wenn er Millionären passiert.“ Nur fehle es im Fußball noch häufig an diesem Bewusstsein. „Es ist ein Problem, dass der Fußball es noch nicht schafft, Rassismus als ein eigenes Problem zu begreifen. Entweder distanziert man sich davon, weil man sagt, dass das eben in der Hitze des Gefechts passiert. Oder man distanziert sich davon, weil man es an die Justiz, an die Polizei, die Anwälte, delegiert“, erklärt Laing.

In Italiens Profi-Fußball soll es nun einen Verhaltenskodex geben, der für alle Spieler und Trainer verpflichtend ist. Der Sportminister der Mitte-Rechts-Regierung, Andrea Abodi, kündigte in der Zeitung „La Repubblica“ eine „Charta der Pflichten“ an. Darin soll auch ein Bekenntnis gegen Rassismus festgeschrieben werden.

Erst in der vergangenen Woche wurde der italienische Nationalspieler Francesco Acerbi von einem Sportgericht freigesprochen. Er soll den Brasilianer Juan Jesus vom SSC Neapel rassistisch beleidigt haben. Acerbi dementiert dies, sein Verein Inter Mailand verteidigt ihn. Doch der seit zwölf Jahren in Italien spielende Juan Jesus hält an seiner Anschuldigung fest. „Ich bin wirklich entmutigt über den Ausgang dieser ernsten Angelegenheit“, sagte der 32-Jährige über das Sportgerichts-Urteil.

Nur „rein kosmetische Initiativen“

Sein Club aus Neapel will sich aus Protest an keiner Anti-Diskriminierungs-Maßnahme des italienischen Verbands mehr beteiligen. Das seien nur noch „rein kosmetische Initiativen“, heißt es in einer Stellungnahme des Clubs. „Diese Kampagnen sind natürlich der Versuch, dass der Sport eine klare Haltung zeigt. Und Haltung ist wichtig, aber nicht alles“, meint auch Laing.

Doch was soll der Fußball stattdessen tun? Schon 2011 führte der europäische Fußball-Verband UEFA einen Drei-Stufen-Plan ein, der im Fall rassistischer Vorfälle in einem Stadion bis zum Spielabbruch führen kann. Erster Schritt: Spielunterbrechung. Zweiter Schritt: Spieler zeitweise in die Kabine schicken. Dritter Schritt: Abbruch.

Doch das geht selbst dem umstrittenen FIFA-Chef Gianni Infantino offenbar nicht mehr weit genug. „Das Problem ist, dass wir unterschiedliche Wettbewerbe, unterschiedliche Wettbewerbsorganisatoren, unterschiedliche Regeln haben. Und alles, was wir tun, ist offensichtlich nicht mehr genug“, sagte der Weltverbands-Präsident im Februar bei einem UEFA-Kongress. Infantino will die Rassismus-Bekämpfung im Mai zum Thema in Bangkok machen: „Wir brauchen eine starke Resolution. Alle zusammen. Alle 211 Länder der FIFA!“ (dpa/mig 4)

 

 

 

Die größte Protestmobilisierung. Die Massendemos gegen rechts flauen ab – was haben sie gebracht?

 

Nach den Enthüllungen des Medienhauses Correctiv über ein Treffen radikaler Rechter gingen Hunderttausende auf die Straße. Jetzt wird es weniger. Aus, vorbei, abgehakt? Nicht ganz, sagen Experten. Von Verena Schmitt-Roschmann und Jörg Ratzsch

 

Weiter geht es in den nächsten Tagen in Vilsbiburg, Jüterbog und Nienburg an der Weser. Auch in Buxtehude, Wismar und Roßlau wollen wieder Menschen gegen Rechtsextremismus auf die Straße gehen. Aber die Riesendemos, die vor rund drei Monaten mit den Enthüllungen des Medienhauses Correctiv zu einem Treffen rechter Radikaler in Potsdam begannen, flauen sichtbar ab. „Es war absehbar, dass die Proteste nicht auf Dauer die Massen mobilisieren können“, sagt der Berliner Protestforscher Simon Teune. „Das ist die Logik von Protesten, dass sie nicht langfristig auf diesem Niveau bleiben.“

Und nun? Was hat es gebracht, dass Hunderttausende bei Kälte und Regen hinter Bannern mit „Aufstehen für Demokratie“ herliefen und „Nie wieder ist jetzt“ riefen? „Es ist nicht zu vernachlässigen, welche Dimension diese Proteste haben“, sagt Teune. „Es ist wahrscheinlich die größte Protestmobilisierung seit Bestehen der Bundesrepublik.“ Anders als bei den Lichterketten der 1990er Jahre seien die Aktionen in die Fläche getragen worden – in Hunderte kleinere Orte in Ost und West. Was davon bleibt, kann auch Teune nicht genau einschätzen. Aber spurlos dürfte das alles nicht an Deutschland vorübergehen.

Die AfD sinkt in den Umfragen – aber sie hat viele neue Mitglieder

Die AfD war für viele Demonstranten Protestziel Nummer eins. Die Partei war nicht Organisatorin des Potsdamer Treffens vom 25. November 2023 – das war der Zahnarzt Gernot Mörig. Die AfD referierte dort nicht ihr Programm – es war der neurechte Österreicher Martin Sellner, der nach eigenen Angaben über die sogenannte Remigration redete, also wie Millionen Menschen mit ausländischen Wurzeln aus Deutschland hinausgedrängt werden sollen. Aber mehrere AfD-Mitglieder waren dabei, darunter Roland Hartwig, persönlicher Referent von AfD-Chefin Alice Weidel. Weidel warf Hartwig sofort raus. Aber ansonsten ging die AfD-Chefin in den Angriffsmodus. Sie sprach von „unglaublichen Lügen“ in der Berichterstattung und nannte Correctiv eine „Hilfs-Stasi“ im Dienste der Regierung.

Trotzdem oder deswegen erlebte die AfD seit Januar zwei unterschiedliche Tendenzen: Die Zahl der Parteimitglieder wuchs nach Angaben der Bundesgeschäftsstelle von knapp unter 40.000 zum Jahreswechsel auf inzwischen mehr als 43.000. Andererseits büßte die AfD in Umfragen ein. Nach bundesweiten Höchstwerten bis zu 23 Prozent sackte die Partei zwischenzeitlich bis auf 16 Prozent ab. Derzeit liegt sie bei 18 bis 20 Prozent. Offen ist, welchen Anteil die Correctiv-Recherche daran hat und wie sehr die neue Konkurrenz durch das Bündnis Sahra Wagenknecht verantwortlich ist, das ziemlich zeitgleich Anfang Januar gegründet wurde und auch auf AfD-Wähler abzielt.

Die AfD sei verunsichert, beobachtet Protestforscher Teune. „Die Proteste haben dazu geführt, dass die AfD nicht mehr so uneingeschränkt das Heft des Handelns in der Hand hat.“ Das bedeute nicht, dass sich Menschen in Scharen von der AfD abwenden. „Aber wer nicht ideologisch überzeugt ist, könnte nach den Protesten noch einmal ins Nachdenken kommen und bei den Wahlen zu Hause bleiben, anstatt die AfD zu wählen.“

Die grüne, gebildete Mitte

Dass die Menschen gegen rechts auf die Straße gingen, lobte nicht nur Bundeskanzler Olaf Scholz, sondern auch Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier. „Diese demokratische Mitte hat mit den Demonstrationen etwas erreicht“, bilanzierte Steinmeier Mitte Februar. „Sie hat die Gleichgültigkeit vertrieben. Sie hat Mut gemacht. Wir atmen wieder freier.“ Und er verband das mit einem Appell: „Wirtschaft, Arbeit, Kultur, Zivilgesellschaft, Vereine und Verbände, alle sind gefragt. Wir brauchen den Schulterschluss der Demokraten. Nicht nur heute, sondern an 365 Tagen im Jahr.“

Wer aus der „demokratischen Mitte“ auf die Straße ging, dazu gibt es inzwischen erste Daten. Forscher der Universität Konstanz haben 500 Teilnehmerinnen und Teilnehmer an drei Demos im Südwesten befragt, nämlich in Konstanz, Singen und Radolfzell. Zumindest dort galt: Eine Mehrheit (53 Prozent) ordnete sich selbst der mittleren Mittelschicht und ein Drittel der oberen Mittelschicht zu. Sechs von zehn Befragten besaßen einen Hochschulabschluss, 20 Prozent zumindest Abitur. Somit ergebe sich „eine demografische Schräglage zugunsten eines höher gebildeten Bevölkerungsabschnitts am oberen Ende der Mittelschicht“, schließen die Autoren Marco Bitschnau und Sebastian Koos.

61 Prozent der Befragten hatten bei der vorigen Bundestagswahl Bündnis 90/Die Grünen gewählt, 18 Prozent die SPD und 8 Prozent die CDU. Doch waren es nicht Menschen, die ohnehin ständig demonstrieren: Zwei Drittel der Befragten hatten noch nie an einer Kundgebung mit ähnlicher inhaltlicher Ausrichtung teilgenommen. Viele seien schon länger besorgt gewesen über die Stärke der AfD – die Correctiv-Recherche über das Potsdamer Treffen habe dann das „Fass zum Überlaufen“ gebracht, heißt es in der Studie.

„Erstmals ein deutliches Nein“

„Erstmals in zehn Jahren des Aufstiegs der AfD gab es jetzt ein deutliches Nein“, sagt Daniel Mullis vom Leibniz-Institut für Friedens- und Konfliktforschung in Frankfurt am Main. In den Demonstrationen sieht er mehr als ein kurzes Aufbäumen. „Ich bekomme von vielen Gruppen und Organisationen die Rückmeldung, dass es vor Ort einen ordentlichen Zuwachs gibt, etwa bei den Omas gegen rechts“, berichtet der Forscher. „Man hört an vielen Stellen, dass es Interesse gibt, sich in Strukturen einzubringen und sich gegen rechts zu engagieren.“

So sieht es auch die Bewegung Fridays for Future, die vielerorts beim Organisieren der Demos gegen rechts half. „Sie haben vielen Aktiven vor Augen geführt, dass jahrelange Arbeit vor Ort keine vergebenen Mühen waren – und vielen Nicht-Aktiven, wie effektiv Engagement sein kann“, meint Sprecher Pit Terjung. „Auf den Demonstrationen sind Akteure aus allen Ecken der Zivilgesellschaft zusammengerückt, wir erleben ein dynamisches Aufleben vieler neuer Initiativen, Bündnisse und Netzwerke.“ Aus Sicht der Aktivisten ist es also noch nicht vorbei, auch wenn nun nicht mehr Massen Straßen und Plätze füllen.

„Der Konflikt liegt jetzt auf dem Tisch“, sagt Forscher Mullis. „Das vor Selbstbewusstsein Strotzende der AfD ist erstmal dahin. Aber die Konfliktlinien der Gesellschaft, die sozioökonomischen Tendenzen, die Abstiegsängste, die Fragen von Migration und Klimakrise bleiben.“ Seine Erwartung: „Es ist eine sehr langfristige Auseinandersetzung, vor der wir stehen. Konkret droht bei den anstehenden Kommunal-, Europa- und Landtagswahlen eine sehr substanzielle Landnahme von rechts.“ (dpa/mig 4)

 

 

 

 

Neues Migrationsmuseum in Köln Kalk

 

Es ist amtlich: Deutschland bekommt ein neues Migrationsmuseum, mitten in Köln-Kalk. Es ist richtig und wichtig, dass die Migrationsgeschichte unserer Gesellschaft präsentiert, erzählt und gewürdigt wird – für Millionen Menschen und generationenübergreifend. Von David Galanopoulos

 

Ich hätte nicht gedacht, dass ich mal so investiert in ein Museum sein würde, dass es eigentlich noch gar nicht gibt. Das DOMiD (Dokumentationszentrum für Migration in Deutschland) hat es aber irgendwie geschafft, den Spannungsbogen immer wieder aufrechtzuerhalten. Jetzt gab es Ende März sehr gute Neuigkeiten.

Dass ein neues Migrationsmuseum in Deutschland entstehen würde, ist aufmerksamen Beobachter:innen der entsprechenden Nachrichten wahrscheinlich bekannt gewesen. Nun hat der Stadtrat Köln in einer wichtigen Entscheidung das Erbbaurecht der „Halle 70“ in den Hallen Kalk an das DOMiD verliehen. Damit steht es dem Dokumentationszentrum 99 Jahre zu, das entsprechende Grundstück und die dazugehörigen Hallen zu nutzen.

Ein Traum wird wahr

Das DOMiD hat eine Entstehungsgeschichte, die Hoffnung macht. 1990 wurde es als DOMiT (Dokumentationszentrum und Museum über die Migration aus der Türkei e.V.) in Essen gegründet. Das nicht zu unterschätzende Ziel: Die Leerstellen in historischen Institutionen und der Geschichtswissenschaft zur Geschichte türkischer Einwander:innen zu füllen. Die Ressourcen waren begrenzt und trotzdem starteten die Gründer:innen – alles türkische Einwander:innen – die Realisierung ihrer Vision. Jede:r fängt mal klein an. So auch das DOMiT, welches das historische Erbe der Einwanderungsgesellschaft in einer Essener Garage archivierte.

Und dieses Erbe wuchs und wuchs, bis es schließlich im Jahre 2000 nach Köln umzog. Dort fusionierte das Dokumentationszentrum 2007 mit dem Verein „Migrationsmuseum e. V.“ Der Grund dafür war der unabhängig voneinander gewachsene Traum eines Migrationsmuseums. Dieser Zusammenschluss war die Geburtsstunde von DOMiD, dem Archiv für die Geschichte aller Migrantinnen und Migranten in Deutschland.

Konzeptionelle und inhaltliche Vorbereitungen für das Museum gab es bereits viele. Jüngste Projekte waren bspw. die Ausstellung „Wer wir sind. Fragen an ein Einwanderungsland“ in der Bundeskunsthalle (manche erinnern sich vielleicht an das eingeschlichene Bild in der Ausstellung) oder die spannenden DOMiDLabs, Mini-Ausstellungen zu Fragen und Themen, über die eine Migrationsgesellschaft sprechen sollte. Gerade bei den DOMiDLabs zeigt sich die Komplexität und Mehrdimensionalität von Migration. Ob zur Wertschätzung und Anerkennung der Migrationsgesellschaft oder den Erzählungen und Fragen von LGBT-Migrant:innen, DOMiD will stets das ganze Bild einfangen.

Migrationsgeschichte wertschätzen

In heutigen Debatten erscheint Migration als die Wurzel allen Übels zu verkommen. Dabei geht es bei der Migration – und das zeigt die Geschichte – um Träume, Hoffnungen und das Vorankommen im Leben. Migrant:innen wollen in erster Linie sich und der eigenen Familie ein neues, ein besseres Leben ermöglichen. In diesem Wunsch steckt keine böswillige Absicht, sondern ein sehr menschliches Verlangen. In diesem Migrationsprozess – das zeigt ebenfalls die Geschichte – haben diese Menschen nicht nur sich, sondern auch das Land, in diesem Fall Deutschland, massiv vorangebracht.

Die wirtschaftliche Verwertbarkeit von Migrant:innen wird ja gerne als Argument für das Recht zu bleiben angeführt. Es war aber nicht nur die Wirtschaft, die angekurbelt wurde. Die Gastarbeiter:innen aus der Türkei, Griechenland, Italien und vielen weiteren Ländern brachten eine neue Identität mit, die nach Ende des Zweiten Weltkriegs für das zerstörte Deutschland erst wieder aufgebaut werden musste. Migrant:innen gehören auch hierher, weil sie Teil einer kollektiven Identität geworden sind. Auch das steckt hinter dem Grundgedanken von DOMiD. Das Museum soll keine Extrawurst für Migrant:innen sein, sondern endlich Geschichten und Perspektiven wertschätzen, die trotz ihrer Bedeutung für unser Land vernachlässigt wurden.

Es ist für mehrere Generationen eine Freude, dass auch diese Geschichten in einem größeren Umfang erzählt und präsentiert werden können. Natürlich liegt es an der Gesamtgesellschaft, das Leben dieser Menschen in Erinnerung zu behalten. Dieses Museum ist aber unbeschreibbar bedeutsam für Millionen Großeltern und Eltern, die ein besseres Leben haben wollten, für diejenigen, die vielleicht nicht so aussehen wie die Mehrheit ihrer Freund:innen, für diejenigen, die zu Hause mehrere Sprachen sprechen.

Ein Museum bringt die große Chance, die angespannten und teils populistischen Diskussionen zur Migration abzukühlen und in verständnisvolle Gespräche zu gießen. Die Verantwortung ist groß, dessen ist sich das DOMiD sicherlich bewusst. Gleichzeitig muss es für sie ein besonderer Moment sein, dass die Träume von Gleichgesinnten, die als Hobby Fotos gesammelt haben, in einem solchen Ausmaß wachsen würden. Das Migrationsmuseum, das voraussichtlich 2029 seine Tore öffnen wird, kann ein Ort der interkulturellen Begegnung werden und zeigen: Wir waren schon immer hier und gehen auch nicht wieder weg. Mig 3

 

 

 

Migranten mit Stethoskop

 

Kammer: Ohne ausländische Ärzte funktioniert Gesundheitssystem nicht

64.000 Ärzte aus dem Ausland helfen mit, das deutsche Gesundheitswesen am Laufen zu halten. In manchem Krankenhaus ginge nichts ohne sie. Besonders in Ostdeutschland werden sie benötigt. Problem: Sie fehlen sie auch in ihren Heimatländern.

Das Klingeln seines Handys ruft Goran Jordanoski in die Notaufnahme. Im Schockraum muss ein Patient versorgt werden. Der 43-jährige Arzt aus Nordmazedonien leitet die zentrale Notaufnahme im Krankenhaus Sondershausen in Thüringen. Der Internist und Notfallmediziner ist einer von 64.000 ausländischen Ärztinnen und Ärzten, die in deutschen Krankenhäusern, Arztpraxen oder Forschungseinrichtungen arbeiten – bei rund 421.000 berufstätigen Ärzten insgesamt. Nicht nur für das Haus in Sondershausen, das zum privaten Klinikbetreiber KMG mit einem Dutzend Standorten in Thüringen, Brandenburg und Mecklenburg-Vorpommern gehört, sind die Migranten mit dem Stethoskop längst unverzichtbar.

„Ohne die Ärzte aus dem Ausland können wir unser Gesundheitswesen nicht auf dem derzeitigen Standard aufrechterhalten“, sagt die Vizepräsidentin der Bundesärztekammer (BÄK), Ellen Lundershausen. Allerdings fehlten sie auch in ihren Heimatländern, räumt sie ein. Die Deutsche Krankenhausgesellschaft (DKG) schätzt ein, dass vor allem auch Kliniken in den ostdeutschen Flächenländern ausländische Ärzte benötigen. „Dort würden sich ohne Migration von Medizinern Versorgungsangebote vor Ort reduzieren“, sagt die stellvertretende Vorstandsvorsitzende Henriette Neumeyer.

200 medizinische Organisationen und Verbände haben kürzlich die Bedeutung von Zuwanderern für das Gesundheitssystem herausgestellt. „Auf ihren Beitrag will und kann die medizinische und pflegerische Versorgung in Deutschland nicht verzichten“, heißt es in einer Mitte März veröffentlichten Erklärung für Demokratie und Pluralismus.

Haupteinsatzgebiet Krankenhäuser

Allein in Thüringen und Brandenburg kommt nach Zahlen der Landesärztekammern ein Viertel der Krankenhausärzte aus dem Ausland, in Mecklenburg-Vorpommern ist es ein Fünftel. In Sachsen-Anhalt heißt es, ohne ausländische Ärzte würde die Gesundheitsversorgung zusammenbrechen. Bundesweit arbeiten laut Bundesärztekammer 80 Prozent der ausländischen Ärzte an Kliniken, „überproportional häufig“ in kleineren Häusern und außerhalb der größeren Städte. In Sondershausen versorgt die KMG-Klinik mit Fachabteilungen für Innere Medizin, Allgemein- und Unfallchirurgie, Gynäkologie/Geburtshilfe, Geriatrie (Altersmedizin) und Notaufnahme den ländlich geprägten Kyffhäuserkreis, jährlich werden dort 6.000 stationäre und 15.000 ambulante Patienten behandelt. Fast die Hälfte der Mediziner – 30 von 63 – hat einen nichtdeutschen Pass, in der gesamten KMG-Gruppe sind es mehr als 25 Prozent.

Die 21.000 Einwohner zählende Kreisstadt Sondershausen, eine Autostunde entfernt von der thüringischen Landeshauptstadt Erfurt gelegen, war bis zur Wiedervereinigung ein Zentrum des Kalibergbaus. Heute kämpft sie mit Überalterung und Bevölkerungsschwund. „Wir merken, dass junge, in Deutschland ausgebildete Ärzte ihren Lebensmittelpunkt häufig in Ballungszentren sehen und keine langen Arbeitswege auf sich nehmen wollen“, sagt Klinikgeschäftsführer Mike Schuffenhauer.

Für DKG-Expertin Neumeyer hat das viel mit einem generellen „Trend der Verstädterung“ zu tun. BÄK-Vizepräsidentin Lundershausen verweist zudem darauf, dass Medizin-Absolventen, vor allem angehende Fachärzte, im Beruf häufig die Nähe ihres Studienortes suchen. „Wenn man in Hamburg studiert hat, neigt man dazu, in Hamburg zu bleiben.“ Aus ihrer Sicht hat Deutschland ohnehin seit Jahren zu wenig Mediziner ausgebildet.

Zudem unterscheiden sich die Arbeitsvorstellungen heutiger Ärztegenerationen von denen früherer. Sie achteten sehr viel mehr auf eine ausgewogene Work-Life-Balance, wollten mehr Zeit mit ihren Familien verbringen als frühere Ärztegenerationen, erläutert Neumeyer. Dass der Bedarf trotz kontinuierlich zunehmender Ärztezahlen zunimmt, sei deshalb kein Widerspruch. „Die Zahl der Köpfe steigt, aber deren Arbeitszeit nicht in gleichem Maß.“

Anspruchsvolles Anerkennungsverfahren

Für ausländische Ärzte wiederum sei Deutschland als Arbeitsort attraktiv, sagt Neumeyer. „Es ist bekannt, dass die praktische Ausbildung für junge Ärzte an deutschen Krankenhäusern sehr gut ist“, bestätigt Goran Jordanoski. Ihn hatten die Weiterbildungsmöglichkeiten 2011 nach Deutschland gelockt, in seinem Heimatland Nordmazedonien habe er seinerzeit schlechte Jobchancen gehabt und hätte zudem die Facharztausbildung selbst bezahlen müssen. In Sondershausen hat er erfolgreich Facharztausbildungen in Innerer Medizin und Notfallmedizin absolviert, er ist Oberarzt und ärztlicher Leiter der Notaufnahme.

Ausländische Ärzte durchlaufen laut DKG ein anspruchsvolles und oft langwieriges Verfahren mit Fachsprachen- und Kenntnisprüfung bis zur Anerkennung ihrer medizinischen Abschlüsse in Deutschland. „Sie werden nicht einfach durchgewunken“, stellt Neumeyer klar.

