Webgiornale 23
maggio – 6 giugno 2022
I tempi ‘geopolitici’ dell’unità europea
A seguito
dell’invasione russa dell’Ucraina, si è registrata tra i 27 Stati membri dell’Unione
Europea (Ue) un’unità d’intenti e soprattutto di vedute rara, considerando i
maggiori eventi di politica internazionale degli ultimi anni.
L’allineamento
storico dei governi europei
Questo
allineamento può essere considerato storico alla luce di due fattori. Il primo
è il costo pesante che – forse per la prima volta – viene chiesto di pagare ai
governi nazionali a vantaggio di una posizione comune europea. Per qualche
Stato questo sacrificio è in primis politico perché mette in discussione vecchi
assiomi di politica estera, come il neutralismo o l’adozione di un basso
profilo nel campo della sicurezza e della difesa. Per altri è, invece,
soprattutto economico e richiede un ripensamento dell’intero sistema nazionale
delle catene del valore o dell’approvvigionamento energetico. In alcuni casi,
come quello tedesco, il prezzo richiesto è su entrambi i fronti.
Il secondo motivo
per cui la sintonia dei 27 è rimarchevole è la tempistica. L’Unione Europea è
stata spesso accusata, come in occasione dell’emergenza pandemica, di reagire
agli eventi invece che governarli. La sua lentezza e l’apparente ‘bizantinismo’
di alcuni processi decisionali hanno spinto diversi movimenti populisti ad
accusare Bruxelles di eccessiva burocratizzazione e, in ultimo, di inefficienza.
Nel caso delle
sanzioni alla Russia questo non si è potuto dire: dall’inizio dello
sconfinamento dei carri armati russi in direzione di Kyiv all’approvazione del
primo pacchetto di sanzioni da parte del Consiglio sono passate, infatti, meno
di 24 ore. Anche se la tempestività di tale decisione è in parte certamente
imputabile al fatto che essa andava ad inserirsi nel filone di un procedimento
sanzionatorio già iniziato nel 2014, questo nulla toglie alla coerenza politica
dell’azione congiunta di Consiglio e Commissione. Molti osservatori si sono
stupiti di questo “cambio di passo”, arrivando a definire l’assenza di
divisioni a Bruxelles come la prima sconfitta per Mosca, ancor prima che le
vittorie militari ucraine arrivassero sul campo.
Un lungo processo
storico
In realtà, l’unità
d’intenti europea non si è concretizzata improvvisamente, ma è frutto di uno
sforzo decennale, non sempre tangibile ma che non dovrebbe essere
sottovalutato, da parte di tutti gli Stati di allineare indirizzi di politica estera
spesso divergenti nei confronti delle crisi internazionali. L’unità europea,
figlia del compromesso (o della non belligeranza) tra Stati membri, si è
ottenuta talvolta con enormi difficoltà, per esempio nel caso delle Primavere
arabe e del conflitto in Libia, e talaltra più facilmente costruendo una
narrativa comune, come accaduto con il JCPOA o gli accordi di Minsk.
In tal senso, la
risposta di oggi deriva sia da un lento processo storico che passa da vistosi
fallimenti sia della volontà politica di far giocare all’Unione, almeno sul
continente, finalmente un ruolo di prima linea. Appare facile, in altre parole,
definire la solidarietà intra-Ue sull’Ucraina nel 2022 come il riscatto di
quanto avvenuto durante la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia, quando gli europei
non erano riusciti, per mancanza di strumenti ma soprattutto di esperienza
nell’“europeizzare” la propria politica estera, a prendere una posizione forte
sul conflitto.
Il fatto che l’Ue
abbia in parte soddisfatto le proprie ambizioni “geopolitiche” (citando un
termine che sembra caro non solo all’ attuale Commissione ma a tutti gli
analisti dei nostri tempi) aiutando l’Ucraina non significa che non ci siano
importanti questioni di politics e di policy da osservare attentamente e la cui
evoluzione resta incerta.
Una posizione in
prima linea per la Commissione
Un tema irrisolto
resta, ad esempio, quello dell’evoluzione del rapporto politico tra le
istituzioni Ue e tra queste ultime e gli Stati membri. Non è sfuggito, infatti,
agli osservatori più attenti che, sebbene ci si muova sia nel contesto
sanzionatorio sia nel coordinamento diplomatico all’interno del quadro Pesc, la
Commissione sembra avere un ruolo molto più proattivo delle altre istituzioni
arrivando di fatto a fungere da crocevia decisionale e assicurando così
coerenza tra le diverse misure intraprese a sostegno dell’Ucraina.
Si possono citare
a questo riguardo molti esempi: dal negoziato per congelare gli asset russi in
Europa al contenuto dei cinque pacchetti di sanzioni, fino all’ultima battaglia
per uscire dagli accordi petroliferi. Insieme a questo, non si possono omettere
i molti gesti altamente simbolici compiuti da Ursula von der Leyen per
delineare chiaramente la posizione della Commissione sul conflitto in corso,
come l’emblematica visita a Kiev del mese scorso o l’apertura all’allargamento
verso i tre candidati del Partenariato Orientale.
La posizione della
Commissione oggi è perfettamente opposta a quella del 2014, quando l’allora
presidente Barroso aveva tentato una linea di equidistanza e di basso profilo
in occasione della crisi in Donbass, mettendo, tuttavia, in guardia su come
Putin fosse pronto a prendere l’Ucraina “in due settimane” in caso di mancato
accordo (un’affermazione che tra l’altro prefigura tragicamente l’errore di
valutazione compiuto dalla Russia lo scorso febbraio).
Un’altra indubbia
novità rispetto al passato è la scelta di coinvolgere l’Ue in un dominio di
hard power tradizionalmente appannaggio degli Stati come l’invio di armi. Su
questo si segnala certamente l’attivismo del Consiglio e del suo presidente
Charles Michel, a cui è spettato il delicato compito di tenere, per conto delle
istituzioni Ue, i rapporti con Vladimir Putin e di trovare al contempo il
consenso dei 27 sulla procedura da seguire per gli aiuti militari.
Alcune scelte
storiche, come quella di affidare all’European Union Military Staff (EUMS) un ruolo
nella selezione degli armamenti utili per le forze armate ucraine o di usare i
fondi dello European Peace Facility per passare sistemi da un Paese all’altro,
dimostrano una flessibilità di compiti e strumenti che non si credeva possibile
fino a pochi mesi fa e che è stata realizzata solo grazie alla volontà di
muoversi ad un livello superiore al Coreper. Ma è proprio il rapporto tra il
“centro” e la “periferia” dell’Ue il tassello potenzialmente debole del circolo
virtuoso che, in occasione del conflitto ucraino, sembra essersi creato.
Una sintonia
fragile
Il primo pericolo
è che la sintonia europea sia messa alla prova, ancora una volta, dalla scarsa
credibilità dell’Ue come organismo capace di assicurare copertura in caso di
shock asimmetrici. Questi shock possono essere militari o economici, ma in
entrambi i casi portano i cittadini europei a dubitare dell’esistenza dell’Ue
come attore politico. Il fatto che Paesi come la Finlandia e la Svezia non si
sentano tutelati dall’Ue nella propria sicurezza e sentano di dover ricorrere
alla Nato, o che la Germania, l’Italia e l’Ungheria dubitino che si possa
arrivare a una solidarietà energetica e quindi tergiversino su un ulteriore
inasprimento delle sanzioni, sono tutti fattori che indeboliscono la posizione
negoziale delle istituzioni comunitarie.
Il secondo
pericolo è invece il protagonismo degli Stati membri. Questi ultimi,
comprensibilmente anche alla luce di quanto detto, appaiono sempre tentati da
spinte centrifughe di protagonismo o fine a sé stesso o, ancor peggio, animato
da altri fini.
Questo pericolo
riguarda Paesi “centrali” dell’Unione come la Francia, dove l’Eliseo ha
ereditato la posizione di interlocutore privilegiato del Cremlino dopo le
dimissioni di Angela Merkel, e in egual modo Stati “periferici” come la Polonia
e l’Ungheria, con posizioni diametralmente opposte sull’Ucraina ma ugualmente
interessate a marcare un proprio distinguo rispetto a Bruxelles. Proprio la
frammentazione nazionale, ultimo e, ad oggi, inevitabile tallone d’Achille della
Pesc, potrebbe tuttavia essere al centro delle prossime riforme in Europa.
Il Parlamento di
Strasburgo la scorsa settimana ha infatti approvato le raccomandazioni finali
della Conferenza sul futuro dell’Europa; tra queste, un punto centrale è
l’abolizione dell’unanimità del Consiglio e un processo decisionale meno
parcellizzato sulle grandi decisioni di politica estera. I parlamentari hanno
ipotizzato una riforma dei Trattati che inevitabilmente – dati i tempi –
metterebbe la (geo)politica internazionale al centro, stabilendo nuovi
meccanismi e nuove competenze per gli organi di Bruxelles. Se veramente una
riforma di questa portata è all’orizzonte, i rapporti di potere interni ed
esterni di questi mesi sembrano particolarmente significativi e destinati a segnare
il futuro dell’Unione. Federico Castiglioni, AffInt 12
Guerra in Ucraina. Viaggio in un Paese in guerra, dove tutti sono al fronte
Da una dozzina d’anni il mottense Mario Po’ segue le vicende e la realtà
quotidiana del popolo ucraino. Un’attenzione che non si è interrotta dopo
l’invasione da parte dell’esercito russo. L’ultimo viaggio Mario Po’ l’ha
intrapreso qualche settimana fa, la sera di Pasqua, transitando per l’Ungheria,
viaggiando da solo con Flixbus e con i bus ucraini, visitando alcune località
dell’oblast transcarpatico, proseguendo verso nord, giungendo nella Galizia
ucraina poi a Leopoli; facendo poi ritorno attraverso la Polonia e l’Austria.
Franco Pozzebon (“L’Azione” di Vittorio Veneto)
Come è nato questo legame, questa frequentazione con l’Ucraina?
Nel 2010 è arrivato in santuario a Motta di Livenza padre Benedikt
Sviderskij, frate ucraino che studiava ecumenismo a Venezia, con cui abbiamo
subito fraternizzato, anche perché ho sempre considerato interessante
umanamente e culturalmente il mondo europeo orientale. Avevo già letto molto
sulla realtà slava e visitato grandi Paesi come la Russia, la Serbia, la
Bielorussia, ma conoscevo poco l’Ucraina. Per la verità credo che fino a due
mesi fa gran parte degli italiani non sapessero collocare geograficamente
l’Ucraina.Con padre Benedikt ho avuto il privilegio di conoscere l’Ucraina,
anche attraverso la memoria delle persecuzioni subite dai cattolici durante il
comunismo sovietico e attraverso le criticità del post-comunismo. Ricordo che
nel primo viaggio mi mostrò che sotto il pavimento della chiesa di Husyatin
c’erano ancora i resti umani dei cattolici fucilati o sepolti vivi dai
comunisti. Quel viaggio si aprì anche ad una prospettiva di speranza, perché
poi mi fece conoscere il villaggio di Ulianivka, sperduto nella vastità della
pianura ucraina, che mi è rimasto nel cuore. Era il giorno di sant’Antonio; una
minuscola casetta di legno conteneva un mucchio gente in ginocchio che pregava
a mezzogiorno. Era la loro chiesa. Ho pensato alle nostre grandi chiese vuote e
mi sono vergognato.
Una scossa forte, quindi?
Molto forte, ma così è iniziato un articolato progetto di aiuto alla
comunità cattolica di rito latino, coordinato da padre Benedikt. Prima cento
letti, cento materassi e cento comodini per un loro ospedale; poi una bella
chiesa in muratura a Ulianivka; la sistemazione delle aule del catechismo nel
convento di Zhitomyr saccheggiato dall’Armata rossa; la ricostruzione
dell’altare demolito dai sovietici a Baranivka; la realizzazione delle cinque
campane già fuse dai sovietici a Zhitomyr; le nuove finestre di un vicino
monastero di benedettine di clausura; un nuovo edificio nel bosco per il
camposcuola estivo dei bambini e altro ancora, coniugando sempre fede,
formazione religiosa, primarie necessità umane.
Si sente parlare spesso dei legami storici forti tra Russia e Ucraina. Lei
quale idea si è fatto al riguardo?
Da questa mia conoscenza dell’Ucraina dall’interno ho tratto presto la
convinzione che è vero che Russia e Ucraina hanno la loro storia nella Rus’ di
Kiev, ma è altrettanto vero che un abisso ormai le separa. Restano vicine, ma
un terremoto politico ha creato una faglia profonda tra di loro. Questo
terremoto sono i settant’anni di comunismo che ha congelato violentemente i problemi
territoriali, economici, sociali e persino ecclesiali e la ricerca delle
soluzioni. Si parla poco in Italia di questa tremenda parentesi, non riuscendo
a capire pertanto i fatti di oggi. La gente in Ucraina, invece, ne parla
sempre.
Ci faccia degli esempi.
Per gli ucraini l’invasione russa non è stata una sorpresa. Padre Benedikt
me ne parlava a luglio dello scorso anno come di un evento molto probabile, non
credendo a quanto io gli riferivo sulle analisi degli esperti italiani, che
oggi definiscono Putin un matto per giustificare la loro incapacità di analisi.
Invece, gli ucraini definiscono Putin in altro modo e, comunque, è il loro
nemico strategico.
Noi non riusciamo a capire il nazionalismo ucraino, che consideriamo una
forma di fascismo. Ma dopo una visita a Kiev al mausoleo dell’Olocausto ucraino
– quello della carestia pianificata da Stalin per “domare” l’Ucraina, che
provocò milioni di morti –, possiamo comprendere meglio il significato di
nazione e patria, che da noi è piuttosto frainteso. Credo che se l’Ucraina
entrerà nell’Unione europea ci aiuterà a capire che l’appartenenza alla propria
patria non contraddice l’europeismo.
Nel suo recente viaggio cosa l’ha colpita?
Ho visto in vari luoghi il ritorno a casa di giovani soldati morti al
fronte. L’accoglienza nelle strade era quasi di festa e i funerali erano,
direi, composti; nessuno piangeva, perché ogni soldato morto è un eroe. La
famiglia si consola così.
Tutto il Paese è militarizzato; nel senso che tutta la società ucraina è,
direttamente o indirettamente, al fronte.
Quale situazione religiosa ha trovato?
Anche le parrocchie sono partecipi di questa tragedia: nelle chiese di rito
latino, ad esempio, sfidando il coprifuoco notturno si fa spesso l’adorazione
eucaristica fino alle 6 del mattino, così la gente sta in chiesa tutta la
notte; i bambini mandano le loro preghiere ai giovani parrocchiani al fronte;
si fa di tutto per mantenere le cadenze della prima comunione, della festa del
santo patrono, degli incontri pastorali per le coppie, anche se sono rimaste
solo le donne. La gente si confessa e si comunica molto di più e i fedeli sono
aumentati nelle parrocchie dell’ovest per la presenza degli sfollati da Kiev. A
Sharhorod, ove è parroco padre Benedikt, su una popolazione di fedeli di duemila
persone, la Messa domenicale dei bambini di solito ha circa 350-400 ragazzi
presenti. I vescovi di rito latino hanno autorizzato i parroci a confessare gli
uomini che vanno in guerra anche per i peccati non remissibili ordinariamente,
ma soltanto per una volta.
Ho visitato il monastero benedettino di Leopoli, dove la giovanissima
badessa madre Klara ha revocato la clausura per accogliere oltre cento
profughi, mamme e bambini. Le monache sono contente che la sala del capitolo
sia diventata una sala giochi e la biblioteca una stireria.Sulla situazione
ecclesiale ucraina, in Italia c’è scarsa informazione: ad esempio, pochi sanno
che i cattolici che hanno il nostro rito latino sono oltre due milioni;
dovremmo sostenere di più la Chiesa cattolica latina ucraina, che è vista male
perché fedele al Papa e liturgicamente polacca-occidentale.
In Ucraina la gente comune come sta vivendo questa guerra?
Credo che la parola giusta per definire l’atteggiamento della gente ucraina
sia serietà. A Mukacevo una bambina per la strada mi ha chiesto, con serietà,
se acquistavo le bamboline fatte da lei per sostenere l’Ucraina: tutti hanno un
compito, anche i bambini sono consapevoli che vivono la storia.
Lungo le strade ci sono grandi poster del governo che sostengono
psicologicamente la popolazione con vari slogan. Uno di questi diceva: “Il
Signore salverà l’Ucraina come l’Ucraina guarirà l’Europa”.
Tutti i ponti sono minati e presidiati, anche nelle strade di campagna ci
sono i check point, le sirene degli allarmi aerei suonano ovunque, di notte e
di giorno, e bisogna andare nei rifugi, come ho dovuto fare anch’io
ripetutamente. Alcuni villaggi sono troppo poveri per permettersi una sirena,
così con i rifugi antiaerei si arrangiano come possono; a volte però arrivano
troppo tardi.
Ha incontrato altri occidentali in Ucraina?
Nel mio viaggio ho visto solo mamme che cercavano i loro figli o mamme
incinte in fuga; alle frontiere ungherese e polacca, nelle città e nei paesi,
nelle chiese non ho incontrato altri stranieri come me. Non ho incrociato né
esperti, giornalisti, politici o studiosi. Ho visto soltanto ucraini lasciati
al loro destino di salvare la loro nazione e di fare da guardiani del nostro
Occidente ipocrita, dissoluto e senza identità.Io credo molto alla visione di
Giovanni Paolo II dell’Europa che respira con i due polmoni dell’Est e
dell’Ovest; invece questa guerra mostra con infinita tristezza la dissoluzione
culturale della vera Europa, quella che comprende Dostoevskij, Gogol, Manzoni,
Proust, Cervantes, ma anche la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Eppure
gli ucraini con orgoglio dicono che il centro geografico dell’Europa è proprio
nel loro Paese, in una località dei Carpazi centrali, tra gli Urali russi e
l’Atlantico. Forse confidando in questa “geografia della speranza” non tutto è
perduto. Sir 21
La Russia di Alessandro I e quella di Putin, la Russia di ieri e quella di
oggi
L’invasione dell’Ucraina
ordinata da Putin, inattesa e di cui purtroppo ignoriamo l’esito finale, ha
richiamato alla memoria di chi scrive, le parole di Pavel Ivanovic Pestel,
giovane combattente nella guerra napoleonica del 1812 e autore anche di una
costituzione conosciuta con il nome di Russkaja Pravda.
L’epoca è quella
dello zar Alessandro I, la Russia di cui parla Pestel è invece la grande madre
Russia, il russkjimir, il mondo russo, quello invocato nel 2014 da Putin per
giustificare l’annessione della Crimea e, oggi, l’invasione dell’Ucraina.
Il pensiero di
Pestel si può riassumere: la Russia è immensa ma, accanto al popolo russo,
convivono numerose altre nazionalità, altre etnie. Se le frontiere sono
tranquille, assicurano la pace e la prosperità della grande madre Russia, ma
può accadere che le piccole nazioni sottomesse a un grande popolo, come il
popolo russo, mirino spesso ad essere indipendenti. E può a sua volta accadere
che una grande nazione come la Russia desideri frontiere sicure e cerchi di
impedire che le piccole nazioni, che vivono ai suoi margini, finiscano
nell’orbita di altri grandi Stati.
Pestel, fatta
salva la Polonia, nega ai paesi baltici, alla Crimea, alla Georgia, alle
regioni del Caucaso e della Siberia il diritto di nazionalità. Sono popoli
troppo piccoli, appartenenti da tempo alla Russia e senza una storia di vera
indipendenza, come oggi accade con il Donbass e la Transnistria, quest’ultima
appartenente alla Moldavia, ma autoproclamatasi indipendente e con
riconoscimento internazionale solo parziale. Sono nazioni che, a causa della
loro scarsa estensione territoriale e conseguente debolezza geopolitica, non
potranno mai essere indipendenti.
A distanza di due
secoli le parole di Pestel sono terribilmente attuali, ma non tali da
legittimare i disegni espansionistici di Putin; testimoniano invece la
storicità di tensioni, di problemi che, ora palesi ora sottesi, segnano il
cammino di un popolo, il suo destino.
Sottolineano,
anzi, la necessità che le decisioni, le scelte di un governo, come il dire e
l’agire di chi guida un grande Paese, e la Russia lo è, nascano da una profonda
consapevolezza storica, si interroghino sul perché del riprodursi nel tempo, di
avvenimenti tanto dolorosi e tragici come sono le guerre.
Tutto ciò, non è
per giustificare quanto avvenuto nella sua crudezza, ma per ricostruire un
passato utile per l’oggi e il domani.
