Webgiornale 16-30 aprile 2025
Buon periodo pasquale
Fratelli
tutti è un’enciclica estremamente importante, che ha avuto un’eco
mondiale. È stata meditata e discussa in tantissime sedi, perché tocca
temi di larghissimo respiro. Non solo tratta della convivenza tra le persone e
tra i popoli, ma ha riflessi anche sullo stesso ordine mondiale. D’altronde,
questo orizzonte fraterno e universale parte da san Francesco. Basti ricordare
il suo incontro con il Sultano. Il poverello di Assisi non parlava l’arabo, che
cos’è andato a dire, e cos’è andato a fare dal Sultano? Certamente non è andato
a convertirlo. Il suo è stato un gesto di fraternità.
Un esempio da
imitare. Quel che è mancato nella politica mondiale di questi ultimi anni è
proprio il dialogo. E c’è da sperare che si torni a incontrarsi e a
dialogare. Quando ci fu la crisi dei missili a Cuba, c’era l’angoscia che
scoppiasse una guerra nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica.
Pericolo scongiurato perché i due leader Kennedy e Kruscev si parlarono e
concordarono che la “linea rossa” Mosca-Washington era più conveniente
dell’escalation nucleare. I due leader non hanno stipulato nessun trattato, si
sono semplicemente parlati. Cosa che oggi avviene più difficilmente.
Il dialogo nella
politica è assolutamente indispensabile. Con tutti. Occorre parlare e trattare
anche con i dittatori. A parlare con san Francesco sono tutti buoni, ma con il
lupo è un problema. Se si rompe il dialogo, in questo mondo è finita. E oggi pare
che questo dialogo si sia interrotto. Il mondo delle guerre non è finito e il
secolo della pace non è ancora arrivato. È vero, invece, quanto afferma papa
Francesco che c’è in corso una Terza guerra mondiale a pezzi. Ma se continuiamo
così, prima o poi, i pezzi si ricompongono.
Lo vediamo, in
questi ultimi anni, con il conflitto in Ucraina, nel cuore dell’Europa; lo
vediamo con i problemi del Medio oriente, tra israeliani e palestinesi in
particolare. E prima ci sono state le guerre in Iraq e in Siria. E c’è da
chiedersi quanto influisca, in questo contesto geopolitico e nella politica
contemporanea, l’uso della religione o della democrazia che si intende
esportare, come è avvenuto in Iraq.
Se si parte da
questo punto di vista, la guerra è inevitabile. Se noi pensiamo di imporre
cristianesimo e democrazia agli altri Paesi otteniamo soltanto lo scontro,
perché anche gli altri, l’Islam in particolare, vorranno fare lo stesso. Sotto
questo aspetto, il mondo sta ripercorrendo la vecchia tragedia delle guerre di
religione in Europa. Occorre che ci sia una netta distinzione tra fede e
politica; possono e devono cooperare tra di loro, ma hanno un ruolo diverso
nella trasformazione mondiale.
Tutto ciò fa
emergere l’importanza della diplomazia che, in questi tempi, sembra essere
scomparsa del tutto, rispetto a una o due generazioni fa. E questo è uno dei
grandi problemi odierni. Guardando alla guerra in Ucraina, che ci è così
vicina, possiamo dire che, sostanzialmente, non c’è stata nessuna mediazione da
parte dell’Europa. Sì, ci sono stati diversi tentativi, ma l’Europa è sempre
stata assente. Abbiamo avuto perfino qualche tentativo saudita o brasiliano, ma
mai uno europeo. In ogni caso, la diplomazia ha assunto un ruolo assolutamente
secondario. Perché?
Forse la ragione è
che l’ideologia è tornata a essere molto forte nelle controversie politiche.
Ecco, allora, che il mondo si è diviso non solo dal punto di vista del potere
economico e finanziario, ma anche dal punto di vista fortemente ideologico.
Un’ideologia, nella maggior parte dei casi, barattata con interessi petroliferi
o vendita di armi, e diventata un ulteriore elemento di tensioni nel rapporto
fra i diversi Paesi.
Ecco, quindi, la
tensione nella quale stiamo vivendo. E che ci impone di riprendere i fili del
dialogo. Non soltanto a livello della massima politica, ma anche a livello
culturale. Quando, ad esempio, a causa della guerra in Ucraina si vieta in un
Paese la lettura o un incontro su Dostoevskij ciò è davvero imperdonabile. Vuol
dire che siamo arrivati al di là della ragionevolezza. E poi, proprio
Dostoevskij, lo scrittore che più di ogni altro ha tentato di sondare l’animo
umano con i suoi drammi e le sue tensioni!
Ma questo è il
mondo in cui viviamo. Un mondo dove il potere non è ancora definito in modo
completo. E dove c’è una profonda ristrutturazione della politica
internazionale. Se prima c’era un’unica potenza dominante, gli Stati Uniti,
adesso siamo di fronte alla tensione tra due grandi potenze, gli Usa e la Cina,
che induce gli altri Stati a costruire alleanze sempre più forti.
Gli Stati Uniti
rimangono ancora la potenza numero uno dal punto di vista militare, ma
debbono adottare una strategia di difesa sia sotto l’aspetto economico che
politico, perché c’è un altro antagonista nel panorama mondiale, che condiziona
tutti i Paesi. Anche la soluzione della guerra in Ucraina non può prescindere
dal dialogo tra Usa e Cina, perché l’Europa ormai non ha più alcuna possibilità
di parola. E nemmeno la Russia è in grado da sola di fare la pace con
l’Ucraina.
Ora siamo di
fronte alla rottura del mondo in due: da una parte gli Stati Uniti e dall’altra
la Cina. O come dicono gli analisti politici: West contro Rest; e gli altri
Paesi a dover decidere da che parte stare tra le due grandi potenze. Questo è
il vero problema. La Cina, ormai, ha uno strapotere assoluto nei confronti
della Russia. Nei dieci anni prima del Covid è cresciuta di una Russia
all’anno.
D’altra parte,
l’Europa è diventata sempre più debole, sempre più incapace di parlare con il
suo naturale alleato, gli Stati Uniti. A maggior ragione ora con Donald Trump,
personaggio alquanto bizzarro a capo del più grande Paese al mondo. L’Europa
non solo sarà chiamata a un notevole aumento delle spese militari, ma corre il
grave rischio di un’ulteriore frammentazione, perdendo di fronte alle due
grandi potenze la sua capacità di mediazione, che in passato era fortissima.
Mediazione, un
tempo, molto rispettata dalla Cina. Quand’ero presidente della Commissione
europea, negli incontri del G7, il presidente cinese era interessato a una sola
cosa: l’avvento dell’euro. Il resto non gli interessava proprio perché se
accanto al dollaro c’era l’euro, ci sarebbe stato posto anche per la moneta
cinese. Si prospettava, allora, un mondo pluralistico con l’Europa mediatrice.
Anche nei confronti della Russia.
L’Unione europea,
nel frattempo, si allargava, suscitando grandi speranze e includendo otto Paesi
del Patto di Varsavia. Allargamento reso possibile grazie al semaforo verde da
parte della Russia, purché non avesse la Nato ai propri confini.
Questo è il quadro
in cui l’enciclica Fratelli tutti si trova a operare. E che sollecita la
necessità di avere dialoghi paritari fra tutti i componenti dell’umanità.
Dialogo e diplomazia. E, sotto l’aspetto religioso, anche la conferma dei
propri princìpi, senza pensare di poterli imporre agli altri. Una buona
politica internazionale dev’essere come un ponte, dove passano tutti, e tutti
sono diversi. Il problema è stabilire le regole del traffico. E questo è ciò di
cui abbiamo assolutamente bisogno.
C’è poi da tenere
presente l’aspetto economico. E anche qui siamo di fronte a una situazione di
estremi cambiamenti. Il liberismo assoluto, in generale, ha avuto un effetto
devastante in merito a un’equa distribuzione del reddito e della ricchezza. In
tutti i Paesi del mondo, sia comunisti che capitalisti, è aumentata la
disuguaglianza. In Cina, ad esempio, la differenza di reddito è impressionante.
E così la società si è ulteriormente spaccata, indebolendo dappertutto la
democrazia.
In questi ultimi
vent’anni, i Paesi democratici hanno perso non solo la leadership morale, ma
anche la guida politica, a causa delle divisioni al loro interno. In Europa,
Germania e Francia si stanno sfrangiando per la moltiplicazione dei partiti o
per coalizioni di governo litigiose tra loro. Lo stesso avviene anche negli
Stati Uniti, dove si è accentuata una divisione fra ricchi e poveri, fra aree
metropolitane e campagne, tra bianchi e neri, tra colti e incolti. Nel Paese
non c’è più la speranza di poter migliorare la propria condizione e passare a
una categoria superiore.
Pensiamo anche al
problema che più angoscia l’Italia oggi: la sanità, cioè la salute dei
cittadini. La disuguaglianza nella ricchezza e le difficoltà di bilancio dello
Stato stanno facendo cadere un grande strumento di fraternità che è il welfare
sociale. Uno spezzettamento della società che si ritrova anche negli altri
Paesi europei. Stiamo costruendo strutture politiche, sociali ed economiche che
generano divisioni, scomponendo ancor di più la società.
Come comporre,
allora, la fraternità nell’ambito di un Paese? Oltre alla redistribuzione del
reddito, c’è da considerare il crollo delle strutture intermedie della società,
ossia la delegittimazione e il venir meno delle rappresentanze sindacali,
produttive e culturali. Qui si sono davvero rotti i ponti! Cioè ogni forma di
intermediazione. E questo va assolutamente ricomposto, per creare una classe
dirigente e politica che abbia il senso complessivo della società. Cerchiamo il
leader solitario perché non esistono più forme rappresentative, quali il
partito, il sindacato... imperfetti quanto si vuole, creavano però quella
composizione che generava una vera leadership.
In Italia,
inoltre, siamo vittime di una pessima legge elettorale che rompe per
definizione il rapporto fra il rappresentante del popolo e il Paese. I
parlamentari vengono eletti sostanzialmente dai vertici dei partiti. E non
hanno più alcun rapporto diretto con il territorio. Dopodiché se arriva un
leader autoritario, tutti esultano, perché almeno decide e ci toglie dalla
frammentazione. Paradossalmente, prima abbiamo demolito le reti democratiche e
poi facciamo appello all’autorità superiore!
La stessa cosa sta
avvenendo a livello europeo. Dove si sta imponendo la visione dei singoli
Paesi, rappresentati da Consiglio, a scapito della visione unitaria propria
della Commissione europea, organismo sovranazionale. Se poi si aggiunge il
diritto di veto di ogni singolo Paese, allora siamo alla paralisi totale
dell’Europa. La democrazia europea si sta auto suicidando con delle regole che
sono per una casta chiusa, non per l’apertura agli altri. Il diritto di veto va
abolito, a favore di decisioni prese a maggioranza. Altrimenti l’Europa resterà
paralizzata.
Infine, se a
Bruxelles si può solo mediare e non decidere, perché i giovani dovrebbero
abbracciare l’Europa e non gli estremismi o i nazionalismi? E perché non
dovrebbero astenersi alle elezioni? L’Unione europea ha bisogno di avere
obiettivi comuni, e la possibilità di poterli raggiungere. Perché sono alla sua
portata. Romano Prodi, Vita Past. aprile
Lo scandalo
Signalgate e la guerra dei dazi, che vede l’Ue tra i target principali di
Washington, hanno confermato ciò che gli europei già sapevano: il disprezzo
dell’amministrazione Trump per l’Europa è profondo e la frattura transatlantica
è strutturale.
I leader europei
sperano ancora di evitare gli scenari peggiori, come un’invasione della
Groenlandia o il ritiro delle truppe Usa dalla Nato. Si concentrano soprattutto
sul garantire che, se (o forse quando) gli Stati Uniti abbandoneranno Kyiv,
sarà l’Europa collettivamente a riuscire a garantire un’Ucraina libera,
indipendente e democratica. Ma non bisogna illudersi che ciò avvenga lavorando
in sinergia con Washington o addirittura con la sua tacita approvazione.
Il Signalgate è
stato prevedibile e scioccante, ma non sorprendente: l’astio verso l’Europa
emerso nella chat riservata del team di sicurezza Usa rispecchia le
dichiarazioni pubbliche dell’amministrazione. La coerenza è evidente:
Washington vede l’Europa come obsoleta, arrogante e parassitaria. Ciò che è
sconvolgente, tuttavia, è che gli Stati Uniti non si limitano a considerare
l’Europa come moribonda: i funzionari di Trump sembrano voler contribuire alla
sua morte. Per Washington, attaccare gli Houthi nel Mar Rosso sarebbe
nell’interesse della sicurezza nazionale americana. Eppure, proprio il fatto
che tale azione aiuterebbe anche l’Europa viene considerato un motivo valido
per metterla in discussione. Il vantaggio di contrastare una minaccia diretta
agli Usa viene messo in dubbio dal solo fatto che ne beneficerebbero anche gli
europei.
Le componenti del
disprezzo
Questo disprezzo
ha tre importanti implicazioni politiche per l’Europa. In primo luogo, il
commercio. Trump ha annunciato la sua guerra commerciale contro i Paesi che,
secondo lui, “fregano” l’economia statunitense. Nessuna simpatia o amicizia
storica potrà attenuare la dimensione Usa-Ue di questa guerra. L’imposizione
del 20% di dazi su tutte le esportazioni europee agli Stati Uniti, oltre a
quelle già imposte su acciaio, alluminio e automobili, ne è la testimonianza
concreta. Tuttavia, la gestione della politica commerciale per i 27 Stati
membri è una competenza esclusiva dell’Ue e il blocco ha un peso economico
combinato che gli Stati Uniti non possono ignorare. In questo confronto, i
danni saranno reciproci. Con un’Europa unita sul commercio, come sulla
regolamentazione della tecnologia, gli Usa non potranno agire in modo
predatorio nonostante il loro odio irrazionale. Alla fine, Washington dovrà
adottare un approccio pragmatico e cercare un accordo con Bruxelles.
In secondo luogo,
Trump ha più volte ribadito le sue mire sulla Groenlandia. La controversa
visita di Vance all’isola e le sue critiche alla Danimarca segnalano
un’intensificazione delle pressioni americane. Tuttavia, la reazione inizia a
farsi sentire efficace: dopo le critiche, il viaggio è stato frettolosamente
modificato escludendo la capitale Nuuk e limitandosi a una remota base militare
statunitense nell’estremo nord del territorio. La prima ministra danese, Mette
Frederiksen, ha accusato gli Stati Uniti di “pressioni inaccettabili“, ma
spetterà agli altri leader europei sostenerla. Quanto più gli europei si
mostreranno deboli e pusillanimi, tanto più le pressioni degli Stati Uniti si
aggraveranno.
Infine, e
soprattutto, l’Ucraina. I Paesi volenterosi, guidati da Emmanuel Macron e Keir
Starmer, insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, stanno elaborando
piani di sostegno all’Ucraina. Ma appare sempre più evidente che dovranno farlo
non solo senza il sostegno militare degli Stati Uniti, ma forse anche contro di
essi. Mentre l’Europa pianifica un maggiore sostegno economico-militare e una
“forza di rassicurazione” per addestrare e assistere le forze ucraine nella
protezione delle città e delle infrastrutture, dovrà accettare l’assenza di una
garanzia statunitense. Naturalmente, è opportuno continuare a coinvolgere gli
Usa nelle varie discussioni, in particolare sulla condivisione di informazioni
e sul supporto logistico. Tuttavia, se Washington continuerà a mettersi di
traverso, Europa e Ucraina dovranno farne a meno.
Sulle sanzioni
alla Russia, l’Europa dovrà probabilmente agire in contrapposizione agli Usa.
La strategia di Vladimir Putin è ovvia: subordinare il cessate il fuoco alla
fine del sostegno occidentale e alla revoca delle sanzioni. Molto probabilmente
l’amministrazione americana asseconderà il Cremlino e farà pressione sugli
europei affinché seguano il suo esempio, dipingendoli come ostacoli alla pace.
Finora i governi
europei hanno tenuto duro, respingendo le richieste russe di sospendere le
sanzioni finanziarie sul settore agroalimentare come precondizione per un
cessate il fuoco nel Mar Nero. L’Europa deve essere pronta a resistere anche
alle pressioni americane.
Opporsi alla
prepotenza degli Stati Uniti non è solo una buona politica, ma anche
politicamente vantaggioso. Con fermezza, coraggio e cortesia, l’Europa dovrebbe
semplicemente andare per la sua strada. Nathalie Tocci, Aff.Int. 8
Von der Leyen alla guerra dei dazi. “Difenderemo i nostri interessi”
Le ritorsioni
commerciali di Trump rischiamo di generare pesanti contraccolpi in Europa su
imprese, lavoratori, consumatori. La presidente della Commissione non chiude le
porte al negoziato, ma prova a far sentire la voce dei Ventisette. Intanto
rafforza i legami con altri partner economici e punta a mettere al sicuro il
mercato unico - di Gianni Borsa
La “guerra
commerciale” mobilita Ursula von der Leyen. Che prova a rispondere, a nome dei
Ventisette, alle decisioni di Donald Trump. I dazi, prima minacciati poi
effettivamente imposti, dall’amministrazione americana sui beni strumentali e
sui prodotti europei, sta surriscaldando i mercati e – se si continuerà su
questa linea – le ricadute su imprese, lavoratori e consumatori potrebbero
essere pesanti. Inflazione compresa perché, come va dicendo da tempo la
presidente della Commissione, “i dazi sono tasse” che gravano sull’attività
economica e, infine, sulle famiglie.
Una nota a sé
merita il fatto che Trump non se la prende solo con gli ex amici europei, ma
alza barriere anche verso altri partner commerciali, non ultima la potente
Cina.
“Abbiamo tutto ciò
che è necessario per proteggere la nostra gente e la nostra prosperità”, ha
affermato martedì 1° aprile Ursula von der Leyen, intervenendo alla sessione
plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo. Parole che hanno preso di mira i
dazi statunitensi, in vigore dal 2 aprile. A suo avviso “molti europei si
sentono completamente scoraggiati dagli annunci degli Stati Uniti. Ma voglio
essere chiara: non è stata l’Europa ad aver dato inizio a questo scontro”. Per
poi aggiungere: “Noi pensiamo che sia sbagliato”. Per questo l’Ue deve mettere
in atto delle contromosse, in tre direzioni, basandosi, come dice la
presidente, su “tre pilastri: rimaniamo aperti a un negoziato; continueremo a
differenziare il nostro commercio con altri partner” (al momento l’Ue ha
accordi commerciali con 76 Paesi, e ora si punta su India, Sudafrica,
Indonesia, Thailandia e la stessa Cina); inoltre “raddoppieremo gli sforzi
profusi per rafforzare il mercato unico”.
“Il nostro
messaggio è chiaro: l’Europa è disponibile, affidabile e aperta per fare
affari. Abbiamo il più grande mercato unico al mondo. Abbiamo la forza di
negoziare”. Perché, comunque, lo “stile” dell’Ue è negoziale. Eppure Von der
Leyen – impegnata, come tutta l’Ue, su ben altro fronte, quello della guerra in
Ucraina e sul piano di riarmo – prova a essere perentoria: “I cittadini europei
dovrebbero sapere che insieme ci batteremo sempre per l’Europa. […] Difenderemo
i nostri valori e i nostri interessi. […] Il sogno di un’Europa unita era nato
per smantellare le barriere, eliminare dazi, creare un mercato unico. Abbiamo
costruito in 70 anni legami forti anche con gli Usa, questo ha creato
benessere”. Ma ora da Washington arrivano i dazi (peraltro non proprio una
novità nella politica trumpiana…).
“I dazi sono tasse
che pagheranno i cittadini, e aumenteranno l’inflazione, con ripercussioni sul
lavoro. Creando un mostro di procedure doganali e nessuno ne ha bisogno”.
Proseguendo il
ragionamento sulla guerra commerciale e le contromisure Ue, la presidente
precisa: “Mi sono già messa in contatto con i nostri capi di Stato e di governo
sui prossimi passi”, già sapendo di ulteriori dazi da oltre oceano
(puntualmente annunciati da Trump il 3 aprile). L’obiettivo rimane una
soluzione negoziata. “Questo scontro non è nell’interesse di nessuno” e “la
relazione commerciale transatlantica è la più grande e più prospera relazione
commerciale al mondo. Staremmo tutti meglio se potessimo trovare una soluzione
costruttiva”. Posizione piuttosto chiara di fronte a un futuro incerto. Sir 4
All’indomani
dell’elezione di Donald Trump, alcuni osservatori europei si affrettarono a
spiegare che le preoccupazioni per le dichiarazioni incendiarie del presidente
eletto erano infondate, dato che esse rientravano in una logica strettamente
elettorale e sarebbero state quindi ridimensionate dopo l’insediamento di Trump
alla Casa Bianca. Altri raccomandarono di non sottovalutare i progetti
trumpiani, in particolare quelli relativi al commercio e alla sicurezza, e le
loro conseguenze. Ora dovrebbe essere abbastanza chiaro chi aveva
ragione.
I dazi americani
sono arrivati, come preannunciato, e assestano un colpo durissimo alle economie
di avversari e alleati. Si salva solo la Russia, mentre gli stessi Stati Uniti
pagano subito un prezzo molto elevato. Si valutano le risposte più adeguate, si
arriva anche a mettere a fuoco una soluzione ideale, un accordo di libero
scambio con gli Stati Uniti, anche se è di là da venire. Suona come una voce
fuori dal coro dell’Europa, oggi in preda alle preoccupazioni e
all’incredulità, dopo gli annunci con cui Trump ha festeggiato a suo modo “il
giorno della liberazione”. Robert Habeck, vice cancelliere e ministro
dell’Economia, assegna all’Europa un obiettivo di lungo periodo – un accordo
ambizioso, di mutuo interesse per i due lati dell’Atlantico. Non importa che
tra qualche settimana non sarà più membro del governo tedesco, quel che rileva
è la volontà di reazione del Paese europeo più colpito dai dazi americani e
l’impegno a definire un’agenda efficace a tutela dei propri interessi, molto
consistenti.
Occorre un’Unione
europea coesa
Se si seguisse la
logica, si dovrebbe andare verso una liberalizzazione degli scambi tra due aree
economiche già così integrate e imponenti nel mondo. Ma Trump la vede in un
altro modo: fissa dazi punitivi a destra e a manca, sconvolge i commerci senza
distinguere tra avversari e alleati e senza battere ciglio davanti al costo
salato imposto agli stessi Stati Uniti (aumento dei prezzi, inflazione etc.).
Per una possibile risposta europea, è da considerare la necessità di una
reazione coesa e unitaria dell’Ue, mentre sono da scongiurare ogni furbesca
scorciatoia nazionale, foriera di complicazioni ulteriori del quadro, non
soltanto economico. L’Europa deve essere capace di dare segnali di fermezza, di
predisporre misure adeguate, non fini a sé stesse, non per rappresaglia, bensì
come leva per riavviare il dialogo e negoziati indispensabili con gli Stati
Uniti. Se possibile, occorrerà ricostituire la fiducia e l’equilibrio. In ogni
caso, per sedersi al tavolo della trattativa occorre avere qualche buona carta
in mano.
Lo sconcertante
spettacolo offerto mercoledì scorso da Donald Trump dal Giardino delle Rose
della Casa Bianca e le sue interpretazioni autentiche non sembrano preludere a
immediate aperture negoziali né a proiezioni di lungo periodo, addirittura con
una meta ideale di libero scambio. Comunque, gli europei cominciano a trarre
qualche lezione dalla doccia fredda, attesa, di Washington. Nessuno vuole una
guerra commerciale senza precedenti con gli Stati Uniti, il dialogo va
ricercato ancor più quando l’orizzonte si rabbuia. L’Europa dovrà serrare i
ranghi con misure ben calibrate per avviare su quella base un negoziato, per
quanto teso, non per aumentare le tensioni e rischiare una spirale di
ritorsioni fuori controllo. Saranno di aiuto anche un’opportuna diversificazione
e l’aumento degli scambi europei con Mercosur, Messico e India.
Vari leader
europei e la presidente della Commissione hanno parlato con chiarezza. I dazi
di Trump assestano “un colpo durissimo” all’economia mondiale e anche a quella
americana, come confermato da tutti gli indicatori. L’Europa, il più grande
mercato del mondo, è ancora disorientata di fronte all’abbandono da parte del
suo più antico alleato. Oggi si patisce nel commercio, domani il prezzo sarà da
pagare nel campo della difesa e sicurezza. Gli avvertimenti non sono
mancati.
Per i dazi, non ci
si dovrebbe sorprendere che essi siano diretti senza distinzioni a tutti gli
europei. Non sono solo i trattati a imporre una risposta comune dell’Ue, ma la
necessità di essere ascoltati ed efficaci. Certo, sull’amministrazione americana
potrebbe pesare anche la pressione dissuasiva di settori dell’economia Usa
fortemente penalizzati. Tuttavia la difesa dei propri interessi non può essere
delegata ad altri né si può sperare in ravvedimenti provvidenziali. Fermezza e
dialogo sono gli strumenti necessari in una situazione grave e di estrema
incertezza, sempre gravida di rischi pesanti nell’economia e nella politica
internazionale. Per questo occorre scongiurarla con ogni mezzo, riconoscendo
che chi si spinge fino a considerare l’emergenza come un’“opportunità” si
illude e illude pericolosamente quanti cercano invece risposte razionali.
Michele Valensise,
Aff.Int. 8
Un altro passo avanti verso un’Unione europea più resiliente
Il territorio
europeo è colpito sempre più spesso da emergenze di diversa natura: inondazioni
e terremoti, incidenti industriali e atti intenzionali, e più recentemente la
pandemia da Covid-19. A questi si sono aggiunte azioni di guerra ibrida che
mirano a colpire tutti i livelli della società, le sue istituzioni e
infrastrutture, con l’obiettivo di causare l’interruzione dei servizi vitali.
Inoltre, più recentemente, il conflitto in Ucraina ha riportato da un lato il
rischio dell’arma atomica, e dall’altro la possibilità che materiali pericolosi
di diversa natura possano diffondersi in aree popolate. Questi episodi
dimostrano un’evoluzione delle minacce verso eventi spesso considerati
improbabili. Si tratta, inoltre, di emergenze con gravi conseguenze che
superano i confini nazionali e richiedono il coordinamento tra più attori. Ne
emerge la necessità di un rinnovato dibattito sulla preparazione della società
alle crisi e di un sistema adeguato a non farci cogliere impreparati di fronte
alle minacce attuali e alle crisi future nelle loro molteplici dimensioni.
Le iniziative
europee nella gestione delle emergenze
L’Ue ha adottato
negli anni numerose iniziative volte ad aumentare il sostegno europeo,
incoraggiare la collaborazione e coordinare l’assistenza tra gli Stati membri.
Fra queste, va ricordato il Meccanismo di Protezione Civile dell’Ue (EU Civil
Protection Mechanism – EUCPM), lanciato nel 2001 e basato sulla condivisione di
risorse quali equipaggiamenti, mezzi e personale, messi volontariamente a
disposizione dagli Stati partecipanti. Nel 2019, l’EUPCM è stato ulteriormente
rafforzato da rescEU, una programma di scorte aggiuntive (fra cui articoli
medici e dispositivi di protezione) finanziate al 100% dall’Ue.
A livello
nazionale, alcuni Stati membri si contraddistinguono, inoltre, per il loro
approccio onnicomprensivo alla sicurezza, che si riflette in misure locali
indirizzate a tutta la società. Ne sono un esempio la Finlandia e la Svezia, le
cui politiche di resilienza comprendono corsi erogati a livello nazionale e
regionale per insegnare la preparazione e la difesa civile, rivolti al settore
privato e alle organizzazioni della società civile, ai giornalisti e ai media.
Particolare attenzione è data al mantenimento dell’autosufficienza dei
cittadini in situazioni di emergenza, istruiti su come affrontare in modo
autonomo una crisi, anche in assenza di assistenza statale.
La Preparedness
Union Strategy
L’approccio
onnicomprensivo e l’importanza di coinvolgere maggiormente i cittadini nella
costruzione della sicurezza, sono alcuni dei punti chiave del rapporto
elaboratolo scorso ottobre dall’ex Presidente finlandese, Sauli Niinistö, nel
suo ruolo di Special Adviser alla Presidente della Commissione europea. Il
rapporto ha fornito, a sua volta, la base della Strategia europea Preparedness
Union Strategy presentata lo scorso 26 marzo 2025.
La Strategia
comprende 30 azioni chiave che gli Stati membri dell’Ue devono intraprendere
per aumentare il loro livello di preparazione (“preparedness”) contro
potenziali crisi future, dalle catastrofi naturali agli incidenti industriali,
agli attacchi informatici e militari. Il documento comprende un Piano d’Azione
per promuovere gli obiettivi di resilienza dell’Unione, nonché per sviluppare
una cultura della preparazione fin dalla pianificazione di tutte le politiche
dell’UE.
La Strategia si
basa su tre pilastri: un approccio integrato a tutti i rischi (multi-hazard
approach), un approccio che coinvolge gli attori governativi di tutti i livelli
di governo (whole-of-government) e un approccio che coinvolga l’intera società
(whole-of-society), riunendo privati, società civile, imprese, oltre che la
comunità scientifica e accademica.
Questo triplice
approccio è necessario per raggiungere gli obiettivi chiave della Strategia.
Tali obiettivi comprendono: la protezione e il mantenimento delle funzioni
essenziali della società, anche tramite la fornitura di scorte aggiuntive a
quelle del già citato programma rescEU, a livello nazionale, o nella forma
accordi con il settore privato; il rafforzamento del coordinamento della
risposta alle crisi; l’aumento delle capacità di valutazione e prevenzione
della minaccia; l’aumento della cooperazione pubblico-privata e
civile-militare; e l’adozione di misure di preparedness per tutta la
popolazione, inclusa una formazione dedicata nelle scuole.
Come ricordato
dalla Presidente Von der Leyen, i cittadini, che Stati membri e le imprese
hanno bisogno degli strumenti giusti sia per prevenire le crisi che per reagire
rapidamente. Chiunque si trovi un territorio a rischio, deve essere formato e
preparato in quanto esso stesso attore di sicurezza. Da questa consapevolezza
deriva una delle azioni che ci riguarda i cittadini più da vicino, ovvero la
disponibilità di kit di emergenza che consentano ai singoli di essere
autosufficienti per un minimo di 72 ore. È prevista, inoltre, l’elaborazione di
una valutazione dei rischi e delle minacce entro il 2026 e l’istituzione di
Centro di coordinamento delle crisi dell’Ue, che dovrebbe migliorare
l’integrazione fra i centri di coordinamento europei già esistenti.
Con la
Preparedness Union Strategy, l’Ue, che da anni svolge un ruolo cruciale nella
protezione e nell’assistenza alle persone e ai paesi colpiti da gravi
emergenze, si sta evolvendo di fronte alla crescente evidenza che le crisi
richiedono azioni e di prevenzione e preparazione mirate, forti e coordinate.
Un approccio a livello europeo svolge e continuerà a svolgere un ruolo chiave
nell’armonizzare le capacità di gestione delle crisi, facilitando il
coordinamento e sostenendo lo sviluppo coerente di programmi. Allo stesso modo,
è fondamentale una gestione delle crisi flessibile, che unisca una componente
sovranazionale al ruolo dello Stato e del singolo cittadino, come fornitori ed
attori di sicurezza. AffInt 27.3.
Trump alza i dazi: tassi alti e inflazione in agguato
I nuovi dazi
introdotti dagli Stati Uniti e le reazioni dei Paesi colpiti rischiano di
alimentare l’inflazione, rallentare i consumi e aumentare i costi produttivi,
con effetti negativi su prestiti, investimenti, imprese e occupazione a livello
globale – di Paolo Zucca
Dazio chiama
inflazione. L’introduzione di nuove tasse doganali all’import da parte
dell’amministrazione Trump, con la conseguente analoga controffensiva dei Paesi
colpiti, non è una buona notizia per chi ha prestiti in corso perché manterrà
alti i tassi di interesse. Neppure per gli imprenditori che chiedono
finanziamenti per sviluppare le loro attività e magari assumere personale.
Produrrà costi aggiuntivi e quindi rischi di inflazione. Almeno per i prossimi
mesi prevarrà la prudenza: pochi tagli o nessun taglio da parte delle Banche
centrali, in attesa di misurare l’altezza dell’onda provocata dai decreti
esecutivi firmati dal nuovo presidente Usa.
Ai prodotti
europei verrà imposto un onere aggiuntivo del 20%, un 25% per le auto prodotte
all’estero e 34% per i prodotti cinesi.
L’effetto
immediato dei nuovi dazi (subito sulle auto estere, nei prossimi giorni per gli
altri) è però tanto facile da annunciare in TV quanto difficile da gestire
nelle imprese. Vale per gli Usa, per l’Europa, la Cina e tutti quanti sono
coinvolti nel regolamento dei conti fiscale planetario. La serata del
Liberation Day preannuncia l’irrigidimento dei rapporti commerciali, crea
freddezza diplomatica, alimenta voglie di rivalsa. Lavora sul rancore di chi si
chiude nei propri confini. Il contrario di un corretto libero scambio che
favorisce i rapporti tra i popoli secondo il detto: “Dove passano le merci non
passano i carri armati”.
Ma cosa potrà
produrre la nottata dei dazi istantanei, degli ordini esecutivi?
Nell’immediato, soprattutto incertezza, scossoni ai consumi e sovraccosti nelle
catene di approvvigionamento delle produzioni. Un’auto o un impianto di
macchine utensili è frutto di acquisti di componenti da fornitori stranieri,
non immediatamente sostituibili con un fornitore nazionale.
Almeno per alcuni
mesi le componenti intermedie della manifattura resteranno le stesse, con
prezzi però gravati da un onere imprevisto. Maggiori costi che verranno
scaricati sui prezzi, e per questo l’inflazione Usa, ma anche quella delle
grandi aree economiche, tornerà sotto pressione. A febbraio l’aumento dei
prezzi americani era del 2,8% rispetto al 3% di gennaio (2,2% a marzo in
Europa). La tendenza al calo non è scontata, neppure l’entità di un
riaccendersi del costo della vita, perché dipenderà dal comportamento delle
imprese e dei consumatori. Investire in un capannone o in un nuovo
elettrodomestico necessita di scenari prevedibili e sereni. Sono quelli che
mancano in queste ore. Sir 3
Nuovi equilibri e squilibri istituzionali nell’Unione europea
La nuova
legislatura europea che si è aperta lo scorso dicembre è caratterizzata da una
serie di nuovi equilibri e squilibri istituzionali, che hanno determinato nuove
dinamiche. Sarà vitale, per l’Unione europea, trovare il modo di funzionare e
di mantenere l’unità interna anche in questa situazione e durante una fase di
grandi mutamenti internazionali.
Se guardiamo
all’interno delle istituzioni, le elezioni europee e quelle nazionali che si
sono susseguite nel super anno elettorale del 2024 (con la coda di quelle
tedesche del 2025) hanno fatto registrare un consenso crescente per forze
radicali ed euroscettiche che influenzano le maggioranze al Parlamento europeo,
ma anche l’agenda della Commissione e del Consiglio europeo.
Al Parlamento
europeo ha sostanzialmente tenuto una maggioranza centrista, moderata e
pro-europea, formata dal Partito Popolare Europeo (PPE), dai Socialisti e
Democratici, dai Liberali e dai Verdi. Questa stessa coalizione ha eletto
Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato come Presidente della
Commissione europea con 401 voti, una quarantina in più del minimo necessario.
Quasi tutti i partiti estremisti hanno votato contro di lei, segnando una
chiara linea di demarcazione tra maggioranza e opposizione. L’opposizione resta
divisa tra il gruppo dei “Conservatori e Riformisti Europei” (ECR) guidato fino
allo scorso anno da Giorgia Meloni, il neonato gruppo “Patrioti per l’Europa”,
al quale appartiene anche la Lega, e il gruppo “Europa delle nazioni sovrane”
guidato da Alternative für Deutschland (AfD). Per tenere salda la maggioranza,
è stato applicato il “cordone sanitario”, che impedisce ai rappresentanti dei
“Patrioti per l’Europa” e dell’”Europa delle nazioni sovrane” – ma non a ECR –
di assumere posizioni rilevanti nelle commissioni del Parlamento europeo.
Allineamenti alternativi alla maggioranza, in particolare tra PPE e ECR, si
sono già verificati, ad esempio per il rinvio e l’indebolimento della legge
sulla deforestazione nel novembre 2024, e non è escluso che si ripetano nel
corso di questa legislatura.
Mutano le diverse
composizioni degli organi politici
Anche al Consiglio
europeo si registra uno spostamento a destra. Con le elezioni in Belgio e in
Germania, il numero dei rappresentanti di ECR equivale a quello dei
rappresentanti dei Socialisti e Democratici, mentre la maggioranza resta salda
in capo al PPE. Trovare il consenso a 27 sta diventando sempre più complicato,
tant’è vero che negli ultimi Vertici è stato necessario ricorrere ad espedienti
di vario tipo per far passare decisioni necessarie ed urgenti: ad esempio
quando il leader ungherese Orban è uscito dalla sala per permettere al
Consiglio europeo di votare l’avvio dei negoziati di adesione di Kyiv, oppure
allegando alle conclusioni formali dei Vertici le deliberazioni sul sostegno
all’Ucraina concordate a 26, di nuovo senza l’Ungheria. E questa tendenza è
destinata ad accentuarsi nella prospettiva di un ulteriore allargamento.
L’attivismo
estremo della Commissione
Anche la
composizione della nuova Commissione voluta dalla Presidente von der Leyen
presenta alcuni elementi nuovi, tra i quali il più evidente è un’estrema
frammentazione delle competenze tra i Commissari sui principali dossier. Ne
sono un esempio il Clean Industrial Deal, che ricade sotto ben tre Commissari:
Teresa Ribera, Vicepresidente esecutiva per la transizione pulita, giusta e
competitiva, Stéphane Séjourné, Vicepresidente esecutivo per la prosperità e la
strategia industriale e Wopke Hoekstra, Commissario per il clima, l’azzeramento
delle emissioni nette e la crescita pulita. Oppure il Libro Bianco sulla
Difesa, che è nelle mani di Kaja Kallas, vicepresidente, Alta rappresentate per
gli affari esteri e la politica di sicurezza e Andrius Kubilius, Commissario
per la difesa e lo spazio. Di recente, il gruppo dei Socialisti e Democratici
al Parlamento europeo ha promosso un’interrogazione in cui si contesta che “non
esiste un Commissario designato con un portafoglio chiaro per il mercato
interno e la tutela dei consumatori”. Avere incarichi in parte sovrapponibili e
con obiettivi comuni rende poco chiari i limiti entro i quali ciascun
Commissario riesce ad operare, e finisce per accentrare il processo decisionale
nelle mani della Presidente von der Leyen. Questa tendenza è stata confermata
anche dalla decisione di von der Leyen di istituire 14 “Gruppi di progetto”
composti dai diversi Commissari che si occupano di definire iniziative e
coordinare il lavoro nelle diverse aree prioritarie d’azione della Commissione.
Questo marcato
rafforzamento delle prerogative della Presidente della Commissione sta
influenzando anche le dinamiche inter-istituzionali, realizzando fughe in
avanti potenzialmente anche a scapito dei centri di potere intergovernativi. Un
ambito in cui questo è particolarmente marcato è quello della difesa, un
settore che è ancora di competenza prevalentemente nazionale e in cui le
principali decisioni sono soggette alla regola del consenso in sede in
Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea. La Commissione, sfruttando
al massimo le sue prerogative in tema di politica industriale della difesa, ha
prima istituito il nuovo ruolo di Commissario per la difesa e ha poi proposto
due iniziative di primo piano per rispondere alle esigenze di un maggiore impegno
europeo: il piano RearmEu, poi ridenominato Readiness 2030, e il Libro Bianco
sulla Difesa. Gli Stati membri riuniti in Consiglio e Consiglio europeo hanno
reagito sostenendo queste iniziative, ma avanzando anche diverse critiche e
richieste di modifica. In generale, quello che emerge è un attivismo estremo
della Commissione, senza però una chiara copertura politica dei 27 Stati
membri. Invece di tradursi in un rafforzamento della dimensione sovranazionale
delle politiche europee, l’attivismo della Commissione rischia di produrre un
disequilibrio nell’architettura istituzionale e in un mancato impegno politico
da parte delle capitali in iniziative comuni, aumentando le già significative
spinte centrifughe che arrivano da dentro e da fuori l’Unione.
Per resistere
all’impatto di queste trasformazioni, la nuova leadership europea dovrebbe
imparare rapidamente a navigare nel nuovo ambiente politico e pensare
seriamente di mettere in cantiere una serie di riforme istituzionali quanto mai
necessarie per superare lo stallo nel processo decisionale intergovernativo,
riformare la composizione della Commissione anche con un ridimensionamento del
numero dei Commissari, bilanciare in modo più funzionale le prerogative delle
diverse istituzioni. Insomma, in questa legislatura l’Unione europea si muove
in bilico tra nuovi equilibri e rischi di frammentazione. Alla fine, come
sempre, la funzionalità delle procedure decisionali e la chiara definizione
delle rispettive responsabilità saranno essenziali per realizzare le politiche
nei vari settori e sostenere la competitività europea. Jean Monnet diceva:
“Niente è possibile senza gli uomini, niente dura senza le istituzioni”.
Nicoletta Pirozzi, Aff.Int. 8
Guerra Commerciale: scontro tra Stati Uniti, Cina ed Europa. Minaccia alla
stabilità mondiale
"Quando le
merci non attraversano le frontiere, lo faranno gli eserciti." (Frédéric
Bastiat)
Il clima economico
globale si fa sempre più teso. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump,
ha annunciato l’intenzione di aumentare drasticamente i dazi sulle importazioni
cinesi, portandoli fino al 104%, a partire dal 9 aprile. Questa mossa rappresenta
una risposta diretta alle recenti ritorsioni della Cina, che ha imposto tariffe
del 34% su una vasta gamma di prodotti americani, incluse tecnologie,
agroalimentare e beni manifatturieri.
La Cina risponde
con fermezza
Pechino ha reagito
duramente, accusando gli Stati Uniti di alimentare un conflitto economico senza
precedenti. Il Ministero del Commercio cinese ha definito le nuove misure come
“un’aggressione deliberata al sistema commerciale multilaterale” e ha promesso
ulteriori contromisure. I media statali cinesi, nel frattempo, hanno rilanciato
una narrativa patriottica per sostenere le aziende nazionali, suggerendo che il
Paese è pronto a sostenere “una lunga resistenza economica”.
L’Unione Europea
nel mezzo della contesa
Anche l’Europa si
trova coinvolta. La Commissione Europea, con la presidente Ursula von der Leyen
in prima linea, ha proposto un accordo per l’eliminazione reciproca dei dazi
industriali con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha rifiutato
l’offerta, accusando l’UE di dipendenza energetica da Russia e Cina, e
invitandola ad acquistare energia e beni tecnologici dagli USA. In risposta,
Bruxelles ha preparato una lista di prodotti americani da colpire con dazi,
pronti a scattare in caso di ulteriori pressioni commerciali.
Mercati in allarme
e rischio recessione
Le tensioni hanno
immediatamente colpito i mercati finanziari. Le borse europee e asiatiche hanno
registrato cali sensibili, e Wall Street ha aperto in forte ribasso. Il prezzo
del petrolio è salito, mentre le catene di approvvigionamento globali mostrano
segni di nuova instabilità.
Jamie Dimon, CEO
di JPMorgan Chase, ha avvertito: “Una guerra commerciale tra le principali
economie mondiali potrebbe mettere in crisi la ripresa globale post-COVID e
spingerci verso una nuova recessione.” L’investitore Bill Ackman ha aggiunto:
“Stiamo giocando con il fuoco. Le barriere commerciali sono un boomerang
economico.”
Ripercussioni
sull’Italia e sul Made in Europe
In Italia, le
associazioni di categoria lanciano l’allarme. Settori come agroalimentare,
moda, automotive e meccanica rischiano di subire contraccolpi importanti. Le
esportazioni verso gli Stati Uniti e la Cina sono tra le più colpite, con
piccole e medie imprese italiane in prima linea nel chiedere misure
compensative e supporto diplomatico.
Prospettive Future
e Possibili Vie d’Uscita
Nonostante la
tensione, alcuni spiragli rimangono. Negli USA, consiglieri moderati della Casa
Bianca stanno sondando canali di dialogo, anche attraverso paesi terzi come
Singapore o Corea del Sud. L’Europa, dal canto suo, punta a mantenere una
posizione negoziale e propone nuove regole globali per il commercio.
Possibili scenari
nei prossimi mesi:
1. Escalation
incontrollata: l’inasprimento dei dazi potrebbe portare a una paralisi del
commercio globale, blocchi industriali e carenza di beni.
2. Accordi
settoriali: soluzioni temporanee in ambiti specifici (energia, semiconduttori,
agricoltura) per ridurre le tensioni.
3. Nuovo ordine
commerciale globale: l’idea di un vertice multilaterale sul commercio prende
piede, con l’OMC in cerca di rilancio.
4. Blocchi
regionali: se il dialogo fallisce, potremmo assistere a una nuova
frammentazione economica, con la nascita di blocchi indipendenti in Asia,
America Latina e Africa.
Nel pieno di
questa tempesta commerciale, la comunità internazionale guarda con
preoccupazione all'evoluzione dei prossimi giorni. Le decisioni che verranno
prese da Washington, Pechino e Bruxelles non riguardano solo i dazi, ma il
futuro stesso dell'economia globale. Come ammoniva Bastiat, “quando le merci
non attraversano le frontiere, lo faranno gli eserciti”, un monito che, oggi
più che mai, non possiamo permetterci di ignorare.
Le nostre azioni
determinano ciò che siamo. Questo è il messaggio che emerge con forza in un
contesto internazionale sempre più frammentato. Le scelte economiche e
politiche di oggi plasmano il futuro delle nazioni, ma anche la nostra stessa
identità come società globale. Ignorare le conseguenze di azioni irrazionali
potrebbe significare non solo un ritorno a vecchie tensioni geopolitiche, ma
anche la minaccia di perdere il controllo del nostro destino economico. Carlo
Di Stanislao, de.i.press 8
Raggiunto in Germani l’accordo di coalizione
Nei colloqui di coalizione, che si sono tenuti dal 13 marzo, è stato
raggiunto un accordo tra l’Unione Cristiano Democratica (CDU e CSU) e i
Socialdemocratici (SPD). Dopo che l’Unione di CDU e CSU ha vinto le elezioni
anticipate per il parlamento tedesco il 23 febbraio, i colloqui con l’SPD,
iniziati a febbraio, si sono conclusi il 9 aprile. Ora, i congressi della CDU e
dell’SPD devono approvare la proposta, come ha già fatto ufficialmente la CSU
il 10 aprile.
L’accordo di coalizione si concentra sulla sicurezza interna e
sull’immigrazione, oltre che sull’economia e sulla stabilità democratica. Nei
colloqui esplorativi, i partiti avevano concordato un pacchetto di debito per
la difesa e le infrastrutture che avrebbe consentito al nuovo governo federale
di contrarre un debito di miliardi.
Sono stati concordati anche i diversi ministeri che ciascun partito
fornirà. Alla CDU andranno sette ministeri, tra cui il ministero dell’Economia
e degli Esteri. Anche l’SPD avrà sette ministeri, tra cui il ministero del
Lavoro e delle Finanze. Alla CSU andranno il ministero dell’Interno e della
Comunità, dell’Istruzione e della Ricerca, e quello dell’Alimentazione e
dell’Agricoltura. [1]
I partiti di opposizione
Altri partiti politici criticano l’accordo. La Sinistra definisce l’accordo
un “documento di ignoranza” poiché non affronta le grandi sfide di oggi come la
solidarietà sociale, l’aumento degli affitti, la distruzione del pianeta e le
crisi internazionali. Per il partito l’accordo di coalizione manca di
“soluzioni reali”. [2]
Il partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) definisce l’accordo
un “certificato di resa” dell’Unione. Secondo Alice Weidel, leader dell’AfD,
l’accordo è chiaramente influenzato dall’SPD e dal partito dei Verdi che
agiscono dietro le quinte. Inoltre, le grandi questioni relative alla
migrazione e all’energia rimangono senza risposta e la coalizione è una
“coalizione di bugie e un cordone sanitario”. [2]
Il partito dei Verdi, membro della precedente coalizione guidata dal
cancelliere Scholz, critica anche la mancanza di interesse per le grandi sfide,
come il cambiamento climatico. In materia di giustizia sociale, non c’è nulla
da aspettarsi dal nuovo governo. Potranno anche avere i soldi per realizzare le
idee, ma non hanno idee che valga la pena realizzare. [2]
Voci cattoliche
La Chiesa cattolica in Germania ha mostrato reazioni contrastanti. Il
Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK) ha avuto una reazione
complessivamente positiva. L’accordo di coalizione mostra una concentrazione su
“sicurezza interna, sviluppo economico e investimenti in una società giusta e
diversificata”. Accolto con favore è stato anche il rapido accordo tra i
partiti. Il prossimo passo sarebbe quello di formare rapidamente un governo
funzionante – ha detto il Presidente dello ZdK. Allo stesso tempo, si aspettano
che il governo difenda l’importanza del diritto internazionale e metta al loro
posto coloro che credono nella legge del più forte.
Mentre il sostegno e il rafforzamento della democrazia sono un gradito
obiettivo della coalizione, l’indebolimento previsto della legge sulla catena
di approvvigionamento, il ritorno al rimborso del gasolio agricolo e i piani di
politica migratoria non sono in linea con lo ZdK e incontrano le loro critiche.
[3]
L’organizzazione per gli aiuti allo sviluppo Misereor accoglie con favore
il proseguimento del Ministero della Cooperazione Economica e dello Sviluppo
come segnale di sviluppo, pace e impegno per la lotta alla fame e alla povertà.
Allo stesso tempo, Misereor fa appello al governo affinché non effettui
ulteriori tagli al bilancio della cooperazione allo sviluppo. I tagli ai
finanziamenti indebolirebbero la lotta contro la crisi climatica, la fame, la
povertà e le malattie. L’indebolimento della legge sulla catena di
approvvigionamento è un altro punto di critica. [3]
Il direttore del Jesuit Refugee Service (JRS) ha definito l’accordo di
coalizione un “disastro annunciato”. In particolare, lo preoccupano i
cambiamenti nella politica migratoria, poiché mettono a repentaglio la coesione
sociale emarginando rifugiati e migranti senza risolvere alcun problema. [3]
[1] Schwarz-rote Koalition:
News zur neuen Bundesregierung. | ZEIT ONLINE
[2] Koalitionsvertrag: Linke
kritisiert Koalitionsvertrag als “Dokument der Ignoranz” | ZEIT ONLINE
[3] Lob und Kritik:
Kirchliche Stimmen zum Koalitionsvertrag – katholisch.de Laura Welle, Sett.News
12
La visione di politica globale del nuovo governo tedesco
I negoziati per la formazione della nuova coalizione di governo in Germania
procedono spediti, anche a causa di un quadro internazionale che reclama con
sempre maggiore urgenza una leadership chiara e forte. In particolare, il
concretizzarsi della sfida trumpiana al sistema delle relazioni economiche
internazionali aggiunge un ulteriore fattore di urgenza a quello legato al
progetto di riarmo europeo.
Coerentemente con il quadro emerso all’indomani delle elezioni, si
configura una coalizione a due – CDU/CSU e SPD – che porrà all’opposizione un
ventaglio di partiti che va dai Verdi ad AfD passando per la Linke. Si tratterà
dunque di una coalizione che non potrà sicuramente essere definita come
“grande” ma che certamente dovrebbe presentare minori problemi gestionali della
defunta coalizione semaforo, che aveva posto un vero e proprio problema dei tre
corpi, finendo per logorare soprattutto il maggiore, l’SPD, e il suo leader,
Olaf Scholz. In questi giorni le trattative tra le due forze principali si
stanno intensificando, anche se il raggiungimento di un accordo per la fine di
aprile sembra davvero difficile, con una maggiore fiducia per i primi giorni di
maggio.
Ha avuto molta eco la convergenza espressa da socialdemocratici e
cristiano-democratici per la riforma delle regole di finanza, che sono state
fatte votare dal parlamento uscente e che permetteranno al governo tedesco un
maggiore margine di manovra su tematiche strategiche. In questo senso,
l’impegno per il riarmo e la continuazione del sostegno all’Ucraina rappresenta
la premessa attraverso cui cementificare l’intesa.
Restano però molti fattori divisivi legati soprattutto alle diverse visioni
dell’economia e dello sviluppo del paese, al momento alle prese con una
contrazione economica che va governata e trasformata in un volano di crescita.
A dividere molto è il tema della detassazione: mentre la CDU preme per un
taglio immediato delle tasse sulle aziende, per i socialdemocratici questo
obiettivo va raggiunto in un orizzonte più ampio, quello del 2029. Si tratta di
divisioni di sostanza ma anche di forma: su questi temi infatti i partiti
mettono in gioco la loro identità e la loro visione della società.
Diversi punti di frattura
In realtà, il tema del rilancio dell’economia è molto più complesso e va
oltre le divisioni più classiche su tasse e occupazione. La futura Groko dovrà
infatti mettere a punto un programma per modernizzare un’economia che,
nell’ultimo decennio, non ha saputo effettivamente rinnovarsi. Vi è un ritardo
infrastrutturale rilevante, basti guardare al comparto ferroviario. Vi è poi
una questione energetica aperta: è diffusa l’idea che la svolta green che il
paese ha compiuto sia stata mal pensata e mal gestita. Vi è poi un discorso più
generale di innovazione e di adeguamento di una legislazione che con il tempo
si è fatta più complessa e farraginosa. Questo processo di riforma si intreccia
e si sovrappone con le politiche in materia portate avanti dall’Unione europea,
dall’Omnibus Simplification Package ad altri macro-provvedimenti che andranno
rapportati e integrati con le strategie nazionali.
Tutti questi temi, che dovranno necessariamente trovare una sintesi nella
piattaforma politica del nuovo governo, andranno poi a sommarsi alla nuova
visione strategica che il governo dovrà definire, innanzitutto nei confronti
dei tre attori globali principali: Russia, Cina e Stati Uniti. Questi ultimi
pongono un duplice problema: da un lato quello di ripensare (e, se necessario,
integrare) il dialogo transatlantico, dall’altro quello di evitare che il vuoto
di potere generato dalla ritrazione di Washington in diverse aree geografiche
sia colmato dagli altri, in particolare da Pechino. In questo senso un aspetto
molto importante da monitorare sarà la visione di politica globale del nuovo
governo, con un’attenzione specifica alle politiche di aiuto allo sviluppo.
Inizialmente si pensava che il nuovo governo tedesco avrebbe tagliato questa
voce per dare priorità ad altro, ma oggi ci si chiede se questo sia possibile
per evitare che la Cina subentri nel controllo di aree e ambiti economici
strategici.
Federico Niglia, AffInt 15
I Referendum abrogativi 2025 in Italia
ROMA – Per cosa si
vota?
Con i Decreti del
Presidente della Repubblica del 31/03 2025, pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale, Serie Generale, n. 75, del 31/03/2025, sono stati indetti 5
referendum popolari abrogativi per:
* Cittadinanza
italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia
dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione
della cittadinanza italiana.
* Contratto di
lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi:
Abrogazione.
* Piccole imprese
– licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale.
* Abrogazione
parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro
subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi.
* Esclusione della
responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore
per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o
subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività
delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione.
Chi può votare
all’estero?
Gli elettori
iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), che ricevono
direttamente il plico elettorale al proprio indirizzo di residenza all’estero
Gli italiani
temporaneamente all’estero per almeno tre mesi, esclusivamente per motivi di
lavoro, studio o cure mediche, e i familiari con essi conviventi all’estero.
Attenzione:
l’elettore temporaneamente all’estero deve presentare apposita richiesta al
Comune italiano di residenza entro il 7 maggio per ricevere il plico
elettorale.
Quando si vota?
In Italia si vota
domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025.
Gli elettori all’estero
votano in anticipo, per corrispondenza. I plichi verranno spediti all’indirizzo
di residenza entro il 21 maggio.
Attenzione: gli
elettori che entro il 25 maggio non abbiano ancora ricevuto il plico elettorale
potranno contattare il proprio ufficio consolare per ottenere il duplicato.
Come si vota?
Il voto avviene
per corrispondenza. Le schede dovranno essere rispedite al consolato seguendo
attentamente le indicazioni del foglio informativo presente nel plico
elettorale ed utilizzando unicamente il materiale con esso fornito. Saranno
trasmesse in Italia per lo scrutinio solamente le schede votate recapitate
all’ufficio consolare di riferimento entro e non oltre le ore 16 locali di
giovedì 5 giugno. (www.esteri.it)
Si ricorda che
il voto è un diritto tutelato dalla Costituzione Italiana e che, in
base alla Legge 27 dicembre 2001, n. 459, i cittadini italiani residenti
all’estero, iscritti nelle liste elettorali, possono votare per posta,
ricevendo il plico elettorale al proprio indirizzo di residenza. A tal fine, si
raccomanda di controllare e regolarizzare la propria situazione anagrafica e di
indirizzo presso l’Ufficio consolare competente, utilizzando preferibilmente il
portale online dei servizi consolari Fast It.
In alternativa al
voto per corrispondenza, gli elettori iscritti all’AIRE possono scegliere
di votare in Italia presso il proprio comune di iscrizione elettorale, comunicando
per iscritto la propria scelta (opzione) al Consolato entro il 10° giorno
successivo alla indizione delle votazioni. Gli elettori che scelgono di
votare in Italia in occasione della prossima consultazione referendaria
riceveranno dai rispettivi Comuni italiani la cartolina-avviso per votare
presso i seggi elettorali in Italia. La scelta (opzione) di votare in Italia
vale solo per la consultazione referendaria rispetto alla quale è espressa.
Si ribadisce che
in ogni caso l’opzione deve pervenire all’Ufficio consolare non oltre i dieci
giorni successivi a quello dell’indizione delle votazioni, ovvero entro il
giorno 10/04/2025. Tale comunicazione può essere scritta su carta semplice e -
per essere valida - deve contenere nome, cognome, data e luogo di nascita,
luogo di residenza e firma dell’elettore, accompagnata da copia di un documento
di identità del dichiarante.
Per tale
comunicazione si può anche utilizzare l’apposito modulo scaricabile dal sito
web del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
(www.esteri.it) o da quello del proprio Ufficio consolare di riferimento. Il
modulo, debitamente compilato, firmato e accompagnato da un documento
d’identità, può essere consegnato/inviato presso l’Ufficio consolare
competente:
a mano; per posta;
per posta elettronica ordinaria; per posta elettronica certificata.
Come prescritto
dalla normativa vigente, sarà cura degli elettori verificare che la
comunicazione di opzione spedita per posta sia stata ricevuta in tempo utile
dal proprio Ufficio consolare. Le richieste pervenute oltre il termine
sopra indicato non potranno essere ritenute valide. La scelta di votare in
Italia può essere successivamente revocata con una comunicazione
scritta da inviare o consegnare all’Ufficio consolare con le stesse modalità
ed entro la stessa data prevista per l’esercizio dell’opzione.
Se si sceglie di
rientrare in Italia per votare, la Legge non prevede alcun tipo di
rimborso per le spese di viaggio sostenute, ma solo agevolazioni tariffarie
all’interno del territorio italiano.
Vi invitiamo a
contattare l’Ufficio consolare competente per qualunque dubbio o domanda.
De.it.press 10
Partita in Germania la campagna per il "Sì" ai 5 referendum
Berlino - Il Pd
Germania ha preso parte il 4 e 5 aprile a Wolfsburg e a Berlino al'inizio della
Campagna Referendaria per il "Sì" ai 5 quesiti per cui si voterà i
prossimi 8 e 9 giugno. Obiettivo della campagna: chiamare i cittadini italiani
all'estero a partecipare per dire stop ai licenziamenti illegittimi, per
tutelare i/le lavoratori/trici delle piccole imprese, per la riduzione del
lavoro precario, per più sicurezza sul lavoro, e per ottenere la cittadinanza
italiana con 5 anni di residenza legale.
"Il voto
dell'8 e 9 giugno sarà un momento importantissimo per gli italiani per
manifestare, attraverso la principale forma di democrazia diretta di cui
dispongono, la loro volontà di riconoscere diritti fondamentali del e nel
lavoro e diritti di cittadinanza a chi vive e lavora in Italia - ha spiegato il
coordinamento tedesco per i referendum -. Il voto è la nostra rivolta per
cambiare l'Italia e renderla un paese migliore".
Se ne è discusso
dunque presso la casa del sindacato dell’IG Metall, a Wolfsburg, il 4 aprile,
alle ore 16.30 nella sala Otto Brenner, con Giovanni Cotugno, Segretario
Generale FIOM CGIL Emilia-Romagna, Lina Rossetti, Delegata FIOM in Ducati
Motor, coordinatrice internazionale dei lavoratori, di Ducati e componente del
Consiglio mondiale dei lavoratori VW, Volker Telljohann, IRES CGIL
Emilia-Romagna, Deepika Salhan, Co-presidente Comitato Referendum Cittadinanza
e Presidenta dalla, parte giusta della storia, e Michele Bulgarelli, Segretario
Generale CGIL Bologna.
Il giorno dopo, il
5 aprile, alle 14.30 il coordinamento ha aperto la campagna anche a Berlino, a
AWO Begengnungszentrum, con il contributo di Gianni Corugno Segr. Gen. FIOM
Emilia Romagna, Bruna Rossetti Delegata FIOM Ducati, cons. mondiale.
Volkswagen, e Deepika Salhan Co-presidente Comitato Referendum Cittadinanza.
L'Assemblea poteva
essere seguita on line attraverso Zoom. (aise/dip 6)
Riunito a Saarlouis l’Intercomites Germania
Saarlouis. Il 29 e
30 marzo scorsi, l’Intercomites Germania si è riunito, insieme agli eletti al
CGIE per la Germania, a Saarlouis, nella sala ricevimenti del Comune della
città per la prima delle due riunioni periodiche dell’Intercomites che sono
programmate ogni anno. Durante la due giorni, sono stati trattati diversi temi
tutti strettamente aderenti alle problematiche degli italiani in Germania.
Presente alla
riunione, in rappresentanza dell’Ambasciata, la Consigliera Anna Bertoglio.
Inoltre, è intervenuto da remoto anche il Console Generale di Francoforte,
Massimo Darchini, e il Comites del Lussemburgo.
Durante un
collegamento online con l’Intercomites Francia, riunito a Lione con la presenza
della Segretaria Generale del CGIE, Maria Chiara Prodi, si è constatato che i
principali problemi e le relative iniziative sono comuni e condivisi.
Domenica mattina
la riunione è stata aperta dal Presidente della Provincia di Saarlouis, Patrik
Lauer, che ha ricordato in maniera appassionata il contributo italiano non solo
alla comunità locale, ma anche allo spirito europeo, all’essere stati tra i fondatori
del concetto di Europa unita.
Inoltre, toccante
è stata l’apertura dei lavori dedicata a Michele Schiavone, ex Segretario
Generale del CGIE, a un anno dalla sua scomparsa. La Coordinatrice
dell’Intercomites Germania e presidente del Comites di Colonia, Simonetta del
Favero, in un clima di forte commozione ha dato lettura di un ricordo in sua
memoria scritto dal Consigliere del CGIE e componente per l’Europa e l’Africa
del Nord del Comitato di Presidenza, Tommaso Conte.