Jordanowski fühlt sich nach inzwischen 13 Jahren fest verwurzelt in der Region. „Ich fühle mich heimisch, habe viele Menschen kennengelernt, die Patienten sind freundlich. Es gefällt mir hier.“ Probleme wegen seiner Herkunft habe er – anders als viele Pflegekräfte aus dem Ausland – nie erlebt. An einen anderen Ort, ein anderes Krankenhaus wechseln wolle er nicht. Für Klinikchef Schuffenhauer ist das eine gute Nachricht: „Darüber sind wir sehr froh.“ (dpa/mig 3)

 

 

 

Flucht und Migration. Extremismusforscher: Politiker Vorurteile bedienen Vorurteile

 

Die Bereitschaft, Hass zu zeigen ist gestiegen, der Nährboden für Rassismus ist größer geworden. Extremismusforscher Zick kritisiert Politiker. Sie bedienten mit ihren Äußerungen Vorurteile gegenüber Migranten. Flucht sei inzwischen ein Triggerthema. Von Holger Spierig

 

Der Extremismusforscher Andreas Zick hat sich besorgt über eine zunehmende Fremdenfeindlichkeit geäußert. Die Angst vor Anschlägen sei mit dem Aufschwung des Rechtspopulismus und einem zunehmend gewalttätigen Rechtsextremismus größer geworden, sagte Zick in Bielefeld dem „Evangelischen Pressedienst“. „Die Bereitschaft, Hass und Feindseligkeit zu zeigen, ist gestiegen“, stellte der Extremismus-Experte fest. Ebenfalls angestiegen sei der Anteil antisemitischer Taten.

Dass Vertreter von migrantischen Organisationen bei dem Brandanschlag am Montag in Solingen einen rassistischen Hintergrund vermuteten, sei daher nachvollziehbar, sagte Zick. Bei vielen rechtsextremen Anschlägen habe es viel zu lange gedauert, bis sie als solche anerkannt worden seien. Bei einem offenbar vorsätzlich gelegten Brand in einem Mehrfamilienhaus in Solingen war in der Nacht zum Montag eine vierköpfige Familie aus Bulgarien mit türkischen Wurzeln gestorben.

Nährboden für Rassismus größer geworden

Der Nährboden für Menschenfeindlichkeit und Rassismus sei größer und stabiler geworden, erklärte Zick. Das zeigten die Hellfeldzahlen der Behörden sowie Studien. „Die Polarisierung der Gesellschaft, die von rechtsaußen in die Mitte getragen wurde, hat zu einer Erleichterung von Gewalt und Hasstaten geführt“, erläuterte der Leiter des Instituts für Interdisziplinäre Konflikt- und Gewaltforschung der Universität Bielefeld.

In der Fehler! Linkreferenz ungültig. hätten 31 Prozent einer repräsentativ befragten Stichprobe negative Urteile über migrantische Gruppen geteilt, die mit dem Aussehen oder der Herkunft verbunden seien, erklärte der Wissenschaftler. Unter AfD-Sympathisanten seien es sogar 70 Prozent gewesen. Zugleich sei in Mitte der Gesellschaft der Anteil derjenigen, die ein rechtsextremes Weltbild vertreten, von ungefähr zwei Prozent auf über acht Prozent gestiegen. Stark abgenommen habe die Distanz zur Gewalt.

Politiker bedienen Vorurteile

Der Forscher kritisierte Äußerungen von Politikern, die „stereotype und vorurteilsvolle Bilder bedienen, um Aufmerksamkeit zu erzeugen und Wähler an sich zu binden“. Migration und Flucht seien in der politischen Debatte „zu simplen Triggerthemen geworden, die reflexhaft Hass gegen Menschen mit Migrationsgeschichte auslösen“. Eine rhetorische Strategie sei, eine Straftat oder ein Fehlverhalten hervorzuheben, um Empörung zu aktivieren. Dann werde „das Angebot auf Sicherheit und Kontrolle gemacht, wenn sich die Wähler der richtigen Meinung anschließen.“

„Das Problem ist, dass am Ende Vorurteile gegen andere, die gar nichts damit zu tun haben, übrig bleiben“, erklärte der Wissenschaftler. Das könne auch bei der Brandstiftung in Solingen zutreffen. Die Geschichten über eine positive Veränderung und mehr Wohlstand des Landes durch Migration würden hingegen nicht durchdringen. (epd/mig 2)

 

 

 

Was Lehrer sollen. Debatte über Umgang mit AfD im Unterricht

 

Sollen Lehrkräfte die AfD zum Thema machen und vor Gefahren warnen? Die Chefin der größten Bildungsgewerkschaft des Landes findet, ja. Andere warnen, dies könne einen unerwünschten Nebeneffekt haben.

Die Gewerkschaft Erziehung und Wissenschaft (GEW) hat die Lehrkräfte in Deutschland aufgerufen, sich im Unterricht kritisch mit der AfD auseinanderzusetzen. „Die AfD ist eine Partei mit verfassungsfeindlichen Tendenzen. Das dürfen und sollen Lehrer auch im Klassenraum so sagen“, sagte GEW-Chefin Maike Finnern der „Stuttgarter Zeitung“.

Vom Deutschen Lehrerverband kam teilweise Zustimmung. Er plädierte aber für einen „breiten Blick“: „Wir haben Verfassungsfeinde links, wir haben sie rechts, wir haben sie im religiösen Bereich. Das muss man auch ganz offen mit den Schülern besprechen“, sagte Verbandspräsident Stefan Düll am Freitag der Deutschen Presse-Agentur. Er nannte es normal für den unterrichtlichen Kontext, wenn bestimmte Gruppierungen genannt würden, wenn diese wie Teile der AfD vom Verfassungsschutz als gesichert extremistisch eingestuft seien. Ähnlich äußerte sich der CDU-Bildungspolitiker Thomas Jarzombek, der jedoch auch Bedenken deutlich machte. Der AfD-Bildungspolitiker Götz Frömming warnte davor, Lehrkräfte für eine politische Auseinandersetzung zu instrumentalisieren.

Lehrer sollen AfD thematisieren

Finnern sprach sich dafür aus, im Zusammenhang mit der AfD konkrete Aussagen und Vorgänge zu analysieren und mit den Schülern zu besprechen. „Ich ermuntere Lehrkräfte nicht nur dazu, die Auseinandersetzung mit der AfD auch im Klassenraum zu suchen. Ich rufe sie auch ausdrücklich dazu auf“, betonte Finnern. „Lehrerinnen und Lehrer schwören auf die Verfassung – und darauf, diese zu verteidigen“, sagte die GEW-Chefin.

AfD-Politiker Frömming kritisierte den Vorstoß der Gewerkschafterin: „Gegen eine kritische Auseinandersetzung mit der AfD im Rahmen des Politikunterrichts ist nichts einzuwenden“, sagte er. Problematisch sei allerdings, dass die GEW-Chefin eine kritische Auseinandersetzung mit anderen Parteien wie den Grünen oder der SPD nicht für notwendig erachte. „Wer Lehrer, die als Beamte Teil der Exekutive sind, für die politische Auseinandersetzung mit der Opposition instrumentalisieren möchte, hat unsere Verfassung nicht verstanden.“

Demokratie-Vermittlung

Nach Ansicht des CDU-Bildungsexperten Jarzombek gehört die Auseinandersetzung mit aktuellen Fragen im Unterricht im Rahmen der Vermittlung der Grundlagen der Demokratie dazu und in diesem Kontext auch die Frage, warum die AfD vom Verfassungsschutz als in Teilen gesichert extremistisch beurteilt wird. „Es muss aber immer um Extremismus in allen Ausprägungen gehen und darf nicht zu einer ‚Lex AfD‘ kommen, die am Ende auf die Opfererzählung dieser Partei einzahlt“, warnte er.

Finnern rief Lehrkräfte auch dazu auf, sich an Demonstrationen gegen Rechtsextremismus zu beteiligen und berichtete, viele hätten Angst, sie könnten deswegen Ärger mit ihrem Dienstherrn bekommen. Dazu hätten sie aber wie andere Staatsbürger das Recht. „Aus unserer Sicht haben sie sogar mehr als andere die Pflicht, sich für Demokratie und Vielfalt starkzumachen sowie ihre Stimme gegen Rechtsextremismus und verfassungsfeindliche Umtriebe zu erheben“, fügte sie hinzu. Düll sagte, Lehrer müssten keine Angst haben, wenn sie als Privatperson auf Demonstrationen gehen, soweit diese vom Grundgesetz abgedeckt seien. „Es braucht dazu aber keine Aufforderung. Denn das ist eine Privatangelegenheit.“ (dpa/mig 2)

 

 

 

 

Gesetzliche Neuregelungen. Was ändert sich im April 2024?

        

Die Haushaltsfinanzierung 2024 steht. Das Wachstumschancengesetz soll Unternehmen steuerlich entlasten und sie von bürokratischen Hürden befreien. Erwachsene dürfen jetzt legal Cannabis konsumieren. Die Neuregelungen

im Überblick.

 

Finanzen, Wirtschaft und Arbeit. Haushaltsfinanzierung 2024

Die Bundesregierung hat mit dem zweiten Haushaltsfinanzierungsgesetz wichtige Maßnahmen zum Bundeshaushalt 2024 auf den Weg gebracht. Das Gesetz sieht ab 2024 unter anderem eine höhere Luftverkehrssteuer,

Sanktionsmöglichkeiten beim Bürgergeld und den schrittweisen Abbau des begünstigten Agrardiesels vor.

Weitere Informationen zum Haushaltsfinanzierungsgesetz

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/haushaltsfinanzierungsgesetz-2252042]

 

Wachstumschancen für Unternehmen

Unternehmen steuerlich entlasten, sie von bürokratischen Hürden befreien und die Rahmenbedingungen für Investitionen und Innovationen verbessern. Das Wachstumschancengesetz unterstützt Unternehmen dabei, den Standort Deutschland für die Zukunft fit zu machen.

Weitere Informationen zum Wachstumschancengesetz

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/wachstumschancengesetz-2216866]

 

Neue Fördermöglichkeiten für die Arbeit von morgen

Neue Arbeitsinhalte, neue Technologien, neue Werkzeuge – Unternehmen brauchen Fachkräfte, die sich damit auskennen. Ab dem 1. April 2024 helfen Ausbildungsgarantie, Weiterbildungsgesetz und Qualifizierungsgeld den

Unternehmen Schritt zu halten.

Weitere Informationen zu Fördermöglichkeiten für die Arbeit

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/themen/arbeit-und-soziales/weiterbildungsgesetz-bundesrat-2173366]

 

Kein Elterngeld bei sehr hohen Einkommen

Die Einkommensgrenze, ab der Eltern keinen Anspruch mehr auf Elterngeld haben, wird für Paare und Alleinerziehende für Geburten ab dem 1. April 2024 auf 200.000 Euro zu versteuerndes Einkommen festgelegt. Zudem werden die Möglichkeiten für einen parallelen Bezug von Elterngeld neugestaltet.

Weitere Informationen zum Elterngeld

[https://www.bmfsfj.de/bmfsfj/themen/familie/familienleistungen/neuregelungen-beim-elterngeld-fuer-geburten-ab-1-april-2024-228588]

 

Gesundheit. Konsum von Cannabis für Erwachsene legal

Für Erwachsene ist der Cannabiskonsum jetzt legal. Warum die Bundesregierung das Gesetz initiiert hat, welche Ziele sie mit der Neuregelung verfolgt und wie Kinder und Jugendliche geschützt werden sollen – ein Überblick.

Weitere Informationen zu Cannabis

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/cannabis-legalisierung-2213640]

 

Neues Organspende-Register online

Das neue Organspende-Register speichert die Entscheidung für oder gegen eine Spende in einem zentralen Online-Verzeichnis. Die Entscheidung zur Organspende ist damit rechtlich verbindlich dokumentiert.

Organspendeausweis und Patientenverfügung bleiben erhalten.

Weitere Informationen zur Organspende

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/faq-organspende-2194126]

 

Inneres. Für einen demokratischen Öffentlichen Dienst

Wer den Staat ablehnt, kann ihm nicht dienen – Disziplinarverfahren gegen Verfassungsfeinde im Öffentlichen Dienst können nun beschleunigt werden.

Weitere Informationen zum Öffentlichen Dienst

[https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/verfassungsfeinde-entfernen-2165536] pib/de.it.press 1

 

 

 

 

Keine Lehren aus NSU. Forscherin: Gerichte zeigen große Defizite, Rassismus zu erkennen

 

Deutsche Gerichte prüfen Rassismus selten, mitunter reproduzieren sie ihn sogar. Carolin Stix hat Entscheidungen aus 20 Jahren untersucht und große Defizite festgestellt. Im MiGAZIN-Gespräch nennt sie haarsträubende Beispiele, erklärt, welche Handlungsbedarfe es gibt und was Rassismus in der Justiz für das Zusammenleben bedeutet. Von Ekremenol

 

MiGAZIN: Erzählen Sie uns bitte kurz, worum es in Ihrem Buch „Subalternität, Rassismus, Recht. Eine Analyse der deutschen Rechtsprechung“ geht und warum das Thema wichtig ist?

Carolin Stix: Gerne. Die Arbeit untersucht das Zusammenspiel von Subalternität, Rassismus und Recht. Jeder dieser Begriffe umfasst eine andere Dimension gesellschaftlicher Macht. Mit Hilfe der Subalternitätsforschung habe ich dargestellt, wie sich die persönlichen Ausgrenzungserfahrungen rassifizierter Menschen in der öffentlichen Aushandlung von Normalitätsvorstellungen fortsetzen. Interessiert hat mich, ob und inwiefern sich diese Ausschlüsse auch in der deutschen Rechtsprechung wiederfinden. Ich habe dazu Gerichtsentscheidungen der letzten 20 Jahre rassismuskritisch untersucht. Zentral war für mich die Frage, auf welche Weise sich Rassismus auf die rechtliche Argumentation auswirkt.

Für den Kampf gegen Rassismus halte ich es für unerlässlich, möglichst genau zu verstehen, in welchen Bereichen rassistische Wissensbestände wie, weshalb und mit welchen Konsequenzen zum Tragen kommen. Einer besonders kritischen Würdigung sind dabei meines Erachtens staatliche Institutionen zu unterziehen. Gerade Gerichte sind zu Recht einer besonderen Gerechtigkeitserwartung ausgesetzt. Ungleichheitserfahrungen innerhalb der Judikative erschüttern das rechtliche Gleichheitsversprechen daher auf besonders gravierende Weise.

Wie haben Sie Gerichtsentscheidungen aus 20 Jahren untersucht? Wie sind Sie vorgegangen?

Es gibt viele unterschiedliche Wege, das Thema zu untersuchen. Ich hätte statt der gerichtlichen Entscheidungen, die ich mir angeschaut habe, etwa das Verfahren und hier die Kommunikation der Prozessparteien im Gerichtssaal untersuchen können. Meine Wahl fiel auf gerichtliche Urteile und Beschlüsse, weil sich die juristische Argumentationstechnik im Entscheidungstext leichter nachvollziehen lässt als im gesprochenen Wort. Da es mir gerade um eine systematische Analyse verschiedener Entscheidungen im gleichen Themenfeld ging, konnte ich so Querbezüge herstellen.

In einem zweiten Schritt habe ich darüber nachgedacht, welches Rechtsgebiet und damit verbunden, welche Gerichtsbarkeit ich analysieren möchte. Meine erste Intuition war, nachzuvollziehen, wie Gerichte das Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz (AGG) anwenden. Dieses verbietet eine „Benachteiligung aus Gründen der Rasse“, sodass naheliegt, durch einen Blick in die Rechtsprechung herauszufinden, was Gerichte unter Rassismus verstehen. Ich habe schnell gemerkt, dass ein solcher Fokus zu eng ist, um die aufgeworfene Frage zu beantworten. Vereinfacht gesagt: Rassismus ist nicht nur drin, wo „Rasse“ draufsteht. Rassistische Wissensbestände können sich auch auf Sachverhalte auswirken, die keine rassistische Diskriminierung verhandeln. Im Ergebnis habe ich daher neben zivil- und arbeitsgerichtlichen Entscheidungen auch solche der Straf- und Verwaltungsgerichtbarkeit ausgewertet und mir die Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts angesehen.

Was sind die Kernergebnisse Ihrer Untersuchung?

Hinsichtlich der bundesverfassungsgerichtlichen Rechtsprechung ließ sich schnell feststellen, dass es im Vergleich zu anderen Diskriminierungsmerkmalen des Art. 3 Abs. 3 S.1 GG auffällig wenige Entscheidungen gibt, die eine rassistische Benachteiligung prüfen. Dieser Befund steht exemplarisch für die gesamte deutsche Rechtsprechung. Zugleich überrascht dies vor dem Hintergrund der tatsächlichen Bedeutung und Häufigkeit rassistischer Diskriminierungen.

„Die Entscheidungsanalyse offenbart, dass die deutsche Rechtsprechung erhebliche Schwierigkeiten hat, Lebenssachverhalte rassismuskritisch zu würdigen.“

Die Entscheidungsanalyse offenbart, dass die deutsche Rechtsprechung erhebliche Schwierigkeiten hat, Lebenssachverhalte rassismuskritisch zu würdigen und Rassismus im Anschluss rechtlich „zu verarbeiten“, das heißt tatbestandlich zu fassen. Insgesamt herrscht ein sehr enges Verständnis von Rassismus vor. Teilweise wird Rassismus etwa mit der politischen Ideologie des Rechtsextremismus gleichgesetzt und rassistisches Verhalten damit an hohe Hürden geknüpft. Terminologische Unsicherheiten hinsichtlich des Rechtsbegriffs „Rasse“ beispielsweise in Abgrenzung zu „ethnischer Herkunft“ mischen sich mit Defiziten, das Ausmaß der persönlichen Herabwürdigung und Ausschlusswirkung durch Rassismus angemessen zu berücksichtigen. Entgegen der Stoßrichtung des modernen Antidiskriminierungsrechts verbinden einige Gerichte Rassismus mit einem subjektiven Schuldvorwurf, fordern also ein vorsätzliches, mitunter feindseliges Verhalten, statt die strukturelle Wirkung rassistischer Ungleichheitsverhältnisse zu erfassen und der rechtlichen Beurteilung zu Grunde zu legen.

Wie zeigt sich Rassismus in deutschen Gerichtsurteilen im Allgemeinen? Gibt es Gerichtsbarkeiten die besonders oft auffallen?

Ich differenziere zwischen Gerichtsentscheidungen, die daran scheitern, Rassismus innerhalb der rechtlichen Bewertung zu erfassen und solchen, die selbst rassistische Deutungen reproduzieren.

Erstere kennzeichnet, dass die gerichtliche Prüfung auf die rassistische Dimension eines Sachverhalts nicht hinreichend eingeht oder die erlebte Benachteiligung bagatellisiert. Ich führe diesen Befund einerseits auf das verkürzte Rasse- und Rassismusverständnis der deutschen Rechtsanwendung zurück. Andererseits folgt der Befund mangelnden Kenntnissen über die Ausschlusswirkung von Rassismus. Negativ fällt vor allem die Strafgerichtsbarkeit auf. Die Mechanismen finden sich aber auch in der Rechtsprechung zum AGG, von der wegen der expliziten Verhandlung rassistischer Benachteiligungen ein höheres Maß an Sensibilität zu erwarten wäre.

„Unterschiede in der gerichtlichen Argumentation zwischen sog. „Ehrenmorden“ und sonstigen Partnertötungen gegenüber. Es zeigt sich, dass in die gerichtliche Beurteilung der Sachverhalte rassistische Annahmen, insbesondere zur islamischen Religion, einfließen.“

Innerhalb der zweiten Gruppe von Entscheidungen übernehmen Gerichte selbst rassifizierte Deutungen. Als Beispiel führe ich die Verfassungsbeschwerde einer Rechtsreferendarin aus Hessen an, die sich gegen ein ihr auferlegtes, pauschales Kopftuchverbot im Referendariat zur Wehr setzte. Darüber hinaus werte ich die Rechtsprechung zu Femiziden aus. Hierbei stelle ich die Unterschiede in der gerichtlichen Argumentation zwischen sog. „Ehrenmorden“ und sonstigen Partnertötungen gegenüber. Es zeigt sich, dass in die gerichtliche Beurteilung der Sachverhalte rassistische Annahmen, insbesondere zur islamischen Religion, einfließen. Die analysierten Entscheidungen stabilisieren so eine rassifizierte Vorstellung über das „Fremde“ als rückständig und offenbaren, wie verwoben die gerichtliche Argumentation mit diskursiv eingeübten Selbst- und Fremdzuschreibungen ist. Gleichzeitig illustrieren die Entscheidungen eine Verschiebung rassistischer Narrative weg von einer biologistischen hin zu einer scheinbar kulturellen Grundlage.

Nach den NSU-Morden wurde Paragraf 46 Absatz 2 StGB geändert. Es schreibt nun ausdrücklich vor, dass rassistische oder fremdenfeindliche Tatgründe bei Straftaten besonders zu beachten sind. Wie gehen Richter mit dieser Vorschrift um? Wenden Gerichte die Lehren aus dem NSU-Komplex in der Praxis an?

Ich möchte zunächst darauf hinweisen, dass es bereits vor der genannten Gesetzesänderung möglich war, rassistische Motive strafschärfend zu würdigen. Die Reform sollte insofern dazu beitragen, der strafrechtlichen Ahndung von rassistischem Tatverhalten zu mehr Konsequenz zu verhelfen und hatte damit hauptsächlich deklaratorischen Charakter.

„Trotz den Erfahrungen mit der NSU-Mordserie … erfolgt die Prüfung des § 46 Abs. 2 StGB noch immer zurückhaltend.“

Trotz den Erfahrungen mit der NSU-Mordserie und der besonderen Aufmerksamkeit, welche die Vorschrift durch die Reform erhielt, erfolgt die Prüfung des § 46 Abs. 2 StGB noch immer zurückhaltend und auffällig uneinheitlich. Innerhalb der Strafgerichtsbarkeit bestehen große Defizite, die rassistische Dimension einer Tat zu erkennen und als solche angemessen zu berücksichtigen. In vielen Fällen bleibt eine potenziell rassistische Tatmotivation unerwähnt, obwohl die Tatperson sich eindeutig rassistisch äußert oder die Auswahl der Opfer für eine rassistische Dimension des Angriffs spricht.

Erfolgt die Prüfung des § 46 Abs. 2 StGB doch, so spielen mitunter sachfremde Erwägungen in die Bewertung ein. Eine rassistische Tatmotivation wird etwa an eine rechtsextreme Ideologie geknüpft oder in die Nähe einer psychologischen Erkrankung gerückt. Letzteres geschieht, ohne zu thematisieren, dass auch im Falle einer möglicherweise herabgesetzten Hemmschwelle die Auswahl der Opfer keineswegs zufällig erfolgt.

Gibt es Beispiele, in denen Richter den Paragrafen 46 StGB hätten anwenden müssen, es aber unterlassen haben?

Ja, in meinem Buch habe ich mehrere Entscheidungen dargestellt, auf die dies zutrifft. Ich möchte zwei Urteile herausgreifen. In einem Fall des Landgerichts Magdeburg1 aus dem Jahr 2018 griff ein weißer Mann einen schwarzen Menschen im Bus, später eine migrantische Familie im Park an und beleidigte diese jeweils rassistisch. Das Gericht sah keinen Anlass, ein rassistisches Tatmotiv in der Strafzumessung anzusprechen. Positiv berücksichtigte es, dass der Angeklagte alkoholbedingt „enthemmt“ und im Vorfeld der Verhandlung „medial vorverurteilt wurde“. Als nachteilig für den Angeklagten wertete das Gericht lediglich, dass der Täter die Tat während einer laufenden Bewährungsstrafe verübte.