Chi ignora il
passato ignora anche il presente e si lascia dominare solo dall’istinto di
sopraffazione. Invece un’azione politica che duri nel tempo e abbia un peso
nella vita di un popolo, nasce dalla lucida consapevolezza di non dover
ripetere gli errori del passato, ma di dover costruire un futuro di pace e
prosperità.
E’ quanto viene
chiesto all’uomo politico che abbia vigore e prestigio di statista, che abbia
energia e volontà, capacità di sintesi, lungimiranza che è vedere lontano e da
lontano, tutte qualità che Putin non ha, equiparabile com’è ai dittatori di
ieri e di oggi. Angela Casilli, de.it.press 21
Emissioni di rifiuti tossici dalle grandi imprese industriali. Incendi.
Migliaia di carri armati e veicoli blindati russi abbandonati. Emergenza acqua
e più di 80.000 chilometri quadrati dell'Ucraina che devono essere ripuliti da
mine e resti di esplosivi. “Le ferite inflitte dall'esercito russo alle
foreste, alle steppe e ai bacini idrici dell'Ucraina rimarranno per decenni e
l'eredità della guerra sarà minacciata anche dopo che le armi tacceranno”. È
l’ufficio per l’ecologia della Chiesa greco-cattolica ucraina, a lanciare
l’allarme e a pubblicare sul suo sito un Report dettagliato sui “danni”
ambientali provocati durante la guerra – di M. Chiara Biagioni
Non solo crimini di guerra e crimini contro l’umanità. In Ucraina si stanno
compiendo anche “crimini contro l’ambiente” e sono gravissimi perché come
avvertono gli ambientalisti, “le ferite inflitte dall’esercito russo alle
foreste, alle steppe e ai bacini idrici dell’Ucraina rimarranno per decenni e
l’eredità della guerra sarà minacciata anche dopo che le armi tacceranno”. È
l’ufficio per l’ecologia della Chiesa greco-cattolica ucraina, a lanciare
l’allarme e a pubblicare sul suo sito un Report dettagliato sui “danni”
ambientali provocati durante la guerra, stilati grazie al lavoro di una ong
l’Ekodia. La “devastazione” è totale tante che Ekodia ha già registrato più di
200 “ecocidi”. Il maggior numero di questi crimini si è verificato a Kiev,
Slobozhanshchyna, Donetsk e nell’Ucraina meridionale. Tuttavia, quasi tutte le
regioni dell’Ucraina subiscono le azioni dell’esercito russo e il quadro
completo sarà disponibile solo dopo la guerra. Dall’inizio della guerra, le
truppe russe hanno bombardato depositi di petrolio e grandi impianti
industriali in tutta l’Ucraina. I metalli pesanti dei proiettili e in genere
delle armi utilizzate, sono entrati nel suolo e nelle falde acquifere. A questo
vanno poi aggiunti gli incendi nelle foreste e nelle steppe che hanno distrutto
l’ambiente naturale di specie rare. Secondo l’Onu, l’Ucraina è uno dei paesi
più minati al mondo. Più di 80.000 chilometri quadrati dell’Ucraina devono
essere ripuliti da mine e resti di esplosivi. La guerra, insomma, distrugge
spietatamente tutta la natura: aria, acqua, terra, piante e animali. E
l’Ucraina – a detta del ministro della Protezione ambientale Ruslan Strelets –
potrebbe diventare il primo paese al mondo a ricevere risarcimenti per crimini
contro l’ambiente per un danno che ammonta già a centinaia di miliardi di
grivne.
Emissioni di rifiuti tossici dalle imprese industriali. L’ultimo allarme,
in senso cronologico, parte dal Mar d’Azov e a lanciarlo è l’amministrazione
cittadina di Mariupol su Telegram. “C’è una minaccia di completa estinzione del
Mar d’Azov”, si legge nel post. “Il bombardamento dell’Azovstal potrebbe
danneggiare una struttura tecnica che trattiene decine di migliaia di
tonnellate di soluzione concentrata di idrogeno solforato. La perdita di questo
fluido ucciderà completamente la flora e la fauna del Mar d’Azov. Quindi queste
sostanze pericolose possono entrare nel Mar Nero e nel Mar Mediterraneo.
Secondo il sindaco di Mariupol Vadym Boychenko, è necessario l’ingresso
immediato alla struttura di esperti internazionali e delle Nazioni Unite per
“studiare la situazione e prevenire una catastrofe ambientale di livello
mondiale”. L’Ekodia conferma: oltre al rischio radioattivo, i bombardamenti e
l’occupazione aumentano il rischio di emissioni di rifiuti tossici dalle
imprese industriali ucraine. La maggior parte di loro si trova nella parte
orientale del paese, dove sono in corso le ostilità attive.
Incendi. Il fuoco mette a rischio ampie aree dell’Ucraina meridionale e
orientale e questa minaccia sta crescendo con l’avvicinarsi dell’estate. Gli
incendi boschivi si stanno verificando a causa dei combattimenti all’interno e
intorno alle foreste e a causa della guerra in corso, non c’è praticamente
nessuno che può intervenire per spegnere le fiamme. Pericolosi sono poi gli
incendi che emanano dai depositi di petrolio. Le truppe russe – si legge nel
report – hanno colpito dozzine di volte depositi di petrolio e distributori di
benzina e gli incendi hanno emesso colonne di fumo nero tossico per giorni. Il
bombardamento ad impianti chimici, come quello di Rubizhne nella regione di
Luhansk o quello di Sumy, ha portato a perdite di azoto e ammoniaca. Per non
parlare delle sostanze chimiche rilasciate durante l’esplosione di bombe e
missili. I loro frammenti, cadendo nel terreno, lo avvelenano così come le
acque sotterranee.
Rottami metallici. Migliaia di carri armati e veicoli blindati russi stanno
inquinando il territorio. “Quando la guerra sarà finita, lo smaltimento di
questa quantità di rottami metallici sarà un’altra sfida. Il riciclaggio dei rottami
militari è un processo complesso che richiede tempo”, spiega Yevhenia Zasyadko
di Ecodia.
Emergenza acqua. Anche prima della guerra, l’Ucraina soffriva di acqua
insufficiente e di scarsa qualità. Il Paese si è classificato al 125° posto (su
180 paesi) in termini di fornitura di acqua potabile. In particolare, le
regioni orientali e meridionali, che si affacciano sul Mar d’Azov, hanno subito
una carenza. La situazione purtroppo è destinata a peggiorare. Il bombardamento
agli impianti di trattamento, come quello di Vasylkiv, la distruzione della
rete idrica e di altre infrastrutture idriche, l’impossibilità di ripararle
rapidamente, influenzeranno la qualità e la quantità dell’acqua.
Minaccia sulla fauna. L’allarme è del Wwf Ucraina. La guerra sta alterando
gli habitat naturali e i corridoi migratori di numerose specie animali, anche
rare. Siamo tra l’altro nel periodo più delicato dell’anno e “il rumore” della
guerra e la devastazione degli ambienti così come lo stress possono
interrompere i cicli vitali di vita di uccelli e mammiferi. L’Ucraina si trova
al crocevia di importanti rotte migratorie degli uccelli nelle regioni del
Paleartico occidentale e dell’afro-eurasiatica, da cui dipendono più di 400
specie di uccelli. 30.000 coppie di cicogne bianche e circa 500 coppie di rare
cicogne nere stanno attualmente arrivando in Ucraina per la nidificazione e
sono in pericolo. La guerra ha gravemente interferito anche con l’ecosistema
del Mar Nero tanto che di recente sono stati trovati delfini morti sulle rive
del Parco naturale nazionale degli estuari di Tuzla nella regione di Odessa.
Sir 20
Costituita la consulta permanente degli italiani in Germania
Martedì 10 maggio,
alle ore 20, sulla piattaforma zoom, si è tenuta la prima riunione costitutiva
della Consulta permanente degli italiani in Germania.
È stato approvato
il seguente Regolamento che spiega nei dettagli i delicati compiti che questo
nuovo organismo andrà a svolgere e nello stesso tempo chiarisce la necessità
per cui è stato chiamato in vita.
Regolamento
La Consulta è un
organo costituito dai Consiglieri eletti al CGIE per la Germania, nella V°
consiliatura del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero.
La Consulta è uno
strumento di lavoro che ha lo scopo di individuare, ricercare, promuovere e
realizzare politiche a favore della Comunità italiana residente in Germania;
per favorire la sua partecipazione attiva nel sistema sociale, culturale,
accademico ed economico italiano e per la sua completa integrazione in quello
tedesco e dell'Unione europea.
Collabora nello
scambio permanente e mirato alla formulazione di pareri e prese di posizione a
favore della migliore integrazione degli italiani di Germania. La Consulta
è il luogo di ricerca e di elaborazione in cui vengono interpretate e discusse,
le proposte per le politiche a favore della Comunità italiana in Germania;
coinvolge le numerose esperienze e professionalità espresse e diffuse in
Germania, con il fine di armonizzarle e valorizzarle, per evidenziarle
quali importanti risorse del sistema italo-tedesco in Germania, in Europa
e nel
mondo.
Le attività della
Consulta non creano costi, non hanno scopo di lucro né finalità
partitiche.
La funzione
primaria della Consulta, è quella di mettere insieme quanti più profili
professionali possibili, attivi nei vari comparti della società civile,
accademica e politica, atti al miglioramento dell’integrazione e della
partecipazione degli Italiani di Germania e nell'Unione Europea.
La Consulta si
prefigge l’obiettivo di monitorare le politiche messe in atto in Italia e in
Germania in tutti gli aspetti che riflettono la crescita socio-culturale della
collettività italiana, con l’intento di analizzarle, di metterle in discussione
e di vigilare sulla loro effettiva aderenza con le esigenze dei connazionali in
Germania.
La Consulta
formula proprie tesi, avanza proposte, stimola la discussione, cerca e cura il
dialogo con tutti i soggetti istituzionali con poteri, interessi e funzioni nei
confronti della collettività italiana in Germania.
La Consulta si definisce
interprete, rappresentante e collettore di tutte le esperienze, professionalità
e volontariato per e tra gli italiani di Germania, nel tentativo di rendere
maggiormente univoca la definizione delle questioni della nostra collettività,
nei confronti dello stesso CGIE e nei confronti di tutti gli interlocutori
istituzionali.
La Consulta
s’impegna a coinvolgere nelle proprie riflessioni le numerose professionalità,
capacità e competenze comunque già presenti e attive all’interno dei Comites,
delle associazioni italiane e italo-tedesche, nella società civile in generale.
Essa assume il
compito di favorire i rapporti tra il mondo associativo, gli enti italiani e i
Comites, con la rappresentanza diplomatico-consolare italiana, per risolvere
questioni di carattere amministrativo e per la funzionalità dei Servizi
Consolari.
La Consulta si
impegna a creare una rete di rapporti con gli amministratori locali, i
parlamentari regionali e nazionali di origine italiana eletti in Germania, nel
Parlamento europeo e italiano.
Si riunisce in
assemblea in presenza almeno una volta l'anno e in modalità telematica almeno
due volte l'anno, nonché alla vigilia delle riunioni dell'Intercomites e/o
delle riunioni Continentali e della plenaria del CGIE.
La Consulta si
articola in gruppi di lavoro tematici, che si riuniscono seguendo una propria
agenda temporale. Gli obiettivi dei gruppi di lavoro sono definiti
dall'assemblea plenaria della Consulta.I costituenti sono cinque donne e cinque
uomini: Tommaso Conte, Simonetta Del Favero, Gianluca Errico, Silvestro
Gurrieri, Luisa Mantovani, Edith Pichler, Marilena Rossi, Giuseppe Scigliano,
Luciana Stortoni e
Giulio Tallarico. Le consultrici e i consultori che compongono questo
organismo hanno i medesimi diritti e doveri. La consulta è coordinata da
Tommaso Conte.
Consulta
Permanente del CGIE-Germania (de.it.press 15)
Amburgo.
Nell’Ambito della Triennale della Fotografia di Amburgo si è aperta il 20
maggio la mostra “Formafantasma: Seeing the Wood for the Trees”, visitabile
fino al 31 luglio. Lo annuncia l’Istituto italiano di Cultura di Amburgo sul
suo sito.
Il legno non è
semplicemente fibra morta. In ogni albero è riportato un pezzo di storia del
clima terrestre. Gli alberi registrano ogni cambiamento ambientale, non importa
quanto piccolo sia, e memorizzano ciò che l’uomo fa sulla terra, si legge.
Ma da quando
abbiamo dichiarato la foresta una merce, abbiamo trascurato il fatto che gli
alberi non solo forniscono combustibile e materiale da costruzione, ma
costituiscono la base essenziale della nostra atmosfera.
La mostra “Seeing
the Wood for the Trees” alla Kunsthaus Hamburg mostra tre parti dell’ampio
progetto di ricerca “Cambio” del duo italiano di design Formafantasma (Andrea
Trimarchi e Simone Farresin).
Sotto forma di
saggi di immagini a collage cinematografico, essi tracciano lo sviluppo e la
regolamentazione dell’industria globale del legname emersa nel XIX secolo,
soprattutto nelle regioni colonizzate.
La
rappresentazione della natura come materia prima e merce di scambio così come
il rapporto dell’uomo con il suo habitat ecologico viene raffigurato in questi
spazi con fotografie storiche, scientifiche e documentaristiche, con frammenti
di film e testi.
Programma laterale
Presentazione del
libro “The Town” 2 giugno 2022, alle ore 18:00 Stefan Canham (fotografo).
Colloquio con gli artisti: Formafantasma 3 giugno 2022, 18:00 (online via Zoom)
Moderazione: Tulga Beyerle (Direttrice del Museo Kunst und Gewerbe di Amburgo).
Conferenza: The Mediated Plant 3 giugno 2022, 19:30 Teresa Castro
(Professoressa associata, Studi cinematografici, Université Sorbonne Nouvelle).
Conferenza: La salvaguardia della foresta e la lunga influenza delle
colonizzazioni 23 giugno 2022, ore 19 Jutta Kill (biologa)
La comprensione
della natura come materia prima e merce, così come il rapporto dell’uomo con il
suo habitat ecologico, è qui illuminata nello specchio di fotografie storiche,
scientifiche e documentarie, brani di film e fonti di testo.
I due saggi
cinematografici Cambio 2020 e Seeing the Wood for the Trees, 2020, che danno il
titolo alla mostra, chiariscono quale ruolo svolgono le normative e le autorità
internazionali nel controllo dell’industria del legno e quale significato hanno
per la crisi climatica globale.
I lavori esplorano
la questione di come una comprensione più ampia della materialità possa portare
a un’affermazione di design sostenibile e influenzare il nostro rapporto con
l’ambiente. I film tracciano una linea di demarcazione dalle proprietà naturali
del legno alle sue implicazioni astratte ma onnipresenti di sfruttamento,
colonialismo e cultura del consumo.
Un ulteriore film
(Quercus, 2020) realizzato prettamente con tecnologia laser è stato realizzato
in collaborazione con il filosofo Emanuele Coccia. Dal punto di vista della
foresta, usa la sua narrativa filosofica per mettere in discussione il senso
umano di superiorità e descrive piuttosto quanto sia diversa la dipendenza
dell’uomo stesso dagli alberi.
Lo scanner laser
utilizzato per creare il materiale visivo di quest’opera era originariamente
utilizzato per la cartografia e l’archeologia, ma recentemente è stato
utilizzato anche per lo sgombero selettivo nell’industria del legno. Il film
immerge lo spettatore in un’installazione audiovisiva nel mondo delle piante.
Formafantasma è uno
studio di design guidato dalla ricerca che esamina i fattori ambientali,
storici, politici e sociali che plasmano il design oggi. Sia per i lavori su
commissione che per i progetti auto-iniziati, la sua attenzione è rivolta alla
ricerca del contesto, al processo e al dettaglio. Sviluppano concetti di
design, prodotti e strategie.
Da quando lo
studio è stato fondato nel 2009, gli italiani Andrea Trimarchi e Simone Farres
hanno sentito un senso di responsabilità e hanno perseguito un approccio
olistico al design thinking. Vendite e ulteriori informazioni su
hamburg-tourism.de/triennale. (IIC/dip 20)
Riunito il Consiglio delle Acli Germania
Stoccarda. Il 14
Maggio scorso ha avuto luogo una Riunione in presenza del Consiglio
Nazionale delle ACLI Germania nei locali della Katholische Pfarramt
Christus König di Stoccarda, siti nella Fanny-Leicht-Str. 27.
Particolarmente importanti i punti all'ordine del giorno trattati nel
corso della conferenza, che, come appena annunciato, questa volta,
finalmente, si è potuta svolgere in presenza, dalle 10:30 alle 17:00.
Presenti
Consiglieri Nazionali provenienti dal Baden-Württemberg, dalla Baviera e dal
Nordreno-Westfalia, tra cui: Duilio Zanibellato, Giuseppe Tabbì, Daniela
Bertoldi, Norbert Kreuzkamp, Carmine Macaluso, Fernando A. Grasso, Patrizia
Mariotti, Pasquale Bibbò, Calogero Mazzarisi, Giuseppe Sortino,
Elio Pulerà e altri due Soci.
I lavori sono
cominciati puntualmente con un saluto di benvenuto da parte del Presidente
Nazionale Zanibellato, che, qualche minuto prima, aveva accolto
all'entrata della sala i partecipanti, insieme con il Presidente Regionale
Tabbì. Quindi Zanibellato, dopo aver fatto rilevare la regolarità della seduta,
letto le giustificazioni giunte, proposto un pensiero di Don Tonino Bello e
diretto la recita della preghiera del Padre Nostro, ha aperto ufficialmente la
Conferenza, annunciando l'ordine concordato nell'ultima Videoconferenza del 29
Aprile 2022, inviato a tutti i Consiglieri, e qui di seguito riportato:
1) Comunicazioni
sulla situazione delle ACLI Germania, dall'inizio della pandemia Covid a oggi e
prospettive future, da parte del Presidente Nazionale Duilio Zanibellato e da
parte dei Presidenti Regionali: Pino Tabbì (BW), Carmine Macaluso (BY) e
Calogero Mazzarisi (NRW);
2) Relazione sulla
situazione delle sedi del Patronato ACLI in Germania, da parte della
Responsabile del Patronato ACLI in Germania Daniela Bertoldi;
3) Intervento del
Vicepresidente della Federazione delle ACLI Internazionali (FAI) Matteo
Bracciali;
4) Relazione sul
Tesseramento delle ACLI Germania dal 2018 al 2021, da parte del Segretario per
le Risorse Pino Tabbì;
5) Rendicontazione
della situazione finanziaria delle ACLI Germania, da parte del Segretario per
le Risorse Pino Tabbì;
6) Prospettive,
programmazione e Proposte in preparazione del Congresso Nazionale ACLI
Germania;
7) Varie ed
eventuali.
Il Presidente
Nazionale, il Vicepresidente Nazionale Sortino, i Presidenti Regionali e
alcuni degli altri convenuti non hanno mancato pure di dedicare un momento
al ricordo degli Aclisti e alle persone vicine alle ACLI, che, in questi
anni, sono passate a miglior vita. E hanno fatto anche una
retrospettiva della situazione del ACLI Germania — con cifre alla mano —
rimarcando il vertiginoso calo del numero dei soci. Riduzione, peraltro, che -
purtroppo - può essere notata ovunque. Si è anche accennato alla chiusura
dell'Enaip in Germania, ma anche al vistoso ridimensionamento dei fondi
destinati al Patronato. E, inoltre, si è parlato dei problemi legati alla pandemia
e, recentemente, delle restrizioni in concomitanza con le sanzioni
alla Federazione Russa, che – inesorabilmente - ritornano, come
un bumerang, verso l'Occidente. Senza dimenticare, inoltre, le enormi
somme destinate all'acquisto di armamenti da parte di alcuni Paesi.
Ache il Presidente
delle ACLI del Baden-Württemberg Tabbì non ha potuto che rimarcare quanto
appena detto da Zanibellato, parlando dei progetti iniziati nella regione di
sua competenza: le persone, alcune istituzioni locali, si avvicinano,
apprezzano quanto viene offerto loro, ma non aderiscono, non si rendono
veramente disponibili a una fattiva collaborazione. Per ciò che riguarda la
composizione dei nuovi Membri del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero
(CGIE) eletti per la Germania, Tabbì (Grande Elettore convocato dall'Ambasciata
a Berlino), ha espresso un moderato compiacimento per la nomina di uno di
essi, vicino alle ACLI.