Entrando nel vivo
dei lavori, la Consigliera Bertoglio ha aggiornato i dati a disposizione sui
servizi consolari. La comunità italiana in Germania si conferma in costante
crescita ed estremamente mobile, sia da che verso l’Italia, sia all’interno
della Germania che verso altre nazioni europee. Si conferma una comunità
giovane e molto dinamica, a quanto spigato da Bertoglio. A fronte di questa
situazione lo stato dei servizi consolari ha raggiunto un livello ottimale in
alcune circoscrizioni; per alcune circoscrizioni i presidenti hanno riportato
ancora difficoltà e ritardi per ottenere appuntamenti per carte d’identità e
passaporti. Tenuto conto che le carte d’identità cartacee perderanno la loro
validità dal 3 agosto del 2026, la consigliera si è augurata che i consolati
dove permangono ritardi seguano a breve gli esempi di quelli più virtuosi.
La parte centrale
della discussione si è svolta attorno al tema della legge finanziaria e delle
conseguenze in buona parte negative per gli italiani all’estero. La finanziaria
per il 2025 ha garantito un leggero aumento dei contributi per alcuni Comites,
seppure in maniera diseguale e non comprensibile, tanto che alcuni Comites
dovranno richiedere dei finanziamenti integrativi ritrovandosi nella stessa
situazione del 2024. Anche quest’anno alcuni Presidenti dovranno anticipare
risorse di tasca propria per coprire le spese dei primi mesi dell’anno. Una
situazione che non può più essere accettata. “Era stato garantito che per il
finanziamento 2025 si sarebbe tenuta in considerazione anche la copertura delle
spese di gestione, ma non è stato così per tutti i Comites”, spiegano
dall’Intercomites. I criteri di assegnazione delle risorse sono cambiati e
danno ora un peso maggiore alla popolazione residente nella circoscrizione
oltre alla considerazione delle spese di gestione sostenute. “Resta da
comprendere che fine devono fare i Comites che si trovano su territori con meno
popolazione residente e che con la loro attività però sostengono tanti
connazionali che risiedono a centinaia di chilometri dalla sede del Consolato e
hanno difficoltà ad accedere ai servizi consolari”. L’impegno, ora, per i
Comites “più piccoli” è in continuo aumento mentre le disponibilità finanziarie
loro stanziate rimangono da anni sempre le stesse e inferiori alle spese
regolarmente rendicontate ogni anno nei bilanci consuntivi.
La stessa legge ha
prodotto un danno grave a tutti i pensionati con pensione uguale o superiore
alla minima, che rimane bloccata nella sua rivalutazione di adeguamento
all’inflazione. Su questo è stato fatto il punto sull’iniziativa promossa
dall’Intercomites Germania e sulla diffusione della campagna che ha raggiunto
anche l’Australia e l’Ungheria e che sta avendo una buona risonanza. In
collegamento da Lione, Toni Ricciardi, unico rappresentante presente tra gli
eletti all’estero, ha confermato di essere a conoscenza di iniziative legali
allo studio da parte di sindacati di pensionati e di patronati. La via legale
pare al momento l’unica percorribile. I Comites della Germania si sono quindi
impegnati alla massima diffusione di azioni e iniziative, oltre a tutte le
informazioni necessarie per aderire.
Si è brevemente
discusso della recentissima nuova legge sulla cittadinanza italiana. Benché
questa problematica sia sentita soprattutto nei Paesi del continente americano,
i consiglieri italo-tedeschi hanno concordato che il provvedimento rischia di
colpire in maniera indiscriminata, rescindendo anche i legami con comunità
lontane e di antica emigrazione e mettendo in discussione anche il concetto di
identità culturale.
La discussione si
è poi spostata sulla drammatica situazione degli enti gestori dei corsi di
lingua e cultura, messi in fortissima difficoltà da una crescente
iperburocratizzazione a fronte invece di una totale assenza di indicazioni e
direttive per una politica culturale in favore della lingua italiana, sia per
gli alunni italiani che per quelli, non pochi, stranieri, sia, soprattutto, per
i nuovi giovani in età scolare in arrivo dall’Italia. L’Intercomites ha quindi
chiesto una maggiore azione di coordinamento da parte dell’Ambasciata su
obiettivi comuni per non perdere questa rete che raggiunge famiglie fin nei
territori più lontani. La consigliera Bertoglio ha dunque confermato che è allo
studio il passaggio della gestione dei corsi alla Direzione Generale per gli
Italiani all’Estero, come da tempo richiesto dal CGIE e dai Comites, il che
rappresenterebbe un segno di maggiore attenzione per la comunità e,
soprattutto, la possibilità di interagire con un interlocutore, data la totale
mancanza di risposte da parte della Direzione Generale per la diplomazia
pubblica e culturale che gestisce ora i corsi.
Sono stati in
seguito trattati altri temi come lo stato della guida “Primi passi in
Germania”, ormai giunta alla correzione delle bozze e prossima alla
pubblicazione, uno strumento indispensabile per chi è appena arrivato in
Germania e per chi dall’Italia sta pensando di trasferirsi in questo paese.
Infine, si è
verificato lo stato delle varie iniziative per il 70° Anniversario della firma
degli accordi tra Italia e Germania sull’emigrazione.
In chiusura di
lavori, l’Intercomites ha anche ricordato l’importante momento di coordinamento
consolare che si terrà a Berlino il prossimo 24 maggio dove la comunità
italiana, attraverso i suoi rappresentanti, incontrerà il nuovo Ambasciatore
d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci, mentre il prossimo incontro di
coordinamento dei Comites è previsto per i giorni 7 e 8 novembre 2025 a
Dortmund. (aise/dip 4)
Berlino: la ministra Locatelli ospite in Ambasciata
La ministra per le
Disabilità, Alessandra Locatelli, è stata ospite dell’Ambasciata d’Italia a
Berlino, dove si è recata in occasione del “Global Disability Summit”.
Locatelli ha
partecipato in particolare alla sessione inaugurale alla quale sono intervenuti
anche Nawaf Kabbara, presidente di International Disability Alliance (IDA),
Olaf Scholz, cancelliere della Repubblica Federale di Germania, Abdullah II ibn
Al Hussein, Re del Regno Hashemita di Giordania, e Amina Mohammed, vice
segretaria generale delle Nazioni Unite.
La ministra ha
poi preso parte nel pomeriggio di ieri, 2 aprile, all’evento “Building
future-ready, inclusive infrastructure for all – News challenges & local
solutions”, e oggi, 3 aprile, a “Technology, Innovation and Entrepreneurship:
Supporting Independent Living for Persons with Disability”, organizzato dalla
Lega Araba in collaborazione con IDA, la Arab Organization for Persons with
Disabilities (AOPD) e lo Executive Bureau of the Gulf Cooperation Council
Ministers of Labor and Social Affairs.
La ministra
Locatelli è inoltre intervenuta sul tema “Empowering Independent Living through
Policy: Italy’s Commitment to Innovation for Persons with Disabilities”.
Nella serata di
ieri Locatelli è stata ospite dell’ambasciatore d’Italia a Berlino, Fabrizio
Bucci, che ha accolto la ministra, assieme al commissario governativo per le
questioni relative a persone con disabilità, Jürgen Dusel, con un ricevimento
in Residenza. (aise/dip 3)
Criminalità in calo in Germania, ma la violenza aumenta
Meno crimini, ma
più pericolo nelle strade. La nuova Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) 2024,
presentata dalla Ministra dell’Interno Nancy Faeser, mostra una realtà
complessa: il numero totale dei reati è diminuito dell’1,7%, ma la violenza è
in crescita. Accoltellamenti, stupri e aggressioni sono aumentati, trasformando
le città tedesche in scenari sempre più insicuri – di Licia Linardi
La Ministra
federale dell’Interno, Nancy Faeser, il Senatore per gli Affari Interni della
città Anseatica di Brema, Ulrich Mäurer, e il Presidente dell’Ufficio Federale
di Polizia Criminale (BKA), Holger Münch, hanno presentato a Berlino la
Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) 2024, il rapporto annuale sulla
criminalità in Germania.
I dati mostrano un
quadro complesso: da un lato, il numero complessivo dei reati è diminuito
dell’1,7% rispetto all’anno precedente, con circa 5,84 milioni di crimini
registrati. Dall’altro, però, la violenza è in aumento, con un incremento del
1,5% dei reati violenti, che hanno raggiunto quota 217.277 casi. Preoccupante
la crescita dei crimini sessuali e degli attacchi con armi da taglio.
Dietro questi
numeri si nasconde un quadro allarmante: quasi 600 crimini violenti al giorno,
un’escalation di attacchi con armi da taglio e una criminalità sessuale in
continua crescita. La politica reagisce con nuove leggi e misure drastiche,
come il divieto di coltelli nei luoghi pubblici, l’inasprimento delle
espulsioni per criminali stranieri e l’introduzione del braccialetto
elettronico per gli aggressori domestici.
Uno dei principali
fattori che hanno determinato la riduzione complessiva della criminalità è
stata la parziale legalizzazione della cannabis, entrata in vigore il 1° aprile
2024. La depenalizzazione del possesso e della coltivazione per uso personale
ha fatto sì che molte infrazioni legate alla droga non fossero più perseguibili
penalmente, riducendo così il numero di reati registrati.
Tuttavia, mentre i
reati legati alla cannabis sono diminuiti, sono aumentati quelli connessi a
droghe sintetiche come LSD e nuove sostanze psicoattive, un fenomeno su cui le
autorità stanno ponendo particolare attenzione.
Uno dei dati più
allarmanti del rapporto riguarda l’aumento della violenza, in particolare gli
attacchi con coltelli. Nel 2024 si sono verificati 15.741 accoltellamenti, pari
al 7,2% di tutti i reati violenti.
Per contrastare
questo fenomeno, il governo ha adottato nuove misure restrittive, come il
divieto di porto di coltelli su mezzi pubblici, in eventi di massa e in luoghi
ad alto rischio. Questi divieti possono ora essere controllati senza necessità
di sospetti specifici, per garantire una maggiore efficacia nella loro
applicazione.
La Ministra
dell’Interno Nancy Faeser ha dichiarato: “Ogni giorno la polizia registra circa
600 crimini violenti in Germania. Abbiamo introdotto divieti rigorosi sul porto
di coltelli negli spazi pubblici e stiamo lavorando per farli rispettare. Non
esiste alcuna giustificazione per la violenza. Chi commette reati deve
affrontare conseguenze rapide e severe.”
Un altro aspetto
particolarmente preoccupante della PKS 2024 riguarda l’aumento delle violenze
sessuali, tra cui stupri e molestie. Secondo la Ministra Faeser, il sistema di
protezione e supporto per le vittime deve essere rafforzato: “Abbiamo bisogno
di un sistema di protezione più efficace per le donne vittime di violenza.
Chiedo con urgenza l’introduzione del braccialetto elettronico per impedire
agli aggressori di avvicinarsi alle loro vittime.”
L’uso del
braccialetto elettronico per il monitoraggio dei colpevoli di violenza
domestica è già stato adottato in Spagna con risultati positivi. Ulrich Mäurer,
presidente della Conferenza dei Ministri degli Interni (IMK), ha proposto di
inserire questa misura nel Gewaltschutzgesetz (Legge sulla protezione dalla
violenza) per garantire maggiore sicurezza alle donne minacciate da ex partner
violenti.
Inoltre, è stato
varato un nuovo Gewalthilfegesetz (Legge per l’assistenza alle vittime di
violenza) che garantisce consulenza e protezione gratuite alle donne vittime di
aggressioni. Un primo esempio concreto di questa iniziativa è il centro di
supporto aperto 24 ore su 24 alla stazione di Berlino Ostbahnhof, dove agenti
specializzati forniscono assistenza immediata e raccolgono denunce.
Un altro tema
centrale del rapporto è la presenza di stranieri tra i sospettati. Secondo i
dati, oltre un terzo dei sospettati non possiede la cittadinanza tedesca.
La Ministra Faeser
ha sottolineato l’importanza di un’azione più severa nei confronti degli
stranieri colpevoli di reati gravi: “Abbiamo inasprito le leggi per aumentare
le espulsioni. Oggi il numero delle deportazioni è del 55% più alto rispetto a
due anni fa.”
Le nuove misure
includono:
– Aumento del
periodo massimo di trattenimento in attesa di espulsione da 10 a 28 giorni
– Maggiori poteri
di perquisizione nelle strutture di accoglienza
– Possibilità di
espellere i detenuti senza preavviso
Secondo il
Senatore Mäurer, la gestione della criminalità tra i migranti deve considerare
anche fattori sociali e psicologici, come i traumi vissuti da rifugiati e
richiedenti asilo. Per questo, ha sottolineato la necessità di un miglior
coordinamento tra polizia, sanità e servizi sociali, per prevenire atti
violenti e tragedie come quelle avvenute a Magdeburgo e Aschaffenburg.
Il rapporto
evidenzia anche una diminuzione del numero di minori coinvolti in reati, ma un
aumento della violenza tra bambini e adolescenti:
– Tatverdächtige
Kinder (sospetti minori di 14 anni): -2,3% (101.886 casi)
– Tatverdächtige
Jugendliche (sospetti tra 14 e 18 anni): -6,9% (192.863 casi)
– Violenza
minorile: +11,3% tra i bambini, +3,8% tra gli adolescenti
Secondo il
presidente del BKA Holger Münch, le cause possono essere legate agli effetti a
lungo termine delle restrizioni Covid-19, che hanno aumentato il disagio
psicologico e la propensione alla violenza nei più giovani. Il BKA ha
annunciato nuovi studi per analizzare meglio il fenomeno.
La PKS 2024
evidenzia progressi nella riduzione complessiva della criminalità, ma mostra
anche nuove sfide da affrontare, come l’aumento della violenza, dei crimini
sessuali e delle aggressioni con coltelli.
Le misure
adottate, come i divieti di porto d’armi da taglio, il rafforzamento delle
espulsioni e il sostegno alle vittime di violenza, sono passi importanti.
Tuttavia, secondo gli esperti, serviranno ulteriori interventi per prevenire la
criminalità giovanile e affrontare le radici sociali della violenza.
La sicurezza in
Germania resta una priorità, e la sfida per le autorità è garantire risposte
efficaci senza compromettere i diritti fondamentali dei cittadini.
Ma basterà? Mentre
le autorità cercano di contenere l’ondata di violenza, emergono interrogativi
più profondi: perché i giovani sono sempre più inclini alla brutalità? Cosa sta
spingendo le città tedesche verso un clima di paura? La Germania è a un bivio
tra sicurezza e libertà, e la risposta a queste sfide definirà il futuro della
società tedesca. CdI on. 4
Brevi di cronaca e politica tedesca
Governo: si forma
l’alleanza “nero-rossa”
Il suo titolo è
“Responsabilità per la Germania”. Nel programma di 140 pagine si legge che “le
politiche dei prossimi anni avranno un ruolo decisivo nel determinare se in
futuro continueremo a vivere in una Germania libera, sicura, giusta e
prospera”. Il leader della CDU Friedrich Merz definisce l’accordo un “segnale
forte” per i cittadini e per l’Europa, per questo i partiti moderati di centro
sono “in grado di risolvere i problemi”. Dopo tutte le controversie politiche
delle ultime settimane, il Cancelliere designato si mostra fiducioso: “La
Germania avrà un governo capace di agire e fermo nelle sue azioni”.
La lista del
futuro Cancelliere Merz prevede: incentivi per l’economia; riduzione
dell’imposta sul reddito delle società; abbassamento delle tasse per i redditi
medio-bassi; maggiori spese per la difesa; un nuovo modello di servizio
militare obbligatorio; respingimenti più frequenti di migranti irregolari alle
frontiere, rilascio dei visti sottoposto a controlli più rigidi; la
cittadinanza tedesca sarà possibile solo dopo cinque anni, non dopo tre; i
rifugiati ucraini non riceveranno più l’indennità di cittadinanza; gli
indirizzi IP dovranno essere conservati per tre mesi per motivi di sicurezza;
istituzione di un Consiglio di sicurezza nazionale; abolizione del reddito di
cittadinanza; salario minimo fissato a 15 euro; rimozione degli ostacoli
burocratici e digitalizzazione dell’amministrazione; sgravi fiscali per i
consumatori per far fronte ai costi elevati dell’elettricità.
Il leader dell’SPD
Lars Klingbeil afferma che “l’accordo è soggetto a una riserva finanziaria” e
parla di “tempi veramente storici”, con piena consapevolezza della propria
responsabilità. Secondo il leader della CSU Markus Söder, “il nuovo accordo di
coalizione smarca la Germania dalla difensiva in materia di politica estera”.
L’accordo rappresenta quindi anche un “segnale rivolto all’estero, la Germania
non è indifesa, prendiamo in mano il nostro destino”. Allo stesso tempo, è un
segnale rivolto ai cittadini per dire che “ci prendiamo cura di loro”. Il
programma è un mix di “cura di riabilitazione e programma fitness per il nostro
Paese”. Il futuro Cancelliere Friedrich Merz ha inviato un messaggio chiaro al
Presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “La Germania è tornata in pista,
adempirà ai suoi obblighi in materia di difesa ed è pronta a rafforzare la
propria competitività. Questo non vale solo per il nostro Paese. L’Unione
Europea e la Germania torneranno a essere un partner molto forte in futuro“.
La tabella di
marcia del prossimo governo
Questa è la
tabella di marcia per l’insediamento del nuovo governo: l’SPD ha annunciato che
i membri voteranno online sull’accordo di coalizione, cosa che dovrebbe
richiedere circa dieci giorni. La CDU deciderà in merito in un congresso di
partito ristretto alla fine di aprile. Se CDU, CSU e SPD si troveranno
d’accordo, stando ai piani finora fissati il leader della CDU Friedrich Merz
potrebbe essere eletto Cancelliere il 7 maggio prossimo. Resta da vedere se
otterrà la maggioranza assoluta di 316 voti alla prima votazione. Nel nuovo
Bundestag, CDU-CSU e SPD possono contare su 328 deputati. Tuttavia, alcuni
deputati dell’SPD hanno annunciato di non voler votare per Merz e anche nelle
file di CDU-CSU non mancano le critiche al futuro Cancelliere. In un’eventuale
terza votazione basterebbe la maggioranza semplice. Prima dell’elezione del
Cancelliere sarà anche necessario fissare i nomi di chi sarà a capo dei
dipartimenti ministeriali. Questi vengono nominati dal Presidente dello Stato a
seguito dell’elezione del nuovo capo di governo.
Toto-nomi
ministeri: ripartizione dei dicasteri: secondo l’accordo di coalizione, che
deve essere ancora approvato dai partiti nel contesto di varie procedure, la
CDU nomina il Cancelliere federale e il capo della Cancelleria federale.
Inoltre, la CDU
presiederà i seguenti dicasteri: Economia ed energia, Affari Esteri, Istruzione
Famiglia Anziani Donne e Giovani, Salute, Trasporti, Digitalizzazione e
modernizzazione dello Stato
La CSU sarà a capo
dei seguenti ministeri:
• Interni
• Ricerca,
tecnologia e spazio
• Alimentazione,
agricoltura e territorio
I seguenti
ministeri andranno all’SPD:
• Finanze
• Giustizia e
tutela dei consumatori
• Lavoro e affari
sociali
• Difesa
• Ambiente,
protezione del clima, tutela ambientale e sicurezza nucleare
• Cooperazione e
sviluppo economico
• Alloggi,
sviluppo urbano ed edilizia
L’SPD cerca nuove
Co-presidenti
Da alcuni anni i
Socialdemocratici hanno un doppio vertice e dopo il pessimo risultato alle
ultime elezioni, i candidati della SPD alla presidenza del partito latitano. La
Co-presidente Saskia Esken, che appartiene all’ala sinistra del partito, ha
intenzione di continuare a ricoprire il ruolo, ma su di lei piovono forti
critiche.
L’ex Presidente
del Bundestag Bärbel Bas, che ha anche partecipato ai negoziati di coalizione
dei vertici della CDU-CSU e dell’SPD, non sembra per il momento rifiutare la
carica. In un’intervista, Bas ha lasciato aperta la possibilità di assumere la
presidenza del partito: “Non lo dirò qui, ma prenderò questa decisione
personale nei prossimi giorni”.
Convention dei
Verdi: il partito traccia il bilancio
Alla prima
convention dei Verdi dopo le elezioni perse, il candidato alla Cancelleria
Robert Habeck ha tracciato un bilancio. Nonostante gli errori della campagna
elettorale, ha difeso la sua linea criticando le azioni di CDU-CSU. “È un bene
che il partito si prenda ora il tempo per fare autocritica”, anche se osserva
che “altri avrebbero probabilmente più motivi per chiedersi cosa sia andato
storto nella loro campagna elettorale”. La CDU e la CSU hanno “consapevolmente
costruito la loro campagna elettorale su falsità” e ora attraversano una crisi
di fiducia. L’ex Vicecancelliere non è riuscito a nascondere la sua amarezza, e
rivolgendosi agli elettori della CDU-CSU ha aggiunto che questi “hanno scelto
di votare per la delusione”.
“Dare un nome ai
problemi e affermare verità scomode”: è questo l’approccio con cui Habeck
descrive il suo lavoro, la cui premessa deve essere di avere “cittadini
responsabili capaci di premiare questo approccio”. “Questo mandato non ci è
stato conferito” ha affermato, per questo resta da vedere “cosa significhi ciò
per i Verdi e per la cultura politica del Paese”. La questione è “se le società
aperte siano in grado di risolvere i problemi”. Nella nuova legislatura, oltre
all’estrema destra dell’AfD e al partito della Sinistra anche i Verdi
siederanno ai banchi dell’opposizione.
Questione
migratoria: la Germania cancella il programma delle Nazioni Unite
È dal 2012 che la
Germania è impegnata ad accogliere i rifugiati delle Nazioni Unite che
necessitano di protezione. Ora, per la formazione del nuovo governo, il
ministero dell’Interno e l’UNHCR hanno comunicato che per il momento non si
assumeranno impegni per le nuove accoglienze legate al programma di
reinsediamento con l’UNHCR. Le eccezioni riguarderanno quindi solo le procedure
già in stato molto avanzato. Una volta accolti attraverso il programma, i
rifugiati non devono più presentare domanda di asilo in Germania, ricevono
subito un permesso di soggiorno valido per tre anni e, se la loro integrazione
ha successo, hanno la possibilità di stabilirsi in modo permanente.
Il programma
comprende anche l’accoglienza umanitaria dei rifugiati siriani provenienti
dalla Turchia, che il Paese aveva concordato con l’UE nel 2016. Oltre al
programma di reinsediamento, in Germania esistono altri programmi di
accoglienza umanitaria. Dal 2022, la Germania mette a disposizione ogni anno
circa 12.000 posti per le persone particolarmente vulnerabili provenienti
dall’Afghanistan. Nel loro accordo di coalizione, CDU-CSU e SPD hanno invece
concordato di abolire il più possibile i programmi di accoglienza volontaria
come questo senza sostituirli.
Guerra dei dazi:
Audi interrompe l’export negli Stati Uniti
La casa
automobilistica di Ingolstadt Audi sospende la fornitura di veicoli negli Stati
Uniti a causa dei dazi sulle auto introdotti dal Presidente degli Stati Uniti
Donald Trump. Di conseguenza, tutti i veicoli arrivati negli Stati Uniti dopo
il 2 aprile dovranno essere momentaneamente trattenuti e non saranno consegnati
ai concessionari, chiamati adesso a concentrarsi sulla riduzione delle scorte.
Secondo quanto afferma l’azienda stessa, al momento Audi ha più di 37.000 auto
in magazzino negli Stati Uniti che non sono colpite dai nuovi dazi e che
possono quindi essere vendute; una quantità questa sufficiente a coprire circa
due mesi.
Audi non ha un
proprio stabilimento di produzione negli Stati Uniti e deve importare tutti i
veicoli. Il bestseller negli Stati Uniti, l’Audi Q5, è prodotta nello
stabilimento Audi in Messico, il resto proviene dagli stabilimenti di Germania,
Ungheria e Slovacchia. Audi è quindi la prima casa automobilistica tedesca a
reagire alla politica dei dazi degli Stati Uniti.
Il cardinale Marx
paragona Trump a un "padrino mafioso"
Il cardinale
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e confidente del Papa, ha
paragonato la politica di Trump al film “Il Padrino”, dichiarando che “questo è
il modo in cui il Presidente Trump sta trattando con i suoi attuali partner in
Europa, che sta di fatto ricattando”. Il cardinale Marx in un talk show si è
detto “spaventato del fatto che il Presidente degli Stati Uniti possa prendere
tali decisioni e invocare lo stato di emergenza”. Il Presidente Trump ha
recentemente utilizzato una legge sullo stato di emergenza per imporre dazi
sulle importazioni da Paesi come Canada, Messico, Cina e UE. Tra le
giustificazioni elencate figurano la minaccia legata ai deficit nella bilancia
commerciale, la mancanza di reciprocità nelle relazioni commerciali e gli
effetti del traffico di droga.
Il cardinale Marx
ha espresso critiche severe nei confronti dell’entourage del Presidente Trump e
del Vicepresidente J. D. Vance, responsabili di dare forma a una società più
autoritaria: “Similmente al Presidente russo Vladimir Putin, che con l’appoggio
della Chiesa ortodossa sta conducendo una guerra santa contro l’Occidente. Lo
scopo è quello di dividere l’Europa, e forse ci riuscirà”, questo il timore del
cardinale.
Luoghi in Germani:
Marienplatz di Monaco di Baviera
È considerata il
centro della Baviera, da cui (come per il Campidoglio di Roma) vengono misurate
tutte le distanze nel Land: stiamo parlando della Colonna della Madonna sulla
Marienplatz di Monaco di Baviera, nascosta per mesi da lavori perché gravemente
danneggiata da un carrello elevatore durante lo smantellamento del famoso
mercatino di Natale. “Gli elementi in pietra naturale interessati sono stati
restaurati in un’officina specializzata”, ha comunicato il municipio. “Sebbene
fossero gravemente danneggiate, quasi tutte le parti in marmo sono state
riassemblate senza grandi danni. Inoltre, sono state eseguite ulteriori
procedure di pulizia e conservazione sull’intero monumento, in modo che la
Mariensäule possa tornare a mostrarsi in tutto il suo splendore“.
L’edificio risale
al 1638, anno in cui il principe elettore Massimiliano I lo fece costruire come
segno di ringraziamento per aver risparmiato Monaco e Landshut dalle
distruzioni della Guerra dei Trent’anni. Sulla colonna si trova una Madonna
dorata, la “Patrona Bavariae”, probabilmente di alcuni decenni antecedente alla
colonna stessa, alta circa 12 metri. Il Venerdì Santo, la colonna sarà di nuovo
il punto di arrivo della tradizionale processione del Venerdì Santo.
Proseguono i
negoziati per la formazione del nuovo governo
I negoziati
proseguono per la nota “scrupolosità tedesca” che fa nascere testi con più di
150 pagine: un manuale di istruzioni per quattro anni di governo. L’unico
problema è che nell’attuale contesto internazionale i piani corrono il rischio
di divenire carta straccia già dopo pochi mesi l’insediamento del governo. I
Socialdemocratici, seppur ridotti nei numeri, gravano sulle trattative con
richieste sempre nuove, soprattutto nel settore del sociale. Inoltre, l’ala
sinistra del partito fa le barricate sulla politica migratoria. Avere quindi un
nuovo governo entro Pasqua – questa la dichiarazione del leader della CDU Merz,
che vuole vedere la Germania tornare in prima fila a livello internazionale più
presto possibile – rimarrà probabilmente un desiderio.
L’elezione del
Cancelliere nel Bundestag è prevista all'inizio di maggio perché l’SPD deve
prima condurre un lungo sondaggio online tra i suoi membri in merito ai
risultati. “Stanno fuori”, queste le parole velenose degli osservatori.
“Berlino prolunga la sua pausa dalla politica mondiale, anche se la leadership
politica sarebbe l’imperativo urgente del momento”, commenta un importante
quotidiano. Tuttavia, gli ultimi sondaggi si esprimono senza mezzi termini: sia
CDU-CSU sia SPD perdono il favore degli elettori, mentre l’AfD di estrema
destra continua a crescere, avvicinandosi pericolosamente alla CDU e alla CSU.
Il diritto
all’asilo superato dai tempi
Secondo il
Presidente dell'“Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati”,
Hans-Eckhard Sommer, è necessario un cambiamento radicale per una gestione
sostenibile che limiti la migrazione. “È sbagliato attenersi al diritto di
asilo individuale e sperare negli effetti positivi della riforma del sistema
europeo comune di asilo”, queste le critiche mosse da Sommer nel suo discorso
in occasione di un evento della Fondazione Konrad Adenauer sul futuro del
diritto di asilo. Secondo le sue stesse parole, sarebbe più sensato sostituire
l’attuale sistema con “accoglienze umanitarie di notevole portata numerica”.
Oltre agli aspetti umanitari, anche la capacità di integrazione del mercato del
lavoro può svolgere un ruolo in questo contesto. “Chi tuttavia entrasse in
Germania senza permesso, non avrebbe più alcuna possibilità di ottenere il
diritto di rimanere.” L’attuazione è difficile, ma realizzabile: “La politica
può fare molto, se solo vuole”. Infine, “anche i rapporti di maggioranza a
livello europeo sono cambiati”.
Anche i trattati
internazionali, come la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, potrebbero essere
modificati. “Bisogna liberarsi dai vecchi schemi di pensiero”, ha esortato
Sommer. In considerazione dell’ascesa dei partiti populisti e di estrema destra
in Europa, non si può nascondere che lo Stato di diritto democratico “può
finire distrutto a causa di questo problema”. I politici dell’SPD e dei Verdi
hanno chiesto le dimissione del Presidente Sommer. Gli elogi non sono invece
mancati dalla CDU-CSU.
Il ministro
Baerbock mette in guardia gli USA da Putin
Il ministro degli
Esteri Annalena Baerbock mette in guardia gli Stati Uniti dal capo del Cremlino
Vladimir Putin nei negoziati con la Russia su un cessate il fuoco in Ucraina.
“È Putin che gioca sul tempo, non vuole la pace e continua la sua guerra di aggressione
violando il diritto internazionale”. Lo ha dichiarato la politica dei Verdi
all’inizio della sua visita di congedo a Kiev. In considerazione della
situazione di stallo tra Stati Uniti e Russia, “è assolutamente fondamentale
che noi europei dimostriamo di essere al fianco dell’Ucraina senza se e senza
ma e che la sosteniamo ora più che mai”.
Secondo quanto
affermato dal ministro Baerbock, visti i continui attacchi russi “la Germania
metterà a disposizione dell’Ucraina ulteriori 130 milioni di euro in aiuti
umanitari e fondi di stabilizzazione”. “L’Ucraina è pronta per un cessate il
fuoco immediato”, afferma il ministro, che mette in guardia nuovamente da
Putin: “Simula la disponibilità a negoziare, ma non si sposta di un solo
millimetro dai suoi obiettivi. Non dobbiamo lasciarci abbagliare da Putin e da
chi lo applaude“.
L’SPD perde un
importante governatore
I
Socialdemocratici perdono uno dei loro più importanti pilastri. Il governatore
di lungo corso della Bassa Sassonia Stephan Weil nel corso di una conferenza
stampa nella capitale del Land Hannover, ha annunciato il suo ritiro a causa
della sua età.
Le sfide
dell’incarico continuano a aumentare, e lui stesso soffre di problemi di
salute, ha spiegato il politico 66enne dell’SPD, proponendo agli organi
dell’SPD l’attuale ministro dell’Economia Olaf Lies per la sua successione. Il
passaggio di potere dovrebbe avvenire a metà maggio. Lies è stato a lungo
considerato un possibile successore di Weil. Nelle prossime elezioni regionali,
l’SPD potrebbe avere filo da torcere in una delle sue ultime roccaforti.
Anche in Germania
il nuovo nemico si chiama cocaina
Il commissario
federale per le droghe del governo rosso-verde uscente ha difeso la parziale
legalizzazione della cannabis dalle critiche provenienti soprattutto da
CDU-CSU. “La legge sulla cannabis ha dato un importante contributo a un uso più
onesto e depenalizzato delle droghe. La destigmatizzazione aiuta a parlare
degli effetti del consumo di droghe”, ha dichiarato il politico dell’SPD
Burkhard Blienert. Inoltre, “dichiarare guerra alla cannabis non sarebbe
efficace alla luce della crescente diffusione di droghe più pesanti. (…) Ciò
che dovrebbe preoccuparci al momento è che sempre più giovani ricorrono a
droghe più potenti come gli oppioidi sintetici quali tilidina o fentanil”,
questo il monito del commissario federale per le droghe. “Rispetto a pochi anni
fa, il consumo di coloro che fanno uso di cocaina è più che raddoppiato“. Al
momento la cocaina è “il numero uno delle droghe illegali in Germania”. Una
tendenza negativa si riscontra anche per quanto riguarda il numero di decessi
per droga. Per contrastare questi sviluppi, Blienert ha chiesto “una politica
in materia di dipendenze che protegga, aiuti e sostenga, e che non si basi su
congetture e pregiudizi, ma sull’evidenza”.
La legalizzazione
parziale della cannabis era stata deliberata dal governo della coalizione
semaforo ed è entrata in vigore il 1° aprile 2024. Da allora, il possesso e la
coltivazione controllata di cannabis per uso privato sono consentiti, ma con
numerose restrizioni. Pertanto, il consumo è ancora vietato in gran parte degli
spazi pubblici. L’acquisto è legale solo rifornendosi presso associazioni
specializzate, il cui numero non può coprire il fabbisogno, motivo per cui
molti consumatori continuano a rifornirsi attraverso il mercato nero. CDU-CSU
vogliono invece revocare la legge.
L’inflazione cala,
aumentano i prezzi degli alimentari
Secondo una stima
dell’Ufficio nazionale di statistica, l’inflazione in Germania a marzo si è
attestata al 2,2%. Di conseguenza, il tasso di inflazione è leggermente
diminuito rispetto al mese precedente, quando si attestava al 2,3%. Come si
evince dalle cifre, è stato soprattutto l’andamento dei prezzi dell’energia a
caratterizzare il lieve calo del tasso di inflazione. Mentre a febbraio questi
erano calati dell’1,6% rispetto a un anno prima, nel mese successivo i prezzi
sono scesi del 2,8% rispetto a marzo 2024.
Al contrario, i
prezzi dei generi alimentari hanno continuato a crescere a un ritmo più elevato
rispetto a febbraio: mentre a febbraio gli statistici hanno rilevato un aumento
dei prezzi del 2,4% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, a marzo i prodotti
alimentari hanno fatto registrare un aumento del 2,9% rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente. Per quanto riguarda i servizi, il tasso di inflazione è
sceso dal 3,8% di febbraio al 3,4% di marzo. Per i consumatori, i prezzi del
gas continuano a essere la parte che pesa maggiormente sul portafoglio:
basandosi sulle misurazioni della seconda metà del 2021 – il periodo di
confronto prima dell’attacco russo all’Ucraina e della successiva crisi
energetica – i prezzi del gas per le famiglie sono stati di quasi l’80%
superiori rispetto a questo periodo, hanno osservato gli statistici.
Calano le
vocazioni nella Chiesa cattolica
Per la prima
volta, il numero di cattolici in Germania è sceso sotto la soglia dei 20
milioni. Ma anche il numero di ordinazioni sacerdotali ha raggiunto un minimo
storico nel 2024: solo 29 nuovi sacerdoti sono stati ordinati nelle 27 diocesi,
il numero più basso dall’inizio delle registrazioni. A titolo di confronto: nel
1962 ci furono 557 ordinazioni, nel 2004 122 e nel 2014 sono state 75. La
situazione nelle cinque diocesi della Germania est è particolarmente
drammatica. Qui nel 2024 le ordinazioni sono state solo due. In entrambi i casi
si tratta di uomini dalla vocazione tardiva con più di 45 anni di età. Le
diocesi di Magdeburgo, Dresda-Meissen e Görlitz non hanno potuto presentare
neanche un candidato al sacerdozio. Il problema qui è la secolarizzazione
profondamente radicata nell’ex DDR: secondo uno studio del 2012, il 59% dei
tedeschi dell’est si definisce ateo.
Stando alle
statistiche, lo scorso anno in undici delle 27 diocesi tedesche non è stato
ordinato alcun sacerdote. Il numero massimo di quattro nuovi sacerdoti è
arrivato dalla diocesi di Treviri. La Conferenza Episcopale Tedesca ha
pubblicato dati aggiornati sulla selezione di nuovi candidati al sacerdozio, 47
per tutte le diocesi nel 2024. Tuttavia, l’esperienza dimostra che un gran
numero di essi non vengono poi ordinati sacerdoti.
Luoghi in
Germania: Fiera di Hannover
La capitale del
Land della Bassa Sassonia non rientra tra le grandi metropoli tedesche, eppure
gode di fama mondiale come sede fieristica. In termini di superficie, la città
presenta tra i padiglioni più grandi della Germania.
Al momento è in
corso la famosa “Hannover-Messe”, una fiera internazionale dedicata
all’ingegneria meccanica e alle attrezzature industriali: un evento
irrinunciabile per il settore internazionale e per la città, con mezzo milione
di visitatori da tutto il mondo e un indotto di milioni di euro. Kas 3/12
Berlino. La comunità scientifica italo-tedesca in Ambasciata
L’Ambasciata
d’Italia a Berlino ha celebrato ieri, 9 aprile, l’ottava edizione della
Giornata Nazionale della Ricerca Italiana nel Mondo con un evento dedicato a un
tema di grande attualità: i recenti e continui progressi nelle applicazioni
industriali dell’intelligenza artificiale.
Durante l’evento
intitolato “Artificial Intelligence for Industry: Research, startups and
beyond” sono intervenuti fra gli altri: Roberto Scopigno, direttore CNR-ISTI
(Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione); Antonio Krüger,
amministratore delegato DFKI Deutsches Forschungszentrum für Künstliche
Intelligenz (Centro tedesco di ricerca per l’intelligenza artificiale); Antonio
Emilio Calegari, direttore AI4I (Istituto Italiano per l’Intelligenza
Artificiale dell’Industria); Daniele Panfilo, fondatore e amministratore
delegato della start up Aindo; Nils Bottler, responsabile Angelini Ventures.
I relatori,
insieme agli esponenti del mondo della ricerca, dei programmi governativi di
supporto, delle startup e del venture capital, sono intervenuti sul tema in un
panel moderato dall’addetto scientifico dell’Ambasciata, Piergiorgio Alotto. In
platea anche vari esponenti del network SIGN che raccoglie gli scienziati
italiani in Germania.
“Per Paesi come
l’Italia e la Germania, che hanno un ricco patrimonio industriale e ecosistemi
di ricerca dinamici, l’intelligenza artificiale rappresenta sia una sfida
significativa che una straordinaria opportunità di crescita e innovazione”, ha
detto l’ambasciatore d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci.
Al centro del
panel sono state dunque le grandi questioni poste dai più recenti sviluppi
della Intelligenza Artificiale: per esempio la concretezza delle aspettative
del suo utilizzo nel mondo dell’industria, dell’energia e della sanità; gli
ostacoli e le possibilità del suo impiego su larga scala nella produzione
industriale, e infine la cooperazione tra industria, il governo e il mondo
accademico, anche nel quadro della cooperazione italo tedesca.
L’evento si è
concluso con una tavola rotonda tra i relatori. (aise/dip 10)
Francoforte. L’audio-tour sul cimitero di guerra di Westhausen: IMI e
civili
1945-2025 – A 80
anni dalla fine del secondo conflitto mondiale
Ci è voluto un
anno di lavoro e di ricerca negli archivi, raccolta di testimonianze di
familiari e di fonti attendibili per preparare l’audio tour del Cimitero
militare d’onore di Westhausen dove sono sepolte 4788 vittime della follia
nazista. Sono per la maggior parte IMI, internati militari italiani, ma ci sono
anche lavoratori e lavoratrici coatti civili, prigionieri politici e persino
bambini. L’audio guida virtuale è un progetto della sezione ANPI di Francoforte
in collaborazione con il museo storico di Francoforte (Historisches Museum
Frakfurt). Nel restituire alla memoria alcune biografie, questo progetto
contribuisce a far luce su un capitolo della storia della Seconda guerra
mondiale ancora poco conosciuto.
Bisogna andarci
apposta al Cimitero militare italiano d’onore di Westhausen perché si trova
nella periferia nord, nord-ovest di Francoforte, quartiere di Hausen, penultima
stazione della linea 7 della metropolitana. È un grande cimitero immerso nel
verde e una lapide posta all’ingresso introduce alla parte destinata a cimitero
di guerra, dove dal 1958 riposano in pace le spoglie mortali di italiane e
italiani, portate qui dalle regioni vicine. Oggi sono in realtà qualche decina
meno di 4788 perché alcuni resti sono stati traslati in Italia ad opera e a
spese dei familiari, grazie a una legge di pochi anni fa. In Germania sono
quattro i cimiteri di guerra per i 13.000 italiani, soldati e civili, morti sul
suolo della Germania occidentale. Gli altri cimiteri sono ad Amburgo, a Berlino
e a Monaco.
„Una questione di
rispetto umano per queste vite non vissute“ (G. De Simoi)
Ora il cimitero di
Westhausen di Francoforte è stato reso più accessibile grazie a questa visita
virtuale in dodici tappe, frutto di un accurato lavoro di ricerca che ha
portato alla luce e alla memoria alcune biografie, talvolta sono solo tracce di
biografie di alcuni dei sepolti al cimitero. Queste tappe sono segnate da fiori
di metallo, posti accanto al cippo di pietra e dietro al nome si può ascoltare
una storia e seguire il percorso del tour.
Chi sono gli IMI,
gli internati militari italiani
„Uno dei giorni
più tristi della mia vita è stato, come per altri della mia generazione, l’8°
settembre 1943. Una data tragica presto dimenticata dalla leadership politica e
militare che ha scatenato l’assurda e inutile seconda guerra mondiale“.
Così Luigi Baldan nel suo libro autobiografico, curato insieme al figlio Sandro
Lotta per sopravvivere. La mia Resistenza non armata contro il nazifascismo
(2007). Luigi Baldan riuscì a scappare dal lager con un amico. Le sue memorie
sono una fonte diretta, autorevole e imprescindibile per conoscere le
condizioni di vita degli IMI.
Sono i soldati e
gli ufficiali italiani che dopo l’armistizio dell’8 settembre, catturati dai
nazisti, moltissimi nei Balcani e in Grecia, ma anche in Italia furono fatti
prigionieri e portati in 60 lager in tutto il territorio tedesco perché si
rifiutarono di combattere con i nazisti e nell’esercito della Repubblica
sociale di Salò. In tutto erano 600.000 fra soldati, ufficiali, marinai,
avieri, carabinieri, tutti parte dell’esercito italiano. Questo atto di
resistenza passiva lo pagarono a prezzo della prigionia e molti di loro con la
morte (50.000 in tutto). A loro il regime nazista non riconobbe lo status di
prigionieri di guerra per evitare di applicare la convenzione di Ginevra che
avrebbe loro garantito un minimo di assistenza sanitaria e di condizioni di
vita e di lavoro meno crudeli. La vita nei campi di lavoro e di prigionia fu
durissima per gli IMI: poco cibo, indumenti inadatti, poco riposo, quasi nulla
era l’assistenza medica e spesso tardiva.
Dopo l’armistizio
dell’8 settembre due milioni di soldati italiani si trovarono allo sbaraglio,
abbandonati senza ordini. Di loro un milione furono disarmati, 800.000 furono
fatti prigionieri; di questi 186.000 si unirono alla Repubblica sociale di
Mussolini, mentre 600.000 furono internati appunto come detto sopra.
Chi sono le altre
vittime
Scopriamo seguendo
l’audio tour che a Westhausen sono sepolti 60 soldati, del massacro di Kassel
(31 marzo 1945).
Oltre al lavoro
accurato di ricerca di Roberto Zamboni una fonte importante per l’audio tour è
stato il libro di Luigi Baldan e la collaborazione con il figlio Sandro Baldan,
recentemente scomparso.
Al cimitero di
Westhausen sono sepolti anche lavoratori e lavoratrici civili che dopo l’8
settembre persero tutti i diritti e divennero dei lavoratori coatti. Fra loro,
Irene Calciati, che morì sotto le bombe nelle baracche degli italiani
(Arbeitserziehungslager) delle Metallwerke nell’ottobre 1944 a
Frankfurt-Heddernheim. L’Italia fascista e la Germania nazista infatti
stipularono un accordo nel 1938 che permise complessivamente a 500.000 italiani
e italiane di andare a lavorare in Germania. Al momento dell’armistizio erano
100.000 i lavoratori e le lavoratrici civili in Germania, dopo l’8 settembre il
loro status divenne di lavoratori forzati.
Nel cimitero di
guerra di Westhausen sono sepolti anche 20 bambini. L’audio tour ricorda due di
loro, i fratelli Heinrich e Valentin Rogger, uccisi nel famigerato Ephata-Heim
che eliminava i bambini con disabilità. Sepolti nel cimitero militare italiano d’onore
di Westhauser, racconta l’audio guida, anche 80 prigionieri politici. In totale
furono 24.000 i deportati politici, uomini e donne, nei lager tedeschi tra il
1943 – 1945.
L’audio tour. Come
è nato il progetto fra ANPI Francoforte e Historisches Museum
Il tour virtuale è
stato presentato una sala gremita di pubblico nel Museo storico di Francoforte
il 28 gennaio scorso e lo si trova nella app gratuita Frankfurt History e fa
parte del progetto in fieri „Frankfurt und der NS“.
“Questo progetto”
– racconta Rosanna Maccarone (ANPI), che ha lavorato al progetto e co-curato la
stesura dei testi dell’audio tour “è nato in modo ‘cospirativo’ (sorride,
n.d.r.) perché quello sugli IMI è un capitolo non ancora sufficientemente
studiato, sconosciuto ai più, e affidato allo studio e alla cura di alcuni
storici appassionati”.
La guida virtuale
al cimitero di Westhausen non sarebbe stata possibile senza la sensibilità
oltre che la competenza professionale di Angela Jannelli, curatrice del museo
storico di Francoforte. E occorre fare un passo indietro al novembre 2022
quando l’Historisches Museum Frankfurt lanciò l’app Frankfurt History, divisa
in tre aree tematiche, di cui una è Frankfurt und der NS. Così Angela Jannelli:
“Quando abbiamo presentato al pubblico la app c’era Rosanna Maccarone, mi ha
detto di essere dell’ANPI, e le ho chiesto se potevamo fare qualche cosa sul
cimitero militare di Westhausen. Dopo due settimane mi ha invitata a incontrare
il gruppo di lavoro in nuce al Club Voltaire lì è nato il progetto”.
Angela Jannelli,
responsabile del progetto, ha indicato dove chiedere finanziamenti, dato la
tempistica, strutturato il processo: „ho aiutato nella scelta delle biografie
affinché coprissero un buon spettro di informazioni rilevanti“ (A.Jannelli)
Nel gruppo di
lavoro ha fatto parte anche Giancarlo De Simoi, conoscitore esperto di storia
militare: “L’aspetto che più mi ha appassionato è stato il ricordo di quello
che hanno passato questi ragazzi coinvolti in una tragedia assurda ed è anche
una questione di rispetto umano per queste vite ‘non vissute’”.
Silvia Zavagnin,
archivista e socia ANPI: “Mi sono occupata di tutte le ricerche dal lato
italiano, dall’archivio del Ministero degli affari esteri a tutte le
istituzioni italiane. Poi con gli altri abbiamo messo insieme i pezzi, pensato
il percorso, le tappe e il design del percorso. Mi sono sentita valorizzata per
la mia competenza di cui ho potuto esprimere al massimo le potenzialità per far
arrivare questi messaggi a tutti per valorizzare la memoria. Mi ha dato una
grande soddisfazione”.
“L’aspetto più
faticoso e problematico del lavoro di ricerca – aggiunge Giancarlo De
Simoi – è che sono passati 80 anni e dunque molti non hanno più
discendenti o i discendenti non hanno più interesse. Però con quelle famiglie
dove c’è più interesse abbiamo fatto l’esperienza di un attaccamento fortissimo
pur essendo passati 80 anni. Mi ricordo di una coppia, li ho aiutati a trovare
il cippo del loro congiunto e quando l’anno trovato, il nipote si è messo ad
accarezzare la pietra”.
La storica Sara
Berger che lavora al Fritz Bauer Institut di Francoforte, l’istituto di studi e
ricerca sull’Olocausto e i suoi effetti, e che in passato ha lavorato al Museo
della Shoa a Roma, era ospite alla presentazione della guida virtuale. Sulle tracce
biografiche degli IMI ha aggiunto: “Se guardiamo alle memorie negli archivi
italiani degli uomini che sono stati inviati a Francoforte, di soldati semplici
o i sottufficiali, che non provenivano dalla classe sociale elevata, non
abbiamo molto; mentre invece gli ufficiali scrivevano diari e memorie. E di
queste memorie c’è ancora molto da ricercare negli archivi italiani. C’è da
fare, è un campo di ricerca ancora aperto”.
La guida virtuale
al cimitero di guerra di Westhausen è un progetto ANPI in collaborazione con il
Museo storico di Francoforte, Historisches Museum Frankfurt. Alla sua
realizzazione hanno contribuito con finanziamenti il Consolato Generale
d’Italia, il Kulturdezernat di Francoforte), l’EVZ (Fondazione Erinnerung,
Verantwortung, Zukunft).
La app con il tour
virtuale al cimitero di Westhausen è così ben fatta e di notevole valore
storico che vale la pena scaricarsela, leggerla o ascoltarla, anche se non si è
di Francoforte e non ha la possibilità di far visita al cimitero. È inoltre
accessibile in italiano, in tedesco e persino in inglese. Paola Colombo, CdI on
7
G2B a Berlino. Le aziende italiane in Ambasciata
Berlino -
L’importanza della collaborazione tra istituzioni pubbliche e imprese private è
stata al centro dell’incontro “G2B – Public-Private Partnership for Growth” che
si è tenuto ieri, 3 aprile, in Ambasciata a Berlino.
L’evento ha avuto
come obiettivo la creazione di un’occasione di dialogo e scambio per rafforzare
la presenza delle imprese del nostro Paese sul mercato tedesco, nel quadro del
Piano d’Azione per l’export dell’Italia “Diplomazia della crescita” presentato
dal vice presidente del Consiglio e ministro deli Affari Esteri Antonio Tajani
lo scorso 20 marzo.
“Il nostro
incontro di oggi mira a diventare un forum permanente di discussione, un punto
di partenza per un dialogo strutturato in cui scambiarsi idee e raccogliere
spunti per massimizzare il gioco di squadra, in un’ottica di partenariato
rafforzato tra pubblico e privato. Un tema centrale della conversazione odierna
è, infatti, l’importanza della nostra collaborazione, in cui istituzioni
pubbliche e imprese private lavorano fianco a fianco per raggiungere il
successo reciproco”, ha esordito l’ambasciatore Fabrizio Bucci introducendo
l’incontro. “Abbiamo un obiettivo ambizioso: raggiungere 700 miliardi di euro
di esportazioni entro il 2027. Per raggiungere questo obiettivo, il “Sistema
Italia” mobiliterà competenze, know-how e risorse per sostenere le imprese
italiane in tutto il mondo”.
L’ambasciatore ha
inoltre ribadito l’importanza della già forte collaborazione italo-tedesca
anche a livello economico e la necessità di rafforzare sempre più i legami tra
i due Paesi. “Solo attraverso l’unità e l’azione collettiva”, ha detto,
“possiamo salvaguardare la stabilità economica e garantire che il commercio
rimanga una forza per la crescita e la cooperazione, piuttosto che per il
conflitto e la divisione”.
Gli strumenti
messi a disposizione per favorire la crescita delle aziende da parte del
“Sistema Italia in Germania” sono stati tema del panel moderato dalla
giornalista de Il Sole 24 ore Isabella Bufacchi, a cui hanno partecipato:
Ferdinando Fiore, direttore dell’ICE – Italian Trade Agency Berlino; Raffaele
Tartaglia Polcini, addetto finanziario, Piergiorgio Alotto, addetto
scientifico, e Marco Tripodi, addetto Guardia di Finanza dell’Ambasciata;
Eliomaria Narducci, segretario generale della Camera di Commercio Italiana per
la Germania di Francoforte; e Bortolo Venturelli, vice presidente della Camera
di Commercio Italo-Tedesca di Monaco.
L’incontro si è
concluso con una sessione di lavoro interattiva alla presenza dei
rappresentanti delle molte imprese presenti – da Angelini Pharma a De Cecco, da
Intesa San Paolo a Unicredit – che ha consentito ai partecipanti di condividere
opinioni sulle sfide e le prospettive della loro attività, nonché di esporre
ulteriori modalità di collaborazione con il “Sistema Italia” per rafforzare la
loro attività in Germania. (aise/dip 4)
Il Gruppo „Folk-Acli” di Kaufbeuren a Kempten
Kempten, 6 aprile.
Dopo anni di attesa, causata –l'altro dal Covid– e dopo un rinvio dovuto a
ragioni di forza maggiore -finalmente- la Comunità Italiana di Kempten –e non
solo– ha avuto la gioia di assistere all'ultimo Spettacolo in programma del
Gruppo folclorico Folk- ACLI "Ciuri, ciuri". O meglio: di
partecipare attivamente – perché questo succede se si assiste a uno spettacolo
dei Nostri– dato il loro modo di offrirsi al pubblico e al coinvolgente
commento in italiano e in tedesco del fondatore del Gruppo, Comm. Carmine
Macaluso. Gruppo fondato nel lontano 1988 a Kaufbeuren, una cittadina non
lontana da Kempten, e che accoglie un migliaio di connazionali e il Circolo
ACLI locale, che registra il maggior numero di iscritti in tutta la Germania.
Il Folk-ACLI ha rappresentato in questi decenni un costante riferimento, per
oltre un centinaio di partecipanti, nell’interpretazione di musiche popolari
siciliane con costumi originali ed apposite scenografie.
I suoi spettacoli,
presentati nel corso degli anni in Germania, Svizzera e Francia hanno sempre
riscosso un grande apprezzamento da parte del pubblico
E così è stato
anche domenica scorsa nella Sala Parrocchiale di S. Anton, preparata con molta
cura da diversi Membri del Consiglio Pastorale della Missione Cattolica
Italiana; alcuni dei quali facenti parte del Circolo ACLI di Kempten. Circolo
molto legato al Circolo di Kaufbeuren, dato che i loro Presidenti: il Comm.
Carmine Macaluso è Presidente delle ACLI Baviera, Vicepresidente delle ACLI
Germania, nonché Membro del Consiglio Pastorale di Kempten, come il Dr.
Fernando A. Grasso, che, oltre a essere Presidente del Circolo di Kempten è
Vicepresidente delle ACLI Baviera, Membro della Presidenza delle ACLI Germania,
è anche Corrispondente Consolare per Kempten e dintorni.
Ma iniziamo con lo
svolgimento dello Spettacolo "Ciuri, ciuri", che è cominciato poco
dopo le 16:00 –dato che a quell'ora continuava ad arrivar gente– con il
coinvolgente annuncio del programma della serata, da parte di Macaluso e la
suggestiva entrata dei musicisti e delle ballerine, che fanno parte del Gruppo
da decenni, con l'apporto di nuovi elementi, giovani e giovanissimi.
Lo spettacolo
–terminato un po' prima delle 19:00– durante il quale il pubblico è stato
coinvolto –come detto sopra– più volte, si è svolto in due parti, nel
corso delle quali sono state eseguite magistralmente danze e melodie, a volte
struggenti, a volte allegre e spiritose. Durante una breve pausa gli
artisti si sono intrattenuti piacevolmente anche con gli spettatori e alcuni di
essi hanno anche acquistato un CD del Gruppo.
Dopo l'ultima
esilarante esibizione –in cui anche i presenti hanno duettato con i cantanti–
non è mancata qualche spontanea danza, alla quale hanno partecipato alcuni dei
presenti. Tra cui l'elegante –veramente professionale– coppia di Margarethe e
Manfred Stick, Presidente Circoscrizionale del Movimento Cattolico Tedesco
(KAB), molto legato al nostro Movimento ACLI.
Tra gli
intervenuti, diversi amici tedeschi e italiani: gli appena nominati Coniugi
Stick anch'essi Soci del Circolo ACLI di Kempten, l'Amica Nicola Reiter, le
Amiche e Socie ACLI, Signore: Ingrid Mayer e Gudrun Piechler, la cara
Amica Signora Emma Marando, Vicepresidente del Circolo, il caro Socio, (il
primo italiano conosciuto a Kempten da chi scrive nel lontano 1965),
Signor Vicenzo Emanuele e Signora, e –non per ultimo– il Padrone di Casa: Padre
Bruno Zuchowski, Rettore della Missione, nonché Consigliere Spirituale delle
ACLI, che non ha mancato di rivolgere un breve saluto agli intervenuti,
commentando che "stare in lieta armonia insieme può scacciare tristezza e
depressione". Come confermato anche da Grasso che, malgrado la tristezza
per la recente grave perdita subita –anche lui, dopo aver salutato
calorosamente i presenti– si è detto compiaciuto per la numerosa presenza di
amici italiani e tedeschi e ha ricordato nuovamente agli intervenuti gli
orari di apertura del suo ufficio multifunzionale situato negli uffici del KAB
di Kempten.
Non resta adesso
che ringraziare il pubblico per le offerte lasciate a sostegno dei progetti e
soprattutto gli artisti per lo spettacolo offerto gratuitamente e, non da
ultimo P. Bruno per l'ospitalità, e i Componenti del Consiglio Pastorale e del
Circolo ACLI; tra cui il Signor Sabino Scarvaglieri, Consigliere del
Circolo, il Signor Ignazio Romano e l'Amico Signor Sergio Grimaldi, che
si è occupato della cena preparata per gli artisti da lui e dalla Segretaria
della Missione e del Circolo, Signora Pina Baiano, assente per motivi di
famiglia, come anche il Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero
Trovato, nonché Segretario per le Risorse del Circolo ACLI e la Signora Gisella
Trovato, giunti quasi al termine della spettacolo a causa di impegni pregressi.
Fernando A. Grasso, dip 10
IIC di Amburgo: incontro letterario italo-tedesco sul romanzo di Greta
Olivo “Spilli”
Amburgo. Martedì 8
aprile presso l’Istituto Italiano di Cultura si è tenuto il terzo incontro
del 2025 della rubrica “Caffè Letterario”, dedicato agli appassionati di
letteratura italiana. Gli incontri del “Caffè Letterario” si tengono in
italiano e tedesco – generalmente una volta al mese – e danno la possibilità a
chi legge volentieri libri italiani di incontrarsi per discutere su un libro
letto a casa e scelto durante il precedente incontro, scambiarsi opinioni,
cercare nuove ispirazioni, decidendo insieme i prossimi libri da leggere e
discutere. La partecipazione agli incontri del Caffè Letterario è sempre
gratuita, ma è richiesta la registrazione sul portale Eventbrite.
Il romanzo del
terzo incontro letterario era “Spilli” di Greta Olivo edito dalla Casa editrice
Einaudi nel 2023 e tradotto in tedesco da Verena von Koskull grazie a un
contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale italiano, con il titolo “Die Nacht der Schildkröten”, pubblicato
in Germania nel 2024 dalla casa editrice amburghese Rowohlt Verlag. Per
il suo romanzo d’esordio Greta Olivo ha vinto da poco il prestigioso Prix du
Premier Roman Étranger 2024, il premio per il miglior libro d’esordio straniero
in Francia, entusiasmando sia i critici letterari sia i lettori. Greta Olivo è
stata ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo lo scorso giovedì 27
marzo, quando ha presentato personalmente il suo romanzo d’esordio accompagnato
dalle letture in tedesco a cura dell’attrice Jule Nero. Il romanzo di Greta
Olivo racconta la storia di una ragazza liceale, Livia, che corre più
velocemente di tutte le sue compagne della squadra di atletica, balla come le
ballerine di Parigi con la sua amica Morena, si traveste. Livia va in
campeggio, disubbidisce, si arrabbia, forse si innamora. Poi un giorno, Livia
inciampa, inizia a vedere il mondo a buchi: scompaiono le maniglie delle porte,
il crocifisso appeso sopra la lavagna in classe. Al buio si muove con fatica,
confonde le forme, cade, si graffia le ginocchia e i palmi delle mani. Dopo una
serie di esami le viene diagnosticata una retinite pigmentosa. Malattia
ereditaria che porta alla graduale perdita dei fotorecettori: la retina,
progressivamente, perde la propria capacità di trasmettere le informazioni
visive al cervello tramite il nervo ottico. Molte persone mantengono una
visione limitata per tutta la vita, mentre altre perdono completamente la
vista, come succederà a Livia. Greta Olivo è nata nel 1993 a Roma, dove vive e
lavora da sempre, tranne per un suo soggiorno torinese durato tre anni, dove ha
frequentato il master della Scuola Holden. Poi ha lavorato come babysitter,
come segretaria in una scuola di danza, e in un’agenzia letteraria. Fino a
quando – superando le sue incertezze – ha avuto il coraggio di provare a
scrivere. La scrittura di Greta Olivo è chiara, limpida nel suono e nello
stile, soprattutto priva di ogni tipo di retorica. Con «Spilli» si
intendono le lettere che ogni persona affetta da miopia è abituato a (non)
vedere durante la consueta visita oculistica. Le lettere in questione, sul
cartellone a sfondo luminoso, diventano sempre più piccole, fino a ridursi a
minuscole capocchie che il paziente prova a indovinare, nel maldestro tentativo
di azzeccare almeno una vocale o una consonante dell’alfabeto. I prossimi
incontri del Caffè Letterario si terranno il 6 maggio (tema: “Gli straordinari”
di Edoardo Vitale, Collezione Scrittori italiani e stranieri ISBN
978-88-04-78168-4 © 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano I edizione settembre
2024). (Inform/dip 10)
25 Aprile, 80° Anniversario della Liberazione
Mai, come adesso, tempo di gran temperie, il termine di resistenza è
attuale, come quella lontana difesa della libertà e momento di rivendicazione
di un’identità nazionale che sembrava perduta per sempre e portò, invece, alla
rinascita del nostro Paese.
Gli Alleati avrebbero voluto una Resistenza diversa, fatta di semplici
“colpi di mano, sabotaggi, attentati” ad opera di piccoli gruppi, facilmente
controllabili, per questo si opposero, finché poterono farlo, alla formazione
di bande permanenti istituzionalizzate.
Invece accadde proprio quello che loro temevano: la progressiva
organizzazione del movimento partigiano ebbe il significato politico di guerra
patriottica per l’indipendenza del nostro Paese.
Dirà più tardi Ferruccio Parri, esponente di spicco del Partito d’Azione e
responsabile militare CLNAI – Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia,
futuro Presidente del Consiglio dei Ministri: “A noi prima di tutto interessava
il carattere dichiarato e manifesto di insurrezione nazionale “.
La distonia creatasi tra Alleati e partigiani risaliva all’inverno del
1944, quando gli Alleati sospesero ogni azione bellica dietro il fronte
tedesco, lungo la “linea Gotica”, a ridosso degli Appennini.
Era chiaro che le loro esigenze belliche non erano le stesse dei
partigiani, impegnati in una lotta che era politica prima ancora che militare,
e che gli Alleati costrinsero a chiarire nei loro intenti in un documento
redatto dal comunista Luigi Longo, dove si definiva il movimento partigiano
come un movimento “nato dal basso”, espressione della solidarietà popolare e
nazionale, come testimoniavano anche le numerose lettere di partigiani
indomiti, condannati a morte.
Oggi che vengono meno certezze, che sembravano consolidate nella storia del
nostro tempo, comprendiamo meglio come il movimento partigiano fu anche momento
di rivendicazione di un’identità nazionale che sembrava perduta.
Dentro però quell’idea di Nazione, pari nel sentire e nel volere a
qualsiasi altra Nazione, non c’erano né il sovranismo né il nazionalismo con le
degenerazioni che avevamo subito. Semmai c’era il germe di quello che sarà
l’articolo 11 della Costituzione, cioè, una sovranità pronta a riconoscere i
propri limiti, in condizioni di parità con altre Nazioni, in un ordinamento che
assicuri fra loro la pace e la giustizia.