„Weil es aber keine Zugehörigkeit des Täters zur ‚rechten Szene‘ feststellen konnte, verneinte das Gericht ein rassistisches Tatmotiv. Um dies zu bekräftigen, führte es aus, dass der Angeklagte bereits bei ’syrischen Immigranten‘ zum Essen eingeladen war, was er interessant gefunden und genossen habe.“

Die zweite Entscheidung verdeutlicht, dass auch dann, wenn Gerichte die rassistische Tatmotivation erkennen, keine überzeugende Bewertung gewährleistet ist. Das Landgericht Regensburg2 hatte über einen Mann zu urteilen, der mit einer Machete bewaffnet in eine Geflüchteten-Unterkunft stürmte. Zuvor hatte er gerufen, er werde nun rübergehen und „Asylanten“ bzw. „Ausländer abschlachten“. Auch beim Eintritt in das Gebäude und einer späteren körperlichen Auseinandersetzung mit einem Bewohner äußerte sich der Täter wiederholt und eindeutig rassistisch. Das Gericht urteilte, dass sich der Angeklagte zwar „durchaus negativ“ über „die Flüchtlingsproblematik“ geäußert habe. Weil es aber keine Zugehörigkeit des Täters zur „rechten Szene“ feststellen konnte, verneinte das Gericht ein rassistisches Tatmotiv. Um dies zu bekräftigen, führte es aus, dass der Angeklagte bereits bei „syrischen Immigranten“ zum Essen eingeladen war, was er interessant gefunden und genossen habe. Mit dieser Feststellung endet die Prüfung möglicher rassistischer Tatmotive. Weder die beleidigenden Aussagen noch die Auswahl der Opfer fand Eingang in die Abwägung des Gerichts.

Gibt es auch Urteile aus Zivilgerichten, in denen mögliche rassistische Hintergründe nicht oder wenig berücksichtigt wurden?

Ich kann von einem Berufungsfall berichten, den das Landesarbeitsgericht Hessen3 zu entscheiden hatte. Gegenstand des Verfahrens war eine Klage auf Entschädigungszahlung eines indisch-stämmigen Arbeitnehmers, der vorträgt, über einen mehrjährigen Zeitraum fast täglich Opfer rassistischer Diskriminierungen durch seine Kollegen geworden zu sein. Das Gericht urteilte, es könne offenbleiben, ob die strittigen Aussagen tatsächlich gefallen sind. Selbst wenn, wäre deutlich geworden, dass die Äußerungen lediglich dazu dienten „sich angesichts der andauernden dysfunktionalen Zusammenarbeit mit den Kollegen in Indien (…) Luft zu verschaffen und abzureagieren.“ Das Gericht resümiert, dass selbst dann, wenn der Kläger „als einzig anwesender Inder von den Kollegen als ‚Blitzableiter‘ missbraucht worden sein sollte“, immer klar war, „dass er zu keiner Zeit der Adressat der pauschalen Abwertung war“. Die Vorstellung, es könne zwischen einer pauschalen und einer konkreten Betroffenheit von Rassismus unterschieden werden, geht fehl. Das Gericht verharmlost so nicht nur Rassismus unterhalb der Schwelle einer körperlichen Auseinandersetzung. Es verkennt ebenfalls den Unterschied zwischen einer individuellen Kränkung und einer rassistischen Beleidigung, die eine historisch gewachsene Machtstruktur aktiviert und daher ein besonderes Kränkungs- und Bedrohungspotenzial aufweist.

Info: „Subalternität, Rassismus, Recht.: Eine Analyse der deutschen Rechtsprechung.“ von Carolin Stix, erschienen im Duncker & Humblot Verlag.

 

Zugleich möchte ich darauf hinweisen, dass ich gerade im Arbeitsrecht auch auf rassismuskritisch auffällig versierte Entscheidungen gestoßen bin. Eine Entscheidung des Arbeitsrechts Berlin4 zeigt beispielsweise nicht nur ein hohes Maß an Empfindsamkeit, sondern operiert zudem mit einem interdisziplinär informierten Verständnis von Rassismus. Das Gericht macht lange Ausführungen zur besonderen Bedeutung von Alltagsrassismus und zu dessen einschüchternden Effekten, die für Betroffene von solchen Erfahrungen ausgehen. Die Entscheidung überzeugt auch deshalb, weil das Gericht berücksichtigt, dass eine rassistische Beleidigung stets an ein bestehendes Machtverhältnis anknüpft, welches sich auf diese Weise stabilisiert und das Ausmaß der Herabwürdigung verstärkt.

Rassismus kommt in nahezu allen Bereichen des Lebens vor. Bei der Wohnungssuche, bei der Arbeitsuche oder an der Diskotür. Nur wenige dieser Fälle landen erfahrungsgemäß vor Gericht. Besteht die Gefahr, dass von Rassismus Betroffene vor Gericht ein weiteres Mal Opfer werden?

Leider ist diese Frage eindeutig zu bejahen. Dies zeigen allein die wenigen Entscheidungen, die ich in meiner Arbeit ausführlicher darstellen konnte. Wenn Gerichte die rassistische Erfahrung von Betroffenen verkennen, bagatellisieren oder sich gar selbst an der Rassifizierung von Menschen beteiligen, kann dies verletzten und ein Gefühl der Hilflosigkeit entstehen lassen.

„Gerichte reduzieren beispielswiese die Höhe der Entschädigung deutlich, weil die rassistische Behandlung der betroffenen Person ‚von Anfang an bewusst‘ gewesen sei. Diese habe ‚damit gerechnet‘, diskriminiert zu werden.“

Ich möchte diese Hilflosigkeit an einem Beispiel illustrieren. Eine besondere Schwierigkeit im Zusammenhang mit rassistischen und sonstigen Diskriminierungen besteht darin, diese zu beweisen. Zwar reicht es nach § 22 AGG aus, dass eine Person Indizien vorträgt, die eine Benachteiligung vermuten lassen, um die Beklagten mit dem Gegenbeweis zu belasten. Trotz allem ist die Beweisführung vor Gericht nicht einfach. In meiner Arbeit habe ich dies anhand eines Vergleiches verschiedener Diskotheken-Fälle dargestellt. Die Betroffenen sind hier der besonderen Schwierigkeit ausgesetzt, zu belegen, dass es sich bei der Einlassverweigerung nicht um eine zufällige, einmalige Ablehnung aus welchen Gründen auch immer, sondern um eine rassistische Diskriminierung handelt. In der Praxis werden hierzu Testing-Verfahren eingesetzt, um Anhaltspunkte fu?r eine strukturelle Diskriminierung zu erhalten. Testpersonen suchen gezielt verschiedene Clubs auf und zählen, wie oft sie abgewiesen werden. In den von mir untersuchten Verfahren nehmen die Gerichte dieses Vorgehen zum Anlass, den erlebten Diskriminierungen ein geringeres Gewicht beizumessen. Gerichte reduzieren beispielswiese die Höhe der Entschädigung deutlich, weil die rassistische Behandlung der betroffenen Person „von Anfang an bewusst“ gewesen sei. Diese habe „damit gerechnet“, diskriminiert zu werden und hätte „sich auch darauf einstellen“ können.

In Fällen, denen kein Testing-Verfahren zugrunde lag, ist hingegen der Beweis einer rassistischen Diskriminierung kaum möglich. So verweist etwa ein Gericht darauf, dass es sich bei der Abweisung um ein „Maß gewissermaßen täglichen Unrechts“ handele, welches „jedem Menschen alltäglich in jeglicher Lebenssituation widerfahren“ könne5. Die gegenwärtige Rechtsprechung kann die Betroffenen so in eine Zwickmühle versetzen: Entweder lehnen die Gerichte eine Diskriminierung aufgrund mangelnder Beweise ab oder aber die Beweiserhebung, das heißt das Testing-Verfahren, wird dafür herangezogen, die Diskriminierungserfahrung zu relativieren.

Gerichte entscheiden auch über politische Streitigkeiten, beispielsweise über Wahlplakate oder über Wortgefechte in Parlamenten. Welche Auffälligkeiten bzw. Entscheidungen sind Ihnen während Ihrer Recherche begegnet?

Sie sprechen hier eine komplexe und schwierige Konstellation an. Denn die Wahlplakate fallen in den Schutzbereich der Meinungs- und Parteienfreiheit, parlamentarische Debatten werden durch das freie Mandat und die hieraus ableitbaren Rederechte der Abgeordneten besonders geschützt. Das Bundesverfassungsgericht hat in zahlreichen Entscheidungen auf die überragende Bedeutung der freien Rede für das demokratische Gemeinwesen hingewiesen. Es betont, dass eine Meinung ihrem Wesen nach auch polemisch oder verletzend sein darf. Gleichzeitig gefährdet ein grenzenloser Schutz der Meinungsfreiheit die grundrechtlich geschützte Diskriminierungsfreiheit. Die Aufgabe von Gerichten besteht also darin, die Meinungsfreiheit mit anderen Rechtsgütern, wie dem Persönlichkeitsschutz, abzuwägen und in einen schonenden Ausgleich zu bringen.

„Die Grenzziehung zwischen zulässiger Meinungsäußerung und unzulässiger Diskriminierung vollzieht sich so maßgeblich durch die Perspektive jener Menschen, die zuvor nicht von den einschüchternden Effekten der Hassrede betroffen waren.“

Aus rassismuskritischer Perspektive ist auffällig, dass die Rechtsprechung ein „verständiges Durchschnittspublikum“ imaginiert, um mehrdeutige Plakattexte zu bewerten. Den Maßstab dieser Bewertung können dabei nur solche Stimmen prägen, die im Diskurs tatsächlich vorkommen und als „allgemein“ und „normal“ gelten. Durch rassistische Ausschlüsse werden dabei bestimmte Wahrnehmungen bei der Maßstabsbildung vernachlässigt und vor allem privilegierte, das heißt weiße Sichtweisen berücksichtigt. Die Grenzziehung zwischen zulässiger Meinungsäußerung und unzulässiger Diskriminierung vollzieht sich so maßgeblich durch die Perspektive jener Menschen, die zuvor nicht von den einschüchternden Effekten der Hassrede betroffen waren. Eine stärkere, rassismussensible Regulierung des Diskurses wird deshalb vornehmlich als Freiheitsbeschränkung wahrgenommen. Dass eine stärkere Regulierung für Menschen, die von Rassismus betroffen sind, ebenfalls freiheitsfördernd wirkt, gerät demgegenüber aus dem Blickfeld. Unter Rückgriff auf die Subalternitätsforschung argumentiere ich daher dafür, gleichheitsrechtliche Erwägungen in die Prüfung der Meinungsfreiheit einzubeziehen.

Was halten Sie vom Allgemeinen Gleichbehandlungsgesetz? Wird es seinem Namen gerecht?

„Ob das Allgemeine Gleichbehandlungsgesetz seinem Namen gerecht wird? Wohl kaum.“

Eine weite Frage und eine, zu der es viel zu sagen gäbe. Es lässt sich wohl festhalten, dass das AGG zur Zeit des Erlasses im Jahr 2006 eine enorme gleichheitsrechtliche Errungenschaft war. Insofern begrüße ich, dass mit dem AGG ein einfachgesetzliches Instrument zur Verfügung steht, um Diskriminierungen justiziabel zu machen. Ob es seinem Namen gerecht wird? Wohl kaum. Allgemein ist das Gesetz schon deshalb nicht, weil es nur Benachteiligungen aus bestimmten Gründen erfasst, nämlich der Rasse, der ethnischen Herkunft, des Geschlechts, der Religion oder Weltanschauung, einer Behinderung, des Alters oder der sexuellen Identität. Die Auswahl dieser Diskriminierungsmerkmale ist weder abschließend noch zwingend, sondern das Ergebnis konkreter politischer Entscheidungsprozesse. Das AGG wird deshalb seit seinem Bestehen von der Forderung begleitet, den Katalog der Benachteiligungsgründe zu ändern und/oder auszuweiten.

Darüber hinaus bietet das Gesetz selbst innerhalb der erfassten Diskriminierungsverhältnisse keinen hinreichenden Schutz vor Ungleichheitserfahrungen. Dies liegt nicht nur an den oben beschriebenen Problemen, die Rechtsbegriffe auszulegen und anzuwenden, sondern auch an ganz konkreten Schwachstellen des Gesetzes. Um einige davon anzureißen sei beispielsweise auf die kurze Klagefrist von 2 Monaten verwiesen, die für die Betroffenen häufig nicht ausreicht, um eine notwendige Beratung rechtzeitig einzuholen. Ebenfalls sieht das AGG nur sehr begrenzte Klagemöglichkeiten für Verbände vor, die es ermöglichen würden, Personen vor Gericht umfassend zu vertreten oder Rechtsverletzungen im eigenen Namen gerichtlich feststellen zu lassen. Zudem ist das Handeln von Behörden und öffentlichen Stellen bislang nicht vom AGG erfasst, sodass institutioneller Rassismus durch das AGG nicht wirksam geahndet werden kann. Fachleute fordern daher seit Jahren umfangreiche Reformen des AGG.

Warum denken Sie, dass es Rassismus in deutschen Gerichtsentscheidungen gibt?

Es liegt leider nahe, dass die Justiz, wie jeder andere Teil der Gesellschaft, solange von Rassismus beeinflusst ist, bis wir es schaffen, diesem gesamtgesellschaftlich wirksam entgegen zu treten. Gleichzeitig zeigt meine Untersuchung, dass die Ursachen rassistischer Entscheidungen vielschichtiger sind und etwas über unser Verständnis von Recht und dessen Anwendung verraten. Entgegen der idealtypischen Vorstellung des neutralen, unpolitischen und objektiven Rechts bestehen in der rechtlichen Bewertung häufig große Interpretationsspielräume. Innerhalb dieser Spielräume können das persönliche Vorverständnis der rechtsanwendenden Person, deren Normalitätsvorstellung und Lebenserfahrung eine entscheidende Rolle spielen. Defizite in der juristischen Methodenlehre verstärken diesen Umstand. Auch die juristische Ausbildung ist bislang nicht darum bemüht, angehende Richterinnen und Richter für diese Zusammenhänge zu sensibilisieren. Hinzu kommt, dass gleichheitsrechtlichen Fragestellungen im Studium und Referendariat nur eine untergeordnete Bedeutung zukommt. Die ohnehin herausfordernde Aufgabe, strukturelle Diskriminierungsverhältnisse zu erkennen und zu bekämpfen, wird also durch die Defizite in der juristischen Ausbildung zusätzlich erschwert.

Welche Auswirkungen haben rassistische Urteile auf die Betroffenen und die Gesellschaft im Allgemeinen?

„Rassistische Entscheidungen erodieren so das Vertrauen in den Staat und seine Organe und rütteln damit an einer wesentlichen demokratischen Grundvoraussetzung.“

Eine spannende Frage, zu deren hinreichender Beantwortung sicher eine eigene Untersuchung angezeigt wäre. Ich kann aus meiner Beschäftigung berichten, dass Betroffene ein Gerichtsverfahren – unabhängig vom konkreten Ergebnis – als aufwühlend, belastend oder sogar re-traumatisierend erleben, etwa wenn die Konfrontation mit einer Tatperson notwendig ist. Durch die mangelnde rassismuskritische Sensibilität vieler Gerichte verstärkt sich die ausgrenzende Erfahrung nicht nur, sie potenziert sich, indem der Staat die Ungleichheit zu normalisieren und legitimieren scheint. Dies hat aus meiner Sicht viel mit der besonderen Funktion zu tun, die Gerichte innerhalb des Rechtsstaats einnehmen. Als unabhängige und neutrale Institutionen sollen Gerichte sicherstellen, dass Menschen in einem fairen Verfahren rechtliches Gehör erfahren. Vor Gericht unverstanden zu bleiben, kann das Gefühl, gesellschaftlich ausgeschlossen zu sein, enorm verstärken. Rassistische Entscheidungen erodieren so das Vertrauen in den Staat und seine Organe und rütteln damit an einer wesentlichen demokratischen Grundvoraussetzung. Die Betroffenen spüren, dass es an dem notwendigen Korrektiv fehlt, rassistische Denk- und Verhaltensweisen zu sanktionieren. Wenn sogar der Schiedsrichter ungerecht ist, wieso sollten es die Spieler sein?

Die Auswirkungen rassistischer Entscheidungen auf die Gesellschaft sind im Einzelnen schwer zu fassen. Für das demokratische Gemeinwesen birgt struktureller Rassismus in der Justiz jedenfalls eine enorme Gefahr. Die Unrechtserfahrungen Einzelner können einen Rückzug aus gesellschaftlich geteilten Räumen oder dem Diskurs zur Folge haben. Dieser Rückzug führt zu einem Verlust an Stimmen und mithin an demokratischer Vielfalt.

Wie können wir als Gesellschaft darauf reagieren, wenn rassistische Tendenzen in der Justiz offensichtlich werden?

Zunächst möchte ich darauf verweisen, dass das Recht selbst verschiedene Reaktionsmöglichkeiten vorsieht. Eine Entscheidung kann beispielsweise innerhalb des vorgesehenen Instanzenzugs korrigiert werden. Dies mag die erlebte Ungleichheitserfahrung nicht gänzlich ausgleichen, setzt aber zumindest dem Vertrauensverlust eine positive Erfahrung entgegen. In einem anderen mir bekannten Einzelfall wurde ein rassistischer Richter im Wege einer Dienstaufsichtsbeschwerde aus dem Dienst entfernt und so an der weiteren Verbreitung rassistischer Narrative im Amt gehindert. Es gibt also durchaus rechtliche Instrumente, mit denen rassistischen Tendenzen in der Justiz entgegengewirkt werden kann, wenngleich diese bisher zu selten Wirkung zeigen.

„Insbesondere Menschen, die nicht nachteilig von Rassismus betroffen sind, stehen in der Verantwortung, sich mit den eigenen Privilegien und unbewussten rassistischen Vorannahmen kritisch auseinanderzusetzen.“

Denn, das Problem besteht in den meisten Fällen nicht in dezidiert rechtsextremen oder rassistischen Richtern und Richterinnen. Jenseits politischer Überzeugungen wirken sich rassistische Wissensbestände auch deshalb auf gerichtliche Entscheidungen aus, weil die Gerichte unzureichende Kenntnisse über die unterschiedlichen Erscheinungsformen von Rassismus haben. Erforderlich ist daher, sich mit Gerichtsentscheidungen innerhalb der Fachdisziplin rassismuskritisch auseinanderzusetzen, diese zugleich öffentlich zu diskutieren und weiterhin über die exkludierenden Mechanismen von Rassismus aufzuklären. Als Gesellschaft sollten wir dabei lernfähig sein. Insbesondere Menschen, die nicht nachteilig von Rassismus betroffen sind, stehen in der Verantwortung, sich mit den eigenen Privilegien und unbewussten rassistischen Vorannahmen kritisch auseinanderzusetzen.

Welche Maßnahmen könnten ergriffen werden, um die Wahrscheinlichkeit rassistischer Urteile zu verringern?

Einige Maßnahmen sind bereits angeklungen. Ich würde die bestehenden Potenziale in zwei Kategorien unterteilen. Zum einen bestehen zahlreiche Möglichkeiten, das geltende Recht zu ändern und den Rechtsschutz gegen Rassismus zu stärken. Der Anspruch muss allerdings darüber hinaus gehen. Denn auch ein ausdifferenzierter Rechtsschutz vor rassistischer Benachteiligung kann nicht verhindern, dass infolge gerichtlicher Argumentation Schutzlücken für die Betroffenen entstehen. Rechtswissenschaft und Rechtspolitik sind daher angehalten, ihre antirassistische Kompetenz zu stärken. Einzelne Entscheidungen zeigen, dass – jenseits gesetzlicher Änderungen – bereits eine erhöhte Sensibilität für rassistische Ungleichheit die Entscheidungen in gleichheitskritischer Hinsicht verbessert. Das Justizpersonal selbst muss nicht nur kompetenter darin werden, Rassismus in den sich verändernden Erscheinungsformen zu erkennen und rechtlich zu fassen. Auch die eigene gesellschaftliche Position und daraus resultierende Erfahrungslücken müssen im Recht stärker reflektiert werden. Es würde helfen, wenn das juristische Personal insgesamt diverser wäre und so vielfältigere Erfahrungen in sich vereinen würde. Dies würde nicht nur eine gerechtere Verteilung gesellschaftlicher Machtpositionen mit sich bringen, sondern die Rechtsanwendung qualitativ stärken.

Wie ist der Forschungsstand zum Thema. Was sollten künftige Studien zu diesem Thema untersuchen?

Lange gab es im deutschsprachigen Raum nur wenige Publikationen zum Thema Recht und Rassismus. Dies hat sich in den letzten Jahren erfreulicherweise geändert. Gleichwohl ist das Forschungsfeld noch immer im Werden begriffen. Eine Institutionalisierung und teilweise auch die Berücksichtigung der Forschungsergebnisse im Mainstream stehen daher erst am Anfang.

Neben weiterer Grundlagenforschung und umfangreicher Begriffsarbeit braucht es nach meinem Dafürhalten vor allem empirische Untersuchungen, um die Schwachstellen des Rechtsschutzes in der Praxis erkennen und beheben zu können. Wie eingangs bereits erwähnt: Das zu untersuchende Feld ist groß und gerade im Gerichtssaal selbst wirken sich rassistische Wissensbestände besonders stark aus. Die Rechtswissenschaft sollte sich daher einer interdisziplinären Zusammenarbeit öffnen und von den etablierten Untersuchungsmethoden der Soziologie und Politikwissenschaft genauso lernen wie von der internationalen Rassismus- und Gleichheitsforschung.

Frau Stix, vielen Dank für das Gespräch! (es/mig 29.3.)

 

 

 

Italien: Wie die Hilfe für die Ukraine eine Familie verändert hat

 

2022 begann die italienische Familie Uslenghi mit ihrem ehrenamtlichen Einsatz für die Ukraine - eine Hilfsaktion, die ihr ganzes Leben veränderte. Wie, das berichten die Töchter der Familie, Rebecca und Beatrice, im Interview mit Radio Vatikan. Svitlana Dukhovych und Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt

 

Die Familie bringt seit dem Angriff auf die Ukraine regelmäßig auch persönlich Hilfsgüter in die Ukraine; in den vergangenen zwei Jahren waren sie schon sechs Mal in dem Kriegsland:

„Ich glaube, uns treibt vor allem der Wille an, zu helfen", sagt die 22-jährige Beatrice. „Ich denke, es ist menschlich, unseren Brüdern und Schwestern helfen zu wollen. Es hat uns angetrieben, dass wir etwas tun können: Das, was in unserer Macht liegt. Den Krieg stoppen können wir nicht, aber wir können das Leid lindern", so die junge Frau im Interview mit Radio Vatikan. 

Liebe ist stärker als Angst

„Es gibt im Leben keine Zweiklassengesellschaft, A oder B. Nur weil die Menschen in der Ukraine unter Bombenangriffen leben müssen, heißt das nicht, dass wir da nicht hin sollen. Ihr Leben ist so wertvoll wie unseres. Sie halten es seit zwei Jahren aus. Also, warum sollten wir es nicht auch können?", fragt Beatrice.

„Sie sind dankbar, dass wir da sind. Und das wiegt am Ende mehr als die Angst, es ist stärker als alles“

Ihre jüngere Schwester Rebecca ist 20.  Sie sagt, etwas Angst habe sie schon bei den Hilfsmissionen der Familie vor Ort: „Ein bißchen Angst hat man, du bist dir bewusst, dass du in ein Kriegsland gehst. Tag und Nacht gibt es dort Alarmsirenen und Bombenangriffe. Aber wir sagen auch immer, wenn wir wieder zurück daheim sind, dass Liebe, Freundschaft, Nächstenliebe und Solidarität stärker sind als die Angst. Wenn man dort ist und mit Kindern spielt, wenn ältere Frauen dich anlächeln, auch wenn sie nicht deine Sprache sprechen, nicht wissen, wie wir heißen. Sie sind dankbar, dass wir da sind. Und das wiegt am Ende mehr als die Angst, es ist stärker als alles."