Il Presidente
Mazzarisi, parlando della situazione nel Nordreno-Westfalia ha poi confermato,
purtroppo, quanto appena detto dai colleghi, soffermandosi, soprattutto sul
fatto delle vistose limitazioni, dovute alla pandemia, dei servizi del
Patronato. Limitazioni che, tra l'altro, disincentivano le adesioni. Ha
annunciato di essere riuscito recentemente — e dopo una lunga pausa — a creare
un momento di aggregazione in occasione della Festa della Mamma.
Macaluso, il
Presidente delle ACLI Baviera, accennando a un recente avvenimento — ripreso
più volte dalla stampa — e legato a un episodio avvenuto al termine della
seconda guerra mondiale, ha raccontato che, malgrado le difficoltà che
aumentano di giorno in giorno a causa delle attuali restrizioni causate dalla
situazione contingente accennate dagli altri colleghi, qualche cosa si è mossa,
malgrado le delusioni, per esempio, legate alla scarsa partecipazione alle
elezioni per il rinnovo dei Comites. O anche del mancato coinvolgimento
del Movimento in occasione dell'elezione dei nuovi Membri del CGIE, per la
quale egli aveva anche preparato un documento approvato dalla
Presidenza delle ACLI Germania, rivolto alla Rappresentanza Diplomatica.
Sia lui che Grasso, inoltre, erano stati anche nominati Grandi Elettori
da parte dal Consolato Generale d'Italia di Monaco di Baviera e convocati
dall'Ambasciata a Berlino; ma — per diversi motivi — non era stato
loro possibile partecipare all'elezione...
In ogni caso, e
qui Macaluso, come anche gli altri Presidenti che lo avevano preceduto,
rivolgendosi anche al Vicepresidente della FAI Matteo Bracciali, che —
non potendo essere presente a causa di diverse situazioni contingenti —
seguiva quasi dall'inizio i lavori dell'assemblea da remoto, gli ha
chiesto, appunto, di far sì che le ACLI Italia seguano più da vicino le realtà
all'estero, augurandosi — come già espresso più volte — un ricambio
generazionale in occasione del prossimo Congresso delle ACLI Germania, in cui
— tra altre priorità — dovrà venir presa in considerazione
l'opportunità di una più equa distribuzione delle quote del tesseramento tra le
ACLI Regionali, quelle Nazionali e la parte da versare al Movimento
Cattolico dei Lavoratori (KAB) che ci sostiene in diverse realtà.
Anche Norbert
Kreuzkamp nelle vesti di Responsabile per il collegamento con il KAB ha fatto
diverse proposte riguardo alla questione economica tra le ACLI e il KAB,
rispondendo a questo riguardo al Presidente Nazionale Zanibellato, al suo Vice
Giuseppe Sortino, a Patrizia Mariotti e ad altri. Kreuzkamp si è lamentato,
peraltro di una certa perdita di visibilità delle ACLI, ha parlato però di
interessanti progetti da lui realizzati anche in collaborazione con altre
istituzioni.
Daniela Bertoldi,
dal canto suo, ha parlato di un lento ritorno dell'offerta dei servizi del
Patronato nelle varie sedi anche se non più come negli anni passati. Rispondendo
a varie domande riguardanti anche la collaborazione del Patronato ACLI Germania
con quello del Belgio, per ciò che concerne questioni fiscali come IMU, Tarsi,
ecc., ha detto che con i mezzi a disposizione in Germania non si può fare
altrimenti; rispondendo anche a certe perplessità su eventuali pericoli di
defenestrazione espressi da alcuni presenti, tra cui Pulerà. Per i servizi
mensili in alcune zone ha comunicato di sperare in un possibile
ripristino, rispondendo anche a precise comunicazioni e domande da parte di:
Grasso, Mazzarisi e Mariotti
Bracciali, al
termine del suo intervento, prima di accomiatarsi, rispondendo anche a
precise domande e commentando diverse considerazioni espresse dai convenuti, ha
promesso una maggiore disponibilità e attenzione nei riguardi delle ACLI
Germania e delle altre ACLI nel mondo da parte delle ACLI Italia, del Patronato
ACLI Italia e della Federazione delle ACLI Internazionali.
Subito dopo questi
interventi c'è stata una meritata pausa dei lavori. Pausa arricchita da lasagne
degne di questo nome, da una ricchissima insalata mista, da gustoso
formaggio e da rinfrescanti bibite. È chiaro, che sin dal loro arrivo, i
convenuti si erano potuti servire di brezel, focaccine, bibite varie e caffè.
Nel pomeriggio i
lavori sono ripresi con le comunicazioni riguardanti i tesseramenti dal
2018 al 2021 da parte Tabbì, con la rendicontazione finanziaria, con notizie
riguardanti la creazione dell'archivio centrale, per il quale si dovrà trovare
una collocazione confacente. Il tutto, provvisto di documentazione
preventivamente inviata ai consiglieri è stato approvato all'unanimità. A
questo proposito Tabbì ha lanciato l'idea della creazione di una costante
presenza in rete delle ACLI Germania, proponendo social network come: Facebook,
Instagram, ecc. Grasso, che amministra vari siti statici e dinamici, si è detto
disponibile a ospitare, nel sito o nel Forum delle ACLI Baviera, una pagina con
notizie delle ACLI Germania, in analogia con quanto fa da tempo per la
Missione Cattolica Italiana di Kempten. È chiaro che in un forum statico o in
una home page statica i contributi vanno mandati prima all'amministratore che
provvederà a lanciarli in rete, mentre su Facebook, Instagram, che sono
dinamici, si scrive e si pubblica direttamente.
Inoltre è stata
brevemente ripresa la discussione sui rapporti di natura finanziaria tra KAB e
ACLI e, all'unanimità Kreuzkamp è stato incaricato di chiarire la questione
definitivamente.
Riprendendo una
comunicazione data da Bracciali durante il suo collegamento da remoto, si è
pure deciso di contribuire all'acquisto di un'ambulanza da donare all'Ucraina.
Sull'ultimo punto
riguardante la scelta del luogo del Congresso ACLI si è pensato ad Augburg,
anche perché un buon numero di consiglieri provengono dalla Baviera. Si
dovranno prendere contatti con alcune istituzioni e verificare la loro
disponibilità per il giorno scelto (22 ottobre), sentiti i pareri e le proposte
dei Consiglieri presenti. È chiaro che prima del Congresso ACLI Germania le
varie Regioni e i relativi Circoli, in base alle proprie possibilità e
disponibilità, dovranno procedere al rinnovo delle cariche e alla nomina
del propri Delegati in ragione di un Delegato per ogni dieci soci.
Esauriti i punti
all'ordine del giorno, dopo altre brevi richieste di chiarimenti e di scambi di
idee e informazioni, l'assemblea - come previsto - si è sciolta alle 17:00. E i
Consiglieri, dopo essersi accomiatati e scambiati tanti auguri per le vacanze
alle porte, in attesa di incontrarsi - magari virtualmente - prima
del Congresso di ottobre, si sono messi sulla strada di ritorno verso le
proprie città, distanti - per alcuni - qualche centinaio di chilometri.
Fernando A.
Grasso, dip 19
COSMO italiano ha preso il posto di Radio Colonia, la trasmissione
italiana. Le ultime puntate
06.05.2022. La
pubblicità di ieri e di oggi. Rivoluzionò la pubblicità con immagini che in
Germania furono persino vietate: il grande fotografo Oliviero Toscani è ospite
del nostro podcast. "Sono sensibile ai comportamenti sociali e umani
–sostiene. Essere fotografo significa essere testimone del proprio tempo".
Alcune delle sue immagini più controverse sono esposte al museo Folkwang di
Essen in una mostra che racconta la storia dei manifesti: la ripercorre con noi
Cristina Giordano. E, infine, la pubblicità nel web. Cos'è il Digital Services
Act? Ce lo spiega Francesco Micozzi, docente di informatica giuridica.
05.05.2022. Qual è
il ruolo della Germania nel conflitto ucraino?
Dopo il
"no" di Kiev a Steinmeier, Zelensky ha telefonato al presidente della
repubblica federale per invitarlo a recarsi in Ucraina insieme al cancelliere
Scholz. Gli sviluppi dell’incidente diplomatico e la politica tedesca sulla
guerra nel punto di Cristina Giordano. Con David Carretta da Bruxelles parliamo
di come l'Europa guarda alla Germania in questa crisi. E facciamo chiarezza
sulle armi fornite o promesse all'Ucraina con Gianandrea Gaiani, direttore di
"Analisi difesa". https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/ruolo-germania-nel-conflitto-ucraino-100.html
04.05.2022.
Pandemia e tossicodipendenze
Dal Robert Koch
Institut arriva la raccomandazione a ridurre i giorni di isolamento per chi è
positivo al Covid: i dettagli da Cristina Giordano. La pandemia ha aumentato le
dipendenze da alcol e droghe in Germania, ne abbiamo parlato con Mirco Seekamp,
autore di un reportage per l’emittente NDR. Sulle nuove tossicodipendenze
abbiamo sentito anche Simona Pichini dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
03.05.2022.
Stranieri in politica in Germania
Una persona su
quattro in Germania ha origini straniere, eppure sono ancora pochi gli stranieri
che partecipano attivamente alla vita politica del paese. I dati di una ricerca
presentati da Cristina Giordano. Toni Vetrano, fino a pochi giorni fa sindaco
di Kehl, ci racconta la sua esperienza. Isabella Venturini è invece stata
eletta nel consiglio comunale di Colonia.
02.05.2022.
Lavorare in Germania dopo la pandemia
Disoccupazione
scesa ai livelli pre-pandemia e tra le più basse in Europa. Il mercato del
lavoro in Germania ha retto la crisi e si è ripreso, ma restano problemi
strutturali, come la mancanza di manodopera specializzata: il punto di Cristina
Giordano. Com’è la vita di un rider a Berlino? La testimonianza di Mattia. E
infine l’analisi di Evelyn Räder della confederazione dei sindacati tedeschi
DGB sulle chance di lavoro per i profughi ucraini.
29.04.2022. Musica
e spettacolo ripartono dopo due anni di pandemia
L'incidenza
settimanale delle infezioni da Coronavirus è nuovamente diminuita e ora è 758,5
per 100.000 abitanti. Numeri che fanno sperare di poter riprendere
definitivamente una vita normale e che, soprattutto, permettono ad artisti e
musicisti di esibirsi nuovamente dal vivo, davanti al loro pubblico. Marco
Carrà, di Stile Italiano e organizzatore delle "Notti italiane" a
Remscheid, in NRW, ci spiega come sono stati questi anni di pandemia per il suo
settore. Il cantautore Eugenio Bennato che ieri ci è venuto a trovare a
Colonia, dove ha tenuto un magnifico concerto con la sua band, ci racconta,
invece, di difficoltà e stimoli legati alla situazione vissuta negli ultimi due
anni.
28.04.2022. Guerra
in Ucraina: dove va l'SPD? Il Bundestag ha approvato oggi a grande maggioranza
l'invio di armamenti pesanti in Ucraina e il piano del governo è stato
appoggiato anche da CDU/CSU, il più forte partito di opposizione. Eppure il
dibattito che ha preceduto la votazione ha visto l'Unione guidata da Merz
attaccare la gestione del cancelliere Olaf Scholz e dell’Spd. I
Socialdemocratici sono accusati di frenare nell'aiuto all'Ucraina. Ma il vero
problema è nei tradizionali rapporti tra socialdemocratici e Russia. Daniela Di
Benedetto racconta come vive questo momento particolare del suo partito, mentre
l’esperto di politica Ubaldo Villani-Lubelli spiega i problemi di comunicazione
del cancelliere.
27.04.2022.
Profughi: le due facce dell'accoglienza
Finora in Germania
sono stati registrati quasi 380.000 rifugiati dall'Ucraina. Per affrontare
l’emergenza il governo tedesco ha organizzato una tavola rotonda e si stanno
approvando in questi giorni delle misure di accoglienza particolari. Altri
profughi arrivano ancora via mare, dimenticati dall'Europa, racconta Annalisa
Camilli, giornalista esperta di migrazioni. Infine con Nando Sigona,
ricercatore, parliamo del piano britannico di portare in Ruanda chi entra
illegalmente nel Paese. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/profughi-ucraini-mediterraneo-100.html
26.04.2022. Il
triangolo Germania-Francia-Italia
La rielezione di
Emmanuel Macron a presidente della Francia ha avuto reazioni entusiaste in
Europa, soprattutto tra le istituzioni che guidano la Ue. Ma come hanno reagito
le istituzioni e i partiti tedeschi? E quali conseguenze avrà la rielezione di
Macron nel panorama politico italiano? Con Angelo Bolaffi analizziamo a quale
punto è il rapporto tra Francia e Germania, mentre Carlo Pelanda fa il punto
sulla collaborazione, non solo economica, tra Francia e Italia.
25.04.2022. Un 25
aprile di polemiche
Una festa della
liberazione sotto il segno della guerra in Ucraina. Il 77esimo anniversario del
25 aprile è carico di tensioni soprattutto per le polemiche sorte intorno alle
posizioni del presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
(ANPI), Gianfranco Pagliarulo, accusato di essere filo-russo e critico
sull'invio di armi a Kiev. Una ricorrenza in cui, anche in Germania, si discute
sul significato della Resistenza e sul ruolo dei partigiani oggi.
https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/anpi-ucraina-armi-100.html
Vivere in
Germania
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video per rispondere alle domande più frequenti degli italiani che vivono in
Germania. O che stanno pensando di trasferirsi. Guarda i video con Luciana
Mella sulle cose più importanti da sapere sull’AIRE, sull’assicurazione
sanitaria - la Krankenkasse -, sul sistema scolastico ma anche sul mondo del
lavoro, su Hartz IV e altri sussidi e sulla ricerca di una casa:
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non stop. Il nostro web channel COSMO Italia inoltre ti offre due ore di musica
non stop, che puoi ascoltare 24 ore su 24 sulla nostra pagina internet, sulla
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Düsseldorf. Collettiva di ICE-Agenzia alla ProWein 2022
All'insegna del
motto " Get inspired by Italian Wine ", 28 produttori di vino
provenienti da dieci regioni italiane hanno presenteranno i loro vini di punta
e spiriti selezionati. Dal 15 al 17 maggio 2022, 28 viticoltori provenienti
dalle dieci regioni Puglia, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Calabria,
Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana, Sardegna e Sicilia sono stati presenti
alla collettiva di ICE-Agenzia (ITA). Le aziende vinicole partecipanti spaziano
dalle piccole boutique alle nuove leve della scena internazionale dei
"newscomer" alle tradizionali aziende esportatrici. L'assortimento
comprende vini bianchi, rosé e rossi, spumante e prosecco, oltre a varie
specialità di grappa.
L’invito di un
Bacco creativo.
Quest'anno, Bacco,
il dio del vino, presenta la collettiva di ICE-Agenzia.
"Con la
colorata reinterpretazione dell'omonimo dipinto a olio di Michelangelo Merisi da
Caravaggio (1571-1610), intendiamo esprimere la nostra gioia che la più grande
fiera del vino a livello mondiale possa finalmente tornare a svolgersi dopo una
pausa pandemica di due anni", afferma Francesco Alfonsi, Direttore di ICE
Berlino.
"Inoltre, in
molti luoghi i vini italiani sono considerati dei classici senza tempo. Il
nostro Bacco vuole
trasmettere la creatività dei produttori italiani e dimostrare che
tradizione e
modernità, innovazione e sostenibilità non si escludono a vicenda.”
Viva la diversità:
i vini e gli spiriti italiani non lasciano nulla a desiderare.
L'Italia vanta una
delle gamme di uve più differenziate d'Europa. La diversità deriva dalle varie
condizioni climatiche e del suolo: nel nord alpino troviamo un clima montano,
mentre nella parte meridionale. Attualmente vengono coltivati circa 400 vitigni
autoctoni, alcuni dei quali a livello nazionale, altri solo in alcune regioni.
Anche l'anno
scorso i vini italiani hanno ottenuto numerosi riconoscimenti nei concorsi
internazionali. 408 vini sono attualmente classificati come DOP (DOCG/DOC) e
118 come IGT. La produzione totale di vino in Italia è di 49 milioni di
ettolitri.
I tedeschi amano
il vino italiano.
Dopo un calo
legato alla pandemia nel 2020, le importazioni tedesche di vino hanno raggiunto
nuovamente un volume di 14,7 milioni di ettolitri nel 2021. L'Italia mantiene
la prima posizione con un volume di 5,4 milioni di ettolitri (+2%) e una quota
del 36,9% delle importazioni tedesche di vino. Il valore delle importazioni di
vini italiani è in forte aumento: con un valore di circa 1.151 milioni di euro
nel 2021, l'Italia rimane quindi il più importante Paese fornitore della
Germania. La quota dei vini italiani sulle importazioni tedesche ammonta al
40,76%.
La viticoltura
biologica italiana è in crescita.
Secondo l'ultima
indagine, nel 2019 la superficie coltivata a vite biologica copre 109.423
ettari, che rappresentano quasi un quarto (23%) della superficie globale
coltivata a vite biologica. Nel periodo 2010-2019, la superficie viticola
biologica in Italia è più che raddoppiata con un aumento del 109%. In
confronto, la quota di vigneti biologici in Germania è solo dell'8%. In Italia,
2.139 cantine biologiche hanno prodotto 2.251.062 ettolitri nel successivo anno
2020.
ProWein 2022: meno
38% di visitatori
ProWein 2022, la
più importante fiera del vino d'Europa, ospitata a Düsseldorf dal 15 al 17
maggio, si è chiusa registrando un calo significativo di visitatori ed
espositori. Un ritorno fiacco per una delle fiere più importanti del settore
vitivinicolo che in tre giorni ha attirato oltre 5.700 espositori da 62 paesi e
oltre 38.000 visitatori professionali da 145 paesi. Il dato significativo però
è un altro: il calo dei visitatori, meno 38% rispetto ai 61.500 dell'ultima
edizione 2019, ovvero 23.500 persone che non hanno varcato i cancelli della
Messe Düsseldorf. I dati ufficiali registrano anche un calo importante di
espositori: 1.200 in meno.
Tra i motivi più
evidenti lo slittamento della fiera al mese di maggio “Una fiera rinviata più volte
- spiega Erhard Wienkamp, amministratore delegato di Messe Düsseldorf –, un
impegno che ha dato comunque i suoi frutti, perché sono stati numerosi gli
affari conclusi segnalati dagli espositori".
Secondo Vino Joy
News le prime 3 categorie di visitatori che hanno preso parte alla fiera
appartenevano al commercio al dettaglio specializzato: 28% ristoranti, 17%
caffè e bar, 10% importatori ed esportatori. Due terzi dei 38.000
professionisti provenivano dall'estero. Tra i primi 5 paesi visitatori Europa,
Nord e Sud America, Asia, Africa e Australia. Pochi quelli provenienti da Cina
e Hong Kong a causa delle rigide restrizioni di viaggio per il Covid. Gli
operatori hanno lamentato il mancato arrivo di diversi buyer sia dall’Asia che
dall’Est Europa. Anche la guerra in Ucraina ha avuto il suo peso.
“La qualità degli
operatori professionali internazionali, che provenivano principalmente dalla
regione europea, è stata molto apprezzata”, ha evidenziato Monika Reule,
amministratore delegato del German Wine Institute, in rappresentanza degli
espositori tedeschi.
Dopo un’edizione
più volte posticipata, ProWein tornerà il prossimo anno nelle canoniche date di
marzo. Appuntamento a Düsseldorf dal 19 al 21 marzo 2023.
Adnkronos/de.it.press
20
Brevi di cronaca e di politica in Germania
CDU:
vittoria in Renania Settentrionale-Vestfalia Le elezioni nel “NRW”,
l'acronimo del Land del Reno e del bacino della Ruhr, valgono come prova
generale del sentimento politico della nazione. I Cristiano-democratici hanno
conseguito una netta vittoria nel più popoloso Land della Germania, la Renania
Settentrionale-Vestfalia. Gli ultimi sondaggi avevano previsto testa a testa
tra CDU e SPD, ma con circa il 35,7% dei voti, l'Unione, guidata dal suo
giovane governatore Hendrik Wüst, si è posizionata al 9% davanti alla SPD, che
con il 26,7% hanno subito la peggior sconfitta dalla Seconda guerra mondiale.
Il secondo vincitore sono i Verdi, che con il 18,2% hanno triplicato i loro
voti. Anche i Liberali dell'FDP, che finora avevano governato nel parlamento
della capitale del Land Düsseldorf in coalizione con la CDU, hanno subito
perdite, raggiungendo solo il 5,9% dei voti, mettendo fine alla maggioranza
dell’alleanza “nero-gialla”.