Era il concetto di “pace giusta” che sarà incorporato nel progetto europeo,
come meta da raggiungere. Ed è la sovranità condivisa il progetto che oggi
incontra l’ostilità di neo-imperialismi militarizzati che disegnano opposte
egemonie per la spartizione del mondo.
Profetico, proprio per quanto detto, si rivela il discorso tenuto da Alcide
De Gasperi a Strasburgo il 10 dicembre 1951 per la creazione di una forza di
difesa europea, in cui lo statista trentino chiede la collaborazione di tutte
le forze democratiche ed una rinnovata fiducia, soprattutto dell’America, nei
destini dell’Europa. Angela Casilli, dip 15
La rete diplomatica e il 25 aprile. Qualche consolato…latitante?
La rete
diplomatico-consolare all’estero dovrebbe celebrare la Festa della Liberazione,
che è una festa nazionale, organizzando commemorazioni così come accade in
occasione della Giornata della memoria e del Giorno del ricordo. A sostenerlo è
il deputato Pd Christian Di Sanzo che, insieme ai colleghi eletti all’estero –
Carè, Ricciardi e Porta – oltre che a Provenzano, Amendola, Boldrini e
Quartapelle, ha presentato una interrogazione in merito al Ministro degli
esteri Tajani.
“Il 25 aprile –
sottolinea Di Sanzo nella premessa – rappresenta una data fondamentale nella
storia italiana, simbolo della Liberazione dal nazifascismo e radice fondativa
delle istituzioni democratiche del Paese (legge n. 260 del 27 maggio 1949); la
celebrazione di questa ricorrenza riveste un valore imprescindibile per la
riaffermazione dell'unità nazionale, del recupero della memoria civile e dei
valori di libertà, uguaglianza e riscatto civile che animarono la Resistenza;
la resistenza italiana ebbe una dimensione europea, coinvolgendo esuli politici
e intellettuali che prepararono la rinascita democratica del Paese e
contribuirono alla nascita dell'idea di Europa unita”.
“Il prossimo 25
aprile 2025 – ricorda il deputato eletto all’estero – ricorrerà l'80°
anniversario della Liberazione, un'occasione solenne per rinnovare l'impegno a
preservare la memoria storica e a trasmettere i valori della resistenza alle
nuove generazioni”.
La rete
diplomatico-consolare italiana all'estero “svolge un ruolo cruciale nella
promozione della cultura e della storia italiana, nonché nella diffusione dei
valori democratici; l'80° anniversario può costituire una occasione importante
per promuovere un approccio inclusivo e unitario sulla nostra storia
sviluppando una riflessione critica e il confronto democratico sui fatti
accaduti”.
“Molte
rappresentanze diplomatico-consolari – evidenzia il deputato dem – già
organizzano iniziative e celebrazioni legate a giornate commemorative
significative come il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo, ma si
manifesta a giudizio dell'interrogante una palese assenza di iniziative
inerenti al 25 aprile da parte della rete diplomatico consolare; la Festa della
Liberazione è una festa nazionale della Repubblica italiana e pertanto si
ritiene opportuno che la rete diplomatico-consolare possa celebrarla con
opportune iniziative, così come avviene per la festa della Repubblica italiana
del 2 giugno”.
Considerato che
“le celebrazioni del 25 aprile all'estero possono rappresentare un'opportunità
per coinvolgere le comunità italiane all'estero, le istituzioni locali e la
società civile nella riflessione sulla storia italiana e sui valori costitutivi
della Repubblica”, Di Sanzo chiede a Tajani “quali iniziative concrete il
Ministero degli affari esteri intenda promuovere e sostenere, attraverso la sua
rete diplomatico-consolare, per celebrare il 25 aprile all'estero, con
particolare attenzione al coinvolgimento delle comunità italiane, delle
istituzioni locali e delle nuove generazioni” e “quali risorse umane e
finanziarie siano state stanziate o si preveda di stanziare per sostenere le
celebrazioni del 25 aprile all'estero, con particolare riferimento all'organizzazione
di eventi, alla produzione di materiali informativi e alla promozione di
attività educative rivolte alle nuove generazioni e alle scuole italiane
all'estero”. (aise/dip 10)
L’Europa al confronto con Trump
La politica estera del nuovo Presidente americano è eversiva quanto quella
che sta attuando sul fronte interno. È connotata da un approccio esplicitamente
transazionale nei rapporti fra Stati, da scarsa considerazione per le regole
che presiedevano ai rapporti fra Stati e per le alleanze tradizionali, e dal
ricorso spregiudicato alla logica del più forte. In sintesi, Trump sta facendo
saltare i tradizionali parametri di riferimento della politica estera
americana. Con il risultato di provocare una pericolosa instabilità del
contesto internazionale.
Ma Trump sta provocando anche una crisi nel rapporto transatlantico,
particolarmente evidente almeno su quattro fronti: misure protezionistiche,
guerra in Ucraina, sicurezza e difesa, e più in generale sul tema dei valori e
dei principi fondanti.
Le cause dei dazi
La politica commerciale di Trump è caratterizzata da un’autentica
ossessione per gli squilibri della bilancia commerciale americana e dalla
decisione di utilizzare i dazi sulle importazioni negli Usa come strumento di
politica economica. Dopo aver adottato dazi generalizzati sulle importazioni di
acciaio, alluminio e, successivamente, auto, Trump ha annunciato il 2 aprile –
con una cerimonia tanto spettacolare quanto surreale – nuovi dazi
(differenziati e qualificati come “reciproci”) sulle importazioni da circa una
sessantina di Paesi, motivati dalla necessità di rispondere a dazi e altre
barriere non tariffarie praticate da partner commerciali degli Usa (peraltro
calcolati con metodi opinabili). Nell’ottica del Presidente americano, i dazi
americani avrebbero il triplice obiettivo di riequilibrare la bilancia
commerciale degli Stati Uniti, recuperare risorse finanziarie per ridurre il
deficit del bilancio federale, e incentivare investimenti esteri per attività
produttive negli Usa.
Le decisioni annunciate da Trump segnano una svolta di portata epocale e
sono destinate a provocare reazioni pesanti sull’economia americana e globale,
incertezze sulle scelte degli investitori, e rischi sui mercati finanziari e
sulle quotazioni di borsa, con la prospettiva di avvio di una recessione
globale. Anche l’Ue è stata colpita con dazi del 20% apparentemente su tutte le
importazioni europee negli Usa, che si sommano ai dazi già in vigore su
acciaio, alluminio e auto. Sono quindi misure che colpiscono direttamente anche
rilevanti interessi europei, rendendo complessivamente più complicato per gli
europei trattare con la nuova Amministrazione americana.
Sulla guerra in Ucraina, Trump, confermando le promesse della campagna
elettorale, ha avviato un’iniziativa diplomatica mirata alla ricerca di una
cessazione del conflitto. I tentativi di mediazione stanno procedendo tra molte
difficoltà. Non è chiaro se a un certo punto Trump dovrà concludere che le
condizioni che Putin cercherà di imporre sono inaccettabili. Tuttavia, finora
Trump ha spiazzato gli europei aprendo un canale di dialogo bilaterale con
Putin, legittimandolo come interlocutore affidabile e dando l’impressione di
condividere la narrazione russa sulle origini e responsabilità del conflitto.
Ha inoltre deliberatamente escluso gli europei da questa iniziativa, con la
prospettiva che questi ultimi – oggi all’oscuro delle vere intenzioni di Trump
– possano essere chiamati a svolgere un ruolo dopo un eventuale accordo, sia
per la definizione di credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina, che per la
sua ricostruzione.
Sul fronte della sicurezza e della difesa, è per ora improbabile che si
concretizzi il rischio di un esplicito disimpegno americano dalla Nato.
Tuttavia, aumenteranno le pressioni americane sugli alleati europei per una
maggiore spesa per la loro difesa. La richiesta non è nuova, ma potrebbe
diventare più stringente, al punto da condizionare l’impegno americano per la
sicurezza dell’Europa a concreti risultati nella direzione dell’assunzione di
maggiori responsabilità da parte degli europei. Ne consegue che appaiono più
che legittimi i dubbi sulla stessa credibilità di un’eventuale mobilitazione
degli Usa in caso di minacce alla sicurezza degli alleati europei.
Infine l’involuzione autoritaria imposta da Trump sul fronte interno (con
gli attacchi alle politiche di inclusione e diversità, ai media e alla
magistratura, alle università, agli studi legali, a chiunque osi contestare le
politiche dell’Amministrazione americana) rimette in discussione un sistema di
valori una volta considerati patrimonio comune dell’Occidente. Tutto ciò
rischia di provocare un effetto imitazione anche in Europa, rafforzando i
consensi per le formazioni politiche dichiaratamente nazionaliste, sovraniste
ed euro-scettiche. Potrebbe inoltre accentuare le divisioni fra Paesi
dell’Ue con conseguenze sulla compattezza della posizione dell’Ue.
Il risveglio europeo
Nel frattempo la linea della nuova Amministrazione americana sta stimolando
un risveglio di iniziative da parte europea, non tutte lineari, coerenti o
istituzionalmente corrette, ma animate dall’intenzione di recuperare un
protagonismo da tempo smarrito ma che si impone date le circostanze. Non
necessariamente in contrapposizione agli Usa, sui quali, malgrado tutto, si
spera di poter contare, ma come tentativo di dare faticosamente sostanza e
contenuto all’obiettivo dell’autonomia strategica.
La prima sfida che chiama in causa l’Ue è quella della reazione ai dazi
americani. Subito dopo l’annuncio di Trump, la Presidente della Commissione ha
dichiarato che le misure minacciate erano sbagliate e dannose per l’economia
mondiale. Pur mantenendo aperta l’opzione di una qualche forma di accordo per
ridurre l’impatto dei dazi, ha confermato di essere pronta a rispondere con
misure analoghe da adottare dopo una consultazione con i Paesi membri. Si apre
ora una fase delicata in cui l’Ue dovrà decidere come reagire. Non è da
escludere che, oltre ai più tradizionali (e poco efficaci) dazi sulle
importazioni americane, possano essere prese in considerazione anche misure
mirate a colpire gli interessi delle aziende tecnologiche sul mercato europeo,
come limitazioni all’accesso e tassazione dei profitti.
Sulla difesa, gli europei si stanno movendo su due direttrici: un piano di
medio-lungo termine di rafforzamento delle capacità militari degli Stati membri
come premessa per una futura difesa europea e una serie di iniziative a
sostegno dell’Ucraina. Sulla difesa europea, le proposte della Commissione
hanno ricevuto un sostegno di principio, accompagnato da critiche, distinguo e
condizioni, a conferma che resta molta strada da fare per avviare concretamente
un percorso condiviso di rafforzamento delle capacità europee in materia di
difesa. Sull’Ucraina, oltre alla conferma del sostegno politico e di nuovi
aiuti anche militari (sia pure per un volume di spesa molto inferiore quanto
proposto dalla Commissione), sono in discussione varie proposte per un contributo
europeo ad un sistema credibile di garanzie di sicurezza all’Ucraina che
dovrebbero costituire parte integrante di un auspicabile accordo sulla
cessazione del conflitto.
Sono ancora piccoli passi nella direzione giusta di un recupero di
protagonismo in un contesto particolarmente difficile per l’Europa. Sul piano
degli annunci le intenzioni sono quindi buone. In concreto l’Ue dovrà fare i
conti con le complessità dei suoi processi decisionali e con le difficoltà di
far convergere scelte e sensibilità dei Governi nazionali. Ferdinando
Nelli Feroci
AffInt 15
ROMA – Si sono
conclusi a Roma i lavori del Comitato di presidenza de Cgie. Nel consueto
incontro conclusivo con la stampa, svoltosi alla Farnesina, la Segretaria
Generale Maria Chiara Prodi ha ricordato che il Cgie è un’istituzione che
rappresenta non solo gli italiani, ma anche gli italodiscendenti. “perché – ha
spiegato – in ogni Assemblea Paese che elegge i consiglieri del Cgie ci sono i
Comites, che hanno al loro interno dei cooptati italo discendenti, nonché le
associazioni degli italiani all’estero”. Prodi ha anche rilevato come il Cgie,
che ha il compito di essere punto di collegamento tra gli italiani all’estero e
coloro che fanno politiche per i connazionali nel mondo nel mondo, abbia in
questo semestre tre priorità: la messa in sicurezza del voto all’estero, gli
incentivi per il rientro – che il Cgie ha approfondito nell’incontro con il
Cnel – e la riforma della legge sulla cittadinanza. Per quanto riguarda questo
ultimo punto, ovvero il varo del Decreto-legge n. 36 “Disposizioni urgenti in
materia di cittadinanza”, la Segretaria Generale ha evidenziato come su questo
tema siano state svolte interlocuzioni con il sottosegretario agli Esteri
Giorgio Silli, con il Direttore Generale degli Italiani all’estero del Maeci
Luigi Maria Vignali, nonché con la III Commissione della Camera e la
Commissione Esteri e Difesa del Senato. Sugli aspetti specifici del
provvedimento, che ha già portato in vari consolati alla sospensione della
trascrizione degli atti di nascita, Prodi ha sottolineato la necessità che, nel
corso dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto, si apportino
correttivi al provvedimento. In particolare la Segretaria Generale si è
soffermata sul nodo relativo, al fine dell’acquisizione della cittadinanza, al
requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia o averci
vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente.
Un requisito che, insieme alla limitazione alle due generazioni e al fatto che
tale cambiamento è avvenuto in 24 ore, disorienta i connazionali nel mondo e
rischia di compromettere il futuro legame del Paese con le sue comunità
all’estero. Su questa tematica Prodi ha ribadito come il Cgie , rimasto
sorpreso per il cambio di passo compiuto dall’esecutivo, sia comunque pronto a
fornire il proprio contributo e i necessari pareri. Prodi, dopo aver
parlato dell’importanza di costruire una cittadinanza consapevole basata sul
legame della cultura, della conoscenza e della lingua, ha evidenziato
l’esigenza di mettere in sicurezza il voto all’estero, senza fare torto a
questo processo democratico, studiando soluzioni tecniche per migliorare le
modalità di voto per corrispondenza. Il Segretario Generale ha anche rilevato
l’importante contributo fornito dal Cnel, con propri contatti sociali, per
quanto concerne la tematica degli incentivi di rientro. Segnalato inoltre il
proseguimento degli incontri delle Commissioni tematiche del Cgie con i
Comites, il prossimo è previsto per il 12 aprile, volti ad approfondire
specifici temi come ad esempio l’accompagnamenti dei giovani nella mobilitò
fuori dall’Italia. Prodi, dopo aver auspicato la convocazione della Conferenza
Stato Regioni Provincie Autonome Cgie, ha anche segnalato i prossimi
appuntamenti del Consiglio Generale, come l’audizione dell’8 aprile in Senato
sulla cittadinanza, e l’Assemblea Plenaria che si terrà dal 16 al 20 giugno
presso varie sedi nella capitale.
A seguire
l’intervento del Vice Segretario Generale per l’America Latina Mariano Gazzola
che ha sottolineato come il Cgie sia pronto a dare il suo parere sul
provvedimento relativo alla cittadinanza. Un decreto che per il Consigliere
causa perplessità, in quanto tocca la discendenza di chi è già cittadino
italiano, e andrebbe corretto nel corso dell’iter parlamentare, Dello stesso
parere Walter Petruzziello, Componente del Comitato di Presidenza per
l’America Latina, che ha evidenziato come questo provvedimento incida
sull’antica emigrazione del Brasile.
Ha poi preso la
parola la Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei del Cgie
Silvana Mangione che ha rilevato come il decreto sulla cittadinanza,
introducendo la fattispecie del genitore nato o residente in Italia, possa
aprire le porte anche in altri contesti al concetto dello ius soli. Mangione ha
segnalato come, durante incontro con il referente del MEI, si sia parlato della
possibilità di festeggiare il prossimo anno i 40anni della nascita dei Comites.
La Vice Segretaria Generale ha anche posto in evidenza la richiesta
avanzata dal Cgie al CNEL di riproporre una ricerca sul rapporto fra la
presenza dell’emigrazione italiana all’estero e la curva di crescita delle
importazioni dei Paesi dove stanno crescendo le nostre comunità.
Dell’importanza di
superare l’inverno demografico e la stagnazione del nostro Paese favorendo
attraverso condizioni favorevoli il ritorno dei nostri connazionali all’estero,
ha invece parlato il Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord
Giuseppe Stabile. Il Consigliere ha ricordato come negli ultimi dieci anni vi
sia stato un aumento dei residenti all’estero superiore al 40%, un problema di
rilevanza nazionale. Stabile ha inoltre rilevato l’importanza attrarre gli
italo discendenti che intendano veramente essere italiani vivendo e lavorando
nel nostro Paese, anche attraverso la creazione di una sorta Green Card fino da
utilizzare fino al raggiungimento dei termini per l’acquisizione della
cittadinanza. Il Consigliere, dopo aver evidenziato che non bisogna parlare di
cervelli in fuga ma di persone con talenti e competenze anche non
universitarie, ha affermato come il provvedimento volto a modificare le norme
sulla cittadinanza fosse necessario.
E’ poi intervenuto
il Vice Segretario Generale di Nomina governativa Gianluca Lodetti che ha
sottolineato come la cesura sulla trasmissibilità della cittadinanza possa
rappresentare un rischio per il mantenimento del rapporto con le collettività
all’estero. Un collegamento che invece andrebbe incrementato attraverso
percorsi che portino ad una cittadinanza consapevole, rendendo i
cittadini in Italia e all’estero consapevoli della conoscenza dei propri
diritti, doveri, e valori, nonché della lingua italiana. Lodetti ha anche
segnalato come mel corso dell’incontro con il direttore del MEI si sia anche
parlato dell’esigenza di promuovere l’insegnamento della storia della nostra
emigrazione nelle scuole italiane. In modo che i futuri italiani che vogliano
andare all’estero lo possano fare con prospettive diverse basate su un’ide di
circolazione migratoria.
E’ infine
intervenuto Tommaso Conte, Componente del Comitato di Presidenza per l’Europa e
l’Africa del Nord, che, pur non essendo d’accordo con le modalità adottate per
modificare la norma sulla cittadinanza, ha rilevato come su questo tema un
cambiamento fosse necessario. Conte, oltre a segnalare che in Germania arrivano
a tutt’oggi circa 5000 connazionali al mese, ha parlato della proposta, accolta
dal Comitato di Presidenza, di istituire un premio annuale in ricordo dello
scomparso Segretario Generale del Cgie Michele Schiavone. (Lorenzo Morgia,
Inform/dip 3)
Secondo noi,
prendere atto della politica nazionale significa interessarsi, soprattutto, ai
problemi della gente. Anche se gli stessi non sempre possono essere risolti,
l’importante è provarci.
A dispetto del
preambolo, dovrebbe prevalere il buon senso. Abbiamo, infatti, rilevato una
voglia di focalizzare gli “errori” degli altri senza rivedere i propri.
Al presente non è
più possibile “sottovalutare” le situazioni che, comunque, non lasciano scelte.
Per migliorare la situazione, bisognerebbe, prima di tutto, avere ben chiaro
come affrontarla. Continua, invece, a mancare l’impegno per garantire interventi
risanatori fuori dalle promesse di questo Esecutivo che dovrà, col tempo,
riqualificarsi. Perchè anche gli aspetti
minori della nostra realtà fanno parte della Democrazia. Con l’incertezza, non
è possibile, ma neppure probabile, fare progetti. Insomma, sarebbe opportuno
prospettare meno e concretare di più.
La voglia di
cambiare ci sarebbe. Il difficile è immaginare come. Eppure, nonostante
l’evidenza, tutto continua a svilirsi. I mutamenti, francamente, non hanno
trovato sintonia. Ancora una volta, dobbiamo riconoscere che il potere logora
chi lo detiene.
Il bisogno di comprendere la nostra realtà
socio/economica s’è fatto indifferibile.
L’accessibilità ai problemi economici del Paese dovrebbe essere
credibile. Bisognerebbe capire cosa, effettivamente, serve al Paese. Di
ragioni, a nostro avviso, ce ne sono parecchie. Il bisogno di capire come si
evolveranno gli eventi resta fondamentale. Ora, la politica s’è fatta
risentire. Data la situazione, lo riteniamo un buon segno. Giorgio Brignola,
de.it.press
A Roma la Prima Conferenza delle scuole italiane all’estero “Crescere in
italiano”
ROMA – La Prima Conferenza delle scuole italiane nel mondo ha avuto inizio
questa mattina presso l’Auditorium del MAXXI a Roma. A organizzare l’evento
l’Ufficio V della Direzione Generale del Maeci per la Diplomazia Pubblica e
Culturale (DGDP). L’evento si configura come un modo per rafforzare i legami
culturali con gli italiani nel mondo e “far apprezzare e conoscere sempre di
più la nostra lingua e cultura all’estero”, ha ricordato la Presidente della
Fondazione MAXXI, Maria Emanuela Bruni, che ha introdotto l’evento con
l’auspicio di “creare un ponte fra tutte le discipline artistiche e culturali
nazionali e internazionali per capire la complessità del mondo contemporaneo”.
Il Museo MAXXI è da sempre in prima linea nella formazione degli studenti
italiani con visite guidate, corsi di formazione PTCO e laboratori, essendo
ente riconosciuto di formazione. All’evento era presente anche il Direttore
Generale del Maeci per gli Italiani all’Estero Luigi Maria Vignali.
Nel suo intervento dal Viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, che ha
parlato di un istituto del MAXXI “inclusivo e soprattutto propositivo”.
Cirielli, dopo aver evidenziato l’importanza di celebrare il ruolo svolto dalle
scuole italiane all’estero, si è rivolto alla Sottosegretaria all’Istruzione
Paola Frassinetti presene all’evento: “La ringrazio molto per quello che
lei fa insieme al suo Ministero e soprattutto per la grande collaborazione,
perché è il nostro partner storico per queste iniziative”. Il Viceministro
Cirielli ha poi sottolineato il dovere e il diritto dello Stato a fornire
servizi e supporto agli oltre ottanta milioni di discendenti degli italiani
all’estero sia con la formazione promulgata mediante scuole pubbliche e
paritarie di lingua italiana, sia con l’impegno a favorire l’ottenimento di una
doppia cittadinanza per quegli italiani residenti in nazioni che non la rendono
disponibile, come ad esempio la Spagna, dove il Viceministro si recherà a breve
anche alla luce dell’importante emigrazione di giovani verso quelle località
negli ultimi anni. La stessa emigrazione dall’Italia è di per sé strumento di
esportazione culturale e linguistica, ha ricordato il Vice Ministro facendo
riferimento all’influenza italiana in Svizzera: “Anche l’Europa – ha aggiunto
Cirelli – rappresenta un dato centrale: ultimamente sono stato in Svizzera dove
ho parlato non soltanto con i connazionali del Cantone italiano, ma soprattutto
con politici francofoni e germanofoni, e tutte e due le etnie e culture sostenevano
come ormai l’italiano abbia vinto culturalmente in Svizzera, e la classe dotta,
la classe alta dei francofoni e germanofoni, vuole imparare l’italiano come
lingua di qualità”. Parlando poi della visita alla scuola di Addis Abeba con la
Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, il Vice Ministro ha
ricordato come gli italiani che esportano cultura abbiano saputo portare
all’estero anche il verbo universale della pace della diplomazia e che, ad
oggi, l’educazione che l’Italia esporta è spesso vista come un faro: “La scuola
di Addis Abeba – ha aggiunto produce il 100% degli occupati”. Il successo delle
scuole italiane all’estero, secondo Cirielli, porta giovamento all’Italia su
più fronti: “Siamo una nazione che ha anche bisogno d’immigrazione e
chiaramente, se qualcuno studia nelle scuole italiane e s’innamora delle scuole
italiane, si prepara e magari viene in Italia”. Il Vice Ministro ha poi
spiegato che fornire a questi studenti una formazione completa permette
un’immigrazione legale verso l’Italia e un’immissione nel mercato del lavoro
regolamentato dallo Stato, senza rischio di sfruttamento: “Abbiamo decine di
aziende e di attività – ha aggiunto – che si trasferiscono in giro per il mondo
e trovare persone che hanno studiato significa anche aiutare le nostre
imprese”.
Dell’impegno del Governo e del MIC nei confronti del sistema di formazione
italiano ha parlato la Sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti,
che ha voluto spostare l’attenzione sul coordinamento delle iniziative fra MAEC
e LIM, reso possibile dal D.L. 64 del 2017 per potenziare la rete scolastica
all’estero e che costituisce una risorsa strategica per la diplomazia
culturale. Nelle parole del Sottosegretario anche l’impegno a sviluppare una
migliore, più efficace sinergia fra scuola e lavoro, anche per quanto riguarda
il binomio scuola – cultura sul territorio italiano, mentre le 7 scuole
statali italiane e le 47 paritarie all’estero risultano già essere punti di
riferimento per oltre 20.000 studenti secondo i dati al 2023. In questo
contesto la Frassinetti ha anche ricordato come molti ragazzi stranieri
scelgano di sviluppare le loro competenza nel modello dell’istruzione italiana
all’estero. “Le 674 unità di personale all’estero – ha aggiunto – sono i
migliori ambasciatori del saper fare italiano nel mondo”. “Le riforme che
sono state promosse da questo governo – ha poi rilevato Frassinetti – ben
s’immettono in questo contesto internazionale. Mi riferisco per esempio alla
riqualificazione degli istituti professionali e tecnici, il famoso 4+2 dove
abbiamo voluto dare anche una valenza ITS, che sappiamo all’estero essere una
tipologia di scuola molto attrattiva che in Italia è stata concepita con una
legge parlamentare votata all’unanimità, proprio per dare una sensazione di
radicamento al territorio che possa far interagire gli istituti come le
università, gli enti locali, le imprese e gli ITS”. Importante anche il ruolo
del liceo del Made in Italy, unicum italiano per la presenza di materie
giuridiche, lingue, economia, geografia economica e facilitante la transizione
da scuola a mondo del lavoro anche grazie alle sperimentazioni avviate dal
Ministero con il Piano Mattei, piano d’internazionalizzazione del sistema
terziario d’istruzione tecnologica.
Ha poi preso la parola il Segretario Generale della Dante Alighieri
Alessandro Masi che ha parlato dell’attività della ADASIM (Fondazione Dante
Alighieri Scuole Italiane nel Mondo) che accoglie in una rete le scuole
italiane all’estero con l’obiettivo di condividere esperienze di alto profilo
nell’insegnamento dell’italiano ed in italiano, promuovere l’aggiornamento
professionale e affrontare insieme le sfide dell’educazione. In pratica con
l’obiettivo di fare squadra, si inviano docenti, si avviano bandi per attività
e si formano docenti.
La storia delle scuole italiane all’estero parte da lontano, inizia assieme
all’Unità d’Italia nel 1861, quando il console italiano ad Alessandria d’Egitto
propose all’allora Ministro degli Esteri Cavour di aprire un collegio italiano
proprio ad Alessandria d’Egitto, ha ricordato nel suo intervento Il Direttore
Generale del Maeci per la Diplomazia Pubblica e Culturale, Alessandro De Pedys
che ha poi rilevato come ad oggi le nostre strutture scolastiche all’estero
siano utilizzate prevalentemente da comunità locali straniere. Ad esempio
il corpo studentesco della scuola di Addis Abeba è costituito per il solo
terzo da aventi passaporto italiano, segno di quell’attrattiva esercitata dal
saper fare italiano. “L’obiettivo che noi ci poniamo oggi con questo
evento – ha proseguito De Pedys – è quello di cominciare a fare rete facendo
incontrare anche di persona i diversi attori e scambiarsi buone prassi, fare
delle proposte, ragionare insieme su come sfruttare meglio il potenziale di
questo sistema come strumento di promozione della lingua e culture italiana.
Dobbiamo anche parlare delle criticità”, come ad esempio sostenere
adeguatamente le scuole paritarie o migliorare la formazione dei docenti.
Il Direttore Generale ha poi evidenziato come il secondo obiettivo della
Conferenza sia anche quello di far conoscere il mondo delle scuole italiane
all’estero anche ai non addetti ai lavori. De Pedys ha inoltre posto il tema di
come far continuare il percorso formativo in ambiti italiani a chi esce dagli
istituti italiani all’estero. Una delle iniziative volte creare filiere
educative è “Costruiamo il Futuro”, un progetto per cui sono state messe a
disposizione sedici borse di studio per consentire a studenti che vengono dalle
scuole di Addis Abeba, Casablanca, Tunisi e Il Cairo di proseguire gli studi
presso università italiane. Segnalate anche iniziative volte a garantire agli
studenti, attraverso pacchetti formativi, preparazione adeguata attraverso enti
esterni come la Banca d’Italia per l’introduzione all’educazione finanziaria, o
la fondazione Bracco, ma anche con il CEPELL per l’ambito letterario.
Citato anche il sistema educativo Reggio Children, con oltre 140 scuole
nel mondo. (Jasmine Carpentieri- Inform/dip 14)
L’Italia emigra ancora: oltre 7 milioni gli iscritti all’AIRE
“Una valigia di
cartone per riporre i sogni, e un treno a cui affidare la speranza”. Questa
immagine, oggi forse un po’ sbiadita dal tempo, continua a parlarci con forza.
Le valigie di cartone non esistono più, certo, e nemmeno quei treni affollati
in partenza dalle stazioni del sud, carichi di speranze e promesse. Oggi si
viaggia in aereo, si parte con un biglietto elettronico e con uno smartphone in
tasca. Ma la sostanza non è cambiata. Ancora oggi si lascia l’Italia per
cercare qualcosa che qui sembra mancare: un futuro, un’opportunità, una vita
dignitosa. I sogni continuano ad avere bisogno di una valigia, e la speranza
resta legata a un mezzo di trasporto, qualunque esso sia. Ma tutto questo, a
che prezzo?
Se ripercorriamo
la storia dell’emigrazione italiana, scopriamo una realtà impressionante: tra
il 1860 e il 1985, oltre 29 milioni di italiani hanno lasciato il Paese. Un
numero enorme, superiore alla popolazione dell’intera nazione al momento
dell’Unità d’Italia. Partirono famiglie intere o singoli individui, e
raggiunsero ogni angolo del mondo occidentale. Molti non fecero più ritorno.
Alcuni morirono lontano, nei cantieri, nelle miniere, nelle fabbriche, vittime
della fatica, delle malattie, o della solitudine. Di loro si è parlato poco,
troppo poco.
Oggi,
paradossalmente, sembra che si voglia cancellare quella memoria collettiva,
quasi fosse una pagina da dimenticare. Si approvano leggi e decreti che
ignorano, quando non sminuiscono, la realtà degli italiani all’estero. In certi
casi si ha perfino l’impressione che si provi imbarazzo di fronte all’esistenza
di questa “altra Italia”, fatta di cittadini che hanno scelto o dovuto
scegliere l’esilio economico. Come se l’italianità fosse legittima solo entro i
confini nazionali.
Eppure, questa
italianità emigrata ha dato frutti straordinari. Gli italiani nel mondo si sono
distinti per capacità di adattamento, spirito di sacrificio e talento. In molti
Paesi sono diventati parte integrante del tessuto sociale e politico, contribuendo
allo sviluppo di intere comunità. Hanno saputo conservare la propria identità
senza rinunciare all’integrazione. In tanti luoghi, oggi, l’italiano non è più
visto come “l’emigrante”, ma come un esempio positivo di integrazione riuscita.
Chi ha vissuto
l’esperienza della migrazione sa bene cosa significhi. Emigrare è un atto
carico di coraggio, ma anche di rinunce profonde. È lasciare indietro una parte
di sé: la propria casa, gli affetti, le radici. È affrontare la solitudine,
l’incertezza, la nostalgia che si fa più pungente nelle notti silenziose o
durante le feste tradizionali. È accorciare le distanze con la mente, cercando
di far sembrare i chilometri più brevi, immaginando di poter abbracciare
ancora, almeno per un istante, un genitore, un fratello, una nonna.
E se oggi, con
un’Europa apparentemente più unita, il termine “emigrato” sembra meno marcato,
la realtà ci racconta che chi parte lo fa ancora per necessità. La forma
cambia, ma la sostanza resta: si continua a emigrare perché non si trovano, in
patria, le condizioni per realizzarsi. Non si parte mai per capriccio, ma per
mancanza di alternative.
Sono convinto che
chi è partito, oggi come ieri, porta dentro di sé una ferita che non si
rimargina mai del tutto: quella del distacco. Ma sono altrettanto convinto che,
proprio per questo, dobbiamo sentirci responsabili gli uni degli altri. Quando
incontriamo un nostro connazionale in difficoltà, non voltiamoci dall’altra
parte. Aiutiamolo, anche solo con una parola, un gesto, un sorriso. Anche solo
per risparmiargli quella maledetta sensazione di solitudine che noi, da
italiani all’estero, conosciamo fin troppo bene.
Perché
l’emigrazione non è solo un fenomeno statistico: è una storia di vite, di
speranze, di dolori e di riscatti. E questa storia è la nostra.
Carmelo vaccaro,
dip 11
Cittadinanza italiana: nuove regole tra continuità e cambiamento
Con l’approvazione
del decreto-legge sulla cittadinanza, il governo italiano introduce una serie
di modifiche significative al sistema di acquisizione e mantenimento della
cittadinanza italiana per i discendenti di emigrati all’estero. Il
provvedimento, proposto dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal
Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani e dal Ministro dell’Interno Matteo
Piantedosi, mira a rafforzare il principio del „legame effettivo“ con il Paese,
ridisegnando i criteri per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis
e introducendo nuove disposizioni per i cittadini italiani residenti
all’estero.
Fine della
trasmissione illimitata iure sanguinis
Uno degli aspetti
più rilevanti del nuovo provvedimento è la limitazione della cittadinanza
automatica ai discendenti di italiani nati all’estero. Attualmente, il diritto
di cittadinanza si trasmette di generazione in generazione senza limiti
temporali, purché vi sia una linea di discendenza da un cittadino italiano. Con
la nuova normativa, la trasmissione della cittadinanza sarà automatica solo
fino alla seconda generazione:
Chi nasce da
almeno un genitore italiano o un nonno nato in Italia sarà automaticamente
cittadino.
I pronipoti di
cittadini italiani (terza generazione e successive) non saranno automaticamente
cittadini, salvo specifiche condizioni.
Questa misura si
allinea alle politiche di altri Paesi europei e ha lo scopo di evitare la
concessione della cittadinanza a persone che non abbiano più alcun legame con
l’Italia, pur avendo un avo italiano.
Acquisizione
subordinata alla residenza o alla nascita in Italia
Per i discendenti
di italiani che vivono all’estero, l’acquisizione della cittadinanza non sarà
più automatica se oltre la seconda generazione. Tuttavia, ci saranno due
modalità per ottenere la cittadinanza:
Nascita in Italia:
I figli di italiani nati in Italia saranno automaticamente cittadini.
Residenza
qualificata: Se un cittadino italiano trasferisce la propria residenza in
Italia per almeno due anni continuativi prima della nascita del figlio,
quest’ultimo sarà automaticamente cittadino italiano, anche se nato all’estero.
Registrazione
dell’atto di nascita entro 25 anni
Un’altra novità
importante riguarda l’obbligo di registrare l’atto di nascita del discendente
entro il compimento dei 25 anni di età. Se il soggetto non effettua la
registrazione entro questo termine, perderà il diritto a chiedere il
riconoscimento della cittadinanza. L’obiettivo è rafforzare il concetto di
legame effettivo con l’Italia e limitare le richieste tardive da parte di
discendenti lontani.
Perdita della
cittadinanza per „desuetudine“
La nuova normativa
introduce anche un criterio inedito: la perdita della cittadinanza per
„desuetudine“. I cittadini italiani nati all’estero che non risiedono in Italia
e che possiedono un’altra cittadinanza perderanno la cittadinanza italiana se
non manterranno alcun vincolo effettivo con il Paese per almeno 25 anni. Questo
sarà valutato in base al mancato esercizio dei diritti e doveri derivanti dalla
cittadinanza italiana, come la partecipazione elettorale o la richiesta di
documenti italiani.
Le modifiche alle
procedure consolari
Il Consiglio dei
Ministri ha inoltre approvato un disegno di legge per la riforma dei servizi
per i cittadini italiani all’estero. Tra le novità più rilevanti:
Centralizzazione
delle richieste di cittadinanza: Le domande di riconoscimento della
cittadinanza non saranno più gestite dai consolati, ma da un ufficio centrale
presso la Farnesina.
Periodo
transitorio di un anno: Durante questa fase, i consolati continueranno a
ricevere domande, ma con un limite nel numero di pratiche accettate.
Miglioramenti nei
servizi per cittadini e imprese all’estero: La riforma riguarda anche
legalizzazioni, anagrafe, passaporti e carte d’identità, con l’obiettivo di
snellire le procedure e ridurre i tempi di attesa.
Aggiornamenti
sulla legislazione passaporti
Nel pacchetto di
riforme è incluso anche un aggiornamento della legge sui passaporti, che risale
al 1967. Tra le modifiche principali:
Abolizione della
proroga della durata del passaporto: I passaporti avranno una durata fissa di
10 anni non rinnovabili, eliminando la possibilità di proroga tramite timbro.
Eliminazione del
passaporto collettivo: Questo tipo di documento, ormai obsoleto e non più
accettato negli standard internazionali, viene formalmente eliminato dalla
normativa italiana.
Obbligo di
denuncia per il furto o smarrimento del passaporto: Chi perde il passaporto
all’estero dovrà sporgere denuncia presso le autorità locali, salvo
impossibilità comprovata.
Le conseguenze per
gli italiani all’estero
L’introduzione del
principio del „vincolo effettivo“ avrà un impatto significativo sulle comunità
italiane nel mondo, specialmente in Paesi come Argentina, Brasile, Stati Uniti
e Canada, dove risiedono milioni di discendenti di italiani. Alcuni esperti prevedono
un incremento delle richieste di cittadinanza nei prossimi mesi, prima
dell’entrata in vigore definitiva delle nuove norme.
Tuttavia, il
governo rassicura che le modifiche non influenzeranno chi ha già ottenuto il
riconoscimento della cittadinanza, né coloro che avranno presentato domanda
prima del 27 marzo 2025.
Le nuove
disposizioni potrebbero inoltre incentivare l’immigrazione di ritorno in
Italia, facilitando la naturalizzazione per i discendenti di italiani che
scelgano di risiedere stabilmente nel Paese.
Con queste
riforme, il governo Meloni ridisegna il concetto di cittadinanza italiana,
ponendo l’accento sul legame effettivo con il Paese e uniformandosi agli
standard internazionali. Il decreto e il disegno di legge segnano la fine della
trasmissione illimitata della cittadinanza e rafforzano l’importanza della
residenza e della partecipazione attiva alla vita civile italiana.
Sebbene la misura
abbia suscitato alcune preoccupazioni tra le comunità italiane all’estero, il
governo insiste che l’obiettivo non è restringere i diritti, ma garantire che
la cittadinanza sia un privilegio fondato su un legame reale con l’Italia.
CdI on. 1
Cittadinanza. Acli: no alle semplificazioni, serve una cittadinanza
italiana consapevole
ROMA – “La
cittadinanza italiana non può essere solo una questione generazionale, si
tratta di una questione molto complessa che le Acli, anche grazie
all’esperienza maturata attraverso le associazioni della Federazione delle Acli
internazionali, attive in 21 Paesi, stanno seguendo da tempo”, ha dichiarato il
Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, che si chiede: “Perché
non si è proceduto con un iter parlamentare, in cui le tante sensibilità che
hanno già prodotto proposte di legge sul tema possano trovare in sintesi, anche
grazie al contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero?”
Il decreto legge
numero 36 del 25 marzo ha modificato le regole per acquisire la cittadinanza
italiana per gli italo discendenti ed è un cambiamento radicale perché modifica
la natura della legge 91 del 1992, che riconosce il diritto ad essere cittadino
italiano a tutti i figli di genitori italiani, mettendo un limite a due
generazioni (genitori o nonni) nati in Italia per richiedere la cittadinanza
italiana. Nel decreto vengono richiamati i concetti di “urgenza” e “sicurezza
nazionale”.
Le Acli , che da
tempo richiamano l’attenzione delle istituzioni sulla regolamentazione di
una cittadinanza consapevole, sono critiche rispetto al decreto-legge .
Entrando nel merito del decreto, “la ratio pare quella di riconoscere la
cittadinanza in base ad una presunta maggiore italianità rispetto ad oggi dei
soli nipoti dei nati in Italia”, ma per le Acli “la semplificazione della legge
91 del 1992 non rende giustizia alla nostra storia di emigrazione perché invece
di valorizzare il rapporto tra “sangue” e appartenenza alla comunità italiana
attraverso la conoscenza della lingua e della cultura italiana, si riduce tutto
ad una questione “generazionale” che, come abbiamo sempre sostenuto, avrebbe
potuto essere un elemento riformabile della legge 91 ma insieme a questi
elementi”.
“Sarebbero
necessari dei correttivi in particolare con una regolamentazione che dia la
possibilità di trasmettere la cittadinanza quando sussiste, ad esempio, la
certificazione di una profonda conoscenza linguistica”, ha detto Matteo
Bracciali, Vicepresidente nazionale della Federazione delle Acli
Internazionali. “Un altro rilievo sui disegni di legge annunciati riguarda le
modifiche delle procedure di richiesta della cittadinanza italiana” e “anche
sul rapporto cittadinanza-diritti sociali, chiediamo al Governo un reale
ascolto delle rappresentanze degli italiani all’estero: l’idea di alleggerire
la pressione sui Consolati non deve essere un’ulteriore complicazione nel
rapporto con l’Amministrazione Pubblica né un rallentamento per l’ottenimento
della cittadinanza”. “Dall’altra parte – ha continuato Bracciali – sul tema
della partecipazione dei nuovi italiani alla vita pubblica non è sufficiente
chiedere di esercitare diritti o doveri almeno una volta in 25 anni, perché non
è una cittadinanza “compilativa” quella a cui dobbiamo tendere, ma la norma
deve prevedere investimenti in strumenti di consapevolezza, come informazione,
educazione e prossimità tra Italia e chi è italiano e vive in altro Paese del
mondo. Si chiamano investimenti perché il ritorno di relazioni si
trasforma in dati economici e sociali dando sostanza all’Italia fuori
dall’Italia orgogliosa del proprio passato e con una identità ricca e plurima.
Per Bracciali, secondo cui sulla materia andavano ascoltate le rappresentanze
degli italiani all’estero, come Comites e Cgie e le reti associative, “vi è
ancora speranza di poter contribuire a costruire una normativa inclusiva, per
sostenere una cittadinanza consapevole.” (Inform/dip 1)
Tornare a casa: Cgie e Commissariato per la ricostruzione insieme per
promuovere la flat tax al 7%
ROMA - Una flat
tax al 7% per i pensionati residenti all'estero che tornano a vivere nelle zone
del centro Italia – Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio – colpite dai terremoti del
2009 e del 2016. La misura è rivolta a chi risiede all'estero da almeno cinque
anni (cittadini stranieri o italiani, anche iscritti all’Aire) e percepisce un
reddito da pensione da un soggetto estero.
A promuoverla
presso le collettività dei connazionali sarà il Consiglio generale degli
italiani all’estero che questa mattina, a Palazzo Wedekind, ha firmato un
Protocollo di intesa con il Commissario Straordinario per la Ricostruzione del
Sisma 2016, Guido Castelli.
A firmare l’intesa
è stata la segretaria generale Maria Chiara Prodi, accompagnata da tutto il
Comitato di Presidenza – riunito in questi giorni a Roma – alla presenza, tra
gli altri, anche del senatore Roberto Menia.
“Occupandomi di
ricostruzione, mi sono subito imbattuto nel problema che il vero rischio della
ricostruzione è che le case una volta riqualificate rimangano vuote. Il calo,
il gelo demografico è stato descritto nella sua consistenza e nella sua gravità
proprio ieri dal presidente dell'Istat. Ecco che ho rispolverato dalle pieghe
di alcune norme fiscali la possibilità di incentivare il rientro, non con la
pretesa di risolvere il problema demografico, ma di alimentare la vitalità, i
flussi delle comunità del sisma”, ha spiegato Castelli. La norma che “consente
di godere di una flat tax al 7% per tutti i residenti all’estero percettori di
pensione straniera che decidono di venire a vivere nei nostri bellissimi
borghi” è “una norma utile” che “rivolgiamo soprattutto a chi magari ha il
desiderio di tornare a casa: i nostri immigrati, le progenie di tutti coloro
che dovettero lasciare la loro casa e che oggi potrebbero tornarvi in una
condizione ristabilita, armoniosa e anche utile fiscalmente”.
I territori
coinvolti sono quelli dell’Abruzzo, colpito dal sisma nel 2009, e di Lazio,
Marche e Umbria, colpite nel 2016 tra 4 terremoti in 5 mesi, un territorio – ha
ricordato Castelli – che si estende per 8mila km quadrati.
“Oltre a sistemare
le case – ha aggiunto il Commissario straordinario – bisogna pensare alla
comunità, alla vitalità di luoghi che anche prima del sisma erano scarsamente
popolati”. Da qui la decisione di rilanciare la flat tax che prevede una
“fiscalità vantaggiosa per i residenti all’estero che decideranno di tornare”.
Una norma rivolta a stranieri e italiani: inevitabile, quindi, pensare ai
connazionali all’estero e ai loro discendenti che volessero stabilire o
ristabilire un legame con la terra dei loro genitori.
Un protocollo che
è nelle corde del Cgie, ha detto Giuseppe Stabile, vicesegretario per l’Europa
nel Consiglio generale. Ringraziato Castelli per “la lungimiranza di modello di
ricostruzione virtuoso e dinamico dal quale può scaturire effetto moltiplicatore
e da cui altre regioni possono trarre spunto”, Stabile ha ricordato che “il
numero di espatriati è sempre crescente, con un aumento del 40% in meno di 10
anni”. Promuovere il rientro nei territori del sisma “concilia reciproci
interessi: ripopola il territorio, allarga la platea di beneficiari di
provvedimenti specifici come la flat tax, favorisce il rientro dei
connazionali”.
Un rientro che
potrebbe essere facilitato, ha suggerito il vicesegretario, anche da altre
misure, come “prevedere una sorta di green card per chi investe nei territori
per ottenere la cittadinanza”, o prevedendo disposizioni rivolte ad altre
categorie di connazionali, non solo pensionati: “penso ai ricercatori da
impiegare nei Laboratori del Gran Sasso, o agli universitari”, ha aggiunto.
Quella con il Commissariato è una “collaborazione che può avere frutti
straordinari. Il Cgie sensibilizzerà le nostre comunità”.
La firma del
protocollo, ha osservato Maria Chiara Prodi, da un anno alla guida del
Consiglio generale, “segna un capitolo nuovo per il Cgie”, che per promuoverla
può contare su “una realtà di rappresentanza con 2mila volontari” eletti nei
Comites, organismi con i quali “negli ultimi mesi abbiamo ricreato un legame
strutturato” attraverso diversi incontri online, molti dei quali proprio sugli
incentivi al rientro che, ha ricordato Prodi, “è uno dei nostri obiettivi per
il primo semestre 2025, insieme alla messa in sicurezza del voto e alla riforma
della cittadinanza”.
Il Consiglio
generale è determinato ad “allargare le sue altezze”, ha evidenziato la
segretaria generale, secondo cui “le relazioni istituzionali vanno
diversificate” nel segno della “cooperazione con tutti”. Il Cgie è “punto di
sintesi nella rappresentanza degli italiani all’estero e nei rapporti con gli
italodiscendenti e con gli stranieri che incontriamo nei nostri territori. Nei
Comites ci sono consiglieri cooptati proprio tra gli italodiscendenti, dunque è
nel nostro Dna interagire con tutti”.
Anche sul fronte
istituzionale: in questi giorni, il Cdp ha discusso di incentivi per il rientro
con il Cnel ed è stato contattato dall’Ue per un progetto di comunicazione
rivolto alle diaspore dei diversi Paesi.
“Oggi inizia una
nuova fase che vogliamo estremamente concreta”, ha ribadito Prodi che ha
firmato materialmente il Protocollo con il Commissario Castelli, con il
beneplacito del Ministro degli esteri Tajani che, in un messaggio, ha
assicurato il supporto della Farnesina per far conoscere una “bella e utile
iniziativa”.
COSA PREVEDE LA
FLAT TAX AL 7%
La flat tax al 7%
riguarda i pensionati residenti all'estero che tornano a vivere nel Centro
Italia: questa misura è rivolta a chi risiede all'estero da almeno cinque anni
e percepisce un reddito da pensione da un soggetto estero.
Le persone che
ricevono una pensione dall'estero e si trasferiscono in Italia in un comune con
meno di 20miloa abitanti e situato nelle zone colpite dai terremoti del
2009/2016 possono optare per l’assoggettamento di tutti i redditi con la
formula della flat tax.
Questa imposta è
calcolata in modo forfettario con un’aliquota del 7% sui redditi esteri per
nove anni a partire dal primo anno in cui fanno questa scelta.
Basta la
percezione di un qualunque reddito da pensione per poter assoggettare al 7%
qualsiasi altro reddito percepito da soggetto estero.
BENEFICI
I pensionati
residenti all'estero possono trasferire la residenza fiscale in un comune
dell'Appennino centrale e beneficiare dell'imposta sostitutiva al 7% per 10
anni su tutti i redditi prodotti di qualunque categoria anche quelli non da
pensione.
REQUISITI
Essere titolare di
reddito da pensione erogato da soggetto estero.
Avere residenza
all'estero da almeno cinque anni (cittadini stranieri o italiani che risiedono
all'estero da almeno cinque anni, anche iscritti all'Aire).
COSA BISOGNA FARE
PER USUFRUIRE DELLA FLAT TAX
Individuare
un'abitazione (luogo di residenza) in uno dei comuni dell'Appennino centrale
con popolazione inferiore a 20.000 abitanti;
richiedere
all'Agenzia delle entrate l’attribuzione del codice fiscale;
richiedere
l'iscrizione all'anagrafe del comune di residenza scelto.
Dopo almeno sei
mesi dall'iscrizione, presentando la dichiarazione dei redditi è possibile
scegliere il regime di flat tax al 7%, per tutti i redditi prodotti per l'anno
di imposta e i successivi 9 le regioni coinvolte sono Umbria Marche Abruzzo e
Lazio
SIMULAZIONI
Secondo una
simulazione del Commissario straordinario, un pensionato tedesco con 60mila
euro di pensione lorda, con la flat tax al 7% in Italia risparmierebbe mille
euro al mese.
GLI ALTRI PAESI
Il Portogallo ha
eliminato ogni agevolazione per i pensionati, ma altri Paesi ancora la
mantengono. In Slovacchia e Albania non si pagano tasse su pensioni straniere;
in Grecia c’è la flat tax al 7% per 10 anni; a Cipro la flat tax è al 5% per le
pensioni che superano i 3420 euro. Manuela Cipollone, aise/dip 2
Con l’Esecutivo
Meloni sembrerebbe che l’Italia non abbia più bisogno di lezioni politiche. Il
concetto, in generale, è chiaro: se il Paese non ha parametri di crescita
economica confrontabili con gli altri Stati UE, la situazione interna potrebbe
essere bonificata con altri “termini di raffronto”. Del resto, neppure il
nostro Primo Ministro sembra essere nelle condizioni di dare più di quanto la
situazione nazionale gli consente. Da noi si usano termini socio/politici che
nel resto dell’Unione non sono d’impiego corrente.
Dato che
navighiamo su una “barca” comune, sarebbe opportuno fare “chiarezza” politica.
I contrasti, che ci sono, non dovrebbero però, essere considerati
irreversibili. Sarebbe una mossa che ci costerebbe l’affidabilità, sia interna
sia a livello comunitario.
Certo è che le
mosse dell’attuale Esecutivo per riavviare la ripresa economica interna e la
coerenza politica non sono chiare. Del resto, ma lo abbiamo sempre scritto: c’è
una realtà nazionale che non ha da essere confusa con quella dell’UE. Certi
problemi interni hanno da restare tali. Anche la cooperazione ha dei limiti
che, a nostro avviso, non dovrebbero essere superati. La stessa linea di
“rigore”, che sembra trovare accoglienza in buona parte del Consiglio di
Strasburgo, non ci ha sorpreso.
Da noi, a torto o
a ragione, c’è una situazione politica che, pur se in fase evolutiva, appare
complessa e non proprio comparabile con quella degli altri Paesi dell’Unione.
Soprattutto di quelli che si possono considerare tra i ”fondatori” della Grande
Europa. Altre sensazioni preferiamo tenerle “in pectore” per verificarne, poi,
l’effettiva consistenza. Certo è che l’attuale politica dello Stivale potrebbe
giocare a nostro sfavore anche a livello Comunitario. Intanto, è iniziato il
semestre “critico” per il futuro socio/politico d’Italia.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Varato il decreto legge in materia di sicurezza
Il Consiglio dei
ministri di venerdì sera ha varato un decreto-legge in materia di sicurezza,
com’era nelle previsioni e nell’ordine del giorno, ma per la premier è stato
anche l’occasione per tornare in una sede ufficiale sull’emergenza determinata
dalla mossa di Trump sui dazi. Di Stefano De Martis
Il Consiglio dei
ministri di venerdì sera ha varato un decreto-legge in materia di sicurezza,
com’era nelle previsioni e nell’ordine del giorno, ma per la premier è stato
anche l’occasione per tornare in una sede ufficiale sull’emergenza determinata
dalla mossa di Trump sui dazi. Giorgia Meloni ha in sostanza ribadito l’invito
a non farsi prendere dal panico e nel contempo ha reso noto un colloquio
telefonico con il suo omologo inglese Starmer. Ha inoltre informato degli
incontri che avrà lunedì con i leader dei partiti di maggioranza e martedì con
i rappresentanti delle categorie produttive. C’è l’esigenza, tra l’altro, si
avere una stima ragionevole dell’impatto che l’offensiva del presidente Usa
avrà sulla nostra economia, dopo il crollo dei mercati finanziari che ha visto
Milano in cima alla classifica negativa.
Il decreto legge
riprende nella quasi totalità il testo del disegno di legge che il Consiglio
dei ministri aveva già licenziato nel novembre 2023. Il ddl era andato avanti
faticosamente nell’iter parlamentare, a settembre era stato approvato dalla
Camera e ora si trovava all’esame del Senato, anche se per problemi di
copertura finanziaria sarebbe comunque dovuto ripassare a Montecitorio. Il
decreto-legge, invece, dev’essere convertito entra sessanta giorni ma è
immediatamente esecutivo. C’è chi ha parlato di uno scambio tra l’esigenza
della Lega di poter sbandierare subito le nuove norme e l’introduzione di
alcuni correttivi non graditi a Salvini ma ufficiosamente richiesti dal
Quirinale per rendere costituzionalmente potabile il testo. Sta di fatto che l’inedita
operazione di travaso dal ddl al decreto, è stata comprensibilmente contestata
dalle opposizioni perché oggettivamente svilisce il ruolo del Parlamento.
Vediamo ora in
sintesi i punti su cui sono state apportate significative correzioni. Le
pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le
università, le società controllate e partecipate e gli enti di ricerca non sono
più obbligati a collaborare con i Servizi di sicurezza e a stipulare
convenzioni che obbligano a cedere informazioni e dati anche in deroga alle
normative in materia di privacy. Nelle carceri (ma anche nei Cpr) il reato di
“rivolta” si considera commesso solo in presenza di violazioni di ordini
impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”.
L’aggravante per
iniziative contro opere pubbliche di rilevanza nazionale viene limitata alle
infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di
telecomunicazioni o altri servizi pubblici. Per quanto riguarda l’acquisto di
sim card telefoniche, ai migranti basterà mostrare un documento d’identità e
non anche il permesso di soggiorno. Per motivi di equità del diritto penale,
anche nei reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale bisognerà
tenere conto delle eventuali attenuanti. A proposito di forze dell’ordine,
comunque, il decreto prevede che agenti e militari indagati o imputati per
fatti di servizio potranno lavorare mentre lo Stato sosterrà le loro spese
legali, fino a 10mila euro per ogni fase del procedimento. Tornando alle
correzioni, per quanto riguarda i reati commessi da madri incinte o di minori
inferiori a un anno, si prevede il ricorso agli istituti di “custodia
attenuata” e non al carcere, e il giudice può valutare le preminenti esigenze
del minore anche in presenza di una condotta grave della madre.
Infine, è stato
corretto uno dei punti più criticati (chiamato dalla Lega “anti borseggiatrici
rom”): ora si prevede l’obbligatorietà della custodia cautelare presso un
istituto di custodia attenuata (e non in carcere) per le madri incinte o di
minori inferiori a un anno. E il giudice può valutare le preminenti esigenze
del minore, anche in presenza di una condotta grave della madre. Sir 5
Istat, il tasso di fecondità italiano ha superato il minimo storico del
1995
Il tasso di
fecondità italiano ha superato il minimo storico: con 1,18 figli per donna
viene superato il record negativo di 1,19 registrato nel 1995, anno chiave per
capire la crisi demografica del nostro Paese. In quell’anno nacquero 526mila
bambini, l’anno scorso i nuovi nati sono stati appena 370mila.
I dati provvisori
degli Indicatori demografici 2024 pubblicati oggi, lunedì 31 marzo, dall’Istat
confermano che c’è sempre meno tempo per correre ai ripari.
Come sta cambiando
la popolazione italiana
Oltre alle culle
mai così vuote, l’Italia deve fare i conti con la “fuga dei cervelli” (e non
solo) che avanza a un ritmo sempre maggiore. Solo lo scorso anno 191mila
persone hanno lasciato il Belpaese (+20,5% rispetto al 2023). Tra gli expat,
156mila erano cittadini italiani, +36,5% rispetto al 2023. “Raramente usiamo il
termine ‘boom’ nei nostri report” ha spiegato Marco Marsili, Responsabile del
Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di
vita dell’Istat durante il talk che si è tenuto questa mattina presso la sala
stampa Istat. Una precisa scelta lessicale per sottolineare quanto sia grave
l’aumento degli espatri registrato nell’ultimo anno.
La popolazione di
cittadinanza italiana si attesta a 53 milioni 512mila unità, 206mila persone in
meno rispetto al 1° gennaio 2024 (-3,8 per mille). La variazione negativa non
risparmia nessuna regione ed è più accentuata nel Mezzogiorno (-131mila italiani
residenti in meno) nonostante il lieve calo della migrazione interna (-1,4%
rispetto al 2023 per un totale di un milione e 413mila cittadini.
La diminuzione
della popolazione prosegue ininterrottamente dal 2014 e il decremento
registrato nel 2024 è in linea con quanto osservato negli anni precedenti (-0,4
per mille del 2023 e -0,6 per mille nel 2022). I dati pubblicati dall’Istat
confermano che, senza immigrazioni, il declino demografico dell’Italia sarebbe
molto più rapido.
Il ruolo delle
immigrazioni
Al primo gennaio
2025, la popolazione italiana si attestava a 58,934 milioni di residenti, un
calo molto limitato rispetto al 2023 (-0,6 per mille) anche grazie alle
immigrazioni dall’estero che nel 2024 hanno portato 435mila persone in Italia.
Di queste solo 53mila erano cittadini italiani rientrati in patria, a riprova
del fatto che le agevolazioni per il rientro dei cervelli sono poco efficaci
mentre altri Paesi, risultano più attraenti soprattutto per i giovani anche
grazie a delle riforme che attraggono manodopera dall’estero (si pensi alle
ingenti agevolazioni per i giovani previste dal Portogallo)
Nonostante la
lieve diminuzione delle immigrazioni (-5mila rispetto al 2023), nel 2024 è
aumentata la popolazione residente di cittadinanza straniera che è salita a 5
milioni e 422mila unità, +3,2% rispetto al 2023 ovvero 169mila persone in più
sull’anno precedente. L’incidenza della popolazione straniera sale al 9,2% su
quella totale.
I vantaggi dati
dall’immigrazione non sono concentrati equamente lungo la penisola:
* il 58,3% dei
cittadini stranieri (3 milioni 159mila individui) risiede al Nord, dove
costituiscono l’11,5% della popolazione residente;
* il 24,4%
(322mila individui) risiede al Centro con un’incidenza dell’11,3% sulla
popolazione totale;
* il 17,3%
(941mila unità) risiede nel Mezzogiorno, dove rappresentano appena il 4,8%
della popolazione residente totale.
Nel 2024,
riportano ancora gli Indicatori demografici dell’Istat, 217mila cittadini
stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, circa 3mila in più rispetto
al 2023. “Registriamo ormai stabilmente oltre 200mila nuovi cittadini italiani
all’anno”, osserva Marsili.
Le tre
cittadinanze di origine più frequenti sono quella albanese (31mila
acquisizioni), quella marocchina (27mila acquisizioni) e quella rumena (circa
15mila acquisizioni) che rimpiazza quella argentina in terza posizione. Il 64%
delle acquisizioni di cittadinanza italiana si deve a nove Paesi.
Fonte: Indicatori
demografici Istat 2024
Rispetto al 2023
scendono le cittadinanze concesse a cittadini argentini e brasiliani
(rispettivamente -11% e -10%) mentre crescono quelle in favore dei cittadini
del sub continente indiano (India +30% e Bangladesh +19%).
Aumenta
l’aspettativa di vita (e calano i decessi)
Il calo della
popolazione procede lentamente anche grazie ad un altro (duplice) fattore:
aumenta l’aspettativa di vita e calano i decessi: nel 2024 sono stati 651mila,
-3,1% sul 2023 (-20mila unità).
In rapporto al
numero di residenti sono deceduti 11 individui ogni 1.000 abitanti, contro gli
11,4 dell’anno precedente. Un numero così basso di decessi non si registrava
dal 2019.
Nonostante ciò, il
saldo naturale (ovvero la differenza tra nascite e decessi senza considerare il
saldo migratorio) è ancora fortemente negativo e pari a -281mila unità.
In un solo anno,
l’aspettativa di vita è salita di circa cinque mesi sia per le donne che per
gli uomini:
la speranza di
vita alla nascita nel 2024 è stimata in 81,4 anni per gli uomini e in 85,5 anni
per le donne (+0,4 in decimi di anno), valori superiori a quelli del 2019.
Anche l’aspettativa di vita è più alta al Nord: 82,1 anni per gli uomini e 86,0
per le donne nel Settentrione; 81,8 anni per gli uomini e 85,7 anni per le
donne nel Centro Italia, 80,3 anni per gli uomini e 84,6 anni per le donne nel
Mezzogiorno.
I dati sui decessi
sono sull’aspettativa di vita sono più in linea con i livelli pre-pandemici che
con quelli del triennio 2020-22, segno che il Paese ha assorbito (dopo quattro
anni) i segni della pandemia.
Il calo delle
nascite in Italia: numeri e tendenze
Nel 2024, secondo
i dati provvisori, in Italia sono nati 370mila bambini, circa 10mila in meno
rispetto all’anno precedente (-2,6%). Il tasso di natalità scende così al 6,3
per mille, leggermente inferiore al 6,4 per mille del 2023. I nati di
cittadinanza straniera rappresentano il 13,5% del totale, con quasi 50mila
bambini, in calo di circa 1.500 unità rispetto all’anno precedente.
Fecondità ai
minimi storici
Come detto
in apertura, la fecondità del 2024 è pari a 1,18 figli per donna, un valore
inferiore a quello del 2023 (1,20) persino al minimo storico del 1995 (1,19).
Il calo è più marcato nel Settentrione e nel Mezzogiorno:
* Nel Centro
Italia, il numero medio di figli per donna rimane stabile a 1,12;
* Nel Nord scende
a 1,19 (rispetto a 1,21 nel 2023);
* Nel Mezzogiorno
si riduce a 1,20 (da 1,24), confermandosi l’area con la fecondità più alta ma
con la contrazione più accentuata. Il Sud deve anche fare i conti con la
migrazione interna.