Eine Mission, die das Leben verändert     

Mit Beatrice und Rebecca sind auch Vater Luigi sowie Mutter Cristina in der Ukraine-Hilfe aktiv. Das erste Mal brach die Familie vor ziemlich genau zwei Jahren, zwischen März und April 2022, mit einem Hilfstransport in die Ukraine auf. Damals hatten sich rund 150 Italiener beim Netzwerk „StoptheWarNow" vereint, das unter Koordination der Vereinigung Papst Johannes XXIII. Hilfsgüter nach Lwiw (Lemberg) brachte. 

„Unser erster Hilfskonvoi in die Ukraine ist für uns sicherlich ein Neubeginn gewesen, ein Jahr Null: So als habe es nichts davor gegeben und alles damit begonnen. Diese Erfahrung hat uns komplett verändert. Jetzt sind wir auch richtig in der Freiwilligenarbeit drin, das nimmt praktisch unsere ganze Zeit in Aspruch, aber wir sind sehr froh darüber", sagt Beatrice.

Der Krieg in der Ukraine sei Teil ihres Lebens auch in Italien geworden. Die Berichte aus der Ukraine verfolgt die Familie sehr aufmerksam; viele der Orte, die genannt werden, sind ihr nicht mehr fremd. Teils war sie schon selbst vor Ort; oft kennen sie Leute, die von dort fliehen mussten. 

„Aufmerksamer geworden, aber nicht nur für die Ukraine, denn Leute, die Hilfe brauchen, die gibt es auch hier“

„Wir sind sicherlich aufmerksamer geworden, aber nicht nur für die Leute in der Ukraine, denn Leute, die Hilfe brauchen, die gibt es auch hier. Unser Blick hat sich also geweitet, auch für die Bedürfnisse hier in unserer Gegend sind wir sensibler geworden", berichtet Beatrice. Auch Schwester Rebecca sagt, dass sich ihr Leben durch die Ukraine-Hilfe verändert hat.

Krieg ist Realität, keine Seite im Geschichtsbuch...

„Eine Erfahrung dieser Art verändert dich. Das, was du sonst nur aus dem Geschichtsbuch kennst, wo es um Kriege geht, das waren Zahlen, das hast du dann vergessen. Aber wenn du es mit deinen eigenen Augen siehst, dann wird dir klar, dass es Krieg wirklich gibt, dass in der Ukraine, aber auch anderswo, Menschen kämpfen und sterben - dass das Realität ist auch jetzt und nicht nur eine Seite im Geschichtsbuch. Ältere Leute sagen oft, dass wir uns heute nicht bewusst sind, wie gut es uns eigentlich geht. Dass wir in die Schule gehen können, dass wir Trinkwasser haben. Und wenn du in einem Kriegsland bist, dann merkst du, was dieser Satz, den die anderen dir immer gesagt haben, wirklich bedeutet."

„Erschüttert, als ein Jugendlicher zu einem Foto eines zerstörten Gebäudes gesagt hat: ,Das beeindruckt mich nicht, das bin ich aus Videospielen gewohnt`“

...und auch kein Videospiel

Seit zwei Jahren gehen Rebecca und Bianca deshalb auch in Grund- und weiterführende Schulen, um von ihrer Erfahrung zu berichten. „Oft ist es nicht leicht, mit den Jugendlichen darüber zu reden, denn wenn du nicht da warst und es erlebt hast, kannst du es kaum nachvollziehen. Besonders schwierig ist es, bei den elf bis 14-Jährigen, sie haben sich oft abgeschirmt angesichts all dessen, was passiert, sie schaffen es nicht, Kontakt zur Realität zu haben, auch wenn diese gar nicht so weit weg ist von uns. Es hat mich wirklich etwas erschüttert, als ein Jugendlicher zu einem Foto eines zerstörten Gebäudes gesagt hat: ,Das beeindruckt mich nicht, das bin ich aus Videospielen gewohnt.` Es geht also auch darum, dass die Jugendlichen wieder ein Bewusstsein entwickeln", sagt Beatrice. Abschließend fasst sie zusammen: „Gute Christen sein, heißt handeln: Man muss sehen, wenn es Menschen in Not gibt, und dann handeln“ „Ganz sicher hat diese Erfahrung uns darüber nachdenken lassen, dass es nicht reicht, in den Gottesdienst zu gehen, um ein guter Christ zu sein. Gute Christen zu sein heißt handeln: Man muss sehen, dass es Menschen in Not gibt, und dann handeln."        

(vn 27.3.) 

     

 

 

Amtliche Zahlen. Mehr Schüler durch Einwanderung

 

Die Schülerzahl in Deutschland steigt erneut. Die Einwanderung aus dem Ausland ist der Hauptgrund. Vor allem aus einem Land kamen viele Kinder und Jugendliche. Hamburg verzeichnete den größten Zuwachs, Baden-Württemberg gar keinen.

Die Zahl der Schüler an allgemeinbildenden und beruflichen Schulen in Deutschland ist im zweiten Jahr in Folge gestiegen. Im Schuljahr 2023/2024 werden nach vorläufigen Ergebnissen rund 11,2 Millionen Schüler an diesen Schulformen unterrichtet, teilte das Statistische Bundesamt (Destatis) in Wiesbaden mit. Das seien ein Prozent oder 107.000 Schüler mehr als im Schuljahr 2022/2023.

Der Anstieg sei auch im laufenden Schuljahr vor allem auf die Zuwanderung aus dem Ausland zurückzuführen: Die Zahl der Kinder und Jugendlichen in der relevanten Altersgruppe (5 bis 19 Jahre) war zum Jahresende 2022 insgesamt um 4 Prozent höher als Ende 2021, hieß es. „Die Zahl der ausländischen Kinder und Jugendlichen nahm in diesem Zeitraum sogar um 27 Prozent zu.“

Grund für Zuwachs: Ukraine

Insbesondere zugewanderte ukrainische Schüler seien ein Grund für den Schülerzuwachs, erklärten die Experten. Genau lasse sich der Einfluss der Zuwanderung allerdings noch nicht beziffern, da die genauen Staatsangehörigkeiten erst mit der Schulstatistik im Herbst 2024 nachgewiesen werden können.

Von den rund 11,2 Millionen Schülern im Schuljahr 2023/2024 besitzen laut Destatis 1,7 Millionen eine ausländische Staatsbürgerschaft. Das sind 7 Prozent mehr als im Schuljahr 2022/2023. Damit haben 15 Prozent aller Schüler in Deutschland einen ausländischen Pass.

Höchster Zuwachs in Hamburg

An den allgemeinbildenden Schulen stieg die Schülerzahl im Schuljahr 2023/2024 gegenüber dem vorherigen um 1,3 Prozent auf 8,8 Millionen. An den beruflichen Schulen sank sie dagegen leicht um 0,1 Prozent auf 2,3 Millionen.

In den Ländern variiert das Bild: Den höchsten Zuwachs an Schülern verzeichnete laut Destatis Hamburg mit 2,2 Prozent. Danach folgen Bremen und Brandenburg mit je 2,2 Prozent. Schlusslicht ist Baden-Württemberg, dort gab es laut Bundesamt keine Veränderung. (dpa/mig 28.3.)

 

 

 

Vatikan: Frieden durch Vereinbarungen zwischen Völkern

 

Der Heilige Stuhl pocht auf die Zwei-Staaten-Lösung für Israel und Palästina. Das sagte Erzbischof Paul Richard Paul Gallagher, Sekretär des Vatikans für Beziehungen zu Staaten und internationalen Organisationen, im Interview mit der Tagesschau TG1 des italienischen öffentlich-rechtlichen Rundfunks (Rai1).  Mario Galgano - Vatikanstadt

 

Im Interview mit dem italienischen Fernsehen ging Erzbischof Gallagher auf das Attentat in Moskau sowie auf die allgemeine Instabilität in Europa und in der Welt ein. Es sei aus diesem Grund gerade jetzt wichtig, darauf zu beharren, „für den Frieden zu arbeiten und zu versuchen, den Frieden zu fördern“. Gallagher bezog sich vor allem auf den russischen Angriffskrieg in der Ukraine; Frieden solle durch Verhandlungen, aber auch mit der Verteidigung der eigenen Staatssouveränität der Ukraine erreicht werden. Wenn er von Verteidigung spreche, dann meine er „nicht nur Verteidigung mit Waffen, sondern mit Vereinbarungen“.

Hoffnung auf eine Zwei-Staaten-Lösung

Dann ging Gallagher auf die Angst vor einer nuklearen Eskalation ein. Es werde auf jeden Fall „eine neue Weltordnung" nach Beendigung der jüngsten Konflikte weltweit geben. Er richtete auch einen Blick auf das Heilige Land mit der Hoffnung auf eine Zwei-Staaten-Lösung und der Trauer über die „katastrophale“ Situation in Gaza. Er nannte auch die Notwendigkeit einer Erneuerung der palästinensischen Führung und die Freilassung aller israelischen Geiseln.

Im Gespräch mit dem italienischen Fernsehen äußerte der Brite auch seine Gedanken über die krebskranke Prinzessin Kate. Zudem erwähnte er die Gesundheit von Papst Franziskus, der „stark“ und „sehr entschlossen“ erscheine, aber in diesen Kar- und Ostertagen wahrscheinlich „versucht, seine Anstrengungen auszubalancieren“. Dennoch sei Franziskus „immer wieder gut, uns zu überraschen“, so der Vatikan-Diplomat.

Nach seiner Rückkehr von einer Reise nach Montenegro und vor seiner Weiterreise nach Jordanien kommentierte der britische Erzbischof die aktuellen internationalen Ereignisse und legte den diplomatischen Standpunkt des Heiligen Stuhls dar.

Der Bombenanschlag in Moskau

Zum jüngsten Attentat in Moskau sagte Gallagher: „Eine schreckliche Sache, die uns zum Nachdenken bringen muss, denn wir sehen, dass es Elemente in unseren Gesellschaften gibt, die nur zerstören und Menschen leiden lassen wollen“, betonte der Vatikanvertreter. Er wies auf die reale Gefahr hin, dass das Moskauer Massaker die Weltlage weiter anheizen könne: „Ein Land, das ein solches Trauma erleidet, kann auch sehr stark reagieren, wie Israel nach dem 7. Oktober.“

All diese Instabilität sieht Gallagher als „Ergebnis der Auflösung einer Ordnung, von der wir dachten, dass wir sie nach den beiden Weltkriegen, nach dem Kalten Krieg, in dem die Staaten ihre Konflikte durch Verhandlungen untereinander, durch Gespräche, Verhandlungen und Dialoge lösten, geschaffen hatten“. Heute scheine es nicht mehr diese „Aufmerksamkeit für das Recht“ zu geben, sondern vielmehr „einen Mangel an Vertrauen in unsere Institutionen“, angefangen bei den Vereinten Nationen, der OSZE und Europa selbst, „Säulen unserer Welt seit so vielen Jahrzehnten“, die jedoch „jetzt nicht in der Lage sind oder zu sein scheinen, diese ernsten Herausforderungen zu bewältigen“.

Krieg in der Ukraine

Er richtete seinen Blick weiter auf die Ukraine und den jüngsten Aufruf von Papst Franziskus zu Verhandlungen. Der Papst, stellte Erzbischof Gallagher klar, „hat immer gesagt, dass Kriege am Verhandlungstisch enden. Ich glaube, der Papst wollte die ukrainische Seite zum Dialog ermutigen, zum Wohle des Landes. Gleichzeitig glaube ich, dass der Heilige Stuhl der russischen Seite gegenüber immer sehr deutlich gewesen ist und sie aufgefordert hat, ebenfalls Signale in diese Richtung zu senden, angefangen mit der Einstellung des Raketenbeschusses auf ukrainisches Gebiet. Und der Konflikt, die Aufrüstung und alle alltäglichen Konflikte müssen aufhören“. (vn 27.3.)

 

 

 

 

Bericht für 2022. Jeder Zweite in Armut hat Migrationserfahrung

 

Die Armutsquote ist im Inflationsjahr 2022 zwar nicht gestiegen, besonders stark betroffen sind aber weiterhin Personen mit Migrationserfahrung. Eine Trendwende ist nicht auszumachen. Der Regierung gelingt es nicht, Arme zu unterstützen.

Dem Paritätischen Gesamtverband zufolge müssen 14,2 Millionen Menschen in Deutschland zu den Armen gezählt werden. Die Armutsquote lag im Inflationsjahr 2022 bei 16,8 Prozent und damit 0,1 Prozentpunkte unter der Quote vom Vorjahr, wie aus dem Armutsbericht des Wohlfahrtsverbandes hervorgeht, der am Dienstag in Berlin vorgestellt wurde. Der Hauptgeschäftsführer des Verbandes, Ulrich Schneider, nannte die statistischen Befunde „durchwachsen“. Der seit 16 Jahren fast ungebrochene Trend einer stetig wachsenden Armut sei gestoppt, doch längst nicht gedreht, erklärte er.

Auf „einen neuen traurigen Rekordwert“ kletterte Schneider zufolge die Kinderarmut. 21,8 Prozent aller Kinder und Jugendlichen leben danach an oder unter der Armutsschwelle von 60 Prozent des mittleren Einkommens. Weiterhin sehr stark von Armut betroffen waren auch in 2022 Personen ohne deutsche Staatsangehörigkeit (35,3 Prozent) oder mit Migrationshintergrund (28,1 Prozent). Zum Vergleich: Deutsche Staatsangehörige weisen mit 13,8 Prozent eine vergleichsweise deutlich niedrigere Armutsquote aus, ebenso Personen ohne Migrationshintergrund (12,2 Prozent). Auch alleinerziehende, kinderreiche Familien sowie Personen mit niedrigem Bildungsabschluss sind mit einer überdurchschnittlichen Armutsquote stark betroffen.

Armut: Jeder Zweite mit Migrationserfahrung

Schneider machte zugleich deutlich, dass das Bild vielschichtiger ist, als es auf den ersten Blick wirkt: 70 Prozent der Armen besitzen die deutsche Staatsbürgerschaft. So sei Armut „nicht hauptsächlich ein Problem von Migrant:innen“, heißt es in dem Bericht. Unterteilt nach Migrationshintergrund ergibt sich allerdings eine Armutsaufteilung von 48,1 (mit Migrationshintergrund) zu 51,9 Prozent (ohne Migrationshintergrund). Migrationserfahrung weist demgegenüber lediglich 28,1 Prozent der Bevölkerung in Deutschland.

Außerdem haben 60 Prozent der von Armut Betroffenen gute Bildungsabschlüsse, und nur 6 Prozent haben keine Arbeit. Gut ein Drittel der Armen ist erwerbstätig, ein weiteres Drittel sind Rentnerinnen und Rentner.

Armut ungleich verteilt in Deutschland

Wie schon in den vergangenen Jahren sind die regionalen Unterschiede enorm. Am schlechtesten steht das Ruhrgebiet da mit einer Armutsquote von 22 Prozent, die einer Million Menschen entspricht. Zwar liegt Bremen mit einer Quote von 29 Prozent abgeschlagen auf dem letzten Platz aller Bundesländer. Dort leben aber nur 680.000 Menschen, im Ruhrgebiet hingegen mehr als fünf Millionen. Berlin ist vom zweitletzten auf den sechsten Platz des Bundesländer-Rankings aufgerückt.

Deutschland zeigt sich dreigeteilt: Am geringsten ist die Armut in Bayern, Baden-Württemberg und Brandenburg mit dem Berliner Speckgürtel, im Mittelfeld liegen die sechs Länder Sachsen, Niedersachsen, Schleswig-Holstein, Berlin, Rheinland-Pfalz und Hessen, während die restlichen sieben Länder vom Saarland bis Hamburg Armutsquoten um 19 Prozent aufweisen.

Der Bericht des Paritätischen „Armut in der Inflation“ basiert auf Daten des Statistischen Bundesamts für 2022. Methodisch wird der relative Armutsbegriff verwendet. Danach gilt ein Haushalt als arm, der über weniger als 60 Prozent des mittleren Einkommens verfügt. Bei der Ableitung vom Medianeinkommen bleibt die Armutsschwelle so lange relativ gleich, wie das mittlere Einkommen nicht steigt. Dass die ohnehin einkommensarmen Haushalte 2022 infolge der Energiekrise nach dem Überfall Russlands auf die Ukraine viel mehr Geld für Lebensmittel, Gas oder Heizöl ausgeben mussten, wird nicht gemessen.

Regierung hat Ärmste nicht unterstützt

Der Bundesregierung ist es dem Paritätischen zufolge im Inflationsjahr 2022 zudem nicht gelungen, gezielt die Ärmsten zu unterstützen. Nur 2 Milliarden Euro von insgesamt knapp 29 Milliarden Euro an Entlastungsleistungen seien an die Haushalte mit den geringsten Mitteln gegangen. Deutschland hatte 2022 die höchste Inflation seit der Wiedervereinigung. Besonders die Preise für Nahrungsmittel und Energie stiegen rasant um bis zu 20 Prozent (Nahrungsmittel) und bis zu 30 Prozent (Energie).

Politisch profitiert von Armut die AfD, wie aus einer Studie hervorgeht. Danach erhalten rechtsextreme Parteien desto mehr Zulauf, je mehr Menschen in einer Region von Armut bedroht sind. „Wenn der Anteil von Haushalten unter der Armutsgrenze um einen Prozentpunkt steigt, steigt der Stimmenanteil von rechtsextremen Parteien um 0,5 Prozentpunkte bei Bundestagswahlen“, hatte das Münchner ifo-Instituts erklärt.

Die Armutsschwelle lag 2022 für einen Single bei 1.186 Euro im Monat. Für ein Paar mit zwei Kindern unter 14 Jahren betrugt sie 2.490 Euro im Monat, für eine Alleinerziehende mit zwei Kindern lag die Schwelle bei 1.897 Euro. Wer weniger zur Verfügung hat, gilt als arm. (epd/mig 27)

 

 

 

Ehrengast 2024 Italien: „Destinazione Francoforte“

 

Eine echte Deutschlandtour italienischer Literaturschaffender und Verleger*innen“- Bereits knapp 90 neu ins Deutsche übersetzte Titel

2024 präsentiert sich Italien als Ehrengast auf der Frankfurter Buchmesse (16.-20. Oktober 2024). Beim heutigen Pressegespräch in Berlin anlässlich des Ehrengastauftritts gaben der Italienische Botschafter in Deutschland, Armando Varricchio, und die Direktorin des Italienischen Kulturinstituts in Berlin, Maria Carolina Foi, einen Überblick über Veranstaltungen mit italienischer Beteiligung. Von Leipzig bis Kiel – in zahlreichen deutschen Städten laden Literatur-Events dazu ein, bereits vor der Buchmesse im Oktober italienische Autor*innen und ihre Literatur kennenzulernen. Im Gespräch mit Juergen Boos, Direktor der Frankfurter Buchmesse, erläuterte Susanne Schüssler, Leiterin des Verlags Klaus Wagenbach, die Bedeutung der mit dem Ehrengast-Programm einhergehenden Übersetzungsförderung für Verlage. 

Juergen Boos, Direktor der Buchmesse, sagte dazu: „Bereits 2018 wurde der Ehrengast-Vertrag mit Italien unterzeichnet. Mit dem Ehrengast-Programm, das die Literatur und Kultur des Gastlands in den Fokus nimmt, geht auch ein Übersetzungsförderungsprogramm einher. Wir alle freuen uns darauf, neue und junge literarische Stimmen aus unserem Nachbarland zu entdecken. Die Neuerscheinungsliste umfasst bereits fast 90 aus dem Italienischen ins Deutsche übersetzte Titel, die bei 60 Verlagen erscheinen. Wir erwarten, dass die Zahl bis zur Messe noch weiter wachsen wird.“ 

„Das Jahr 2024 bietet uns die Möglichkeit, unseren deutschen Freunden die vielen Gesichter der italienischen Kultur zu präsentieren“, sagte der Italienische Botschafter in Deutschland, Armando Varricchio. „Nach den Stationen bei verschiedenen Literaturfestivals im ganzen Land kommen wir zur Frankfurter Buchmesse im Oktober. Destinazione Francoforte wird eine echte Deutschlandtour italienischer Literaturschaffender und Verleger*innen sein, welche die großen Metropolen und kleinen Städte ebenso miteinbezieht wie Literaturfestivals und Fachmessen.“ Varricchio zufolge wird das italienische Kulturprogramm unter dem Motto Destinazione Francoforte neben der Literatur auch weitere Sparten umfassen. Das war bereits im Februar am Beispiel des „Country in Focus“ auf dem European Film Market im Rahmen der Berlinale zu sehen. Und es werde sich im Laufe des Jahres auch in Musikevents um große Komponistennamen wie Giacomo Puccini, Ferruccio Busoni und Luigi Nono zeigen. 

Mehr Informationen zum Ehrengast-Programm der Frankfurter Buchmesse:  https://www.buchmesse.de/themen-programm/ehrengast

Zur Website des Ehrengasts 2024 Italien: https://italiafrancoforte2024.com/de#

Buchmesse.de 27.3.

 

 

 

 

Welche nationalen Interessen?

 

Der Streit um die Entwicklungspolitik sollte darum gehen, wie Deutschland seine Interessen besser priorisiert. Das würde der Armutsreduzierung dienen. Jakob Hensing

 

Was Entwicklungspolitik in Zeiten knapper Kassen leisten kann und soll, darüber entspinnt sich seit einigen Wochen eine Grundsatzdebatte. Konkret drängt eine klaffende Finanzierungslücke: 940 Millionen Euro – zehn Prozent des Vorjahresetats – muss das federführende Bundesministerium für Wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung (BMZ) allein dieses Jahr einsparen, weitere Kürzungen drohen ab 2025. Zusammen mit der humanitären Hilfe ist die Entwicklungszusammenarbeit damit die große Verliererin der Haushaltsverhandlungen. Angesichts immer härterer Verteilungskämpfe tritt auch eine aus anderen Ländern wie Großbritannien bekannte Forderung zunehmend in den Vordergrund: Die Entwicklungspolitik solle sich endlich auf „nationale Interessen“ konzentrieren.

In markigen Wortmeldungen wird dabei gerne suggeriert, es sei offensichtlich, worin diese Interessen bestehen und wie sie verfolgt werden sollten. Dass dies nicht stimmt, veranschaulicht aber etwa die unter anderem von CDU-Mann Thorsten Frei und jüngst auch seitens des Bundesverbands der Deutschen Industrie (BDI) erhobene Forderung, die Bundesregierung solle Finanzierungszusagen stärker an die Umsetzung durch deutsche Firmen binden. Hier kollidiert sogleich das Geschäftsinteresse deutscher Unternehmen mit dem Grundsatz eines möglichst sparsamen Einsatzes von Steuergeldern – ganz abgesehen von Nachhaltigkeitserwägungen und guten politischen Gründen, die für eine Beauftragung von lokalen Firmen und Anbietern aus Drittstaaten sprechen können. Dem zu Recht beklagten unfairen Wettbewerb mit Firmen aus China und anderen staatskapitalistischen Systemen kann mit deutlich gezielteren Vorkehrungen begegnet werden.

Nochmals wesentlich komplizierter wird es, wenn weitere politische Erwartungen einbezogen werden, die seit Jahren an die Entwicklungszusammenarbeit gestellt und ohne Verrenkungen interessenbasiert begründet werden können. Hierzu zählen beispielsweise die viel beschworene „Minderung von Fluchtursachen“, die Bekämpfung des Klimawandels und der Schutz der Biodiversität, die Stärkung der Resilienz bei Energieversorgung und Rohstoffen oder die Pflege von Partnerschaften in einer volatilen globalen Sicherheitslage – die Liste ließe sich fortsetzen. Zwischen diesen vielfältigen Interessen zu priorisieren, Zielkonflikte aufzulösen und den Interessenbegriff so mit Inhalt zu füllen, ist eine originär politische Aufgabe – insofern sind die Fürsprecher des „nationalen Interesses“ gefordert, klarer zu benennen, was sie damit meinen.