Per il futuro
quindi, la maggior parte degli osservatori prevede una coalizione formata dai
due vincitori delle elezioni, vale a dire CDU e Verdi, con Hendrik Wüst come
governatore. L'AfD, il partito di estrema destra, ha ottenuto solo il 5,4% dei
voti, risultato che gli ha consentito di entrare nel nuovo Parlamento
regionale. In Germania, anche nelle elezioni regionali si applica la soglia di
sbarramento del 5%. Dopo la disfatta alle elezioni federali di fine settembre
2021, per la CDU il mantenimento del potere in questa regione ha avuto grande
importanza dal punto di vista politico. Fino a quasi dieci anni fa, la Renania
Settentrionale-Vestfalia, regione dell’industria pesante e dei giacimenti del
bacino della Ruhr, era considerata il Land roccaforte della socialdemocrazia in
Germania.
Berlino:
forte delusione per SPD e FDP
Anche la
politica nazionale a Berlino ha analizzato il risultato delle elezioni nel Land
sul Reno. Dopo le elezioni regionali nello Schleswig-Holstein, dove la CDU ha
trionfato con il 43,4%, nel giro di una settimana la SPD ha dovuto subire una
pesante seconda sconfitta. I media hanno espresso forti dubbi sulle qualità
della leadership del Cancelliere Olaf Scholz, che si era presentato spesso in
Renania Settentrionale-Vestfalia per sostenere la campagna elettorale. Quello
che in Germania viene definito Kanzlerbonus, ovvero il vantaggio politico
riservato al Cancelliere e al suo partito al momento delle elezioni, stando
alla stampa tedesca si è trasformato in un Kanzlermalus. Ma anche i Liberali
dell'FDP sono stati puniti dai loro elettori più moderati per il loro ingresso
nella poco amata “coalizione semaforo”. Almeno questo è quanto emerso dagli
analisti politici.
A trarre quindi
beneficio dall'alleanza di governo rosso-verde-gialla sono soprattutto i Verdi,
che grazie al loro Vicecancelliere Robert Habeck e al ministro degli Esteri
Annalena Baerbock sono considerati il partito più forte della coalizione. I
cittadini invece percepiscono il Cancelliere Scholz come un temporeggiatore,
mentre l'FDP è ritenuto poco incisivo. Per la CDU, invece, la doppia vittoria
nel Land del nord del Paese e nella regione del Reno rappresenta una sorta di
rinascita. Anche nei sondaggi condotti a livello nazionale, il partito è
tornato a essere ormai da settimane la forza politica più forte sotto la guida
del suo nuovo Presidente Friedrich Merz, lui stesso originario della Renania
Settentrionale-Vestfalia.
Crollo per
gli estremisti dell’AfD e della Sinistra
Tutti i
partiti democratici hanno accolto con soddisfazione il crollo elettorale dei
populisti di destra e sinistra. L'estrema destra, rappresentata dall'AfD, che
la scorsa domenica è uscita dal Landtag di Kiel, è riuscita a entrare nel
parlamento di Düsseldorf solo con molta difficoltà. La reazione immediata dei
risultati ha innescato una lotta per la leadership nel partito, con l’ala
nazionalista che spera di prendere il potere in occasione del prossimo
congresso di partito. Anche nella Linke, al cui interno sono raggruppati
populisti di sinistra, oppositori del capitalismo e comunisti dell'ex DDR, la
rabbia è grande. In tutte e tre le elezioni regionali di quest'anno il partito
ha mancato l'ingresso nei Landtag, tanto che ora è il suo stesso futuro a
essere messo in discussione.
Si prospettano
quindi future scissioni in quella che è una formazione politica in parte già
divisa. Ciò che sorprende è che sia all'interno dell'AfD sia nella Sinistra vi
siano molti amici di Putin che si oppongono alle sanzioni. I media tedeschi
commentano come gli elettori tedeschi, posti davanti a grandi incertezze,
stiano optando politicamente per il centro, dominato rispettivamente da CDU,
SPD e Verdi.
NATO:
Berlino accoglie l'adesione di Svezia e Finlandia
In occasione
del vertice svoltosi a Berlino, i 30 Ministri degli Esteri della NATO hanno discusso
della guerra in Ucraina e dell'adesione di Finlandia e Svezia all'alleanza. Il
ministro degli Esteri Annalena Baerbock ha promesso ai due Paesi scandinavi un
ingresso rapido, con la Germania che si dichiara pronta a ratificare l'adesione
dei due Paesi all'alleanza per la difesa “in tempi molto rapidi”. Il governo
federale ha intanto già avviato colloqui in merito con tutti i partiti
democratici del Bundestag.
Secondo il
ministro Baerbock, anche molti altri Paesi della NATO si sono impegnati nel
garantire un rapido processo di ratifica. Dopo la richiesta di adesione di
Finlandia e Svezia non dovrà quindi verificarsi una “situazione di stallo”, ha
ammonito il ministro riferendosi chiaramente alla Turchia. “La NATO è
un'alleanza di porte aperte ed è per questo che siamo felici di dare un
caloroso benvenuto a Finlandia e Svezia”. Riferendosi al leader russo, il
ministro Baerbock ha affermato che è stato lo stesso Putin con la sua brutale
guerra di aggressione contro l'Ucraina a “spingere” la Svezia e la Finlandia in
direzione della NATO.
Caso
Schröder: l'Unione vuole togliere tutti i privilegi all'ex Cancelliere
Tre mesi
dopo l'aggressione di Putin in Ucraina, nonostante i molti appelli provenienti
anche dal suo stesso partito, l’ex Cancelliere Gerhard Schröder (SPD), non ha
ancora preso le distanze dal suo amico Putin e mantiene le sue posizioni
apicali nelle compagnie energetiche russe. Ora però CDU e CSU vogliono
cancellare quasi completamente le dotazioni d'ufficio riservate all'ex
Cancelliere proprio per le sue attività di lobbista al soldo della Russia.
Questa decisione
intaccherebbe quasi tutti i finanziamenti pubblici a favore di Schröder: oltre
ai 5 dipendenti, verrebbero meno gli stanziamenti in bilancio per la pensione e
per le spese di viaggio. L’unica cosa che Schröder potrà mantenere sarà la
scorta personale. Dai gruppi parlamentari dei partiti di governo arrivano i
primi segnali di sostegno per l'azione della CDU e della CSU. Tra le file dei
Socialdemocratici cresce l’ipotesi che sia stato anche il comportamento di
Schröder a influenzare negativamente l’esito elettorale dell’SPD nelle ultime
elezioni regionali.
Il gelato è
aumentato in Germania
Gli amanti del
gelato passeranno un'estate “amara” in Germania. Non solo al supermercato il
prezzo del gelato è aumentato vertiginosamente, ma anche le gelaterie
artigianali, dovendo pagare di più per le materie prime, l'imballaggio, la
produzione e la refrigerazione, sono state costrette ad adeguare i prezzi e
applicare un rincaro che sfiora l'euro. Di conseguenza, in molti luoghi la
coppetta è arrivata a costare il doppio rispetto all'anno precedente, quando i
prezzi comunque non erano a buon mercato. Secondo un sondaggio, nel 2021 una
pallina di gelato nelle città di Stoccarda, Berlino o Lipsia è costata più di
1,85 euro, a Colonia invece 1,50 euro. Monaco è stata la città più costosa per
il gelato, con un costo medio per pallina di gelato di 2,10 euro. La media nazionale
è stata di 1,47 euro. A Monaco di Baviera, ora le gelaterie chiedono fino a
2,20 euro per la classica pallina alla stracciatella. Nella media, le gelaterie
hanno aumentato i loro prezzi di 30 centesimi. Kas 19
Francoforte. Festival dedicato alla divulgazione di temi scientifici
Francodorte sul
Meno. Il Consolato Generale di Francoforte presenta il programma della seconda
edizione del festival sulla divulgazione scientifica.
Dal 10 al 12
giugno 2022 è in programma a Darmstadt, la città della scienza a 25 chilometri
da Francoforte, nella sede di ESA-ESOC (Robert-Bosch-Str. 5), la seconda
edizione del “Galileo Galilei Science&Space Festival”, un festival dedicato
alla divulgazione di temi scientifici e alla valorizzazione della straordinaria
rete di scienziati e ricercatori italiani presenti in Italia e in Germania.
Questa rassegna,
aperta al pubblico, vuole essere una testimonianza concreta del ruolo di
primissimo piano svolto dall’Italia nel campo della scienza e della ricerca
tecnologica.
L’edizione di
quest’anno del Festival si articola in tre giornate, che vedranno come relatori
scienziati e ricercatori italiani impegnati in università e centri di ricerca
di primissimo piano, anche provenienti dalla comunità scientifica della
circoscrizione consolare del Consolato Generale d’Italia di Francoforte, il
quale, con il suo ufficio culturale, è ideatore ed organizzatore, insieme al
centro ESA-ESOC e al Club culturale italiano di ESOC, dell’iniziativa.
Saranno ospiti
della kermesse scientifica, con relazioni e presentazioni, sia in italiano che
in inglese, Guido Tonelli (Prof. all’ Univ. di Pisa e fisico al CERN di
Ginevra), Francesca Cipollini (Earth Observation Programm – ESA), Telmo Pievani
(Prof. all’Univ. di Padova), Livio Mastroddi (Direttore di Dipartimento a
EUMETSAT – Darmstadt), Walter Tinganelli (Ricercatore e Group Leader al
GSI-FAIR di Darmstadt), Paolo Ferri (a lungo responsabile delle operazioni
spaziali di ESOC, ora autore e presidente del Circolo culturale italiano di
ESOC) ed Alberica Toia (Prof.ssa all’Univ. J.W. Goethe di Francoforte).
Guido Tonelli
aprirà i lavori venerdì 10 giugno con una lectio magistrali sulle ultimissime
scoperte nella fisica delle particelle elementari e cosa avvenne fin dagli
albori anche nell’universo, mentre Francesca Cipollini parlerà dei programmi e
delle attività prossime di ESA riguardanti l’osservazione della terra e le
questioni ambientali. Nei giorni successivi vi saranno interventi su come far
viaggiare gli astronauti che nel futuro dovrebbero poter arrivare anche sul
pianeta Marte, quali nuove attività spettano a EUMETSAT nel campo della
meteorologia e del cambiamento climatico. Domenica, invece, l’autore Paolo
Ferri presenterà, chiacchierando con l’astrofisico Luciano Rezzolla, il suo
nuovissimo libro in uscita a fine mese dal titolo “Il lato oscuro del sole –
L’esplorazione spaziale della nostra stella” (Laterza,2022) e la professoressa
Toia affronterà il tema di letteratura e scienza con un dialogo impossibile tra
Bertolt Brecht e Galileo Galilei.
Sabato vi
sarà una sezione speciale pomeridiana – dedicata alle alunne e agli
alunni delle scuole bilingui di Francoforte – Freiherr-vom-Stein-Schule e
Scuola Europea – che prevede alcune relazioni in italiano ed una visita guidata
al centro europeo di operazioni spaziali ESOC. Incontri pensati per coinvolgere
le giovani generazioni e avvicinarle ai temi della fisica della materia
primordiale e al mondo delle missioni nello spazio, nonché allo studio del
quanto mai interessante ed avvincente ambito della scienza e delle materie
scientifiche.
La dr. Sara
Melloni (ESA-ESOC) e la dr. Federica Cappellino (GSI-FAIR Darmstadt)
dialogheranno con gli studenti delle scuole in una sezione del festival dal
titolo: Giovani ricercatori incontrano le scuole.
Un programma intenso
e plurale che si collega idealmente e volutamente all’anniversario e ai
festeggiamenti per gli 800 anni dell’Università di Padova, ateneo nel quale
Galileo Galilei, padre del metodo scientifico, ottenne la prima cattedra di
matematica e fisica ed insegnò per 18 anni. Di questo anniversario così come
dell’inatteso nella scienza ci parlerà Telmo Pievani con un excursus sugli anni
di Galileo a Padova e di perché la ricerca e la scoperta scientifica si nutre
della Serendipità (titolo anche del suo ultimo libro, edito da Raffaello
Cortina editore) ovverosia di scoprire qualcosa di cui non si stava cercando e
che ci svela che non sapevamo di non sapere, cambiando in tal modo la nostra
visione del mondo.
Per partecipare
agli incontri è obbligatoria la prenotazione e l’indicazione dell’evento (o
eventi) a cui si desidera partecipare, scrivendo a: francoforte.culturale@esteri.it.
Il pieghevole e la
brochure con il programma bilingue (italiano-inglese) completo del festival
sono scaricabili sul sito del Consolato di Francoforte.
Un ringraziamento
particolare del Consolato va ai partner: ESA-ESOC, Circolo culturale italiano
ESOC, GSI-FAIR, EUMETSAT, Università degli Studi di Padova, Camera di Commercio
italiana per la Germania, Società Dante Alighieri – Circolo di Darmstadt,
Editori Laterza, Raffaello Cortina Editore, Feltrinelli editore, C.H. Beck
Verlag, nonché agli sponsor italiani per il catering: ristorante InCantina di
Francoforte e Italia 100% – Export italian food. (Inform/dip 18)
Berlino: all’ambasciata il concerto "Tandem" del duo Fabrizio
Bosso e Julian Oliver Mazzariello
Berlino -
L’Ambasciata d’Italia a Berlino ha ospitato la sera di martedì, 17 maggio, un
concerto jazz del duo composto da Fabrizio Bosso alla tromba e Julian Oliver
Mazzariello al pianoforte. All’evento hanno partecipato il vice ministro agli
Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale, Marina Sereni, a Berlino per
la riunione ministeriale del G7, il presidente del Gruppo parlamentare di
amicizia italo-tedesco e deputato del Bundestag, Axel Schaefer, e numerosi
esponenti di spicco del mondo culturale ed economico tedesco.
“Sono molto
orgoglioso di ricordare che la cultura musicale italiana ha contribuito in modo
decisivo alla nascita del jazz”, ha osservato l’ambasciatore Armando Varricchio
citando la storia di Dominick "Nick" La Rocca, arrivato all'inizio
del XX secolo dalla Sicilia in Louisiana, dove formò una band rievocata dal
grande Louis Armstrong: all'epoca, gli immigrati provenienti dall'Africa e
dalla Sicilia trascorrevano molto tempo insieme.
Il jazz, ha
proseguito l’ambasciatore, “è un dialogo tra stili musicali, è il risultato di
un gioco, di una competizione artistica che esalta l'improvvisazione: una dote
creativa decisamente italiana”. La libertà che il jazz dà ai musicisti è
qualcosa di molto moderno, ha aggiunto Varricchio: “Mi piace ricordare queste
caratteristiche oggi, giornata dedicata alla lotta contro l'omofobia, la
transfobia e la bifobia in tutto il mondo”. Il ministro italiano degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi di Maio, ha ricordato infine
Varricchio, ha nominato un diplomatico come Inviato Speciale per le persone
LGTBIQ+" e sta sfidando attivamente i pregiudizi nei loro confronti nelle
sedi internazionali. (aise/dip 20)
Il Premio per la costruzione europea a Ursula von der Leyen
Pubblichiamo la laudatio
della direttrice IAI Nathalie Tocci alla presidente della Commissione europea
Ursula von der Leyen, destinataria del “Premio Cercle d’Economia per la
costruzione europea”, tenuto in occasione della giornata di premiazione a
Barcellona il 6 maggio 2022.
Presidente Sánchez,
Stimati ospiti,
È un grande
privilegio e un’immensa gioia introdurvi alla destinataria del “Premio
Cercle d’Economia per la costruzione europea”, la presidente Ursula von
der Leyen, una cittadina europea, una donna e un essere umano che impersona
l’essenza di cosa significa essere leader oggi.
Ursula von der
Leyen è la cittadina europea per eccellenza. Nata in Belgio – figlia di uno dei
primi funzionari europei – ha frequentato la Scuola europea a Bruxelles, è
cresciuta in una famiglia tedesca e bilingue in tedesco e francese. Ha poi
studiato nel Regno Unito, nella mia stessa università, la London School of
Economics, che lei ricorda – come qualsiasi studente europeo degno di questo
nome dovrebbe – come un periodo in cui ha “vissuto più di aver studiato”.
Oggi
Ursula von der Leyen è a capo della Commissione Europea,
l’istituzione che aveva servito suo padre. Attraverso la sua guida, il
progetto europeo sta attraversando una radicale rinascita. Sia
chiaro: per oltre un decennio, l’Ue è passata da una crisi esistenziale
all’altra. Dalla crisi costituzionale del 2005 e la crisi
dell’Eurozona, fino alla cosiddetta crisi migratoria e alla Brexit,
il progetto europeo è apparso costantemente sull’orlo del collasso. Non è stato
così: come europei eravamo disposti a “do whatever it takes” per salvare la
nostra Unione, per citare le parole indimenticabili del primo destinatario
del premio del Cercle, il presidente del Consiglio Mario Draghi.
Eppure l’Unione ha
fatto poco più che sopravvivere in quegli anni. Di fronte alle minacce esterne
e a un’ondata interna di populismo nazionalista ed euroscettico,
l’Unione ha resistito ma ha perso il suo carisma. Sembrava non avere
più quell’innata capacità di vedere e cogliere l’opportunità durante i periodi
di crisi, di balzare in avanti proprio mentre cadeva.
Con la guida
della Presidente von der Leyen, l’Unione ha riscoperto il suo Dna.
Abbiamo riscoperto la solidarietà – la parola magica che sta al centro della
nostra Unione – e il profondo riconoscimento che, nonostante le nostre
differenze, siamo fondamentalmente una comunità del destino. Prima attraverso
la nostra risposta alla pandemia e ora con la guerra criminale della Russia in
Ucraina, l’Unione non è semplicemente sopravvissuta; si è ripresa in modo
inedito. Le crisi hanno creato il contesto; la leadership ha fornito la
capacità di cogliere l’opportunità. Perché cogliere l’attimo non è mai
scontato, anzi.
La pandemia ha
minacciato di dividerci ulteriormente, avrebbe potuto essere una
crisi di troppo per l’Ue. Grazie alla leadership della Presidente
von der Leyen, non solo abbiamo affrontato la crisi, ma lo
abbiamo fatto insieme, sia attraverso l’approvvigionamento comune dei vaccini,
sia attraverso la storica decisione di Next Generation EU che ci ha
permesso di superare insieme la crisi economica scatenata dalCovid-19.
Guidata dalla presidente von der Leyen, l’Ue è uscita dalla
crisi pandemica sia compiendo un importante passo avanti nell’integrazione
europea sia fornendo agli europei, in particolare ai giovani, una nuova
narrazione europea verde e digitale.
La guerra in
Ucraina ha portato più unità e determinazione. Ancora una volta,
questa non è una conclusione scontata. Sotto la guida della presidente
von der Leyen, l’Unione ha aperto la strada a sanzioni
senza precedenti, il primo pacchetto di assistenza militare dell’Ue a
uno Stato terzo, la prima attivazione del meccanismo di protezione
temporanea per i rifugiati e il rilancio dell’allargamento come progetto
politico. Lo ha fatto restando ferma sul principio: agendo sulla base del
riconoscimento che la democrazia e lo Stato di diritto sono i valori non
negoziabili al centro della nostra Unione.
Signore e signori,
stimati ospiti, Ursula von der Leyen non è “solo” una leader
europea, è anche una donna. E in un’epoca di rottura e disgregazione, in
un’epoca di guerra, il valore della leadership di una donna
come la presidente von der Leyen è essenziale. Ursula
von der Leyen è stata la prima donna ministro della Difesa della
Germania e la prima donna presidente della Commissione europea. Sotto la sua
guida, la Bundeswehr ha subito una trasformazione radicale. Ha affrontato gli
scandali frontalmente, ha invertito il calo della spesa per la difesa tedesca e
ha aperto la strada alla storica decisione di fornire assistenza militare ai
Peshmerga nella loro lotta contro Da’esh. Le decisioni che ha preso in quegli
anni precorrono ciò che vediamo oggi.
Senza le basi da
lei preparate – a livello organizzativo, finanziario e soprattutto in
termini di cultura politico-strategica – la Germania avrebbe faticato ad agire
sul cambiamento epocale che stiamo vivendo, che richiede un forte aumento della
spesa per la difesa, la difesa dell’Ucraina come paese libero e democratico e
il riconoscimento che tutti i nostri sforzi di difesa devono essere integrati
in un quadro europeo e transatlantico. Ursula von der Leyen è
sempre stata decisa in questo senso, essendo un’appassionata
promotrice della difesa europea con un credo incrollabile nel valore della Nato, e
vedendo la difesa europea e la difesa dell’Europa come due facce della
stessa medaglia.