“Tutte le regioni
italiane sono sotto il livello di sostituzione pari a 2,1 figli per donna”,
osserva Marsili. Il Trentino-Alto Adige è la regione con la fecondità più
elevata (1,39 figli per donna) mentre la Sardegna è quella con la fecondità più
bassa (0,91).
L’impatto sulla
struttura demografica
Oltre al calo
della fecondità, la riduzione delle nascite è dovuta anche alla diminuzione del
numero di potenziali genitori. La popolazione femminile in età riproduttiva
(15-49 anni) è passata da 14,3 milioni nel 1995 a 11,4 milioni nel 2025, mentre
gli uomini nella stessa fascia di età sono scesi da 14,5 a 11,9 milioni. Questo
spiega perché, nonostante nel 1995 la fecondità fosse solo leggermente
superiore a quella attuale, si registrarono 526mila nascite, ben 156mila in più
rispetto al 2024.
Ciò che successe
nel 1995 ci aiuta a capire la crisi demografica attuale. Come ricorda Marco
Marsili “Quel periodo è a cavallo tra la prima transizione demografica e la
seconda. In quegli anni inizia il problema strutturale, ovvero iniziano a
diminuire le donne in età feconda”, ma non solo. In quegli anni aumenta la
professionalità richiesta per entrare nel mondo del lavoro. Questo processo ha
portato le giovani coppie a ritardare i progetti di famiglia: “c’è un tema
legato al posticipo della maternità legato alla necessità di iniziare a
lavorare più tardi, dopo aver terminato il percorso di formazione. Parte un
meccanismo che si traduce in posticipo; si decide di posticipare al dopo ciò
che non si può fare ora. Le nascite non avute in quel periodo lì sono state
recuperate nei quindici anni successivi ma solo parzialmente, mentre gli altri
Paesi hanno recuperato quasi integralmente il calo delle nascite”.
Per motivi
analoghi, l’età media al parto continua ad aumentare e nel 2024 ha raggiunto i
32,6 anni (+0,1 rispetto al 2023). La tendenza a posticipare la maternità ha un
impatto significativo sulla riduzione della fecondità: più si ritarda, meno
tempo resta per realizzare un progetto familiare, più aumenta il rischio di
infertilità, come ampiamente visto su queste pagine. L’età media al parto è in
crescita in tutto il Paese, con il Nord e il Centro che registrano i valori più
elevati (32,7 e 33,0 anni) rispetto al Mezzogiorno (32,3 anni).
Meno matrimoni,
soprattutto religiosi
Anche i matrimoni
sono in calo. Nel 2024, secondo i dati provvisori, sono stati celebrati 173mila
matrimoni, 11mila in meno rispetto al 2023. La diminuzione riguarda soprattutto
le nozze religiose (-9mila), ma anche quelle civili subiscono un calo (-2mila).
Il tasso di nuzialità scende così al 2,9 per mille (dal 3,1 del 2023). Il
Mezzogiorno resta l’area con il tasso più alto (3,2 per mille, rispetto al 2,8
per mille di Nord e Centro), ma è anche la zona che registra la maggiore
contrazione rispetto all’anno precedente. Adnkronos 31.3.
Dalla pandemia alla paura della guerra: in emergenza perenne?
Una riflessione
personale su paura, controllo e l’emergenza permanente
Se c’è una cosa
che abbiamo imparato dal 2020, è che la paura è un’arma potente. Per anni ci
hanno bombardato con allarmi continui sulla pandemia, portandoci ad accettare
restrizioni senza precedenti, controlli e obblighi che fino a poco prima
sarebbero sembrati impensabili. Ora, mentre il Covid sembra un ricordo lontano,
il clima di emergenza non è affatto finito: al contrario, si è solo
trasformato. Il nuovo grande spauracchio è la guerra.
Da mesi, politici
e media dipingono scenari da incubo: conflitti sempre più vicini, instabilità
globale, minacce informatiche, blackout, crisi alimentari. E mentre l’ansia
cresce, l’Unione Europea ha lanciato il suo piano Preparedness Union, con un
messaggio chiaro: bisogna essere pronti a tutto.
Il piano della
Commissione Europea prevede ben 30 misure per affrontare le possibili crisi.
Tra le più significative:
Scorte di
emergenza: ogni cittadino dovrebbe avere cibo, acqua e medicinali per almeno 72
ore.
Corsi di
sopravvivenza a scuola: gli studenti impareranno come prepararsi a situazioni
di crisi.
Piani di emergenza
per infrastrutture vitali: ospedali, trasporti e telecomunicazioni dovranno
attrezzarsi per funzionare anche in caso di blackout o attacchi.
Esercitazioni di
crisi su larga scala: polizia, protezione civile, esercito e servizi sanitari
si addestreranno insieme per gestire emergenze.
Piani aziendali
per garantire beni essenziali: le imprese dovranno assicurare la produzione e
la distribuzione di prodotti critici.
In Germania, la
preparazione va addirittura oltre: il governo raccomanda ai cittadini di avere
scorte alimentari per dieci giorni e di tenere pronto un “kit di sopravvivenza”
con vestiti caldi, torce, batterie e documenti importanti.
Fermiamoci un
attimo e chiediamoci: tutto questo è davvero solo per la nostra sicurezza?
Certo, nessuno può negare che viviamo in tempi difficili, ma la storia ci ha
insegnato che spesso le emergenze vengono usate per giustificare misure di
controllo sempre più invasive.
Durante la
pandemia, la paura è stata usata per convincerci ad accettare misure drastiche:
dal lockdown ai certificati sanitari, fino a limitazioni che hanno inciso
profondamente sulla nostra libertà. Adesso, con la minaccia della guerra, il
meccanismo sembra lo stesso: allarmi continui, richiami alla responsabilità
collettiva e nuove restrizioni che potrebbero diventare la norma.
E se quello a cui
stiamo assistendo fosse solo un altro passo verso una società ipercontrollata,
dove il cittadino è costantemente messo sotto pressione, in ansia, pronto ad
accettare qualunque misura “per il bene comune”?
L’idea di un
popolo impaurito e costantemente in allerta fa comodo a chi governa. Una
società che vive nel terrore è una società più facile da controllare: meno
ribelle, più disposta ad accettare limitazioni, meno propensa a farsi domande.
Oggi ci dicono che
dobbiamo essere pronti a crisi imprevedibili, proprio come ci dicevano che il
Covid sarebbe durato anni e che solo con sacrifici estremi avremmo potuto
uscirne. I governi europei, invece di concentrarsi su politiche di pace e
stabilità, alimentano l’idea di un futuro incerto, in cui ogni cittadino deve
essere pronto a sopravvivere autonomamente per giorni, mentre le istituzioni
accumulano potere e controllo. Stiamo forse andando verso una società in cui il
concetto di “normalità” viene sostituito da un’emergenza permanente? Forse è il
momento di smettere di vivere nella paura e iniziare a chiederci dove ci stanno
portando. Licia Linardi, CdI on 1
Manette e milioni: la messinscena di un governo in bancarotta politica
"Il potere
non è mai stato amico della verità." (Michel Foucault)
Mentre l’Italia
arranca sotto il peso della stagnazione economica, della sfiducia crescente e
di una società sempre più disillusa, il governo tenta di distrarre l’opinione
pubblica con un’operazione di facciata: quaranta arresti ostentati come trofei
nei telegiornali diventano l’ennesimo pretesto per giustificare un hotspot da
oltre 800 milioni di euro, più una montagna di costi correnti per polizia,
logistica e apparati. Un investimento sproporzionato e politicamente opaco, più
utile a tenere viva la propaganda che a risolvere concretamente i problemi del
Paese.
L’accordo con
l’Albania, che nei fatti somiglia a una regalia più che a una strategia, mostra
il volto di un esecutivo che usa la politica estera come paravento e i fondi
pubblici come strumento di consenso. Intanto, nel cuore del Paese reale, da 25
mesi la crescita economica è ferma. Lavoratori impoveriti, salari stagnanti,
pensioni al limite della sopravvivenza e una pressione fiscale insostenibile
sono il quadro quotidiano per milioni di famiglie italiane.
A questo si
aggiunge il circo delle grandi promesse irrealizzabili: un ponte sullo Stretto
senza progetto esecutivo, senza un piano serio per la viabilità delle aree
coinvolte, che oggi versano in condizioni da terzo mondo. Strade dissestate,
collegamenti ferroviari inesistenti, territori abbandonati al dissesto
idrogeologico: l’Italia che frana e allaga a ogni temporale resta fuori dai
radar di un governo impegnato a vendere illusioni.
Le grandi crisi
industriali rimangono irrisolte: Ilva e Alitalia sono simboli viventi
dell’assenza di una visione strategica. Nessun piano industriale, nessuna
prospettiva occupazionale, solo commissariamenti infiniti e miliardi buttati.
La sanità pubblica è al collasso: personale ridotto all’osso, ospedali in
sofferenza, accesso alle cure sempre più diseguale. La scuola non sta meglio:
precariato cronico, strutture fatiscenti, docenti abbandonati.
E mentre l’Italia
si smarrisce, la premier trova il tempo per volare negli Stati Uniti e
inginocchiarsi politicamente davanti a Donald Trump, più confuso e schizoide
che mai, in una mossa che ha tutto il sapore di una ricerca disperata di
legittimazione internazionale. Una visita grottesca, tra prece e lumi, che ha
più il tono del pellegrinaggio mediatico che dell’incontro tra statisti. Una
leader in crisi che cerca rifugio da un leader in disfacimento.
Ma il vuoto non è
solo del governo. L’opposizione, pur pronta a criticare ogni passo, non propone
alternative credibili né piani concreti. Grida, polemizza, ma resta priva di
visione, di coraggio e spesso di coerenza. I sindacati? In perenne ritardo, più
interessati a mantenere equilibri interni che a difendere davvero i lavoratori.
Confindustria non è da meno: quando non tace, balbetta. La voce delle imprese
si è fatta flebile, accomodante, incapace di spingere verso riforme serie.
Nel frattempo,
settori chiave come agricoltura, trasporti e turismo sono ostaggio delle lobby
e dei corporativismi: gli agricoltori scendono in piazza, ma i provvedimenti
sono tardivi o inconsistenti; la questione taxi è una telenovela infinita, con
lo Stato ostaggio delle licenze; i balneari continuano a occupare le spiagge
pubbliche senza gare né regole chiare, tra proroghe illegittime e silenzi
compiacenti.
Così, mentre
l’Italia vera sprofonda, la politica italiana – governo in testa, ma non solo –
continua a recitare il copione stanco dell’apparenza. Non è solo inefficienza:
è abdicazione. È l'incapacità di ascoltare, decidere, costruire. La crisi non è
congiunturale: è sistemica. E il Paese, purtroppo, la sta pagando tutta.
Carlo Di
Stanislao, Dip 14
Il tempo è
galantuomo. Gli eventi, nazionali e internazionali, l’hanno sempre dimostrato
e, nei nostri oltre sessant’anni d’attività pubblicistica, ci abbiamo fatto
conto.
L’attuale
situazione nel Vecchio Continente ha evidenziato ciò che temevamo. L’Europa è
un continente geografico unito, ma, politicamente, ha delle differenze
comportamentali che l’UE aveva tentato di disciplinare ma che, invece, sono
tutte emerse in modo palese.
Le differenze, che
prima erano secondarie, ora si sono fatte decisive e l’Italia, che è uno degli
anelli debole dell’Europa Stellata, ne risente, maggiormente, le conseguenze.
Circa la politica nazionale, dovremo essere pronti a fare delle proposte
alternative.
L’Italia
riprenderà la sua coscienza non più influenzata dalle posizioni politiche di
chi ha gestito gli ultimi anni politici di questo Paese? Essere propositivo
sarà la nuova meta che gli italiani saranno in grado di gestire. Meglio
dimenticare i “campanilismi” politici e rivedere il panorama nazionale con
un’ottica non più inquinata da alleanze fittizie che hanno dimostrato, proprio
quando ci sarebbe voluta maggiore coesione, la loro inefficacia. Questo Governo
dovrebbe presentare il mutamento.
Una nuova presa di
coscienza e una più coerente gestione del potere saranno le “terapie” migliori
per uscire anche dal marasma politico di quest’ultimo quinquennio. Lo avremmo
dovuto capire da qualche tempo. Ora sembra che la lezione sia servita. Giorgio Brignola, de.it.press
Il mondo che si spezza e quello che possiamo ricostruire
"La vera
autorità non si esercita con la forza, ma con la persuasione." (Papa
Francesco)
C’è qualcosa di
profondo e inquietante nel nostro tempo. Le crisi non sono più eventi
eccezionali, ma la condizione permanente del presente. Si susseguono, si
intrecciano, si alimentano a vicenda. E il sentimento più diffuso non è più la
rabbia o la speranza, ma una stanchezza silenziosa, corrosiva. Come se il mondo
fosse in affanno, e noi con lui.
Il Sinodo della
Chiesa Cattolica è solo l’ultima manifestazione di un mondo che fatica a
rinnovarsi. Papa Francesco ha provato a spingere la Chiesa verso una maggiore
apertura, verso un linguaggio più umano, meno dogmatico, più vicino alle
sofferenze reali. Ma ha trovato ostacoli interni, resistenze, paure. La
spaccatura è evidente: da una parte chi vuole riformare, dall’altra chi difende
una tradizione che si confonde con l’immobilismo. Il risultato è una crisi non
solo di leadership, ma di senso: qual è il ruolo spirituale di una Chiesa che
si chiude mentre la realtà bussa con forza alle sue porte?
Ma la Chiesa non è
sola in questo stallo. La politica globale è impantanata in dinamiche di potere
sempre più autoreferenziali. Le guerre commerciali — come quella innescata
dagli Stati Uniti contro la Cina — sono la punta dell’iceberg. Dietro c’è un
mondo che non riesce più a trovare regole condivise. La logica del conflitto ha
sostituito quella della cooperazione. Gli interessi di breve termine prevalgono
sulla costruzione di un ordine internazionale stabile. E alla fine, a pagare,
sono sempre i più vulnerabili.
L’Europa,
teoricamente nata per superare i nazionalismi e garantire pace e prosperità,
sembra oggi smarrita. Le sue istituzioni appaiono tecnocratiche, lente,
timorose. Manca una visione comune, manca un progetto forte. Di fronte alle
tensioni commerciali, alle crisi energetiche, ai flussi migratori, alle sfide
climatiche, l’Europa balbetta. La Banca Centrale Europea interviene, ma con
margini stretti. I governi nazionali pensano al proprio elettorato, non al
destino collettivo.
La grande domanda:
quale modello di sviluppo vogliamo?
Eppure, proprio in
questa fase storica così delicata, potremmo – anzi dovremmo – porci la domanda
fondamentale: è questo il mondo che vogliamo? È sostenibile un sistema che
genera crescita economica per pochi e precarietà per molti? Che misura il
successo solo in base al profitto, ignorando i costi sociali e ambientali?
Il neoliberismo,
che per decenni ci è stato presentato come l’unica via possibile, ha mostrato
crepe profonde. Ha aumentato le disuguaglianze, ha eroso il welfare, ha
trasformato il cittadino in consumatore, la solidarietà in competizione.
Ma le alternative
esistono. Non come utopie lontane, ma come percorsi concreti già in atto in
diversi angoli del mondo.
L’economia sociale
di mercato, ad esempio, punta su un equilibrio tra libertà economica e
giustizia sociale. Non elimina il mercato, ma lo sottopone a regole chiare,
orientate al bene comune. Lo Stato non si limita a “correggere” le distorsioni,
ma diventa attore protagonista nello sviluppo di infrastrutture, servizi
pubblici, innovazione verde.
L’economia
circolare, invece, ci chiede di abbandonare il paradigma lineare
“produci-consuma-scarta” e di costruire un ciclo produttivo in cui le risorse
vengono riutilizzate, rigenerate, valorizzate. È un modello già adottato da
alcune aziende virtuose, che dimostra come sostenibilità e competitività
possano andare di pari passo.
L’economia del
bene comune, nata in Europa ma diffusa anche in America Latina, propone un
nuovo indicatore di progresso: non più solo il PIL, ma una “pagella etica” che
misura l’impatto sociale e ambientale delle imprese. Profitto sì, ma non a
scapito dei diritti, della dignità, della natura.
E poi c’è la
decrescita. Termine che spaventa, che molti leggono come rinuncia o
arretramento. Ma che in realtà propone una riduzione selettiva e intelligente
dei consumi inutili, in favore di una vita più sobria, più ricca di relazioni,
di tempo, di significato.
Europa: il
coraggio di essere un laboratorio di futuro
In tutto questo,
l’Europa ha una responsabilità storica. Non solo perché è ancora uno dei grandi
attori economici e culturali del mondo, ma perché è stata costruita proprio
sull’idea che l’unità può nascere dalla diversità, che la cooperazione è più
forte del conflitto.
Oggi l’Europa può
scegliere se essere una macchina amministrativa al servizio dei mercati, o un
laboratorio di democrazia, giustizia e innovazione. Può scegliere se inseguire
modelli in declino, o indicare nuove strade. Ma per farlo deve uscire dalla logica
del compromesso sterile e riscoprire il coraggio della visione.
Un tempo nuovo può
nascere solo da una consapevolezza nuova
Siamo a un bivio.
E il punto non è solo sopravvivere alla crisi, ma decidere chi vogliamo essere
dopo. Possiamo continuare a rincorrere un modello esausto, oppure possiamo
fermarci, guardare avanti e scegliere un’altra via.
La buona notizia?
Cambiare è ancora possibile. Ma richiede coraggio politico, immaginazione
sociale, e soprattutto un profondo rinnovamento culturale. Dobbiamo smettere di
pensare che il futuro sia solo una proiezione del passato. E iniziare a
costruirlo davvero, insieme. Carlo Di Stanislao, dip 4
Cittadinanza. Per Natitaliani il DL 36/25 è completamente sbagliato
Un Decreto
sbagliato nella forma e nella sostanza che sottrae diritti fondamentali e rompe
i legami con gli italiani nel mondo.
Natitaliani
esprime la più ferma e decisa opposizione al recente Decreto Legge approvato
dal Consiglio dei Ministri, che modifica radicalmente la disciplina sulla
cittadinanza italiana. Questo provvedimento rappresenta un attacco diretto a un
diritto fondamentale di origine secolare, minando le basi stesse
dell'italianità nel mondo.
Invece di adottare
misure volte a rendere più efficiente la pubblica amministrazione e contrastare
gli abusi, il Governo ha scelto la via più semplice e dannosa: cancellare un
diritto storico. Si fa riferimento a presunti episodi di frode, mai quantificati,
utilizzandoli come pretesto per giustificare una misura punitiva nei confronti
di milioni di italo discendenti possessori dalla nascita di un diritto
inalienabile.
È inaccettabile
che, anziché intervenire con azioni preventive e correttive mirate, si opti per
una soluzione drastica che penalizza indiscriminatamente una vasta comunità. Si
potrebbe dire usando una nota metafora che si sia voluto "buttare il bambino
con l'acqua sporca".
Questo decreto
legge, chiaramente politico, presenta tratti autoritari che evocano i periodi
più oscuri della nostra storia. Il taglio “fascista” del provvedimento è
profondamente sbagliato in primis nella sostanza: ignora i diritti degli
italiani nati all'estero e sottovaluta il loro immenso potenziale economico e
culturale a livello globale. Inoltre, viola il principio di irretroattività,
imponendo retroattivamente un termine di decadenza – fissato al 27 marzo 2025 –
che respinge automaticamente le domande, anche se pronte per essere depositate.
Anche il metodo
adottato è inaccettabile: una decisione su una questione di tale importanza non
è stata il risultato di un confronto democratico con il Parlamento o con le
organizzazioni che conoscono la realtà degli italiani all'estero, ma è stata
presa a porte chiuse, nel cuore della notte.
Natitaliani
ritiene pertanto che i danni economici, morali e d'immagine conseguenti a
questo provvedimento siano incalcolabili.
Se ancora oggi il
Made in Italy è sinonimo di eccellenza nel mondo, è anche grazie ai milioni di
italiani all'estero che, con le loro tradizioni, valori e stile di vita, hanno
mantenuto alto il prestigio dell'Italia a livello internazionale.
Inoltre, l'entrata
in vigore immediata del decreto creerà inevitabilmente un aumento esponenziale
dei contenziosi legali, sovraccaricando ulteriormente un sistema giudiziario
già sotto pressione. Le sospensioni degli appuntamenti per il riconoscimento "iure
sanguinis" e delle nuove prenotazioni, annunciate senza preavviso,
aggiungeranno ulteriore caos e incertezza per migliaia di famiglie.
Natitaliani si
impegna a mobilitare tutte le forze politiche, le associazioni, il mondo
cattolico, le comunità di italo-discendenti nel mondo, i costituzionalisti e
gli esperti di diritto, nonché a sensibilizzare l'opinione pubblica italiana
sui danni irreparabili che questo provvedimento miope infliggerà al sistema
Paese e agli italiani ovunque nati.
Continueremo a
combattere contro le manipolazioni e le distorsioni mediatiche che tentano di
dipingere gli italo discendenti come individui interessati unicamente a
ottenere "passaporti facili" o a sfruttare il sistema sanitario e
previdenziale italiano. In realtà, i residenti all'estero non hanno accesso al
sistema sanitario né a quello previdenziale, salvo abbiano contribuito per
almeno dieci anni come residenti in Italia. Per quanto riguarda il diritto di
voto, gli italiani all'estero possono esprimersi solo per un numero limitato di
parlamentari. Su questi e altri temi, forniremo dati concreti per evitare che
il dibattito sulla cittadinanza venga ulteriormente strumentalizzato a fini
politici.
Natitaliani
ribadisce con forza che la cittadinanza italiana è un diritto inalienabile,
frutto di una storia condivisa e di legami profondi che non possono essere
cancellati con un colpo di penna legislativo. Invitiamo tutti gli italiani, in
patria e all'estero, a unirsi a noi in questa battaglia per la giustizia, la
dignità e il rispetto dei diritti fondamentali di cittadinanza. Dir 31.3.
Lasciar andare è
comunemente associato ad un atto di debolezza o di mancanza di coraggio. Al
contrario, è un'arte di forza insolita, un atto di adattamento al flusso
naturale della vita. Non si tratta di arrendersi, ma di lasciare andare ciò che
non ci giova più, liberandoci dal peso dell'attaccamento e aprendoci alle
infinite possibilità del presente. È l'arte di arrendersi con grazia,
comprendendo che ciò che è destinato a noi non dovrà mai essere inseguito.
In una delle mie
riflessioni, scrissi: "Non corro mai dietro alle cose che non sono fatte
per me, poiché arrivano a me quando diventano fatte per me". Questa non è
stata una comprensione facile; è stata messa alla prova dall'esperienza, dalla
frustrazione e da momenti di profonda intuizione. Lasciar andare è stato un
viaggio intellettuale e personale, guidato dall'introspezione e dalla
consapevolezza di sé. Questo è un viaggio in quella direzione.
1. L'illusione del
controllo e il peso dell'attaccamento
La natura umana ha
un desiderio innato di controllare, di avere persone, speranze ed emozioni
sotto il proprio comando come fossero beni di proprietà. Ma la vita scorre
comunque, cambia ogni secondo, come quel fiume che non vuole mai rimanere
fermo.
C'è stato un tempo
in cui mi aggrappavo a un'amicizia che da tempo aveva superato la sua durata
naturale. Ho cercato di riunirla, di rianimare qualcosa che stava morendo, ma
ho esaurito ogni mia energia. Più lottavo, più si allontanava da me. Mi sono
liberato solo quando ho smesso di aggrapparmi a qualcosa di morto. Non perché
l'ho perso, ma perché alcune cose sono destinate a marcire o ad andare avanti.
La sofferenza
nasce spesso dal nostro tentativo di controllare l'incontrollabile. Non appena
ci rendiamo conto che stringere i pugni non cambia l'inevitabile, la nostra
esistenza diventa più serena. Lasciar andare, quindi, non è abbandonare la
vita, ma avere fiducia nel suo flusso.
2. Il peso del
passato e la libertà del presente
Il passato è un
libro logoro; le sue pagine sono piene delle storie che ci hanno formato, ma
non possono essere riscritte o rivissute. Eppure, molti di noi trascinano il
proprio passato come un peso troppo pesante da deporre.
C'è stato un
periodo della mia vita in cui mi sedevo per ore a ripensare agli errori del
passato, desiderando di non aver mai detto certe cose o fatto certe scelte.
Pensavo che, se avessi agito diversamente, la mia vita sarebbe stata diversa.
Ma era questa la realtà? O era semplicemente il mio cervello che cercava di
combattere il fatto che le cose fossero accadute nel modo in cui dovevano
accadere?
Nulla rimane
uguale: le relazioni finiscono, le emozioni cambiano e persino il nostro io di
ieri non è quello di oggi. Lasciar andare significa accettare il cambiamento
come unica costante, diventare amici dell'impermanenza. Nel momento in cui ho
smesso di resistere al passato e ne ho accettato la saggezza, ho trovato una
leggerezza dentro di me, una libertà che era sempre stata lì.
3. La resistenza
dell'ego e l'arte della resa
La più grande
resistenza al lasciar andare nasce spesso dall'ego: il sé che costruiamo
attraverso i nostri attaccamenti. Diventiamo ciò che siamo in base a ciò che
possediamo, a chi ci accompagna, a quale posizione occupiamo nella società. Ma
cosa facciamo quando la vita ci chiede di lasciare andare tutto questo?
C'è stato un tempo
in cui mi aggrappavo con tutte le forze a una speranza, ignorando ogni segnale
che mi suggeriva di tornare indietro. Conoscevo la sconfitta solo come resa. Ma
quando il destino mi ha spinto da parte, ho capito che lasciar andare non era
la fine, ma l'inizio di qualcosa di più grande.
Arrendendoci alla
vita invece di resisterle, siamo in armonia con la nostra vera natura, proprio
come l'albero che si piega nella tempesta ma non si spezza. La vera resa non è
una rassegnazione passiva; è un atto di fiducia. Quando lasciamo andare il controllo,
permettiamo a qualcosa di nuovo, più in linea con la nostra evoluzione, di
entrare nella nostra vita.
4. Amare senza
possedere: la forma più alta di libertà
Forse il lasciar
andare più difficile riguarda le relazioni: romantiche, familiari o di
amicizia. L'amore, se è vero, non trattiene, ma libera. Tuttavia, lo
confondiamo con l'attaccamento e crediamo che più stringiamo, più durerà.
Una volta ho amato
qualcuno con passione, ma in un modo che desiderava rassicurazione, certezza e
reciprocità. Quando quell'amore non è stato ricambiato come speravo, sono stato
ingannato dalle mie stesse aspettative. È stato un risveglio doloroso, ma alla
fine ho imparato: il vero amore non cerca possesso; lascia spazio all'altro per
crescere, anche se questa crescita lo allontana da noi. Il vero amore non si
tiene prigioniero con la promessa dell'eternità. Dà ali, non catene.
5. Il paradosso del
lasciar andare: guadagnare perdendo
C'è uno strano
paradosso che si scopre quando si padroneggia l'arte di lasciar andare: si
guadagna ma non si perde. Diventiamo più lucidi, perché non siamo più
frastornati dalla paura della perdita. Diventiamo sereni, perché abbandoniamo
la stanca lotta con l'inevitabile. Diventiamo liberi, perché superiamo i
confini dell'aspettativa per entrare nel regno della possibilità.
Mi viene in mente
un ricordo in cui ho lasciato andare qualcosa a cui mi aggrappavo con amarezza.
Credevo che continuare a provare dolore mi rendesse più forte, ma quando
finalmente l'ho lasciato andare, ho notato quanto spazio occupava, lo spazio
che doveva essere riempito con le possibilità, con cose come la gioia, la
creatività e l'avventura.
6. La bellezza
della mano aperta
Se stringi la
sabbia tra le mani, scivolerà via. Ma se la tieni con delicatezza, rimarrà.
Così è la vita: ciò che è destinato a noi non arriverà con la forza, ma nel suo
tempo.
7. Camminare
leggeri, vivere pienamente
Non inseguo nulla,
poiché so che tutto ciò che è mio arriverà quando sarà il momento
giusto.Perdere non è lasciar andare. È guadagnare tutto ciò che ci appartiene.
Krishan Chand
Sethi, dip 3
Scrivere dei
Connazionali all’estero continua a non fare notizia. Anche se i milioni
d’italiani nel mondo hanno sempre meno contatti concreti col Bel Paese. Quasi
che gli italiani in Patria si siano scordati, nel concreto, di quelli che
vivono oltre frontiera.
Se, poi, si tiene
conto che la maggioranza di connazionali all’estero si trova nel Vecchio
Continente, allora la nostra percezione si fa amarezza. Vale a dire che, pur se
tanto geograficamente ”vicini”, molti italiani restano, nel concreto,
“lontani”.
Insomma, per i
Connazionali che vivono”altrove”, sono più i doveri che la Patria richiede
rispetto ai diritti.
Ogni iniziativa
resta ovattata tra le tante che non trovano giusto assetto tra quelle da
dibattere in Parlamento.
Eppure, non
abbiamo mai scritto di “privilegi”. Ci siamo sempre impegnati nel fare
presente, a chi spetta, lo status degli italiani all’estero. E’ rimasto,
comunque, lo scarso apprezzamento per chi ha dovuto cercare altrove pane e
lavoro. Insomma, per riavere una meritata dignità.
Perciò, prima d’evidenziare i doveri, sarebbe
opportuno supportare anche quei diritti di chi ha avuto la sorte di vivere e
lavorare lontano dal suo Paese. Intendiamo, quindi, promuovere l’italianità nel
mondo. Le”proroghe” non convincono nessuno. Tanto meno noi che siamo sul fronte
dell’informazione da tanti anni.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Decreto Cittadinanza: “Fare i conti con la storia dell’Italia, un paese
fondato sull’emigrazione”
Due fatti degli
ultimi giorni hanno riportato l’emigrazione italiana al centro dell’attenzione.
A partire da una
vicenda marginale per la dirigenza del paese, ma non per il popolo italiano che
in grande parte ha vissuto, direttamente o indirettamente, esperienze di
emigrazione più antiche, o recenti e ancora in atto a seguito della crisi del
2007-2008.
Il primo fatto
sotto gli occhi è il Decreto “Cittadinanza” emanato dal governo lo scorso 28
marzo. Il secondo è il report “Indicatori demografici del paese”, pubblicato
dall’Istat, il 31 marzo scorso.
Il ministro degli
Esteri Tajani nella conferenza stampa del 28 marzo ha illustrato le motivazioni
addotte a sostegno della riduzione delle condizioni per la riacquisizione della
cittadinanza italiana – jure sanguinis – alla seconda generazione antecedente
(genitori o nonni nati in Italia).
Con un rapido
passaggio Tajani introduceva la necessità di un pre-requisito di appartenenza
forte e convinto per l’acquisizione di una italianità fondata su una sorta di
condivisione identitaria, quello della riduzione dei gradi di ascendenza
indicabili.
La ragione
effettiva alla base della nuova condizione, sembrerebbe avere a che fare con le
difficoltà incontrate dai tribunali e dai piccoli comuni, gravati dal lavoro, a
trascrivere gli atti di riconoscimento della cittadinanza e per il sovraccarico
di pratiche di cittadinanza che gli stessi non riescono a smaltire neanche a 10
anni dalla presentazione delle domande.
Da decenni le
amministrazioni sono ampiamente sotto organico, con difficoltà che riguardano
non il solo ministero degli Affari Esteri, mostrando grave incapacità nel
rispondere puntualmente alle normali richieste di servizi dei cittadini anche
in molti altri ambiti: dalla scuola, alla sanità.
Per quanto
riguarda il MAECI l’attuale organico in Italia e all’estero è più o meno la
metà di quello di 20 anni or sono.
L’Istat nei giorni
scorsi ha certificato che nel 2024 si è raggiunta la punta più alta di espatrii
dall’Italia dall’inizio del secolo. Quasi 191mila persone sono uscite
definitivamente dal paese. Di questi, 156mila sono italiani, mentre per il
restante si tratta di ex immigrati che tornano al loro paese di origine o che
ri-emigrano verso altri paesi.
Val la pena
considerare che quasi 200mila persone in un anno rappresentano una popolazione
pari a quella di una città come Padova, Brescia, Messina, Parma, o Trieste.
Tutti gli analisti
convengono sul fatto che gli espatrii effettivi sono molti di più del numero
delle residenze cancellate per trasferimento all’estero, il che porta ad un
dato che si colloca tra le due e le due volte e mezzo quello dell’Istat. Come
dire che nel 2024 si è spostata all’estero una città delle dimensioni di
Catania, o di Bari, di Firenze o di Bologna.
Questo flusso in
uscita iniziato impetuosamente nel 2010, prosegue ormai da ben 15 anni.
Molti fingono di
non sapere e rimuovono politicamente il problema.
Tra questi il
ministro Tajani che, come è dato leggere, sorprendentemente individua la causa
del raddoppio del numero degli italiani all’estero tra il 2007 ad oggi, nelle
richieste di cittadinanza ad opera degli italodiscendenti.
Il ministro mostra
di ignorare totalmente i numeri della nuova emigrazione. Gli fa anche difetto
la conoscenza della storia e delle caratteristiche identitarie dell’emigrazione
italiana più antica, in particolare di quella latino-americana, argentina o brasiliana.
I figli, nipoti e
pronipoti degli italiani del continente sudamericano, coinvolti nella
colonizzazione (pacifica) di quei territori continuano a sentirsi tuttora anche
italiani, a prescindere dal possesso del passaporto. Spesso parlano anche
lingue c.d. minoritarie come il sardo o il friulano dialetti italiani misti
allo spagnolo e al portoghese (itañol o portiñol), producono italiano e
all’italiana in tanti settori economici (dall’alimentare, al legno, al tessile,
al calzaturiero, al mobilio, alla meccanica, ecc.), spesso in distretti
industriali del tutto simili a quelli del nord-est.
Per capire cosa
significhi sentirsi italiano, al governo ed ai partiti che lo sostengono
dovrebbe bastare, in verità, la lettura della cartina geografica magari
iniziando dal Rio Grande do Sul, in Brasile e contare le decine di città più o
meno grandi che si chiamano Nova Padova, Nova Trento, Garibaldi, ecc. e
riflettere sulla potenziale proiezione internazionale del Paese che potrebbe
transitare per queste città, come per tante altre in Argentina, in Uruguay, in
Venezuela, in Australia, negli Usa, in Canada, e così via. Cosa che non era
sfuggita alla FIAT che in uno studio della Fondazione Agnelli di fine anni ‘70
aveva riconosciuto come la penetrazione commerciale delle sue automobili nel
mondo di allora fosse stata grandemente favorita dalla presenza di vaste
comunità di emigrati e di oriundi che compravano più volentieri auto italiane.
Cosa che non era sfuggita a molti altri ambiti del made in Italy che debbono la
loro fortuna nel mondo sempre a questo fattore storico trainante fatto di
milioni di connazionali espatriati e di 60 (o 80? non si sa bene) milioni di
oriundi.
Il ministro Tajani
parla degli italiani con passaporto acquisito in Latinoamerica come di “turisti
in Europa” che omettono di stabilirsi in Italia. Il ministro dovrebbe
riflettere sul perché molti di quelli che hanno riacquisito la cittadinanza
preferiscano, ad esempio, stabilirsi in Spagna, o in altri paesi, insieme ai
loro coetanei che partono direttamente dall’Italia. Ponendosi anche la domanda
sul perché quasi la metà dei ricercatori del CNR francese sono italiani.
In verità (ma da
un certo tempo si tratta di una attitudine bi-partisan) si accetta che il
destino dell’Italia sia quello di un di paese semi-periferico, nel quale si
considera come un fatto di natura la compressione delle energie dei giovani,
laureati e non, l’affossamento delle loro prospettive di vita e in definitiva,
come un percorso obbligato quello dell’incentivazione all’emigrazione. Come
all’epoca dello scambio “braccia in cambio di carbone”.
E questo
posizionamento definitivo, in una coltre fumosa di sovranismo a la carte,
sembra emergere anche dalle stesse “novità” introdotte dal Decreto
“Cittadinanza” laddove si stabilisce che chi non ha genitori o nonni nati in
Italia può tentare di riacquisire la cittadinanza stabilendosi (da immigrato)
in Italia per 2 o 3 anni in attesa che, a conclusione del quarto anno, la
pratica venga definita e perfezionata.
In accordo e in
sintonia con la pratica vigente con l’immigrazione attuale cui si chiede di
lavorare con meno o nulli diritti prima di “concedere” la cittadinanza.
La protesta
montante che arriva dall’America Latina, ma non solo, contro il Decreto
Tajani/Piantedosi, segnala la consapevolezza di una appartenenza,
l’attaccamento forte alla madrepatria delle origini familiari.
Sui social e su
youtube si susseguono interviste, prese di posizione e petizioni che
acquisiscono decine fino a centinaia di migliaia di visualizzazioni e adesioni.
Cosa rara anche per analoghe azioni sul territorio nazionale.
Il governo ha
fatto i suoi passi. Dalle nostre comunità all’estero è giunta una reazione
estesa negativa e la richiesta di cambiamenti del decreto.
Le opposizioni
hanno dichiarato che intendono avanzare loro soluzioni chiedendo in Parlamento
il cambiamento dei contenuti del provvedimento.
La valutazione
sensata e realistica è che se, come da più parti, a ragione, si richiede, se si
vuole riformare una legge che riguarda gli italiani all’estero, è bene prima
ascoltare le loro rappresentanze istituzionali e associative in modo che la
riflessione e la discussione siano pubbliche, trasparenti e aiutino a
riconnetterci – tutti – con la nostra storia, o meglio, a fare i conti con la
storia e con un presente di un paese che proprio dall’emigrazione è stato
segnato e in larga parte conformato.
Rodolfo Ricci,
Rino Giuliani, Fiei/dip 3
CGIE, Italia e italo-discendenti: un legame da mantenere
Roma. Fra
incontri, nuove collaborazioni e confronti pratici, quelli che sta vivendo in
questi giorni il Comitato di Presidenza del Consiglio Generale degli Italiani
all'Estero - CGIE sono dei giorni ubiqui. Ricchi di analisi, convergenze e
discussioni sui grandi temi che sta affrontando con vista sull'assemblea
plenaria che si terrà nella seconda metà di giugno. A partire dal decreto che
venerdì scorso ha scosso il mondo dell'emigrazione italiana, quel
"pacchetto cittadinanza" con cui il Governo, per voce del Ministro
degli Affari Esteri, Antonio Tajani, ha riformato la disciplina in materia di
cittadinanza. Una riforma "necessaria" alla quale però andranno
attuati in sede parlamentare dei "correttivi". Ma la strategia del
CdP del CGIE è ampia e riguarda diversi temi. Tre, in particolare, sono le
priorità di cui questo pomeriggio il CdP ha discusso in una conferenza stampa
tenutasi alla Farnesina, ossia la messa in sicurezza del voto all'estero, la
legge di cittadinanza e gli incentivi di rientro.
"L'attualità
ci dimostra che non ci eravamo sbagliati nello stilare queste priorità",
ha spiegato Maria Chiara Prodi, Segretaria Generale del CGIE aprendo la
conferenza. E proprio dell'attualità si è discusso in modo accentuato durante
la conferenza: "stiamo raccogliendo spunti migliorativi al decreto
cittadinanza - ha continuato la Segretaria Generale -. Il CGIE ha come base
elettorale gli italo-discendenti. E l'Italia si è dotata di una forma di
rappresentanza che allarga lo spettro a chi non solo è dentro i crismi della
cittadinanza italiana ma ascoltando chi è fuori e desidera riacquistarla. Siamo
stati e siamo all'ascolto degli italo-discendenti che sono rimasti stupiti
dagli eventi". Prodi ha poi parlato di quanto fatto in questi giorni dal
CdP, discutendo riguardo questo tema e non solo prima con il Sottosegretario
agli Affari Esteri, Giorgio Silli, poi con il Direttore Generale per gli
Italiani all'estero della Farnesina, Luigi Maria Vignali, e infine con le
commissioni affari esteri dei due rami del parlamento oltre che con diversi
gruppi parlamentari: "abbiamo incontrato tutti gli interlocutori
istituzionali. E tutti hanno riscontrato l'evidenza del ruolo del CGIE, e
quindi l'attuazione della legge che prevede i nostri pareri obbligatori su temi
che riguardano gli italiani all'estero". E "noi siamo pronti per
questo ruolo che la legge ci attribuisce" poiché "siamo il
collegamento con gli italo-discendenti e i custodi di questo legame". E
proprio in quanto custodi, Prodi ha voluto evidenziare: "questa trasformazione
della cittadinanza crea disorientamento". Per questo il CGIE crede ci
siano da mettere a punto dei correttivi, nello specifico "va sciolto il
nodo relativo al requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in
Italia o averci vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita
del richiedente. Questa misura, unita al limite di 2 generazioni, disorienta e
rischia di recidere il legame dell'Italia con gli italo-discendenti". E
insieme al problema delle trascrizioni, crea un tema immediato e un
"cambiamento radicale". Tutto ciò rischia di "fratturare il
legame" che li unisce all'Italia. "Noi stavamo facendo una proposta
in modo autonomo - ha aggiunto ancora Prodi -. Perché per noi la
"cittadinanza consapevole" resta fondamentale, e questo continueremo
a farlo presente".
La cittadinanza
consapevole, inoltre, si collega anche all'altra priorità del CGIE, la
sicurezza del voto all'estero: "non dobbiamo criminalizzare gli italiani
all'estero in modo generalizzato. Dobbiamo razionalizzare la sicurezza al voto.
Ci sono tanti scandali ma dobbiamo continuare a studiare le possibilità e le
alternative che abbiamo. I mezzi a nostra disposizione non sono miliardi,
dobbiamo continuare a ragionare sul voto per corrispondenza".
Infine l'ultimo
tema prioritario, gli incentivi di rientro, sul quale il CdP del CGIE si è
mossa in questi giorni attuando l'accordo con il CNEL: "ci dà grande aiuto
anche per accedere a un sistema istituzionale che sennò sarebbe più complicato
mentre attendiamo l'auspicata convocazione per la Conferenza
Stato-Regioni-Province Autonome-CGIE. Contiamo, anche con l'aiuto delle
Consulte Regionali, di avere per giugno e per l'Assemblea Plenaria una proposta
sintetica".
Tornando,
inevitabilmente, alla questione sulla cittadinanza, Prodi ha poi aggiunto:
"noi portiamo la parola degli italo-discendenti che in 24 ore hanno visto
fare una rivoluzione copernicana del messaggio che l'Italia trasmetteva. C'era
la necessità di una riforma, ma lo strumento del decreto legge ci ha lasciato
spiazzati. Noi eravamo disponibili per collaborare e fare sentire la nostra
voce. Una situazione inedita che speriamo non diventi prassi". Ma ora
"abbiamo anche un'opportunità che vogliamo cogliere, ossia di dare i
nostri pareri e dire cosa non ci ha convinto. Le trasformazioni vanno
accompagnate".
È intervenuto poi
Mariano Gazzola, Vice Segretario Generale per l’America Latina, spiegando la
distinzione tra il decreto e i disegni di legge. Questi ultimi "non li
conosciamo ancora e non possiamo esprimere un parere. Non ci riconosciamo nel
decreto - ha sottolineato -. Non siamo stati consultati, e ci sono normative
che causano tante perplessità. Non ci riconosciamo e speriamo che in sede
parlamentare ci siano dei correttivi. In questi gioni abbiamo verificato la
disponibilità di quasi tutte le forze politiche per applicare questi correttivi
per un testo che evidentemente attacca anche chi è già cittadino
italiano". Facendo un parallelismo che lui stesso ha definito duro,
Gazzolla ha concluso: "da venerdì non trasmettono la cittadinanza, oggi ci
sono dei bambini, dei figli che sono desaparecidos perché non si possono
registrare nell'anagrafe della Repubblica italiana".
Prendendo parola,
Silvana Mangione, Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei,
ha poi sottolineato come secondo lei questo decreto "potrebbe cambiare
concetto interno di cittadinanza", rimanendo in attesa del disegno di
legge. Poi ha ricordato l'incontro con il presidente del Museo Nazionale
dell'Emigrazione Italiana di Genova avvenuto in questi giorni, con il quale si
è discusso della possibilità di celebrare i 40 anni dei Comites il prossimo
anno.
Giuseppe Stabile,
Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord, prendendo parola ha
parlato prima degli incentivi per il rientro, per il quale è necessario
"mettere fine all'inverno demografico" anche attraverso la
possibilità di attirare "gli italo-discendenti che vogliono veramente, e
sottolineo veramente, diventare italiani", poi riguardo la cittadinanza,
sulla quale ha detto in maniera ferma: "il provvedimento era necessario,
poi in parlamento si attueranno i correttivi, ma il provvedimento era
necessario".
Per Gianluca
Lodetti, Vice Segretario Generale di Nomina governativa, il decreto desta
comunque delle "perplessità". "Non ci ha convinto in tanti
elementi. Soprattutto quella di troncare la trasmissibilità. Rappresenta un
grave rischio per il rapporto con le nostre comunità. Stiamo cercando di
incrementare questo rapporto tramite la cittadinanza consapevole, ma è
importante non rescindere quel legame".
Infine Tommaso
Conte, Componente per l’Europa e l’Africa del Nord, che anche lui, in
conclusione, ha rimarcato la necessità del provvedimento: "il mercato
delle vacche doveva finire", ha spiegato, ma allo stesso tempo "il
modus con cui l'ha fatto questo Governo è inaccettabile".
Per concludere,
Conte ha anche dato notizia dell'istituzione di un Premio annuale in memoria di
Michele Schiavone, ex Segretario Generale scomparso poco più di un anno fa. L. Matteuzzi, aise/dip 3
Decreto cittadinanza, CGIE: siamo pronti a svolgere il nostro ruolo
Il Consiglio
Generale degli Italiani all’Estero è l’unica istituzione italiana che
rappresenta non solo gli italiani, ma anche gli italodiscendenti. In tutto
il mondo i nostri Consiglieri, così come quelli dei Comitati degli
italiani all’estero (Com.It.Es.), da venerdì 28 marzo sono impegnati nel
confronto con le nostre comunità nel mondo, molto toccate dall’applicazione del
Decreto- legge n. 36 “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”,
che ha determinato la sospensione della trascrizione degli atti di nascita
da parte degli uffici anagrafici dei consolati. La necessità di una
riforma era evidente al CGIE, tanto che la sua trattazione era stata
individuata quale priorità per l’agenda del primo semestre 2025 perché
crediamo nel rafforzamento di una cittadinanza consapevole; l’attualità ha
imposto un’accelerazione al processo, nel quale saremo coinvolti
per fornire i pareri obbligatori previsti dalla legge. Già da lunedì 31
marzo il Comitato di Presidenza, riunito a Roma, ha avviato interlocuzioni
in materia con il sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla
cooperazione internazionale Giorgio Silli, il direttore generale
della DGIT del MAECI Luigi Maria Vignali, con le Commissioni Affari esteri
dei due rami del Parlamento e con i Gruppi parlamentari per ottenere
chiarimenti in merito e condividere le preoccupazioni manifestate dai
propri rappresentati, anche in virtù dello strumento legislativo scelto.
Auspichiamo che
nel percorso parlamentare di conversione in legge si apportino correttivi
al provvedimento; in particolare, va sciolto il nodo relativo al requisito
dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia o averci
vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del
richiedente. Tale misura, unita alla limitazione alle due generazioni,
diametralmente opposta alla normativa vigente fino a 24 ore prima,
costituisce un cambiamento che non solo disorienta i connazionali nel
mondo a causa dell’incertezza sul destino dei già nati, ma pone a rischio
il futuro legame del Paese con le sue comunità all’estero. cgie/dip 3
Scuole paritarie all'estero: Tripodi risponde a Borghese (Maie)
Roma.
“L’amministrazione è determinata a garantire che ogni scuola paritaria italiana
all'estero possa continuare a svolgere il proprio ruolo con dignità e qualità”.
È quanto si legge nella risposta che il sottosegretario agli esteri Maria
Tripodi ha reso alla interrogazione con cui il senatore del Maie Mario Borghese
chiedeva di adeguare i finanziamenti all’aumento del numero delle scuole
paritarie italiane all’estero.
“Le 47 scuole
paritarie all'estero – sottolinea Tripodi nella risposta – rappresentano un
pilastro fondamentale del "sistema della formazione italiana nel
mondo", che assicura la qualità dell'offerta formativa nell'ambito della
promozione della lingua e della cultura italiana, integrandola con le esigenze
locali. Il riconoscimento della parità scolastica per le scuole all'estero
compete al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale,
di concerto con il Ministero dell'istruzione e del merito”, ricorda il
sottosegretario, spiegando che “con tale riconoscimento le scuole possono
richiedere un contributo finanziario, la cui finalità è quella di sostenere la
qualità dell'offerta formativa e il ruolo delle scuole stesse quali strumenti
di promozione della lingua e cultura italiana nel mondo”.
“L’impegno
italiano è chiaro: si vogliono scuole moderne, inclusive, capaci di accogliere
tutti gli studenti, di migliorare le proprie strutture e di investire nella
formazione continua dei docenti. Per questo – aggiunge Tripodi – sono stati
stabiliti criteri trasparenti per l'assegnazione dei fondi, con una quota
destinata al funzionamento ordinario e un'altra dedicata a progetti specifici”.
“Le risorse
stanziate per le scuole paritarie all'estero, legate ai noti vincoli di finanza
pubblica, hanno comunque fatto registrare nel complesso un aumento nel corso
degli anni: da circa 1,8 milioni di euro nel 2017 a circa 2,8 milioni di euro
assegnati dalla legge di bilancio 30 dicembre 2024, n. 207, per l'esercizio
finanziario del 2025”, riporta il sottosegretario, aggiungendo che “la
Farnesina sostiene le scuole paritarie all'estero non solo finanziariamente, ma
anche tramite l'assegnazione di personale scolastico. Tale personale è più che
raddoppiato negli ultimi anni, passando da 21 unità per l'anno scolastico
2017/2018 a 51 per l'anno scolastico in corso”.
“L'impegno di
questo Ministero non si esaurisce in queste cifre. L’amministrazione è
determinata a garantire che ogni scuola paritaria italiana all'estero possa
continuare a svolgere il proprio ruolo con dignità e qualità. Si continuerà a
lavorare – conclude Tripodi - affinché nessuna di queste realtà venga lasciata
indietro, perché investire nell'istruzione significa investire nel futuro
dell'Italia nel mondo”. (aise/dip 4)
“Vado e torno” per il sostegno alla formazione universitaria all’estero
ROMA – Si è aperta
in Commissione Cultura al Senato la discussione sull’istituzione del programma
“Vado e torno” per il sostegno della formazione universitaria all’estero in
settori determinanti per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie e per
il rientro in Italia dei soggetti beneficiari. Nel suo intervento la relatrice
Carmela Bucalo (FdI) ha spiegato come il disegno di legge sia composto da sette
articoli ed abbia come oggetto l’istituzione, in via sperimentale, di un
programma che si pone la finalità di promuovere lo sviluppo di capacità
professionali in settori determinanti per l’innovazione e la diffusione delle
tecnologie. Esso è diretto a fornire sostegno agli studenti meritevoli che
abbiano vinto procedure di selezione competitive per l’ammissione a corsi
universitari presso atenei esteri nelle materie scientifiche-tecnologiche
corrispondenti alle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e
matematica) nell’ordinamento universitario italiano. La relatrice ha precisato
come si preveda l’erogazione, a favore dei soggetti beneficiari del programma,
sia di una somma pari alle spese di iscrizione e alla retta per ciascuno degli
anni del corso di studio universitario all’estero, sia di un contributo per
sostenere le spese di soggiorno. Viene poi demandata ad un decreto ministeriale
la definizione delle modalità e dei tempi di corresponsione delle suddette
erogazioni, prevedendo che esse siano corrisposte esclusivamente per gli anni
di durata ordinaria del corso di studio. L’ammissione al programma prevede che:
nella domanda, da presentare secondo modalità definite con decreto del Ministro
dell’Università e della Ricerca, i candidati dichiarino il proprio indicatore
di situazione economica equivalente (ISEE); l’ateneo estero al quale i candidati
sono iscritti rientri tra i primi 50 atenei in almeno due delle classifiche
mondiali delle università da individuare con decreto del Ministro
dell’Università e della Ricerca; le domande siano presentate per le macro-aree
del Nord, del Centro e del Mezzogiorno; i parametri di merito siano costituiti
dai pregressi risultati di studio dei candidati e dalla collocazione
dell’ateneo estero nelle suddette classifiche mondiali delle università. Nel
provvedimento si stabiliscono inoltre determinati obblighi a carico dei
beneficiari del programma, tra cui: l’obbligo di trasmettere l’attestazione
dell’avvenuto pagamento delle spese di iscrizione e delle rette al Ministero
dell’Università e della Ricerca; l’obbligo di comunicare al medesimo Ministero
la loro disponibilità a rivestire posizioni professionali presso aziende che
abbiano stipulato protocolli d’intesa in vista dell’assunzione degli studenti
beneficiari del programma; l’obbligo di restituire le somme percepite, qualora
non ottemperino alle condizioni previste dal disegno di legge. Si prevede che,
ai fini della realizzazione del programma, il Ministro dell’Università e della
Ricerca stipuli, di concerto con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy,
protocolli d’intesa con aziende in vista dell’assunzione degli studenti
beneficiari del programma, nonché ulteriori protocolli d’intesa con soggetti
pubblici e privati che intendano contribuire al programma con risorse
aggiuntive. La relatrice ha infine spiegato che gli oneri derivanti dalle
illustrate disposizioni dovrebbero attestarsi a 1,47 milioni di euro per l’anno
2025, provvedendo alla relativa copertura finanziaria. (Inform/dip 6)
Avviato l’esame del decreto legge recante disposizioni urgenti in materia
di cittadinanza
ROMA – La
Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l’esame della
conversione in legge del DL 36/2025 recante disposizioni urgenti in materia di
cittadinanza. In pratica si tratta di una modifica alla legge 91/1992
finalizzata a limitare il riconoscimento della cittadinanza per coloro che sono
nati e residenti all’estero. Il relatore Marco Lisei ha sottolineato come
il provvedimento si suddivida in due articoli: l’articolo 1, comma 1, introduce
un articolo 3-bis nella legge 5 febbraio 1992, n. 91, al fine di limitare il riconoscimento
della cittadinanza per coloro che sono nati e residenti all’estero, stabilendo
che debba considerarsi non aver mai acquistato la cittadinanza italiana colui
il quale sia nato all’estero e sia in possesso di altra cittadinanza, anche
prima dell’entrata in vigore della disposizione in esame. È introdotta,
pertanto, nei casi predetti, una preclusione all’acquisto automatico della
cittadinanza ed è disposta una deroga a un novero di disposizioni, tra cui gli
articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della medesima legge n. 91 del 1992. La disposizione
individua poi, alle lettere da a) ad e) del nuovo articolo 3-bis della legge n.
91 del 1992, una serie di eccezioni alla disciplina introdotta, tra loro
alternative. La lettera a) fa salvo il caso in cui lo stato di
cittadino del soggetto interessato sia riconosciuto, a seguito di domanda,
corredata della necessaria documentazione, presentata all’ufficio consolare o
al sindaco competenti entro le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel
rispetto della normativa applicabile alla medesima data. L’eccezione pertanto
opera per i riconoscimenti legittimamente effettuati in via amministrativa a
seguito di domanda a tal fine presentata entro la data indicata. La
lettera b) fa salvo il caso in cui lo stato di cittadino del soggetto
interessato sia accertato giudizialmente, a seguito di domanda giudiziale
presentata non oltre le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel rispetto
della normativa applicabile alla medesima data. Le
lettere c) e d) prevedono come eccezioni il caso in cui uno
dei genitori o degli adottanti sia nato in Italia o sia stato residente in
Italia per almeno due anni continuativi prima della data di nascita o di
adozione del figlio. La lettera e) prevede infine come ulteriore
eccezione il caso in cui un ascendente cittadino di primo grado dei genitori o
degli adottanti, anch’essi cittadini, sia nato in Italia. Pertanto, per gli
ascendenti di secondo grado deve esservi nascita in Italia, mentre per i
genitori e adottanti, può esservi in alternativa la continuativa residenza
biennale. Il relatore ha poi spiegato come al comma 2 si novelli invece
l’articolo 19-bis del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di
riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi
dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), intervenendo su alcuni
profili della disciplina della prova relativa alle controversie in materia di
accertamento della cittadinanza italiana. In particolare, dopo il comma 2 sono
inseriti due nuovi commi: il comma 2-bis, il quale stabilisce che, salvi i casi
espressamente previsti dalla legge, nelle controversie in materia di
accertamento della cittadinanza italiana non sono ammessi il giuramento e la prova
testimoniale; il comma 2-ter, ai sensi del quale si prevede che nelle medesime
controversie l’onere di provare l’insussistenza delle cause di mancato acquisto
o di perdita della cittadinanza previste dalla legge ricada su colui il quale
chiede l’accertamento della cittadinanza. L’articolo 2, infine, dispone in
ordine all’entrata in vigore del provvedimento. Nel corso del dibattito il
senatore Andrea De Giorgis (Pd) ha sottolineato la sua contrarietà sul fatto
che una materia dai rilevanti impatti costituzionali, che incidono direttamente
sulla possibilità per alcuni individui di poter beneficiare di specifiche
garanzie costituzionali, sia affrontata dal Governo per il tramite di un
decreto-legge, soprattutto alla luce del contenuto dei diversi disegni di legge
di iniziativa parlamentare già assegnati alla Commissione. In proposito da De
Giorgis è stato auspicato, in ordine al decreto legge, un ciclo di audizioni,
ancorché limitato, al fine di acquisire imprescindibili elementi conoscitivi.
In proposito il Presidente della I Commissione Alberto Balboni ha fatto notare
che, essendo in via di definizione un ciclo di audizioni su disegni di legge
nn. 98 e abbinati vertenti sulla materia della riapertura del termine per il
riacquisto della cittadinanza, si potrebbe valutare di procedere ad un ciclo
unitario di audizioni. La Commissione ha approvato la proposta del Presidente
che ha anche segnalato come la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi
parlamentari abbia già fissato per la settimana del 6-8 maggio la calendarizzazione
del provvedimento in Assemblea. (Inform/dip 6)
Sono 11.100 i Rom e Sinti in Italia, lo 0,2% della popolazione
L'Associazione 21
Luglio ha presentato oggi in Senato la nona edizione del Rapporto annuale 2024
sulla condizione delle comunità Rom e Sinte in Italia, intitolato
"Bagliori di speranza. La condizione delle comunità Rom e Sinte in
Italia". Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate a Napoli e a
Roma. L’aspettativa di vita di quanti vivono nelle baraccopoli è di almeno
dieci anni inferiore a quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti
ha meno di 18 anni. Dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali
si stima che circa il 65% abbia la cittadinanza italiana.
L’Italia è ancora
il “Paese dei campi” per le persone di origine rom, anche se è in atto un forte
calo delle presenze e sono sempre più le amministrazioni che puntano all’. Oggi
si stimano circa 11.100 rom e sinti in Italia che vivono in insediamenti monoetnici,
pari allo 0,02% della popolazione italiana, con 21 comunità rappresentate. La
riduzione complessiva è di circa 14.900 presenze rispetto al 2016, ossia -53%.
La Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di Rom e
Sinti 2021-2030 aveva invece stimato le presenze intorno alle 30.000 persone,
con un calo di circa 10.000 unità nell’arco di un decennio. Secondo
l’Associazione 21 Luglio queste cifre “non sarebbero esatte”, ossia risultano
sovrastimate, creando allarmi e pregiudizi. È quanto emerge dall’attività di
monitoraggio e raccolta dati condotta nel 2024 da Associazione 21 Luglio, che
ha presentato oggi in Senato la nona edizione del Rapporto annuale 2024 sulla
condizione delle comunità rom e sinte in Italia, intitolato “Bagliori di
speranza. La condizione delle comunità rom e sinte in Italia”. L’iniziativa è
della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani
del Senato, in occasione della Settimana per la promozione della cultura romanì
e per il contrasto all’antiziganismo e all’indomani della Giornata
internazionale dei rom, sinti e camminanti, che si celebra l’8 aprile.
L’Associazione 21
luglio denuncia perciò “l’infelice primato” dell’Italia in Europa, perché
“dedica maggiori risorse, sia umane che economiche, alla gestione di strutture
abitative con un chiaro profilo discriminatorio”. “Nonostante gli sviluppi
degli ultimi anni – si legge nel rapporto – sia dal punto di vista politico che
di autonoma spinta alla fuoriuscita degli stessi abitanti” l’Italia “stenta a
distaccarsi in modo unanime e deciso dalle politiche abitative segregative che
hanno caratterizzato gli ultimi quarant’anni”.
Secondo il
rapporto circa 10.580 sarebbero i rom e sinti che vivono in baraccopoli e
macroaree. Nelle 64 macroaree vivono 4.931 sinti; nelle 38 baraccopoli vivono
5.649 rom. 102 sono gli insediamenti formali all’aperto (baraccopoli e
macroaree) in Italia, presenti in 75 comuni e in 13 regioni. 2.000 circa sono i
rom stimati presenti nelle baraccopoli informali. Attraverso il portale
www.ilpaesedeicampi.it è possibile acquisire in tempo reale dati aggiornati sui
106 insediamenti monoetnici formali abitati da persone rom e sinte in Italia.
Le più grandi
baraccopoli formali sono concentrate a Napoli e a Roma. Napoli è la città nella
quale è presente la più alta concentrazione di rom in emergenza abitativa. In
Italia esistono 2 centri di accoglienza riservati esclusivamente a persone rom
nei Comuni di Latina e Napoli che ospitano in totale 150 persone rom. La più
grande area di edilizia residenziale pubblica monoetnica è in Calabria, nel
Comune di Gioia Tauro.
L’aspettativa di
vita di quanti vivono nelle baraccopoli è di almeno dieci anni inferiore a
quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti ha meno di 18 anni. Dei
rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali si stima che circa il 65%
abbia la cittadinanza italiana. Sono meno di 1.000 i cittadini rom in emergenza
abitativa a forte rischio apolidia in Italia.
Sempre più
percorsi di uscita dai campi. I dati evidenziano inoltre come il superamento
del “sistema campi” sia ormai un processo irreversibile. Da un lato, si legge
nel report, “si assiste a un crescente desiderio delle nuove generazioni di
intraprendere percorsi di uscita autonoma, accompagnato dall’abbandono e dal
degrado dei principali mega insediamenti, che spinge le famiglie a cercare
soluzioni abitative alternative. Dall’altro sempre più amministrazioni comunali
e regionali, riconoscendo il fallimento del ‘sistema campi’” stanno “investendo
risorse e attuando politiche orientate al superamento del sistema e
all’inclusione”.
“In atto un
processo di superamento dei campi rom”. “Come quasi mezzo secolo fa, con
la Legge Basaglia, si iniziava il processo di superamento della realtà
manicomiale, così oggi è in atto in Italia il processo di superamento di
un’altra istituzione totale, quella dei campi rom”, ha dichiarato Carlo
Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, che ha ricevuto di recente
dal presidente Sergio Mattarella l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al
Merito della Repubblica italiana, “per supportare persone e gruppi in
condizione di estrema segregazione e discriminazione”. Stefania Pucciarelli,
presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei
Diritti Umani del Senato, ha ribadito che “l’integrazione culturale è un
percorso bidirezionale che richiede impegno sia da parte delle comunità
ospitanti che da quelle ospitate”.