Eine ernsthafte Auseinandersetzung mit den Zielen deutscher Entwicklungspolitik ist indes absolut geboten. Aktuelle strategische Richtschnur ist das „Reformkonzept BMZ 2030“, in welchem das BMZ unter anderem die staatliche Entwicklungszusammenarbeit auf 60 Länder in verschiedenen Partnerschaftskategorien fokussiert und „Zukunftsthemen“ wie Klimaschutz und nachhaltige Lieferketten definiert hat, die künftig das Engagement prägen sollen. Das Konzept beeilt sich allerdings, zu unterstreichen: „Wichtigstes Ziel bleibt aber nach wie vor die Überwindung von Hunger und Armut.“

Für dieses Ziel an sich gibt es gute Argumente, sowohl aus globaler Verantwortung als reiches Land als auch aus Eigeninteresse an einer prosperierenden Welt. Allerdings sprechen alle Erfahrungen der letzten Jahrzehnte dagegen, dass Deutschland (oder irgendein anderer externer Akteur) im Zuge seiner Entwicklungszusammenarbeit die wesentlichen Hebel in der Hand hält, um es zu erreichen. Entscheidend sind – neben Rahmenbedingungen der globalen Wirtschaftsordnung – vielmehr politische Faktoren im jeweiligen Partnerland. Der Oxford-Professor und ehemalige Chefökonom des einstigen britischen Ministeriums für Entwicklungszusammenarbeit (DFID), Stefan Dercon, spricht hier von einem „Development Bargain.“ Einen solchen „Entwicklungspakt“ unter lokalen Eliten sieht er als kritische Bedingung, damit diese bereit sind, Entwicklungsstrategien ernsthaft zu erproben und umzusetzen und damit verbundene Risiken, gerade hinsichtlich unerwarteter gesellschaftlicher Veränderungen, in Kauf zu nehmen.

Inwiefern diese grundlegenden Bedingungen gegeben sind, lässt sich nicht zuletzt daran ablesen, ob die jeweilige Regierung ihrerseits Entwicklungsziele glaubhaft verfolgt und klare und kohärente Erwartungen an externe Partner formuliert. Daher wäre es sinnvoll, wenn die Bundesregierung ihre Ausgangsposition in den ohnehin immer erforderlichen Verhandlungen mit Partnerregierungen zunächst weitestgehend auf Anliegen ausrichten würde, die mindestens auch auf weitere, unmittelbarer erreichbare Ziele auf Basis der eigenen Interessenabwägung einzahlen. Ausnahmen könnten für bestimmte Maßnahmen gemacht werden, die erwiesenermaßen besonders wirksam sind und deren Erfolg weniger stark vom Partner abhängt – etwa im Kampf gegen sogenannte vernachlässigte Tropenkrankheiten, denen weltweit pro Jahr eine halbe Million Menschen zum Opfer fallen. Auf dieser Grundlage könnte sie dann – konstruktiv – auf Initiativen und Erwartungen des Gegenübers reagieren. Letztlich wäre dies eine ehrlichere Umsetzung des viel besungenen „Local Ownership“ als der aktuelle Versuch, auf ein Ziel hinzuverhandeln, das nur dann Aussicht auf Erfolg hat, wenn das Gegenüber es ohnehin bereits mit Überzeugung verfolgt.

Welche der oben angerissenen Ziele dabei im Vordergrund stehen sollten, kann auf globaler Ebene sinnvoll nur in Form breiter Leitplanken definiert werden. In Kombination des „BMZ 2030“-Konzepts, der nationalen Sicherheitsstrategie sowie Strategiepapieren zu Außenwirtschaft, Rohstoffen und Energie aus dem Bundesministerium für Wirtschaft und Klimaschutz sind diese auch bereits leidlich gegeben. Eine stärkere Integration solcher Strategien der Bundesregierung wäre wünschenswert, Aufwand und Ertrag stehen aber in keinem Verhältnis, solange an der hohen Autonomie der Ressorts bei der Gestaltung ihres Politikbereichs nicht gerüttelt wird.

Zentral ist daher die Ebene der Partnerländer, bei denen die BMZ-Strategie grundsätzlich richtig auf Fokussierung setzt. Darauf gilt es nun mit echten Länderstrategien aufzubauen, die stärker auf Ziele der Bundesregierung in der Welt insgesamt und nicht auf eine künstlich verengte BMZ-Sicht abstellen sollten. Das bedeutet: Die Strategien sollten unter Einbeziehung der anderen Ministerien ausbuchstabieren, für welche Ziele im jeweiligen Land relevante Potenziale bestehen, inwiefern entwicklungspolitische Maßnahmen zu deren Erreichung beitragen können, welche Ressourcen dafür jeweils benötigt werden und welche Aspekte aufgrund dieser Analyse sowie unter Berücksichtigung möglicher Zielkonflikte Vorrang erhalten sollen.

Angesichts immer wiederkehrender Gedankenspiele zu einer möglichen Zusammenlegung mit dem Auswärtigem Amt wäre es schon jetzt im Eigeninteresse des BMZ, hierbei aktiv die Führungsrolle zu suchen. Es wäre aber auch inhaltlich wünschenswert, weil die Expertise des Hauses in den (hoffentlich nicht allzu raren) Fällen, in denen die Kombination aus klaren eigenen Zielen und den Prioritäten des Partnerlands tatsächlich eine Agenda im gegenseitigen Interesse ergibt, essenziell bleibt. Und wo dies nicht der Fall ist, wäre für entwicklungspolitische Maßnahmen so oder so der Rotstift angezeigt. IPG 26.3.

 

 

 

 

Studie. Europa größter Profiteur aus Zwangsarbeit

 

Weltweit leisten 27,6 Millionen Menschen Zwangsarbeit. Insgesamt werden damit 236 Milliarden US-Dollar erwirtschaftet. Einer der größten Profiteure ist Europa. Die EU bringt ein Verbotsgesetz für Produkte aus Zwangsarbeit auf den Weg – ohne die Stimme Deutschlands, weil FDP blockiert.

Durch Zwangsarbeit werden laut einer Studie der Internationalen Arbeitsorganisation (ILO) jährlich 236 Milliarden US-Dollar (umgerechnet knapp 217 Milliarden Euro) erwirtschaftet. Die Gewinne sind demnach seit 2014 um 37 Prozent und damit um 64 Milliarden US-Dollar gestiegen. Der Anstieg resultiert der Studie zufolge sowohl aus einer wachsenden Zahl von Menschen, die zur Arbeit gezwungen werden, als auch aus höheren Profiten aus der Ausbeutung selbst.

Die jährlichen illegalen Gewinne aus Zwangsarbeit sind laut ILO in Europa und Zentralasien am höchsten (84 Milliarden US-Dollar), gefolgt von Asien und dem Pazifik (62 Milliarden US-Dollar), Amerika (52 Milliarden US-Dollar), Afrika (20 Milliarden US-Dollar) und den arabischen Staaten (18 Milliarden US-Dollar). Dabei sei die Zahl der Opfer in Europa und Zentralasien sowie in Nord- und Südamerika wesentlich niedriger als in Asien und im Pazifik.

EU verbietet Produkte aus Zwangsarbeit

Um diesem Missstand entgegenzuwirken, soll in der Europäischen Union (EU) der Verkauf von Produkten aus Zwangsarbeit künftig verboten sein. Eine Mehrheit der EU-Mitgliedsstaaten stimmte Mitte März einem entsprechenden Gesetz zu. Lediglich ein EU-Staat stimmte gegen die Regelung, zwei enthielten sich bei der Abstimmung. Weil die FDP das Gesetz ablehnt, enthielt sich auch die Bundesregierung.

Konkret sieht das Gesetz vor, dass kein Teil eines Produktes unter Zwangsarbeit hergestellt werden darf. Handelt es sich beispielsweise um ein Teil eines Autos, ist der Autohersteller verpflichtet, entweder einen neuen Zulieferer zu finden oder die Arbeitsbedingungen zu verbessern. „Stammen die Tomaten für eine Soße aus Zwangsarbeit, muss die gesamte Soße entsorgt werden“, erklärte der Rat kürzlich. EU-Kommission und Mitgliedsstaaten sollen gemeinsam untersuchen, ob Zwangsarbeit in den Lieferketten vorkommt.

Deutschlands Enthaltung „beschämend“

Die Fraktionsvorsitzende der Grünen im Bundestag, Katharina Dröge, begrüßte das Gesetz. „Verbraucherinnen und Verbraucher wollen sicher sein, dass die Produkte, die sie kaufen, nicht mithilfe moderner Sklavenarbeit hergestellt sind“, sagte sie. Auch sei die Verordnung im Interesse vieler Unternehmen, die auf die Einhaltung von Menschenrechten achten. Dass Deutschland aufgrund der Blockade der FDP der Verordnung nicht zustimmen konnte, sei dagegen „beschämend“.

Der Großteil der Gewinne aus Zwangsarbeit (73 Prozent) stammt laut Studie aus der sexuellen Ausbeutung von Menschen, obwohl nur 27 der Opfer in diesem Bereich ausgebeutet werden. Der zweitgrößte Teil der Einnahmen stamme aus der Industrie, gefolgt von Dienstleistungen, Landwirtschaft und Hausarbeit. Im Jahr 2021 gab es den Angaben zufolge 27,6 Millionen Menschen, die Zwangsarbeit leisteten. Zwischen 2016 und 2021 sei die Zahl der Menschen in Zwangsarbeit um 2,7 Millionen gestiegen. (epd/mig 26.3.)

 

 

 

 

Die Rückkehr des Terrors

 

Stabilität und Sicherheit lautet das Versprechen Putins. Der islamistische Anschlag in Moskau beschädigt das Image des russischen Präsidenten erneut. Lisa Gürth

 

Eine Welle der Trauer erfasst das ganze Land: Der erschreckende und verheerende Anschlag auf die Crocus City Hall, der über 130 Menschen das Leben kostete, hat Russland zutiefst erschüttert. Dieser Anschlag, der von Expertinnen und Experten zweifellos dem Islamischen Staat in der Provinz Khorasan (ISKP) zugeordnet wird, ist ein weiteres unvorhergesehenes innenpolitisches Ereignis in kurzer Zeit. Eines, welches den sich selbst als „Garanten der Stabilität“ inszenierenden Putin und die innenpolitische Situation in Russland insgesamt viel fragiler erscheinen lässt.

Der Umgang mit dem Anschlag zeigt zehn Monate nach der Prigoschin-Revolte, dass unerwartete Ereignisse den Kreml unverändert vor große Reaktionsschwierigkeiten stellen. Erneut mussten die russischen Bürgerinnen und Bürger in einem nationalen Krisenmoment fast 20 Stunden warten, bis sich ihr mit überwältigend guten (und natürlich gefälschten) Ergebnissen frisch gewählter Präsident an die Nation wandte. Mehrmals wurde diese Ansprache nach hinten verschoben, um dann erstaunlich unkonkret zu bleiben, was die Schuldigen dieses Anschlags betrifft. ISKP oder der Islamische Staat im Irak und in Syrien (ISIS) wurden mit keinem Wort erwähnt, eine Verbindung zur Ukraine wurde angedeutet, aber vor allem ging es Putin um das Beschwören der nationalen Einheit unabhängig der Ethnie bzw. Nationalität (Nationalnosti).

Nicht ohne Grund: Die erste Dekade von Putins Präsidentschaft waren vom Zweiten Tschetschenienkrieg und einer ganzen Reihe größerer Anschläge geprägt. Die Anschläge auf Wohnhäuser 1999 mit unklarer Urheberschaft – die ihm letztlich zur Präsidentschaft verholfen haben, indem sie das Bild vermittelten, Russland brauche jetzt einen Mann mit starker Hand an der Macht – waren nur der Beginn: Es folgten die Geiselnahme im Moskauer Dubrowka-Theater, die Geiselnahme von Beslan, welche bis heute ein nationales Trauma nicht unähnlich den Anschlägen vom 11. September in den USA ist, sowie Anschläge in Moskauer und St. PetersburgerU-Bahnen. Der letzte große Anschlag fand 2017 in der St. Petersburger Metro statt und kostete 14 Menschen das Leben. Während anfangs die Anschläge vor allem im Kontext des Tschetschenienkrieges und anderer Unabhängigkeitsbestrebungen im Nordkaukasus stattfanden, gingen die späteren Angriffe vor allem auf das Konto verschiedener Gruppen, die im Rahmen des globalen War on Terror bekämpft wurden. Putin gelang es in dieser Zeit, sich als der starke Mann zu positionieren, der diesen Terror bekämpft und Russland Stabilität und Sicherheit bringt. Zu diesem Zweck „flirtete“ der Kreml auch immer wieder mit nationalistischen Strömungen und Gruppierungen innerhalb Russlands, die den ohnehin schon breit verankerten Rassismus gegen Personen aus dem Kaukasus und Zentralasien weiter befeuerten.

Die Situation heute ist anders: Die russische Gesellschaft hat sich von der Gefahr des Terrorismus „entwöhnt“, im gewissen Sinne auch entspannt. Der russische Angriffskrieg gegen die Ukraine (und laut dem Kreml-Narrativ eigentlich gegen den gesamten Westen) ist eine nationale Kraftanstrengung und bedarf einer maximalen Geschlossenheit der Gesellschaft unabhängig der Ethnizität. Der jetzige Anschlag legt die innenpolitische Überdehnung des Regimes offen: Seien es nur oberflächlich oder mit immenser Gewalt gelöste Konflikte wie in Tschetschenien oder die Einsicht, dass Russland durch sein Eingreifen im Syrien-Krieg immer mehr zur Zielscheibe radikaler islamistischer Gruppierungen wie ISKP geworden ist.

Kein Staat kann sich komplett vor terroristischen Anschlägen schützen. Entgegen der Vorstellung, dass Russland ein hochgradig effizienter Polizeistaat sei, sind in Russland Korruption und Kriminalität zunehmend verbreitet. Insbesondere seit Beginn des Krieges gibt es eine zunehmende Anzahl an Waffen, die auf dem Schwarzmarkt zirkulieren. Die Sicherheitskräfte sind vor allem mit dem Kampf gegen „innere Feinde“ beschäftigt, zu denen vor allem die liberale Opposition gehört. Als extremistisch gelten hier zum Beispiel die LGBT-Bewegung und die von Alexei Nawalny gegründete Stiftung für Korruptionsbekämpfung (FBK). Eine auf Repression getrimmte Polizei kann zwar friedliche Protestierende im Zentrum Moskaus verhaften, ist aber dadurch nicht automatisch in der Lage, Anschläge vorzubeugen und abzuwehren. Diese Priorisierung und zunehmende Ausrichtung der Sicherheitsbehörden auf die Bewahrung der Regimestabilität und den Krieg in der Ukraine, koste es, was es wolle, untergräbt gleichzeitig die innere Kohäsion und lässt sie schleichend zerfallen.

Erst am Montagabend benannte Putin klar „radikale Islamisten“ als Durchführer der Tat. Direkt im Anschluss stellte er aber die Cui Bono?-Frage – und in der Logik des Regimes darf es keine andere Antwort als die Ukraine geben. Während Putin und die russische Staatspropaganda fast schon obsessiv versuchen, die Ukraine als Schuldigen auszumachen, wird in nationalistischen Propagandakanälen auf die tadschikische Nationalität der Beschuldigten verwiesen und Hass geschürt. In der Duma wurde das schnell aufgegriffen: Nach ersten Forderungen am Tag nach dem Anschlag, die Einreise von Migrantinnen und Migranten zu begrenzen, wurde am 25. März in einer Arbeitsgruppe bereits darüber diskutiert, dass es in Russland „ethnisch-nationale Enklaven“ gebe, bestehend aus Migrantinnen und Migranten und Personen, die nicht seit Geburt die russische Staatsangehörigkeit hätten, die ein „ernsthafter Faktor für die Destabilisierung der innenpolitischen Lage“ seien. Oppositionelle Medien berichten bereits über erste Übergriffe auf Personen mit (vermeintlich) tadschikischer Staatsbürgerschaft oder Herkunft.

Dem Kreml können diese Entwicklungen eigentlich nicht gefallen. Neben dem kolportierten Bild der nationalen Einheit im Krieg gegen die Ukraine ist Russland vor allem auch wirtschaftlich auf Saisonarbeiterinnen und Arbeitsmigranten vor allem aus Zentralasien angewiesen. Von daher ist davon auszugehen, dass versucht werden wird, die öffentliche Debatte in eine andere Richtung zu lenken und auf andere Art und Weise eine harte Reaktion zu zeigen. Die inhumane und menschenrechtswidrige Erniedrigung und Zurschaustellung der gefassten Attentäter, die Suche der Schuld beim Westen und der Ukraine sowie der Ruf nach der Wiedereinführung der Todesstrafe werden daher die Staatspropaganda vorerst dominieren.

Putin: der Präsident, der den Bürgerinnen und Bürgern Stabilität und Sicherheit bringt – dieses Bild lässt sich immer schlechter aufrechterhalten. Dieses auf Sicherheit getrimmte Regime hat es bisher vermieden, den Trade-off zwischen innerer Sicherheit und der gleichzeitigen Führung eines brutalen Angriffskrieges einzugehen. Die Rückkehr des Terrors könnte diese Balance nun ins Wanken bringen. IPG 26.3.

 

 

 

Berlin. Koalition sagt Rassismus den Kampf an. Grüne und Linke fordern mehr

 

Rassismus kann sich in vielen Formen zeigen und ist ein gesellschaftliches Problem. Darüber sind sich die meisten Politiker im Parlament einig. Bei einer Debatte zeigten sich aber auch Unterschiede - Gehört Racial-Profiling verboten? Frauen mit Kopftuch in den Staatsdienst?

Die schwarz-rote Koalition in Berlin hat sich zu einem entschlossenen Kampf gegen Rassismus und gegen Hass auf Menschen mit ausländischen Wurzeln bekannt. „Wir müssen uns allen Formen von Rassismus entgegenstellen“, sagte die Senatorin für Antidiskriminierung, Cansel K?z?ltepe (SPD), am Donnerstag in einer Debatte im Abgeordnetenhaus. Denn Rassismus sei keine Meinung, sondern eine Gefahr für die Demokratie.

„Berlin steht nicht für Hetze und Spaltung“, sagte CDU-Fraktionschef Dirk Stettner. „Im Gegenteil brauchen wir ein breites Bündnis für Toleranz, für Demokratie.“ Dafür sei im Abgeordnetenhaus geplant, eine sogenannte Enquetekommission für gesellschaftlichen Zusammenhalt einzurichten.

Grüne fordern Absicherung von Projekten

„Es geht darum, uns zusammenzuhalten, egal ob wir hier aufgewachsen oder hinzugekommen sind“, umriss Stettner die Arbeit der Kommission. „Es geht darum, Diskriminierung und Rassismus zu bekämpfen und Gemeinsamkeiten zu schaffen und diese zu stärken. Dafür müssen wir miteinander darum ringen, was der beste Weg zum besten Zusammensein ist.“

Oppositionsfraktionen forderten von Schwarz-Rot mehr Engagement gegen Rassismus. Die Sprecherin für Antidiskriminierung der Grünen-Fraktion, Tuba Bozkurt, forderte die Absicherung von Projekten, die sich viel zu oft unter Bedingungen der Selbstausbeutung der Arbeit gegen Rassismus und Antisemitismus verschrieben hätten. Notwendig sei außerdem, einen Beauftragten gegen Antiziganismus einzusetzen.

Linke: Rassismus auch in der Mitte

„Rassismus ist weit mehr als nur ein physischer An- oder Übergriff. Angespuckt werden oder am Kopftuch gezogen werden, sind rassistische Alltäglichkeiten für viele Menschen in unserer Gesellschaft“, sagte Bozkurt. Racial Profiling sei rassistisch und müsse endlich abgeschafft werden. „Es ist rassistisch begründet, dass eine kopftuchtragende Frau nicht in den Staatsdienst treten kann. Es ist rassistisch begründet, dass schwarze Menschen häufiger auf Drogenbesitz kontrolliert werden.“

Ähnlich argumentierte die Linke-Politikerin Elif Eralp. „Rassismus ist weit verbreitet, und zwar nicht nur bei der extremen Rechten, sondern auch in der Mitte der Gesellschaft“, beklagte sie. „Nicht nur in Form von individuellem Rassismus, sondern auch in Form von institutionellem und strukturellem Rassismus.“ Dagegen müsse entschieden vorgegangen werden. „Stattdessen werden aber auch aus den Reihen dieser Koalition rassistische Debatten befeuert“, meinte Eralp. Als Beispiele nannte sie Forderungen der CDU nach mehr Abschiebungen und mehr Migrationsbegrenzung oder die geplante Bezahlkarte für Geflüchtete.

Saleh: Nicht nur an Gedenktagen engagieren

Der SPD-Fraktionsvorsitzende Raed Saleh rief dazu auf, sich nicht nur an Gedenktagen zu engagieren wie dem Internationalen Tag gegen Rassismus, der Anlass der Parlamentsdebatte war. „Es braucht noch mehr als das: Es braucht den täglichen Einsatz für die Demokratie“, sagte er. Der Kampf gegen Rassismus und Rechtsextremismus sei eine gesamtgesellschaftliche Aufgabe, die nicht von den Betroffenen alleine gestemmt werden könne. Das sei nur von der Gesellschaft als ganzes zu leisten.

Wie Stettner verwies auch Saleh auf die Enquetekommission als wichtigen Baustein. Er sprach sich außerdem erneut dafür aus, in der Landesverfassung den Kampf gegen Antisemitismus und alle anderen Formen von Rassismus zu verankern.

K?z?ltepe: „Wir sind hier und wir bleiben hier.“

Der AfD-Politiker Martin Trefzer sagte, manche Politiker hätten das „Zerrbild eines von Rassismus zerfressenen Landes“ entworfen. Inzwischen entstehe dadurch der Eindruck, als ob Deutschland ein Apartheidstaat sei. Das sei aber mitnichten der Fall. Nach Meinung Trefzers ist ein „woker Antirassismus“ verbreitet, der im Kern sage: „Weiße Menschen können nur Täter sein, farbige Menschen können nur Opfer sein.“ Das sei absurd. Gleichwohl habe sich diese Denkweise „mehr und mehr zu einer Ersatzreligion entwickelt“.

K?z?ltepe verurteilte unter Rechtsextremen diskutierte Pläne, Menschen mit ausländischen Wurzeln zwangsweise aus Deutschland in andere Staaten zu bringen. K?z?ltepe sprach von „Deportationsplänen“: „Das ist nicht nur Rassismus, das ist ein neuer Faschismus.“ Die Politikerin verwies darauf, dass im Senat drei Senatorinnen und Senatoren ausländische Wurzeln haben, darunter sie selbst. „Wir sind hier und wir bleiben hier.“ (dpa/mig 25)

 

 

 

 

Kulturstaatsministerin Roth zum Gedenken an die Opfer des Massakers in den Ardeatinischen Höhlen in Rom

           

Kulturstaatsministerin Claudia Roth hat heute auf Einladung des italienischen Kulturministers Gennaro Sangiuliano das Mausoleum der Ardeatinischen Höhlen im Süden Roms besucht. Am 24. März 1944 wurden an diesem

Ort 335 italienische Zivilisten, darunter Partisanen, antifaschistische Widerstandskämpfer und 75 Juden aus Italien und Europa, die deportiert werden sollten, von der SS erschossen. Nach einer Führung durch die Gedenkstätte legte Kulturstaatsministerin Roth einen Kranz zum Gedenken an die Opfer nieder.