Si tratta
di quella capacità femminile – che naturalmente anche gli uomini possono
avere – di accogliere la contraddizione conciliando fermezza e flessibilità,
risolutezza e riflessività, di cui la nostra Europa, nell’agonia della guerra,
ha così drammaticamente bisogno. È proprio la capacità femminile di ascoltare,
ammettere errori, scusarsi e cambiare rotta, mostrando empatia e comprensione,
che la vera leadership richiede. Raramente abbiamo visto queste qualità in una
dimostrazione così elegante, quando la presidente
von der Leyen si è scusata per il silenzio iniziale
dell’Unione nei confronti dei paesi in prima linea della prima
ondata di Covid-19 come l’Italia, segnalando la sua determinazione a
cambiare decisamente rotta.
Infine, e forse la
cosa più importante, Ursula von der Leyen è una leader
profondamente umana. Madre di sette figli, è entrata in politica nei suoi
quarant’anni e ha dedicato il primo decennio della sua carriera politica
alle questioni sociali. Conosciuta come la coscienza sociale del suo
partito, la CDU, durante il suo periodo come ministro della Famiglia e della
gioventù, e poi ministro del Lavoro e degli affari sociali, von der Leyen ha
difeso fermamente i diritti
civili, le quote femminili nei consigli di
amministrazione, ha supportato i matrimoni gay e
promosso l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro.
Signore e signori,
non posso affermare di conoscere bene Ursula von der Leyen,
avendo avuto il privilegio di incontrarla di persona solo poche volte negli
ultimi anni. Eppure ho guardato, come suppongo molti di voi, il video diventato
virale della sua visita a Bucha alcune settimane fa. Ho visto quel
video una volta, e poi l’ho guardato ancora e ancora. Ho visto lo shock e la
vergogna, la rabbia e il dolore nei suoi occhi. Ho visto una leader, una
donna e un essere umano la cui espressione valeva più di un milione di parole.
In mezzo alle atrocità della guerra, di fronte a ferite che questo continente non
conosceva dalla Seconda guerra mondiale, nell’ora più buia, mi sono
sentita orgogliosa, orgogliosa che Ursula
von der Leyen sia la mia Presidente. Nathalie Tocci,
AffInt 9
Il primo processo per crimini di guerra all’esercito russo
Il 13 maggio scorso,
è comparso dinanzi alla corte del distretto di Solomianskyi, a Kiev, il
sergente russo Vadim Shysimarin, chiamato a rispondere dell’omicidio volontario
di un civile, commesso nel villaggio di Chupakhivka, nell’Ucraina
nordorientale, alla fine di febbraio.
Shysimarin avrebbe
deliberatamente ucciso a colpi di fucile un uomo di sessantadue anni,
disarmato, che percorreva in bicicletta una via del villaggio, sparandogli dal
finestrino dell’auto rubata su cui fuggiva con alcuni commilitoni, dopo
l’attacco della sua unità da parte delle forze ucraine.
Il divieto di
attaccare la popolazione civile o singoli civili non partecipanti direttamente
alle ostilità è un principio fondamentale del diritto dei conflitti armati e la
sua violazione è un crimine di guerra. Il Codice penale ucraino prevede per
l’omicidio volontario di civili da un minimo di dieci anni di reclusione
all’ergastolo (art. 438, para. 2).
Nessuna impunità
Quello nei confronti
di Shysimarin sarà il primo processo per i crimini di guerra perpetrati dalle
forze russe nell’ambito della dichiarata “operazione militare speciale” – di
fatto l’invasione su larga scala dell’Ucraina – lanciata il 24 febbraio scorso.
La rapidità con
cui si è giunti all’udienza preliminare del 13 maggio conferma la
determinazione delle autorità ucraine di processare e punire i russi
responsabili delle atrocità che, giorno dopo giorno, stanno venendo alla luce
in numero sempre maggiore. Nella stessa giornata, la Procuratrice Generale,
Iryna Venediktova, ha annunciato di aver aperto un fascicolo su oltre
undicimila casi di crimini di guerra e di avere già quaranta sospettati di tali
crimini.
Prigionieri di
guerra
A Shysimarin e
agli altri prigionieri di guerra russi accusati di crimini di guerra dovranno
essere riconosciuti i diritti previsti dalla III Convenzione di Ginevra del
1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra, di cui sia l’Ucraina che la
Federazione Russa sono parti. Questa impone che le indagini siano condotte con
la massima rapidità consentita dalle circostanze e che il processo si svolga il
prima possibile (art. 103, par. 1). Il prigioniero di guerra ha diritto di
essere processato da un tribunale che presenti garanzie di indipendenza e
imparzialità, di difendersi dalle accuse e di essere assistito da un avvocato
qualificato e un interprete competente (artt. 84, 99, 105).
Tribunali
nazionali e Corte penale internazionale
La celebrazione di
processi per crimini di guerra dinanzi a tribunali interni non è in contrasto
con l’accettazione da parte dell’Ucraina della giurisdizione della Corte penale
internazionale (Cpi). Sulla base di tale accettazione, il 2 marzo scorso, il
Procuratore della Cpi, Karim Khan, ha aperto un’indagine sui crimini di guerra
e i crimini contro l’umanità commessi sul suolo ucraino fin dal 21 novembre
2013 (al riguardo si rinvia al nostro articolo Quale giustizia per i crimini
delle forze russe in Ucraina?). Tuttavia, la Cpi è soltanto complementare ai
tribunali nazionali. La celebrazione di un processo dinanzi alla Corte
presuppone che lo Stato che ha giurisdizione sul caso non intenda o non sia in
grado di condurre le indagini o esercitare l’azione penale.
Una condanna potrà
essere emessa dai tribunali interni, così come dalla Cpi, solo se la
colpevolezza dell’imputato risulterà provata “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Di qui la necessità di raccogliere e preservare ogni possibile prova dei
crimini perpetrati: attività oltremodo complessa, data la vastità dei luoghi
interessati e la prosecuzione delle ostilità. Non meno difficile
l’identificazione dei responsabili, vista la scontata mancanza di
collaborazione da parte delle autorità russe.
Peraltro, i
giudici dovranno pronunciarsi sulla rilevanza dell’ordine del superiore, che
Shysimarin e gli altri imputati con ogni probabilità invocheranno a loro
discolpa.
Sostegno alle
indagini
Gli Stati Uniti,
il Regno Unito e diversi Paesi membri dell’Unione Europea stanno fornendo
assistenza agli inquirenti ucraini nelle attività di indagine. In particolare,
con il supporto di Eurojust, l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione
giudiziaria penale, Lituania, Polonia e Ucraina hanno creato una squadra
investigativa congiunta, a cui il 25 aprile scorso si è unito il Procuratore
della Cpi.
E l’Italia? Il 6
maggio, la Ministra della giustizia, Marta Cartabia, ha annunciato l’invio di
un gruppo di esperti interforze, incluso un contingente della polizia
penitenziaria, coordinato da un magistrato, a sostegno della Procura generale
ucraina.
Quanto al caso
Shysimarin, la prossima udienza è prevista il 18 maggio. Il processo sarà
seguito dai media di tutto il mondo e costituirà un test sulla capacità
dell’Ucraina di assicurare un equo processo ai prigionieri di guerra accusati
di crimini internazionali. Si spera possa avere anche un effetto deterrente sui
militari russi ancora impegnati sul campo. Marina Mancini AffInt 19
Farci i conti in
tasca è impresa spiacevole. Spesso, però, necessaria per tentare d’intendere
come si evolverà l’economia italiana. In altri termini, quella di tutti i
giorni. Per avere precisi termini di raffronto, abbiamo preso in esame i prezzi
di merci comuni. Limitando la nostra indagine tra maggio 2020 e maggio 2022. Le percentuali si riferiscono alla media
nazionale; anche se le stesse differiscono tra regione e regione.
Gli stipendi e le
pensioni, per il periodo considerato, hanno subito un aggiornamento dell’ 1,5 %
(al lordo d’imposta). Insomma, gli adeguamenti delle retribuzioni e dei
trattamenti previdenziali, nella maggioranza dei casi, restano inferiori al
costo della vita. Oggi, con stipendi e pensioni, spesso, non si riesce ad
arrivare alla fine del mese. Gli italiani vivono di “promesse” e con
un’”allerta” sanitaria ancora in atto. Riprendere la via di una libera
economia, in un’Europa senza vincoli territoriali, appare effimero. Per di più,
le “stelle” dell’UE non brillano all’unisono. Il ruolo d’Italia resta da
quantificare nella misura in cui si riuscirà a sanare, prima di tutto,
l’economia interna. Compito difficile anche per questo Governo anche a fronte
di una situazione bellica ad est d’Europa.
La penisola s’è
svenduta i pezzi migliori per tentare d’evitare il collasso. Che ci sia
riuscita è una tangibilità ancora tutta da verificare. Intanto, gli
investimenti internazionali nel nostro Paese restano limitati. Nel 2002, ci
siamo mossi in modo sconveniente. La conversione Lira/Euro doveva essere meglio
negoziata. In UE, tanto per capirci, chi decide la politica monetaria sono i
Paesi con un’economia interna forte. Il nostro, nonostante i migliori
propositi, continua a non essere tra questi. Giorgio Brignola, de.it.press
Stato e le prospettive dei corsi di lingua e cultura italiana nel mondo
Il Governo,
tramite il Sottosegretario agli esteri On. Benedetto Della Vedova, ha risposto
alla mia interrogazione, presentata nel mese di marzo di quest’anno, sullo
stato e le prospettive dei corsi di lingua e cultura italiana nel mondo.
Nell’interrogazione,
come si ricorderà, chiedevo di promuovere un’azione di monitoraggio per
verificare lo stato delle cose dopo le ricadute degli effetti della pandemia
sulle attività formative e a seguito delle criticità che si erano manifestate
nell’applicazione della circolare n. 3, in attuazione del Decreto 64/2017,
sulla vita degli enti. A quest’ultimo proposito, insistevo sull’esigenza di
tenere conto delle richieste degli enti soprattutto in tema della
semplificazione delle procedure e di puntualità da parte del MAECI nelle
erogazioni dei contributi riconosciuti nei piani annuali di finanziamento.
In essa, chiedevo
ancora di farsi carico per tempo della necessità di colmare il vuoto di circa
2,2 milioni che in base bilancio triennale si sarebbe verificato nel capitolo
3153, destinato al finanziamento dei corsi degli enti gestori, negli anni 2023
e 2024.
Il
Sottosegretario, nella sua risposta, ha dato atto delle criticità che si sono
evidenziate in sede di applicazione della circolare n. 3, di cui io stessa
avevo chiesto la sospensione di un anno, e ha annunciato le novità contenute
nella nuova circolare – la n. 4 del 2022 – che, aggiungo, è stata anch’essa già
oggetto di osservazioni critiche sia da parte degli enti gestori che del CGIE.
Per questo, ribadisco ancora l’esigenza di un rapporto non unidirezionale ma di
effettivo dialogo tra enti e strutture di indirizzo e di controllo, tenendo
soprattutto presente l’estrema diversità normativa e culturale delle situazioni
ambientali e le non piccole differenze esistenti tra gli stessi enti promotori.
Per quanto
riguarda il monitoraggio della situazione e, in particolare, del numero di
coloro che nel mondo studiano l’italiano (di cui di recente si è discusso
ampiamente nel corso del recente convegno organizzato da me e dalla collega
Ciampi sulla ricerca Italiano 2020), da un lato si è fatto un ovvio rinvio ai
dirigenti scolastici operanti localmente, dall’altro si è annunciato
l’attivazione di una nuova piattaforma di raccolta dati che dovrebbe entrare
presto in funzione. In ogni caso, attendiamo di conoscerne i risultati.
Circa la
reintegrazione dei fondi del cap. 3153, si è fatto rinvio, a dire il vero in
modo abbastanza scontato, alla definizione della prossima legge di bilancio. Mi
sarei aspettato quantomeno un riconoscimento di priorità nelle richieste che il
MAECI avanzerà in vista sia dell’assestamento di bilancio che del prossimo
bilancio triennale, tanto più che il Governo ha accolto un mio ordine del
giorno in tal senso. Vuol dire che continueremo a insistere su questo passaggio
chiave, nella speranza che un po’ tutti si convincano del suo valore
strategico.
Angela Schirò, dip
16
Riforma del voto degli italiani all’estero: proposte utili, ma non
sufficienti
ROMA – Qualche
giorno fa, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle modalità applicative
della Legge sull’esercizio del voto all’estero (L.359/01), di fronte alla
Giunta delle elezioni della Camera, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio
ha avanzato alcune proposte per riformare le condizioni organizzative e
procedurali del voto degli italiani nel mondo. Si tratta a nostro avviso di
proposte di buon senso e utili, mirate ad apportare correttivi già a partire
dalla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano.
Nel pacchetto del
governo è prevista in particolare la «inversione dell’opzione», cioè l’impegno
degli italiani all’estero a dichiarare prima delle elezioni di voler votare.
Condividiamo l’introduzione di questa procedura non solo e non tanto per
ridurre i costi e le difficoltà connesse all’invio dei plichi, quanto piuttosto
per definire preventivamente la platea elettorale. L’esperienza sul campo ci
dice che le terze e quarte generazioni di nostri emigrati, pur avendo il
passaporto italiano, non dispongono di adeguate conoscenze del Paese di origine
dei loro antenati e sono persino a disagio nell’assumere scelte che
impattano sulla vita politica dell’Italia. Al di là delle difficoltà
organizzative dei Consolati, delle carenze nelle campagne di informazione, la
bassa partecipazione agli ultimi referendum, lo scarsissimo interesse nel voto
per il rinnovo dei COMITES, confermano questa evidente, ormai fisiologica
disaffezione verso gli appuntamenti elettorali italiani. E comunque occorre
sottolineare che l’opzione inversa del voto non può essere interpretata come
una riduzione del diritto di voto, per nessuna categoria di italiani
all’estero! Anzi, per rendere più forte l’inversione dell’opzione, sarebbe
opportuno che il governo specifichi strumenti e risorse per garantire una capillare
campagna di informazione che arrivi a tutti i connazionali che detengono il
diritto di voto.
Le proposte del
governo e della maggioranza del Parlamento costituiscono un primo utile passo
per introdurre procedure per una migliore definizione della platea elettorale
all’estero. Ma siamo convinti che queste misure, che si limitano a modificare
le modalità applicative del voto, non siano sufficienti. E’ urgente
intervenire sulla stessa Circoscrizione estero, secondo noi ormai assolutamente
inadeguata a rappresentare la complessità delle nostre comunità nel mondo.
L’aumento del trend migratorio dovrebbe essere un tema politico assolutamente
centrale nell’agenda italiana, invece è oggi del tutto marginale e la
rappresentanza degli italiani all’estero si è rivelata funzionale a questa
marginalizzazione. Per questo noi sosteniamo una proposta molto netta: abolire
la Circoscrizione estera e garantire agli italiani all’estero il pieno
esercizio del diritto di voto nelle circoscrizioni italiane! Inserire il voto degli
italiani all’estero nelle circoscrizioni italiane vuol dire tirar fuori questo
tema dalla riserva indiana in cui ormai è relegato.
Senza mettere in
discussione l’esercizio del voto dall’estero, con il voto espresso nei collegi
di origine l’intero Parlamento dovrà farsi carico della rappresentanza degli
italiani nel mondo. Basta, quindi, con la riserva indiana: se ne gioverebbe il
sistema Italia e siamo certi che aumenterebbe il peso politico degli stessi
italiani all’estero! (Cesidio Celidonio, Claudio Marsilii (Basilea); Enrico
Pugliese (Ginevra): Catia Porri, Maurizio Nappa (Zurigo), già membri del
Laboratorio per la Sinistra e impegnati in diverse organizzazioni della
sinistra italiana e svizzera. (Inform/dip 11)
ROMA – L’Italia
turistica riparte e guarda lontano. Il Ministero del Turismo ed Enit puntano a
raggiungere il grande pubblico internazionale, in collaborazione con le
Regioni, con le partnership con Eurovision e Giro d’Italia e il supporto del
Coni, grazie ad una campagna di promozione turistica destinata a molteplici
nazioni del mondo. Al centro del progetto, in qualità di ambassador, alcuni tra
i volti più noti rappresentanti le eccellenze dell’Italia: dallo sport
all’arte, dal food alla cultura, con testimonal di settori rappresentativi
dell’iconografia del Bel Paese, ritratto dalla macchina fotografica
dell’italianissimo Julian Hargreaves (per Federica Pellegrini, Massimo Bottura,
Stefano Boeri, Renzo Rosso), e di Luciano Romano (che ha firmato i bellissimi
scatti di Roma e Agrigento con Roberto Bolle). E ancora gli scatti offerti da
Bebe Vio, immortalata dagli amici durante una vacanza all’Isola d’Elba o Marco
Balich, scattato dal figlio nella splendida Piazza del Plebiscito della sua
Napoli. L’iniziativa, presentata di fronte al Ministro del Turismo Massimo
Garavaglia e al Presidente di regione Lombardia, Attilio Fontana, oltre a
diffondere le bellezze dell’Italia, contribuirà anche a promuovere un progetto
triennale di accompagnamento alle giovani imprese, alle startup del turismo e
della cultura cui saranno devoluti i compensi e i diritti d’immagine degli
ambassador. Inoltre la campagna vedrà Enit al fianco del Coni e delle Federazioni
Sportive Nazionali in un programma di solidarietà volto a supportare gli atleti
di Kiev ad allenarsi in Italia, nei centri federali e il Centro di Preparazione
Olimpica dell’Acqua Acetosa. “E’ un momento importante per l’Italia.
Queste azioni puntano a rafforzare visibilità e posizionamento delle
destinazioni italiane in uno scenario globale che vede positive prospettive di
ripresa” dichiara l’Amministratore Delegato Enit Roberta Garibaldi. “Enit è in
percorso espansivo di ampio respiro iniziato in questi lunghi anni insieme e
ora amplificato da ulteriori metodi e standard che vanno ad affinare il lavoro.
L’ampio respiro è anche quello che sentiamo di condividere con tutta la filiera
turistica in un approccio partecipativo che continuerà ad infondere valore e
credibilità al brand Italia” commenta il Presidente Enit Giorgio Palmucci. La
campagna vivrà anche sul palcoscenico internazionale di Eurovision: la seconda
trasmissione al mondo per numero di telespettatori dopo le Olimpiadi (180
milioni di persone). Enit in collaborazione con la Rai lancia infatti le
postcards che appariranno dietro ogni esibizione degli artisti permettendo a
chiunque di scoprire un’Italia inedita con l’invito a scoprila direttamente dal
portale Italia.it. A questo contribuirà anche la partecipazione al Giro
d’Italia e al Giro-E: grazie a un percorso di 3500 km l’Italia entrerà nelle
case di oltre 758 milioni di telespettatori nel mondo e 10 milioni di italiani
lungo le strade con più di 24mila ore di trasmissioni. Tra le iniziative in
campo anche 25 guide digitali, raccontante da un videomaker e un giornalista
coordinati dall’Enit, dedicate alle ciclovie più significative che troveranno
spazio sul portale italia.it per invitare i cicloturisti a percorrere il nostro
Paese sulle tracce del Giro, oltre a gustare videoricette web locali per
amplificare le tradizioni e le specifiche identità territoriali: ogni giorno un
menù italiano per esaltare le eccellenze culturali ed enogastronomiche con le
biodiversità di ogni regione. Con il Giro Express, poi, uno storyteller belga
realizzerà 18 tappe di approfondimento entrando nel tessuto connettivo del
lifestyle e delle produzioni locali da condividere sui social. E ancora talk di
approfondimento per vedere e testare i prodotti che rendono le due ruote, a
trazione elettrica ma non solo, uno dei pilastri della mobilità di oggi e
domani. “Siamo orgogliosi di questo gioco di squadra istituzionale, che ci vede
scendere in campo con il Ministero del Turismo e con l’Enit per dare impulso al
rilancio del Paese attraverso il contributo delle eccellenze che lo
rappresentano nel mondo. I nostri campioni sono la formidabile espressione dei
valori autentici che fanno dello sport un motore di sviluppo e di benessere,
una locomotiva di successo felice di contribuire a promuovere le bellezze e la
competitività dell’Italia nel mondo anche sotto il profilo turistico” secondo
il Presidente Coni Giovanni Malagò, che ha seguito il progetto con Manuela Di
Centa, consigliere del Ministro del Turismo proprio sulle tematiche sportive.