“Lo stigma, il
pregiudizio” nei confronti dei Rom e Sinti “sono un vissuto reale entrato anche
nell’atteggiamento della comunità ecclesiale, a parte alcune eccezioni di
persone che hanno abbattuto il muro di separazione – psicologico, prima che
fisico, e relazionale – che si sono trasferite a vivere in mezzo alle comunità
rom”, ha detto monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliario della diocesi di
Roma. Il vescovo ha raccontato dell’esperienza di comunità ecclesiali “che
accolgono le comunità rom che lavorano come centri di ascolto e danno una
risposta emergenziale a bisogni primari”, una sorta di “desk di pronta
accoglienza”. Da questa “pronta accoglienza – ha osservato – si realizzano
spazi interlocutori e di una relazione più allargata, di un maggior contatto”.
Monsignor Ambarus ha invitato a “fondare questa azione su alcuni elementi:
veicolare un linguaggio altro è il primo di questi elementi, che parta non
dall’etnicità ma dalla fratellanza. Reputo che nelle comunità cristiane ci sia
lo spazio più adatto per lavorare sul linguaggio”, perché esso “imprime anche
un comportamento, plasma le azioni”. “Per me queste persone sono un
insegnamento di vita”, ha concluso. Patrizia Caiffa, Sir 9
Turismo delle Radici: Unaie al convegno di Bergamo
BERGAMO – Sabato 4
aprile, alla Fiera di Bergamo, si è svolto il convegno “Turismo delle Radici.
Legame con la terra di origine e valore dell’identità tra passato e futuro”,
promosso da Confcommercio nell’ambito dell’evento Agritravel. L’iniziativa –
informa la nota dell’Unaie – ha acceso i riflettori su un fenomeno in continua
crescita, che coinvolge milioni di italiani all’estero desiderosi di riscoprire
il territorio d’origine e di rinsaldare il legame con le proprie radici.
Presente anche UNAIE (Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati) che
ha sottolineato il valore strategico del turismo delle radici per il rilancio
delle economie locali e per il rafforzamento dell’identità culturale italiana
nel mondo, oltre al protocollo firmato con Confcommercio nazionale. Il
presidente Oscar De Bona, nel suo intervento, ha ribadito l’importanza di
queste iniziative per mantenere vivo il legame tra gli emigrati e i loro
discendenti con l’Italia, sottolineato però le contraddizioni tra la spinta a
promuovere il turismo delle radici e le recenti restrizioni imposte dal decreto
legge sulla cittadinanza del 28 marzo. “Da un lato – afferma De Bona – si
incentivano gli italiani all’estero a riscoprire le loro origini e a investire
nel nostro territorio, dall’altro si pongono improvvisi stringenti per chi
vorrebbe ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana per
discendenza”. Dopo i saluti istituzionali di Giovanni Zambonelli,
presidente di Confcommercio Bergamo, Loretta Credaro, presidente di ISNART, Carlo
Personeni, presidente dell’Ente Bergamaschi nel Mondo, e Paolo Doglioni,
presidente di Confcommercio Belluno, il convegno è entrato nel vivo con la
presentazione della ricerca di Riccardo Grassi (SWG) sui Bergamaschi
all’estero. Letizia Sinisi, esperta di turismo identitario, ha analizzato il
valore di questo settore tra memoria e futuro, mentre Antonio Carminati,
direttore del Centro Studi Valle Imagna, ha ricostruito il patrimonio
dell’emigrazione bergamasca attraverso storie e testimonianze. Un caso concreto
è stato quello della Valle di Scalve, illustrato da Alessandra Brucchieri,
laureanda in Planning and Management of Tourism Systems all’Università di
Bergamo, con l’intervento della docente Federica Burini e del correlatore
Andrea Pozzi. Lo studio ha evidenziato il potenziale del turismo delle radici
come leva per la valorizzazione delle aree interne. L’evento di Bergamo –
conclude la nota – ha dimostrato ancora una volta quanto il turismo delle
radici sia una risorsa preziosa non solo per l’economia, ma anche per il
rafforzamento dell’identità nazionale. (Inform/dip 7)
ROMA – Nell’ambito
delle audizioni informali sul decreto legge che introduce norme più restrittive
rispetto alla concessione della cittadinanza agli italo-discendenti, è stata
ascoltata, presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato la Segretaria
Generale del Cgie Maria Chiara Prodi. Nel suo intervento da remoto Prodi ha
ricordato che il Cgie rappresenta le comunità italiane all’estero presso tutti
gli organismi che pongono in essere politiche che riguardano proprio questo
ambito, sottolineando anche l’obbligatorietà del parere del Cgie sulle materie
di pertinenza degli italiani all’estero. La Segretaria Generale ha inoltre
segnalato come il Cgie, un organismo di secondo livello con 43 eletti
all’estero e 20 membri nominati dal Governo, sia l’unica istituzione della
Repubblica italiana che ha come base elettorale anche degli italo-discendenti.
Prodi anche ha fatto presente che è proprio la legge a conferire al Cgie
l’incarico di tenere viva la relazione tra le comunità italiane nel mondo, gli
italo-discendenti e l’Italia stessa. Il Segretario Generale ha poi
segnalato lo stupore registrato nelle comunità all’estero per questo veloce
cambiamento e ha rilevato come la scelta di intervenire sulla questione del
riconoscimento della cittadinanza attraverso lo strumento del decreto legge, e
quindi con tempi di discussione ridotti, non favorisca un approfondimento
adeguato su materie di tale spessore. Prodi ha comunque evidenziato che
certamente sulla questione della cittadinanza era necessaria una riforma e che
tre tematiche come la stessa cittadinanza, la messa in sicurezza del voto e gli
incentivi per il rientro siano al centro del lavoro del Cgie. Prodi ha anche
parlato dell’importanza, anche al fine di mantenere il legame affettivo con
l’Italia, della costruzione di una “cittadinanza consapevole” ossia
quella cittadinanza che si accompagna con una conoscenza della lingua e della
cultura del Paese ma anche della carta costituzionale e della vita civile.
La Segretaria Generale, dopo aver segnalato che questo cambiamento
repentino sulla cittadinanza potrebbe creare possibili paradossi vedi ad
esempio quello di famiglie con un figlio italiano e un altro non italiano, ha
sottolineato come i limiti introdotti delle due generazioni e dell’inizio della
discendenza in Italia, una novità quest’ultima che pone temi costituzionali,
siano da considerarsi estremamente restrittivi e vadano cambiati . Prodi
ha poi rilanciato il tema del riacquisto della cittadinanza per coloro che
l’anno perduta. Una questione che riguarda una cerchia sempre più ristretta di
persone e diventa fondamentale anche alla luce di quanto finora espresso
intorno all’idea di un legame effettivo con l’Italia. E’ poi intervenuto il
senatore Francesco Giacobbe (Pd – ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide)
che ha ipotizzato la possibilità di estendere il limite per la presentazione
degli emendamenti sul decreto legge in esame al fine di acquisire il previsto
parere del Cgie . Ha seguire ha preso la parola il senatore Roberto Menia (FdI)
che ha invitato il Cgie a fornire proposte per eventuali emendamenti. Menia ha
anche ricordato che il decreto nasce dall’urgenza di far fronte a una platea di
richiedenti la cittadinanza italiana che, basandosi sul criterio delle cinque
generazioni, sarebbe potenzialmente di circa 80 milioni di persone. Il senatore
ha inoltre rilevato come consideri imprescindibile ad esempio la conoscenza
della lingua o della storia italiana per un rapporto di cittadinanza realistico
e compiuto. In sede di replica Prodi ha auspicato sui disegni di legge
per la cittadinanza un’interlocuzione formale e ordinaria, anche alla luce dei
lavori preparatori della prossima plenaria del Cgie che si terrà a metà giugno.
Il Segretario Generale ha anche parlato della necessità di un lavoro più
ordinario e funzionale con le istituzioni su queste problematiche: sicuramente
arriverà il sollecitato parere del Cgie. Prodi ha concluso ricordando come la
platea delle persone italo-discendenti sia la stessa alla quale viene rivolto
anche l’invito a venire in Italia per studiare o ripopolare le zone interne.
(Inform/dip 8)
Istituti Italiani di Cultura. Cultura investimento strategico per il Paese
Roma
- "E' importante rafforzare concretamente il sistema degli Istituti
Italiani di Cultura, strutture preziose che da decenni promuovono la nostra
cultura e identità attraverso l’arte, la lingua, la scienza, il pensiero e la
creatività. Ma sono importanti anche miglioramenti organizzativi: più
risorse e strumenti moderni per affrontare le sfide di oggi. Occorre dare agli
Istituti una dotazione stabile, aggiornata, capace di sostenere la domanda
crescente di cultura italiana nel mondo. La cultura è un investimento
strategico, non un costo. Per questo, grazie all'On. Giulio Tremonti,
presidente Commissione Esteri, e all'On. Federico Mollicone, presidente
Commissione Cultura, col voto favorevole della Lega Salvini Premier le
Commissioni Esteri e Cultura hanno oggi approvato una risoluzione per impegnare
il governo ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, per migliorare
la dotazione finanziaria e di personale degli Istituti italiani di cultura e
per garantire che l'accertamento dell'identità degli studenti stranieri
iscritti alle università italiane possa essere effettuato dai consolati
italiani e dalle società concessionarie" - lo comunica Simone Billi,
deputato per la Circoscrizione Estero-Europa e capogruppo della Lega Salvini
Premier in Commissione Esteri. Dip 9
50 milioni di euro per richiamare giovani ricercatori dall’estero
ROMA - Un avviso
da 50 milioni di euro per potenziare l’attrattività del sistema accademico e
della ricerca italiano per i ricercatori che operano presso università ed enti
di ricerca esteri.
È stato pubblicato
l’avviso per la presentazione di proposte progettuali da parte di giovani
ricercatori vincitori dei bandi ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants
fuori dall'Italia, i programmi di ricerca finanziati dall’European Research
Council, destinati a ricercatori di eccellenza di ogni età e nazionalità che
intendono svolgere attività di ricerca di frontiera negli Stati membri dell’UE
o nei Paesi associati.
L’Avviso mira ad
attrarre ricercatori italiani e stranieri attualmente impegnati fuori
dall’Italia, ma interessati a tornare, o a trasferirsi, nel nostro Paese. Ogni
proposta progettuale potrà ricevere un contributo massimo di un milione di euro
e i progetti presentati potranno avere una durata massima di 36 mesi. Una quota
pari al 40% dello stanziamento complessivo sarà destinata specificamente ai
progetti di ricerca nelle regioni del Mezzogiorno.
L'Avviso dà
attuazione alla Misura PNRR - Missione 4 "Istruzione e Ricerca" -
Componente 2 "Dalla Ricerca all'Impresa" - Investimento 1.2
"Finanziamento di progetti presentati da giovani ricercatori".
Le risorse sono
rivolte a giovani ricercatori vincitori di uno dei due finanziamenti europei -
ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants - che stiano svolgendo l’attività
di ricerca fuori dal nostro Paese, oppure che abbiano già concluso il proprio progetto
in una Host Institution estera (università o centro di ricerca).
Per i vincitori
dell'ERC Starting Grants è richiesta una esperienza post-dottorato e un
curriculum promettente con una anzianità di almeno due anni e di non oltre i
sette.
Il Consolidator è
invece pensato per ricercatori con una esperienza post-dottorato dai sette ai
dodici anni e che abbiano già dimostrato indipendenza e maturità scientifica.
Le domande di
partecipazione devono essere presentate in lingua inglese attraverso la
piattaforma gea.mur.gov.it a partire dalle ore 12.00 del 15 aprile 2025. La
finestra temporale per la ricezione delle domande a sportello resterà aperta
fino ad esaurimento delle risorse messe a disposizione e comunque non oltre le
ore 12.00 del 4 giugno 2025. (aise/dip 10)
Cie in Italia per gli iscritti Aire
ROMA - “Procedere
in maniera celere ad apportare” le “modifiche amministrative che
consentirebbero” ai connazionali residenti all'estero “di ottenere il rilascio
della carta d'identità elettronica presso il comune di iscrizione Aire, durante
il loro soggiorno in Italia”. A chiederlo è Toni Ricciardi, deputato Pd eletto
all’estero, che, insieme ai colleghi Di Sanzo, Porta e Carè, ha presentato una
interrogazione a risposta in Commissione ai Ministri dell'interno e degli
affari esteri, Piantedosi e Tajani, alla luce della recente sentenza della
Corte di Cassazione sulla dicitura “genitori” sulle carte d'identità dei
minori.
Nella premessa,
infatti, Ricciardi ricorda che “nel 2019, allora Ministro dell'interno, Matteo
Salvini, reintrodusse la dicitura “padre” e “madre” sulla carta d'identità dei
minori, sostituendo il termine più neutro “genitori” introdotto nel 2015” e che
“la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9216 del 2025, ha confermato la
decisione della Corte d'appello di Roma, dichiarando che l'uso di “padre” e
“madre” è discriminatorio, poiché non riflette la varietà delle famiglie
moderne, come quelle con due madri o due padri. La sentenza sottolinea la
necessità di un linguaggio più inclusivo e rispettoso delle diverse
configurazioni familiari. Questo pronunciamento potrebbe influenzare anche la
registrazione all'anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali, un tema già
sollevato da alcuni comuni come Milano, ma ostacolato dal Ministero”.
La Cie, continua
il deputato, “secondo il codice dell'amministrazione digitale è “il documento
d'identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare
rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la
prevalente finalità di dimostrare l'identità anagrafica del suo titolare”. Il
processo di emissione della carta d'identità elettronica è di competenza del
Ministero dell'interno e, di conseguenza dei comuni, mentre i compiti di
produzione e fornitura sono affidati all'Istituto poligrafico Zecca dello
Stato; come già segnalato e chiesto al Governo, dal Partito Democratico
nell'interrogazione n. 5-00579, molti cittadini italiani residenti all'estero
ed iscritti all'Aire hanno ancora difficoltà nell'ottenere lo Spid e pertanto
la carta d'identità elettronica sarebbe una valida soluzione per accedere ai
servizi online. Attualmente, a questi connazionali non è possibile richiedere
tale documento di identità elettronica presso gli uffici anagrafe dei comuni di
iscrizione Aire, in Italia, dove possono richiedere soltanto il documento di
identità cartaceo: una disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani
residenti sul territorio nazionale che lede i diritti dei residenti all'estero
creando, di fatto, due categorie di cittadini”.
“Attualmente, -
ricorda Ricciardi – la carta d'identità elettronica viene rilasciata
esclusivamente dagli uffici consolari italiani siti nei Paesi dell'Unione
europea e in Gran Bretagna, Svizzera, Norvegia, Principato di Monaco, San
Marino e Santa Sede – Città del Vaticano, mentre i cittadini italiani iscritti
all'Aire che vivono in altri Paesi extra-UE non possono accedere a tale
servizio, in quanto i relativi consolati non sono abilitati ad operare tale
rilascio e, di conseguenza, per questi connazionali non vi è oggi alcuna
possibilità di ottenere la carta d'identità elettronica risultando discriminati
rispetto sia ai residenti in Italia, sia ai residenti in Paesi dove è possibile
il rilascio della carta d'identità elettronica tramite le rappresentanze consolari”.
“All'articolo 3
del Cad – annota il deputato dem – si afferma che “chiunque ha il diritto di
usare, in modo accessibile ed efficace, le soluzioni e gli strumenti di cui al
presente codice ...”, di conseguenza l'accesso alla carta d'identità
elettronica deve essere garantito a tutti i cittadini italiani, compresi quelli
residenti all'estero”.
Sottolineato che
“una delle difficoltà addotte dal Governo per il rilascio della carta
d'identità elettronica presso il comune di iscrizione Aire per i cittadini
italiani residenti all'estero era stata proprio la questione dell'utilizzo
della terminologia di padre e madre per il rilascio del documento”, Ricciardi
chiede ai Ministri se “non ritengano di procedere in maniera celere ad
apportare quelle modifiche amministrative che consentirebbero, in accordo con
l'articolo 3 del Cad, ai nostri connazionali residenti all'estero, di ottenere
il rilascio della carta d'identità elettronica presso il comune di iscrizione
Aire, durante il loro soggiorno in Italia, con ritiro del documento in
questione presso la sede dell'anagrafe comunale o la spedizione ad un indirizzo,
in Italia, indicato dal cittadino al momento della richiesta unitamente
all'indicazione di un suo delegato al ritiro della carta d'identità
elettronica, anche alla luce della recente sentenza n. 9216 del 2025 della
Corte di cassazione”. (aise/dip 10)
ROMA – Le
commissioni Esteri e Cultura della Camera hanno approvato la risoluzione
Tremonti, riformulata, sul potenziamento degli istituti italiani di cultura
all’estero e su misure volte favorire la frequenza in via telematica delle
Università italiane da parte degli studenti esteri. Nel corso del dibattito il
Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli nell’esprimere un orientamento
favorevole del Governo sull’atto di indirizzo in esame, ha ipotizzato alcune
modifiche al testo originario. Nel dettaglio ha proposto di sostituire, ovunque
ricorrano, le parole: “Ministero degli Affari esteri» con le parole: «Ministero
degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”, nonché di riformulare
il terzo punto delle premesse nei seguenti termini: “occorre segnalare che il
decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2010, n. 95, ha operato una
profonda ristrutturazione dell’articolazione del Ministero degli Affari esteri
e della cooperazione internazionale, che ha comportato tra l’altro la
soppressione della Direzione generale per la promozione culturale e la
creazione di una Direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale: a
norma dell’articolo 5, comma 8-ter, la Direzione promuove, tra l’altro, ‘la
diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero, anche attraverso
la gestione della rete degli istituti italiani di cultura e del sistema della
formazione italiana nel mondo, ivi incluso il collegamento con gli enti gestori
dei corsi di lingua e cultura italiana’”. Fra le altre modifiche dal
Sottosegretario è stato proposto, per quanto riguarda la parte dispositiva, di
aggiungere, al primo punto, dopo le parole “carattere normativo”, le seguenti:
“e previo necessario adeguamento delle risorse umane e finanziarie del
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale”. Silli ha
altresì suggerito di riformulare il secondo impegno nei seguenti termini: “a
sostenere l’avvio di iniziative per favorire la partecipazione da parte degli
studenti stranieri, nei rispettivi Paesi di residenza, ai corsi delle
università telematiche italiane, ferme restando le ipotesi previste dalla
disciplina interna per lo svolgimento degli esami a distanza”. Dopo
l’intervento del Sottosegretario ha presso la parola la deputata Anna Laura
ORRICO (M5S) che ha preannunciato il voto contrario del suo gruppo.
La deputata, pur ritenendo alcune delle premesse della risoluzione
assolutamente condivisibili soprattutto per quanto riguarda l’impegno di
assicurare adeguate risorse umane e finanziarie agli Istituti italiani di
cultura, ha espresso perplessità sulla richiesta al Governo ad impegnarsi a
sostenere l’avvio di iniziative volte a favorire la partecipazione da parte
degli studenti stranieri ai corsi delle università telematiche italiane. Per
Orricco sarebbe invece preferibile valorizzare le università pubbliche che,
soprattutto in alcuni territori fragili, rappresentano un prezioso punto di
riferimento culturale. A seguire la deputata Federica Onori (Azione –
ripartizione Europa), nel preannunciare l’astensione del proprio Gruppo sul
testo in esame, ha sottolineato come nella risoluzione non si tengano in debita
considerazione le differenze esistenti tra le università tradizionali e quelle
telematiche. La deputata ha inoltre sottolineato come dal testo si prefiguri un
aggravio degli oneri organizzativi a carico della rete diplomatico-consolare,
già sottodimensionata rispetto ai compiti che le sono attribuiti. Al riguardo
ha inoltre preannunciato l’intenzione di presentare un apposito atto di
indirizzo per adeguare la dotazione finanziaria e di personale delle strutture
all’estero della Farnesina. Anche il deputato del Pd Vincenzo Amendola ha
annunciato l’astensione del suo gruppo sulla risoluzione, sottolineando la
necessità di accompagnare il varo del testo con un incremento delle risorse
economiche destinate agli uffici diplomatico-consolari. Per Amendola inoltre la
valutazione sul rafforzamento degli Istituti di cultura italiana all’estero
andrebbe inquadrata nel progetto di riforma della Farnesina che il Ministro
Tajani si appresta a presentare. E’ stata poi la volta di Simone Billi (Lega –
ripartizione Europa) che ha ringraziato i presidenti Tremonti e Mollicone
per l’iniziativa assunta e ha preannunciato il voto favorevole della Lega.
Espresso inoltre dal deputato apprezzamento per l’obiettivo di rafforzare la
dotazione e gli strumenti degli Istituti di cultura italiana all’estero, che
svolgono un ruolo essenziale per promuovere l’identità nazionale. Ha poi
ripreso la parola il Sottosegretario Silli che ha precisato come la citata
riforma del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale
dovrebbe limitarsi a ridefinire deleghe e competenze delle diverse strutture
amministrative. Il Sottosegretario ha inoltre ribaditoi il pieno apprezzamento
per l’obiettivo della risoluzione di valorizzare il ruolo delle università
telematiche, che stanno assumendo una rilevanza crescente nei progetti di
cooperazione culturale del Governo con i Paesi terzi, quali strumenti
di soft power nella strategia di politica estera dell’Italia. Dopo
l’intervento del Presidente Tremonti che ha accolto le proposte di
riformulazione della risoluzione di cui è primo firmatario, è intervento il
Presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone che ha evidenziato come
il testo della risoluzione in discussione affronti un tema assai rilevante che
conferma l’importanza del ruolo della diplomazia culturale nelle sue diverse
espressioni, compreso il prezioso contributo svolto dagli Istituti italiani di
cultura. Sempre per quanto riguarda il testo in esame da Mollicone è stata
inoltre ribadita la necessità che il Governo provveda a stanziare maggiori
risorse finanziarie a favore degli Istituti italiani di cultura che sono
chiamati a svolgere numerose e delicate funzioni per la promozione della
cultura e della lingua italiana. Per quanto riguarda alcune considerazioni
critiche svolte dai deputati intervenuti nel dibattito, relative ai contenuti
del secondo impegno in tema di partecipazione degli studenti di Paesi esteri ai
corsi delle università telematiche, Mollicone ha ricordato che tali università
sono sottoposte alla vigilanza e al controllo del Ministero dell’università e
della ricerca. Il Presidente ha infine segnalato come che il testo della
risoluzione sia frutto di un confronto costruttivo con il Governo e con il
Maeci al fine di rafforzare e valorizzare il ruolo degli Istituti italiani di
cultura di cui tutti apprezzano l’operato nel quadro degli intensi rapporti
culturali tra l’Italia e le comunità degli altri Stati europei ed extraeuropei.
A seguire il testo
della risoluzione approvato dalle Commissioni
La III e la VII
Commissione, premesso che:
la disciplina
dell’attività degli istituti italiani di cultura all’estero e degli interventi
per la promozione della cultura e della lingua italiana è posta dalla legge 22
dicembre 1990, n. 401: le finalità della normativa sono fissate dall’articolo
2, in base al quale «la Repubblica promuove la diffusione all’estero della
cultura e della lingua italiana onde contribuire allo sviluppo della reciproca
conoscenza fra i popoli, nel quadro più generale dei rapporti tra il nostro
Paese e la comunità degli altri Stati»;
la responsabilità
istituzionale per il perseguimento di tali finalità è posta in capo al
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ferme
restando le competenze previste dalle leggi vigenti per la Presidenza del
Consiglio dei ministri e per le singole amministrazioni dello Stato;
occorre segnalare
che il decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2010, n. 95, ha
operato una profonda ristrutturazione dell’articolazione del Ministero degli
affari esteri e della cooperazione internazionale, che ha comportato, tra
l’altro, la soppressione della direzione generale per la promozione culturale e
la creazione di una direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale:
a norma dell’articolo 5, comma 8-ter, la Direzione promuove, tra l’altro, «la
diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero, anche attraverso
la gestione della rete degli istituti italiani di cultura e del sistema della
formazione italiana nel mondo, ivi incluso il collegamento con gli enti gestori
dei corsi di lingua e cultura italiana»;
per quanto
concerne le funzioni specifiche del Ministero degli affari esteri e della
cooperazione internazionale, delineate all’articolo 3 della legge n. 401 del
1990, esse consistono anzitutto nella definizione degli accordi sugli scambi
culturali con gli altri Stati, e nella cura della loro attuazione. Il
Ministero, inoltre, promuove il coordinamento da un lato delle amministrazioni
dello Stato e degli enti e istituzioni pubblici, e dall’altro delle
associazioni, fondazioni e privati, al fine della massimizzazione della
promozione culturale dell’Italia all’estero. Il Ministero provvede altresì
all’istituzione ed eventuale soppressione degli istituti italiani di cultura
all’estero, la cui attività è sottoposta all’indirizzo e alla vigilanza
nell’amministrazione degli affari esteri tramite le rappresentanze diplomatiche
e gli uffici consolari;
la legge n. 401
del 1990, all’articolo 7, prevede che gli Istituti italiani di cultura
all’estero siano istituiti nelle capitali e nelle principali città degli Stati
con i quali l’Italia intrattiene relazioni diplomatiche: come sopra richiamato,
gli Istituti sono istituiti e soppressi con decreto del Ministro degli affari
esteri e della cooperazione internazionale, e nei limiti delle risorse
finanziarie previste nell’apposito capitolo di bilancio del Ministero. Pur
sottoposti alla funzione di vigilanza dell’amministrazione degli affari esteri,
gli istituti godono di autonomia operativa e finanziaria, con controllo
consuntivo della Corte dei conti sui bilanci annuali;
un regolamento
emanato con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con
il Ministro della funzione pubblica, detta i criteri generali
dell’organizzazione e del funzionamento degli istituti, si tratta in effetti
del decreto ministeriale 27 aprile 1995, n. 392, che reca il regolamento
sull’organizzazione, il funzionamento e la gestione finanziaria ed
economico-patrimoniale degli Istituti italiani di cultura all’estero;
tale regolamento
prevede, tra l’altro, l’obbligo per gli istituti di trasmettere annualmente al
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al
Ministero dell’economia e delle finanze, tramite la rappresentanza diplomatica
o l’ufficio consolare territorialmente competente, il conto consuntivo, con
acclusa una relazione sulle attività poste in essere;
la dotazione
finanziaria di ciascun Istituto è stabilita dal Ministro degli affari esteri e
della cooperazione internazionale mediante ripartizione dell’apposito
stanziamento di bilancio annuale. Gli Istituti di cultura, in vista di
specifiche attività o settori di studio e ricerca, incluse quelle relative
all’insegnamento della lingua italiana, possono creare proprie sezioni
distaccate a valere sui fondi già stanziati per l’Istituto fondatore: ciò è
tuttavia possibile agli Istituti solo dopo l’autorizzazione del Ministro degli
affari esteri e della cooperazione internazionale di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sentita l’autorità diplomatica competente per
territorio. La gestione finanziaria e patrimoniale delle sezioni distaccate è
responsabilità dei direttori degli istituti fondatori;
presso ogni
istituto di cultura è istituito un fondo scorta per i pagamenti e le spese
necessarie al funzionamento dell’istituto medesimo, il cui iniziale ammontare è
stabilito con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che
valutano le esigenze dei vari istituti anche sulla base dei consuntivi degli
anni precedenti. Il citato regolamento adottato con decreto ministeriale 27
aprile 1995, n. 392, disciplina anche le modalità di gestione dei fondi scorta
e del loro adeguamento mediante utilizzo delle entrate ordinarie degli
Istituti;
ai sensi
dell’articolo 8 della richiamata legge n. 401 del 1990, tra le principali
funzioni degli Istituti italiani di cultura all’estero figurano:
a) stabilire
contatti con le istituzioni e personalità del mondo culturale e scientifico del
paese ospitante, favorendo tutte le iniziative volte alla conoscenza della
cultura italiana e alla collaborazione culturale e scientifica, fornendo anche
le relative documentazioni e informazioni;
b) promuovere
iniziative, manifestazioni culturali e mostre; sostenere iniziative per lo
sviluppo culturale della comunità italiane all’estero, onde agevolare tanto la
loro integrazione nel paese ospitante quanto il legame culturale con la
madrepatria;
c) assicurare
collaborazione a studiosi e studenti italiani nelle loro attività di ricerca e
studio all’estero;
d) favorire
iniziative per la diffusione della lingua italiana all’estero, anche mediante
la collaborazione dei lettori di italiano nelle università del paese ospitante;
è prevista la
possibilità (articolo 9) di istituire comitati di collaborazione culturale
presso gli istituti, che contribuiscano alle loro attività, i direttori degli
istituti formulano le proposte di costituzione dei Comitati e di nomina dei
loro componenti, e le sottopongono all’approvazione delle autorità diplomatiche
italiane territorialmente competenti. Dei comitati possono essere chiamati a
far parte a titolo onorifico sia esponenti dei paesi ospitanti particolarmente
interessati ed esperti nella cultura italiana, sia qualificati esponenti delle
comunità italiane in loco;
i Direttori degli
istituti (articolo 14) sono nominati, di norma fra il personale direttivo
dell’area della promozione culturale, e acquisito il parere della Commissione
nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, con decreto del
Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che tiene
conto, anche in vista della destinazione geografica, delle competenze relative
all’area di riferimento e delle aspirazioni espresse dall’interessato. La
funzione di direttore può essere anche conferita, soprattutto in relazione alle
esigenze di particolari sedi, a persone di prestigio culturale e provata
competenza in ordine all’organizzazione della promozione culturale (articolo
14, comma 6);
al direttore
competono importanti funzioni (articolo 15) come quella di rappresentare
l’istituto, mantenerne i rapporti con l’esterno e recare la responsabilità
delle attività da esso svolte, che il direttore programma e coordina
sottostando alle funzioni di indirizzo e vigilanza in capo al Ministero degli
affari esteri e della cooperazione internazionale;
in particolare, il
direttore di ciascun istituto mantiene i rapporti con le autorità diplomatiche
italiane competenti per territorio, predispone annualmente il programma di
attività e dà impulso alle relative iniziative e manifestazioni, si incarica di
assicurare adeguate iniziative linguistiche e culturali in riferimento alle
comunità italiane in loco, provvede all’organizzazione dei servizi e del
personale nonché alla gestione finanziaria e patrimoniale dell’istituto di
competenza, predispone un rapporto annuale sull’attività svolta che verrà
inoltrato tramite la rappresentanza diplomatica o l’ufficio consolare
competente, predispone il bilancio preventivo e consuntivo da sottoporre
annualmente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale
sempre tramite le competenti autorità diplomatiche;
è previsto altresì
che gli organi centrali ed i vari istituti di cultura possano stipulare
convenzioni, nel caso si richiedano specifiche competenze non reperibili presso
il personale di ruolo, per l’acquisizione di consulenze da parte di
specialisti: ciò potrà avvenire solo per il tempo necessario allo svolgimento
di tali attività e nei limiti delle disponibilità di bilancio;
le risorse
attualmente disponibili per l’attività di promozione della lingua e della
cultura italiana all’estero ammontano ad un totale nominale di circa 160
milioni di euro. 70 milioni di essi sono destinati a retribuzioni del comparto
delle scuole all’estero, mentre gli altri 90 milioni sono per le iniziative
vere e proprie di promozione linguistica e culturale;
la proiezione
culturale dell’Italia all’estero può avere come punto di forza quello delle sue
Università, che sono internazionalmente riconosciute come eccellenti: le nuove
modalità di insegnamento telematico, che oramai riguardano le Università
italiane e straniere più importanti, permettono di avere studenti in ogni parte
del mondo; favorire questo processo è una azione importantissima di politica
culturale nazionale, particolarmente rilevante nei confronti di aree come
l’Africa;
impegnano il
Governo:
1) ad adottare
iniziative, anche di carattere normativo e previo necessario adeguamento delle
risorse umane e finanziarie del Ministero degli affari esteri e della
cooperazione internazionale per migliorare la dotazione finanziaria e di
personale degli Istituti italiani di cultura;
2) a sostenere
l’avvio di iniziative per favorire la partecipazione da parte degli studenti
stranieri, nei rispettivi Paesi di residenza, ai corsi delle università
telematiche italiane, ferme restando le ipotesi previste dalla disciplina
interna per lo svolgimento degli esami a distanza. Inform/dip 13
Zwei Jahre Krieg im Sudan. Die
„größte humanitäre Katastrophe der Welt“
Der Krieg im Sudan hat dramatische Folgen für die
Bevölkerung. Mehr als 30 Millionen Menschen sind laut den UN auf Hilfe
angewiesen. Zum Jahrestag des Kriegsbeginns schlagen Hilfsorganisationen Alarm.
Zwei Jahre nach Beginn des Krieges im Sudan zeichnen
Hilfsorganisationen ein düsteres Bild der humanitären Katastrophe in dem
nordostafrikanischen Land. „Die Lage im Sudan ist desaströs. Menschen sterben,
weil sie keinen Zugang zu Nahrungsmitteln und sauberem Wasser haben“, erklärte
der Generalsekretär der Welthungerhilfe, Mathias Mogge, am Montag in Berlin.
Die internationale Gemeinschaft müsse dringend mehr Geld bereitstellen, „um das
Überleben der Betroffenen zu sichern“.
Auch die Diakonie Katastrophenhilfe mahnte mehr
Aufmerksamkeit für die Krise an. „Ein Ende der blutigen Kämpfe ist nicht in
Sicht“, sagte der Leiter des evangelischen Hilfswerks, Martin Keßler: „In der
Region Darfur herrscht in Teilen eine Hungersnot, doch niemand schaut hin.“ Die
Weltgemeinschaft dürfe vor der größten humanitären Katastrophe der Welt nicht
die Augen verschließen.
Eine der gravierendsten Krisen der jüngeren Vergangenheit
Bei dem Krieg im Sudan kämpfen die Armee und die
paramilitärische RSF-Miliz um die Macht in dem Land. Die Kämpfe begannen am 15.
April 2023 und weiteten sich rasch auf weitere Gebiete aus. Zuletzt eroberte
die Armee die Hauptstadt Khartum zurück.
Der Konflikt hat eine der gravierendsten Krisen der jüngeren
Vergangenheit ausgelöst. Laut den Vereinten Nationen sind mehr als 30 Millionen
Menschen auf humanitäre Hilfe angewiesen – und damit deutlich mehr als die
Hälfte der 47,5 Millionen Sudanesinnen und Sudanesen. Fast 13 Millionen
Personen wurden demnach seit Beginn der Kämpfe durch die Gewalt vertrieben.
Beiden Konfliktparteien werden Kriegsverbrechen vorgeworfen, darunter Angriffe
auf die Zivilbevölkerung und die Blockade humanitärer Hilfe.
Schulze fordert mehr Engagement
Die geschäftsführende Bundesentwicklungsministerin Svenja
Schulze (SPD) rief zu mehr internationalem Engagement auf. „Die internationale
Gemeinschaft muss weiter hinschauen, ihr Engagement fortsetzen und zugleich den
Druck auf die Kriegsparteien erhöhen, an den Verhandlungstisch zu kommen“,
sagte sie dem Evangelischen Pressedienst. Schulze bedauerte, dass die Lage im
Sudan international „viel zu wenig Beachtung“ findet. „Dabei spielt sich dort
die derzeit größte humanitäre Katastrophe der Welt ab“, sagte sie.
Die geschäftsführende Außenministerin Annalena Baerbock
(Grüne) reagierte am Montagabend und sagte 125 Millionen Euro für die
humanitäre Hilfe zu. „Um das Leid der Menschen in der Region zu lindern und die
Lage in den Nachbarländern zu stabilisieren, übernimmt auch Deutschland
Verantwortung“, sagte Baerbock. Die Zusage erfolgte am Abend vor einer
internationalen Sudan-Konferenz am Dienstag in London, die vom Vereinigten
Königreich gemeinsam mit Deutschland, Frankreich, der EU und der Afrikanischen
Union ausgerichtet wird.
Die Repräsentantin für Ostafrika der Hilfsorganisation IRC,
Anne Marie Schryer, zeigte sich zuletzt besorgt angesichts der Einschnitte bei
der US-Auslandshilfe unter Präsident Donald Trump. Die USA seien historisch ein
wichtiger Geber für den Sudan, sagte sie. Allein vergangenes Jahr hätten die
Vereinigten Staaten rund 45 Prozent der Hilfe finanziert. „Ein Wegfall dieser
Mittel wäre verheerend.“ Zwar hätten die USA die Unterstützung für den Sudan
bisher nicht komplett eingestellt, sagte Schryer: „Aber einige Programme wurden
reduziert.“
Roten Kreuz mahnt zu Waffenruhe
Die Präsidentin des Internationalen Komitees vom Roten
Kreuz, Mirjana Spoljaric, mahnte zum zweiten Jahrestag des Kriegsbeginns eine
Waffenruhe an. Die Zivilbevölkerung sei in einem Albtraum aus Tod und
Zerstörung gefangen und brauche eine Atempause, erklärte Spoljaric in Genf.
Auch sexuelle Gewalt sei weitverbreitet und Helfer müssten bei ihrer Arbeit
vorsätzliche Angriffe erdulden.
Besonders betroffen von den Kämpfen bleibt die Darfur-Region
im Westen des Landes. Nach Angriffen der RSF spitzte sich am Wochenende die
Lage rund um das Flüchtlingslager Zamzam zu, wo Schätzungen zufolge
Hunderttausende Menschen Zuflucht gefunden haben. Nach Angaben der mit der
Armee verbündeten Rebellenbewegung SLM wurden bei Angriffen der RSF-Miliz seit
Freitag 450 Zivilistinnen und Zivilisten getötet. Zudem seien Tausende Familien
vertrieben worden, berichtete die Zeitung „Sudan Tribune“.
Welthungerhilfe: Hungersnot im Flüchtlingslager
Auch Welthungerhilfe-Generalsekretär Mogge sprach von
Angriffen auf das Camp mit „Hunderten Toten, darunter auch humanitäre Helfer“
und betonte: „Die internationale Gemeinschaft darf nicht weiter zusehen, wie
die humanitäre Katastrophe eskaliert.“ Für das Flüchtlingslager wurde bereits
vergangenes Jahr eine Hungersnot ausgerufen, auch weil Hilfe immer wieder
blockiert wurde.
Bisherige diplomatische Anläufe für ein Ende des Krieges im
Sudan scheiterten. Selbst nur für wenige Tage vereinbarte Waffenruhen wurden
gebrochen. Für Dienstag ist in London eine weitere internationale Konferenz zum
Sudan geplant. (dpa/mig 15)
Beispiel Zypern. Flüchtlingspolitik
national nicht machbar
Zypern zeigt: Migration lässt sich nicht durch nationale
Maßnahmen steuern – nur internationale Zusammenarbeit bringt nachhaltige
Lösungen. Von Lars Castellucci
Während in Deutschland eine Diskussion über Flucht und Asyl
geführt wird, als ließen sich diese Themen durch nationale Maßnahmen wie
Grenzkontrollen, Zurückweisungen und vermehrte Abschiebungen „lösen“,
verdeutlicht ein Blick nach Zypern die Herausforderungen der europäischen
Asylpolitik. Menschen erscheinen schließlich nicht einfach an nationalen
Grenzen, sondern kommen von einem bestimmten Ort, legen oft lange,
beschwerliche Routen zurück und haben meist triftige Gründe für ihre Flucht.
Auf ihren Wegen sind sie fast immer gezwungen, sich
Schleppern und Schleusern anzuvertrauen. Eine „Lösung“ – oder besser gesagt,
eine effizientere Steuerung und Ordnung im Sinne sowohl der Geflüchteten als
auch der aufnehmenden Länder – wird es nur geben, wenn die gesamten Routen in
den Blick genommen und entlang dieser Ketten international zusammengearbeitet
wird.
Die Fluchtbewegung der Jahre nach 2014 hat Zypern weitgehend
unberührt gelassen. Die Hauptroute führte damals über die Türkei, und Zypern,
kaum 100 km von der syrischen Küste entfernt, lag schlicht nicht im Fokus. Doch
in den Jahren 2022 und 2023 ist Zypern das europäische Land mit den meisten
Geflüchteten im Verhältnis zu seiner Bevölkerung geworden. Zwar sind dies in
absoluten Zahlen vergleichsweise wenige (2022: 21.500; 2023: 11.600), doch
genau dies zeigt, dass allein absolute Zahlen oft irreführend sind und nicht
die ganze Dimension des Themas erfassen.
Eine traurige Besonderheit der Insel Zypern ist ihre
Teilung. Sie ist durch eine von den Vereinten Nationen überwachte Pufferzone
getrennt – die sogenannte „grüne Linie“. Diese Linie wird jedoch nicht als
Grenze anerkannt, da die internationale Gemeinschaft die Teilung der Insel
nicht legitimiert. Für den Süden verbieten sich daher Grenzbefestigungen. Die
ersten Geflüchteten, die Zypern in die oberen Ränge der europäischen
Aufnahmestatistik katapultierten, nutzten dies für den relativ leichten
Übergang aus dem Norden. Mittlerweile ist dieser Zugang jedoch praktisch
geschlossen. Im August 2024 befand sich nur noch eine mittlere zweistellige
Zahl Geflüchteter in der Pufferzone, die von den Vereinten Nationen und
Hilfsorganisationen notdürftig versorgt wird. Die Betroffenen können oder
wollen nicht zurück und haben auch kaum eine Möglichkeit, in den Süden zu
gelangen.
„Es ist ein offenes Geheimnis, dass es in diesem
Zusammenhang auch zu Pushbacks an Land und auf See kommt, mit denen
europäisches Recht verletzt wird.“
Nach der Corona-Pandemie stieg dagegen die Zahl der
Anlandungen über das Mittelmeer nach Zypern an. Zudem nahm das Land im
Verhältnis mehr Geflüchtete aus der Ukraine auf als beispielsweise Deutschland.
Im Jahr 2022 schlug Zypern schließlich Alarm: Die Unterkünfte waren völlig
überlastet, ebenso die Verwaltung. Im Rahmen freiwilliger Umsiedlungsprogramme
erklärte sich unter anderem Deutschland bereit, bis zu 3.500 Geflüchtete aus
Zypern aufzunehmen, darunter vorrangig besonders schutzbedürftige Personen. Im
Jahr 2023 sanken die Zahlen der Neuankömmlinge um ein Drittel. Die Regierung
setzte die Bearbeitung von Asylanträgen syrischer Geflüchteter aus. Trotz
umfangreicher Unterstützung durch die europäische Asylbehörde blieben rund
21.500 Asylanträge unbearbeitet. Zur Jahresmitte 2024 waren die Anlandungen
dann praktisch auf null zurückgegangen, und im August standen die Unterkünfte
nahezu leer.
Es ist ein offenes Geheimnis, dass es in diesem Zusammenhang
auch zu Pushbacks an Land und auf See kommt, mit denen europäisches Recht
verletzt wird. Eine neue Vereinbarung zwischen der EU-Kommission und dem
Libanon sieht zudem Rückführungen und eine intensivere Kontrolle irregulärer
Migration nach Zypern vor, was kurzfristig zu einer Verringerung der
Flüchtlingszahlen aus dem Libanon führte. Dennoch bleibt die Situation
angesichts der angespannten Lage im Nahen Osten fragil.
„Eine neue globale Allianz für den Flüchtlingsschutz könnte
dem Global Compact on Refugees frischen Schwung verleihen.“
Vor diesem Hintergrund lassen sich einige wichtige Ansätze
ableiten: Mit europäischer Unterstützung und im Rahmen der Vorbereitungen auf
das Gemeinsame Europäische Asylsystem (GEAS) erweitert Zypern derzeit seine
Kapazitäten für die Erstaufnahme. Die zentrale Aufnahmeeinrichtung in Pournara
wird von bisher 1.500 auf 3.000 Plätze aufgestockt, und die Abläufe im
Aufnahmezentrum sollen optimiert werden, um eine verbesserte Erstversorgung
sicherzustellen. Es geht dabei nicht nur um ein Dach über dem Kopf, sondern
auch um Zugang zu Asylverfahren, Rechtsberatung, Unterstützung bei sozialen
Fragen, Bildungsangebote für Kinder, Gesundheitschecks und geschützte Bereiche
für besonders verletzliche Gruppen.
In einem nächsten Schritt sollte in Zypern ein gezielteres
„Matching“ organisiert werden, damit Menschen mit Verbindungen zu bestimmten
Ländern, Sprachkenntnissen oder spezifischen Talenten dorthin gelangen, wo die
Bereitschaft zur Aufnahme hoch ist und Integration besser gelingen kann.
Denn natürlich soll es Geflüchteten ermöglicht werden, auch
in Länder zu gelangen, in denen sie nicht zuerst ankommen – jedoch nach den
Regeln dieser Länder und nicht nach denen von Schleusern. Dafür müssen wir mehr
Partnerländer gewinnen. Eine neue globale Allianz für den Flüchtlingsschutz
könnte dem Global Compact on Refugees frischen Schwung verleihen.
Aber auch Arbeitsmigration ist ein Thema. Bei vielen der
Geflüchteten kommen Fluchtursachen und mangelnde wirtschaftliche Perspektiven
zusammen. Für diese Gruppe sollte es daher vermehrt Angebote geben, ihre
Qualifikationen auf dem Arbeitsmarkt einzubringen, anstatt ausschließlich auf
das Asylsystem verweisen zu sein – auch wenn ihnen das Recht auf Asyl zusteht.
Auch auf Zypern wächst die Erkenntnis, dass es auf Dauer ohne Arbeitskräfte von
außen nicht gehen wird. Die Aussage „Wir wollen alle nach Deutschland“ muss
daher auch dahingehend beantwortet werden, dass andere Länder attraktiver für
Einwanderung werden.
„Migration kann gut und sinnvoll geregelt werden.“
Hier können Unternehmen eine entscheidende Rolle spielen,
insbesondere jene, die dringend Arbeitskräfte benötigen. Warum nicht gemeinsam
mit einem von Personalengpässen betroffenen Unternehmensverband ein
Modellprojekt ins Leben rufen? In einem solchen Projekt könnten Spracherwerb,
Nachqualifikation und Einreiseplanung gezielt zusammengeführt werden – ein
Konzept, das sich gut auf Zypern umsetzen ließe. Gerade kleine und mittlere
Unternehmen, die keine eigenen internationalen Rekrutierungsstrukturen haben, könnten
davon stark profitieren.
Wer erst einmal die Erfahrung macht, willkommen zu sein,
Perspektiven zu haben und sieht, dass die Kinder in die Schule gehen können,
der neigt auch weniger zur sogenannten Sekundärmigration. Migration kann gut
und sinnvoll geregelt werden. Trotz anders lautender Diskurse sind wir bereits
mitten in diesem Prozess. (mig 15)
Neuer Plan. Italien bringt erstmals
abgelehnte Asylbewerber nach Albanien
Die Abschiebepläne der rechten Regierung in Rom haben
bislang noch nicht funktioniert. Die italienischen Lager in Albanien stehen
leer. Nun kommt eine erste Gruppe anderer Geflüchteter dort unter.
Italiens Rechts-Regierung von Ministerpräsidentin Giorgia
Meloni hat nach dem vorläufigen Scheitern ihrer umstrittenen Asyl-Pläne eine
erste Gruppe abgelehnter Asylbewerber in ein Lager in Albanien bringen lassen.
Ein Schiff der italienischen Marine mit 40 Menschen an Bord lief am Nachmittag
im Hafen der Stadt Shengjin ein, wie die Nachrichtenagentur Ansa meldete. Die
Männer sollen jetzt in Albanien in einem Lager bleiben, bis sie abgeschoben
werden.
Eigentlich sollten in den beiden Lagern Shengjin und Gjader
italienische Beamte im Schnellverfahren über die Asylanträge von
Mittelmeer-Geflüchteten entscheiden, noch bevor diese überhaupt einen Fuß auf
italienischen Boden setzen können. Dies hat seit der Eröffnung im Herbst wegen
mehrerer Niederlagen vor Gericht jedoch noch nie funktioniert. Die beiden teuer
errichteten Lager standen seit Monaten leer. Jetzt sind dort Asylbewerber
untergebracht, deren Anträge in Italien abgelehnt wurden.
Das „Albanien-Modell“ ist ein Prestigeprojekt der rechten
Dreier-Koalition. Nach den Niederlagen vor Gericht verabschiedete Melonis
Regierung vergangenen Monat einen Erlass, wonach dort auch Asylbewerber
untergebracht werden können, die schon in Italien waren. Normalerweise werden
solche Menschen bis zur Abschiebung in Rückführungszentren in Italien
festgehalten, nicht im Ausland.
Europäischer Gerichtshof prüft alte Regelung
Innenminister Matteo Piantedosi bezeichnete das Lager in
Gjader als „weiteres Rückführungszentrum, nur eben außerhalb des italienischen
Staatsgebiets“. In Italien werden in solchen Zentren Geflüchtete ohne regulären
Aufenthaltsstatus untergebracht.
Melonis Regierung hält indes an dem ursprünglichen
„Albanien-Modell“ fest. Derzeit prüft der Europäische Gerichtshof, ob ein
solcher Umgang mit Schutzsuchenden mit europäischem Recht vereinbar ist. Im
Kern geht es um die Frage, welche Staaten als sichere Herkunftsländer gelten,
in die abgeschoben werden kann. (dpa/mig 14)
Ukraine: Karwochen-Beginn unter
Bomben
32 Menschen, darunter mehrere Kinder, sind laut Kyiver
Angaben am Morgen des Palmsonntags im Nordosten der Ukraine durch zwei
russische Raketen ums Leben gekommen, mehr als 100 wurden verletzt. „Möge der
Herr uns gnädig sein“, rang Erzbischof Visvaldas Kulbokas, der päpstliche
Nuntius im Land, um Worte. Francesca
Sabatinelli und Anne Preckel
Es war ein blutiger Auftakt der Karwoche in Sumy, im
Nordosten der Ukraine: Ausgerechnet, als sich gegen zehn Uhr im Herzen der
Stadt zahlreiche Gläubige zur Palmsonntagsmesse versammelten, schlugen die zwei
ballistischen Raketen ein. Dutzende Menschen, darunter Familien und Kinder,
rissen sie mit in den Tod. Fernsehaufnahmen aus dem Ort, der 50 Kilometer von
der russischen Grenze liegt, zeigten Leichen auf den Straßen und
Feuerwehrleute, die brennende Autos inmitten von Haustrümmern löschten.
Blutiger Auftakt der Karwoche
„Alles, was bleibt, ist, sich dem Herrn zuzuwenden“,
kommentierte der apostolische Nuntius in der Ukraine die neue Attacke, die sich
vor Hintergrund des seit über drei Jahren andauernden russischen
Angriffskrieges ereignete. In der Ukraine werde dieses Jahr parallel nach dem
gregorianischen und dem julianischen Kalender Ostern gefeiert, erinnerte
Erzbischof Visvaldas Kulbokas. „Auch in der Stadt Sumy gingen die Menschen am
Palmsonntag - wahrscheinlich verschiedener Konfessionen - in ihre Kirchen, um
zu beten.“
Mehr als 30 Menschen hätten die beiden Iskander-Raketen am
Palmsonntag getötet. Und zwar in dem Moment, „als sie gerade beten wollten“,
umschrieb der Nuntius die grausamen Umstände des Krieges. „Dies war der Beginn
der Karwoche für verschiedene Regionen der Ukraine. Und alles, was bleibt, ist,
sich an den Herrn zu wenden, um sich zu verteidigen“, rang Erzbischof Kulbokas
um Worte. „Denn es scheint, dass keine andere Kraft in der Lage ist, Frieden
und Leben zu schützen. Möge der Herr uns gnädig sein.“
Angriff sorgte international für Entsetzen
Der Angriff fand kurz nach einem Besuch des
US-Sondergesandten Steve Witkoff in Russland statt, der mit Präsident Wladimir
Putin über den Ukraine-Krieg gesprochen hatte. In der Ukraine und international
sorgte die Attacke vom Palmsonntag für Entsetzen. Politiker weltweit
verurteilten den Raketenangriff scharf; der ukrainische Präsident Wolodymyr
Selenskyj forderte eine internationale Reaktion auf den Angriff.
Auch ukrainische Kirchenführer zeigten sich entsetzt. Das
Oberhaupt der Orthodoxen Kirche der Ukraine, Metropolit Epiphanius, sprach am
Sonntag in Sozialen Medien von einer „satanischen Tat“, die das „russische
Reich des Bösen“ begangen habe. „Möge der Herr den Seelen der Toten Ruhe
geben“, schrieb der bekannteste Geistliche des Landes. Metropolit Epiphanius
mahnte, die führenden Politiker der Welt müssten begreifen, dass der russische
Staat ein Terrorist und Mörder sei, „der die ganze Welt als Geisel hält“. Nur
konsequenter und beharrlicher Widerstand könne Russland stoppen. Der Geistliche
führt die autokephale (eigenständige) Orthodoxe Kirche der Ukraine seit der
Gründung 2018. Zu ihr bekennen sich laut einer Umfrage 42 Prozent der
Bevölkerung.
Kiews griechisch-katholischer Großerzbischof, Swjatoslaw
Schewtschuk, warf Russland ein „Verbrechen gegen die Menschlichkeit“ vor. Wie
Erzbischof Kulbokas ging auch Schewtschuk darauf ein, dass orthodoxe und
katholische Christen am Sonntag Palmsonntag begingen: „Wenn die Ukrainer den
Feiertag des Lebens feiern, will der Feind ihnen seinen Feiertag des Todes
aufzwingen.“ Russland und die Ukraine sind beides orthodox geprägte
Länder.
Friedensbemühungen des Vatikans
„Möge endlich Frieden einkehren in die zerrissene Ukraine.“
Papst Franziskus erneuerte am Sonntag seinen Friedensaufruf
für die Ukraine: „Möge endlich Frieden einkehren in die zerrissene
Ukraine", rief er in einem vom Vatikan am Sonntag verbreiteten Text auf.
Franziskus hat regelmäßig zu einer Befriedung des Konfliktes und zu Dialog
gemahnt und dazu auch einen Friedensdiplomaten nach Moskau, Kyiv, Washington
und Peking geschickt. Der Vatikan setzt sich zudem humanitär für die Linderung
der Kriegsnot ein.
„Gezielte Angriffe auf Zivilisten“
Die USA, Frankreich und Deutschland warfen Moskau nach der
Attacke vom Palmsonntag gezielte Angriffe auf Zivilisten vor. Der russische
Angriff auf zivile Ziele in Sumy habe „jede Grenze des Anstands überschritten“,
reagierte der US-Sondergesandte für die Ukraine, Keith Kellogg, im Onlinedienst
X.
Frankreichs Präsident Emmanuel Macron wertete die Attacke
als Beleg dafür, dass Russland seine Verachtung für das Völkerrecht und die
diplomatischen Bemühungen von US-Präsident Donald Trump zeige.
Die geschäftsführende deutsche Außenministerin Annalena
Baerbock schrieb auf der Plattform X, der Angriff zeige einmal mehr, dass Putin
keinen Frieden anstrebe, sondern Zerstörung: „Mitten in Europa bombardiert er
Zivilisten“, so Baerbock. Deutschland stehe fest an der Seite der Ukraine,
betonte sie.
EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen hob hervor,
Europa werde den Druck auf Russland weiter aufrechterhalten. „Diese neuerliche
Eskalation ist eine düstere Mahnung: Russland war und ist der Aggressor in
offensichtlicher Missachtung des Völkerrechts“, schrieb sie auf X.
Die Reaktion des Nuntius Kulbokas holte Francesca
Sabatinelli (Vatican News) ein. (vn/kna 14)
Union will mehr Zurückweisen und
mehr Abschieben
Merz hat Änderungen bei der Regelung von Einwanderung und
Asyl versprochen. Ob die neuen Verschärfungen umgesetzt werden können, wird
sich in einigen Monaten zeigen. CDU und CSU zeigen sich optimistisch. Es gibt
aber praktische und juristische Hürden – sowie scharfe Kritik.
Politiker von CDU und CSU sind ungeachtet möglicher
rechtlicher und praktischer Hürden optimistisch, dass der von ihnen
angekündigte Kurswechsel – im Kern geht es um Verschärfungen – in der
Flüchtlingspolitik gelingen wird. Der von Union und SPD ausgehandelte
Koalitionsvertrag sei eine „verlässliche Grundlage“, um die Zahl der
Asylsuchenden kurzfristig weiter zu reduzieren, sagt Bayerns Innenminister,
Joachim Herrmann (CSU).
Unionsfraktionsgeschäftsführer Thorsten Frei versprach für
die Zukunft regelmäßige Abschiebeflüge nach Afghanistan und Syrien. „Darauf
können sich die Deutschen verlassen“, sagte der CDU-Politiker dem
Boulevardblatt „Bild“. Der SPD-Vorsitzende Lars erwartet, dass es unter der
geplanten schwarz-roten Bundesregierung mehr Zurückweisungen an den Grenzen
geben wird als unter der Ampel-Koalition. „Wir sind uns einig: Es gibt mehr
Grenzkontrollen, damit gibt es auch mehr Zurückweisungen“, sagte er demselben Blatt.
„Aber (CDU-Chef) Friedrich Merz und ich sind uns einig, dass es in Abstimmung
mit den europäischen Partnern passiert“, fügte er hinzu.
Die wichtigsten geplanten Änderungen
Im Koalitionsvertrag von CDU/CSU und SPD heißt es: „Wir
werden in Abstimmung mit unseren europäischen Nachbarn Zurückweisungen an den
gemeinsamen Grenzen auch bei Asylgesuchen vornehmen.“ Neue freiwillige
Bundesaufnahmeprogramme wird es nicht geben. Mindestens zwei Jahre lang soll es
keinen Familiennachzug zu Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus geben.
Um Herkunftsländer von Ausreisepflichtigen um mehr
Zusammenarbeit bei der Rücknahme ihrer Staatsbürger zu bewegen, soll notfalls
Druck ausgeübt werden – etwa über die Entwicklungszusammenarbeit, die
Wirtschafts- und Handelsbeziehungen und die Visa-Politik. Die
„Turbo-Einbürgerung“ von besonders gut integrierten Ausländern bereits nach
drei Jahren soll es demnächst nicht mehr geben.
Zurückweisung von Asylsuchenden
Dass der Vorbehalt, dies „in Abstimmung“ mit den Nachbarn zu
machen, den Plan bremsen könnte, weist Herrmann zurück. Zum einen dürfe nun
einmal jeder Staat an seinen Grenzen entscheiden, wer einreisen dürfe und wer
nicht. Vor allem aber wollten ja auch die anderen EU-Länder eine Reduzierung
der Flüchtlingszahlen. Er glaubt: „Da wird es überhaupt kein Problem geben.“
Merz selbst hatte am Abend nach der Vorstellung des
Koalitionsvertrages bei „RTL Direkt“ gesagt: „Wir werden das in Abstimmung mit
unseren europäischen Nachbarn machen. Und diese Abstimmung läuft.“ Ob das
bedeute, dass künftig alle Asylsuchenden an den Grenzen abgelehnt werden,
wollte er nicht sagen.
Schweiz pocht auf europäisches Recht
„Die Schweiz behält sich vor, entsprechend zu reagieren,
sollten die Zurückweisungen aus unserer Sicht gegen das geltende Recht
verstoßen“, teilte ein Sprecher des Schweizer Bundesamtes für Migration auf
Nachfrage mit. Man erwarte, dass der allgemeine Personen- und Warenverkehr
weiterhin möglichst unbeeinträchtigt bleibe. Der Sprecher verwies insbesondere
auf das „bilaterale Rückübernahmeabkommen zwischen Deutschland und der Schweiz,
das Dublin-Recht sowie die Genfer Flüchtlingskonvention“.
Österreich begrüßt die Pläne der schwarz-roten Koalition
grundsätzlich. Zur geplanten Zurückweisung von Migranten an der deutschen
Grenze sagte ein Sprecher des Innenministeriums in Wien: „Wir sind
zuversichtlich, dass das Handeln der deutschen Behörden an den EU-Binnengrenzen
auf dem Boden der Rechtsordnung erfolgt.“
Polen zurückhaltend, Tschechien kooperativ
Der polnische Ministerpräsident Donald Tusk hatte bereits
Ende März laut Nachrichtenagentur PAP erklärt, es gebe zwar ein gültiges
Abkommen mit Deutschland über Geflüchteten-Rückübernahmen. Polen sei aber wegen
der Aufnahme einer hohen Zahl an Flüchtlingen aus der Ukraine und aufgrund des
Migrationsdrucks an seiner Ostgrenze zu Belarus nicht in der Lage, Geflüchtete
aus anderen EU-Ländern zu übernehmen.
Tschechien zeigte sich offen für einen Dialog. Man stehe mit
den deutschen Kollegen in regelmäßigem Kontakt, sagte ein Sprecher des
Innenministeriums in Prag auf Anfrage. Bei einem Anstieg der illegalen
Migration sei Tschechien bereit, Gegenmaßnahmen bis hin zur Wiedereinführung
von Personenkontrollen an den Schengen-Binnengrenzen zu ergreifen, sagte der
Ministeriumssprecher. Er verwies zudem auf die geplante Verschärfung des
Asylrechts in Tschechien. Geplant sind unter anderem eine schnellere Abschiebung
von ausreisepflichtigen Ausländern, erweiterte Sicherheitsüberprüfungen und
beschleunigte Asylverfahren.
Deutlicher Rückgang der Asylzahlen
Im vergangenen Jahr hatten 229.751 Menschen erstmals in
Deutschland einen Asylantrag gestellt. Das waren rund 100.000 Asylerstanträge
weniger als im Jahr zuvor.
Auf EU-Ebene wird aktuell über einen Punkt diskutiert, der
womöglich in der bereits vereinbarten Reform des Gemeinsamen Europäischen
Asylsystems (GEAS) noch verschärft werden könnte. Konkret geht es darum, ob das
sogenannte Verbindungselement aus dem Konzept des sicheren Drittstaats
gestrichen wird. Vor allem die Grünen hatten das abgelehnt.
Bisher dürfen Asylsuchende laut GEAS-Reform nur in
Drittstaaten geschickt werden, zu denen sie eine persönliche Verbindung haben –
etwa weil sie früher einmal dort gelebt haben. Im Koalitionsvertrag von CDU,
CSU und SPD steht jetzt, Deutschland werde auf europäischer Ebene nun eine
Initiative zur Streichung des „Verbindungselements“ ergreifen. Allerdings hat
sich bislang noch kein Staat gefunden, der bereit wäre, im großen Stil
Asylbewerber aus Europa aufzunehmen.
Mehr Abschiebungen durch Visa-Keule?
Dass Ausreisepflichtige Deutschland verlassen, wollte
erklärtermaßen auch die Ampel-Koalition. Tatsächlich stieg die Zahl der
Abschiebungen in den vergangenen zwei Jahren. 2024 gab es laut
Bundesinnenministerium 20.084 Rückführungen, nach 16.430 Abschiebungen im Jahr
zuvor. Das Niveau der Jahre vor der Corona-Pandemie wurde jedoch nicht
erreicht.
Das liegt unter anderem daran, dass es in den vergangenen
Jahren eine Sammelabschiebung nach Afghanistan und keine Abschiebungen nach
Syrien gab. Die beiden Staaten zählen seit langer Zeit zu den
Hauptherkunftsländern von Asylbewerbern in Deutschland. Vor allem Straftäter
möchte die Bundesregierung dorthin bringen.
Bei einigen Herkunftsländern könnte die Aussicht auf
restriktivere Visa-Regeln oder Handelshemmnisse, wie sie der Koalitionsvertrag
für Staaten vorsieht, die bei der Rücknahme ihrer Ausreisepflichtigen nicht
kooperieren, vielleicht zu mehr Kooperationsbereitschaft führen. Doch ohne ein
europäisch abgestimmtes Vorgehen dürfte die Wirkung solcher Drohungen gering
sein.
Praktische Hürden für Abschiebungen nach Afghanistan und
Syrien
Abschiebungen nach Afghanistan sind besonders schwierig.