 

Bei ihrem Besuch in Rom erklärte Kulturstaatsministerin Claudia Roth: „Ich stehe hier an diesem Ort voller Schmerz, voller Trauer, voller Scham. Das Massaker in den Ardeatinischen Höhlen zeigt die ganze Grausamkeit

und Brutalität der Besatzungsherrschaft des nationalsozialistischen Deutschlands in Italien. Am 24.3.1944 – heute vor 80 Jahren – wurden hier 335 Menschen Opfer eines monströsen Verbrechens: Zivilisten, Partisanen, Antifaschisten, Juden. Ein Verbrechen, das Teil einer furchtbaren Spur moralischer und materieller Verwüstung ist, die das nationalsozialistische Deutschland durch ganz Europa gezogen hat. Deutschland ist sich seiner ganzen historischen Verantwortung gegenüber Italien und für Europa heute bewusst. Es darf keinen

Schlussstrich geben – wir müssen und wir wollen erinnern. Ein Erinnern für die Zukunft.

 

Es ist mir wichtig, heute in Rom an dieses schreckliche Verbrechen zu erinnern – Seite an Seite mit meinem italienischen Amtskollegen. Und es ist ein Zeichen europäischer Gemeinschaft und Stärke, dass Deutschland und Italien an diesem Tag gemeinsam erinnern und gemeinsam trauern.

 

Denn die Erinnerung an das Massaker ist heute wichtiger denn je. Das europäische Projekt, das mit Italien begründet wurde und ohne Italien nicht möglich gewesen wäre, fußt auf dem gemeinsamen „Nie wieder“. „Nie

wieder“ ist ein Auftrag, den wir jetzt erfüllen müssen. Gemeinsam müssen wir in Europa Antisemitismus, Rassismus, Muslimfeindlichkeit und jede Form von gruppenbezogener Menschenfeindlichkeit entschieden bekämpfen. Der 24.3. mahnt mich, mahnt uns Deutsche jeden Tag für unseren moralischen Imperativ, den Artikel 1 unseres Grundgesetzes, einzutreten: Die Würde des Menschen ist unantastbar, jedes Menschen. Diese Erinnerung ermahnt, zusammen für eine Stärkung der Europäischen Union einzutreten, die auf der Idee einer

Friedensgemeinschaft freier und pluralistischer Demokratien beruht. Dieses gemeinsame Europa, dessen Fundament die Grund- und Menschenrechte sind, ist eine große Errungenschaft, ist unser großer Reichtum. Das gemeinsame Erinnern für die Zukunft hier und heute ist deshalb ein wichtiges Signal, ist Verantwortung und Verpflichtung.“

 

Anlässlich des Gedenktages besuchte Kulturstaatsministerin Claudia Roth außerdem das Jüdische Viertel Roms. Nach einem Rundgang durch das Viertel legte die Staatsministerin einen Kranz an der Gedenkplakette zur Erinnerung an die Opfer der 1943 von der Besatzungsherrschaft des nationalsozialistischen Deutschlands durchgeführten Razzia und Deportation jüdischer Italienerinnen und Italiener nieder. Anschließend besuchte sie die Synagoge sowie das Jüdische Museum Roms.

 

Am Abend wird Kulturstaatsministerin Claudia Roth an einem Gedenkkonzert unter der Leitung von Riccardo Muti anlässlich des 80. Jahrestages des Massakers in den Ardeatinischen Höhlen teilnehmen.

 

Link zur Meldung im Webangebot: https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/kulturstaatsministerin-roth-zum-gedenken-an-die-opfer-des-massakers-in-den-ardeatinischen-hoehlen-in-rom-das-gemeinsame-erinnern-fuer-die-zukunft-heute-ist-ein-wichtiges-signal-fuer-ein-starkes-europa--2266970  

pib 24.3.

 

 

 

 

Italienische Friedens-Bewegungen unterstützen Papst-Appell zu Ukraine

 

Italienische Friedensbewegungen haben die jüngsten Worte des Papstes zum Ukraine-Krieg unterstützt. Der Brief, der von Vertretern von 18 Friedensbewegungen unterzeichnet ist, wurde am Donnerstag veröffentlicht. Darin danken Unterzeichner dem Papst dafür, dass er „offen über den Mut zur Verhandlung“ rede und sprechen ihm ihr Mitgefühl für „all die opportunistische Kritik" aus, die ihm entgegenschlage.

Seit jeher teilten sie seine Worte zum Frieden, insbesondere die, die er mit Blick auf die Notwendigkeit zu Verhandlungen in dem jüngst veröffentlichten Interview mit dem Schweizer Sender RSI gesagt habe, so die Vertreter der verschiedenen italienischen Friedensbewegungen in ihrem Brief, der zur Kenntnis auch an US-Präsident Joe Biden, den ukrainischen Präsidenten Wolodymyr Selenskyj, die EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen sowie Bundeskanzler Olaf Scholz ging.

Statt Waffenlieferungen Verhandlungen ermöglichen

Bedauerlicherweise hätten in den vergangenen Tagen die Regierungen von Gemeinschaften, „die in den russisch-ukrainischen Krieg verwickelt“ seien, in einem „einstimmigen Chor“ die mahnenden Papstworte Ermahnung „kritisiert und zurückgewiesen“, während sie es vorzögen, das „,gemarterte ukrainische Volk‘ weiterhin zum Kampf bis zum letzten Mann anzustacheln“ und es mit „immer ausgeklügelteren Waffen zu versorgen“. Stattdessen sollten diese lieber für einen Waffenstillstand eintreten und die „Bedingungen für gründliche Verhandlungen“ schaffen, die „die Gründe beider Seiten untersuchen und zu einer gemeinsamen Lösung“ führen könnten, so die Friedensaktivisten, die sich überzeugt davon zeigen, die Auffassung vieler Bürger zu vertreten, die „angesichts der tragischen Ereignisse, die zu einer unaufhaltsamen Eskalation des Krieges mit Zerstörung, Leid und Tausenden von Toten führen, verzweifelt sind“.

In dem Interview, auf das sich die 26 Verfasser des Solidarschreibens beziehen, hatte Franziskus mit Blick auf die Ukraine gesagt, es gelte, „Mut zur Weißen Flagge“ zu zeigen und sich nicht dafür zu schämen, in Verhandlungen einzutreten, „bevor es noch schlimmer wird“. Diese Worte wurden weithin als Aufforderung zur Kapitulation der Ukraine verstanden und fuhren international Kritik ein. In nachfolgenden Erklärungen hatten Vatikan-Vertreter wie Kardinalstaatssekretär Parolin jedoch darauf hingewiesen, dass Verhandlungen für den Papst keineswegs eine „Kapitulation“ darstellten, sondern die Bedingung dafür, einen dauerhaften und gerechten Frieden zu schaffen. Bedingung für Frieden sei allerdings auch „ein Ende der Aggression“. 

(il fatto quotidiano 23.3.)

 

 

 

Die unbeabsichtigten Folgen der Zeitenwende

 

Im Nebel des Krieges gibt es keine einfachen Lösungen, sondern nur Risiken und Zielkonflikte. Tobias Fella & Cornelius Friesendorf

 

In der deutschen Debatte geht es bei der Frage, wie auf ein revisionistisches Russland zu reagieren ist, vor allem darum, wie Abschreckung, Verteidigung und die Unterstützung der Ukraine besser organisiert werden kann. Das ist wichtig, um die Ukraine zu schützen und Russland von weiterer Aggression abzuhalten. Allerdings berücksichtigt die Debatte eine mögliche militärische Eskalation wie auch weitere unbeabsichtigte Folgen der Zeitenwende zu wenig. Deutschland braucht eine breitere politische und öffentliche Diskussion über Risikomanagement.

Das Gesetz der unbeabsichtigten Folgen besagt, dass jede Handlung mehrere Effekte hat. Allerdings werden unbeabsichtigte Folgen wahrscheinlicher, wenn bestimmte Bedingungen vorliegen. Unterstützer der Ukraine sollten die beabsichtigten (positiven) Effekte von Strategien gegen Russland gegen unbeabsichtigte (negative) Effekte abwägen. Schließlich gibt es mindestens fünf Gründe, warum die Zeitenwende unbeabsichtigte Folgen hat oder haben wird.

Erstens: Wenn die Unsicherheit groß ist, steigt die Wahrscheinlichkeit unbeabsichtigter Folgen. Richtet Russlands Großmachtstreben sich auch auf die baltischen Staaten oder die Moldau? Wann ist der Punkt erreicht, an dem Putin die Stabilität des Regimes gefährdet sieht? Der Versuch, Absichten aus der vergangenen russischen Politik oder vermuteten Interessen des Kremls abzuleiten, ist problematisch. Einige Forschungsergebnisse lassen Zweifel an Putins Rationalität aufkommen oder legen nahe, dass Russland Statusgewinne höher gewichtet als Stabilität.

Zweitens: Putin ist entschlossen und in der Lage, einen langen Krieg zu führen, während die Ukraine weiter um ihr Überleben kämpfen wird. Ihre Unterstützer werden vermutlich Wege suchen und finden, um Kiew auch im Falle einer zweiten Trump-Präsidentschaft mit Militärhilfe beizustehen. Sie sollten das auch tun. Doch je länger der Krieg andauert, desto wahrscheinlicher werden ungewollte Auswirkungen, weil es vermehrt zu Zwischenfällen kommen kann, die außer Kontrolle geraten.

Drittens: Die geografische Nähe bringt Risiken mit sich. Entlang der Ostgrenzen der NATO – beispielsweise im Ostseeraum – operieren NATO-Truppen und russische Streitkräfte raumnah. Schon vor dem 24. Februar 2022 bestand die Gefahr, dass die Situation eskalieren könnte. Der Einmarsch Russlands und die Reaktionen der NATO haben neue Eskalationsszenarien geschaffen.

Viertens: Der Ukraine-Krieg findet in einem komplexen internationalen System statt, und Systemeffekte entfalten sich nicht linear und sind deshalb nicht berechenbar. Die westlichen Staaten stehen nicht nur Russland gegenüber, sondern globalen Machtverschiebungen, Populisten im Inland und dem Klimawandel. Die Unterstützung der Ukraine beeinflusst Möglichkeiten, diesen und weiteren Herausforderungen zu begegnen.

Fünftens: Viele in der pro-ukrainischen Allianz sind risikotolerant. Vor allem die militärisch exponierten östlichen NATO-Mitglieder gehen davon aus, dass Russland nur Stärke versteht, und schließen daraus, sie hätten bei einem vorsichtigen Risikomanagement mehr zu verlieren als zu gewinnen. Litauen wollte den Transit russischer Güter nach Kaliningrad blockieren und befürwortete Macrons Gedankenspiele, NATO-Bodentruppen in die Ukraine zu schicken. In Deutschland werden Stimmen, die auf Risiken hinweisen, nicht selten als Opfer Putinscher Angstmacherei bezeichnet. Der in der deutschen Debatte gängige Begriff der „Selbstabschreckung“ verdeutlicht diese Tendenz. Politiker scheuen eine breitere Debatte womöglich auch deswegen, weil sie befürchten, dies könnte dazu führen, dass die Zustimmung für die Unterstützung der Ukraine bröckelt, da die Wählerschaft die Kosten eines langen Krieges vielleicht nicht akzeptiert.

Die genannten Faktoren können eine Vielzahl unbeabsichtigter Folgen haben. Deutschland und seine Verbündeten sollten zumindest den folgenden sechs nicht-intendierten Konsequenzen mehr Bedeutung beimessen. Zum einen sollte genauer erörtert werden, welche Umstände zu einer militärischen Eskalation führen könnten. Dass der Einsatz von Atomwaffen kein Hirngespinst ist, unterstreichen aktuelle Berichte, wonach die US-Geheimdienste im Herbst 2022 die Wahrscheinlichkeit eines Einsatzes von Atomwaffen im Falle eines ukrainischen Durchbruchs auf die Krim auf 50 Prozent schätzten.

Auch sollten die Opportunitätskosten einkalkuliert werden. Die wirtschaftlichen Kosten des Krieges sind bereits jetzt enorm. Wenn sich der Krieg in die Länge zieht, ist dies erst der Anfang. Wird in Abschreckung, Verteidigung und die Unterstützung der Ukraine investiert, reduziert dies Investitionen in Zukunftstechnologie oder öffentliche Infrastruktur. Die potenziellen Profiteure sind der Wettbewerber China und – im deutschen Kontext – die AfD.

Außerdem lähmt die Konfrontation mit Russland multilaterale Institutionen und damit einen wichtigen Multiplikator der deutschen Außenpolitik. Die OSZE zum Beispiel hatte darunter zu leiden, dass Russland wichtige Entscheidungen mit seinem Veto blockiert. Aus Kreml-Logik reagierte Russland dabei auf den Versuch des Westens, Russland innerhalb der Organisation zu isolieren. Zudem wird es immer komplizierter, in wichtigen Fragen zusammenzuarbeiten. Das zeigt sich unter anderem daran, wie schwierig es geworden ist, die sicherheitspolitischen Auswirkungen des Klimawandels im Rahmen der OSZE zu thematisieren. Vereinbarungen zwischen der EU und Russland, mit denen der grenzüberschreitenden Umweltverschmutzung begegnet werden sollte, liegen auf Eis.

Die Debatte in Deutschland sollte auch die mögliche Überforderung der EU stärker in den Blick nehmen. Die Ukraine wird weiter enorme Summen an EU-Geldern für Stabilisierung und Wiederaufbau benötigen. Das wird die Geschlossenheit einer EU, in der die Interessen zunehmend auseinanderdriften, auf eine harte Probe stellen. Die größte Unbekannte ist jedoch die Frage, ob die Ukraine den EU-Besitzstand umsetzen wird. Hat sich das politische System der Ukraine so stark verändert, dass sie die personalisierte, auf Seilschaften basierende Regierungsführung früherer Zeiten hinter sich lassen kann? Forscher, die schon in der Vergangenheit auf eine solche klientelistische Politik hingewiesen haben, hoben in jüngster Zeit den Selenskyj-Effekt hervor – die transformative Kraft einer neuen Generation unter einer neuen Führungsfigur. Der erfolgreiche Auf- und Ausbau demokratischer Institutionen ist jedoch kein Selbstläufer, wie Berichte über fortbestehende autoritäre Praktiken zeigen. Aufgrund ihrer Größe und der Erbschaften des Krieges wird die Ukraine Probleme früherer EU-Erweiterungsrunden in den Schatten stellen.

Auch die unbeabsichtigte Stärkung der Autokratie ist Teil der Zeitenwende. Die Bemühungen Deutschlands und anderer westlicher Staaten, Russland zu isolieren, führen zu einem engeren Schulterschluss mit Autokratien. Deutschland kauft beispielsweise mehr Öl und Gas von den Golfstaaten, und die EU bezieht mehr Gas aus Aserbaidschan. Dadurch wird es für die EU schwerer, Handelsabkommen an die Einhaltung der Menschenrechte zu knüpfen. Diese Realpolitik nährt den Vorwurf, der Westen messe mit zweierlei Maß.

Schließlich kann die Kappung der Beziehungen zu Russland dazu führen, dass sich die vom Kreml geschaffene Belagerungsmentalität in Russland verfestigt. Die Bewohner der russischen Exklave Kaliningrad etwa reisten früher häufig nach Polen und in andere Länder. Jetzt verbringen sie mehr Zeit in anderen Teilen Russlands, während Polen seinen Grenzzaun mit Kaliningrad verstärkt. Je mehr Russland von der Außenwelt abgeschnitten ist, desto geringer werden langfristig die Aussichten, dass sich Alternativen zum jetzigen revisionistischen Narrativ entwickeln.

Solange der Kreml weiter imperial handelt, werden Abschreckung und Verteidigung gegen Russland richtigerweise die sicherheitspolitische Praxis und die entsprechenden Diskurse der westlichen Verbündeten bestimmen. Doch die Zeitenwende muss auch versuchen, katastrophale unbeabsichtigte Folgen abzuwenden und diejenigen unbeabsichtigten Folgen, die sich nicht vermeiden lassen, abzumildern. Risikomanagement hat nichts mit Feigheit zu tun. Wie Risikomanagement konkret aussehen sollte hängt davon ab, um welches Problem es geht. Was die militärische Eskalation betrifft, stehen Befürworter eines schrittweisen Vorgehens wie Bundeskanzler Olaf Scholz massiv in der Kritik. Zwar lassen sich die aktuellen Probleme der Ukraine auf dem Gefechtsfeld auch dadurch erklären, dass nicht genug und nicht die richtigen Waffensysteme geliefert wurden. Das Argument, das schrittweise Vorgehen trage zur Eskalationsverhinderung bei, ist aber auch nicht von der Hand zu weisen.

Im Nebel des Krieges, im Kontext großer Unsicherheit, gibt es keine einfachen Lösungen, sondern nur Risiken und Zielkonflikte. Deutschland braucht eine politische und öffentliche Debatte über unbeabsichtigte Folgen der Zeitenwende – eine Debatte, die sich auf Ungewissheiten und Komplexität einlässt und in der die Beteiligten ihre Annahmen offenlegen und hinterfragen. Da der von X und Talkshows geprägte Zeitgeist (pseudo-)markige Sprüche begünstigt, wird das freilich ein schwieriges Unterfangen. IPG 22.3.

 

 

 

Vor 80 Jahren. Für jeden toten Deutschen ermordeten NS-Besatzer zehn Italiener

 

Vor 80 Jahren verübten die deutschen NS-Besatzer eines ihrer schlimmsten Massaker auf italienischem Boden. Der Opfer wird am Ort des Verbrechens gedacht, in den Ardeatinischen Höhlen bei Rom. Aber nicht nur dort. Von Almut Siefert

 

Vor dem Haus mit der Nummer 10 in der Via Angelo Berardi im Südosten Roms ist eine quadratische Messing-Plakette in den Boden eingelassen. Das Messing glänzt noch, der darauf geschriebene Name strahlt dem Fußgänger hell entgegen. „Hier wohnte Carlo Camisotti“ steht auf dem Stolperstein, „geboren 1902, verhaftet am 14.3.1944, getötet am 24.3.1944 in den Fosse Ardeatine.“

Etwa fünf Kilometer Luftlinie entfernt findet man Carlo Camisottis Namen erneut. Auf dem Steinsarg mit der Nummer 96, auf dem über seinem Namen auch ein Foto prangt: Das dunkle Haar auf der Seite ordentlich gescheitelt, die gestreifte Krawatte um den weißen Hemdkragen gebunden, die Lippen zu einem zarten Lächeln geformt. Camisottis Sarg im Mausoleum der Ardeatinischen Höhlen (italienisch: Fosse Ardeatine). Vor 80 Jahren haben die deutschen Besatzer hier ein grauenvolles Massaker verübt.

Am 24. März 1944 töteten SS-Männer in den Höhlen 335 Jungen und Männer – aus Rache. Einen Tag zuvor hatten italienische Widerstandskämpfer in der Via Rasella in der Innenstadt von Rom einen Bombenanschlag verübt, bei dem 33 Mitglieder eines deutschen Besatzungstrupps getötet wurden. Als Vergeltung sollten für jeden getöteten Deutschen zehn Italiener hingerichtet werden, am Ende wurden es sogar 335. Aus Gefängnissen wurden politische Gefangene – Partisanen, Kommunisten, Antifaschisten – geholt. Hinzu kamen 75 Juden, die eigentlich in Vernichtungslager deportiert werden sollten.

Jahrzehnte unentdeckt in Argentinien gelebt

Organisiert wurde das Massaker von SS-Kommandant Herbert Kappler und SS-Hauptsturmführer Erich Priebke. Kappler wurde später in Rom zu lebenslanger Haft verurteilt. Am 15. August 1977 gelang ihm mithilfe seiner Frau die Flucht nach Deutschland. Der „Henker von Rom“ starb ein halbes Jahr später im niedersächsischen Soltau an Krebs.

Priebke wurde erst 1998 in Rom verurteilt. Er hatte Jahrzehnte lang unentdeckt in Argentinien gelebt. Trotz Verurteilung musste er nie ins Gefängnis, sein Gesundheitszustand verhalf ihm zum gelockerten Hausarrest. 2013 starb er im Alter von 100 Jahren. Reue zeigte er nie.

Nur wenige Gehminuten entfernt von dem Haus, in dem Carlo Camisotti lebte, stolpert man erneut. Vor einem Hoftor in der Via Capua 54 erinnert eine weitere Messing-Plakette im Boden an eines der Opfer des Massakers: Paolo Angelini. Er und Camisotti gehörten zu einer Gruppierung der Kommunistischen Partei, die im damaligen 8. Bezirk von Rom operierte, einer Hochburg der Partisanen, die gegen die deutschen Besatzer kämpften. Auf der Scheibe finden sich dieselben Daten, wie auf jener, die an Camisotti erinnert: „verhaftet am 14.3.1944, getötet am 24.3.1944 in den Fosse Ardeatine.“ Sein Steinsarg im Mausoleum der Ardeatinischen Höhlen ist nur wenige Meter von dem seines Kameraden entfernt, er trägt die Nummer 140.

Durch Genickschüsse getötet

Nach der Absetzung und Festnahme des faschistischen Diktators Benito Mussolini durch König Viktor Emmanuel III. hatte Italien im Zweiten Weltkrieg die Seiten gewechselt. Die deutsche Wehrmacht besetzte das Land daraufhin von September 1943 bis zur Kapitulation in Norditalien am 2. Mai 1945. Der 8. Bezirk von Rom, heute der 5., war für die Besatzer von enormem strategischem Interesse. Die Via Casilina, die zwischen dem Haus von Camisotti und dem von Angelini verläuft, stellte die Hauptversorgungslinie für die Front der Deutschen an der sogenannten Gustav-Linie dar, die etwa 100 Kilometer südlich von Rom verlief.

Camisotti und Angelini wurden verhaftet, während sie mit anderen auf dem Weg zu einem italienischen Offizier waren, der im Dienste der SS stand. Er war für zahlreiche Verhaftungen in ihrem 8. Bezirk verantwortlich. Das Ziel der Gruppe: ihn töten. Sie wurden erkannt, verhaftet und kamen ins Gefängnis.

Zehn Tage später zählten die beiden Männer zu jenen 335, die auf Lastwagen zu den Tuffsteinhöhlen an der Via Ardeatina gefahren wurden. In Fünfergruppen führten ihre Mörder sie in das stillgelegte Bergwerk, ihre Hände waren auf dem Rücken gefesselt. Sie mussten sich niederknien und wurden durch Genickschüsse getötet. Mehr als fünf Stunden dauerte das Grauen. Dann wurden die Höhlen gesprengt, die Getöteten darin begraben.

„Nur weil sie Italiener waren“

Kurz nach der Befreiung Roms im Juni 1944 begann man, die Leichen der Opfer auszugraben und zu identifizieren. 1949 wurde die Gedenkstätte eingeweiht.

Jedes Jahr wird dort der Getöteten gedacht. Zum 80. Jahrestag ist Kulturstaatsministerin Claudia Roth (Grüne) von ihrem Amtskollegen Gennaro Sangiuliano eingeladen worden. Der parteilose Politiker steht den Fratelli d’Italia von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni nah. Die Partei ist die Nachfolgerin des Movimento Sociale Italiano (MSI), in dem sich nach dem Zweiten Weltkrieg Sympathisanten und Gefolgsleute Mussolinis versammelten.

Gerade an Tagen wie dem 24. März wird genau geschaut, wie sich die Repräsentanten der rechtsnationalen Regierungspartei äußern. 2023 erntete Meloni heftige Kritik für ihr Statement. „335 unschuldige Italiener wurden niedergemetzelt, nur weil sie Italiener waren“, sagte sie. Dass die Opfer Antifaschisten, Partisanen und Juden waren – darüber verlor sie kein Wort. (epd/mig 22.3.)