“È fondamentale per l’Italia recuperare uno scatto d’orgoglio del proprio
valore dopo anni difficili. Fare il punto sulla propria grandiosità con una
miriade di eccellenze da mostrare al mondo, per far ripartire questo importante
pilastro della nostra economia che è il turismo” dichiara il consigliere Enit
Sandro Pappalardo. Su tutto questo si innesta il progetto “Scopri l’Italia che
non sapevi”, dove le tematiche centrali, lungo un viaggio di cinque mesi, sono
i borghi e i paesaggi italiani, il turismo lento (cammini, enogastronomia, arte
e beni culturali) e il turismo attivo (bike, nautica, nordic walking e attività
outdoor per l’estate e l’inverno). Questa strategia comune delle regioni
italiane, frutto di un accordo di programma tra Ministero del Turismo e
commissione politiche per il turismo della Conferenza delle regioni e delle
province autonome, vede il coordinamento di quattro regioni: Umbria (turismo
lento), Emilia-Romagna (borghi), Marche (turismo attivo) e Abruzzo (Tourism
Digital Hub). Questo articolato progetto di promozione e valorizzazione del
nostro Paese punta ai mercati di prossimità e a quelli per i quali, anche in
fase post pandemia, sono previste riprese interessanti per il settore turistico
e agli hub internazionali che permettono un effetto moltiplicatore, come
aeroporti internazionali, testate di pregio e affissioni in capitali europee. I
mercati di riferimento sono il Dach (Germania, Austria e Svizzera), il Benelux
(Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), la Francia, Uk, Usa ed il mercato Nordics
(Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca) e le parole chiave sono
sostenibilità, inclusione, diversità e innovazione. Il progetto è stato reso
possibile dal lavoro coordinato internamente ad Enit da Maria Elena Rossi,
Direttore Marketing e Promozione dell’Ente, con la collaborazione di Accenture
per la strategia e il concept, Paolo Iabichino con la sua creatività nella
regia della campagna firmata insieme ad Accenture Song e con la produzione di
Luz About Stories. La campagna “Scopri l’Italia che non sapevi” è invece
firmata da Dilemma mentre i video di Eurovision sono una produzione RaiCom.
(Inform/dip 9)
Statisticamente, gli
italiani leggono meno giornali rispetto agli altri europei e sono propensi a
scrivere ancor in misura minore. E’ una questione di complessione mentale che,
non sempre, consente di rendere pubblico un proprio pensiero o una propria
opinione.
Conoscere, a fondo, il lessico italiano, non
sempre è sufficiente per saper trasmettere ad altri, tramite uno scritto, le
proprie sensazioni. Se esercitare la professione di Giornalista, è sancita da
specifiche leggi, saper scrivere in modo “interessante” è un’opportunità per
tutti. Di fatto, però, bisogna saperlo fare. Una simile “dote” si evidenzia
proprio sentendo l’opinione di chi legge su ciò di cui si scrive. Chi giudica è
il lettore; del quale chi scrive ha da tener sempre conto. Perché “meglio” si
può sempre fare. Quindi, “libera” penna non significa “buona” penna. Ci sono
delle doti che, se non sono innate, difficilmente si acquisiscono con
l’esperienza degli anni. A nostro avviso, chi sa scrivere è in grado
d’interessare anche i distratti. Tanto da concretare opinioni che, prima,
potevano essere solo latenti.
Chi riesce
ad’esprimere proprie riflessioni ed hanno la determinazione di renderle
trasmissibili tramite scritti, ha fatto il primo passo sul fronte
dell’opinionismo. Tutto il resto, che non è poco, può venire in un secondo
tempo. Tuttavia, se mancano certe prerogative è inutile rischiare.
In buona sintesi, chi è in grado di scrivere
“bene” può essere certo d’essere “letto” e compreso nello stesso modo. Ciò non
significa, però, condividerne, necessariamente, i concetti. Ma questa è tutta
un’altra storia.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Conto in rubli per pagare il gas russo, perché l'Eni si adegua
Non c'era altra
strada, come era già chiaro da ieri. L'Eni si adegua all’incertezza normativa,
e all'ambiguità in cui anche la Commissione Ue ha scelto di rimanere, e apre il
doppio conto presso GazpromBank, uno in euro e l’altro in rubli, per pagare le
forniture di gas alla Russia. Lo fa con tutti i dubbi legati alle variabili e
alle incognite che una situazione senza precedenti impone. E lo fa in accordo
con il governo e tutelandosi, soprattutto dal punto di vista legale, in vista
del possibile contenzioso che potrebbe nascere, con Mosca ma anche con le
autorità europee.
La nota ufficiale
che annuncia la decisione è scritta in maniera tale da prevenire qualsiasi
scenario avverso. Eni, "in vista delle imminenti scadenze di pagamento
previste per i prossimi giorni, ha avviato in via cautelativa le procedure
relative all'apertura presso Gazprom Bank dei due conti correnti denominati K,
uno in euro ed uno in rubli, indicati da Gazprom Export secondo una pretesa
unilaterale di modifica dei contratti in essere, in coerenza con la nuova
procedura per il pagamento del gas disposta dalla Federazione Russa". Si
agisce in via cautelativa e in seguito a una pretesa unilaterale.
Le parole hanno un
senso e sono scelte con cura anche nel passaggio successivo. Eni,"
tuttavia, ha già da tempo rigettato tali modifiche. Pertanto, l'apertura dei
conti avviene su base temporanea e senza pregiudizio alcuno dei diritti
contrattuali della società, che prevedono il soddisfacimento dell'obbligo di
pagare a fronte del versamento in euro. Tale espressa riserva accompagnerà
anche l'esecuzione dei relativi pagamenti". Le modifiche contrattuali
chieste da Mosca sono rigettate e l'apertura dei conti è una soluzione solo
temporanea.
Eni chiarisce
anche che, di certo, non agisce da sola. "La decisione, condivisa con le
istituzioni italiane, è stata presa nel rispetto dell'attuale quadro sanzionatorio
internazionale e nel contesto di un confronto in corso con Gazprom Export per
confermare espressamente l'allocazione a carico di Gazprom Export stessa di
ogni eventuale costo o rischio connesso alla diversa modalità esecutiva dei
pagamenti". È la formula che serve a puntualizzare la responsabilità russa
di quello che di fatto è un passaggio che aggira le sanzioni internazionali.
Segue un
aggiornamento dettagliato delle decisioni assunte da Mosca. Da un lato, a oggi,
Gazprom Export e le autorità federali russe competenti hanno confermato che: la
fatturazione (effettivamente giunta ad Eni nei giorni scorsi nella valuta
contrattualmente corretta) e il relativo versamento da parte di Eni
continueranno a essere eseguiti in euro, così come contrattualmente previsto;
che le attività operative di conversione della valuta da euro a rubli saranno
svolte da un apposito clearing agent operativo presso la Borsa di Mosca entro
48 ore dall'accredito e senza coinvolgimento della Banca Centrale Russa; e che
nel caso di ritardi o impossibilità tecniche nel completare la conversione nei
tempi previsti non ci saranno impatti sulle forniture".
Ma non basta. È
necessario anche puntualizzare quale sia il quadro delle comunicazioni
intercorse con Bruxelles. Dall'altro lato, "l'esecuzione dei pagamenti con
queste modalità 2 non riscontra al momento nessun provvedimento normativo
europeo che preveda divieti che incidano in maniera diretta sulla possibilità
di eseguire le suddette operazioni (peraltro Eni, in linea con le indicazioni
della Commissione Europea, ha già chiarito da tempo a Gazprom Export che
l'adempimento degli obblighi contrattuali si intende completato con il
trasferimento in euro, e rinnoverà il chiarimento all'atto di apertura dei
conti K)".
La conclusione a cui
arriva Eni spiega perché il passo di oggi è sostanzialmente obbligato. "Se
la nuova procedura appare quindi neutrale in termini di costi e rischi, non
incompatibile con il quadro sanzionatorio in vigore e con adempimento che
avviene al momento del trasferimento degli euro, un mancato pagamento
esporrebbe Eni sia al rischio di violazione dell'obbligo di dar corso in buona
fede ad eventuali richieste contrattuali di Gazprom Export imposte alla stessa
dalla propria autorità, sia al rischio per Eni di inadempimento dei propri
impegni di vendita con i clienti a valle in caso di interruzione delle
forniture".
Il braccio di
ferro con la Russia, comunque, non finisce qui. Eni, tuttavia, "in assenza
di future risposte complete, esaustive e contrattualmente fondate da parte di
Gazprom Export, avvierà un arbitrato internazionale sulla base della legge
svedese (come previsto dai contratti in essere) per dirimere i dubbi rispetto
alle modifiche contrattuali richieste dalla nuova procedura di pagamento e alla
corretta allocazione di costi e rischi". In ogni caso, Eni "ribadisce
fermamente che rispetterà qualsiasi eventuale futuro provvedimento normativo
che dovesse intervenire a sanzionare il trading del gas o le attuali
controparti".
L'intera
comunicazione dimostra quanto sia delicato, in questa fase e con la guerra in
Ucraina che continua a prolungarsi, gestire la partita del gas. Perché
l'Italia, ancora per un periodo di tempo lungo, resta dipendente dalle
forniture da Mosca e perché la risposta europea su questo fronte è ancora
incerta e ambigua.
Adnkronos 17
ROMA – La Giunta delle
elezioni, in merito all’indagine conoscitiva sulle modalità applicative ai fini
della verifica elettorale, della legge 459/2001 recante “Norme per l’esercizio
del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero”, ha svolto le
audizioni di Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario alla Giustizia, e dei
rappresentanti del CGIE. Sisto si è soffermato sull’analisi dalle problematiche
di agibilità relative a Castelnuovo di Porto, dove fino ad oggi si è svolto in
via esclusiva lo scrutinio del voto degli italiani all’estero, nonché sulle
difficoltà di raggiungimento di questo sito in occasione degli scrutini per le
congestioni stradali; a questo si è aggiunta la consapevolezza del numero di
elettori esteri aumentati negli anni fino ad arrivare a oltre 4 milioni,
secondo i dati aggiornati ad aprile 2022. Sisto ha evidenziato le problematiche
del sistema per lo spoglio attualmente vigente, risolvibile con la suddivisione
delle operazioni di spoglio tra più Corti d’Appello, in aggiunta a quella di
Roma. Come ricordato da Sisto le operazioni di spoglio si svolgeranno in futuro
(ad eccezione del prossimo referendum per il quale non ci sono ormai i tempi
organizzativi per cambiare) su più Corti d’Appello benché i plichi debbano
comunque continuare a giungere dall’estero a Roma: infatti i funzionari del
Maeci sono gli unici a poter rimuovere i sigilli diplomatici ai plichi una
volta giunti n Italia. Le altre sedi da affiancare a Roma saranno Napoli,
Firenze, Bologna e Milano, perché munite di aeroporto e collegate alla Capitale
da una rete ferroviaria ad alta velocità. Roma in particolare si occuperà delle
schede della ripartizione America meridionale; la ripartizione Europa spetterà
a Milano, Bologna e Firenze; Napoli infine avrà competenza sulla ripartizione
America settentrionale-centrale più Africa, Oceania e Antartide. Come
evidenziato da Sisto la nuova norma riguarderà le operazioni successive al
prossimo referendum di giugno. Secondo il Sottosegretario, la Giunta per le
elezioni potrebbe su questa materia con il suo lavoro favorire la sinergia fra
i vari Ministeri coinvolti. Per Sisto inoltre occorre poi risolvere rapidamente
il problema dei tempi troppo lunghi, a volte anni, per la legittimazione
definitiva delle situazioni dei parlamentari in bilico. Il deputato
Gregorio Fontana (FI) ha riflettuto sul fatto che i locali per gli scrutini
debbano essere reperiti per tempo da qui alle prossime elezioni politiche: “la
distribuzione dell’onere finora era gravato solo sulla Corte d’Appello di Roma,
con queste nuove modalità molti dei problemi finora riscontrati in fase di
scrutinio e spoglio saranno superabili”, ha commentato Fontana. Roberto
Giachetti (Presidente della Giunta) ha invitato ad agire affinché nella
prossima legislatura la Giunta entri in possesso dei dati delle votazioni per
le verifiche in tempi immediati al fine di dare risposte altrettanto rapide.
Michele Schiavone (Segretario Generale CGIE) ha ricordato che il CGIE è
l’organismo di rappresentanza degli italiani all’estero. Attualmente il CGIE
effettua l’attività in via ordinaria dopo l’avvenuto rinnovo dell’organismo
nell’aprile scorso. “Bisogna garantire rappresentanza e partecipazione
elettorale mettendo al sicuro il voto: il voto all’estero fu una conquista per
i connazionali e come tale va tutelato e adattato in base alle situazioni
sedimentate nel tempo. Per preservare tale diritto al voto si rende necessario
renderlo fruibile ovunque, proteggendolo da interferenze esterne”, ha spiegato
Schiavone ricordando che finora, in questi ultimi 20 anni, si sono tenute 4
elezioni politiche e si sono svolti 8 referendum e nel frattempo sono più che
raddoppiati i numeri degli italiani all’estero. Si vota infatti in 196 Paesi
con un corpo elettorale passato da 2,3 milioni ad inizio millennio agli attuali
5 milioni previsti per il referendum di giugno. “I connazionali sono
volenterosi nel contribuire al sistema Italia anche attraverso il diritto al
voto, necessario per costruire relazioni forti anche con le nuove migrazioni.
Bisogna apportare correttivi alle procedure facendo leva sull’uso di strumenti
tecnologici”, ha evidenziato Schiavone che, sull’inversione dell’opzione, ha
invitato a mantenere l’universalità del voto con il sistema attuale per
corrispondenza garantendo una massima partecipazione. Secondo Schiavone i costi
per le elezioni all’estero sono comunque nettamente inferiori a quelli per il
territorio nazionale. Il Segretario CGIE ha quindi invitato a ragionare sulla
garanzia di un’informazione capillare per gli elettori. Schiavone ha concluso
l’intervento anticipato l’invio di un documento del CGIE alla Giunta. Anche
Silvana Mangione (Vicesegretario generale CGIE per i Paesi anglofoni extra UE)
si è detta contraria all’introduzione dell’inversione dell’opzione di voto a
suo giudizio contrastante con gli art. 3 e 48 della Costituzione. Mangione ha
rilevato come le problematiche legate all’inversione dell’opzione, con il netto
calo della partecipazione, si siano evidenziate nella doppia sperimentazione
delle elezioni dei Comites. Mangione ha altresì rilevato come il taglio del
numero dei parlamentari abbia colpito anche coloro che all’estero rappresentano
la cosiddetta ‘21esima regione d’Italia’ togliendo voce al mondo dei nostri
connazionali. Mariano Gazzola (Vicesegretario generale CGIE America Latina) ha
puntualizzato che “gli italiani all’estero non sono un numero ma persone e
neppure una variabile economica da aggiustare quando i conti non tornano”.
(Inform/dip 10)
Venezia.Approvate
dalla Giunta della Regione Veneto quattro delibere con le quali viene
rinnovato l’impegno a favore dei veneti nel mondo, finanziando iniziative
culturali e associazioni di promozione dell’identità veneta per l’emigrazione,
stanziando contributi per le spese di chi sceglie di rientrare in Veneto e un
premio per tre tesi di laurea sul tema dell’emigrazione veneta e delle sue
ricadute.
“Con le quattro
delibere di nuova approvazione la Regione conferma il suo impegno al fianco di
quei veneti che ora vivono all’estero”, rimarca l’assessore regionale ai Flussi
Migratori Cristiano Corazzari che le ha proposte alla Giunta. “Questi veneti
ora sono i nostri ambasciatori nel mondo e a loro dedichiamo numerosi progetti.
Un sostegno particolare non può che andare all’associazionismo che consente
alla nostra cultura e alle nostre tradizioni venete di diventare veicolo per
mantenere il legame con le comunità venete nel mondo”.
Come sostegno
all’associazionismo di settore la Giunta Regionale con delibera ha confermato
lo stanziamento previsto dal Programma Annuale degli interventi della somma di
80 mila euro a titolo di contributi annuali per spese di funzionamento delle
Associazioni venete di emigrazione e di Comitati e Federazioni all’estero
iscritti al registro regionale come previsto dalla L.R. n.2/2003, e ha
approvato il relativo Avviso pubblico che fissa le modalità per richiedere il
contributo e la scadenza al 31 luglio 2022. Vi rientrano le spese sostenute nel
corso del 2021 per locazioni delle sedi, utenze, materiali di consumo,
personale amministrativo e spese di viaggio per i componenti degli organi
direttivi per la partecipazione alle riunioni degli stessi.
Per la
realizzazione di iniziative culturali al fine di valorizzare l’identità veneta
presso le comunità venete all’estero è destinato uno stanziamento di 75 mila
euro. Le modalità sono state definite dalla Giunta con l’approvazione del
relativo Avviso Pubblico. Possono accedere al finanziamento iniziative – da
concludersi entro il 15 novembre 2022- come mostre, convegni, festival,
celebrazioni, ogni evento che abbia come tema l’emigrazione veneta o la
finalità di conservare e valorizzare la cultura e l’identità veneta nelle
comunità all’estero.
È stato approvato
ancora l’Avviso pubblico per la presentazione delle domande di rimborso delle
spese sostenute per il rientro e la prima sistemazione in Veneto dedicato a chi
dopo la permanenza all’estero, sceglie di tornare. In totale per il 2022 è
stata stanziata la somma di 42.500 euro per consentire di poter rientrare in
Veneto a chi ne ha la volontà ma non ha le necessarie capacità economiche: sono
coperte da contributo le spese del trasloco e di viaggio sia con mezzi pubblici
che privati oltre che le spese di prima sistemazione come affitti e utenze. Si
potrà ottenere un massimo di 5 mila euro di rimborso, la cifra verrà
quantificata in base alla dichiarazione ISEE familiare. Potranno beneficiare
del contributo i cittadini italiani e i loro discendenti entro la terza
generazione, emigrati nati in Veneto o che per almeno tre anni prima
dell’espatrio vi abbiano risieduto e che abbiano vissuto all’estero almeno
cinque anni. I contributi verranno erogati con modalità a sportello in due
riparti: il primo prevede come termine di presentazione delle domande il 31
luglio 2022 e il secondo il 31 ottobre 2022
Infine è stato
approvato il Bando di concorso per l’assegnazione del Premio tesi di laurea
sulle tematiche dell’Emigrazione Veneta 4°edizione al fine di per mantenere viva
la memoria di quell’importante periodo della nostra storia costituito dalla
grande emigrazione e per comprenderne gli aspetti di ricaduta economica nella
nostra regione, in termini di risultati economici e imprenditoriali. Alla tesi
vincitrice andranno in premio 3000 euro, alla seconda classificata 1500 euro e
alla terza 500 euro. (Inform/dip 9)
Mentre si
dibattere sull’Italia che sarà, gli antagonisti, prese le loro “posizioni”,
intendono andare oltre. Sul campo del “dire” e del non “fare”, resta
un’economia esanime. Se si escludono le sceneggiate, anche abilmente
realizzate, non c’è nulla di veramente nuovo sul fronte politico nazionale. Per
governare, occorre un programma che non abbiamo ancora rilevato. Certo è che
tutti i partiti, piccoli, grandi, vecchi e nuovi, sembrano avere molto da dire.
Ma poco da realizzare nel concreto.
Perché bisogna, essere anche messi nelle
condizioni di poter favorire quelle riforme istituzionali che dovrebbero
traghettare l’Italia dal vecchio al nuovo. Anche dopo la Pandemia. Il nostro
sistema è minato da una patologia compromissoria che, per nostra buona sorte,
può essere cambiata. Basta volerlo. Quello che ci indispettisce sono le
posizioni di studiata “imparzialità”. O si è “pro” o si è “contro”. Dopo il
rinnovo della legge elettorale, meglio tornare al voto.
Resta l’incognita
dei milioni di voti dall’estero che avranno un loro peso sugli equilibri
politici nazionali. Di fatto, le prospettive politiche ci sembrano “rivissute”.
Vale a dire scadenti. A decidere sarà l’affluenza al voto e le preferenze che
ne deriveranno. Ritornerà la politica dei piccoli passi? Anche perché la strada
da percorrere sarà ancora in salita. Con la teoria che è meglio un “uovo” oggi,
che una “gallina” domani, si tirerà avanti. Anche i politici, si sa, non sono
immutabili. Non a caso, c’è chi ha deciso di “rinnovare” la sua attività. A
quelli che, invece, intendono “lasciare”, offriamo, da subito, il nostro
plauso.