Ende August 2024 waren mit Hilfe von Katar 28 männliche Straftäter aus
Deutschland nach Afghanistan gebracht. Seither gab es trotz entsprechender
Bemühungen der Ampel-Regierung keine weitere Abschiebung in das Land, das seit
August 2021 wieder von den Taliban regiert wird.
Der CDU-Politiker Frei bleibt dennoch optimistisch. Dem
„Bild“ sagt er, der Flug im Spätsommer 2024 habe schließlich gezeigt, dass das
funktioniere. „Deswegen sind wir davon überzeugt, dass wir das auch zukünftig,
dauerhaft und in wesentlich größeren Bereichen auch hinbekommen.“
Mit Vertretern der Übergangsregierung, die sich in Syrien
nach dem Sturz von Langzeitmachthaber Baschar al-Assad etabliert hat, gab es
zwar schon einige Begegnungen, die Abschiebungen in das arabische Land wieder
in den Bereich des Möglichen gerückt haben. Doch noch ist die Lage dort so
instabil, dass die geschäftsführende Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD)
Ende März einen geplanten Kurzbesuch in Damaskus absagen musste.
Pro Asyl: Rückschrittskoalition gegen Menschenrechte
Die Menschenrechtsorganisation Pro Asyl ist alarmiert über
die Pläne der künftigen Bundesregierung. Union und SPD hätten massive
Verschärfungen für Schutzsuchende festgeschrieben, statt sich an Humanität und
geltendem Recht zu orientieren. „In den Koalitionsergebnissen wird eine
gefährliche Abkehr von menschenrechtlichen Errungenschaften deutlich – es droht
eine Rückschrittskoalition gegen Menschenrechte und Humanität“, warnt
Pro-Asyl-Geschäftsführer Karl Kopp.
Das zeige sich insbesondere an den geplanten Zurückweisungen
von Schutzsuchenden an deutschen Grenzen. Dies sei weiterhin europa- und
verfassungswidrig. Fatal sei, dass Union und SPD sich auf die Streichung des
sogenannten Verbindungselements für „sichere Drittstaaten“ geeinigt haben.
„Hier geht es darum, Deals mit Ländern à la Modell Ruanda zu schließen. Damit
soll dann ein Flüchtling in einen Drittstaat außerhalb der EU geschickt werden
können, obwohl er dort nie zuvor war“, so die Kritik. „Damit schließt sich
Deutschland den europäischen Hardlinern an ”, sagte Kopp.
Massive Verschärfungen beklagt Pro Asyl unter anderem auch
im Asylverfahren durch die Beweislastumkehr zu Lasten der Schutzsuchenden sowie
die geplante Aussetzung des Familiennachzugs für subsidiär Schutzberechtigte
oder die Beendigung humanitärer Aufnahmeprogramme. „Der Koalitionsvertrag kappt
zentrale lebensrettende Maßnahmen. Wer reguläre Wege versperrt, zwingt Menschen
auf lebensgefährliche Fluchtrouten“, kritisiert Kopp. (dpa/mig 14)
EuGH-Generalanwalt zweifelt an
Italiens „Albanien-Modell“
Der EuGH prüft, ob Italiens Asyl-Regelung zu sicheren
Herkunftsländern rechtens ist. Ein Gutachten zu dem sogenannten Albanien-Modell
sieht die Kompetenz bei der Regierung – aber unter Bedingungen. Droht Meloni
eine weitere Justiz-Schlappe?
Im Rechtsstreit um Italiens umstrittenes Asyl-Modell wirft
ein Gutachten des Generalanwalts des Europäischen Gerichtshofs (EuGH) Zweifel
auf, ob es in dieser Form bestehen kann. Zwar dürften EU-Mitgliedstaaten für
ihre Asyl-Verfahren sichere Herkunftsländer selbst bestimmen, erklärte
Generalanwalt Richard de la Tour. Die entsprechende Regelung müsse aber
offenlegen, auf welchen Quellen diese basiere, damit Gerichte sie überprüfen
könnten.
Als erstes EU-Land wollte Italien gewisse Asyl-Verfahren im
sogenannten Albanien-Modell außerhalb der EU ansiedeln. Die Asylanträge von
männlichen Geflüchteten, die im Mittelmeer aufgegriffen wurden, sollten in
eigens errichteten Lagern in Albanien geprüft werden. Wer Anspruch auf Asyl
hat, darf nach Italien einreisen – abgelehnte Bewerber sollen zurückgeführt
werden.
Mehrere Schlappen für Rom vor Gericht
Um Rückführungen zu beschleunigen, hat die italienische
Regierung auch eine Liste sicherer Drittstaaten erstellt. Ob sie dazu befugt
ist und ob die Liste in dieser Form rechtens ist, ist Kern des Verfahrens am
EuGH. Ein Gericht in Rom hatte den EuGH angerufen, weil das italienische Gesetz
aus seiner Sicht nicht die Quellen erläutert, auf denen die Einstufung in
sichere Länder fußt.
Eigentlich sollen in den beiden Lagern in Albanien
italienische Beamte im Schnellverfahren über die Asylanträge von
Mittelmeer-Flüchtlingen entscheiden. Die italienische Justiz blockierte die
Pläne jedoch mehrfach. Zuletzt standen die Lager – ein Prestigeprojekt der
Regierung – leer. An diesem Freitag sollen jedoch 40 Asylbewerber, deren
Anträge auf italienischem Boden abgelehnt wurden, dorthin gebracht werden.
Eigentlich wären dazu aber keine zusätzlichen Lager im Ausland erforderlich.
Andere EU-Länder könnten folgen
Das Gutachten des Generalanwalts ist für die Richterinnen
und Richter nicht bindend, im Ergebnis folgen sie ihm aber häufig. Ein Urteil
wird im Mai oder Juni erwartet. Einen Termin dafür gibt es noch nicht.
Das Urteil des EuGH wird nicht nur in Rom mit Spannung
erwartet: Sollte das Modell grünes Licht bekommen, könnte es in Europa Schule
machen. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) hatte das Modell als
„interessant“ bezeichnet. Auch die EU hatte zuletzt Pläne für Zentren in
Staaten außerhalb der EU veröffentlicht. Anders als das ursprüngliche
„Albanien-Modell“ geht es dabei allerdings nur um Rückführungszentren für
abgelehnte Asylbewerber. Meloni hatte vor kurzem angekündigt, die Lager in
Albanien ebenfalls für Rückführungen nutzen zu wollen. (dpa/mig 11)
Das steht im Koalitionsvertrag zur
Migrationspolitik
Sechseinhalb Wochen nach der Bundestagswahl steht der
Koalitionsvertrag zwischen CDU, CSU und SPD. Auf 144 Seiten treffen die drei
Parteien zahlreiche Festlegungen zur Migrationspolitik. Das sind die
wichtigsten Änderungen – und die Kritik dazu.
Die Koalition aus CDU, SPD und CSU will nach eigener
Formulierung „Migration ordnen und steuern und irreguläre Migration wirksam
zurückdrängen“. Besondere Betonung legt sie auf das Wort „Begrenzung“, das als
Ziel wieder ausdrücklich ins Aufenthaltsgesetz geschrieben werden soll.
Angekündigt wird ein „anderer, konsequenterer Kurs“, wobei gleichzeitig auch
dieser Satz festgeschrieben wurde: „Das Grundrecht auf Asyl bleibt
unangetastet.“ Bekämpfung von „Fluchtursachen“ wird im Koalitionsvertrag eher
neben erwähnt – und sehr vage. Das wurde konkret vereinbart:
Zurückweisungen von Asylbewerbern an der Grenze
Es ist seit Jahren ein Streitfall, nun will es die
schwarz-rote Koalition machen: Auch Asylsuchende sollen künftig an den
deutschen Grenzen zurückgewiesen werden. Bislang wird das nur für Menschen
praktiziert, die kein gültiges Visum oder eine entsprechende
Aufenthaltserlaubnis haben, nicht für Schutzsuchende. Die Zurückweisungen
sollen „in Abstimmung mit den europäischen Nachbarn“ erfolgen. Man sei bereits
„in engem Dialog“, sagte CDU-Chef Friedrich Merz bei der Vorstellung des
Koalitionsvertrags. Rechtlich sind die Zurückweisungen Schutzsuchender
umstritten, weil etwa nach dem Europarecht jeder Mitgliedstaat verpflichtet
ist, ein Asylbegehren zumindest auf die Frage hin zu prüfen, welches Land
zuständig ist.
Stopp von Aufnahmeprogramme
Humanitäre Aufnahmeprogramme wie etwa das für Ortskräfte und
Menschenrechtler in Afghanistan eingerichtete Kontingent sollen „soweit wie
möglich“ beendet werden. Neue Programme, mit denen besonders Schutzbedürftige
direkt ausgeflogen werden, wollen Union und SPD laut Koalitionsvertrag nicht
auflegen. Zum UN-Resettlement-Programm, über das besonders schutzbedürftige
Flüchtlinge aus Camps in sichere Länder gebracht werden, findet sich nichts.
Deutschland beteiligt sich seit vielen Jahren daran.
Familiennachzug aussetzen
Der Familiennachzug zu Menschen mit subsidiärem Schutzstatus
soll für zwei Jahre ausgesetzt werden. Seit 2018 können enge Angehörige dieser
Flüchtlingsgruppe über ein Kontingent aufgenommen werden, das 1.000 Plätze pro
Monat umfasst. Zuletzt kamen nach Angaben des Auswärtigen Amts mehrheitlich
Minderjährige darüber nach Deutschland. Subsidiären Schutz erhalten Menschen,
die nicht direkt individuell verfolgt werden, in der Heimat aber etwa wegen
eines Konflikts an Leib und Leben bedroht sind. In Deutschland geht es dabei
vor allem um Syrerinnen und Syrer.
Abschiebungen
Schwarz-rot will auch die Zahl der Abschiebungen weiter
steigern. Ein Ansatz ist dabei, Herkunftsländer zur Rücknahme ihrer
Staatsangehörigen zu bewegen. Dabei sollen laut Koalitionsvertrag künftig auch
Politikfelder wie Visa-Vergabe, Entwicklungszusammenarbeit sowie Wirtschafts-
und Handelsbeziehungen herhalten. Zudem soll der erst in der vergangenen
Wahlperiode eingeführte, verpflichtend beigestellte Rechtsbeistand vor einer
Abschiebung wieder abgeschafft werden.
Kein Bürgergeld mehr für Ukraine-Flüchtlinge
Eine zentrale Erleichterung für Kriegsflüchtlinge aus der
Ukraine soll wieder rückgängig gemacht werden. Es werde für sie künftig kein
Bürgergeld mehr geben. Flüchtlinge aus der Ukraine durchlaufen auf Grundlage
einer Vereinbarung in der EU kein formelles Asylverfahren. Das sollte aufgrund
der Fluchtbewegung nach dem russischen Angriff auf das Land von Bürokratie
entlasten. Dadurch erhalten sie anders als andere Asylbewerber auch sofort die
normale Grundsicherung und nicht die niedrigeren Asylbewerberleistungen. Für
Flüchtlinge aus der Ukraine, die seit diesem April nach Deutschland gekommen
sind, soll sich das den Plänen der Parteien zufolge nun ändern. Die reduzierten
Asylbewerberleistungen dürfen allerdings nur für eine begrenzte Zeit gezahlt
werden. Spätestens anerkannte Flüchtlinge erhalten die normale Grundsicherung,
beispielsweise aber auch Asylbewerber in besonders langen Asylverfahren.
Westbalkanregelung – Begrenzung von Arbeitsmigration
Die Zahl der Arbeitskräfte, die über die sogenannte
Westbalkanregelung nach Deutschland kommen, soll stärker begrenzt werden. Die
maximale Zahl von Einreiseerlaubnissen über dieses Programm soll auf 25.000
Menschen pro Jahr reduziert werden. Die Ampel-Koalition hatte das jährliche
Kontingent auf 50.000 verdoppelt. Wer aus Albanien, Bosnien-Herzegowina,
Kosovo, Montenegro, Nordmazedonien oder Serbien stammt und über die
Westbalkanregelung nach Deutschland kommen will, muss vorab einen
Arbeitsvertrag vorweisen. Von der Regelung können auch ungelernte Arbeitskräfte
profitieren. Die Erlaubnis für eine Arbeitsaufnahme in Deutschland muss im
Herkunftsland beantragt werden. Die Regelung war eingeführt worden, um Menschen
aus diesen Staaten davon abzuhalten, hierzulande grundlos Asyl zu beantragen.
Zum Stichtag 30. November 2024 lebten mit einer Aufenthaltserlaubnis zur
Ausübung einer Beschäftigung insgesamt rund 79.500 Menschen in Deutschland, die
bei ihrer Einreise von der Westbalkanregelung profitiert hatten.
Aus für Einbürgerung nach drei Jahren
Nicht durchsetzen konnten sich CDU/CSU mit ihrer Forderung
nach Rückgängigmachung der von den Ampel-Parteien verabschiedeten Reform des
Staatsangehörigkeitsrechts. Hier soll laut Koalitionsvertrag alles so bleiben,
wie es ist. Einzige Ausnahme: Die Einbürgerung schon nach drei Jahren für
Menschen, die besondere Integrationsleistungen nachweisen können – wie etwa
ehrenamtliches Engagement oder hervorragende Sprachkenntnisse – soll wieder
gestrichen werden.
Entwicklungsministerium soll bleiben
Positives zu vermelden gab es – zumindest mittelbar – in
puncto Fluchtursachenbekämpfung. Auch unter der neuen Bundesregierung soll ein
eigenständiges Entwicklungsministerium erhalten bleiben – allerdings oll es
eine „bessere Zusammenarbeit“ von Auswärtigem Amt, Entwicklungs- und
Verteidigungsministerium geben. Zugleich kündigten die Koalitionäre eine
„angemessene Absenkung“ der öffentlichen Entwicklungshilfe an. Dennoch zeigten
sich Nichtregierungsorganisationen erleichtert über das Fortbestehen des Ministeriums.
Das sei ein bedeutendes Signal für Entwicklung, Frieden, Konfliktprävention und
für den Einsatz zur Linderung von Hunger und Armut.
Union und SPD wollen deutsches Lieferkettengesetz streichen
Dafür soll allerdings das deutsche Liefergesetz gestrichen
werden – zur Entlastung der Wirtschaft. Es soll ersetzt werden durch ein Gesetz
über die internationale Unternehmensverantwortung. Die Berichtspflicht nach dem
deutschen Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz soll unmittelbar abgeschafft
werden und entfällt komplett. Das seit Anfang 2023 geltende Lieferkettengesetz
soll sicherstellen, dass bei Produkten, die im Ausland für den deutschen Markt
hergestellt werden, Menschenrechte, Arbeits- und Umweltstandards eingehalten
werden. Vor wenigen Monaten war ein europäisches Lieferkettengesetz beschlossen
worden, das von den EU-Staaten binnen zwei Jahren umgesetzt werden muss. Die
europäische Regelung wird allerdings voraussichtlich ein Jahr später in Kraft treten,
nachdem das Europaparlament vor Kurzem den Weg freigemacht hat für eine
Verschiebung.
NSU-Dokumentationszentrum kommt nach Nürnberg
Der selbsternannte „Nationalsozialistische Untergrund“ (NSU)
wird im Koalitionsvertrag an einer Stelle erwähnt. „Wir schaffen ein
NSU-Dokumentationszentrum in Nürnberg“, heißt es dazu. Der
„Nationalsozialistische Untergrund“ (NSU) ermordete zwischen 2000 und 2007 zehn
Menschen. Neun der Opfer hatten einen Migrationshintergrund. Erst nach dem
Auffliegen der Terrorzelle im Jahr 2011 erkannten die Ermittler die
rassistischen und rechtsextremistischen Motive. In Nürnberg erschossen die
NSU-Täter am 9. September 2020 Enverimkek, am 13. Juni 2001 Abdurrahim Özüdoru
und Ismail Yagar am 9. Juni 2005. Einen Bombenanschlag in seinem Nürnberger
Lokal überlebte Mehmet O. am 23. Juni 1999 schwer verletzt.
Reaktionen zum Koalitionsvertrag
Mit Erleichterung und einer Mahnung hat die Türkische
Gemeinde in Deutschland (TGD) auf den Koalitionsvertrag reagiert. Mindestens
einen Schönheitsfehler habe der Vertrag: „Unter 19 Spitzenpolitikern, die den
Vertrag verhandelt haben, war nur leider kein einziger, der aus persönlicher
Erfahrung wüsste, worauf es ankommt bei der Einwanderungsfreundlichkeit“,
erklärte der TGD-Bundesvorsitzende, Gökay Sofuoglu. Er rief die Koalitionäre
nun auf, zumindest bei der Besetzung der Kabinettsposten dafür zu sorgen, dass
dort auch Menschen mit Migrationshintergrund einen Platz finden.
Der Verbandsvorsitzende bedauert, dass Menschen mit
Migrationsgeschichte im Koalitionsvertrag lediglich da erwähnt werden, wo es um
die Gewinnung von Soldaten geht, nicht aber bei der Förderung von
Führungskräften. Von Muslimen sei gar nicht die Rede, kritisiert er. Der Islam
komme ausschließlich im negativen Kontext vor.
Einseitige Darstellung von Muslimen
So sieht es auch der Zentral der Muslime in Deutschland
(ZMD). Ein zentraler Teil der Gesellschaft bleibe im Koalitionsvertrag
unerwähnt: Musliminnen und Muslime. Besonders gravierend sei das vollständige
Fehlen einer expliziten Benennung von antimuslimischem Rassismus. Muslimisches
Leben werde im Vertrag nicht einmal erwähnt. Stattdessen tauche der Begriff
„Islam“ ausschließlich im Zusammenhang mit Islamismusbekämpfung und
Sicherheitsbedrohung auf. „Diese einseitige Darstellung transportiert ein
verzerrtes Bild – und setzt ein falsches politisches Signal“, heißt es in einer
Erklärung des ZMD.
Die TGD-Co-Vorsitzende, Aslihan Yesilkaya-Yurtbay, sagte, es
sei gut, dass ein klares Bekenntnis zum bedingungslosen Schutz von Jüdinnen und
Juden in Deutschland in den Koalitionsvertrag aufgenommen worden sei.
„Angesichts der explodierenden Zahlen im Bereich der rassistischen Übergriffe
hätte ich mir gewünscht, dass auch Schwarze Menschen, Muslime und Sinti und
Roma eine vergleichbare Berücksichtigung im Text erfahren“. Was ihr noch mehr
fehle, sei „ein überzeugendes sicherheitspolitisches Konzept gegen Rechtsextremismus,
das uns allen das Gefühl vermittelt, wir können in Deutschland eine sichere
Zukunft planen“. (epd/dpa/mig 11)
Lagerbildung im Klassenzimmer
schadet Integration
München – Stehen sich in Schulklassen zwei gleich große
Gruppen von Schüler*innen mit und ohne Migrationshintergrund gegenüber, leidet
der soziale Zusammenhalt. Das zeigt ein groß angelegtes Feldexperiment an
deutschen Schulen, dessen Ergebnisse nun im ifo Schnelldienst veröffentlicht
wurden. „Ob kulturelle Vielfalt in Schulklassen den sozialen Zusammenhalt
stärkt, hängt entscheidend von der Form der Diversität ab“, sagt ifo-Forscher
Helmut Rainer.
Die Studie untersucht, wie die Zusammensetzung der Klasse
die Bereitschaft zur Kooperation zwischen Schüler*innen mit und ohne
Migrationshintergrund beeinflusst. Das Ergebnis: Vertrauen und
Kooperationsbereitschaft sind besonders hoch, wenn es in einer Klasse viele
kleinere Herkunftsgruppen gibt, oder wenn die klare Mehrheit keinen
Migrationshintergrund hat. „Für den sozialen Zusammenhalt ist entscheidend,
dass in Klassenzimmern keine zwei kulturellen Fronten entstehen“, sagt
Rainer.
Die Studienautor*innen empfehlen, in kulturell polarisierten
Schulklassen gezielte Maßnahmen zu ergreifen, um Vertrauen und Kooperation zu
stärken. „Eine Möglichkeit wäre es, Lehrpläne stärker auf Inklusion
auszurichten und interkulturelle Kompetenzen stärker zu fördern“, sagt Rainer.
„Auch organisatorische Maßnahmen wie eine zufällige Sitzplatzvergabe könnten
helfen, Gruppenstrukturen innerhalb der Klasse aufzubrechen und interkulturelle
Freundschaften zu erleichtern.“
Die Ergebnisse beruhen auf einem Experiment mit 4.214
Schüler*innen der 9. und 10. Jahrgangsstufe in insgesamt 222 Klassen. Dabei
investierten die Jugendlichen reale Geldbeträge in anonyme Jugendliche entweder
aus der eigenen oder einer anderen Herkunftsgruppe – ein bewährter Test zur
Messung von Vertrauen und Kooperation.
Aufsatz: „Migration, Diversität und sozialer Zusammenhalt:
Welche Rolle spielen Schulen“, von Dan Anderberg, Gordon B. Dahl, Christina
Felfe, Helmut Rainer und Thomas Siedler, in: ifo Schnelldienst 4/2025:
https://www.ifo.de/publikationen/2025/aufsatz-zeitschrift/gesellschaftliche-vielfalt
Ifo 11
Interviews . „Wir werden nicht
tatenlos zusehen“
Der Vorsitzende des Handelsausschusses im EU-Parlament Bernd
Lange über Trumps Zölle, Europas Antwort und eine neue Ära der Weltwirtschaft.
Die Fragen stellte Philipp Kauppert.
Herr Lange, viele Beobachter haben in den vergangenen Tagen
vom Beginn eines „Handelskriegs“ gesprochen. Was möchte US-Präsident Trump mit
seinen drastischen Zöllen erreichen?
Wir haben es hier nicht mit einem normalen
handelspolitischen Streit zu tun, sondern mit einer geopolitisch motivierten
Offensive. Donald Trump nutzt Zölle nicht als temporäres Instrument zur
Marktregulierung, sondern als machtpolitisches Mittel. Sein Ziel ist es, die
wirtschaftliche Wettbewerbsfähigkeit Europas systematisch zu untergraben – im
Rahmen seines America First-Kurses. Diese Maßnahmen sind kalkuliert, breit
angelegt und hochgradig politisiert.
Wenn der US-Präsident den Tag der Zollankündigung als
Liberation Day bezeichnet, ist das eine rhetorische Kriegserklärung. Ich
nenne ihn den „Tag der Willkür“, weil hier wirtschaftliche Einschüchterung
betrieben wird – nicht im Rahmen eines fairen, regelbasierten Systems, sondern
im Gutsherrenstil. Europa muss das sehr ernst nehmen. Das ändert sich auch
nicht durch die Tatsache, dass die Zölle in einer Kehrtwende doch wieder für 90
Tage ausgesetzt wurden.
Was trifft Europa und insbesondere die deutsche
Exportindustrie am stärksten? Welche Bereiche müssen nun fürchten, dass
Arbeitsplätze verloren gehen?
Das Ausmaß der Zölle ist beispiellos. Derzeit gelten zehn
Prozent zusätzliche Zölle auf fast alle europäischen Waren. Und diese könnten
in 90 Tagen auf 20 Prozent verdoppelt werden. Gleichzeitig haben wir 25 Prozent
Zölle auf Stahl, Aluminium und Derivate sowie sehr hohe Zölle auf Autos und
Autoteile. Präsident Trump hat außerdem angekündigt, dass weitere Zölle auf
Halbleiter und pharmazeutische Produkte kommen könnten. Wie Sie sehen können,
betreffen diese Zölle alle Schlüsselsektoren der europäischen Wirtschaft. Für
Deutschland, dessen Wohlstand auf internationaler Wettbewerbsfähigkeit beruht,
ist dies ein direkter Angriff auf sein industrielles Rückgrat.
Die Folgen sind nicht abstrakt. Wenn zum Beispiel
europäische E-Autos mit einem 25-prozentigen Zoll belegt werden, verliert ein
mittelständischer Zulieferer aus dem Sauerland seinen US-Kunden. Wenn
Chemierohstoffe aus Europa nicht mehr wettbewerbsfähig sind, geraten ganze
Wertschöpfungsketten ins Wanken. Das bedeutet im Zweifelsfall
Produktionsverlagerungen, Investitionsstopps – und ja, auch
Arbeitsplatzverluste. Besonders perfide ist, dass sich die US-Maßnahmen nicht
nur gegen Großkonzerne richten, sondern auch mittelständische Unternehmen
betreffen, die keine Diversifizierungsmöglichkeiten haben. Umso wichtiger ist
es, dass wir als Europäische Union weiterhin geschlossen reagieren und
verlässlichen Schutz bieten.
Wie wird die Antwort der Europäischen Union aussehen? Welche
Gegenmaßnahmen der EU-Kommission sind nun aktuell in der Vorbereitung?
Die Europäische Union ist vorbereitet – und das nicht erst
seit gestern. Die EU-Kommission hat in den letzten Jahren umfangreiche
Kriseninstrumente entwickelt, wie zum Beispiel das Anti-Coercion Instrument,
das es ermöglicht, gezielt auf wirtschaftliche Nötigung durch Drittstaaten zu
reagieren. Dieses Instrument ist nun einsatzbereit.
Gleichzeitig führt die EU-Handelsdirektion detaillierte
Analysen der Auswirkungen auf einzelne Sektoren durch. Auf dieser Grundlage
können wir ganz gezielt Gegenmaßnahmen ergreifen – etwa Strafzölle auf
US-Produkte mit starker politischer oder wirtschaftlicher Relevanz. Dabei geht
es nicht um Vergeltung um der Vergeltung willen, sondern um Verhältnismäßigkeit
und Wirksamkeit. Wir wollen keine unnötige Eskalation, aber wir dürfen auch
keine Schwäche zeigen. Ich denke auch, dass wir im aktuellen Kontext mit Nachdruck
die Debatte über eine offene strategische Autonomie führen müssen. Es reicht
nicht aus, kurzfristig gegen Zölle vorzugehen. Wir müssen strukturelle
Maßnahmen ergreifen, um sicherzustellen, dass wir in kritischen Bereichen –
Energie, Rohstoffe, Digitalisierung – in Zukunft weniger verwundbar sind.
Welche anderen Handlungsoptionen gibt es auf europäischer
Seite? Was bedeutet dies für den Handel mit anderen Regionen, etwa China oder
Asien insgesamt?
Die Diversifizierung ist ein zentrales Element unserer
Strategie. In den letzten Jahren hat die EU eine neue Generation von
Handelsabkommen abgeschlossen: mit Kanada (CETA), Japan (JEFTA), Vietnam,
Neuseeland und hoffentlich bald auch mit dem Mercosur. Diese Abkommen helfen
uns, Absatzmärkte zu sichern, strategische Partnerschaften zu stärken und
unsere Abhängigkeit von den USA zu verringern.
Gleichzeitig wächst in Europa das Bewusstsein, dass die
Handelsbeziehungen nicht naiv geführt werden dürfen. China ist ein wichtiger
Wirtschaftspartner, aber auch ein systemischer Konkurrent. Hier muss klar
zwischen Kooperation und Abgrenzung unterschieden werden. Wir müssen in der
Lage sein, die Interessen der europäischen Unternehmen noch besser zu schützen
– gerade auf Märkten, auf denen es keine gleichen Wettbewerbsbedingungen gibt.
Ein weiterer wichtiger Bereich ist die internationale Koalitionsbildung. Die
USA isolieren sich mit ihrer Zollpolitik. Europa hingegen kann mit Ländern im
Globalen Süden, mit ASEAN-Staaten oder lateinamerikanischen Demokratien,
gemeinsame Standards und nachhaltige Wirtschaftsbeziehungen entwickeln. Das ist
ein geopolitischer Vorteil, den wir nutzen müssen.
Und wie sind unsere Aussichten mittelfristig? Sind wir stark
von den USA abhängig, oder könnten wir aus dieser Krise sogar gestärkt
hervorgehen?
Krisen sind immer ein Weckruf. Die transatlantische
Partnerschaft ist wichtig, sie hat historische Tiefe und strategische Bedeutung
– aber sie darf nie eine Einbahnstraße sein. Wenn die USA einseitig agieren,
muss Europa auf Augenhöhe reagieren. Die gute Nachricht ist, dass wir in den
letzten Jahren bereits viele Schritte unternommen haben, um unsere
Widerstandsfähigkeit zu stärken – im Energiesektor, bei der Digitalisierung,
bei den Lieferketten. Diesen Weg müssen wir nun konsequent weiterverfolgen.
Mittelfristig liegt unsere Chance darin, zu zeigen, dass
Europa nicht nur regulieren, sondern auch gestalten kann. Eine kohärente
Industriepolitik, gepaart mit einer wertebasierten Handelspolitik, kann Europa
global positionieren – nicht als Juniorpartner, sondern als eigenständiger
Akteur. Darüber hinaus werden europäische Werte – Demokratie,
Rechtsstaatlichkeit, Nachhaltigkeit – zunehmend zu einem Standortvorteil.
Unternehmen in aller Welt suchen nach verlässlichen Partnern. Wenn es uns
gelingt, Transparenz, Sicherheit und Innovationskraft zu verbinden, dann kann
Europa sogar gestärkt aus dieser Debatte hervorgehen.
Abschließend: Wird es zu einem vollständigen Bruch im
transatlantischen Verhältnis kommen?
Ich hoffe nicht. Wir dürfen aber auch nicht die Augen davor
verschließen, dass wir in eine neue Ära der Weltwirtschaft eintreten. Die
Verlässlichkeit der traditionellen Partner bröckelt, geopolitische
Machtverschiebungen sind eine Realität. Wir müssen uns darauf einstellen, dass
die Interessenkonflikte zunehmen – nicht nur mit den USA, sondern auch mit
China, Indien und anderen aufstrebenden Akteuren.
Dennoch teilen die Gesellschaften in den USA und in Europa
immer noch viele grundlegende Werte. Es liegt an uns, diese Basis zu bewahren.
Dies kann nur durch Dialog, aber auch durch Standhaftigkeit geschehen. Wir sind
gesprächsbereit, aber wir werden uns nicht einschüchtern lassen. Die
Europäische Union ist heute wirtschaftlich, politisch und institutionell so
stark wie nie zuvor. Jetzt kommt es darauf an, diese Stärke zu zeigen –
umsichtig, aber entschlossen. IPG 11
Vatikan bei UN-Sitzung zu
Entwicklung: Gesundheit und Sicherheit für alle
Erzbischof Gabriele Giordano Caccia, Ständiger Beobachter
des Heiligen Stuhls bei den Vereinten Nationen (UN) , hat für einen
ganzheitlichen Ansatz zur Sicherstellung eines gesunden Lebens und der
Förderung des Wohlbefindens aller Menschen plädiert. Der Vatikan-Diplomat
äußerte sich anlässlich der 58. Generaldebatte der UN-Kommission für
Bevölkerung un Entwicklung am 8/9. April in New York.
Die Tagung war dem Thema „Sicherstellung eines gesunden
Lebens und Förderung des Wohlergehens aller Menschen in jedem Alter“ gewidmet.
Erzbischof Caccia fphrte, laut vom Vatikan verbreiteten Redemanuskript, in
seinem Vortrag aus, dass die Sicherstellung eines gesunden Lebens und die
Förderung des Wohlbefindens „nicht nur auf die Lösung technischer
Probleme" reduziert werden dürften. Vielmehr brauche es einen
ganzheitlichen Ansatz, „der die Verflechtung aller Aspekte der menschlichen
Entwicklung anerkennt. Dieser Ansatz muss den Vorrang der menschlichen Person
und ihrer gottgegebenen Würde in jeder Lebensphase anerkennen. Indem man sich
auf die ganzheitliche Entwicklung der menschlichen Person konzentriert, können
die Voraussetzungen dafür geschaffen werden, dass Einzelne und Gemeinschaften
in allen Aspekten des Lebens aufblühen können."
„Vorrang der menschlichen Person und ihrer gottgegebenen
Würde in jeder Lebensphase anerkennen“
Auch wenn es „erhebliche Fortschritte" bei der
Verbesserung der Gesundheit und des Wohlergehens der Bevölkerung in den letzten
Jahrzehnten gebe, bereite dem Heiligen Stuhl „ernste Sorge", dass es nach
wie vor gesundheitliche Herausforderungengebe - : „insbesondere für die am
stärksten gefährdeten Bevölkerungsgruppen. Die Kindersterblichkeit ist in
vielen Regionen nach wie vor unannehmbar hoch, wobei jedes Jahr Millionen von
Kindern unter fünf Jahren an vermeidbaren Ursachen wie Unterernährung und
Infektionskrankheiten sterben. Auch die Müttersterblichkeit ist nach wie vor zu
hoch, wobei die Fortschritte seit 2015 stagnieren", führte Erzbischof
Caccia aus.
Familie ins Zentrum stellen
Besonders betonte der Vatikanvertreter auch die Bedeutung
der Familie, „als natürliche und grundlegende Einheit der Gesellschaft".
Sie spiele eine „unverzichtbare Rolle bei der Gewährleistung eines gesunden
Lebens und der Förderung des Wohlbefindens". Daher müsse die Familie auch
im Zentrum der Bemühungen stehen, forderte der Diplomat.
„Der Heilige Stuhl ruft dazu auf, politischen Maßnahmen, die
die Familien stärken und unterstützen, Vorrang einzuräumen“
„Der Heilige Stuhl ruft dazu auf, politischen Maßnahmen, die
die Familien stärken und unterstützen, Vorrang einzuräumen, da er anerkennt,
dass die Familien der Eckpfeiler einer gesunden und blühenden Gesellschaft
sind. Eine Politik, die die Stabilität, die Einheit und die Rechte der Familie
aufrechterhält, schafft die Voraussetzungen für das Wohlergehen aller ihrer
Mitglieder und fördert das Gemeinwohl. Um ein gesundes Leben zu gewährleisten
und das Wohlergehen zu fördern, ist es daher erforderlich, die Familie in den
Mittelpunkt all dieser Bemühungen zu stellen. "
Ungleichheit beenden
Der Heilige Stuhl sei auch angesichts weiterhin bestehender
großer Ungleichheiten in Sorge, so Caccia. Zwischen Entwicklungsländern und
Industrienationen gebes es große Unterschiede und Ungerechtigkeiten: „Der
Zugang zur Gesundheitsversorgung ist nach wie vor ungleich, und Millionen von
Menschen in Ländern mit niedrigem Einkommen können sich nicht einmal die
grundlegendste medizinische Versorgung leisten oder erhalten", führte der
Erzbischof aus.
„Nicht nur eine wirtschaftliche Ungerechtigkeit, sondern
auch ein moralischer Skandal, der dringend Maßnahmen erfordert“
„Diese Ungleichheit wird durch die erdrückende Schuldenlast
der Entwicklungsländer noch verschärft. Es ist alarmierend, dass viele
Entwicklungsländer mehr Geld für den Schuldendienst ausgeben als für wichtige
Investitionen in Armutsbekämpfung, Gesundheitsversorgung, Ernährung, sauberes
Wasser und andere Grundbedürfnisse, die für die Gesundheit und das Wohlergehen
ihrer Bevölkerung notwendig sind. Dies ist nicht nur eine wirtschaftliche
Ungerechtigkeit, sondern auch ein moralischer Skandal, der dringend Maßnahmen
erfordert."
Erinnerung an Schuldenerlass-Aufruf zum Heiligen Jahr
Erzbischof Caccia nutze seinen Beitrag in New York auch, um
noch einmal alle daran zu erinnern, dass Papst Franziskus anlässlich des
Heiligen Jahrs, das die katholische Kirche im Jahr 2025 begeht, reiche Nationen
zu Schuldenerlassen für Entwicklungsländer aufgerufen hat. „Ein sinnvoller
Schuldenerlass würde den Entwicklungsländern den finanziellen Spielraum
verschaffen, um wichtige Investitionen auch im Gesundheitsbereich zu tätigen.
Ein solcher Akt der Solidarität würde dazu beitragen, ein gesundes Leben und
Wohlbefinden für alle Menschen in jedem Alter zu gewährleisten", schlug
der VAtikan-Diplomat einen bogen zum Thema der UN-Sitzung. Caccia erinnerte
zudem an die angeborene Würde eines jeden Menschen, die den Schutz des
menschlichen Lebens von Beginn bis zum natürlichen Tode erfordere. (vn 10)
Koalitionäre einig. Aus für
Turbo-Einbürgerung, Aus für Familiennachzug, Aus für Bürgergeld
Die Union hat die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts
scharf kritisiert. Jetzt wird die Neuregelung in einem Punkt zurückgenommen.
Änderungen gibt es auch beim Familiennachzug zu Geflüchteten. Und für Ukrainer
soll es künftig kein Bürgergeld mehr geben.
Die von der Ampel-Regierung eingeführte beschleunigte
Einbürgerung besonders gut integrierter Zuwanderer soll wieder abgeschafft
werden. Darauf haben sich CDU, CSU und SPD bei ihren Koalitionsverhandlungen
geeinigt. Die von SPD, Grünen und FDP verabschiedete Reform des
Staatsangehörigkeitsrechts ermöglicht es Menschen, die besondere
Integrationsleistungen erbracht haben, seit dem 27. Juni 2024, nach drei Jahren
einen Antrag auf Einbürgerung zu stellen.
Voraussetzungen für die schnellere Einbürgerung sind gute
Leistungen in Schule oder Job, hervorragende Sprachkenntnisse oder
ehrenamtliches Engagement. Diese von der Union als „Turbo-Einbürgerung“
geschmähte Möglichkeit soll nun gestrichen werden.
An der Reduzierung der Wartefrist für normale Einbürgerungen
von acht auf fünf Jahre und an der Erlaubnis für den Doppelpass, die von der
Ampel ebenfalls beschlossen worden war, wollen CDU, CSU und SPD laut
Koalitionsvertrag aber festhalten. Zu den grundsätzlichen Voraussetzungen für
eine Einbürgerung zählt beispielsweise, dass jemand seinen Lebensunterhalt
grundsätzlich selbst bestreiten kann.
Kein deutscher Pass zweiter Klasse
Abstand genommen haben die Verhandler von CDU, CSU und SPD
von der bei den Sondierungsgesprächen noch diskutierten Idee, eingebürgerten
Menschen, die mehr als eine Staatsangehörigkeit haben, in bestimmten Fällen die
deutsche Staatsangehörigkeit wieder zu entziehen.
In dem Papier, das am Ende der Sondierungen veröffentlicht
worden war, hieß es noch: „Wir werden verfassungsrechtlich prüfen, ob wir
Terrorunterstützern, Antisemiten und Extremisten, die zur Abschaffung der
freiheitlich-demokratischen Grundordnung aufrufen, die deutsche
Staatsbürgerschaft entziehen können, wenn sie eine weitere Staatsangehörigkeit
besitzen.“ Davon ist jetzt nicht mehr die Rede. Migrantenverbände hatten empört
auf den Vorschlag reagiert und kritisiert, dies würde auf eine Art deutscher Staatsbürgerschaft
auf Probe hinauslaufen.
Im Koalitionsvertrag heißt es nun: „Wir prüfen
Änderungsbedarf bei Ausweisung auch bei öffentlicher Aufforderung zur
Abschaffung der freiheitlich-demokratischen Grundordnung.“ Dies würde dann nur
Ausländer betreffen, nicht deutsche Staatsbürger. Im Hinterkopf hatten einige
der Verhandler bei den Diskussionen über diesen Punkt unter anderem
Demonstrationen von sogenannten „Islamisten“, bei denen Teilnehmer die
vermeintlichen Vorzüge eines Kalifats gepriesen hatten.
Subsidiär Geschützte: Zwei Jahre ohne Familiennachzug
Änderungen soll es den Koalitionären zufolge auch in der
Flüchtlingspolitik geben. Geflüchtete mit eingeschränktem Schutzstatus sollen
zwei Jahre lang keine Familienangehörigen mehr nach Deutschland holen dürfen.
Der Familiennachzug für diesen Personenkreis soll nur noch in Härtefällen
erlaubt sein. Aktuell gilt für die Angehörigen von Menschen mit subsidiärem
Schutzstatus ein Kontingent von 1.000 Einreiseerlaubnissen pro Monat.
Nach den zwei Jahren soll dann geprüft werden, „ob eine
weitere Aussetzung der zuletzt gültigen Kontingentlösung im Rahmen der
Migrationslage notwendig und möglich ist“, heißt es in dem Vertragsentwurf. Die
Parteien müssen dem Vertrag nun noch zustimmen.
Für alle anderen Asylberechtigten und anerkannten
Flüchtlinge gab und gibt es keine Beschränkungen, was den Familiennachzug
betrifft. Grundsätzlich beschränkt sich dieser immer auf die sogenannte
Kernfamilie. Dazu zählen minderjährige Kinder und Ehepartner. Wer als
Minderjähriger unbegleitet nach Deutschland kommt, kann außerdem seine Eltern
nachholen.
CDU, CSU und SPD hatten sich bereits in den
Sondierungsgesprächen darauf geeinigt, den Familiennachzug zu subsidiär
Schutzberechtigten befristet auszusetzen. Wie lange dies gelten soll, stand
damals jedoch noch nicht fest. Zu den Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus
zählen viele Syrerinnen und Syrer.
Merz: Es wird Zurückweisungen geben
Man werde einen „neuen Kurs“ in der Migrationspolitik
einschlagen, sagte CDU-Chef Friedrich Merz bei der Vorstellung des
Koalitionsvertrags am Mittwoch in Berlin. Es werde Kontrollen an den
Staatsgrenzen und Zurückweisungen auch gegenüber Asylbewerbern geben.
Im Koalitionsvertrag heißt es wie schon im
Sondierungspapier, Zurückweisungen sollen „in Abstimmung mit den europäischen
Nachbarn“ erfolgen. Die Zurückweisung von Asylbewerbern an den Grenzen war
einer der zentralen Streitpunkte in der Migrationspolitik der vergangenen
Jahre. Rechtlich sind sie umstritten, weil nach dem Europarecht jeder
Mitgliedstaat verpflichtet ist, ein Asylbegehren zumindest auf die Frage hin zu
prüfen, welches Land zuständig ist.
Der Koalitionsvertrag hält auch fest, dass die Begrenzung
sogenannter irregulärer Migration wieder als Ziel im Aufenthaltsgesetz
festgeschrieben werden soll.
Kein Bürgergeld für neue Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine
Neuerungen gibt es auch für Kriegsflüchtlinge aus der
Ukraine. Sie sollen kein Bürgergeld mehr bekommen, sondern die geringeren
Leistungen für Asylbewerber. Darauf haben sich CDU, CSU und SPD verständigt. In
ihrem Koalitionsvertrag heißt es wörtlich: „Flüchtlinge mit Aufenthaltsrecht
nach der Massenzustrom-Richtlinie, die nach dem 01.04.2025 eingereist sind,
sollen wieder Leistungen nach dem Asylbewerberleistungsgesetz erhalten, sofern
sie bedürftig sind.“
Die Bedürftigkeit müsse zudem durch konsequente und
bundesweit einheitliche Vermögensprüfungen nachgewiesen werden. Der Bund werde
die durch die geplante Änderung bei den Ländern und Kommunen entstehenden
Mehrkosten tragen.
Ukraine-Flüchtlinge müssen kein Asyl beantragen
Seit 2022 gilt für ukrainische Kriegsflüchtlinge EU-weit die
sogenannte „Massenzustrom-Richtlinie“. Das bedeutet, dass sie einen
Aufenthaltsstatus erhalten, ohne einen Asylantrag stellen zu müssen. Die
Flüchtlinge aus der Ukraine haben in Deutschland seit dem 1. Juni 2022, wenn
sie nicht selbst für ihren Lebensunterhalt sorgen können, Anspruch auf
Bürgergeld. Jetzt soll sich das ändern. Diejenigen, die schon länger in
Deutschland sind, betrifft diese geplante Änderung nicht.
Die Geltungsdauer der EU-Richtlinie für die
Ukraine-Flüchtlinge war bis März 2026 verlängert worden. Aktuell leben rund
1,25 Millionen Geflüchtete aus der Ukraine in Deutschland. Mehr als 60 Prozent
der Menschen aus der Ukraine, die hierzulande Zuflucht gesucht haben, sind
Frauen und Mädchen. Die Zahl der Menschen, die im Kontext des Krieges aus der
Ukraine nach Deutschland geflüchtet sind, hatte zuletzt wieder leicht
zugenommen.
Linke: Koalitionsvertrag Dokument der Entsolidarisierung
Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im
Bundestag, sieht den Koalitionsvertrag als „Dokument der Entsolidarisierung und
ein Armutszeugnis für alle, die ihn unterschrieben haben“. Er trage die
Handschrift der AfD und einer fortschreitenden autoritären Wende, wie sie auch
in Ungarn und den USA zu beobachten sei.
„Wer Schutzsuchende an den Grenzen zurückweisen, den
Familiennachzug aussetzen und Abschiebungen nach Afghanistan ermöglichen will,
stellt sich offen gegen den Rechtsstaat und die Menschenrechte,“ erklärt
Bünger. Man erkenne, dass sich in wie vielen Punkten die Union durchsetzen
konnte. (dpa/epd/mig 10)
Vatikan/UNO: Logik der Abschreckung
durchbrechen
Erzbischof Gabriele Caccia, Ständiger Beobachter des
Heiligen Stuhls bei den Vereinten Nationen, hat bei der UN-Abrüstungskommission
am 8. April eindringlich vor der Eskalation weltweiter Rüstungsdynamiken
gewarnt. In seiner Rede betonte er die Notwendigkeit, die Spirale von
Misstrauen, Aufrüstung und nuklearer Abschreckung zu durchbrechen – und
plädierte für einen weltweiten Konsens zur Entwaffnung. Mario Galgano –
Vatikanstadt
„Die Förderung von Atomwaffen bietet nur die Illusion von
Frieden“, erklärte Erzbischof Gabriele Caccia in seiner Ansprache vor der
UN-Abrüstungskommission in New York. Der Vertreter des Heiligen Stuhls zeigte
sich angesichts global wachsender Spannungen und zunehmender militärischer
Lösungen alarmiert: „Furcht ist zur Triebfeder zahlreicher
Verteidigungspolitiken geworden.“
Mit einem Zitat aus der Enzyklika Pacem in Terris von Papst
Johannes XXIII. erinnerte Caccia daran, dass Aufrüstung auch in der heutigen
Zeit einen gefährlichen Wettlauf in Gang setzt: Wenn ein Land seine
militärische Stärke erhöhe, folgten andere aus Angst oder Konkurrenzdenken –
ein Teufelskreis, der langfristigen Frieden verhindere.
Gefahr eines Atomkriegs
Angesichts der erneut drohenden Gefahr eines Atomkriegs rief
der Vatikan eindringlich zur Abrüstung auf. Caccia betonte: „Die humanitären
und ökologischen Folgen des Einsatzes von Nuklearwaffen wären katastrophal –
für jetzige wie für künftige Generationen.“ Deshalb forderte der Heilige Stuhl
die Staaten auf, dem Vertrag über das Verbot von Kernwaffen (TPNW) beizutreten
und die bevorstehenden Verhandlungen im Rahmen des Nichtverbreitungsvertrags
(NPT) konstruktiv und vertrauensvoll zu führen.
Ein weiterer Schwerpunkt der Rede lag auf neuen Technologien
und der zunehmenden Militarisierung von künstlicher Intelligenz. Hier mahnte
Caccia, ein internationales rechtliches Rahmenwerk zu schaffen, um
„existenziellen Risiken durch den Missbrauch neuer Technologien vorzubeugen“.
Die UN-Abrüstungskommission könne durch Prinzipien und Empfehlungen einen
Beitrag zu künftigen bindenden Regelungen leisten.
Dialog fördern... auch mit unbequemen Gesprächspartner
Zum Abschluss seiner Rede zitierte Caccia Papst Franziskus
mit einem Appell an die Diplomatie: „Die Berufung der Diplomatie ist es, den
Dialog mit allen Parteien zu fördern – auch mit jenen, die als unbequeme
Gesprächspartner gelten. Nur so lassen sich die Ketten von Hass und Rache
sprengen.“
Mit Blick auf eine Welt, in der Egoismus, Stolz und
nationale Eigeninteressen oft im Zentrum politischen Handelns stünden,
bekräftigte der Vatikan seine feste Überzeugung: „Wahrer Frieden kann nur durch
Dialog, Vertrauen und globale Zusammenarbeit entstehen – nicht durch Drohungen
oder Waffen.“ (vn 9)
Erzbischof Broglio: „Ein
schmerzlicher Schnitt“
Zollgebühren, Konflikte und Flüchtlingspolitik: Die
Trump-Regierung sorgt derzeit für Schlagzeilen und bei manchen für rote Köpfe.
Nach Jahrzehnten der Zusammenarbeit hat die US-Bischofskonferenz beschlossen,
ihre staatlichen Kooperationsverträge zur Flüchtlings- und Jugendhilfe nicht zu
verlängern. Wie Erzbischof Timothy Broglio erklärte, markiert diese
Entscheidung das Ende einer „lebenswichtigen Partnerschaft“ – doch das
Engagement der Kirche für Migranten und Schutzsuchende bleibt bestehen. Mario
Galgano
Die katholische Bischofskonferenz der Vereinigten Staaten
(USCCB) hat ihre Entscheidung bekannt gegeben, die bisherigen
Kooperationsverträge mit der US-Regierung im Bereich Flüchtlingshilfe und
Kinderprogramme auslaufen zu lassen. In einer Erklärung vom 7. April begründete
der Vorsitzende der US-Bischofskonferenz, Erzbischof Timothy Broglio, diesen
Schritt mit der Aussetzung der Umsiedlungsvereinbarungen durch die Regierung,
was zu einer „drastischen Reduzierung“ der Hilfsprogramme geführt habe.
„Die Entscheidung der Regierung zwingt uns, die Art und
Weise zu überdenken, wie wir auf die Bedürfnisse derer reagieren, die vor
Gewalt und Verfolgung fliehen“, heißt es auf der Website der USCCB. Die
Bischofskonferenz betont, man werde versuchen, alternative Wege zu finden, um
denjenigen weiterhin zu helfen, die bereits von den bestehenden Programmen
profitieren.
Eine Zäsur nach jahrzehntelanger Partnerschaft
Die USCCB spricht von einem „schmerzlichen Ende“ einer
Kooperation, die über viele Jahre hinweg Regierungen beider politischer Lager
umfasst hatte. Trotzdem bleibt die katholische Kirche in den USA weiterhin
aktiv in der Unterstützung von Geflüchteten, etwa über caritative Dienste vor
Ort. „Wir werden uns auch weiterhin für politische Reformen einsetzen, die
geordnete und sichere Einwanderungsprozesse gewährleisten“, sagte Broglio.
„Die Kirche kann immer ein Ort sein, an dem Gegner sich
treffen und zumindest reden können.“
Im Interview mit diözesanen Medien betonte der Erzbischof
die Bedeutung des Dialogs. Gerade in einer Zeit globaler Konflikte – etwa in
der Ukraine oder im Nahen Osten – sei die Kirche gefordert, Räume für
Begegnung, Zuhören und Verständigung zu schaffen. „Die Kirche kann immer ein
Ort sein, an dem Gegner sich treffen und zumindest reden können.“
Spannungsverhältnis zur Biden-Regierung
Auf Fragen zur Zusammenarbeit mit der früheren Regierung
Biden äußerte sich Broglio kritisch, insbesondere mit Blick auf deren Haltung
zur Abtreibung: „Es war sehr schwer für mich zu verstehen, wie Präsident Biden
– selbst Katholik – einige dieser Positionen vertreten kann“, sagte der
Erzbischof. Die USCCB betrachte Lebensschutz, Religionsfreiheit und
Gewissensfreiheit als zentrale Anliegen.
Einsatz für Mütter in Not und Glaubensbildung
Lobend äußerte sich Broglio über das Programm Moms in Need,
das schwangeren Frauen Hilfe anbietet, sowie über die Initiative der
Eucharistischen Wiederbelebung. Letztere solle das Verständnis für das
Sakrament der Eucharistie vertiefen und junge Menschen stärker an Christus
binden. „Das ist ein fortlaufendes Projekt“, so der Bischof, das langfristig
angelegt sei.
Besondere Hoffnung schöpft Broglio aus dem Glauben und dem
Engagement junger Katholikinnen und Katholiken in den USA. Seine eigene
Diözese, das US-amerikanische Militärordinariat, ist demografisch die jüngste
in den Vereinigten Staaten. „Diese Generation ist begeistert, will lernen und
hat viel zu bieten“, erklärte er.
„Diese Generation ist begeistert, will lernen und hat viel
zu bieten.“
„Die Kirche gehört Christus“
Trotz aller Herausforderungen bleibt der Erzbischof
zuversichtlich: „Am Ende gehört die Kirche Jesus Christus“, zitierte Broglio
den heiligen Johannes XXIII. In dieser Gewissheit will die US-Kirche ihren
Dienst fortsetzen – für Menschen in Not, für das Leben und für den
Glauben. usccb9
Hackordnung in Deutschland. Edelausländer
– und andere
„Gute“ Migranten, „schlechte“ Migranten: Deutschland
sortiert und bestimmt, wer aufsteigt, wer unten bleibt. Diese Hackordnung
sortiert nach Wert und Nützlichkeit – und wer nicht unten steht, macht mit. Von
Kiflemariam Gebre Wold
„Ausländer“, „Menschen mit Migrationshintergrund“,
„diasporische Community“. Mittlerweile gibt es viele Begriffe, die verwendet
werden, um migrantische Menschen zu benennen. Doch keiner der Begriffe gibt
Rückschlüsse auf die bestehende „Hackordnung“ zwischen den migrantischen
Communitys. Dabei war und ist die „Hackordnung“ – wie ich sie nenne – ein
ständiger Begleiter von Menschen, die aus aller Welt für Ausbildung oder Arbeit
nach Deutschland kamen und als Angehörige ihrer Communitys von der Mehrheitsgesellschaft
hierarchisiert wurden.
Nach dem Zweiten Weltkrieg waren die Deutschen ganz schön
überrascht, als sie feststellten, dass nicht mehr sie – die einstigen
„Herrenmenschen“ – das Sagen hatten, sondern die Besatzungsmächte, allen voran
die wirtschaftlich überlegenen Amerikaner. Diese mutierten im
Nachkriegsdeutschland zu „Edelausländern“, bei denen viele Deutsche froh waren,
Arbeit zu finden. Die Situation änderte sich rasch und grundlegend. Deutschland
wurde gebraucht, um dem Stalinismus zu begegnen. Die USA ließen ihre Programme zur
Entnazifizierung mehr oder weniger auslaufen. Die Agenda der neuen Zeit war
klar: Die deutsche Wirtschaft wurde hochgefahren – als Gegenmodell zum Osten –
und der Wiederaufbau wurde allem untergeordnet. Das bedeutete auch, dass für so
einen wirtschaftlichen Aufschwung Ex-Nazis zu Fachkräften avancierten und sich
nahtlos in die bundesrepublikanische Gesellschaft reintegrieren konnten.
„Klar ist, die Anwerbung von Arbeitskräften war ein Akt, der
ausschließlich aus eigenem Interesse betrieben wurde, damals wie heute.“
Die ökonomische Lage erforderte eine große Anzahl an
Arbeitskräften. Im Jahr 1955 kamen die ersten italienischen „Gastarbeiter“ nach
Deutschland. Das war das Ergebnis eines bilateralen Anwerbeabkommens zwischen
Deutschland und Italien. Der industrielle Boom erforderte weitere
Anwerbeabkommen mit den Ländern Spanien/Griechenland (1960), Türkei, Marokko,
Portugal, Tunesien und Jugoslawien (1968). Insbesondere nach der schleichenden
und dann abrupten Schließung der Grenze zwischen der DDR und Westdeutschland war
Deutschland dringend auf „Fremdarbeiter“ und „Gastarbeiter“ aus dem Ausland
angewiesen, um das Wirtschaftswunder abzusichern. Hinzu kam, dass das Land
enorme Summen brauchte, um Reparationskosten zu zahlen. Klar ist, die Anwerbung
von Arbeitskräften war ein Akt, der ausschließlich aus eigenem Interesse
betrieben wurde, damals wie heute.
Alles, was dem Herkunftsdeutschen fehlte, schienen die
Italiener zu haben. Leichtigkeit, Eleganz, Wetter, kulinarische Vielfalt. Sie
wurden trotz existierender Diskriminierung zu Edelausländern. In der Frühphase
der Arbeitsmigration hatten auch die Griechen und Spanier eine besondere
Position. Sie kamen aus christlichen Ländern und galten im Falle Griechenlands
als Quelle der Philosophie. Als orthodoxe Christen gründeten sie ihre eigenen
Kirchen oder durften vorhandene Kirchen mitnutzen. Die Spanier wurden von der
katholischen Kirche unterstützt und in einigen Städten wurden spanische
Arbeiterkantinen eröffnet. Griechenland tritt 1981 und Spanien fünf Jahre
später in die EU ein. Damit wurden sie EU-Bürger und -zumindest nominell – zu
Edelausländern.
„Für türkische Arbeitsmigranten galt eine religiöse und
kulturelle Barriere. Hier begann das Ranking der Aufnahmegesellschaft im vollen
Umfang durchzuschlagen.“
Für türkische Arbeitsmigranten galt eine religiöse und
kulturelle Barriere. Hier begann das Ranking der Aufnahmegesellschaft im vollen
Umfang durchzuschlagen. Neben Türken wurden auch Marokkaner, Tunesier und
teilweise auch Jugoslawen zuerst als Moslems wahrgenommen. Ihnen war es
unmöglich, Edelausländer zu werden. Ihre Religion, ihr Aussehen, der
Palästinakonflikt – alles wurde auf sie projiziert. Unabhängig von ihrem
persönlichen Status, ihrer Befähigung und Leistung wurden sie als Ausländer der
zweiten oder dritten Klasse gebrandmarkt. Das gleiche Schicksal ereilte
Ausländer afrikanischer Herkunft, die in den 60er Jahren fast ausschließlich
zur Ausbildung und zum Studium einreisten.
Das Leben der Gastarbeiter spielte sich in
Gastarbeiterlagern, Pardon, Wohnheimen, ab. Das war für alle Ausländer alles
andere als edel. Es war geprägt von „Heim-Arbeit-Bahnhof“. Die Trennung der
Wohnheime nach Herkunftsländern war keine Seltenheit und diente nicht nur dem
Zusammenwohnen gleichsprachiger Menschen. Es sollte auch Auseinandersetzungen
in den engen Baracken vorbeugen. Vor allem aber hatte diese Trennung einen
politisch gewollten „Nebeneffekt“. So war es nämlich viel schwieriger, über
Gastarbeitergruppen hinweg Annäherungen, Absprachen oder sogar Solidarität zu
schaffen. Das half, Arbeitskämpfe zu minimieren.
„Je nach Bedarf wurden einzelne Ausländergruppen aus
tatsächlicher oder imaginärer Nähe zur Mehrheitsgesellschaft in der Hackordnung
nach oben geschoben.“
Dieses System war ein elegantes Instrument der
Aufnahmegesellschaft, um Ausländer in Schach zu halten. Je nach Bedarf wurden
einzelne Ausländergruppen aus tatsächlicher oder imaginärer Nähe zur
Mehrheitsgesellschaft in der Hackordnung nach oben geschoben, dafür mussten
andere weichen. Für manche Ausländer, z.B. aus Bulgarien, Rumänien und vor
allem dem nicht-muslimischen Balkan, hatte die Hackordnung oberflächlich
Vorteile. Sie wurden als Teil des Abendlandes angesehen und als leichter
integrierbar. Solange es eine Schicht unter ihnen gab, wurden sie zumindest
zeitweise in Ruhe gelassen. Eine besonders perfide Rolle innerhalb der
Hackordnung kommt den Russlanddeutschen zu. Diese werden als „Bollwerk“ gegen
den Rest eingesetzt. Teile dieser Community nehmen diese Rolle an und agieren
als „Wachhund“ der Mehrheitsgesellschaft. Im Notfall sind sie die Pufferzone
zwischen uns und der Mehrheitsgesellschaft.
Eine besondere Gruppe von Gastarbeitern waren die
koreanischen Arbeitsmigranten, die Vietnamesen und japanische Investoren. Hier
wird das Ranking noch komplizierter. Auch die frühen koreanischen
Arbeitsmigranten sind in den 60er Jahren durch Anwerbeabkommen eingereist. Weil
die Mehrheitsgesellschaft ihnen „Fleiß“ zuschrieb, hatten sie einen halb-edlen
Status. Jahre später, als Korea sich als Wirtschaftsmacht etablierte,
avancierten sie zu Edelausländern und zogen fast gleich mit den Japanern, die
als Investoren auftraten und diesen Status schon ziemlich früh durchsetzten.
Die „Boatpeople“, die aus Vietnam immigrierten, blieben im
Bewusstsein Deutschlands Boatpeople, weil sie nur aus humanitären Gründen
hereingelassen wurden. Die vietnamesischen Kontraktarbeiter aus DDR-Zeiten
konnten ihren Status bei der Wiedervereinigung nicht verbessern, im Gegenteil.
Grundsätzlich sind Geflüchtete in der „Hackordnung“ auf der untersten Stufe –
abhängig davon, ob sie Muslime, Schwarz oder eher „hellhäutig“ sind. Für
Menschen aus Sri Lanka, die in den 80er Jahren geflüchtet waren, sind ihr Aussehen
und ihr „Asylant-Status“ damals wie heute ein Hindernis für einen
Edelausländer-Status, so das Urteil der Mehrheitsgesellschaft.
Dies war das Bild Deutschlands aus der Sicht vieler
Migranten:innen von Mitte der 50er bis ca. Mitte der 80er Jahre.1 Die Republik
hat sich zu einem Einwanderungsland entwickelt, ohne dass dies von den meisten
wahrgenommen, geschweige denn gewollt gewesen wäre. Teilweise unterlaufen die
Lebensentwürfe und -realitäten der migrantischen Community die „Hackordnung“.
Binationale Ehen sind keine Seltenheit. Auch die Globalisierung hinterlässt
ihre Spuren. Seit den letzten 15 Jahren arbeiten eine größere Zahl an Indern,
Osteuropäern und Kamerunern in modernen IT-Unternehmen. Sie verdienen besser
als Herkunftsdeutsche und wohnen in „Temporary Living“-Anlagen, in denen nicht
wenige mit ähnlichem Profil und Background wohnen. Sie spielen Cricket, haben
ihre Firmennetzwerke2 und treffen sich nach Feierabend in Kneipen. Sie, diese
Gruppe von IT-Spezialist:innen entziehen sich geschickt der Hackordnung der
Bundesrepublik Deutschland. Auch die reichen saudischen, omanischen,
emiratischen, bahrainischen und kuwaitischen Medizintouristen spielen in einer
anderen Liga.3 Sie werden hofiert, solange sie zahlen und sich nur kurzfristig
hier aufhalten.
„Wer aber glaubt, dauerhaft vom Status ‚Lieblingsausländer‘
profitieren zu können, hat Folgendes nicht bedacht: Sobald sich der Wind für
die eigene Gruppe dreht, setzt die Hackordnung wieder ein und verstärkt sogar
ihre Wirkung.“
Für viele andere, weniger privilegierte, ist und bleibt die
ordnende Macht der Hackordnung aktueller denn je. Sie funktioniert, aus einem
einfachen Grund: Die Mehrheitsgesellschaft setzt sie rigoros durch und einige
Mitglieder der migrantischen Community helfen bewusst mit. Die
Mehrheitsgesellschaft favorisiert immer wieder „Lieblingsausländer“, die diese
unfaire Hackordnung mehr oder weniger hinnehmen. Wer aber glaubt, dauerhaft vom
Status „Lieblingsausländer“ profitieren zu können, hat Folgendes nicht bedacht.
Denn sobald sich der Wind für die eigene Gruppe dreht, setzt die Hackordnung
wieder ein und verstärkt sogar ihre Wirkung. Eine solche Haltung mag zwar
bequem sein, sie führt geradewegs in die Selbstaufgabe.