 

 

 

Die andere europäische Wahl

 

Der Europarat wacht über die Einhaltung von Demokratie und Menschenrechten. In diesem Jahr steht er an einem Scheideweg. Ingmar Naumann

 

Die Wahl zum Europäischen Parlament findet im Juni statt. Doch in den weitläufigen Hallen des Straßburger Europapalastes, die von den geschwungenen Holzkonstruktionen der 1970er Jahre geprägt sind, treten drei weitere Schlüsselfiguren ins Rampenlicht: Didier Reynders, Alain Berset und Indrek Saar. Ihre Kandidaturen für das Amt des Generalsekretärs des Europarates könnten das Zünglein an der Waage sein, das bestimmt, wie Regierungen und europäische politische Parteien in diesem Jahr Schlüsselpositionen besetzen und die Rolle der Organisation auf der europäischen und internationalen Bühne gestalten.

Verkannt und chronisch unterschätzt, steht der Europarat – eine von der Europäischen Union (EU) völlig unabhängige internationale Organisation – bis heute im Schatten seiner Namensvetter, dem Europäischen Rat (bestehend aus den Staats- und Regierungschefs der EU-Länder) und dem Rat der EU (bestehend aus den Ministerinnen und Ministern der nationalen Regierungen der EU). Im Mai 1949 gegründet, war er die erste europäische Nachkriegsorganisation. Heute zählt er 46 Mitglieder: Alle EU-Mitgliedstaaten sowie alle europäischen Flächenstaaten, einschließlich der Türkei, gehören dem Europarat an, mit den Ausnahmen Belarus und Kosovo. Trotz seiner historischen Bedeutung und der Schaffung bahnbrechender Standards wie der Europäischen Menschenrechtskonvention, die einen umfassenden Katalog grundlegender Menschenrechte in den Mitgliedsstaaten verankert und eine einzigartige Klagemöglichkeit geschaffen hat, sah er sich in den letzten Jahren einem schwindenden Einfluss und wachsender Kritik ausgesetzt. Als „zahnloser Tiger“ verspottet, schien er vor allem gegenüber der EU ins Hintertreffen zu geraten.

Doch Russlands Einmarsch in die Ukraine und die dadurch ausgelöste Zeitenwende haben den Europarat wieder ins Rampenlicht der internationalen Politik gerückt. Der beispiellose Ausschluss Russlands aus der Organisation im März 2022 war eine unmissverständliche Botschaft an die Welt: Der Europarat ist entschlossen, seine Grundprinzipien zu verteidigen. Das politische Erdbeben hat der Bedeutung dieser Organisation neue Dringlichkeit verliehen und sie als unverzichtbares Dialogforum für die Ukraine, den Westbalkan und den Kaukasus positioniert.

Die Beziehungen zwischen der EU und dem Europarat gleichen einem anspruchsvollen Tanz auf hohem, aber unterschiedlichem diplomatischem Parkett. Der Europarat, der ältere und erfahrenere Tänzer, rühmt sich zu Recht seiner Unabhängigkeit und seines reichen Repertoires an Maßnahmen zum Schutz der Menschenrechte, zur Förderung der Rechtsstaatlichkeit und zur Stärkung der Demokratie. Er hat zwar weder Souveränitätsrechte noch Gesetzgebungskompetenzen, ist aber unangefochtener Meister im Verfassen von Konventionen, die wiederum von den Mitgliedstaaten ratifiziert werden müssen. Die EU, der jüngere und dynamischere Partner, bewegt sich mit wirtschaftlicher und politischer Kraft. In dieser Choreografie muss sich der Europarat oft der dominanten Führung der EU beugen – so scheint es auf den ersten Blick. Eine feine Pointe: Die EU, deren Handlungsspielraum durch den Vertrag von Lissabon erweitert wurde, beruft sich regelmäßig auf gemeinsame Standards und nutzt Einhaltungs- und Kontrollmechanismen wie die Wahlbeobachtung durch den Europarat. So liefert der Europarat die Normen und Standards, während die EU ihre politische und wirtschaftliche Macht nutzt, um sie in ihren Außenbeziehungen durchzusetzen.

Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte (EGMR) in Straßburg strahlt wie ein Juwel der Rechtsstaatlichkeit, auch wenn er mit Tausenden von Fällen überlastet ist. Entgegen der landläufigen Meinung ist der Gerichtshof ein scharfes Schwert im Arsenal des Europarates, der als bestallter Hüter und Siegelwahrer der Menschenrechte in Europa fungiert. Die Schärfe seiner Klinge zeigt sich darin, dass alle 46 Mitgliedstaaten die Europäische Menschenrechtskonvention ratifiziert haben, was bedeutet, dass die Urteile des Gerichtshofs für alle diese Staaten und Regierungen bindend sind. Ein eindrucksvolles Beispiel ist das „Big Brother Watch“-Urteil von 2021 gegen das Vereinigte Königreich. Darin stellte der Gerichtshof fest, dass die Massenüberwachung durch den britischen Geheimdienst gegen das Recht auf Privatsphäre und Meinungsfreiheit verstößt. Das Urteil hatte weitreichende Folgen für die Überwachungspraxis in Europa und setzte neue Maßstäbe für das empfindliche Gleichgewicht zwischen nationaler Sicherheit und bürgerlichen Freiheiten. Der vermeintlich „zahnlose Tiger“ entpuppt sich im Zweifel als wehrhafter Hüter der Menschenrechte. Die langjährigen Drohungen der Hardliner in der Tory-Partei des britischen Premierministers Rishi Sunak, den Europarat verlassen zu wollen, bestätigen daher eher dessen tagespolitische Wirkmacht.

Doch der Europarat sieht sich im aktuellen politischen Gezeitenwechsel mit einem schwindenden Respekt für demokratische Regeln und rechtsstaatliche Prinzipien konfrontiert. Dies zeigt sich, wenn Mitgliedstaaten Empfehlungen schlicht ignorieren, Untersuchungen zur Menschenrechtslage aktiv behindern oder Urteile des Menschenrechtsgerichtshofs einfach nicht umsetzen. Ein Blick auf Länder wie Ungarn, die Türkei und bis vor kurzem auch Polen vermittelt ein eindringliches Bild der Problematik. Dabei stellen sich neben vielen praktischen auch grundsätzliche Fragen: Wie viele Verstöße gegen die Normen und Regeln der Organisation können toleriert werden, ohne die Glaubwürdigkeit des Europarates zu untergraben?

Inmitten dieser Turbulenzen wird in diesem Jahr ein neuer Generalsekretär des Europarates von der Parlamentarischen Versammlung gewählt. Seit 2019 bekleidet die Kroatin Marija Pej?inovi? Buri? das Amt, in dem sie für die Außenvertretung, die strategische Planung, das Arbeitsprogramm und den Haushalt des Europarates zuständig ist. Drei Kandidaten haben nun ihren Hut in den Ring geworfen: der belgische EU-Justizkommissar Didier Reynders, der ehemalige Schweizer Bundespräsident Alain Berset und der ehemalige estnische Kulturminister Indrek Saar. In einem nächsten Schritt wird das Ministerkomitee die Kandidaten befragen und eine Empfehlung an die Parlamentarische Versammlung aussprechen.

Andere wichtige Weichen für die Zukunft des Europarates wurden bereits im Januar 2024 gestellt: Im zweiten Wahlgang wählte die Parlamentarische Versammlung den Iren Michael O'Flaherty zum neuen Menschenrechtskommissar und den Griechen Theodoros Rousopoulos zum neuen Präsidenten der Parlamentarischen Versammlung, der in seiner Antrittsrede deutlich machte, dass neben der Ukraine und der Aufarbeitung der dort begangenen Verbrechen die Erhöhung der Sichtbarkeit der Organisation oberste Priorität haben werde.

Die Wahl des Generalsekretärs im Juni und sein Amtsantritt im September 2024 sind weit mehr als Formalitäten – sie werden die Zukunft des Europarates entscheidend prägen. In einer Zeit, in der autoritäre Regime auf dem Vormarsch sind und die Pfeiler von Demokratie und Menschenrechten ins Wanken geraten, muss der Europarat den Anspruch erheben, mehr zu sein als ein symbolisches Bollwerk. Er steht vor der Aufgabe, sich als unverzichtbare Bastion im Kampf für Menschenrechte und Demokratie zu behaupten und seine strategische Bedeutung zu erhöhen. Doch wie kann das gelingen?

Eine Antwort könnte in der sich rasant entwickelnden Digitalisierung liegen, bei der der Europarat bereits eine wichtige Rolle spielt. Durch die Überarbeitung der Datenschutzkonvention stellt er sicher, dass moderne Probleme wie Big Data und KI-gestützte Überwachungssysteme angegangen werden, um die Privatsphäre und die Grundrechte der Bürgerinnen und Bürger zu schützen. Die Organisation steht auch kurz vor dem Abschluss der Verhandlungen über eine KI-Konvention, die sicherstellen soll, dass der Einsatz von KI sowohl im öffentlichen als auch im privaten Sektor transparent und den Menschenrechten verpflichtet ist. Ein weiteres Beispiel ist die Anpassung an neue Formen der Cyberkriminalität. Angesichts zunehmender Cyber-Angriffe auf kritische Infrastrukturen muss er Rahmenbedingungen schaffen, die den Mitgliedstaaten helfen, ihre digitalen Verteidigungsstrategien unter Wahrung der Bürgerrechte zu stärken. Es liegt auf der Hand, dass diese hochkomplexen Aufgaben und die koordinierte Zusammenarbeit der verschiedenen Organe eine entsprechende finanzielle Ausstattung erfordern, an der es derzeit offensichtlich mangelt.

2024 wird zweifellos ein entscheidendes Jahr für den Europarat. Auch wenn die Wahl des neuen Generalsekretärs weniger Aufmerksamkeit auf sich ziehen dürfte als die Wahl des Europäischen Parlaments im gläsernen Nachbargebäude, ist sie doch von immenser Bedeutung. Wie und mit welchen Maßnahmen der neue Generalsekretär den enormen Herausforderungen der Gegenwart begegnen wird, entscheidet nicht nur über die Zukunft der Organisation, sondern hat potenziell weitreichende Auswirkungen auf die gesamte politische Entwicklung Europas. IPG 22.3.

 

 

 

Religionsmonitor. Die meisten Deutschen solidarisch mit Flüchtlingen

 

Dem neuen Religionsmonitor zufolge stärkt Religion den gesellschaftlichen Zusammenhalt. Sie kann zu einer besseren Gemeinwohlorientierung beitragen und Brücken zwischen Menschen bauen - auch gegenüber Geflüchtete. Allerdings: Muslime sind eher mit Syrern solidarisch, Christen mit Ukrainern.

Die Spendenbereitschaft und das freiwillige soziale Engagement der Deutschen ist einer neuen Studie zufolge hoch. „Wir sind solidarischer, als wir denken!“, heißt es in einem Gastbeitrag der Leiterin des Religionsmonitors der Bertelsmann Stiftung, Yasemin El-Menouar, in der Wochenzeitung „Die Zeit“. Der neue Monitor soll am Donnerstag vorgestellt werden.

Die Gesellschaft verfügt der Soziologin El-Menouar zufolge über stabile „Solidaritätsressourcen und ist weit hilfsbereiter, als es uns aktuelle Debatten über ein soziales Auseinanderdriften und ein Zerbrechen des Zusammenhalts glauben machen“. Dabei wirke Religion als einer der wichtigsten positiven Faktoren. „Man kann sagen: Der Glaube fördert solidarisches Verhalten“, so die Forscherin.

So ist die große Mehrheit der Deutschen weiterhin bereit, Geflüchtete zu unterstützen. Insgesamt wollten 73 Prozent der Befragten geflüchteten Syrern helfen und 79 Prozent geflüchteten Ukrainern, schreibt El-Menouar in der „Zeit“. Allerdings falle auf, dass die Helfer besonders gern jene unterstützten, die ihnen kulturell nahestehen, fügte die Forscherin hinzu: „82 Prozent der Christen würden gern Ukrainern helfen, 88 Prozent der Muslime gern Syrern.“

Wenig Vertrauen in Mitmenschen

Allerdings haben laut Studie trotz weitverbreiteter Hilfsbereitschaft in Deutschland fast die Hälfte der Bürger (48 Prozent) wenig Vertrauen in ihre Mitmenschen: „55 Prozent glauben, wer Rücksicht auf andere nehme, ziehe den Kürzeren.“ Auffällig sei das deutlich geringere soziale Vertrauen in der muslimischen Bevölkerung, was sich aus ihrer Benachteiligung erklären könnte, so Studienleiterin El-Menouar: „Je häufiger Musliminnen und Muslime Diskriminierung erleben, desto größer ihr Misstrauen.“

Hilfsbereitschaft wird der Studie zufolge besonders von religiösen Menschen vorgelebt. El-Menouar: „Während sich unter den Konfessionslosen lediglich 17 Prozent ehrenamtlich engagieren, sind es unter den religiös Gebundenen mit 31 Prozent nahezu doppelt so viele.“ Überraschend sei vor allem die sehr hohe Gesamtzahl der spendenbereiten Bürger, hieß es. Bei den religiös Gebundenen liege der Anteil derer, die im Jahr 2022 gespendet haben, mit rund 70 Prozent deutlich über dem Anteil bei den Nichtreligiösen (59 Prozent).

Einfluss der Religion auf Solidarität

Die neue Bertelsmann-Studie basiert den Angaben zufolge auf einer repräsentativen Befragung von knapp 11.000 Menschen in Deutschland sowie dem Vergleich mit sechs anderen Ländern. Unter dem Titel „Ressourcen für Solidarität“ werde untersucht, wie solidarisch die Deutschen sind und welchen Unterschied Religion hierbei macht.

Bereits die Ende vergangenen Jahres vorgestellte jüngste Kirchenmitgliedschafts-Untersuchung (KMU) hatte eine ähnliche Tendenz. Die Untersuchung zeigte, dass 49 Prozent der Katholischen und 46 Prozent der Evangelischen sich in irgendeiner Weise ehrenamtlich engagieren. Bei den Konfessionslosen waren es den Angaben zufolge 32 Prozent. Ob sich jemand ehrenamtlich engagiere, auch außerhalb der Kirche, wird danach zu ganz erheblichen Teilen durch kirchliche Religiosität bestimmt. (epd/mig 22.3.)

 

 

 

Fachkräftemangel bedroht den deutschen Wohlstand – Lösungswege führen nach Europa

 

Die bislang immer noch vollkommen unterschätzten wirtschaftlichen, aber auch gesellschaftlichen Auswirkungen des Fachkräftemangels sowie Lösungsansätze aus einer gesamteuropäischen Perspektive heraus sind die Kernthemen des neuen Buchs „Wohlstandskiller Fachkräftemangel! Endlich europäisch denken und handeln!“ von Philipp Erik Breitenfeld, das am 10. April bei Books on Demand erscheint.  

Der Autor, Speaker und Unternehmer beschäftigt sich seit über 20 Jahren mit dem deutschen Arbeitsmarkt und der Rekrutierung von Arbeitskräften. Als CEO der Humanus Personalservice GmbH hat er in den vergangenen 10 Jahren mit seinen inzwischen 650 Mitarbeitern über 3.600 Fachkräfte aus dem EU-Ausland in den deutschen Arbeitsmarkt integriert. „Wenn wir nicht in der Lage sind, den Fachkräftemangel zu beheben, ist unsere deutsche Wohlstandsgesellschaft ernsthaft bedroht“, diagnostiziert Breitenfeld und fordert zum Umdenken auf. Mit seinem neuen Werk liefert er ein fundiertes Plädoyer für die Nutzung europäischer Talente, um den Wirtschaftsstandort Deutschland zu retten.

„Wohlstandskiller Fachkräftemangel!“ ist aufrüttelndes Werk und faszinierende Lektüre für Politiker, Wirtschaftsführer und Unternehmer sowie alle Menschen, die sich Gedanken um die Arbeitswelt von morgen und den sozialen Zusammenhalt in unserer Gesellschaft machen. Denn Arbeit ist nach wie vor Motor und gleichzeitig sozialer Kitt für das Zusammenleben in unserem Land, das immer noch eine der führenden Wirtschaftsnationen der Welt ist. Aber diese Position ist nachhaltig gefährdet.

Durch sorgfältige Analyse und konkrete Strategien zeigt Philipp Erik Breitenfeld Wege weg von nationalen Engpässen und hin zu einer grenzüberschreitenden Talentmobilität. Von denen nicht nur deutsche Unternehmen profitieren werden, sondern die den Wirtschaftsstandort nachhaltig stärken und erneut zu einem Vorbild mit vielen positiven Effekten für die europäischen Nachbarn machen.

„Der demografische Wandel bedroht insbesondere den deutschen Mittelstand und viele Wirtschaftszweige. Dieses Buch bietet wertvolle Einsichten und Handlungsempfehlungen.“ Der Unternehmer und Personal-Experte Prof. Dr. Jörg Knoblauch spricht in seinem Vorwort auch über seine Überzeugung, dass man über nationale Grenzen hinausblicken muss, um den Fachkräftemangel zu bekämpfen. Sein Fazit: „In diesem Buch werden mentale und praxisnahe Lösungsansätze präsentiert, die auf Empathie und interkultureller Kompetenz aufbauen. Es ist ein dringend benötigter Beitrag, um weiterhin erfolgreich arbeiten und den hohen Lebensstandard unserer Gesellschaft erhalten zu können.“

Bibliographische Angaben. „Wohlstandskiller Fachkräftemangel! Endlich europäisch denken und handeln!“

© 2024 Philipp Erik Breitenfeld, Verkaufspreis: 29,80 €, Humanus Personalservice GmbH https://www.high-speed-recruiting.de  

Markus Coenen 21.3.3

 

 

 

Wahlprognose zur Europawahl 2024: Rechte Parteien auf dem Vormarsch, Sitzmehrheit nur mit großer Koalition möglich

 

* Rechte Parteien im Aufwind, aber keine populistische Welle

* Wahlerfolge für Le Pen, Meloni und Wilders in Sicht

* EVP-Fraktion klar vorne, keine Mehrheit ohne große Koalition

* Prognose für Deutschland: Grüne verlieren, AfD und BSW legen zu

 

Hamburg – Die vermehrten Erfolge der politischen Rechten bei einer Reihe von nationalen Wahlen, hat viele Analysten dazu veranlasst, einen Rechtsruck bei den bevorstehenden Europawahlen vorauszusagen, die vom 6. bis 9. Juni 2024 abgehalten werden. Vor diesem Hintergrund hat Euronews das Markt- und Meinungsforschungsinstitut Ipsos damit beauftragt, drei Monate vor den EU-Wahlen eine Prognose über die Zusammensetzung des nächsten Europäischen Parlaments zu erstellen, um ein klareres und objektiveres Bild der aktuellen Situation zu erhalten.

Es ist das erste Mal, dass eine Hochrechnung zur EU-Wahl auf der Grundlage von parallel durchgeführten nationalen Befragungen von ein und demselben Meinungsforschungsinstitut umgesetzt wurde. Hierfür hat Ipsos in den 18 bevölkerungsreichsten Ländern der Europäischen Union über 25.000 wahlberechtigte Personen zu ihrer Wahlabsicht befragt. Die Ergebnisse sind repräsentativ und bilden rund 96 Prozent der EU-Bevölkerung und 89 Prozent der Europaabgeordneten ab.

 

Zugewinne für rechte Fraktionen, aber keine populistische Welle

Die Wahlprognose zeigt, dass die beiden rechtspopulistischen bzw. nationalistischen Fraktionen nach aktuellem Stand an Boden gewinnen würden: Die Fraktion Identität und Demokratie (ID), zu der auch die AfD gehört, würde 81 Abgeordnete stellen (bislang 59). Die Fraktion der Europäischen Konservativen und Reformer (ECR), deren größte Partei bislang die polnische PiS ist, würde von 68 auf 76 Sitze anwachsen.

Insgesamt würden diese beiden rechten Fraktionen nun mehr als ein Fünftel (21,8 %) aller gewählten Abgeordneten des EU-Parlaments stellen, ein neuer Rekord: 2019 lag dieser Wert noch bei 18 Prozent, 2014 bei 15,7 Prozent, 2009 bei 11,8 Prozent und 2004 nur bei 8,7 Prozent. Trotz dieses deutlichen Anstiegs ist der rechte Flügel aber noch weit davon entfernt, das Europäische Parlament zu dominieren.

Die Zugewinne für die radikale Rechte hängen u. a. mit dem sehr guten Ergebnis des französischen Rassemblement National (28 Sitze, +10), dem Aufstieg der deutschen AfD (15 Abgeordnete, +6) und den Umfrageerfolgen von Geert Wilders PVV in den Niederlanden (9 Sitze, +9) zusammen. Der Stimmengewinn ist jedoch kein einheitliches Phänomen in ganz Europa. In Italien z. B. stagnieren die Rechten: Die Partei Fratelli d'Italia von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni legt zwar stark zu (24 Sitze, +14), aber hauptsächlich auf Kosten der ebenfalls nationalistischen Lega von Matteo Salvini (7 Abgeordnete, -16). Und in Polen ist die PiS-Partei, die bei den Parlamentswahlen 2023 die Macht verloren hat, stark rückläufig (16 Sitze, -11).

 

Nur große Koalition würde Mehrheit im EU-Parlament erreichen

Der Vormarsch nationalistischer Parteien würde das Zentrum des nächsten Europäischen Parlaments zwar leicht nach rechts verschieben, aber das grundlegende Gleichgewicht nicht verändern. Nur eine große Koalition, bestehend aus Abgeordneten der bürgerlich-konservativen Europäischen Volkspartei (EVP), der Sozialdemokraten (S&D) und der Fraktion "Renew Europe", die liberale und zentristische Parteien vereint, würde eine Mehrheit der Sitze gewinnen (398 von 720). Während die Werte für die EVP- (177 Sitze, -1) und S&D-Fraktion (136 Abgeordnete, -4) recht stabil sind, müssen die Liberalen mit starken Verlusten rechnen (85 Sitze, -17).

Die Fraktion der Grünen/EFA, die häufig den vom Parlament angenommenen Texten zustimmt, wird wahrscheinlich ebenfalls viele Sitze verlieren (55, -17) und würde damit ihr Rekordergebnis von 2019 nicht bestätigen.

Alternative Koalitionen wären wahrscheinlich nicht auf Dauer tragfähig. Eine Mitte-Rechts-Koalition (EVP, Renew, ECR) hätte mit nur 338 von 720 Abgeordneten keine Mehrheit im Europäischen Parlament. Eine Rechtskoalition (EVP, ID, ECR), würde laut Prognose 334 Sitze erhalten.

 

CDU/CSU als stärkste nationale Delegation gleichauf mit Le Pen

Die beiden traditionell größten Fraktionen im Europäischen Parlament, die EVP und die S&D, würden insgesamt nur 313 Abgeordnete (43,5 % der Gesamtzahl) stellen; der niedrigste Wert seit 1979. Obwohl die CDU/CSU-Gruppe mit 28 deutschen Europaabgeordneten weiterhin die stärkste nationale Delegation im nächsten EU-Parlament stellen könnte, liegt sie in der aktuellen Ipsos-Prognose inzwischen nur noch gleichauf mit dem französischen Rassemblement National. Bestätigt sich dieser Trend bei den Wahlen im Juni, könnte zum ersten Mal eine Rechtsaußenpartei die größte Delegation im Europäischen Parlament bilden.