Giorgio Brignola,
de.it.press
Voto estero e astensionismo apparente: D’Inca alla Giunta delle elezioni
Roma - L’incidenza
degli iscritti Aire sul cosiddetto “astensionismo apparente”, la possibile
inversione dell’opzione e l’introduzione di una tessera elettorale elettronica
sono stati i temi al centro dell’intervento del Ministro per i Rapporti con il
Parlamento, Federico D’Incà, oggi pomeriggio di fronte alla Giunta delle
elezioni che, con la sua audizione, ha concluso l’indagine conoscitiva sulle
modalità applicative, ai fini della verifica elettorale, della legge 27
dicembre 2001, n. 459, recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei
cittadini italiani residenti all’estero”.
Alla base
dell’intervento del Ministro il “libro bianco” sulla partecipazione al voto
redatto dalla Commissione Bassanini, cioè il gruppo di lavoro composto da
politologi, statistici, costituzionalisti rappresentanti del Servizio studi
della Camera, ma anche dei ministeri dell’Interno e della innovazione
tecnologica.
Un testo che
tratta, anche se marginalmente, anche la partecipazione al voto degli iscritti
Aire soprattutto perché incide sull’astensionismo apparente.
Mentre alle
politiche e al referendum gli italiani all’estero votano per corrispondenza e
la comunicazione sulla loro partecipazione è fornita dal Viminale separatamente
rispetto ai dati del territorio nazionale, per le amministrative – a cui gli
iscritti Aire possono partecipare soltanto tornando in Italia – essi sono
conteggiati negli elenchi elettorali del comune di ultima residenza. Comune
dove magari non sono mai stati ma che ha dato i natali “a nonni o bisnonni”. La
mancata partecipazione dei residenti all’estero, dunque, “gonfia” il dato
sull’astensionismo che appare più alto di quello che è in realtà. Lo dimostra
il fatto che questo dato “ha cominciato ad aumentare dal 2001”, ha detto il
ministro, cioè dall’entrata in vigore della Legge Tremaglia, e non potrà che
aumentare visto che, nel frattempo, sono aumentati gli aventi diritto che oggi
“rappresentano il 9% del corpo elettorale”.
L’astensionismo
apparente colpisce soprattutto le amministrative: “la differenza risultata pari
al 5,5% in molti comuni medi sopra i 15.000 abitanti; supera il 10% nei comuni
piccoli sotto i 5.000 abitanti” dove l'astensionismo apparente “può avere
effetti molto importanti” se alle elezioni si presenta una sola lista che ha
bisogno di superare lo sbarramento del 50% per governare.
Ne deriva una
“distorsione informativa” quando vengono diffusi i risultati sull’affluenza
alle urne che a sua volta potrebbe provocare una “disaffezione al voto” per
emulazione, ha detto D’Incà riportando le conclusioni del “libro bianco”, dove,
poi, si sottolinea l’importanza di aggiornare gli elenchi degli elettori, visto
che tanti iscritti Aire risultano “irreperibili” anche per la mancata
comunicazione al comune del certificato di morte.
È questa una delle
indicazioni della Commissione Bassanini, insieme a quella di indicare
separatamente i voti Aire nelle comunicazioni dei dati sull’affluenza, anche
“nella prospettiva della proposta emersa nel corso delle vostre audizioni
dell'inversione dei termini delle opzione”.
Il “tema di fondo”
per D’Incà è “approfondire il tema dell'elettorato attivo dei cittadini
residenti all'estero nelle elezioni amministrative ed eventualmente che per quelle
regionali”, presupponendo che alle politiche in base ad un legame “nazionale”
che non percepiscono per la politica locale.
Certamente
potrebbe essere d’aiuto la tessera elettorale elettronica, evocata da Fontana
(Fi), al momento – ha chiarito D’Incà – allo studio di una Commissione tecnica
istituita dal Viminale a seguito delle previsioni del decreto Semplificazioni.
Di grande aiuto
per la lista degli aventi diritto potrà essere il collegamento con l’Anpr –
l’Anagrafe nazionale della popolazione residente – sempre per garantire
personalità e segretezza del voto, come previsto dall’articolo 48 della
Costituzione, senza abbattere la partecipazione, con ipotesi (molto) di là da
venire su voto presidiato anticipato. La tessera elettorale potrebbe essere dunque
sperimentata con gli Aire per poi essere diffusa sul territorio nazionale, ma,
ha precisato ancora una volta D’Incà, si tratta ancora di ipotesi su cui
confrontarsi non solo tra dicasteri coinvolti, ma soprattutto tra forze
politiche.
Confronto politico
che servirà anche per la eventuale riduzione delle ripartizioni, ha confermato
il ministro rispondendo ad una domanda di Ferri (Iv), che ha anche evocato la
moglie di Lula – quando disse di aver votato in Italia senza averci mai messo
piede – per chiedere se non sia il caso di collegare il voto non solo alla
cittadinanza, ma anche all’essere contribuenti.
Un tema caro anche
a Siragusa (Ev), che infatti è tornata a ribadire la inderogabilità di
riformare la legge sulla cittadinanza: “io sono assolutamente convinta che
debba essere mantenuto il diritto di voto agli italiani all’estero, ma bisogna
più che altro decidere chi noi definiamo “italiano””, ha sostenuto l’eletta
all’estero.
Un tema che esula
dalle competenze della Giunta, le ha fatto eco Melicchio (M5S), tornato a sua
volta a perorare la causa dell’inversione dell’opzione e del voto elettronico.
Sul fronte della
cittadinanza, D’Incà ha convenuto sul fatto che ci siano italiani di passaporto
che non hanno legami con il Paese, ma ha pure ricordato alcuni suoi rapporti
con “associazioni di nostri connazionali all'estero” da cui è emersa “una certa
vicinanza nei confronti del paese, ed io credo che non debba andare persa”
perché “sono persone che hanno un forte sentimento” nei riguardi dell’Italia e
che “diventano per certi versi ambasciatore dell'Italia all'estero”.
Certo, correzioni
vanno fatte soprattutto per le amministrative, ha ribadito il ministro citando
il caso del comune di Soverzene, nel bellunese, che ha 350 cittadini sul
territorio e 930 iscritti Aire.
Quanto infine alla
digitalizzazione, nel libro bianco vengono citati il caso dell’Estonia, che lo
usa, e del Canada, che lo applica per le “comunali”.
“Come detto è a
lavoro una Commissione del Ministero dell’interno su indicazione del Parlamento”
che si sta occupando soprattutto della “sicurezza” del voto, perché “l'articolo
48 per noi è fondamentale”. Obiettivo del Governo, ha concluso, “è garantire
sicurezza nel momento di massima espressione della democrazia, cioè il voto”.
Concluso il ciclo
di audizioni, la Giunta la prossima settimana dovrà decidere sul seguito dei
lavori e su come sintetizzare quanto emerso finora. (ma.cip.\aise 10)
Il bonus di 200 euro e i pensionati italiani all’estero
Pensato per sostenere
il potere di acquisto degli italiani il Bonus di 200 euro è una apprezzabile
“indennità una tantum” che arriverà automaticamente nelle buste paghe e nei
ratei di pensione di luglio (a favore di lavoratori dipendenti e autonomi,
pensionati, disoccupati, percettori del Reddito di cittadinanza, con redditi
fino a 35.000 euro).
A noi ovviamente
interessa sapere se anche i pensionati italiani residenti all’estero e titolari
di pensione erogate da un Ente italiano possono averne diritto. Giova ricordare
inoltre che anche alcune specifiche categorie di lavoratori residenti
all’estero potrebbero beneficiarne, considerato che il provvedimento, che è
stato inserito nel Decreto legge “Aiuti”, non subordina il diritto al Bonus
alla residenza in Italia (requisito che invece è esplicitamente richiesto, per
ottenere – ad esempio – il Reddito di cittadinanza o l’Assegno unico).
Questa volta il
legislatore non ha escluso con esplicita citazione normativa i residenti
all’estero dal beneficio.
Ciò dovrebbe
significare che anche i nostri connazionali emigrati – dovessero essi
soddisfare i requisiti richiesti – ne avrebbero diritto. Ma vediamo cosa dice
la legge. L’art. 32 del Decreto “Aiuti”, intitolato “Indennità una tantum per
pensionati e disoccupati”, recita che: “a favore dei soggetti titolari di uno o
più trattamenti pensionistici, a carico di qualsiasi forma previdenziale
obbligatoria, di pensione o assegno sociale nonché di trattamenti di
accompagnamento alla pensione, con decorrenza entro il 30 giugno 2022 e reddito
personale complessivo non superiore a 35.000 euro lordi annui, è corrisposta
d’ufficio con la mensilità di luglio 2022 un’indennità una tantum di importo
pari a euro 200”.
Ci sembra evidente
che i requisiti utili e imprescindibili per avere diritto al Bonus sono due: la
titolarità di un trattamento pensionistico italiano e un reddito non superiore
a 35.000 euro. A prescindere dalla residenza.
Pertanto si desume
che anche le pensioni in convenzione internazionale rientrino nella casistica
della norma. Sia quelle erogate in Italia che quelle erogate all’estero. Si
tratta nel complesso di circa 700.000 pensioni in regime internazionale di cui
poco più della metà erogate all’estero. Crediamo che ovviamente anche le
pensioni erogate in regime autonomo ed erogate all’estero debbano ottenere il
beneficio. Discorso più complesso e da verificare è quello del diritto al Bonus
da parte dei lavoratori residenti all’estero ma dipendenti da un datore di
lavoro con sede in Italia (ad esempio tutti gli impiegati statali, come i
nostri contrattisti).
Sarebbe
auspicabile un urgente chiarimento da parte del Ministero del Lavoro: non
mancherà da parte nostra una adeguata iniziativa perché siamo convinti che chi
paga le tasse in Italia non deve subire disparità di trattamento solo perché
risiede all’estero.
Sarà in ogni caso
nostro impegno prioritario sollecitare il Governo e le opportune autorità
competenti (come l’Inps nel caso dei pensionati) ad applicare la legge nel
rispetto del suo dettato e senza discriminazioni alcune nei confronti dei
nostri connazionali residenti all’estero e potenzialmente aventi diritto al
Bonus.
Non va dimenticato
infine che sebbene si tratti della versione definitiva del Decreto “Aiuti”
varata il 5 maggio dal Consiglio dei Ministri la norma non è ancora in vigore
perché in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che dovrebbe
avvenire in questi giorni.
Angela Schirò e
Fabio Porta, dip 10
Resta difficile
fare una relazione oggettiva sulla politica italiana. Intanto, i risultati non
cambierebbero e il fatto mi preoccupa non poco. Sembra che ora decida solo
l’Esecutivo. La pandemia ha rimandato ogni controversia politica.
La mancanza di
proposte veramente accessibili resta la“croce”nazionale. Non ci sono più uomini
che abbiano mantenuto la loro linea politica originaria. L’unica certezza, ma
non è poca cosa, è l’impossibilità di un “ribaltone. La parola d’ordine resta
“riformare”. Ma come? Su questo interrogativo, almeno per ora, s’infrangono
tutte le tesi più percorribili. La possibilità d’apertura di più “strade” non
mi hanno convinto. Oggi più che per il passato.
Ridimensionata la pandemia,
si rivedano, almeno, i termini della Legislatura Draghi. Rispetto a prima,
questi potrebbero essere più attuabili senza scomodare, più di tanto, i piani
dei Partiti d’Italia oggi più “pro”, che “contro” questo Governo. Anche se, “le
strategie” politiche dovranno essere rivisitate, anche per evitare certe
“mutazioni” dei partiti politici nazionali.
Giorgio Brignola,
de.it.press
ROMA – Si è tenuta
presso la Giunta delle Elezioni della Camera l’audizione del Sottosegretario
all’Interno Ivan Scalfarotto e del Prefetto Fabrizio Orano, in merito
all’indagine conoscitiva sulle modalità applicative, ai fini della verifica
elettorale, della legge 459/2001 recante “Norme per l’esercizio del diritto di
voto dei cittadini italiani residenti all’estero”. Scalfarotto ha sottolineato
anzitutto come per sua natura la questione implichi il coinvolgimento di più
Ministeri; quindi si è soffermato sulla possibilità di un’introduzione di
strumenti digitali. Scalfarotto ha brevemente ricordato l’impostazione della
cosiddetta Legge Tremaglia che ha introdotto il voto per gli italiani
all’estero esercitabile in quattro macro circoscrizioni poste fuori dai confini
nazionali. Scalfarotto ha quindi ricordato la recente riforma costituzionale
che ha previsto la riduzione del numero dei parlamentari, compresi quelli
eletti nella circoscrizione Estero. Nelle prossime elezioni politiche saranno
assegnati 8 seggi alla Camera e 4 al Senato: il Sottosegretario ha evidenziato
una sproporzione in termine di rappresentatività. Non è stata esclusa
un’ipotesi di un futuro accorpamento tra circoscrizioni per riportare un po’ di
equilibrio. Scalfarotto ha sottolineato come il diritto di voto spetti tanto
agli iscritti Aire quanto alle persone temporaneamente all’estero che ne
facciano richiesta: il voto all’estero si esercita tramite corrispondenza,
salvo che la situazione del Paese ospite non imponga per ragioni di sicurezza
un rientro in Italia. Il Sottosegretario ha parlato delle cifre risultanti
dall’ultimo aggiornamento degli elenchi elettorali: circa 4 milioni e 800mila i
connazionali iscritti Aire e con diritto al voto nella circoscrizione Estero
secondo i dati dell’aprile scorso. La ripartizione Europa si conferma quella di
gran lunga più numerosa con oltre 2 milioni di aventi diritto al voto. L’iter
amministrativo del voto prevede diverse fasi che vanno dal deposito dei simboli
presso il Ministero dell’Interno al deposito delle liste dei candidati alla
Corte d’Appello di Roma; a seguire c’è la dichiarazione di ammissione delle
liste ed eventualmente la possibilità di presentare dei ricorsi. Poi, per
quanto riguarda il voto all’estero, la responsabilità passa dal Ministero
dell’Interno al Ministero degli Esteri che deve organizzare il tutto per
l’invio dei plichi elettorali per esercitare il voto per corrispondenza: schede
che devono rientrare in Italia entro le ore 16 del giovedì precedente alle
votazioni in territorio nazionale. Scalfarotto ha spiegato che il termine per
far pervenire alle sedi estere le schede da parte degli elettori è tassativo,
così come tassative sono le regole per votare e reinserire la scheda nel plico.
Scalfarotto ha ricordato come in questi ultimi venti anni i numeri degli aventi
diritto siano più che raddoppiati passando da poco più di 2 milioni nel 2003
agli attuali 4 milioni e 800mila: elemento che ha contribuito a creare
sovraccarico di lavoro alla Corte d’Appello di Roma fino ad oggi unica a gestire
lo spoglio del voto estero. Quindi si è deciso di affiancare le Corti di
Napoli, Firenze, Bologna e Milano a quella di Roma. Per la messa in sicurezza
del voto, Scalfarotto non ha escluso l’ipotesi del QR code identificativo
all’interno del plico. Tra gli interventi segnaliamo quello di Elisa Siragusa
(Misto- ripartizione Europa) che ha sottolineato la mancanza di un tracciamento
del plico anche nell’iter di rientro dove chi ha votato non sa se il suo voto
sia andato a buon fine. Siragusa ha invitato a ragionare intorno
all’introduzione di strumenti tecnologici proprio per il tracciamento. Sulla
questione di una possibile riduzione della partecipazione Siragusa ha posto al
centro come priorità la regolarità del voto. La deputata ha parlato del rischio
che possano giungere plichi elettorali a indirizzi non aggiornati :
secondo Siragusa una possibile soluzione al problema potrebbe derivare proprio
dall’inversione dell’opzione. Il Prefetto Orano, altresì direttore centrale per
i servizi elettorali del Ministero dell’Interno, ha affrontato alcuni argomenti
tecnici come la formazione degli elenchi degli italiani all’estero. “Sono stati
fatti passi in avanti facendo colloquiare di più i Comuni coi Consolati.
Abbiamo ottenuto dei grandi progressi”, ha rilevato Orano sottolineando come
l’elenco degli elettori all’estero non possa essere facilmente cristallizzato
in una data, essendo per sua natura un qualcosa in costante aggiornamento.
Orano ha parlato della nota questione dell’allineamento dei dati tra Ministero
dell’Interno e schedari consolari: è possibile ‘congelare’ la posizione
elettorale di quei cittadini che, da elenco provvisorio, appaiano in una
posizione di dubbio reperimento. L’ammissione definitiva al voto deriva dalla
consultazione tra sedi consolari e amministrazioni nazionali. Orano ha
evidenziato come certamente uno scrutinio centralizzato in un’unica sede possa
risultare problematico; al contempo Orano ha posto in rilievo come lo
smistamento delle schede nelle diverse sedi delle Corti d’Appello individuate,
che sarà possibile in futuro, andrebbe a sua volta ponderato dal punto di vista
logistico. (Inform/dip 9)
L’IMU e le rivendicazioni degli italiani all’estero
Credo che sia
opportuno ricordare che per l’anno 2022 l’imposta IMU da pagare per i soggetti
titolari di pensione in regime di convenzione internazionale con l’Italia
residenti all’estero scende al 37,5% grazie alle disposizioni della Legge di
Bilancio per il 2022 (art. 1, co. 743, L. n. 234/2021).
È bene ricordare
che per gli stessi immobili è stato ribadito dalla legge che la tassa sui
rifiuti “Tari” è dovuta in misura ridotta di due terzi.
Si tratta –
l’ulteriore riduzione dell’Imu – di una disposizione temporanea valida solo per
l’anno in corso.
Dal prossimo anno,
se non interverranno nel frattempo modifiche legislative, verrà ripristinata la
riduzione al 50% così come stabilito dal comma 48 dell’articolo 1 della Legge
di Bilancio per il 2021 (la n. 178/20).
L’Imu è ridotta
per i soggetti non residenti titolari di pensione “in regime di convenzione
internazionale con l’Italia” ma comunque residenti in uno Stato di
assicurazione diverso dall’Italia.
Per pensione in
regime di convenzione internazionale si intende una pensione maturata tramite
la totalizzazione di contributi versati in Italia con quelli versati all’estero
in un Paese convenzionato, comunitario (in virtù dei regolamenti comunitari di
sicurezza sociale) ed extracomunitario (che abbia stipulato con l’Italia una
convenzione bilaterale di sicurezza sociale).
I titolari di sola
pensione estera o di sola pensione italiana residenti all’estero sono quindi
esclusi dal regime di riduzione.
Come si ricorderà
il regime agevolativo previsto per l’IMU, la TASI e la TARI dall’art. 9-bis,
del D. L. n. 47 del 2014, era stato eliminato con la Legge di bilancio per il
2020, che aveva appunto abolito la norma che prevedeva l’esenzione a favore dei
pensionati italiani iscritti all’Aire e titolari di una pensione estera. Grazie
anche all’impegno del Partito democratico siamo riusciti con la Legge di
Bilancio per il 2021 a reintrodurre la parziale esenzione dell’Imu al 50% a
favore dei pensionati residenti all’estero titolari di pensione in convenzione
internazionale, proprietari di immobile in Italia (una sola unità immobiliare a
uso abitativo non locata o data in comodato d’uso).
Solo a causa della
mancanza di risorse non siamo riusciti ad ottenere una esenzione totale (è stato
istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’Interno con una
dotazione su base annua di 12 milioni di euro, ora incrementato dall’ultima
Legge di bilancio di 3 milioni di euro per consentire la riduzione al 37,5% per
il 2022).
Va comunque
rilevato che la riduzione dell’Imu per i soli titolari di pensione in
convenzione internazionale è stata contestata da molti nostri connazionali
residenti all’estero i quali ritengono più giusto estendere il regime
agevolativo ad altri soggetti (compresi i non pensionati) proprietari di
immobili in Italia.
Credo che sia
opportuna una seria e responsabile verifica della normativa sull’Imu che,
compatibilmente con le risorse e la disponibilità economica dello Stato e con i
vincoli giuridici imposti dal diritto comunitario, possa prefigurare la
possibilità di venire incontro alle giuste rivendicazioni delle nostre
collettività all’estero.
Angela Schirò
Deputata PD - Rip. Europa – dip 10
L’opinione è uno
stato mentale correlato a uno o più, problemi che si prestano a essere discussi
e interpretati; anche se non, necessariamente, condivisi. Ne consegue che i nostri interventi su questo
quotidiano internazionale lasciano, sempre, spazio per aderire, o no, alle
nostre tesi. L’argomento non ha importanza.