Alle, die sich als diasporisch/migrantisch verstehen, müssen
ihren Beitrag leisten, um die Hackordnung aufzuweichen und vollends aufzuheben.
Denn die Mehrheitsgesellschaft wird nicht freiwillig, aus Einsicht oder aus
Nachsicht auf diese Hackordnung verzichten, weil sie ein billiges und scheinbar
effektives Ordnungsinstrument ist. Für den Einstieg in die Aufweichung der
Hackordnung haben wir vermutlich nur noch vier Jahre zur Verfügung. Wenn 2029
die AfD stärkste Fraktion im Bundestag wird, ist es zu spät.
1. Das Jahr 2015 mit der sog. Flüchtlingswelle – also ob die
Geflüchteten von damals ein Tsunami waren- wird in diesem Artikel nicht
behandelt.
2. Beispiel Bosch: Türkisches Forum Bosch, chinese@bosch,
Hispanics@Bosch, Asians@Bosch, AfricanAncestry@Bosch
3. Die Münchener Geschäftswelt hat sich gegen die bayerische
Staatsregierung gestellt, die ein Burka-/Nikabverbot durchsetzen wollte. (mig 9)
Deutschland hat Aufnahme von
UN-Flüchtlingen vorläufig ausgesetzt
Kritiker des Asylsystems fordern oft, über Schutzersuchen im
Ausland statt erst in Europa zu entscheiden. Solche Programme gibt es bereits.
Deutschland drückt jetzt allerdings auf die Pause-Taste. Die Linke übt scharfe
Kritik. Von Anne-Béatrice Clasmann und Christina Peters
Deutschland hat bei der Umsiedlung besonders
schutzbedürftiger Flüchtlinge einen vorübergehenden Aufnahmestopp verhängt. Mit
Verweis auf die laufenden Koalitionsverhandlungen von CDU, CSU und SPD werden
vorläufig keine Zusagen für neue Aufnahmen über das Resettlement-Programm mit
dem UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR) gemacht, wie Innenministerium und UNHCR der
Deutschen Presse-Agentur bestätigten.
Bis zu einer Entscheidung einer neuen Bundesregierung würden
alle Verfahren ausgesetzt und keine weiteren Anträge angenommen, heißt es in
einer Mitteilung des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge (Bamf) an das
UNHCR von Mitte März, die der dpa vorliegt. Nur Fälle, in denen die Verfahren
schon weit fortgeschritten seien, würden ausnahmsweise noch zugelassen.
Bundesregierung hatte jährlich 6.550 Aufnahmen zugesagt
Deutschland hatte dem Flüchtlingswerk und der EU-Kommission,
die die Aufnahmen finanziell unterstützt, für die Jahre 2024 und 2025 insgesamt
13.100 Plätze zugesagt. Davon sind nach Daten des UNHCR bislang 5.061 Menschen
eingereist. Darunter fallen auch die humanitären Aufnahmen syrischer
Flüchtlinge aus der Türkei, die EU und Türkei 2016 vereinbart haben.
Beim Resettlement-Verfahren, an dem Deutschland sich seit
2012 beteiligt, schlägt das UNHCR den Aufnahmestaaten besonders
schutzbedürftige Menschen vor, die weder in ihr Heimatland zurückkehren noch im
Erstaufnahmeland bleiben können. Deutsche Behördenvertreter führen dann
Befragungen und Sicherheitsüberprüfung noch vor Ort durch.
Wer aufgenommen wird, muss in Deutschland keinen Asylantrag
stellen, sondern bekommt einen Aufenthaltstitel für drei Jahre. Bei
erfolgreicher Integration ist später der Weg zur unbefristeten Niederlassung
möglich.
UNHCR hofft auf Fortsetzung unter neuer Bundesregierung
Neben dem Resettlement gibt es zusätzliche humanitäre
Aufnahmen, dazu zählen seit 2022 jährlich bis zu 12.000 Plätze für besonders
gefährdete Menschen aus Afghanistan. Union und SPD hatten in ihrem
Sondierungspapier festgelegt, freiwillige Bundesaufnahmeprogramme wie das für
Afghanistan so weit wie möglich zu beenden und keine neuen solchen Programme
aufzulegen.
Das UN-Flüchtlingswerk in Deutschland nimmt nach Angaben
eines Sprechers an, dass die neue Bundesregierung das Resettlement dennoch
weiterführen wird, auch wenn andere Programme beendet werden. Deutschland habe
sich unter den Regierungen von Angela Merkel (CDU) und Olaf Scholz (SPD) sehr
zuverlässig beteiligt, sagt Pressesprecher Chris Melzer. „Während der
Koalitionsverhandlungen ist das erst mal gestoppt worden. Wir gehen aber davon
aus, dass es weitergeht, sobald es einen neuen Minister gibt.“
Deutschland war zuletzt mit im Schnitt rund 5.000 Aufnahmen
im Jahr meist das drittgrößte Aufnahmeland nach den USA und Kanada. Aufgenommen
wurden auf diesem Weg vor allem Menschen, die zuvor als Flüchtlinge in der
Türkei, in Ägypten, Jordanien, Kenia, Libyen und Ruanda lebten. Mehr als die
Hälfte dieser Flüchtlinge sind Syrerinnen und Syrer, dazu kommen in kleinerer
Zahl vor allem Menschen aus dem Irak, Jemen, dem Sudan, Südsudan, der
Demokratischen Republik Kongo, Somalia und Eritrea.
Machtwechsel in den USA bedroht Zukunft Hunderttausender
Die größte Sorge aus Sicht der Helfer ist momentan
allerdings der drohende Rückzug des größten Aufnahmestaats USA aus dem
Resettlement-Programm. In den vergangenen Jahren nahmen die USA etwa zwei
Drittel der darüber umgesiedelten Flüchtlinge auf. Unter dem vorherigen
US-Präsidenten Joe Biden hatten die USA für das laufende Jahr ab Oktober 2024
bis zu 125.000 Plätze zugesagt.
Bidens Nachfolger Donald Trump beendete am Tag seines
Amtsantritts das US-Programm zur Aufnahme von Flüchtlingen. Ein Gericht
erklärte das Dekret für unrechtmäßig, doch die Absicht der Regierung ist
erkennbar. In seiner ersten Amtszeit hatte Trump die Aufnahmen erst ausgesetzt
und später drastisch gesenkt.
Linke kritisiert Aussetzung scharf
Das UN-Flüchtlingshilfswerk schätzt, dass 2,9 Millionen
Flüchtlinge unter dem Resettlement-Programm umgesiedelt werden müssten – ein
Zehntel der insgesamt 29 Millionen Flüchtlinge unter seiner Obhut. Infrage
kommen beispielsweise verwitwete Mütter kleiner Kinder, Minderjährige,
Folteropfer oder Menschen mit Behinderungen oder dringendem Behandlungsbedarf.
Das sind im Prinzip die Gruppen von Menschen, die unter den Asylbewerbern, die
unerlaubt nach Deutschland einreisen, unterrepräsentiert sind – weil sie das
Geld für den Schlepper nicht aufbringen können beziehungsweise körperlich dazu
nicht in der Lage oder ein zu hohes Risiko sehen, etwa für ihre Kinder.
Auch deshalb erntet die Aussetzung der Aufnahme scharfe
Kritik. Union und SPD zeigten, „dass sie eigentlich überhaupt keine
Geflüchteten mehr aufnehmen wollen“, erklärt Clara Bünger, fluchtpolitische
Sprecherin der Linken im Bundestag. Ständig sei davon die Rede, dass
‚irreguläre Migration‘ reduziert werden soll. „Doch statt zumindest sichere und
legale Fluchtwege auszubauen, hat Deutschland nun einen Aufnahmestopp beim
Resettlement verhängt. Das ist eine fatale Entscheidung“, erklärte die
Linkspolitikerin. Der Aufnahmestopp mache deutlich, wohin die vom Präsidenten
des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge (Bamf), Hans-Eckhard Sommer,
geforderte Abschaffung des individuellen Rechts auf Asyl führen würde: „In ein
Willkürregime, das dem Kalkül der Regierungen unterliegt“.
Bamf-Chef stößt Diskussion um mehr humanitäre Aufnahmen an
Sommer hatte Ende März bei einer Veranstaltung der
Konrad-Adenauer-Stiftung gesagt, es sei falsch, am individuellen Asylrecht
festzuhalten. Sinnvoller wäre es, das aktuelle System durch humanitäre
Aufnahmen „in beachtlicher Höhe“ zu ersetzen.
Neben humanitären Gesichtspunkten könne hier auch die
Integrationsfähigkeit des Arbeitsmarkts eine Rolle spielen. Wer dennoch
unerlaubt nach Deutschland einreise, hätte dann keine Aussicht mehr auf ein
Bleiberecht. Sommer, der CSU-Mitglied ist, hatte zu Beginn seiner Rede betont,
nicht als Bamf-Präsident zu sprechen, sondern seine „persönliche Einschätzung“
und eine Zusammenfassung seiner Erfahrungen zu präsentieren. (dpa/mig 9)
Gesundheitsvorsorge: Nur ein
Drittel kennt sich aus
Nur 31 Prozent der Menschen in Deutschland wissen, welche
Untersuchungen zur Früherkennung für sie empfohlen sind. Hier braucht es eine
gezieltere Ansprache.
München. 69 Prozent der Menschen, die in Deutschland
leben, wissen nicht oder nur teilweise, welche Maßnahmen zur Früherkennung für
sie empfohlen sind. Nur 31 Prozent geben an zu wissen, welche Untersuchungen
für ihr Alter und Geschlecht sinnvoll sind. Das ist das Ergebnis einer
repräsentativen Befragung des Instituts YouGov im Auftrag der SBK
Siemens-Betriebskrankenkasse. An der Umfrage haben 2060 Personen
teilgenommen.
„Früherkennung ist eine wichtige Säule unserer
Gesundheitsversorgung. Denn früh erkannt, sind viele Erkrankungen besser und
weniger aufwändig zu behandeln“, betont Dr. Gertrud Demmler, Vorständin der
SBK. „Damit alle davon profitieren, müssen sie wissen, wann welche
Früherkennungen Sinn machen. Besonders erfolgversprechend sind dazu gezielte
Einladungen im passenden Moment. Um diese Möglichkeit zu nutzen, brauchen die
Krankenkassen aktuelle und verlässliche Daten. Und sie benötigen natürlich das
Recht, diese unbürokratisch zu nutzen, um ihre Versicherten individuell
anzusprechen. Diese Voraussetzungen sind heute leider noch nicht
gegeben.“
Bei vielen liegt die letzte Vorsorge schon lange
zurück
Manche brauchen einen kleinen Anstoß, um zur Früherkennung
zu gehen – das zeigt sich auch daran, dass bei jeder fünften Person die letzte
Untersuchung bereits über zwei Jahre zurückliegt. Dabei steht zumindest die
Zahnvorsorge mindestens einmal jährlich bei jedem im Vorsorgekalender. Bei
Frauen trifft das auch auf die Vorsorge in der Frauenarztpraxis zu. Weitere 10
Prozent der Befragten geben an, noch nie bei einer Vorsorgeuntersuchung gewesen
zu sein.
Alter und Geschlecht beeinflussen das Wissen um notwendige
Vorsorgen
Frauen sind über die für sie empfohlenen Untersuchungen zur
Früherkennung besser informiert. Fast jeder vierte Mann (23 Prozent) weiß
nicht, welche Früherkennungen für ihn empfohlen sind. Bei den Frauen sind es
nur 14 Prozent. Zudem nimmt das Wissen um notwendige Vorsorge mit dem Alter zu.
Von den 18-24-Jährigen weiß fast jeder zweite (45 Prozent) nicht, zu welchen
Untersuchungen er gehen sollte. Bei den über 55-Jährigen sind es nur noch 9
Prozent.
Die Mehrheit ist offen für Vorsorge-Tests für zu Hause
Einfache und bequeme Angebote zur Früherkennung können dazu
beitragen, dass mehr Menschen zur Untersuchung gehen, zum Beispiel
Vorsorge-Tests für zu Hause wie ein Handy-Scanner für Hautveränderungen. Sie
ersparen die Suche nach dem Arzttermin und die Anfahrt. 59 Prozent würden
solche Tests (wahrscheinlich) nutzen, wenn die Krankenkassen sie anbieten. 19
Prozent wären eher zurückhaltend, 12 Prozent lehnen sie ab. „Tests für zu Hause
sind ein guter Weg, um Menschen die Früherkennung möglichst einfach zu machen.
Zudem haben sie den positiven Nebeneffekt, die Praxen zu entlasten“, sagt
Gertrud Demmler. „Denn ärztliche Beratung brauchen dann nur diejenigen mit
auffälligem Testergebnis. Für diese wenigen könnten dann schneller Termine in
der Praxis oder für eine Online-Beratung zur Verfügung stehen.“
51 Prozent derjenigen, die Vorsorgetests für zu Hause nicht
nutzen möchten, geben als Grund an, der Genauigkeit ihrer Tests nicht zu
vertrauen. Viele andere Gründe drehen sich um die fehlende Begleitung durch die
Arztpraxis: 41 Prozent der Befragten, die dem Test zu Hause kritisch
gegenüberstehen, wünschen sich einen persönlichen Austausch in der Praxis. 35
Prozent haben Bedenken, etwas falsch zu machen. 15 Prozent haben Sorge, mit dem
Ergebnis allein gelassen zu werden. Um diese Hürde abzumildern, sollten diese
Tests immer in ein Gesamtangebot eingebettet sein, das den Kontakt zu einer
Arztpraxis ermöglicht.
Prävention und Früherkennung sind die Zukunft des
Gesundheitswesens
Das Gesundheitswesen steht vor großen Herausforderungen –
etwa einem Finanzdefizit und einer alternden, oft kränkeren Bevölkerung. Ein
stärkerer Fokus auf Gesunderhaltung und Früherkennung kann helfen, diese
Probleme abzufedern. Denn: Wer gesünder bleibt, profitiert nicht nur
persönlich. Er oder sie entlastet auch das Gesundheitssystem. Ebenso spart das
frühzeitige Erkennen und Eindämmen von Krankheiten wertvolle Ressourcen. Dafür
braucht es ein Umdenken: Gesundheitsversorgung bedeutet nicht nur, Krankheiten
zu behandeln, sondern vor allem, Gesundheit zu fördern.
Um ihre Versicherten zu motivieren, die Chancen der
Früherkennung zu nutzen, schickt die SBK dieses Frühjahr die Checkers auf
Tournee. Die erste Band aus Organen macht Vorsorge zum Hit. Unter dem Motto
„kleiner Check, große Chance“ erinnern sie musikalisch daran, zu den
Untersuchungen zu gehen.
Mehr Informationen dazu unter: https://www.sbk.org/die-checkers/ GA 8
Klöckner fordert klare
Positionierung der Kirchen
Julia Klöckner, die neue Bundestagspräsidentin und langjährige
CDU-Politikerin, hat in einem Interview mit dem kirchlichen Portal domradio.de
ihre Erwartungen an die Rolle der Kirchen in der Öffentlichkeit formuliert.
Sie wünscht sich von den Kirchen eine klare und starke
Stimme, insbesondere bei bioethischen Fragen wie Abtreibung und Sterbehilfe
sowie bei der Bewahrung der Schöpfung. „Da wünsche ich mir von meiner Kirche,
dass sie standhaft ist und nicht automatisch schaut, ob es Applaus gibt oder
nicht“, betonte Klöckner.
Gleichzeitig äußerte sie Kritik an der Tendenz der Kirchen,
sich zu sehr mit Tagespolitik zu beschäftigen. „Ich halte es nicht immer für
sinnvoll, wenn Kirchen glauben, eine weitere NGO zu sein und sich zu
Tagespolitik äußern“, erklärte sie. Als Beispiel nannte Klöckner den Einsatz
der Evangelischen Kirche in Deutschland für ein Tempolimit auf deutschen
Autobahnen. „Man kann für Tempo 130 sein, aber ich weiß nicht, ob die Kirchen
dazu etwas schreiben müssen.“
Wer ist sie?
Klöckner, selbst katholisch und mehrere Jahre Mitglied im
Zentralkomitee der deutschen Katholiken, sprach auch über die Rolle der Kirchen
während der Corona-Pandemie. Sie kritisierte, dass die Seelsorge in dieser Zeit
nicht ausreichend präsent gewesen sei, obwohl viele Menschen auf der Sinnsuche
und teilweise verzweifelt gewesen seien. „Da hätte Seelsorge stärker präsent
sein können“, sagte sie.
Die Kirchen sollten sich stärker auf ihre Kernaufgaben
konzentrieren und ihre moralische und spirituelle Verantwortung wahrnehmen. (domradio
8)
Italien/Afghanistan: Humanitärer
Korridor
700 afghanische Flüchtlinge können dank eines humanitären
Korridors der katholischen Basisgemeinschaft Sant’Egidio legal und sicher nach
Italien einreisen.
Ein entsprechendes Abkommen zwischen dem italienischen
Innen- und Außenministerium und mehreren Partnerorganisationen, darunter
Sant’Egidio und der italienischen Bischofskonferenz (CEI), wurde am Montag in
Rom unterzeichnet. Es sieht die Einreise von insgesamt 700 Flüchtlingen aus dem
Land am Hindukusch nach Italien vor. Die Betreuung wird jeweils von
katholischen und zivilgesellschaftlichen Organisationen übernommen.
Aufnahme und Integration
Marco Impagliazzo, Präsident der Gemeinschaft Sant’Egidio,
bezeichnete das neue Abkommen als „Zeichen der Hoffnung“, das die Bedeutung
humanitärer Korridore als Modell für Aufnahme und Integration betone. Dies sei
gerade angesichts der „besorgniserregenden Zunahme von Kriegen und Spannungen
zwischen Staaten“ bedeutsam.
Bereits im November 2021 hatte es ein Abkommen über die
Aufnahme von 812 afghanischen Staatsbürgern gegeben, die aus ihrem Land nach
Pakistan, Iran und die Türkei geflohen waren. Das neue Abkommen schließt daran
an. Unter den Partnern, die die Aufnahme und Integration der Flüchtlinge in
Italien unterstützen, sind neben Sant’Egidio und der katholischen
Bischofskonferenz der Bund der Evangelischen Kirchen in Italien (FCEI) und die
Non-Profit-Organisation ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana).
Insgesamt 8.200 Flüchtlinge
Dank des Modells der „Humanitären Korridore“ konnten in den
vergangenen Jahren insgesamt 8.200 Flüchtlinge sicher und legal nach Europa
einreisen. Das Projekt ist vollständig eigenfinanziert und wird durch ein
dezentrales Aufnahmenetzwerk möglich, in das viele Ehrenamtliche eingebunden
sind. (sir/pm 8)
Nebenan. Das
Glaubwürdigkeitsproblem
Wie man den AfD-Wahlerfolgen gegensteuern kann? Die Antwort:
mehr Glaubwürdigkeit. Bedeutet: Wahlversprechen halten, beispielsweise keine
Schulden aufnehmen – und noch mehr. Von Sven Bensmann
Gerade im Zusammenhang mit den Wahlerfolgen der AfD, zuletzt
aber auch bei dem der Linken, wird das Erodieren des Vertrauens in die Politik
(der Mitte) lamentiert und die Frage aufgeworfen, wie man dem nur
entgegensteuern könnte.
Am zuverlässigsten erhält man darauf zur Zeit Antworten von
der CDU/CSU. Und während ein fränkischer Wurstinfluencer und
Teilzeit-Ministerpräsident von Bayern seinem eigenen Bedeutungsverlust mit dem
Verzehr von Unmengen verrotteten, übersalzten Fleisches auf amerikanischen
Internetplattformen begegnet, hat die CDU Niedersachsen nun einen besonders
glaubwürdigen Weg gefunden.
In Hannover nämlich hat die Partei (die ein Jahr lang
entschieden Wahlkampf gegen neue Schulden betrieben hatte, um dann am Tag nach
der Wahl genau das Gegenteil zu tun, nämlich mehr Schulden aufzunehmen, als
irgendjemand zuvor überhaupt zu denken gewagt hatte und die damit einen Betrug
ungekannten Ausmaßes an ihren Wählern begangen hat – und dennoch weiter
Anspruch auf den Kanzlerposten erhebt) dieser Tage verkündet, dass es ein
bisher ungekanntes Maß an Betrug am Wähler sei, wenn der vor 3 Jahren gewählte,
amtierende Ministerpräsident aus gesundheitlichen Gründen seinen Posten
aufgeben muss.
Boom! So geht glaubwürdig. Dann klappt’s auch mit dem
Wähler. (mig 8)
Angesichts des US-Handelskriegs zögern Europas
Regierungschefs – dabei braucht es eigene Initiativen statt Spekulationen über
Trumps Absichten. Paul Mason
Aus Donald Trumps Entscheidung, der übrigen Welt den
Zollkrieg zu erklären, lassen sich zwei strategische Schlussfolgerungen ziehen.
Einerseits könnte er beabsichtigen, die gesamte Weltwirtschaft nach den
Interessen der USA umzustrukturieren, die Exportmodelle zahlreicher
Schwellenländer und Volkswirtschaften des Globalen Südens zu zerstören sowie
die Welt in eine Rezession zu stürzen. Andererseits kann es aber auch sein,
dass er lediglich hofft, unter Androhung dieser Maßnahmen Zugeständnisse in der
Wirtschaftspolitik anderer Länder zu erreichen, die für die USA und den Dollar
von Vorteil und für den Rest der Welt letztendlich nicht katastrophal wären.
In der Geopolitik konnten wir bereits ein ähnliches Dilemma
beobachten. Nachdem Trump seine Vertreter Pete Hegseth und J.D. Vance im
Februar vorgeschickt hatte, um die Ramstein-Gruppe und dann die Münchner
Sicherheitskonferenz aufzumischen, fragten sich die europäischen
Sicherheitsexperten: Will Trump sich ganz aus der gemeinsamen
Sicherheitsarchitektur zurückziehen? Oder ist es ein Trick, um uns zu zwingen,
mehr Geld für die Verteidigung auszugeben, mehr Verantwortung für die
europäische Sicherheit zu übernehmen und die Ukraine stärker zu unterstützen?
Die politischen Entscheidungsträger stehen somit sowohl in der Sicherheits- als
auch in der Handelspolitik vor den gleichen Fragen und Problematiken. Dies sagt
etwas Wesentliches über die Trump-Regierung aus: Sie will ihre Ziele durch das
Schüren von Unsicherheit erreichen.
In den vergangenen Wochen habe ich jeden
Entscheidungsträger, den ich traf und der Zugang zu Geheimdienstinformationen
hat, gefragt: Wissen Sie, was Trumps eigentliche Ziele sind? Die meisten
mussten zugeben, dass sie keine Ahnung haben. Einige spekulierten, Washington
sei in Verteidigungsfragen in zwei Lager gespalten: Ein Teil wolle sich nur auf
die Konfrontation mit China ausrichten, der andere sei hingegen bereit, dafür
strategische Abkommen mit Russland zu schließen, Europa aus den
Friedensgesprächen über die Ukraine sowie vom Zugang zur Arktis auszuschließen
und Putin zu erlauben, seine potenziellen nächsten Ziele im Baltikum, im hohen
Norden oder im Schwarzen Meer zu bedrohen.
Aus der Makroökonomie liegen mir Analysen vor, in denen es
heißt, die Zölle seien wahrscheinlich nur symbolisch und würden wieder
aufgehoben werden – egal, welche Auswirkungen dieses Vorgehen auf die
Aktienmärkte hat. Seit Trump wieder an der Macht ist, lautet meine Devise mit
Blick auf die MAGA-Truppe daher: Konzentriere dich auf das, was sie tun, nicht
auf das, was sie sagen. Die Flut an Beschimpfungen, Beleidigungen und
Falschinformationen ist im Sinne der modernen Staatsführungskunst eine
Ablenkungstechnik, mehr nicht.
Wir erleben ein konsistentes und erkennbares
Handlungsmuster: Die Trump-Regierung ist gewillt, Maßnahmen zu ergreifen, die
ihre Verbündeten sowohl wirtschaftlich als auch sicherheitspolitisch
destabilisieren, sowie Unsicherheit und Desinformation als Waffen einzusetzen,
um dieses Ziel zu erreichen. Als Reaktion darauf gibt es für Liberale, Grüne
und Sozialdemokraten in Europa nur eine vernünftige Vorgehensweise: sich auf
US-amerikanische Autarkie und Isolationismus vorzubereiten sowie gleichzeitig
Europa zu stärken und selbst „great“ zu machen. Alles andere wäre fahrlässig.
Die EU macht zusammen mit den Ländern des pazifischen
Freihandelsabkommens CPTPP, mit Südkorea und Norwegen 35 Prozent der weltweiten
Importnachfrage aus. Auf die USA entfallen lediglich 15 Prozent. Die besagten
Länder verfügen daher über eine immense finanzpolitische Schlagkraft und
institutionelle Stärke. Dennoch stehen wir vor enormen Herausforderungen:
Welche direkten Maßnahmen wir auch immer ergreifen – seien es Vergeltungszölle,
industrielle Strategien zur Rückverlagerung von Produktion oder im Verteidigungsbereich
das Streben nach technologischer Souveränität –, letztlich werden es die
langfristigen Folgen von Trumps Handlungen sowie unsere Reaktion darauf und die
Chinas sein, die diese Hälfte des 21. Jahrhunderts entscheidend prägen.
Ein Blick zurück: Als 1930 mit dem Smoot-Hawley Act
ebenfalls US-Zollschranken gegen den Rest der Welt errichtet wurden, ergriffen
weder das Vereinigte Königreich noch Frankreich Gegenmaßnahmen. Großbritannien
war fest entschlossen, die letzte Freihandelsmacht zu bleiben. Doch als die
Exporte nach Amerika innerhalb eines Jahres um ein Drittel einbrachen und die
Zahlungsbilanz ins Minus rutschte, sah sich die Labour-Regierung von Ramsay
MacDonald gezwungen, ein Austeritätsprogramm aufzulegen. Dies führte zu einer
Meuterei in der Marine, einem Aufstand der parlamentarischen Hinterbänkler und
letztlich zur Bildung einer „Nationalen Regierung“. Diese gab sowohl den
Goldstandard als auch den Freihandel auf, da die längerfristigen Auswirkungen
des Smoot-Hawley Act – nämlich der Anstieg billiger Importe in die
„ungeschützte“ britische Wirtschaft – schlicht nicht aufzuhalten waren.
Wie John Maynard Keynes es ausdrückte: Die Fakten ändern
sich, also müssen wir entsprechend unser Denken und unsere Ansätze ändern. Für
die Sozialdemokratie in Europa stellt sich heute die doppelte Herausforderung,
dass schnell aufgerüstet werden soll, während gleichzeitig die globalen
Lieferketten rapide umstrukturiert werden. Um diese Aufgaben zu bewältigen, ist
es von entscheidender Bedeutung, dass die Europäerinnen und Europäer proaktiv
vorgehen und sich fragen – wie es auch die Generation von Keynes während des
Zweiten Weltkriegs tat –, wie die Welt aussehen soll, wenn wir gewinnen. Die
unheilvollste Haltung, die wir einnehmen könnten, ist die des passiven Opfers,
welches das Ende der regelbasierten Ordnung betrauert und lediglich auf das
Handeln anderer Länder reagiert, aber nie selbst handelt.
„Gewinnen“ kann dabei nicht länger bedeuten, den Status quo
zu verteidigen. Vielmehr geht es darum, sich einen neuen Status quo
vorzustellen, der erreicht werden soll, sobald das Trump-Experiment gescheitert
ist. Es geht darum, eine Allianz mit Ländern zu bilden, deren Bevölkerung
weiterhin in einer Welt leben will, die vom Völkerrecht sowie universellen
Konzepten von Recht und Gerechtigkeit bestimmt wird. Und es geht darum, die
arbeitenden Menschen der Welt – deren Fabriken in Ländern wie Kambodscha, Sri Lanka
und Nicaragua bald geschlossen werden könnten – aufzurufen, sich uns in einem
neuen Projekt für freien und fairen Handel, Menschen- und Arbeitsrechte
anzuschließen. Die globale Arbeiterklasse ist größer als je zuvor; und ihre
Industrieregionen werden nun zu Schauplätzen von Klassenkämpfen, wie es sie in
der Ära der Globalisierung in dieser Intensität noch nie gegeben hat.
Was Trump seit seiner Machtübernahme getan hat – sowohl in
Bezug auf die Sicherheitsagenda als auch auf den Handel – ist Ausdruck reinen
nationalen Eigeninteresses. Er wischt das Spielbrett vom Tisch, weil Amerika
drauf und dran war, zu verlieren. Von nun an sollten sich der europäische
Liberalismus, der zentristische Konservatismus und die Sozialdemokratie auf ein
Projekt einigen, das nicht nur die Verteidigung ihrer Wohlfahrtsstaaten, des
europäischen Binnenmarktes und der kollektiven Sicherheit zum Ziel hat. Sie
sollten die größtmögliche Zusammenarbeit gleichgesinnter demokratischer Länder
anstreben, um ihre offenen und progressiven Systeme über Kontinente und Ozeane
hinweg auszudehnen und zu festigen.
Europa muss die von Trump ausgegebenen Regeln, sei es bei
digitalen Diensten, Schwangerschaftsabbrüchen, Hate Speech oder Chlor-Hühnchen,
nicht einfach akzeptieren. Und: Wenn die Europäische Union weiterhin eigene
Regeln gemäß den liberal-internationalistischen Werten, auf denen sie gegründet
wurde, aufstellen will, muss sie auch dem Vereinigten Königreich ein Angebot
machen, das es nicht ablehnen kann. Sicher, es gibt milliardenschwere
Pro-Trump-Medien, die versuchen, die politische Agenda des Vereinigten Königreichs
zu bestimmen; es gibt Musk und X sowie unablässige russische Hybridoperationen,
die auf die britische Zivilgesellschaft abzielen. Doch nichts davon dürfte
stark genug sein, Großbritannien zu einem Akt strategischer Selbstzerstörung zu
zwingen – und genau das wäre eine weitere Annäherung an Trump. Selbst die
Konservative Partei (die inzwischen von MAGA-Fanboys und -Girls durchsetzt ist)
würde es meiner Einschätzung nach nicht ertragen, dass das Vereinigte
Königreich zu Trumps Wirtschaftskolonie wird.
Europa hat langjährige Erfahrung mit staatlicher Lenkung. So
gibt es in den nordischen Ländern überaus wertvolles Know-how in Bezug auf
staatliche Industriestrategien. Europa verfügt über starke nationale und
supranationale Institutionen. Vor allem aber hat Europa eine Bevölkerung, deren
Mehrheit sich bislang dem Ethno-Nationalismus widersetzt und weiterhin das
europäische Projekt als das höhere Gut betrachtet. Deswegen ist es sowohl in
Handels- als auch in Sicherheitsfragen nun an Europa, die Welt um seine eigenen
strategischen Interessen herum neu zu ordnen – und es ist an den Briten, Teil
dieses Projekts zu werden, statt Teil des Problems.
Die wirtschaftlichen Auswirkungen von Trumps Zöllen dürften
rasch spürbar werden. Wie schon 2008 werden die finanziellen Folgen jedoch erst
dann absehbar sein, wenn klar wird, wie viel Risiko im globalen Bankensystem im
Verborgenen schlummert – und wie anfällig dieses System gegenüber
Handelskonflikten tatsächlich ist. Was bislang jedoch kaum angemessen
thematisiert wurde, sind die daraus resultierenden Klassenkämpfe. Hinter jedem
prognostizierten Rückgang der US-Importe steht eine Fabrik in Bangladesch, Sri
Lanka, Honduras oder auch in China, die schließen muss. Auch in der
Digitalwirtschaft ist es kaum vorstellbar, dass der Handelskrieg nicht auf
globale Marken, Social-Media-Plattformen, geistige Eigentumsrechte und
gesetzliche Regelungen zur Meinungsfreiheit durchschlägt.
Wenn Trump nun tatsächlich den roten Knopf zur Sprengung der
Globalisierung gedrückt hat, dann ist das Positivsummenspiel, das die Welt
bisher gespielt hat, vorbei. Kurzfristig bedeutet dies, dass die
Sozialdemokratie an eine Welt des Nullsummenspiels angepasst werden muss. Um
ein erneutes Positivsummenspiel zwischen den Konsumenten Europas und den
Produzenten des Globalen Südens zu schaffen, muss die heutige Generation von
Mitte-Links-Politikern etwas tun, wofür sie nicht ausgebildet wurde: einen
Systemkonflikt führen und diesen gewinnen – erstens gegen Russland in der
Ukraine, zweitens gegen die USA in der Zollfrage und drittens gegen die
Kommunistische Partei Chinas in Sachen Demokratie. Ich erwarte von den
Machthabern in Europa unbedingte Klarheit bei der Auswahl und Festlegung dieser
Ziele. IPG 8
Massiver Rückgang. Deutschland bei
Asylanträgen nicht mehr EU-Spitzenreiter
Lange war Deutschland EU-Spitzenreiter bei Asylanträgen.
Diese Rolle haben jetzt Frankreich und Spanien übernommen. Grund ist aber kein
Anstieg in diesen Ländern, sondern ein massiver Rückgang in Deutschland.
Deutschland ist einem Bericht zufolge bei den Asylanträgen
erstmals seit Jahren nicht mehr EU-weiter Spitzenreiter. Das berichtete die
„Welt am Sonntag“ in Berlin unter Berufung auf bisher unveröffentlichte Zahlen
der Asylagentur der Europäischen Union (EUAA). Die Zahlen werden in einem als
vertraulich gekennzeichneten Bericht der EU-Kommission vom 2. April zur Lage
der Migration in der EU und in Drittstaaten genannt, wie die Zeitung schrieb.
Laut „Welt am Sonntag“ liegt der Bericht der Zeitung vor.
Demzufolge ist Spitzenreiter bei den Asylanträgen neuerdings
Frankreich mit 40.871 registrierten Asylanträgen zwischen dem 1. Januar und dem
31. März dieses Jahres. Dahinter folgen Spanien (39.318 Asylanträge) und
Deutschland. In Deutschland ist die Zahl der Schutzgesuche im ersten Quartal
des laufenden Jahres um 41 Prozent gegenüber dem vergleichbaren
Vorjahreszeitraum auf 37.387 Anträge zurückgegangen. Schlusslichter sind laut
Quartalsstatistik Ungarn (22 Asylanträge) und die Slowakei (37). Beide Staaten verfolgen
einen besonders harten Kurs in der Migrationspolitik.
Venezuela Top-Herkunftsland im ersten Quartal
Die meisten Asylantragsteller in der EU plus der Schweiz und
Norwegen kamen im ersten Quartal aus Venezuela (Gesamtzahl: 25.375), gefolgt
von Afghanistan (Gesamtzahl: 21.524) und Syrien (Gesamtzahl: 15.138). Insgesamt
stieg die Zahl der Schutzanträge von Venezolanern im ersten Quartal dieses
Jahres um 44 Prozent. Auch die Anträge auf Asyl von Ukrainern (plus 84
Prozent), Chinesen (plus 87 Prozent) und Indern (plus 56 Prozent) stiegen stark
an.
Demgegenüber beantragten Personen aus Syrien (minus 56
Prozent), Kolumbien (minus 45 Prozent) und der Türkei (minus 44 Prozent)
deutlich weniger Asyl. Mehr als jeder zweite Asylantrag von Syrern in der EU
plus Norwegen und der Schweiz (59 Prozent) wird laut Statistik in Deutschland
gestellt. Insgesamt kam ein Viertel aller Schutzanträge hierzulande von Syrern
(24 Prozent), gefolgt von Afghanen (16 Prozent) und Türken (11 Prozent).
Frankreich ist unterdessen zum Zielland Nummer eins für Ukrainer geworden. (epd/mig 7)
Weltgesundheitstag 2025: „Gesunde
Anfänge – hoffnungsvolle Zukunft“
World Vision weitet Hilfen für Mütter und Babys in Syrien
aus - Unterstützung in der Nähe schützt das Leben von Frauen und Neugeborenen
am wirksamsten
Friedrichsdorf – Anlässlich des heutigen
Weltgesundheitstags, der unter dem Motto „Gesunde Anfänge – hoffnungsvolle
Zukunft“ steht, rückt die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision
die zentrale Bedeutung lokaler Unterstützung für einen guten Start ins Leben in
den Fokus. Vier von fünf Ländern auf der Welt haben immer noch Probleme,
sichere Geburten sowie die notwendige medizinische und emotionale Unterstützung
für die Mütter vor und nach der Geburt bereit zu stellen. „Jede Frau und jede
Familie auf der Welt muss diese Unterstützung erhalten – auch in Zeiten großer
Unsicherheit und schwieriger Haushaltsentscheidungen“, betont Marwin Meier,
Experte für globale Gesundheit bei World Vision Deutschland. „Sie ist das beste
Startkonto für ein glückliches und hoffnungsvolles Leben.“
Während eine sichere Geburt in Deutschland oft als
selbstverständlich angesehen wird, bleibt sie in vielen ärmeren Ländern eine
Herausforderung. Laut der Weltgesundheitsorganisation sterben pro Tag 800
Frauen (im Durchschnitt) bei vermeidbaren Komplikationen während der
Schwangerschaft oder Geburt, wobei 60 Prozent der Todesfälle in Ländern mit
Konflikten auftreten. Trotz einer beeindruckenden Senkung der
Kindersterblichkeit in den letzten Jahrzehnten sterben außerdem über zwei
Millionen Babys jährlich während des ersten Lebensmonats. Hauptverantwortlich
für diese vermeidbaren Tode ist meist eine schlechte Gesundheitsversorgung der
Mütter und Neugeborenen. In Ländern mit Konflikten tragen werdende Mütter und
Neugeborene ein besonders hohes Risiko, da der Zugang zu professioneller
Geburtshilfe und Nachsorge durch Angriffe auf medizinische Einrichtungen,
Zusammenbrüche der Versorgung oder Vertreibungen eingeschränkt ist.
In Syrien, wo seit diesem Jahr neue Gebiete für humanitäre
Hilfen zugänglich sind, hat World Vision jetzt eine Kooperation mit dem
Krankenhaus At-Tal vereinbart, um die Versorgung schwangerer Frauen, Babys und
Kleinkinder in einem ländlichen Gebiet der Region Damaskus zu verbessern. Nach
14 Jahren Krieg fehlt es vielen Gesundheitseinrichtungen an Ausstattung und
qualifiziertem Personal, selbst für die medizinische Grundversorgung. Das durch
„Aktion Deutschland Hilft“ geförderte Projekt berücksichtigt auch den
gewachsenen Bedarf durch Rückkehrer, die einen Neuanfang versuchen.
Das Krankenhaus wird dabei unterstützt, eine
Entbindungsstation für mögliche Komplikationen auszurüsten und eine
Kinderklinik aufzubauen. Diese soll mit Unterstützung des Projekts auch
ambulante Beratungen rund um Schwangerschaften anbieten. Das Gesundheitsministerium
hat sich bereit erklärt, Hebammen, Gynäkologen und Kinderärzte sowie
Pflegekräfte bereitzustellen. Das Projekt unterstützt u.a. Fortbildungen
für sie.
„Für werdende Mütter und Mütter mit Neugeborenen ist es von
großer Bedeutung, das gesamte Spektrum an notwendiger Unterstützung in der Nähe
ihres Wohnorts zu finden“, erklärt Marwin Meier. „Mutter-Kind-Gesundheit zielt
darauf ab, den Ursachen für Geburtskomplikationen bereits vor der Geburt zu
begegnen – durch Beratung zu gesunder Ernährung, Familienplanung und Vorsorge
gegen gefährliche Krankheiten sowie durch die Stärkung der Rechte von Frauen
und Mädchen.“
World Vision weist darauf hin, dass wirksame Hilfe nicht
unbedingt hochtechnisches Equipment erfordert, sondern vor allem gut
ausgebildete und einfühlsame Fachkräfte vor Ort. „Wir empfehlen, bei knappen
Budgets solche Prioritäten zu setzen, um das Leben von Frauen und Kindern
bestmöglich zu schützen“, so Meier.
Mit Spenden und finanziellen Zuwendungen von Partnern
leistet World Vision in über 70 Ländern weltweit einen Beitrag zu einem
gesunden Start ins Leben und ist oft langjähriger Partner lokaler
Gesundheitsfachkräfte, die weit über die Geburt hinaus Hilfe leisten. WVD
7
Flüchtlingspolitik. Bürgermeister
von Lampedusa mahnt mehr Unterstützung an
Während EU-Staaten über Grenzschließungen diskutieren,
kommen auf der 6.000-Einwohner-Insel Lampedusa Zehntausende Bootsflüchtlinge
an. Der Bürgermeister mahnt eine gerechtere Verteilung an. Die Dublin-Regelung
funktioniere nicht.
Der Bürgermeister von Lampedusa, Filippo Mannino, dringt auf
mehr Unterstützung für die Regionen an den EU-Außengrenzen, in denen besonders
viele Geflüchtete Europa erreichen. Das Thema müsse endlich angepackt werden,
sagte der Bürgermeister der italienischen Mittelmeerinsel am Mittwoch bei einem
Treffen mit NRW-Landtagsabgeordneten und Vertretern der evangelischen Kirchen
in Nordrhein-Westfalen. Im vergangenen Jahr waren in Lampedusa rund 41.000
Bootsflüchtlinge registriert worden, 2023 waren es mehr als 100.000. Die Insel
hat gut 6.000 Einwohner.
Die Menschen steuern überwiegend mit Booten von Schleppern
das im südlichen Mittelmeer gelegene Lampedusa an, vor allem von Libyen und
Tunesien aus. Die Geflüchteten würden meist auf hoher See gerettet, sagte
Bürgermeister Mannino. Die Lasten der Flüchtlingsmigration müssten zwischen
allen EU-Staaten gerecht verteilt werden, einige Länder lehnten dies aber
bisher ab.
Bewohner und Geflüchtete leiden gleichermaßen
„Wir brauchen langfristige Lösungen“, betonte der aus
Sizilien stammende Lokalpolitiker. Es habe zwar schon viele Diskussionen zu dem
Thema gegeben, passiert sei aber wenig. Die sogenannte Dublin-Regelung
funktioniere nicht, nach der für das Asylverfahren das Land zuständig ist, in
dem die Flüchtlinge erstmals in die EU gelangen.
Unter der jetzigen Situation leiden nach den Worten des
Bürgermeisters sowohl die Bewohner als auch die Geflüchteten. Die in Lampedusa
ankommenden Flüchtlinge werden dort registriert und in der Regel innerhalb von
24 Stunden nach Sizilien gebracht und von dort aus in Italien verteilt.
Menschenrechtler haben wiederholt menschenunwürdige Unterbringung von
Geflüchteten beklagt.
Kosten für Infrastruktur
Mannino nahm auch Rom in die Pflicht: Die Kosten für den
Erhalt der Infrastruktur oder die Bestattung gestorbener Geflüchteter von der
italienischen Regierung nur mit großer Verzögerung übernommen würden.
Inzwischen gebe es allerdings einen Sonderfonds für diese Ausgaben.
Die Gruppe von Abgeordneten und kirchlichen Experten aus NRW
war nach Lampedusa gereist, um sich vor Ort ein Bild vom Umgang mit der
Flüchtlingszuwanderung zu machen. Bis Freitag sind auch Gespräche in Rom mit
dem italienischen Innenministerium und der deutschen Botschaft sowie
Mitarbeitenden evangelischer und katholischer Kirchen geplant, die in der
Flüchtlingsarbeit aktiv sind. (epd/mig 4)
Trotz hitziger Debatten sind sich Polens
Präsidentschaftskandidaten in einem Punkt einig: Migration. Von Olena Babakova
Am 18. Mai findet die erste Runde der polnischen
Präsidentschaftswahl statt. Zwar verfügt der Präsident laut Verfassung nur über
begrenzte Befugnisse, doch kann er – wie es der amtierende Präsident Andrzej
Duda derzeit zeigt – die Arbeit der Regierung erheblich erschweren. Das
Staatsoberhaupt spielt zudem traditionell eine zentrale Rolle in der
Außenpolitik, insbesondere im Verhältnis zu den östlichen Nachbarn Polens und
vor allem zur Ukraine.
Die beiden aussichtsreichsten Kandidaten für das
Präsidentenamt sind der Warschauer Bürgermeister Rafa Trzaskowski von der
regierenden Bürgerplattform (PO) und Karol Nawrocki, offiziell parteilos, de
facto jedoch von der PiS unterstützt. Nawrocki ist derzeit Direktor des
Instituts für Nationales Gedenken. Sieben Wochen vor dem Wahltag steht
allerdings bereits ein erster Gewinner fest: Sawomir Mentzen von der
rechtsextremen Konfederacja. Mit 15 bis 20 Prozent in den Umfragen konnte er
seine rechtsextreme Partei zur drittstärksten politischen Kraft im Land machen.
Der Wahlkampf von Trzaskowski und Nawrocki ist vor allem ein
Ringen um die Stimmen von Sawomir Mentzens Anhängern. Diese Wählerschaft ist
mehrheitlich libertär geprägt, befürwortet einen Kapitalismus nach
US-amerikanischem Vorbild und lehnt Diversität – und damit auch Migration –
weitgehend ab. Dabei wird die polnische Gesellschaft zunehmend vielfältiger:
Seit 2022 sind rund eine Million Arbeitsmigranten aus der Ukraine eingewandert,
und etwa 950 000 Ukrainerinnen und Ukrainer verfügen über einen temporären
Schutzstatus. Die zweitgrößte Diasporagruppe bilden rund 300 000 Menschen aus
Belarus. Zudem wächst die Zahl der Migrantinnen und Migranten aus Indien,
Zentralasien, Vietnam, Georgien und Moldawien stetig.
Was dem Wahlkampf bislang fehlt, ist ein zentrales Thema.
Die regierende Bürgerkoalition hat es nicht geschafft, eine überzeugende
sozioökonomische Plattform zu entwickeln, und ist ebenso daran gescheitert, die
von der PiS eingeführte Justizreform rückgängig zu machen. Die PiS wiederum hat
seit der Parlamentswahl 2023 kaum neue Impulse gesetzt: Stattdessen schürt sie
Ängste vor Deutschland, das angeblich kurz vor einem Abkommen mit Russland
stehe – zeigt sich gleichzeitig aber offen für die außenpolitischen Initiativen
Donald Trumps.
Noch vor zwei Jahren positionierte sich die Bürgerkoalition
als migrationsfreundlich und menschenrechtsorientiert. Sie warf der PiS vor, an
der polnisch-belarussischen Grenze gegen das Völkerrecht zu verstoßen. Heute
jedoch herrscht parteiübergreifend – mit Ausnahme der Linken – weitgehende
Einigkeit in einer skeptischen, teils feindseligen Haltung gegenüber Migration,
sowohl in Bezug auf Arbeitsmigration als auch auf die Aufnahme von
Geflüchteten. Diese politische Verschiebung wirkt umso paradoxer, als über 80
Prozent der Erwachsenen mit Migrationsgeschichte in Polen einer
Erwerbstätigkeit nachgehen. Im Gegensatz zu Deutschland haben sie keinen
Anspruch auf Sozialleistungen. Polens Attraktivität liegt vielmehr in einem
vergleichsweise unkomplizierten Verfahren zur Erlangung von Arbeits- und
Aufenthaltstiteln.
2022 engagierten die Menschen in Polen sich in
beeindruckender Weise für die Aufnahme ukrainischer Geflüchteter. Damals waren
90 Prozent der polnischen Bevölkerung dafür, dass sie staatliche Hilfe bekommen
sollten. Heute unterstützen 88 Prozent das Vorhaben, Familienleistungen
– das sind 180 Euro pro Monat für jedes Kind – für ukrainische Geflüchtete
zu begrenzen. Mentzen brachte dieses Thema im vergangenen Jahr auf, und im
Januar sprachen sich auch Trzaskowski und Nawrocki dafür aus.
Anspruchsberechtigt sind laut Trzaskowski nur ukrainische
Geflüchtete mit vorübergehendem Schutz, die in Polen arbeiten und Steuern
zahlen. Die genauen Voraussetzungen, etwa das jährliche Mindesteinkommen und
die Mindeststeuersumme, wurden jedoch noch nicht bekannt gegeben. Obwohl 70
Prozent der ukrainischen Geflüchteten erwerbstätig sind und ihre Steuerabzüge
und Beiträge zum Rentenfonds die Kosten ihrer Unterstützungsleistungen decken,
fand der Gedanke, die Mittel zu begrenzen, bei Polinnen und Polen immer mehr
Anklang. Viele geben an, kriegsmüde zu sein, und wollen damit Unzufriedenheit
mit der Ukraine ausdrücken – einem Land, das laut mehreren Umfragen in den
Augen vieler Polinnen und Polen zu wenig für sie tue.
Während der Regierungszeit der PiS übte die Bürgerkoalition
kaum Kritik an der Zurückweisung von Asylsuchenden an der
polnisch-belarussischen Grenze. Als Umfragen zeigten, dass eine Mehrheit der
Bevölkerung harte Maßnahmen befürwortet, übernahm auch die neue liberale
Regierung das Narrativ vom „hybriden Krieg“ – geprägt von PiS und Konfederacja
– und ließ den Grenzzaun weiter ausbauen. Seit das Lukaschenko-Regime im Sommer
2021 versucht, die EU mithilfe unkontrollierter Migration zu destabilisieren,
ist die Lage angespannt. Die Krise dauert an: Zwischen dem 1. Januar und dem
10. März 2025 wurden rund 1 200 Menschen beim Versuch aufgegriffen, die Grenze
zu überqueren – ein Anstieg von 25 Prozent im Vergleich zum Vorjahreszeitraum.
Mit Wirkung vom 28. März 2025 hat die Tusk-Regierung die
Annahme von Asylanträgen an der polnisch-belarussischen Grenze vorübergehend
ausgesetzt. Die entsprechende Gesetzesänderung war bereits vor einigen Wochen
verabschiedet worden. Zwar versprach die Regierung, das Instrument nur in
„Extremfällen“ anzuwenden, doch trat die Regelung unmittelbar nach der
Unterzeichnung durch den Präsidenten in Kraft. Proteste zahlreicher
Menschenrechtsorganisationen wurden als „naiv“ und „verantwortungslos“ abgetan.
Der EU-Migrations- und Asylpakt spielt im polnischen
Präsidentschaftswahlkampf bislang nur eine untergeordnete Rolle.
Premierminister Donald Tusk weigert sich, den Pakt zu ratifizieren. Er lehnt
insbesondere das vorgesehene Umsiedlungsverfahren für Geflüchtete ab – obwohl
der Pakt Polen ausdrücklich davon ausnimmt. Zugleich leben weiterhin zahlreiche
ukrainische Geflüchtete mit temporärem Schutzstatus im Land.
Trotz der ablehnenden Haltung der Regierung gegenüber dem
EU-Migrationspakt und ihrer kritischen Sicht auf Rückübernahmeverfahren, kam es
in den vergangenen Monaten vermehrt zu Protestaktionen an der Grenze zu
Deutschland. Sympathisanten der rechtsextremen Konfederacja blockierten dabei
mehrfach Übergänge – mit dem Vorwurf, Deutschland schiebe im Rahmen des
Dublin-Protokolls Migrantinnen und Migranten nach Polen ab. Einer der
Wortführer bei den Protesten in Zgorzelec war der ultrarechte Aktivist Robert B?kiewicz,
der zuvor bereits antiukrainische Demonstrationen an der Ostgrenze organisiert
hatte. Die Protestierenden forderten ständige Grenzkontrollen entlang der
gesamten Landgrenze und nutzten das Migrationsthema, um antideutsche und
EU-feindliche Ressentiments zu schüren.
Auf der Suche nach Themen, die bei rechten Wählerinnen und
Wählern verfangen, verbreitet die polnische Regierung das Narrativ einer
angeblich hohen Kriminalitätsrate unter Migranten. Dabei liegt der Anteil an
Straftaten unter Zugewanderten laut offiziellen Statistiken niedriger als in
der einheimischen Bevölkerung. Dennoch machte Premierminister Tusk die
Abschiebung von Migranten, die verhaftet und einer Straftat beschuldigt wurden,
zum zentralen Thema seiner Social-Media-Kampagne. Das Innenministerium setzte
bereits Dutzende georgische Staatsbürger in eigens bereitgestellten
Militärflugzeugen außer Landes – eine Aktion, die öffentlichkeitswirksam
inszeniert wurde.
Darüber hinaus vergibt die polnische Regierung weiterhin nur
eingeschränkt Visa an Studierende und Arbeitssuchende aus Asien, Afrika und
Lateinamerika. Der stellvertretende Innenminister, Professor Maciej Duszczyk,
vertritt die Ansicht, Polen habe seine Integrationskapazitäten bereits
ausgeschöpft. Es sei daher unverantwortlich, noch mehr aufenthaltsberechtigte
Personen mit ausländischer Staatsangehörigkeit ins Land zu lassen.
Grundsätzlich plädiert Duszczyk für einen hochselektiven Ansatz in der Einwanderungspolitik:
Ärzte, medizinisches Fachpersonal und bestimmte gering qualifizierte
Arbeitskräfte sollen gezielt angeworben werden – andere Zuwanderungsoptionen
hingegen eingefroren. Um die Einzahlungen in den polnischen Rentenfonds zu
erhöhen, liegt ein Vorschlag auf dem Tisch, Arbeitserlaubnisse künftig nur noch
an Personen zu vergeben, die in Polen im Rahmen eines regulären Arbeitsvertrags
beschäftigt sind – eine Voraussetzung, die derzeit weniger als 40 Prozent der
Migrantinnen und Migranten erfüllen.
Fachleute betonen zwar, Integration sei der Schlüssel zu
erfolgreicher Migrationspolitik und sozialem Zusammenhalt, aber für dieses Ziel
wird in Polen wenig getan. Vor den Präsidentschaftswahlen hatte die Regierung
vor, ein landesweites Netzwerk von EU-finanzierten Einwanderungszentren
aufzubauen. Zum ersten Mal hätte der polnische Staat Migrantinnen und Migranten
Sprachkurse, psychologische Hilfe und Rechtsberatung angeboten. Nach Kritik von
PiS und Konfederacja wurde das Projekt jedoch auf Eis gelegt.
Wie bereits in der PiS-Ära liegt die Aufgabe, Migrantinnen
und Migranten das Ankommen in Polen zu erleichtern, weiterhin größtenteils bei
der Zivilgesellschaft. Sollte Rafa? Trzaskowski die Präsidentschaftswahl
gewinnen, könnte die Bürgerkoalition einen entspannteren Kurs in der
Migrationspolitik einschlagen und die längst versprochenen Integrationsprojekte
tatsächlich auf den Weg bringen. Doch indem sie Migration im Wahlkampf mal als
„Bedrohung“, mal als „notwendiges Übel“ darstellt, stärkt sie auf lange Sicht
vor allem jene Kräfte, die diese Narrative schon immer vertreten haben: PiS und
Konfederacja. IPG 3
Trump-Zölle könnten BIP um 0,3
Prozent reduzieren
München – Die von US-Präsident angekündigten Zölle würden
die deutsche Wirtschaft massiv schädigen. Nach ersten Berechnungen des ifo
Instituts würden die neuen Zölle das BIP in diesem Jahr um 0,3 Prozent
reduzieren. Einige Schlüsselbranchen wie Auto und Maschinenbau wären besonders
stark betroffen. „Da Deutschlands Wirtschaft bereits stagniert, ist es möglich,
dass die US-Zölle das Wirtschaftswachstum in Deutschland unter die Nulllinie
drücken“, sagt ifo-Präsident Clemens Fuest.
„Wenn die USA bei den angekündigten Zöllen bleiben, ist das
der größte Angriff auf den Freihandel seit dem 2. Weltkrieg“, sagt Fuest. Die
deutsche Wirtschaft leidet nach Ansicht der ifo Experten dreifach: Erstens,
weil Deutschland weniger in die USA exportieren kann. Zweitens, weil
Deutschland aufgrund der geringeren Wettbewerbsfähigkeit Chinas weniger nach
China exportieren kann. Drittens, weil Länder wie China dann stärker auf andere
Exportmärkte ausweichen müssen und damit deutsche Unternehmen zusätzlich unter
Druck setzen werden.
„Die Zolldifferenz zwischen den USA und der EU beträgt
durchschnittlich nur 0,5 Prozentpunkte. Dass gegenüber der EU dennoch
zusätzliche Zölle in Höhe von 20 Prozent verhängt wurden, zeigt, dass die
US-Regierung das Niveau gegenseitiger Zölle willkürlich festgelegt hat und
dabei auch handelsfremde Aspekte wie Mehrwertsteuersätze miteinbezogen hat“,
sagt ifo Außenhandelsexpertin Lisandra Flach. „Da eine solche Interpretation
von Reziprozität von nur wenigen Handelspartnern weltweit geteilt wird, macht
das bilaterale Verhandlungen mit der US-Regierung schwierig“, so Flach.
Die Europäische Union sollte mit größtmöglicher
Geschlossenheit auf die neuen US-Zölle reagieren und konkrete Gegenmaßnahmen
androhen, beispielsweise eine Digitalsteuer, die die USA empfindlich treffen
würden. „Eine vorschnelle Reaktion mit Gegenzöllen wäre aber kontraproduktiv
und könnte eine handelspolitische Eskalationsspirale weiter befördern“, warnt
ifo Experte Andreas Baur. Man sollte erst verhandeln, allerdings mit einer
relativ kurzen Frist bis zum Inkrafttreten der Gegenmaßnahmen.
Die Strategie des US-Präsidenten ist nach Ansicht von ifo
Präsident Clemens Fuest wenig überzeugend: „Die Wettbewerbsfähigkeit einer
Volkswirtschaft misst sich an ihrer Produktivität, nicht am Außenhandelssaldo.
Die Produktivität wird sinken, weil die Zölle die internationale Arbeitsteilung
beeinträchtigen. Wenn Trump Investitionen in die USA locken und gleichzeitig
das Handelsdefizit reduzieren möchte, müssen die Amerikaner selbst mehr sparen.
Das erfordert schmerzhafte Anpassungen in Form von Konsumverzicht.“
Auch die Idee, direkte Steuern mit Zöllen ganz zu ersetzen,
ist nach Ansicht von Fuest illusorisch. Dennoch könne Trump die Einnahmen
verwenden, um die direkten Steuern zu senken. Allerdings würde das stark
regressiv wirken. „Wenn Trump außerdem das Budgetdefizit senken will, wie er
behauptet, wird es nichts mit den Steuersenkungen.“ Ifo 3
Studie. Soziale Herkunft
entscheidet in Deutschland über guten Schulstart
Sprach- und Mathekompetenzen hängen in Deutschland bei
Schulstart stark von der sozialen Herkunft ab. Das ist das Ergebnis einer
aktuellen DIW-Studie. Danach schneidet Deutschland bei einem internationalen
Vergleich schlecht ab.
Die schulischen Fähigkeiten sind einer Studie des Deutschen
Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) zufolge besonders stark von der
sozialen Herkunft bestimmt. Bei sprachlichen Kompetenzen sei dieser
Zusammenhang in Deutschland stärker als in allen anderen untersuchten Ländern,
teilte das DIW am Mittwoch in Berlin mit. Mathematische Kompetenzen seien nur
in den USA ähnlich durch soziale Ungleichheit bedingt wie hierzulande.
Für die Studie hatte das DIW in Zusammenarbeit mit der Uni
Leipzig repräsentative Datensätze aus Frankreich, Großbritannien, Japan, den
Niederlanden, den USA und Deutschland verglichen. Untersucht wurden dabei die
Kompetenzen von Schulanfängern. Dies erlaube Rückschlüsse darauf, welche
Bedingungen neben dem Schulsystem selbst Ungleichheiten beförderten, hieß es.
Der Bildungsstand der Eltern war dabei meist einflussreicher als deren
Einkommen.
Mangelhafte frühkindliche Bildungsangebote
Demnach können in Deutschland 19,5 Prozent der sprachlichen
Kompetenzunterschiede bei Schulbeginn mit der Herkunft erklärt werden. Beim
Spitzenreiter Japan waren es 4,6 Prozent. Bei mathematischen Unterschieden
waren es in Deutschland 13,9 Prozent. Auch hier erzielte Japan mit 7,1 Prozent
den besten Wert.
Nach den Worten des Studienautors Jascha Dräger liegen die
schlechten Werte Deutschlands an dessen mangelhaften frühkindlichen
Bildungsangeboten. „Besonders gebührenfreie und hochwertige Betreuungsangebote
sowie eine gezielte Unterstützung sozial benachteiligter Familien beim
Kita-Zugang könnten dazu beitragen, die Startchancen für Kinder unabhängig von
ihrem familiären Hintergrund zu verbessern“, empfahl er. (epd/mig 3)
Culture Moves Europe: Drei Jahre
kulturelle Begegnungen in Europa
Mit Culture Moves Europe setzt das Goethe-Institut das
größte Programm der europäischen Union für kulturelle Mobilität um. Seit 2022
wurden über 7.000 Kunst- und Kulturschaffende aus 40 Ländern gefördert. Die
Europäische Kommission und das Goethe-Institut leisten damit einen wichtigen
Beitrag zu gesellschaftlichem Austausch und Zusammenhalt in Europa.
In Zeiten rasanter geopolitischer Veränderungen schaffen
Kunst und Kultur Räume für internationalen Dialog und Verständigung. Während
die internationale Gemeinschaft mit wachsenden politischen Spannungen, den
gewaltigen Auswirkungen der Klimakrise und einem Anstieg rechtspopulistischer
Bewegungen konfrontiert ist, geraten künstlerische Freiheit und Autonomie
zunehmend unter Druck. Umso entscheidender ist es, gerade jetzt internationalen
Austausch und künstlerische Kooperation über verschiedene Länder hinweg zu
fördern.
Mit Culture Moves Europe leisten die Europäische Kommission
und das Goethe-Institut einen wichtigen Beitrag hierzu. In der ersten
Projektphase, von 2022 bis 2025, deren Abschluss heute in Brüssel gefeiert
wird, betrug das Budget aus Mitteln der EU rund 21 Millionen Euro. Damit hatten
über 7.000 Kunst- und Kulturschaffenden aus 40 Ländern die Möglichkeit
international zu arbeiten. Das bedeutet über 160.000 Tage, an denen kulturelle
Netzwerke und internationaler Zusammenhalt gefördert wurden, und zwar nicht nur
zwischen den 27 EU-Mitgliedsstaaten, sondern auch mit benachbarten Ländern wie
Serbien, Georgien, Tunesien oder der Ukraine.
Johannes Ebert, der Generalsekretär der Goethe-Instituts,
unterstreicht die Relevanz kultureller Zusammenarbeit in Krisenzeiten:
"Culture Moves Europe ist das zentrale Programm der europäischen
künstlerischen Mobilität und ein wichtiger Beitrag zum europäischen
Zusammenhalt. Es ermöglicht Kunst- und Kulturschaffenden, ihre einzigartigen
Perspektiven und Erfahrungen grenzüberschreitend zu teilen. Dieser Austausch
trägt zu gegenseitigem Verständnis bei und gibt wichtige praktische Impulse für
die Arbeit von Künstlern und Kulturmanagerinnen. So entstehen nachhaltige
europäische Netzwerke der Zusammenarbeit und des Vertrauens."
Ein bedarfsorientiertes Programm mit Fokus auf
Nachhaltigkeit und Inklusion
Culture Moves Europe richtet sich an Künstler*innen und
Kreative aus den Bereichen Architektur, Kulturerbe, Design und Modedesign,
Literatur, Musik, darstellende Kunst und bildende Kunst. Sie erhalten entweder
Förderung für eigene Projekte oder nehmen an Residenzprogrammen teil, die durch
Culture Moves Europe unterstützt werden. Mit einem bedarfsorientierten und
niedrigschwelligen Antragsverfahren reagiert das Programm auf die Realitäten
des Kultursektors und legt besonderen Wert auf die Förderung von aufstrebenden
Kunst- und Kulturschaffenden.