Wahlprognose für Deutschland: Grüne verlieren, AfD und BSW legen zu

Der Blick auf die Wahlabsichten der deutschen Bevölkerung bei der Europawahl zeigt ebenfalls deutliche Verschiebungen. Die Union würde ihr Ergebnis vom Jahr 2019 mit 29 Prozent der Stimmen in etwa halten (28 Sitze, -1), ebenso wie die SPD, die bei 17 Prozent liegt und mit 16 Europaabgeordneten (±0) rechnen kann. Für die Grünen und die AfD würden sich 16 Prozent der Wahlberechtigten entscheiden, was jeweils 15 Sitzen im EU-Parlament entspricht. Während die Grünen jedoch 6 Sitze im Vergleich zur letzten EU-Wahl verlieren würden, gewinnt die AfD nach jetzigem Stand 4 Abgeordnete hinzu. Das Bündnis Sahra Wagenknecht (7 %) würde aus dem Stand 7 Europaabgeordnete stellen. Die FDP (4 %) und die Linke (4 %) würden jeweils einen Sitz verlieren (4 Sitze, -1), während die Freien Wähler (3 %) mit 3 Abgeordneten vertreten wären (+1).

Ipsos 20.3.

 

 

 

Putin 5.0

 

Mit der Wahl ohne Wahl wollte Moskau den Kriegskurs legitimieren. Was folgt nun in Russland? Ruslan Suleymanov

 

Es waren markige Worte nach dem Triumph: „Wir werden über die Zukunft unseres großartigen Heimatlandes nachdenken, über die Zukunft unserer Kinder. Wenn wir danach handeln, sind wir mit Sicherheit zum Erfolg verdammt!“ Wladimir Putin ließ sich bei seiner Rede nach der Wahl zum Präsidenten am 18. März 2018 feiern. Danach erlebte Russland sehr unterschiedliche Ereignisse. Im selben Jahr waren viele russische Metropolen erfolgreiche Austragungsorte der Fußball-Weltmeisterschaft. 2020 entließ Putin seinen treuesten Schützling, Premierminister Dmitri Medwedew. Danach kam es zu umfangreichen Verfassungsänderungen, die es ihm überhaupt erst ermöglichten, 2024 erneut Präsident zu werden.

Parallel zeigte sich zunehmend die dunkle Seite des neuen Russlands. In denselben sechs Jahren begann der russische Staat, unabhängige Journalisten und Persönlichkeiten des öffentlichen Lebens fleißig mit dem Stempel „ausländischer Agent“ zu brandmarken. Auf dieser Liste stehen heute mehr als 300 Personen, die nach einem neuen Gesetz nicht einmal mehr mit Werbetreibenden zusammenarbeiten dürfen. Putins wichtigster politischer Gegner Alexej Nawalny wurde im August 2020 vom russischen Geheimdienst mit dem Nervengift Nowitschok vergiftet. Nach einer Behandlung in Deutschland und seiner Rückkehr im Januar 2021 wurde er wegen fiktiver Kriminalfälle inhaftiert.

Doch das war noch nicht das wichtigste und blutigste Ereignis in Putins vergangener Amtszeit. Der 24. Februar 2022 wurde zum geschichtlichen Ereignis, als der Kremlchef eine umfassende Militärinvasion in die benachbarte Ukraine startete. Hunderttausende Menschen sind in diesem Krieg inzwischen gestorben, ein Ende ist nicht in Sicht.

Zu diesem Kurs und dem Krieg war die aktuelle Wiederwahl Putins eine Art Referendum. Es sollte die Invasion in der Ukraine legitimieren und zeigen, dass die russische Bevölkerung dieses verrückte Abenteuer unterstützt. Dabei haben die Behörden alles getan, um Überraschungen zu vermeiden. Einen Monat vor der Wahl starb unvermittelt Nawalny – der die Russen aktiv dazu gedrängt hatte, zur Wahl zu gehen und gegen Putin zu stimmen –, versteckt in einer abgelegenen Strafkolonie im arktischen Norden. Alle unabhängigen Kandidaten, die den Krieg und das Staatsoberhaupt kritisierten, wurden nicht zum Urnengang zugelassen.

Darüber hinaus fand die Präsidentschaftswahl erstmals dreitägig statt. Dies vereinfachte etwaige Betrugsversuche der Behörden erheblich. In 29 Regionen wurde zudem eine elektronische Stimmabgabe eingeführt, die zuvor erstmals bei der Parlamentswahl 2021 getestet wurde und bereits Fragen zum Auszählungsergebnis aufwarf. Oppositionskandidaten, die damals in den Wahllokalen gewonnen hatten, verloren nach der Addition der Ergebnisse der elektronischen Stimmen.

Bei der diesjährigen Wahl wurde das „richtige“ Ergebnis mit Druck erzielt. Behörden, Staatsfirmen und Privatunternehmen wurde am ersten Wahltag, einem Arbeitstag, befohlen, ihre Mitarbeiter in die Wahllokale zu schicken. Darüber hinaus war am Arbeitsplatz eine elektronische Stimmabgabe möglich. Zwecks Erreichung einer hohen Wahlbeteiligung boten die Behörden den Wählerinnen und Wählern zusätzlich zahlreiche Prämien an, von Eintrittskarten für Vergnügungsparks bis hin zu Restaurantbesuchen. In den besetzten Gebieten der Ukraine wurde das russische Staatsoberhaupt ebenfalls gewählt, buchstäblich mit vorgehaltener Waffe. In jedem Wahllokal waren bewaffnete Soldaten im Einsatz.

Einen Schatten auf der Inszenierung gab es nur am letzten Wahltag, dem 17. März. Dem Aufruf der russischen Exilopposition folgend, stellten sich um Punkt 12 Uhr zahlreiche Russinnen und Russen in kilometerlange Schlangen vor die Wahllokale, um für andere Kandidaten als Putin zu stimmen oder den Stimmzettel ungültig zu machen. Angesichts der völligen Undurchsichtigkeit der Stimmauszählung ist es schwierig zu beurteilen, wie stark diese Aktionen das Wahlergebnis beeinflussten. Es ist überhaupt kaum möglich zu sagen, wie viele Stimmen ungültig abgegeben wurden oder für andere Kandidaten als Putin. In jedem Fall wurde Putins Legitimität mit dem Wahlverlauf ein schwerer Schlag versetzt.

Die Behörden waren offenbar überzeugt, dass die Antikriegsstimmung in Russland sehr groß ist. An Nawalnys Grab versammelten sich mehr Menschen als bei jeder Kundgebung zur Unterstützung des Krieges. Erst zwei Monate zuvor, im Januar des russischen Winters, hatten sich lange Warteschlangen gebildet, um für die Präsidentschaftskandidatur des Kriegsgegners Boris Nadeschdin zu unterschreiben – der Kreml verhinderte daraufhin seine Registrierung.

Nominell gibt es laut der Zentralen Wahlkommission nun den angestrebten Zuwachs. 77 statt wie beim letzten Mal 67 Prozent Wahlbeteiligung, 87 statt 77 Prozent Stimmenanteil für Putin. Die russische Staatspropaganda deutet das enthusiastisch als Einheit der Russinnen und Russen um ihren Anführer. „Ich weine selten. Aber als ich diese Worte hörte, brach ich tatsächlich in Tränen aus. Die Wimperntusche verlief. Ich habe noch nie so eine Freude und so einen Stolz empfunden. (…) Mit ängstlicher, fast religiöser Beklommenheit, mit stockendem Atem warte ich nun jeden Tag auf die Wiederholung dieser Gefühle: Wenn alle russischen Länder zu Russland zurückkehren, so wie die Krim vor zehn Jahren zurückgekehrt ist.“ So drückte Margarita Simonjan, Chefredakteurin des russischen Auslands-Propagandasenders RT, ihre Gefühle in den Sozialen Netzwerken aus.

Er klingt hier an, der sogenannte Krim-Konsens, den der Kreml 2014 nach der Annexion der Krim der russischen Gesellschaft vorschlug: Die Erweiterung des Territoriums und die Stärkung der Souveränität als Ausgleich für eine Verschlechterung der wirtschaftlichen Lage, beginnend mit einer Abwertung des Rubels und einem Rückgang der Reallöhne. Doch dieser Konsens wurde 2022 auf den Kopf gestellt. Während es vor der Invasion möglich war, relativ ruhig seinen Angelegenheiten nachzugehen und private Vorlieben unpolitisch auszuleben, ist es nun erforderlich, der Staatsideologie die Treue zu schwören und den Krieg zu unterstützen. Das aussagekräftigste Beispiel ist eine Party russischer Prominenter in einem Moskauer Nachtclub im Dezember 2023. Die Feier, bei der viele der Gäste fast „nackt“ waren, fand in patriotischen Kreisen große Resonanz. Alle Teilnehmer sahen sich danach gezwungen, den Krieg öffentlich zu unterstützen, in die von Russland besetzten Gebiete zu reisen, für Putin zu stimmen und das in den Sozialen Netzwerken zu verkünden.

Was die Beziehungen zur Außenwelt angeht, geht der Blick Putins ausnahmsweise einmal nicht zurück, vor allem nicht in Richtung der westlichen Länder. Das aktuelle Wahlverfahren hält sich nicht mehr an grundlegende westliche Standards. Putin sieht sich als Anführer der antiwestlichen Welt und des Globalen Südens, seine wichtigsten Verbündeten – China, Iran, Nordkorea oder Syrien – haben nichts mit Demokratie am Hut.

Auf die eine oder andere Weise wird das zentrale Thema für Russland in den nächsten sechs Jahren der Krieg in der Ukraine bleiben. Eigentlich ist dieser Putins größter Misserfolg in seiner gesamten politischen Karriere – und das gilt es zu korrigieren. Die Russinnen und Russen müssen unpopuläre Wirtschaftsmaßnahmen erwarten, es gilt, den „Gürtel enger zu schnallen“. Beim Übergang zu einer Kriegswirtschaft und einer neuen Mobilisierungswelle wird es nicht bleiben. Sollte Putin seine Ziele dennoch in den kommenden sechs Jahren nicht erreichen: 2030 wird er die Möglichkeit haben, sich mit der aktuellen Selbstverständlichkeit wiederwählen zu lassen. IPG 19.3.

 

 

 

Flüchtlingspakt. EU verspricht Ägypten Milliarden für Grenzschließung

 

Die EU und Ägypten wollen ihre Zusammenarbeit stark ausbauen. Es geht um wirtschaftliche und politische Stabilität in Nordafrika, aber auch um geopolitische Interessen. Und es gibt einen weiteren Schwerpunkt: Kampf gegen Geflüchtete – und um Anwerbung von Fachkräften für Europa. Von Ansgar Haase und Cindy Riechau

 

Angesichts anhalten Flüchtlingsbewegung will die EU ihre Zusammenarbeit mit Ägypten erheblich ausbauen und dem wirtschaftlich angeschlagenen Land Finanzhilfen in Höhe von rund 7,4 Milliarden Euro gewähren. EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen unterschrieb dazu am Sonntag in Kairo mit Ägyptens Präsident Abdel Fattah al-Sisi eine Erklärung für eine „umfassende und strategische Partnerschaft“. Bei ihr soll es um einen Ausbau der Zusammenarbeit zur Eindämmung unerwünschter Migration, aber auch um wirtschaftliche und politische Kooperation gehen.

Von der Leyen sprach nach der Unterzeichnung der Erklärung von einem „historischen Meilenstein“ in den Beziehungen zwischen der EU und Ägypten. Sie verwies auch auf die Bedeutung Ägyptens bei der Suche nach einer friedlichen Lösung für den Konflikt zwischen Israel und den Palästinensern. „Wir alle sind äußerst besorgt über den Krieg in Gaza und die katastrophale humanitäre Lage“, sagte die Deutsche.

Von den geplanten EU-Finanzhilfen sind den Angaben zufolge 5 Milliarden Euro für Darlehen und 1,8 Milliarden Euro für Investitionen in Bereiche wie Ernährungssicherheit und Digitalisierung vorgesehen. 600 Millionen Euro sollen demnach als Zuschüsse fließen, 200 Millionen davon für das sogenannte „Migrationsmanagement“.

Sorgen wegen steigender Flüchtlingszahlen

Hintergrund der Unterstützungspläne ist vor allem, dass Ägypten selbst Millionen Geflüchtete aus Krisenländern aufgenommen hat und derzeit in einer schweren Wirtschaftskrise steckt. Sehr viele Menschen haben mit einer Inflationsrate von 35 Prozent sowie einer hohen Arbeitslosigkeit zu kämpfen. Immer mehr Ägypter rutschen in Armut ab.

Eine Rolle spielt zudem auch die Sorge in der EU vor steigenden Flüchtlingszahlen. Insbesondere Griechenland registrierte zuletzt zunehmende Ankünfte von Geflüchteten ägyptischer Herkunft über eine neue Flüchtlingsroute vom libyschen Tobruk aus Richtung Kreta. Das UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR) zählte in diesem Jahr bereits mehr als 1.000 Menschen, die von Tobruk aus auf den Inseln Gavdos oder Kreta ankamen. Die meisten von ihnen sollen aus Ägypten stammen.

Kanzler begrüßt Verständigung

Bundeskanzler Olaf Scholz sagte auf Anfrage der Deutschen Presse-Agentur, strategische Partnerschaften mit Drittstaaten seien ein wichtiger Baustein im Kampf gegen irreguläre Migration. „Deshalb ist die Verständigung der EU mit Ägypten in dieser Frage eine gute Nachricht.“

Von der Leyen erklärte bei einem Pressetermin nach der Unterzeichnung der Erklärung, es gehe dabei auch um die Erleichterung der legalen Migration und sogenannte Talentpartnerschaften. Über letztere sollen zielgerichtet Fachkräfte gesucht sowie Talente gefördert und ausgebildet werden, die dann als Fachkraft in der EU beschäftigt werden können.

Von der Leyen wurde bei ihrem Besuch von sechs europäischen Staats- und Regierungschefs begleitet. Darunter waren der belgische Ministerpräsident Alexander De Croo, die italienische Regierungschefin Giorgia Meloni, Österreichs Kanzler Karl Nehammer und der griechische Ministerpräsident Kyriakos Mitsotakis.

Menschenrechtler sind besorgt

Kritik an der geplanten engeren Zusammenarbeit mit Ägypten gibt es wegen der Menschenrechtslage in Ägypten. Die Meinungs- und die Versammlungsfreiheit in dem nordafrikanischen Staat mit etwa 105 Millionen Einwohnern ist stark eingeschränkt, Demonstrationen sind faktisch verboten. Kritiker werden Menschenrechtlern zufolge mit drastischen Methoden verfolgt und müssen willkürliche Festnahmen und Schlimmeres befürchten. Zehntausende wurden laut Menschenrechtlern aus politischen Gründen inhaftiert. Der frühere General Al-Sisi regiert das Land mit harter Hand. Er war 2013 in einem Militärputsch an die Macht gekommen.

Kritik kommt auch von Tobias B. Bacherle (Grüne), Mitglied im Auswärtigen Ausschuss: „Es ist besorgniserregend, dass Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen ein Abkommen mit dem Machthaber Abd al-Fattah al-Sisi unterzeichnet, ohne klare und konsequente Bedingungen bei Menschenrechten und Rechtsstaatlichkeit einzufordern“. Die EU dürfe ihre eigene Verantwortung nicht mittels einer Migrationskontrolle durch Ägypten und eine Unterstützung dessen Grenzschutzes auslagern.

Al-Sisi verwies am Sonntag darauf, dass es unter seiner Führung gelungen sei, den Zustrom illegaler Migration von den ägyptischen Küsten zu stoppen. Sein Land hat demnach neun Millionen Flüchtlinge und Migranten aus dem Ausland aufgenommen.

Die Rolle der EU-Rivalen China und Russland

Aus dem Europaparlament kam am Sonntag Unterstützung für die neuen Pläne mit Ägypten. Man unterstreiche seit Jahren die Notwendigkeit, die unkontrollierten Migrationsströme nach Europa einzudämmen und die wirtschaftliche Zusammenarbeit mit den Ländern Nordafrikas zu vertiefen, kommentierte der Vorsitzende der christdemokratischen EVP-Fraktion, Manfred Weber (CSU). Die EVP begrüße die Schritte von der Leyens und der anderen Regierungschefs.

EU-Diplomaten betonen unterdessen, dass die Migration nur einer von vielen Aspekten bei der Zusammenarbeit sei. Demnach geht es insbesondere auch darum, einen noch größeren Einfluss Russlands und Chinas in Ägypten zu verhindern. So baut Russland beispielsweise derzeit Atomreaktoren in dem nordafrikanischen Land und auch Peking versucht seinen Einfluss mit Milliardeninvestitionen zu stärken. (dpa/mig 19.3.)

 

 

 

 „Meilenstein mit Abstrichen“. EU-Lieferkettengesetz kommt trotz deutscher Enthaltung

 

Das EU-Lieferkettengesetz kommt doch: Gegen den Widerstand der FDP gab es in Brüssel eine Mehrheit für die Richtlinie. Große Unternehmen müssen damit künftig Umwelt- und Menschenrechtsstandards einhalten. Kürzlich wurde auch ein Verkaufsverbot für Produkte aus Zwangsarbeit beschlossen. Von Corinna Buschow und Marlene Brey

 

Der Widerstand aus Teilen der Bundesregierung konnte es am Ende nicht stoppen: Die EU-Staaten haben am Freitag den Weg für das europäische Lieferkettengesetz frei gemacht. Wie die belgische Ratspräsidentschaft mitteilte, stimmte eine Mehrheit der Mitgliedsstaaten für die Richtlinie, nach der europäische Unternehmen künftig die Einhaltung von Menschenrechts- und Umweltstandards in ihren Lieferketten sicherstellen müssen. Auch müssen Konzerne einen Plan verabschieden, um sicherzustellen, dass ihr Geschäftsmodell mit dem Pariser Klimaabkommen vereinbar ist. Weil die FDP gegen das Vorhaben war, hatte sich Deutschland auch bei dieser letzten Abstimmung im Rat enthalten, obwohl das Gesetz nochmals abgeschwächt wurde. In Deutschland gilt bereits seit 2023 ein Lieferkettengesetz. Das EU-Gesetz geht aber in Teilen darüber hinaus.

Dennoch sieht der angenommene Gesetzentwurf weniger strenge Regeln vor als der ursprüngliche Entwurf. Zunächst sollte das EU-Lieferkettengesetz bereits für Unternehmen ab 500 Beschäftigten mit einem globalen Umsatz von mehr als 150 Millionen Euro im Jahr gelten. Der neue Entwurf, der dem „Evangelischen Pressedienst“ vorliegt, gilt nun für Unternehmen ab 1.000 Beschäftigten. Die jährliche Umsatzschwelle liegt bei 450 Millionen Euro.

Nach Einschätzung der Organisation „Initiative Lieferkettengesetz“ gilt das Gesetz nun nur noch für ein Drittel der ursprünglich vorgesehenen Unternehmen, in Summe für rund 5.500 Firmen. „Wir sind enttäuscht, dass das Vorhaben so ausgehöhlt wurde“, sagte Johanna Kusch von der Organisation. Dennoch äußerte sie sich erleichtert, dass die Mehrheit zustande kam.

FDP enttäuscht

Bundesarbeitsminister Hubertus Heil (SPD), der das Gesetz federführend für die Bundesregierung mit verhandelt hat, begrüßte das Votum, das ohne deutsches Ja zustande kam. Es sei endlich gelungen, „eine gemeinsame europäische Lösung für faire Lieferketten zu finden“. Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) sprach von einem „Meilenstein“ und erklärte, mit einem EU-Lieferkettengesetz gebe es künftig gleiche Wettbewerbsbedingungen. „Niemand muss im Binnenmarkt mehr Nachteile befürchten, weil er fair und ohne Kinderarbeit produzieren lässt.“

Enttäuschung äußerte Bundesjustizminister Marco Buschmann (FDP). „Ich mache keinen Hehl daraus: Wir hätten uns ein anderes Ergebnis gewünscht“, sagte er. Gleichwohl sei der „Einsatz in Brüssel keinesfalls umsonst“ gewesen, sagte Buschmann: „Unsere Skepsis hat eine Reihe von Details zum Besseren bewegt.“ Er verwies unter anderem auf die Änderungen bei der Geltungsfrist und Unternehmensgrößen.

Deutschlands Enthaltung „bitter“

Umweltschutz-, Entwicklungs- und Menschenrechtsorganisationen kritisierten diese Änderungen. Als einen „Meilenstein mit Abstrichen“ bezeichnete die Organisation Oxfam den angenommenen, abgeschwächten Gesetzestext. Auch viele andere Organisationen äußerten zu gleichen Teilen Erleichterung über die Mehrheit für das Gesetz sowie Kritik am deutschen Abstimmungsverhalten und den Veränderungen in letzter Minute.

Die Generalsekretärin von Amnesty International in Deutschland, Julia Duchrow, sagte, es sei bitter, „dass sich Deutschland enthalten hat, nachdem es zuvor für massive Verschlechterungen im Gesetzestext gesorgt hat“. „Brot für die Welt“-Präsidentin Dagmar Pruin hob das Positive hervor: „Nichtsdestotrotz verbessert das EU-Lieferkettengesetz mit seinen Vorkehrungen zu zivilrechtlicher Haftung den Rechtsschutz von Betroffenen von Menschenrechtsverletzungen.“

In der Wirtschaft stößt das Vorhaben auf geteiltes Echo. Große Verbände wie der Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI) oder die Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände (BDA) lehnen das Gesetz ab. Sie sprechen aber nicht für alle Unternehmen. Eine Allianz europäischer Konzerne von Aldi über Ikea bis hin zu Unilever oder Hapag-Lloyd begrüßte das Lieferkettengesetz ausdrücklich. Gerade deutsche Unternehmen könnten von der Einführung profitieren, weil sie sich bereits an das deutsche Lieferkettengesetz halten müssen. Ein EU-Gesetz würde einheitliche Regeln für alle schaffen.

Gegenüber der Wirtschaft eingeknickt

Kritik an den Änderungen in letzter Minute kam auch von der Linken. „Die Politik ist auf den letzten Metern gegenüber der Wirtschaft eingeknickt“, erklärte die Bundestagsabgeordnete Cornelia Möhring. Das neue Gesetz könne nur ein erster Schritt für echte Unternehmensverantwortung weltweit sein.

EU-Mitgliedsstaaten, EU-Parlament und Kommission hatten sich bereits im Dezember auf das Gesetz geeinigt. Danach hatte allerdings die FDP ihr Veto erklärt. Deutschland musste sich deshalb bei der Abstimmung enthalten. Der von den EU-Staaten angenommene Kompromiss muss noch vom EU-Parlament bestätigt werden. Nach Angaben der EU-Abgeordneten Anna Cavazzini (Grüne) ist die Abstimmung für April geplant.

Verbot von Produkten aus Zwangsarbeit

Bereits am Mittwoch vergangener Woche hatte sich eine Mehrheit der EU-Mitgliedstaaten auf ein Verkaufsverbot von Produkten aus Zwangsarbeit geeinigt. Weil die FDP auch dieses Gesetz ablehnt, enthielt sich die Bundesregierung. Das Gesetz muss noch vom EU-Parlament bestätigt werden.

Konkret sieht das Gesetz vor, dass kein Teil eines Produktes unter Zwangsarbeit hergestellt werden darf. Handelt es sich beispielsweise um ein Teil eines Autos, ist der Autohersteller verpflichtet, entweder einen neuen Zulieferer zu finden oder die Arbeitsbedingungen zu verbessern. „Stammen die Tomaten für eine Soße aus Zwangsarbeit, muss die gesamte Soße entsorgt werden“, erklärte der Rat kürzlich. EU-Kommission und Mitgliedsstaaten sollen gemeinsam untersuchen, ob Zwangsarbeit in den Lieferketten vorkommt. Kleine und mittelständische Unternehmen sollen bei der Umsetzung der Verordnung unterstützt werden. (epd/mig 18.3.)