Dabei stehen Nachhaltigkeit und Inklusion im Mittelpunkt:
ermuntert durch finanzielle Anreize, nutzen mehr als 50% der Geförderten
umweltfreundliche Transportmittel anstelle von Flugreisen. Eigens
bereitgestellte Ressourcen unterstützen bei der Entwicklung nachhaltiger
Projektansätze. Künstler*innen, für die die Teilnahme an internationalen
Projekten mit besonderen Hürden verbunden ist, erhalten zusätzliche Förderung.
Es gibt beispielsweise Zuschüsse für Menschen mit Behinderungen, Visakosten
oder Teilnehmende mit Kindern.
Culture Moves Europe geht weiter
80% der Teilnehmer*innen geben an, dass sie ihre Projekte
ohne die Unterstützung von Culture Moves Europe nicht ätten durchführen können,
99,6% würden das Programm weiterempfehlen. Aufbauend auf diesem Erfolg wird
Culture Moves Europe mit einer zweiten Projektphase fortgesetzt, die
voraussichtlich Mitte 2025 startet.
Weitere Informationen zu Culture Moves Europe finden Sie
hier: https://www.goethe.de/culturemoveseurope
Culture Moves Europe fördert die Mobilität von Kunst- und
Kulturschaffenden in den 40 Creative Europe-Ländern, die in den Bereiche
Architektur, Kulturerbe, Design und Modedesign, literarische Übersetzung,
Musik, darstellende Kunst und bildende Kunst tätig sind. Das Förderprogramm
besteht aus zwei Aktionslinien: Individuelle Mobilität und Residenzen. Gezielte
Maßnahmen sollen umweltfreundliche Mobilität sowie Zugänglichkeit für alle
Akteur*innen des Kultur- und Kreativsektors sicherstellen. Culture Moves Europe
wird von der Europäischen Union finanziert und vom Goethe-Institut umgesetzt.
Das Goethe-Institut ist das weltweit tätige Kulturinstitut
der Bundesrepublik Deutschland. Mit derzeit 151 Instituten in 98 Ländern
fördert es die Kenntnis der deutschen Sprache, pflegt die internationale
kulturelle Zusammenarbeit und vermittelt ein aktuelles Deutschlandbild. Durch
Kooperationen mit Partnereinrichtungen an zahlreichen weiteren Orten verfügt
das Goethe-Institut insgesamt über rund 1.000 Anlaufstellen weltweit. www.goethe.de.
GI 3
Hinkende Vergleiche, falsche
Schlüsse
Kriminalität und Migration: Was sagen die Zahlen wirklich?
Oft wird versucht, einen Zusammenhang zwischen Migration und
Kriminalität herzustellen. Bei Vorstellung von Polizeilichen
Kriminalstatistiken geht dann oft eine Debatte um. Experten fordern eine
differenzierte Betrachtung der Realität. Von Serhat Koçak
In der öffentlichen Debatte ist immer wieder zu hören, dass
Migration angeblich zu einer Zunahme der Kriminalität in Deutschland führe.
Dieser Eindruck wird oft mit dem Verweis auf die Anzahl der ausländischen
Tatverdächtigen in Kriminalstatistiken unterstrichen.
Die genaue Analyse der Zahlen zeigt aber, dass solche
Pauschalaussagen problematisch sind. Expertinnen und Experten weisen darauf
hin, dass die Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) eine Vielzahl von
Verzerrungen aufweist, die eine direkte Verbindung etwa zwischen Migration und
höherer Kriminalität nicht einfach belegen lassen.
Hinkende Vergleiche
Eine klassische These, die beispielsweise in den sozialen
Medien immer wieder verbreitet wird: Vergleicht man die Zahl der Ausländer,
denen in der Bundesrepublik eine Straftat vorgeworfen wird, mit ihrem Anteil an
der Bevölkerung, so sollen sie vermeintlich krimineller sein als Deutsche.
Das Problem bei solch einem Vergleich ist aber: Während in
der Kriminalitätsstatistik bestimmte Ausländergruppen wie beispielsweise
Menschen ohne Aufenthaltserlaubnis, Durchreisende, Touristen, Grenzpendler oder
stationierte Streitkräfte mitgezählt werden, kommen diese Gruppen von Menschen
in der Statistik der Wohnbevölkerung gar nicht vor. Sprich: Von den
nichtdeutschen Tatverdächtigen wohnt ein nicht geringer Teil gar nicht in der
Bundesrepublik.
Deutsche andererseits, die im Ausland etwa als Urlauber oder
Geschäftsreisende Straftaten begehen, landen erst gar nicht in der deutschen
PKS.
Grundsätzlich erfasst die PKS alle der Polizei
bekanntgewordenen Straftaten, einschließlich Tatverdächtigen- und Opferzahlen,
und dient der Kriminalitätsanalyse. Sie bildet jedoch nur das sogenannte
Hellfeld ab. Sie zählt Straftaten, die angezeigt oder polizeilich registriert
wurden. Als Dunkelfeld werden Straftaten bezeichnet, die nicht gemeldet werden.
Daher gibt die PKS zwar einen Überblick über Kriminalitätstrends, aber kein
vollständiges Bild der tatsächlichen Kriminalitätslage.
Unterschiedliche Hintergründe, falsche Schlüsse
Gerade bei der Untersuchung von Ausländerkriminalität sei
das problematisch, sagt Susann Prätor, Kriminologin und Professorin an der
Polizeiakademie Niedersachsen, da „dieser Ausschnitt der Kriminalität durch
verschiedene Faktoren noch mal verzerrt wird“. Sie kritisiert, dass Straftaten
wie Verstöße gegen das Asyl- oder Aufenthaltsgesetz nur von Nichtdeutschen
begangen werden können und deshalb die Statistik in diesem Bereich verfälsche.
Dies müsse berücksichtigt werden, da es die Zahl der Tatverdächtigen in der
ausländischen Bevölkerung in die Höhe treibe, „weil eben nur diese
Personengruppen überhaupt diese Straftaten begehen können.“
Die Kriminologin betont, dass die Gruppe der Nichtdeutschen
äußerst heterogen sei und keine einheitliche Kategorie bilde. In einem Raum
versammelt fänden sich Menschen unterschiedlicher Hintergründe: Einwanderer aus
den USA, die ihre ursprüngliche Staatsangehörigkeit behalten haben, Geflüchtete
aus Syrien mit traumatischen Erfahrungen, türkische Migranten, die seit
Jahrzehnten in Deutschland leben, Touristen oder auch Personen, die gezielt
einreisen, um Straftaten zu begehen.
„Wenn Sie die Gruppe fragen würden, was das verbindende
Merkmal ist, würde die Gruppe Ihnen wahrscheinlich sagen, überhaupt keines,
weil sie so unterschiedlich sind. Und das Einzige, was sie verbindet, ist der
nichtdeutsche Pass.“ Die Lebensumstände innerhalb dieser Gruppe seien jedoch so
verschieden, dass sich daraus keine allgemeingültigen Aussagen über
Kriminalitätswahrscheinlichkeiten ableiten ließen.
Forderungen nach einer differenzierteren Betrachtung
Die Diskussion um die Polizeiliche Kriminalstatistik wird
regelmäßig angestoßen, insbesondere wenn es um die Frage geht, inwieweit sie
ein realistisches Bild der Kriminalität abbildet. „Es gibt immer wieder
Stimmen, die eine Abschaffung der PKS fordern, eben weil sie nur eine
Hellfeldstatistik darstellt“, sagt Dirk Baier, Leiter des Instituts für
Delinquenz und Kriminalprävention an der Hochschule für Angewandte
Wissenschaften in Zürich. Doch statt diese abzuschaffen, solle man eher immer
wieder erwähnen, dass es eine Anzeigestatistik ist.
Die PKS erfasst nämlich lediglich Tatverdächtige – also
Personen, gegen die Ermittlungen geführt werden, ohne dass dabei eine
abschließende juristische Bewertung erfolgt. Soll etwa heißen: Ob ein Gericht
später einen Tatverdächtigen verurteilt oder freispricht, ist nicht
herauszulesen.
„Wir wissen, insbesondere auf Basis von Jugendstudien, dass
die Anzeigebereitschaft einem ausländischen Täter gegenüber bis zu 50 Prozent
höher liegt als einem deutschen Täter gegenüber“, erklärt der Soziologe. Dieser
Unterschied sinke aber, je schwerer eine Straftat sei. Ebenso wie grundsätzlich
mit der Schwere einer Straftat die Anzeigebereitschaft steige.
Soziale Ungleichheit als Treiber von Vergehen
Es könnte sein, dass Konflikte schwerer zu lösen sind, weil
Menschen unterschiedliche Sprachen sprechen oder aus verschiedenen Kulturen
kommen. Denkbar sei aber auch, dass Ressentiments, Vorurteile und
Fremdenfeindlichkeit eine Rolle spielen, warum ein ausländischer Täter eher
angezeigt werde.
Kriminalität sei kein Naturereignis, dem eine Gesellschaft
schutzlos ausgesetzt sei, sagt Baier. Vielmehr sei sie durch soziale Faktoren
mitbestimmt. Dies zeigt sich beispielsweise mit Blick auf gesellschaftliche
Ungleichheiten wie etwa des Einkommens, des Vermögens oder der Bildung. „Wenn
Ungleichheiten zunehmen, nimmt Kriminalität zu. Wenn es hingegen gelingt, allen
Menschen über sozialstaatliche Leistungen ein einigermaßen gutes Leben zu
ermöglichen, gibt es weniger Kriminalität.“ (dpa/mig 3)
Erdbeben in Myanmar:
Versorgung läuft an. World Vision befürchtet Missbrauch von Kindern
Friedrichsdorf. – Nach dem starken Erdbeben in Myanmar hat
die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision die Versorgung von
Überlebenden mit Hilfsgütern begonnen. Auch abgelegene Dörfer konnten von World
Vision erreicht werden.
Zerstörte Straßen, beschädigte Infrastruktur und häufige
Stromausfälle erschweren zwar die Arbeit der Einsatzteams von World Vision.
Doch sie konnten jetzt auch Überlebende in abgelegenen Dörfern in den am
stärksten betroffenen Gebieten in der Region Mandalay unterstützen.
Verteilungen lebenswichtiger Hilfsgüter wie Lebensmittel, sauberem Wasser und
Materialien für Unterkünfte wurden bereits geleistet. So hat ein lokales
Einsatz-Team gestern 500 Haushalte mit je 50 Kilogramm Reis versorgt. Zudem wurde
Trinkwasser geliefert und Familien bekamen Hilfsgüter wie Matten, Tücher und
Moskitonetze.
„Der humanitäre Bedarf in Myanmar ist immens“, so Dr. Kyi
Minn, Landesdirektor von World Vision in Myanmar. „Die Familien kämpfen mit
sehr hohen Temperaturen, großer Hitze und Wassermangel ohne Unterkunft, Nahrung
oder medizinische Versorgung und erleiden gleichzeitig ein schweres
körperliches und emotionales Trauma.“
World Vision arbeitet zudem daran, den Zugang zu
medizinischer Versorgung, sanitären Einrichtungen und psychosozialer
Unterstützung für die betroffenen Kinder und ihre Familien zu
ermöglichen.
Kyi Minn betont, dass der Schutz der Kinder oberste
Priorität haben muss. „Kinder sind während einer humanitären Krise immer am
stärksten gefährdet. Schon vor diesem Erdbeben war die Lage der Kinder in
Myanmar katastrophal“, so Minn. „Jetzt haben die Zerstörungen das Leid der
Familien noch verschlimmert und die Kinder in große Gefahr gebracht. In
Notsituationen wie dieser sind manche Kinder gezwungen zu fliehen, werden von
ihren Familien getrennt und sind Ausbeutung und Missbrauch ausgesetzt. Sie sind
der Gefahr ausgesetzt, verletzt oder sogar getötet zu werden. Mädchen sind
besonders gefährdet.“
World Vision Deutschland ist für die Durchführung der
Projekte und für die Erbebenopfer in Myanmar und Thailand auf Spenden
angewiesen:
World Vision Deutschland e.V.
Spendenkonto: PAX-Bank eG
IBAN DE72 3706 0193 4010 5000 07
BIC GENODED1PAX
Stichwort: Erdbeben Myanmar
Online: Jetzt für Katastrophenhilfe spenden
World Vision Deutschland ist Mitglied bei “Aktion
Deutschland hilft”
Aktion Deutschland Hilft e.V.
DE62 3702 0500 0000 1020 30
BIC: BFSWDE33XXX
SozialBank Stichwort: Erdbeben Myanmar Wv 2
UNHCR warnt. Streichungen der
Hilfsgelder lassen Millionen Menschen hungern
US-Präsident Trump und andere Länder streichen die Gelder
für die humanitäre Hilfe zusammen. Rund 58 Millionen Menschen droht deshalb
Hunger. Viele Binnenflüchtlinge könnten noch mehr leiden. Auch in Deutschland
könnte es Kürzungen geben.
Politiker versprechen wiederholt, Fluchtursachen bekämpfen
zu wollen. Eines der wichtigsten Instrumente dafür sind Hilfsgelder. Diese
werden entgegen dem Versprechen allerdings immer mehr gekürzt. Die Vereinten
Nationen warnen vor dramatischen Folgen der Mittelkürzungen der USA und anderer
Länder für die globale humanitäre Hilfe. Rund 58 Millionen Menschen seien vom
Verlust lebensrettender Essensrationen bedroht, warnte das
Welternährungsprogramm. Das Hilfswerk UNHCR betonte, dass die Streichungen
Millionen Menschen auf der Flucht treffen könnten.
Nach Angaben des Welternährungsprogramms ist die Bevölkerung
in 28 Krisengebieten durch Lebensmittelmangel gefährdet, darunter Sudan, die
Demokratische Republik Kongo und die Palästinenser-Gebiete. Bereits in den
vergangenen zwei Jahren habe das WFP immer weniger Gelder erhalten. Die
Organisation rechnet nochmals mit einem Rückgang der Finanzierung um 40 Prozent
in diesem Jahr.
Lebensbedrohliche Konsequenzen
Präsident Donald Trump hatte im Januar alle
US-Hilfsprogramme im Ausland für eine 90-tägige Überprüfung ausgesetzt. Er
strich die humanitären Programme der Hilfsagentur USAID massiv zusammen. Auch
andere Regierungen kürzten ihre Zahlungen für humanitäre Programme weltweit.
„Wir stehen vor einem finanziellen Abgrund mit
lebensbedrohlichen Konsequenzen“, sagte Rania Dagash-Kamara, beigeordnete
Exekutivdirektorin beim Welternährungsprogramm. „Notfall-Ernährungsprogramme
retten nicht nur Leben und lindern menschliches Leid. Sie bringen auch dringend
benötigte Stabilität in fragile Gemeinschaften“ unterstrich sie.
Globale Hungersituation dramatisch verschärft
Die globale Hungersituation habe sich dramatisch verschärft.
Rund 343 Millionen Menschen seien von akuter Ernährungsunsicherheit betroffen.
Ursachen seien Konflikte, wirtschaftliche Instabilität und klimabedingte
Katastrophen. Im laufenden Jahr 2025 plane das WFP, etwas mehr als ein Drittel
dieser Menschen zu unterstützen, das seien rund 123 Millionen der weltweit
Hungernden.
Im Sudan benötige das WFP fast 570 Millionen US-Dollar, um
monatlich über sieben Millionen Menschen zu versorgen. Insgesamt litten dort
24,6 Millionen Menschen unter akutem Hunger. In der Demokratischen Republik
Kongo brauche das UN-Programm 399 Millionen US-Dollar, um 6,4 Millionen
Menschen zu ernähren.
Millionen ohne lebensrettende Gesundheitsmaßnahmen
Für die Palästinenser-Gebiete veranschlagt das WFP den
Angaben zufolge rund 265 Millionen US-Dollar für die nächsten sechs Monate.
Damit sollen 1,4 Millionen Menschen im Gaza-Streifen und im Westjordanland mit
Lebensmittel versorgt werden. Weitere Brennpunkte seien Syrien, Libanon,
Südsudan, Myanmar, Haiti und die Sahelzone.
Das UNHCR warnte, dass ohne angemessene Mittel
schätzungsweise 12,8 Millionen Vertriebene im Jahr 2025 ohne lebensrettende
Gesundheitsmaßnahmen dastehen dürften. Davon seien 6,3 Millionen Kinder. Die
derzeitige humanitäre Finanzierungskrise beeinträchtige den Umfang und die
Qualität der öffentlichen Gesundheits- und Ernährungsprogramme für Flüchtlinge.
Das Risiko von Krankheitsausbrüchen, Unterernährung, unbehandelten chronischen
Erkrankungen und psychischen Problemen steige.
Warnungen vor Kürzung bei Entwicklungshilfe auch in
Deutschland
Auch in Deutschland stehen Kürzungen in der
Entwicklungshilfe bevor. Die Union plädiert in den derzeit laufenden
Koalitionsverhandlungen mit der SPD für eine Integration des
Bundesentwicklungsministeriums ins Auswärtige Amt. Die SPD – die derzeit auch
die geschäftsführende Entwicklungsministerin Svenja Schulze stellt – hält an
dem Ministerium fest. Strittig ist auch die zukünftige Höhe der Ausgaben für
Hilfsprojekte im Ausland.
Die Kirchen warnen vor Einschnitten bei der
Entwicklungszusammenarbeit. In einem am Freitag veröffentlichten gemeinsamen
Aufruf äußerten sich der stellvertretende Ratsvorsitzende der Evangelischen
Kirche in Deutschland (EKD), Tobias Bilz, und der Vorsitzende der Kommission
Weltkirche der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, Bertram Meier, mit
Blick auf die laufenden Koalitionsverhandlungen besorgt über mögliche
Kürzungen.
„Die Welt steht vor großen Aufgaben: Klimawandel, Hunger,
Flucht und Krisen erfordern internationale Zusammenarbeit und Solidarität“,
heißt es dem ökumenischen Aufruf: „Vor diesem Hintergrund erfüllen uns
Überlegungen bei den laufenden Koalitionsverhandlungen, die deutsche
Entwicklungspolitik drastisch zu kürzen, mit großer Sorge.“ (epd/mig 2)
Hamburg – Nach der Bundestagswahl formiert sich derzeit eine
neue Regierung, gleichzeitig hat der Krieg in der Ukraine durch die wenig
erfolgreichen Friedensbemühungen Donald Trumps neue Relevanz gewonnen. Beide
Entwicklungen hinterlassen ihre Spuren in der Meinungs- und Gefühlslage der
Deutschen – das zeigt die aktuelle Erhebung der Ipsos-Studie „What Worries the
World“, die monatlich in 29 Ländern durchgeführt wird.
* Wenige Wochen nach der Bundestagswahl nimmt das Gefühl,
dass sich Deutschland in die richtige Richtung entwickelt, wieder messbar zu –
wenn auch auf niedrigem Niveau: Aktuell sind 21 Prozent der Bundesbürger der
Meinung, dass es mit dem Land wieder aufwärts geht. Das sind 4 Prozentpunkte
mehr als im Vormonat, als ein neuer Tiefstand erreicht wurde. Im weltweiten
Vergleich liegt Deutschland damit aber immer noch auf dem viertletzten Platz.
Nur in Südkorea, Frankreich und Peru wird die Lage noch pessimistischer
eingeschätzt.
* Auch die wirtschaftliche Lage wird kritisch beurteilt:
Drei Viertel der Deutschen (74 %) halten sie weiterhin für schlecht – ein
Prozentpunkt weniger als im Vormonat.
* Nach der öffentlichen Eskalation zwischen US-Präsident
Trump und dem ukrainischen Präsidenten Selenskyj nimmt die Sorge vor
militärischen Konflikten weltweit zu – in Deutschland um 11 Prozentpunkte auf
27 Prozent. Auch bei den europäischen Nachbarn ist ein Anstieg zu verzeichnen:
Neben Deutschland am stärksten in Polen (+5 auf 32 %), Schweden (+10 auf 27 %),
den Niederlanden (+8 auf 25 %), Frankreich (+6 auf 15 %) und Italien (+4 auf 14
%).
„Die Präsidentschaft von Donald Trump wird mit Unsicherheit
und Polarisierung in Verbindung gebracht“, erklärt Laura Wolfs, Ipsos-Expertin
für qualitative Politik- und Sozialforschung. „Ereignisse, die dieses Gefühl
der Unsicherheit nähren, wie der offen zur Schau gestellte Konflikt mit
Selenskyj, tragen dazu bei, die Kriegsangst weiter zu verstärken. In unserer
Ipsos eigenen Online-Community haben wir Ende letzten und Anfang dieses Jahres
die Mitglieder nach ihren Gefühlen und Einstellungen zur aktuellen weltpolitischen
Lage befragt. Dabei konnten wir bereits feststellen, dass die Besorgnis über
den russischen Angriffskrieg zugenommen hat. Eine Teilnehmerin formulierte ihre
Sorge so: ‚Dieses Jahr habe ich vor allem Angst vor Kriegen, vor allem weil in
den USA nun Donald Trump an der Macht ist.'“
Sorgenbarometer: Migration bleibt größte Sorge der Deutschen
Das Thema Migration bereitet 41 Prozent der Deutschen Sorgen
und steht damit zum sechsten Mal in Folge an der Spitze des Rankings, auch wenn
es seit Februar leicht an Bedeutung verloren hat (-3 Prozentpunkte). Im
weltweiten Vergleich liegt Deutschland bei der Sorge um Zuwanderung knapp
hinter Chile (44 %) auf Platz zwei, mit einigem Abstand folgen andere
europäische Länder wie Großbritannien (32 %) und Frankreich (27 %) sowie die
USA (25 %).
An zweiter Stelle der größten Sorgen der Deutschen steht
wieder die Angst vor Armut und sozialer Ungleichheit (33 %), die im Vergleich
zum Vormonat um 3 Prozentpunkte gestiegen ist. Dagegen haben die Themen
Kriminalität und Gewalt (31 % | -5) sowie Inflation (27 % | -4) seit der
Bundestagswahl deutlich an Bedeutung verloren. Die Inflation, die vom Sommer
2022 bis zum Herbst 2023 die größte Sorge der Deutschen war, liegt im
weltweiten Durchschnitt auch heute noch auf Platz 1.
Die stark gestiegene Angst vor militärischen Konflikten (27
% | +11) komplettiert in Deutschland die Top 5 des Ipsos-Sorgenbarometers –
dicht gefolgt von der Angst vor zunehmendem Extremismus (23% | ±0), die
nirgendwo größer ist als in Deutschland, und der Sorge vor den Folgen des
Klimawandels (22% | +3). Ipsos 2
Chef vom Bundesamt FÜR Flüchtlinge – GEGEN Asyl
Eigentlich heißt die Behörde, die Bamf-Chef Sommer leitet,
Bundesamt FÜR Migration und Flüchtlinge. Jetzt fordert Sommer aber eine Politik
GEGEN Asyl. Grüne und Linke fordern seinen Rücktritt.
Innenpolitiker von Grünen und Linken fordern den Rücktritt
des Präsidenten des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge (Bamf),
Hans-Eckhard Sommer. Hintergrund ist, dass er sich für einen radikalen
Kurswechsel in der Asylpolitik ausgesprochen hat – weg von der Prüfung
individueller Asylanträge, hin zu humanitären Aufnahmen über Kontingente.
Das Bamf untersteht dem Bundesinnenministerium. Die
geschäftsführende Ministerin Nancy Faeser (SPD) macht sich die Aussage von
Sommer bei einer Pressekonferenz zu Migrationsfragen zwar nicht zu eigen.
Personelle Konsequenzen kündigt sie aber nicht an. Auf die Frage eines
Journalisten, ob sie mit dem Behördenchef über seinen Vorschlag sprechen wird,
antwortet Faeser lediglich: „Ich spreche immer mit Herrn Sommer.“ Von seinem
Vorschlage halte Faeser aber nicht viel. „Das Asylrecht steht für die SPD nicht
zur Disposition.“
Ihr Parteikollege, der Bundestagsabgeordnete Ralf Stegner,
sagt derweil dem „Handelsblatt“: „Solche öffentlichen Äußerungen eines
Behördenchefs widersprechen seiner Verantwortung, verletzen mutmaßlich die
Dienstpflichten und ziehen in der Regel personelle Konsequenzen nach sich.“
Bamf-Präsident hielt Vortrag nach eigener Aussage als
Privatperson
Sommer hatte am Montag bei einer Veranstaltung der
Konrad-Adenauer-Stiftung gesagt, es sei falsch, am individuellen Asylrecht
festzuhalten und auf positive Effekte der beschlossenen Reform des Gemeinsamen
Europäischen Asylsystems (GEAS) zu hoffen. Sinnvoller wäre es nach seinen
Worten, das aktuelle System durch humanitäre Aufnahmen „in beachtlicher Höhe“
zu ersetzen. Neben humanitären Gesichtspunkten könne hier auch die
Integrationsfähigkeit des Arbeitsmarkts eine Rolle spielen.
Wer dennoch unerlaubt nach Deutschland einreise, hätte dann
keine Aussicht mehr auf ein Bleiberecht. Sommer, der CSU-Mitglied ist und vor
seiner Bamf-Amtsübernahme als Hardliner in Asylfragen galt, hatte zu Beginn
seiner Rede betont, nicht als Bamf-Präsident zu sprechen, sondern seine
„persönliche Einschätzung“ und eine Zusammenfassung seiner Erfahrungen zu
präsentieren.
Grünen-Politiker halten Sommer für „nicht tragbar“
„Dass ein Präsident einer deutschen Bundesbehörde geltendes
deutsches Recht und das Völkerrecht infrage stellt, ist für einen Rechtsstaat
nicht tragbar“, sagt die Migrationsexpertin der Grünen-Fraktion, Filiz Polat.
„Bamf-Präsident Sommer hat sich mit seinen Äußerungen zur Abschaffung des
individuellen Asylrechts und dem Vorschlag, die Genfer Flüchtlingskonvention zu
verändern, für den Rücktritt qualifiziert.“
Die Bundestagsabgeordnete Clara Bünger (Linke) kritisiert
als Fehler, dass Faeser den von ihrem Amtsvorgänger Horst Seehofer (CSU) 2018
eingesetzten Bamf-Präsidenten nicht bei ihrem Amtsantritt abgezogen hat. „Wer
als Behördenchef die Kernaufgabe seines eigenen Amtes, individuelle
Asylprüfungen vorzunehmen, für unzeitgemäß, überflüssig oder gar falsch hält,
sollte von seinem Posten zurücktreten.“ Die Grünen-Politikerin Lamya Kaddor
nannte Sommers Ideen abenteuerlich.
Noch deutlicher reagierte die Organisation Pro Asyl auf
Sommers Vorschlag: „Wenn ausgerechnet der Leiter einer der größten Asylbehörden
der Welt das Asylrecht abschaffen will, sollte er seinen Hut nehmen“, sagte
Geschäftsführer Karl Kopp.
„Vorauseilender Gehorsam“?
Der Grünen-Vorsitzende Felix Banaszak sagte, dass sich der
Präsident des Bamf „als vermeintliche Privatperson auf einer Veranstaltung
einer CDU-nahen Stiftung hinsetzt und ein so hohes Gut wie das Grundrecht auf
Asyl infrage stellt und unsere Rechtsordnung angreift, ist mit seinem Amt nicht
zu vereinbaren“. Womöglich habe Sommer dies mit Blick auf einen vermuteten
Wechsel des Innenministeramts zur CDU/CSU „im vorauseilenden Gehorsam“ getan.
Tatsächlich kam der von Sommer vorgeschlagene Kurswechsel
beim Parlamentarischen Geschäftsführer der Unionsfraktion, Thorsten Frei (CDU),
gut an. „Dass ich diesem Vorschlag gegenüber eine gewisse Sympathie habe, das
kann man schon daran sehen, dass ich diesen Vorschlag auch schon einmal
unterbreitet habe“, sagte er bei RTL/ntv. In den laufenden
Koalitionsverhandlungen habe man darüber aber nicht gesprochen. (dpa/mig 2)
Teure Mieten, tiefe Spaltung: Wie die verfehlte
Wohnraumpolitik den sozialen Zusammenhalt in Europa gefährdet. Von Gerald
Koessl
Das Thema Wohnraum rückt auf der politischen Agenda immer
weiter nach oben. Bei den jüngsten regionalen und nationalen Wahlen in Spanien,
Österreich und den Niederlanden präsentierten verschiedene politische Parteien
ihre Ideen zur Lösung der Wohnungskrise. Für viele Europäerinnen und Europäer
ist die Situation in der Tat krisenhaft. Laut der Eurobarometer-Erhebung vom
Herbst 2024 gehört die Wohnungsfrage nach Einschätzung der Befragten zu den
fünf dringlichsten Problemen im eigenen Land. Dass bezahlbarer Wohnraum als
drängendes Problem wahrgenommen wird, ist eindeutig wirtschaftlich begründet.
Zwischen 2005 und 2023 wuchs das mittlere verfügbare Einkommen der europäischen
Bevölkerung lediglich um 17 Prozent, während die Mieten um 34 Prozent und die
Preise für Wohneigentum sogar um 76 Prozent stiegen. Doch der Mangel an
bezahlbarem Wohnraum ist nicht nur ein finanzielles Problem. Entscheidender
ist, dass er die wirtschaftlichen und sozialen Gräben in Europas Gesellschaften
langfristig zu vertiefen droht.
Für die Entkopplung der Preise für Wohneigentum und Mieten
von der Einkommensentwicklung sind vor allem zwei Faktoren verantwortlich.
Erstens hat die Finanzialisierung von Wohnraum dazu geführt, dass mit
Immobilien wie mit Anlagegütern verfahren wird. Ihr Wert wurde so in die Höhe
getrieben, dass Wohnraum zunehmend seine Funktion als bezahlbarer und
dauerhafter Lebensort verliert. Besonders in der Niedrigzinsphase wurde
intensiv spekuliert und investiert, da Immobilien zu den wenigen
Anlagemöglichkeiten mit substanziellen Ertragsaussichten zählten. Zweitens
wurde über Jahre hinweg zu wenig in neue und erschwingliche Sozialwohnungen
investiert. Gleichzeitig wurde vorhandener öffentlicher oder gemeinnütziger
Wohnraum privatisiert, sodass der Bestand an bezahlbarem und sicherem Wohnraum
in vielen europäischen Ländern geschrumpft ist.
Doch wie haben diese Entwicklungen den sozialen und
wirtschaftlichen Zusammenhalt europäischer Gesellschaften verändert? Die
Probleme, die durch rasant steigende Immobilienpreise und Mieten entstehen,
stehen zwar inzwischen im politischen Fokus. Aber der Anstieg der Hauspreise
war lange Zeit nicht nur ein wirtschaftlicher Nebeneffekt, sondern politisch
gewollt. Steigende Immobilienpreise bescherten den Hausbesitzern erhebliche
Vermögenszuwächse. Oft waren die Mehreinnahmen höher als das, was im gleichen
Zeitraum durch Erwerbsarbeit verdient werden konnte. Dieses Phänomen war nicht
nur in Städten wie London zu beobachten, wo die Wertsteigerungen von
Wohneigentum deutlich das mögliche Erwerbseinkommen überstiegen.
Einerseits flossen im großen Stil spekulative Investitionen
in den Wohnungsmarkt, andererseits wurde für Haushalte mit durchschnittlichem
Einkommen der Zugang zu Wohneigentum immer mehr erschwert. Im Extremfall führte
dieser Teufelskreis dazu, dass viele Eigentümer hohe Überschüsse aus
Mietwohnungen erzielten, während für einkommensschwache Mieter
Immobilienvermögen unerreichbar wurde. Besonders deutlich zeigt sich dieses
Auseinanderdriften in vielen angloamerikanischen Gesellschaften, deren
Wirtschaftsordnung stark von der Logik des Neoliberalismus geprägt ist. Nach
dieser Logik soll privates Vermögen schrittweise die Rolle des
Wohlfahrtsstaates übernehmen. Die sozialen Spaltungen, zu denen es in dieser
„Asset-Ökonomie“ kommt, sind somit maßgeblich vom Wohnimmobilienmarkt bestimmt
– oder werden sogar durch ihn hervorgerufen.
Die kurzfristige Logik der Wirtschaftspolitik beschert
manchen Akteuren beträchtliche Vermögenszuwächse – auf Kosten anderer Teile der
Bevölkerung, die nicht von steigenden Immobilienpreisen profitieren. Dies hat
allerdings auch fatale ökonomische Konsequenzen: Der Mangel an bezahlbarem
Wohnraum mindert die Kaufkraft und belastet zugleich die öffentlichen
Haushalte. In den meisten europäischen Ländern steigen die staatlichen Ausgaben
für Wohngeld erheblich an. Dieses gilt als aussagekräftiger Indikator für die
Probleme von Haushalten, bezahlbaren Wohnraum zu finden. Im Klartext: Die
Steuerzahler subventionieren teure Mieten, die überwiegend an Privatvermieter
gehen – ohne dass dies die Bezahlbarkeit oder die Qualität des Wohnraumangebots
langfristig verbessern würde.
Der Mangel an bezahlbarem Wohnraum betrifft nicht nur die
einzelnen Haushalte, sondern belastet auch die Wirtschaft. Zwei Studien zu den
ökonomischen Effekten gemeinnütziger Bauvereinigungen in Österreich zeigen: Ein
besseres Angebot an bezahlbarem Wohnraum stärkt nicht nur die Kaufkraft und die
lokale Wirtschaft, sondern senkt auch die staatlichen Ausgaben für Wohngeld.
Zudem wirkt sich die Verfügbarkeit von Wohnraum zu kostenbasierten Mieten
preisdämpfend auf den gesamten Wohnungsmarkt aus. Am stärksten unter hohen
Wohnkosten zu leiden haben die einkommensschwächeren Haushalte. Da Wohnraum ein
Gut des täglichen Bedarfs ist, lassen sich die Wohnkosten nicht analog zum
Einkommensniveau anpassen. Darum müssen einkommensschwächere Haushalte einen
überproportional großen Anteil ihres Einkommens für ihre Wohnkosten aufwenden.
Während der durchschnittliche Anteil der Wohnkosten am verfügbaren Einkommen
bei etwa 20 Prozent liegt, beträgt er bei einkommensschwachen Haushalten rund
38 Prozent. Als einkommensschwach gilt ein Haushalt, wenn sein verfügbares
Einkommen weniger als 60 Prozent des landesweiten Medianeinkommens liegt.
Der krisenhafte Mangel an bezahlbarem Wohnraum hat auch
Auswirkungen auf Quartiersebene. Der steigende Druck auf dem
Wohnimmobilienmarkt entfaltet eine Selektions- und Lenkungswirkung, die im
urbanen Raum besonders ausgeprägt ist. Einkommensstärkere Haushalte können sich
das Wohnen in attraktiven und gut angebundenen innerstädtischen Gebieten
leisten; Haushalte mit geringem Einkommen haben dagegen immer weniger
Wohnortoptionen. Im internationalen Vergleich ist die Segregation in den
europäischen Städten noch verhältnismäßig moderat, aber in den Hauptstädten
nimmt die sozioökonomische Entmischung erkennbar zu. Der Mangel an bezahlbarem
Wohnraum gefährdet nicht nur die finanzielle Stabilität vieler Menschen und
schmälert ihre Konsummöglichkeiten – er kann auch zu bleibenden Rissen im
Sozialgefüge unserer Städte und Stadtviertel führen. Besonders bei Menschen,
die wirtschaftlich nicht abgesichert sind und in prekären Wohnverhältnissen
leben, steigt das Risiko sozialer Ausgrenzung deutlich. Mögliche Folgen sind Vereinsamung,
Isolation und Verbitterung. Gleichzeitig verschärfen geografische
Ungleichheiten die sozialen Disparitäten – insbesondere wenn Kinder unter sehr
unterschiedlichen Bedingungen aufwachsen und keinen gleichberechtigten Zugang
zu qualitativ hochwertiger Infrastruktur oder Bildung haben. Eine europaweite
Untersuchung ergab, dass sogar der Zugang zu Grünflächen und sauberer Luft in
hohem Maße von den materiellen und finanziellen Ressourcen abhängt.
Bezahlbarer und sicherer Wohnraum ist essenziell für den
gesellschaftlichen Zusammenhalt. Wo er fehlt, wird die gesellschaftliche und
ökonomische Ausgrenzung verstärkt. Aber welcher politische Handlungsbedarf
leitet sich daraus ab? Eine der größten Herausforderungen liegt in der
Diskrepanz zwischen kurzfristigen politischen Zyklen und einer Wohnraumpolitik,
die nur mit langfristigem Atem Wirkung entfalten kann. Diese zeitliche
Schieflage erklärt mitunter, warum es vielen Regierungen bisher nicht gelingt,
tragfähige Lösungen für die Wohnraumkrise zu liefern. Stattdessen behelfen die
Regierungen sich oftmals mit kurzfristigen Korrekturen und lassen sich dabei
eher von ideologischen Vorstellungen als von evidenzbasierten Strategien
leiten. Dabei wird eine positive Vision für einen bezahlbaren und stabilen
Wohnungsmarkt dringender benötigt denn je.
Negative Zukunftserwartungen gehören nachweislich zu den
stärksten Prädiktoren für die Unterstützung extrem rechter Bewegungen. Die
Gefahr wächst, dass politische Akteure am rechten Rand solche Ängste
instrumentalisieren, wie in Ländern wie Irland, den Niederlanden und zuletzt
auch in Deutschland geschehen. Eine Sündenbockpolitik, die den Mangel an
erschwinglichem Wohnraum vor allem als Folge von Migration darstellt, verfehlt
die tatsächlichen Ursachen der Wohnraumkrise. Sie verschärft nicht nur die
gesellschaftliche Polarisierung, sondern behindert auch die Entwicklung
wirksamer Lösungen. Konstruktiver wäre es, den strukturellen Ursachen mit
evidenzbasierten Konzepten zu begegnen – Konzepten, die nicht spalten, sondern
den gesellschaftlichen Zusammenhalt stärken. Im Zentrum sollten dabei die
wachsende ökonomische Ungleichheit und eine seit Jahren verfehlte
Wohnraumpolitik stehen. IPG 1
Stumme Gefahr Bluthochdruck: So
schützen Sie Herz und Gefäße
Schlaganfall, Herzinfarkt, Vorhofflimmern: Ursache ist
häufig ein über Jahre unbemerkter Bluthochdruck. Was tun, um sich vor
Bluthochdruck und seinen Folgen zu schützen?
Frankfurt a. M. – Über 20 Millionen Menschen haben in
Deutschland einen hohen Blutdruck, etwa jeder dritte Erwachsene – sehr viele
wissen nichts von ihrem Bluthochdruck. Dieser ist tückisch, weil er als stumme
Erkrankung in der Regel ohne spürbare Symptome über die Zeit schleichend
lebenswichtige Organe schädigt und zerstört. „Jede noch so geringe Erhöhung des
Blutdrucks schädigt Gefäße und auf Dauer Organe wie Herz, Gehirn. Nieren oder
Augen. Je ausgeprägter die Blutdruckerhöhung ist, desto schwerer die Folgen für
die Organe“, warnt der Kardiologe Prof. Dr. Thomas Voigtländer,
Vorstandsvorsitzender der Deutschen Herzstiftung. Dabei könnte etwa die Hälfte
aller Schlaganfälle und Herzinfarkte durch Vorbeugung, eine frühe Diagnose und
Therapie verhindert werden. Darauf weisen Kardiologen und Hochdruckspezialisten
im neu überarbeiteten Herzstiftungs-Ratgeber „Bluthochdruck: Herz und Gefäße
schützen“ hin, der unter https://herzstiftung.de/bestellung oder per Telefon
unter 069 955128-400 angefordert werden kann.
Wo beginnt hoher Blutdruck, was sind die Therapieziele?
Die frühzeitige therapeutische Einstellung des hohen
Blutdrucks ist zwingend notwendig, weil die meisten der von einem
unkontrolliert hohen Blutdruck verursachten Schäden nicht reparabel sind.
Optimal sind bei Erwachsenen Werte um 120/70 mmHg. Liegt beim Arztbesuch der
Blutdruck wiederholt bei oder über 140/90 mmHg, besteht Bluthochdruck – auch
wenn nur ein Wert erhöht ist. „Spätestens dann ist eine Behandlung
erforderlich, darin sind sich alle europäischen Leitlinien einig“, sagt Prof.
Voigtländer. Bei der Selbstmessung zu Hause liegt der Grenzwert bereits bei
135/85 mmHg, wenn im Schnitt an sieben aufeinanderfolgenden Tagen diese Werte
im Mittel gemessen werden. Allerdings definieren die aktuellen Empfehlungen der
Europäischen Gesellschaft für Kardiologie (ESC) von 2024 mit dem sogenannten
„erhöhten Blutdruck“ – das sind Blutdruckwerte zwischen 120-139 (systolisch)
und 70-89 mmHg (diastolisch) – eine neue Kategorie, um zu unterstreichen, dass
ein erhöhtes Risiko für Organschäden nicht erst bei systolischen Werten über
140 mmHg anfängt. Blutdruckwerte von 130-139 mmHg systolisch beziehungsweise
80-89 mmHg diastolisch werden demzufolge schon als behandlungsbedürftig (durch
Lebensstiländerung plus meist auch Medikamente) angesehen, wenn zum Beispiel
bereits eine Herzerkrankung (Herzinfarkt, Herzmuskelschwäche), ein Schlaganfall
oder eine Nierenschwäche vorliegen. Diese Begleiterkrankungen erhöhen das
kardiovaskuläre Risiko. Ziel ist es, dass der systolische Blutdruck
idealerweise wenigstens zwischen 120 und 129 mmHg liegt. Weitere Infos unter
https://herzstiftung.de/bluthochdruck
Blutdruckmessen: die beste Vorsorge
Bluthochdruck wird leider weithin unterschätzt. Das liegt
insbesondere daran, dass ein dauerhaft erhöhter Blutdruck den Körper an den
hohen Druck gewöhnen lässt. Man fühlt sich dennoch gut. Symptome wie Schwindel,
Ohrensausen, Kopfschmerzen oder Nasenbluten können, müssen aber nicht
auftreten. „Macht sich Bluthochdruck durch Beschwerden bemerkbar, dann sind
häufig Gefäße und Organe geschädigt“, so Prof. Voigtländer, Ärztlicher Direktor
des Agaplesion Bethanien-Krankenhauses Frankfurt am Main. Umso wichtiger bei
der Vorsorge ist das früh- und rechtzeitige Erkennen des Bluthochdrucks durch
Messen, damit der Blutdruck medikamentös und mit einem gesunden Lebensstil gut
eingestellt werden kann. Die Deutsche Herzstiftung empfiehlt gemäß den
aktuellen ESC-Leitlinien eine Blutdruckkontrolle
* mindestens alle drei Jahre bei Erwachsenen unter 40
Jahren,
* mindestens einmal pro Jahr ab einem Alter von 40 Jahren.
Werden dabei erhöhte Werte festgestellt, es liegen aber keine weiteren
Risikofaktoren vor, die eine therapeutische Intervention erfordern, sollte
innerhalb des Jahres eine Nachkontrolle erfolgen.
Blutdruck messen: Wo und wie am besten?
Es gibt drei verschiedene Arten, den Blutdruck zu bestimmen:
1. die Blutdruckmessung beim Arzt in der Praxis,
2. die Selbstmessung zu Hause und
3. die kontinuierliche 24-Stunden-Messung.
Blutdruckmessungen in der Praxis/Klinik: Gerade hier besteht
immer die Gefahr der sogenannten „Weißkittelhypertonie“: Der Patient ist
aufgeregt, der Stresspegel steigt und mit ihm die Blutdruckwerte, die dann
höher gemessen werden als zu Hause. Deshalb sollte in der Praxis idealerweise
eine unbeaufsichtigte Blutdruckmessung erfolgen: Dem Patienten wird eine
Blutdruckmanschette angelegt und er sitzt alleine in einem ruhigen Raum. Nach
kurzer Wartezeit führt das Gerät automatisch mehrere Messungen durch. Das erste
Messergebnis wird verworfen, aus den beiden anderen Ergebnissen wird der
Mittelwert errechnet. Die so ermittelten Werte entsprechen dann am ehesten den
Werten einer Selbstmessung zu Hause.
Blutdruckmessen zu Hause: Bluthochdruckpatienten sollten
ihren Blutdruck regelmäßig morgens vor Einnahme ihrer Blutdrucksenker messen.
Es ist auch möglich, eine Messwoche pro Monat einzurichten.
Bluthochdruckpatienten messen dabei eine Woche lang morgens und abends den
Blutdruck. Der Durchschnittswert aus allen Werten der Woche gibt dann
Aufschluss, ob der Blutdruck passt. „Patienten sollten dann ihre Werte
notieren, am besten im Blutdruck-Pass, wie ihn die Deutsche Herzstiftung
anbietet“, rät Prof. Voigtländer. Auch zertifizierte Apps bieten die
Möglichkeit, Messwerte zu dokumentieren. Infos unter https://herzstiftung.de/blutdruck-messen
Fünf Grundregeln für korrektes Blutdruckmessen
Für das Messen des Blutdrucks gibt es folgende
Grundprinzipien, die eingehalten werden sollten:
1. Vor der Messung sollten Sie zunächst für 5 Minuten zur
Ruhe kommen und zuvor körperliche Aktivitäten vermeiden.
2. Setzen Sie sich entspannt auf einen Stuhl lehnen Sie sich
an die Stuhllehne an und legen Sie den zu messenden Arm auf den Tisch.
3. Wichtig ist die richtige Position der
Blutdruckmanschette: die Manschette muss sich – egal ob am Oberarm oder
Handgelenk – immer in Herzhöhe befinden, sonst kommt es zu verfälschten Werten.
4. Vermeiden Sie Bewegungen, Reden oder Lachen sowie
Ablenkungen durch Musik oder Nachrichten während der Messungen.
5. Zertifizierte Blutdruckmessgeräte sind zu bevorzugen.
Blutdruck senken: Medikamentös, aber flankiert von gesundem
Lebensstil
Medikamente gehören zu der Basistherapie von Bluthochdruck.
Die Einnahme von Blutdrucksenkern (Antihypertensiva) wird (spätestens) ab
Blutdruckwerten von 140/90 mmHg empfohlen, insbesondere, wenn mit einer
Lebensstil-Optimierung der Blutdruck nicht ausreichend gesenkt werden kann.
Erst indem man erhöhte Blutdruckwerte durch einen gesunden Lebensstil, allen
voran mit Ausdauerbewegung und Abbau von Übergewicht, und der konsequenten
Einnahme der blutdrucksenden Medikamente senkt, beugt man wirksam den Folgeerkrankungen
des Bluthochdrucks vor wie Herzschwäche (hypertensive Herzkrankheit oder
„Hochdruckherz“), koronare Herzkrankheit (KHK), Herzrhythmusstörungen
(Vorhofflimmern) sowie Herzinfarkt und Schlaganfall. Infos zu Blutdrucksenkern:
https://herzstiftung.de/blutdruck-senken-medikamente
Basis eines gesunden Lebensstils ist – neben weiteren
Maßnahmen wie gesunde Ernährung, Verzicht auf Rauchen und Alkohol – das
Ausdauertraining: etwa flottes Gehen, Radfahren, Joggen oder Schwimmen, am
besten fünfmal pro Woche mindestens 30 Minuten lang. „Auch kürzere Abschnitte
von zehn bis fünfzehn Minuten wirken bereits blutdrucksenkend. Man kann also
auch mit zweimal 15 Minuten pro Tag beginnen“, rät Voigtländer. „Mit
Ausdauerbewegung sinkt die Wahrscheinlichkeit, Übergewicht und damit einen der
wichtigsten Risikofaktoren für Bluthochdruck und andere Herzkrankheiten zu
entwickeln.“ Ergänzend zum Ausdauertraining ist ein mildes Krafttraining zwei-
bis dreimal die Woche ratsam, um den Blutdruck zu senken. Wichtig ist, mit
niedrigen Gewichten und vielen Wiederholungen (mindestens 15) zu beginnen und
ohne Pressatmung zu trainieren: immer mit offenem Mund und im Rhythmus der
Hantelbewegung ein- und ausatmen. Weitere Infos zum gesunden Lebensstil bei
Bluthochdruck:
https://herzstiftung.de/tipps-zu-blutdruck-natuerlich-senken
(wi/red)
Jetzt Ratgeber zum Bluthochdruck anfordern!
In dem Ratgeber „Bluthochdruck: Herz und Gefäße schützen“
informieren renommierte Bluthochdruckexpertinnen und -experten
laienverständlich über Ursachen, Diagnose und Therapie des Bluthochdrucks. Ein
weiterer Schwerpunkt ist die Prävention. Der 128 Seiten umfassende neu
überarbeitete Ratgeber kann bei der Herzstiftung kostenfrei angefordert werden
unter https://herzstiftung.de/bestellung oder per Mail unter
bestellung@herzstiftung.de oder Tel. 069 955128-400.
Herzspezialist Prof. Dr. Thomas Voigtländer erläutert die
Blutdruckmessung im Video: https://youtube.com/watch?v=6cQZaQskJJc
Zusatzinfos zum Bluthochdruck
* Der Blutdruck ist die Kraft, die das Blut auf die Wand von
Arterien und Venen ausübt. Er wird in Millimeter Quecksilbersäule angegeben,
abgekürzt mmHg.
* Ärzte nennen immer zwei Werte: Der systolische Wert ist
der Druck, der in den Gefäßen herrscht, wenn der Herzmuskel das Blut in den
Körper pumpt (Systole). Der diastolische Wert – der niedrigere von beiden –
gibt den Druck in den Gefäßen an, wenn der Herzmuskel entspannt ist und das
Organ sich wieder mit Blut füllt (Diastole). GA 1
Die Paris-Büroleiterin Adrienne Woltersdorf über das Urteil
gegen Marine Le Pen und ihren Ausschluss von der Präsidentschaftswahl 2027. Von
Adrienne Woltersdorf. Die Fragen stellte Philipp Kauppert.
Das lang erwartete Urteil im Prozess wegen der Veruntreuung
von EU-Geldern gegen die Vorsitzende des rechtsextremen Rassemblement
National (RN) hat hohe Wellen geschlagen. Wie waren die Reaktionen in
Frankreich?
Schock, Ungläubigkeit und Stellungnahmen, die das Vertrauen
in das demokratische System schwer beschädigen. Kurz, es ist ein auf
unterschiedlichsten Ebenen folgenreiches Urteil, in jeder Hinsicht. Nicht nur
drohen Marine Le Pen mindestens zwei Jahre Haft und eine Geldstrafe von 100 000
Euro. Das Gericht hielt es auch für angemessen, der Politikerin mit sofortiger
Wirkung für fünf Jahre zu verbieten, für politische Ämter zu kandidieren. Damit
wird faktisch auch ihre Kandidatur bei der Präsidentschaftswahl 2027 untersagt.
Der Rassemblement National, die Partei Marine Le Pens,
könnte das Urteil nun aber für eine politische Kampagne missbrauchen. Wie
schätzt du das ein?
Marine Le Pen und ihre Partei halten auch nach der
Urteilsverkündung völlig reuelos an ihrer Unschuld fest. Damit tappen sie
zunächst in ihre eigene Propagandafalle. Im Le-Pen-Lager scheint man ernsthaft
schockiert. Le Pen verließ den Gerichtssaal, noch während das Urteil verlesen
wurde, und zeigte damit deutlich ihre Verachtung für den Rechtsstaat. Zur
Erinnerung: Die Führungsriege des RN, einer Anti-EU-Partei, hatte über
zwölf Jahre hinweg systematisch EU-Gelder in Millionenhöhe veruntreut. Das Gericht
hat Marine Le Pen dafür keineswegs härter bestraft als andere Betrüger in
Frankreich, oder sogar andere hochrangige Politiker.
Nur erliegt der RN dem Wahn, dass Gesetze für ihn nicht
gelten würden. Das Urteil hat die Partei nun eben mal geköpft – und ihr die
schon ins Präsidentenamt geträumte Gallionsfigur abgeschlagen. Klar, dass der
RN schäumt. Der zeigte aber schnelle Reaktion und begann sofort mit dem
Verteilen von Flugblättern und einer Medienkampagne, um die Öffentlichkeit
gegen den ihrer Meinung nach „demokratischen Skandal“ aufzuhetzen. Donald Trump
hat es schließlich vorgemacht: Juristische Niederlagen lassen sich als Steilvorlagen
für erfolgreiche Opferkampagnen nutzen.
Schwer verständlich ist, dass sich Mitte-rechts-Parteien der
RN-Kritik mehr oder weniger anschließen. Wie ist das zu erklären?
Die Reaktionen von der gemäßigten Rechten, aber auch von der
linkspopulistischen Partei La France Insoumise (LFI) und zum Teil sogar aus der
aktuellen Regierung sind verstörend. Das zeigt einmal mehr, wie tief die Krise
ist, in der sich die französische Demokratie tatsächlich befindet. Anstatt klar
und deutlich den Rechtsstaat zu verteidigen, wie es etwa die Sozialisten im
Laufe des Tages taten, trompeten diese Parteien und die Regierung in das
RN-Horn. Nach anfänglich beredtem Schweigen ließen Mitarbeitende des
Premierministers François Bayrou, der selbst in eine Affäre um parlamentarische
Assistenten verwickelt ist, verlauten, er sei „beunruhigt über die
Urteilsbegründung“. Schon 2024 hatte er das Szenario einer sofortigen
Unwählbarkeit Le Pens als „störend“ bezeichnet. Auch der aktuelle
Justizminister, Gérald Darmanin, hatte es letztes Jahr „schockierend“ genannt,
sollte Le Pen verurteilt werden. Zahlreiche Politiker aus dem
Mitte-rechts-Lager nennen das Urteil „politisch bedenklich“ oder sogar „gefährlich
für die Demokratie“. Damit verdrehen sie die Fakten und stellen den gesamten
Rechtsstaat in Frage. Das ist gefährlich, nicht das Urteil selbst.
Das heißt, das Urteil wird weitreichende politische Folgen
haben. Was bedeutet das mit Blick auf die Präsidentschaftswahlen 2027?
Mit Sicherheit wird es massive politische Folgen geben. Aber
es ist kein politisch motiviertes Urteil. Das Gericht muss Gesetze anwenden,
die hier grob und systematisch missachtet wurden. Natürlich wird das nun
Verschwörungstheorien aller Art beflügeln. Denn ausgerechnet der Politikerin,
die nach heutigen Umfragewerten die besten Chancen hätte, 2027 ins französische
Präsidentenamt gewählt zu werden, wird dieser Weg per Gericht wohlbegründet
versperrt. Das ist ein politisches Erdbeben. Viele Wählerinnen und Wähler, vor
allem Anhänger des RN, werden das nicht akzeptieren. Das Urteil könnte selbst
über Frankreich hinaus Folgen auf EU-Ebene haben, denn offensichtlich ist es zu
einfach, das EU-System auszutricksen und Gelder zu veruntreuen. Das muss auch
andere Parteien mit EU-Abgeordneten alarmieren.
Und wie waren bisher die Reaktionen auf progressiver Seite?
Gibt es Unterschiede zwischen den Sozialisten und der extremen Linken?
Einmal mehr überraschte Jean-Luc Mélenchon mit einem seiner
typischen Hakenschläge. Der LFI-Vorsitzenden ist übrigens ebenfalls seit der
Einleitung eines Ermittlungsverfahrens im Jahr 2018 wegen Verstößen und
Unregelmäßigkeiten in seiner Zeit als EU-Abgeordneter angeklagt. Zwar verlas er
das neutrale Statement seiner Partei, betonte aber, dass er „grundsätzlich“ die
vorläufige Vollstreckung in Bezug auf die Nichtwählbarkeit ablehne. Unter
Missachtung des rechtsstaatlichen Urteils betonte auch er, dass die Entscheidung,
einen Abgeordneten seines Amtes zu entheben, dem Volk überlassen werden solle.
Diese Aussage hat innerhalb der französischen Linken für ziemlich viel Ärger
und Unmut gesorgt. Für ihn und seine Kandidatur für das Präsidentenamt ist die
Aussicht auf den Verlust seiner rechtsextremen Gegnerin strategisch von
Nachteil.
In der übrigen Linken war die Tonalität deutlich anders.
Hier verwies man auf die rhetorischen Angriffe des Rassemblement National, der
immer bereit ist, die Korruption der anderen Parteien, der vermeintlichen
„oberen Kasten“ anzugreifen. Zu Recht kritisierten grüne und linke Politiker
die Angriffe auf den Rechtsstaat, der bereits durch die Regierung unter
Präsident Macron arg beschädigt worden sei. Auf Seiten der Sozialistischen
Partei erinnerte allen voran der Abgeordnete und Kandidat für den
Bürgermeisterposten in Paris, Emmanuel Grégoire, an die Gleichheit vor dem
Gesetz. Er betonte, dass diejenigen irren, die glauben, sich in einer „Weihe
durch Umfragen“ rühmen zu können, um sich vom Respekt vor dem Gesetz zu
befreien. Der frühere Präsident und heutige PS-Abgeordnete François Hollande
kommentierte kritisch, dass der Premierminister nicht „verstört“ sein solle,
schließlich sei er der Hüter des Gesetzes.
Welche Auswirkungen wird das Urteil auf den weiteren
Wettbewerb zwischen den Parteien und das politische System insgesamt haben?
Es ist völlig klar, dass sich der RN nun neu formieren
müssen wird. Denn im Solarsystem des RN ist Marine Le Pen die Sonne, um die
sich alles dreht. Die Wählerbasis dürfte allerdings recht widerstandsfähig sein
und die Partei auch mit einer neuen Führung weiterhin unterstützen. Le Pens
Unwählbarkeit ebnet jetzt eben etwas vorzeitiger den Weg für ihren Adlatus und
jetzigen Vorsitzenden, Jordan Bardella – und auch für eine Neuausrichtung an
der Parteispitze. Der RN hat bisher stets behauptet, einen Strategieplan für
alle Eventualitäten in der Tasche zu haben und quasi startklar zu sein für das
Regieren. Noch hat man davon jedoch nicht viel gemerkt. Es bleibt auch
abzuwarten, wie sich das politische Feld insgesamt neu sortiert. Denn auch für
die anderen rechtskonservativen Parteien könnten die Karten im Hinblick auf
2027 nun neu gemischt werden. Fakt ist: In Frankreich kommt jetzt einiges in
Bewegung. IPG 1
Alterungsprozess verlangsamen?
Berlin/München - Die meisten Menschen wünschen sich ein
langes Leben voller Gesundheit, Kraft und Lebensqualität. Der Trendbegriff
Longevity (zu dt. Langlebigkeit) wird immer populärer: Dahinter steckt der
Wunsch, nicht nur möglichst lange zu leben, sondern die Lebensjahre auch aktiv
genießen zu können – ohne früh auf Hilfe angewiesen zu sein. Doch welche Tools,
Produkte und Praktiken haben erwiesenermaßen einen positiven Effekt auf den
Alterungsprozess? In der neuen Folge des ACHILLES RUNNING Podcasts gibt Prof.
Dr. Alexander Rondeck, Präventionsmediziner und Longevity-Experte, konkrete
Tipps, wie mit Bewegung, Ernährung und einer gezielten Lebensweise die
Grundlage für gesundes Altern geschafft werden kann.
Bewegung als Schlüssel – aber in Balance
In der aktuellen Folge des ACHILLES RUNNING Podcasts,
Deutschlands Top-Laufpodcast, widmet sich Gast und Longevity-Forscher Prof. Dr.
Alexander Rondeck insbesondere der Rolle, die Sport für die Langlebigkeit
spielt. Hierbei komme es auf die richtige Mischung an: Ausdauertraining – etwa
Laufen, Radfahren oder Schwimmen – stärke das Herz-Kreislauf-System und fördere
einen gesunden Stoffwechsel. Krafttraining, so Rondeck, sei wiederum
entscheidend, um Muskeln und Knochen auch im Alter stark zu halten und einem
Verlust an Selbstständigkeit vorzubeugen. Ergänzt durch gezieltes
Gleichgewichts- und Koordinationstraining trage Bewegung außerdem dazu bei, das
Sturzrisiko zu senken und die körperliche Stabilität zu verbessern.
Entscheidend sei jedoch nicht nur die Aktivität selbst, sondern auch die
Erholung danach: Wer sich keine Pausen gönne, schwäche langfristig den Körper.
Regeneration – insbesondere qualitativ hochwertiger Schlaf – sei unerlässlich,
damit Reparaturprozesse in den Zellen ablaufen können. Wer abends zu intensiv
trainiere oder zu lange vor Bildschirmen sitze, sabotiere möglicherweise die
eigene Schlafqualität – und damit auch die nächtliche Hormonproduktion, die
Zellregeneration und das Immunsystem.
Zellgesundheit stärken – mit Ernährung und
Mikronährstoffen
Auch die Ernährung spielt eine zentrale Rolle für gesunde
Langlebigkeit. In der Podcastfolge erklärt der Mediziner, dass eine
mediterrane, pflanzenbasierte Ernährungsweise nachweislich entzündungshemmend
wirke, wichtige Mikronährstoffe liefere und vor chronischen Erkrankungen
schützen könne. Im Fokus stehen dabei Gemüse, Hülsenfrüchte, gesunde Fette wie
Olivenöl und frische Kräuter. Fisch und Fleisch sollten am besten nur in Maßen
konsumiert werden.
Ergänzend zur ausgewogenen Ernährung könne auch eine
gezielte Supplementierung sinnvoll sein – vor allem dann, wenn Mängel bestehen.
Mikronährstoffe wie Vitamin D3 in Kombination mit Vitamin K2, B-Vitamine, sowie
Coenzym Q10 zählen laut Rondeck zu den wichtigsten Substanzen für
Zellgesundheit und Energieproduktion. Auch Kreatin könne hilfreich sein, um die
Muskelkraft zu unterstützen und die mitochondriale Leistungsfähigkeit zu
verbessern. Weitere wertvolle Inhaltsstoffe wie Spermidin oder sekundäre Pflanzenstoffe
wirken antioxidativ und förderten zelluläre Reparaturprozesse.
Eine pauschale Einnahme von Nahrungsergänzungsmitteln sei
jedoch nicht zu empfehlen. Stattdessen solle zunächst eine individuelle
Nährstoffanalyse erfolgen, um gezielt und bedarfsgerecht zu supplementieren.
Nur so ließen sich mögliche Defizite effektiv ausgleichen und die gewünschte
gesundheitliche Wirkung erzielen.
Ob NAD-Infusionen, Peptide oder NMN: Welche weiteren
Longevity-Trends wirklich Potenzial haben und wo Vorsicht geboten ist, wird
ebenfalls in der ACHILLES RUNNING Podcastfolge vom 31.03.2025 beleuchtet.
Die Folge „Longevity-Strategien: Lange laufen, langsam
altern - mit Prof. Dr. Alexander Rondeck“ ist jetzt bei allen
gängigen?Podcastanbietern?verfügbar. Mehr zum Podcast unter: ACHILLES RUNNING
Podcast.
Longevity-Strategien: Lange laufen, langsam altern - mit
Prof. Dr. Alexander Rondeck | ACHILLES RUNNING Podcast: https://shows.acast.com/5f55583f-d2b4-498e-b707-e9dddd4e556e/67d13c2ac6a6a96730cc2c44
Der ACHILLES RUNNING Podcast ist ein Angebot der ELPATO
Medien GmbH und befindet sich regelmäßig auf Platz 1 der deutschsprachigen
Lauf-Podcasts. Im wöchentlichen Zyklus werden Themen wie Trainingswissenschaft,
Sportmedizin und Ernährungsberatung mit wechselnden Expert:innen aus der Sport-
und Gesundheitsbranche auf unterhaltsame Weise aufbereitet.
GA 31.3.