L’ha, invece, il modo col quale proponiamo le
nostre opinioni. Le scriviamo in modo da consentire a chi ci segue di
replicare, in tutta libertà, il suo punto di vista su quanto ha letto. I
convincimenti non sono decisivi, come non lo sono le opinioni. Almeno secondo
un nostro modo d’interpretare i “pareri”.
In politica, ci
comportiamo nello stesso modo. Senza sopportare nessuno. L’opinione è libera e,
di conseguenza, non vediamo motivo non prendere atto di chi si mostra
interessato. Ci preme evidenziarlo proprio nello spirito d’autonomia che
caratterizza questo giornale. Insomma, “stiamo con tutti e con nessuno”.
Posizione, tutto considerato, che lascia l’opportunità di partecipare, con un
proprio contributo d’idee, all’informazione.
Pensiamo che non ci sia modo migliore per
mostrare, con poche riflessioni, un modo di fare giornalismo al servizio di
un’informazione indipendente. Del resto, tanto per chiarire ancor più il
concetto, il nostro è sempre stato un servizio esplicitamente d’opinione.
Giorgio Brignola, de.it.press
Serve un’Europa che parli di futuro
“La pace mondiale
non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai
pericoli che la minacciano.” Si apriva così la Dichiarazione Schuman del 9
maggio 1950.
Oggi, a più di 70
anni di distanza durante i quali il progetto di integrazione europea ha
garantito la pace sul nostro continente, l’Unione europea si trova a fare i
conti con una nuova guerra, scatenata dall’aggressione russa dell’Ucraina.
Coerentemente con gli ideali fondatori, l’Unione europea è ancora una volta
tenuta a mettere in campo strumenti innovativi che possano rilanciare il suo
ruolo pacificatore.
Condivisione del
rischio e progetti futuri
Oggi l’Unione può anche
contare su una legittimazione ulteriore che arriva dai suoi cittadini, che nel
corso di un anno si sono consultati e hanno espresso le loro preferenze nella
Conferenza sul futuro dell’Europa. Le proposte che sono scaturite dai panel
nazionali ed europei, e raccolte sulla piattaforma multilingue e multimediale,
sono state raccolte da nove gruppi di lavoro e saranno presentate a Strasburgo
ai tre presidenti – Ursula con Der Leyden, Roberta Metsola e Emmanuel Macron.
Toccherà poi alle istituzioni di Bruxelles darvi risposta attraverso iniziative
concrete.
Se vuole imporsi
come attore credibile nel nuovo (dis)ordine internazionale e rispondere alle
aspettative dei suoi cittadini, l’Unione deve portare a termine importanti
riforme, alcune delle quali richiederanno una modifica dei Trattati. In primo
luogo, è necessario che le istituzioni possano intervenire in quei settori che
sono ancora appannaggio degli esecutivi nazionali, ma che per la loro natura
richiedono soluzioni condivise e una risposta collettiva: salute, difesa,
energia. Questo implica nuove cessioni di sovranità dalle capitali a Bruxelles,
ma garantisce anche la condivisione del rischio e la moltiplicazione della
capacità di azione.
Nuove forme di
integrazione
Per poter agire in
maniera tempestiva ed efficace, occorre individuare nuove forme di integrazione
e differenziazione. Un’Europa a 27, alla quale presto, sperabilmente, si
uniranno nuovi membri, non può funzionare senza rafforzare modalità di
cooperazione flessibile tra gli Stati e procedure decisionali più snelle. Forme
di integrazione differenziata sono già previste nei Trattati, in particolare
attraverso le cooperazioni rafforzate, e fanno già parte del DNA europeo. Ne
sono esempi l’eurozona, l’area Schengen e la Cooperazione strutturata permanente
in materia di difesa.
L’Unione potrebbe
giovarsi di forme di collaborazione più strette tra quei paesi che possono e
vogliono andare avanti in settori specifici come la politica estera e di
sicurezza, o quella migratoria. Per garantire la coesione politica e la
coerenza istituzionale, questi progetti dovrebbero tenere le porte aperte per
chi potrà e vorrà contribuire in seguito, e stabilire collegamenti stabili con
la governance europea, ad esempio attraverso la partecipazione diretta o una
funzione di supervisione per le istituzioni. In nessun caso, la
differenziazione dovrebbe riguardare i valori fondanti dell’Unione, come lo
stato di diritto o il rispetto dei diritti umani, che aprono al rischio di
eccessiva frammentazione o addirittura di disintegrazione.
Di fronte alla
guerra in corso in Ucraina e alle richieste di adesione di Ucraina, Georgia e
Moldova, il concetto di flessibilità può assumere un significato diverso e più
strategico, per esempio offrendo modelli multipli di cooperazione tra l’unione
europea e i paesi candidati, vicini o partner.
Soprattutto, la
regola del consenso dovrà lasciare spazio alla procedura di voto a maggioranza
qualificata, impedendo il ricorso ai veti incrociati da parte degli Stati
membri. Questo deve riguardare in particolare quegli ambiti in cui l’unanimità
è spesso non raggiungibile e si è rivelata sinonimo di inazione, come ad
esempio la politica estera, di sicurezza e di difesa, a partire dalle decisioni
relative ai diritti umani e alle sanzioni. Anche in questo caso, i Trattati
offrono delle opportunità non ancora utilizzate, come la clausola passerella
prevista all’articolo 31, paragrafo 3 TUE. Ma una riforma complessiva
richiederà la modifica dei Trattati.
Il modello
Conferenza sul futuro dell’Europa
È in linea con
questi ragionamenti che il Parlamento europeo ha chiesto la convocazione di una
Convenzione, che dovrebbe aprire una fase costituente in linea con l’articolo
48 dei Trattati. Il momento è propizio, ma richiederà una forte iniziativa
delle istituzioni, la volontà politica degli Stati membri, e un coinvolgimento
costante dei cittadini. Più di qualsiasi cambiamento istituzionale, lo sforzo
principale dei prossimi mesi ed anni sarà quello di ripristinare in Europa uno
spazio pubblico fondato sui valori, dando continuità a canali di democrazia
partecipativa sul modello della Conferenza sul futuro dell’Europa e vigilando
sulla resilienza delle nostre società.
È questa la forza
del progetto europeo che ha ispirato le generazioni passate e che può
continuare a parlare alle generazioni del futuro. Nicoletta Pirozzi, AffInt 9
Cardinale Parolin, il no ad una nuova guerra fredda, il sì ad una vera
riconciliazione
ROMA. La guerra
nel cuore dell’Europa, in Ucraina, ha messo di nuovo in luce la straordinaria
attualità della dichiarazione di Robert Schumann, il padre dell’Europa. Il
quale – ha spiegato il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano –
comprese che l’unica via per allontanare il pericolo di un nuovo conflitto non
era nella deterrenza, né nel “costruire una pace armata come la Guerra Fredda”,
ma nella “solidarietà reciproca e la condivisione delle risorse”, che avrebbero
portato ad una riconciliazione autentica”.
Il 9 maggio è il
giorno dell’Europa, perché fu il 9 maggio 1950 che Robert Schumann, allora
ministro degli Esteri francese, fece la dichiarazione che portò alla
costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), da cui
poi sarebbe scaturito il grande progetto europeo. Un progetto per la pace, che
puntava alla riconciliazione dei popoli, e che oggi si rivela in tutta la sua
attualità con la guerra scoppiata in Ucraina e lo spettro di una nuova “guerra
fredda”.
Per la Giornata
dell’Europa di quest’anno, l’ambasciata dell’Unione Europea presso la Santa
Sede ha voluto una celebrazione nella Basilica di Santa Sofia, la casa dei
greco cattolici ucraini a Roma (la loro cattedrale è Santi Sergio e Bacco
invece), fatta costruire dal Cardinale Josip Slipyi subito dopo il suo ritorno
dalla prigionia in un gulag siberiano, modellata sulla Santa Sofia di Kyiv, e
oggi anche centro di raccolta per gli aiuti alla madre patria sotto attacco. Un
modo per dimostrare, ancora una volta, la vicinanza dell’Europa all’Ucraina.
A celebrare, è
stato chiamato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che
nella sua omelia ha ripercorso proprio la profezia di Schumann – oggi
venerabile – per delineare quello che deve essere il futuro dell’Europa,
progetto di pace piuttosto che alle prese con l’ospite indesiderato della
guerra.
“Imploriamo da Dio
– ha detto il Cardinale - il dono della pace per l’Ucraina, il conforto
materiale e spirituale per le vittime della guerra e specialmente per i
profughi, per i bambini, per chi ha perso tutto, per le persone rimaste sole.
Il Signore illumini i cuori dei governanti perché si adoperino per ristabilire
la pace e la concordia”.
L’omelia del
Cardinale ha preso le mosse dalla liturgia del giorno, dalla morte di Cristo
che in realtà è una apertura alla vita, in un mondo in cui “la vittoria di Cristo
sembra stentare a mostrare il suo trionfo, quasi offuscata da un mondo in cui
il peccato e la mortte sembrano avere il sopravvento”, come ricordano le
notizie dall’Ucraina.
Ed è qui che il
Cardinale ha guardato indietro alla dichiarazione di Schumann, il quale aveva
intuito che solo “la solidarietà reciproca e la condivisione delle risorse”
potevano portare alla “riconciliazione autentica”, mettendo le basi di una idea
e un progetto che cambiarono “il destino di regioni che per lungo tempo si sono
dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici”.
L’ispirazione di
Schumann era figlia – ha spiegato il Cardinale – di un impegno “politico e
sociale intessuto dalla fede cristiana coltivata nella fede quotidiana”, una
fede totalizzante che portò il ministro a lavorare “per l’Europa unita e
riconciliata”, e che trovò compagni di viaggio che condividevano la sua fede
prima di tutto cristiana, come Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi.
Erano tutti
statisti consapevoli che “non si sconfigge la morte con altra morte, ma che
solo la vita sconfigge la morte”, e che compresero, “dinanzi alla tentazione
umana di far prevalere la discordia”, che l’unico modo di affrontare le sfide
era “ascoltarsi, ponendo con onestà e semplicità le proprie ragioni,
disponibili nel contempo a cogliere le ragioni degli altri”.
Sono padri
fondatori – ha detto il Cardinale Parolin – perché “hanno posto le basi per un
edificio nuovo” e “nella vita si sono adoperati per costruire laddove altri che
li avevano preceduti avevano saputo solo distruggere”. Il loro lascito è
stato “ascoltare e accogliere”, quelli che “sono ancora oggi i punti di forza
dell’Europa”.
Una posizione da
mantenere viva “nell’assordante rimbombo del nostro tempo”, ha concluso il
Segretario di Stato vaticano.
Nel suo discorso
al termine della Messa, Alexandra Valkenburg, ambasciatore dell’Unione Europea
presso la Santa Sede, ha rimarcato “il sogno della pace in Europa” di Robert
Schuman, una visione che ha permesso alle 27 nazioni dell’Unione di “andare
oltre un ciclo di guerra e conflitti, sostituendolo con una visione di unità,
solidarietà e speranza”.
Mentre la guerra è
tornata nel nostro continente, “dobbiamo lavorare verso la visione di Schuman ancora
più di prima”, perché “l’aggressione russa dell’Ucraina continua a causare
grande sofferenza per milioni di ucraini, per i nostri compagni europei”, in
una guerra “senza senso, ingiustificata e ingiustificabile”.
L’ambasciatore
Valkenburg ha ricordato che l’Unione Europea fa eco agli appelli del Papa per
la pace, ha sottolineato la vicinanza all’Ucraina per la quale si continuerà a
mostrare solidarietà, ha riconosciuto “l’incredibile coraggio del popolo
ucraino”.
In questa
situazione, ha concluso, è ancora più importante l’unione strategica tra Unione
Europea e Santa Sede, “partner con le stesse vedute” su pace, solidarietà,
diritti umani clima, lotta alla povertà, ma anche sul supporto al
multilateralismo.
Andryi Yurash,
ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede, ha mostrato gratitudine per la
scelta di celebrare la Giornata dell'Europa a Santa Sofia, ringraziato per il
supporto all'Ucraina in questo tempo "culturalmente difficile",
ribadito che Ucraina ed Europa "appartengono allo stesso spazio culturale
e spirituale", con gli stessi valori e principi "basati sul rispetto
della dignità umana, della liberà scelta e un indubitabile riconoscimento
del diritto di ciascuno Stato di costruire e sperimentare la loro
identità".
Sono valori messi
a rischio da una aggressione "ingiustificata a barbarica da parte della
Russia imperialista di Putin", ed è un rischio che non
riguarda "solo l'Ucraina, ma tutto il continente europeo".
Yurash ha
ricordato che dai tempi del suo battesimo, 1034 anni fa, "l'Ucraina è
stata pare della comunità europea", e dunque "l'Europa è nel cuore di
ciascun ucraino" e la messa celebrata a Santa Sofia dimostra
che "l'Ucraina è nel cuore dell'Europa". Andrea
Gagliarducci, Aci 10
C’era una volta il sindacato. Il punto sulla profonda crisi della triplice
e sulle sue cause
La crisi dei
sindacati è manifesta. Il declino delle organizzazioni nate per tutelare i
diritti dei lavoratori, è drammaticamente evidente. Le due principali
organizzazioni sindacali (ma nell’insieme, tutta la triplice) hanno fatto
registrare, solo dal 2000 al 2017, una perdita che supera i 300.000 iscritti
(Fonte dati: Pietro Ichino). La CGIL è il sindacato che ha avuto il calo
maggiore, ma “la fuga” delle deleghe è importante anche per la CISL. Una curva la cui discesa non si arresta e che
coinvolge tutte le sigle in un vero e proprio crollo, che nel suo ammontare
complessivo riguardante il dato unitario CGIL CISL E UIL, ha portato alla
perdita di oltre mezzo milione di tesserati.
Vale la pena
interrogarsi sulle cause di tanta disaffezione. Certo la crisi ha radici
profonde, arriva dagli anni 80 e da una concertazione politica basata
soprattutto sulla contrattazione reddituale e relazioni industriali volte a
disarmare il dissenso, lo scontro, la critica, la “lotta”. La concertazione
sembrava la soluzione ideale per evitare il rapporto conflittuale tra sindacati
e governo, attraverso consultazioni preventive con le parti sociali, prima di
operare scelte economiche. Lavoro, salari, previdenza sociale, politiche fiscali,
finanza pubblica e politiche economiche, tutto avveniva attraverso la pratica
della concertazione.
Per i sindacati
inizia così un periodo di corresponsabilità in tutte queste scelte, dove il
ruolo della critica o dell’opposizione deve per forza essere calmierato per
poter partecipare ai tavoli di contrattazione. Diminuiscono gli ambiti e le
modalità di intervento. Si ritrovano così a presidiare un territorio sempre più
limitato, grazie anche a scelte opinabili come le limitazioni agli scioperi. Il
sindacato si trova, a mano a mano, confinato alla “fabbrica”, alla
conservazione dei posti già tutelati e dei diritti già acquisiti, come le
pensioni. L’azione sindacale si ingabbia sempre più in una “coltivazione di
orticello” dai confini sempre più ristretti. Si gioca in difesa, nella
convinzione che “difendere il fortino” sia l’unica imprescindibile
priorità.
Nel frattempo
però, è esplosa la globalizzazione, la rete, il mondo si è ritrovato tutto
insieme e contemporaneamente nello stesso luogo, anche se virtuale. E in questo
nuovo luogo sono nati, grazie alla tecnologia, nuovi modelli di lavoro, di
impresa, di attività, di necessità, di opportunità.
I sindacati invece
sono rimasti fermi, a guardare un mondo cambiare vorticosamente, a presidiare i
cancelli delle ultime fabbriche sopravvissute alla crisi economica del 2009. A
mantenere posizioni che in fondo hanno esaurito il loro ruolo in questo nuovo
contesto sociale. I paradigmi su cui poggiava tutta la concertazione del ‘900
sono velocemente stati superati da una realtà che non avendo precedenti ha
disorientato non solo i sindacati ma l’intero apparato sociale.
Ad aggravare la
situazione, i due anni di pandemia che per necessità si è trovato a spingere
fortemente l’acceleratore sulla transizione al digitale di tutto ciò che può
essere digitabile. Dalla scuola alla PA alle imprese pubbliche e private, tutti
hanno dovuto attrezzare in pochissimo tempo una tecnologia che consentisse il
proseguimento delle attività e delle produzioni anche in lockdown.
Questo, se da un
lato ha consentito il salto quantico necessario all’avvento della nuova era e
l’evoluzione della società da un punto di vista tecnologico, dall’altra ha
lasciato una classe dirigente, amministratori e decisori pubblici, non
propriamente “nativi digitali”, spiazzata e inadeguata a gestire la mutazione.
Sono nate
categorie di lavoratori e mestieri che non esistevano fino a 3 anni fa, oppure
non rappresentavano una platea così vasta. Il cosiddetto smartworking o lavoro
agile, gli orari flessibili, la rete internet che prepotentemente prende in
mano la gestione del mondo del lavoro e delle prestazioni fuori dagli schemi e
dagli strumenti abituali.
Questo è un modo
di lavorare difficilmente comprensibile per una generazione che ha impostato la
vita sociale di intere nazioni sulla mobilità per raggiungere fabbriche o
uffici. Talmente difficile da capire che non riesce a chiedere (ma neanche a
riconoscere quali siano) nuovi diritti e nuove tutele per chi invece, obtorto
collo, è stato costretto ad adeguarvisi. La scuola, la PA, i trasporti, le
aziende, per non essere travolti dallo tsunami della pandemia hanno dovuto
attingere a tutte le opportunità delle nuove tecnologie, ma il nuovo ambiente
non ha regole ed è quindi impossibile (al momento) definirne limiti e abusi o
sfruttamenti.
I sindacati, in
cui la componente generazionale è determinante vista la scarsissima
partecipazione dei giovani, si sono ritirati “sull’Aventino”, a presidiare gli
ultimi territori: pensioni e fabbriche. Due luoghi destinati inevitabilmente a
profonde trasformazioni e non troppo lontane. Faticano a riconoscere e capire
le nuove competenze, le nuove esigenze, sia del mondo datoriale che di quello
operativo. CGIL, CISL e UIL hanno così perso i loro riferimenti di sicurezza, il
senso del loro ruolo.
L’emorragia di
iscritti deriva da questo. Le nuove generazione che soffrono la mancanza di una
seria politica attiva non hanno nessuna fiducia in un istituto culturalmente
lontano dalla loro realtà. In questi
anni la generazione dei giovani è stata praticamente ignorata dalle scelte
governative, dalle politiche attive. Nonostante le retoriche denunce sulle
fughe dei cervelli, sui giovani globetrotter che seguono il lavoro in ogni
posto del mondo, la questione giovani rimane IL nodo irrisolto dell’azione
sindacale.
Arroccati su
pensioni e lavoratori dipendenti – soprattutto di grandi aziende- dopo aver
contribuito all’approvazione di leggi lavoricide come la famigerata “Fornero”,
con un’idea dell’Europa cancellata dal recente colpo di spugna della guerra in
Ucraina, i sindacati sono di fronte a un bivio.
L’estinzione è
inevitabile per la specie che non trova adattamento al nuovo contesto -
sosteneva Darwin - e per fermare la fuga degli iscritti e ritrovare il ruolo
che gli compete, occorre adeguarsi, adattare il sindacato ai nuovi lavori, alle
nuove realtà, alle nuove necessità, prima fra tutte i criteri di valutazione
dei quesiti e delle competenze.
Quindi cambiare si
può, anzi si dovrà, per forza di cose, ma occorre rivedere i ruoli di una
istituzione che rappresenta il grado di civiltà di un Paese e il baluardo alle
derive restauratrici o revisioniste della storia e del lavoro. Ogni sfida deve
perseguire obiettivi e risultati, ma per ottenere il cambiamento occorre,
semplicemente e banalmente, cambiare: addendi, paradigmi, modalità, principi,
altrimenti, come diceva Einstein il risultato sarà sempre lo stesso.
Mira Carpineta,
dip 20
Il ventiduesimo anno
del nuovo millennio è contrassegnato da eventi che lasceranno il segno. In
altri termini, oltre alla pandemia, esiste uno stato di guerra tra Russia e
Ucraina. Questi eventi hanno “invecchiato”, oltre ogni ragionevole profilo
fisiologico, la nostra Italia. Invecchiata nelle Istituzioni, nelle leggi non
varate, nelle ingiustizie, che hanno cambiato nome, ma che sono rimaste tali.
In Italia, nel bene e nel male, i fatti non
sempre rispettano la cronologia di quando sono maturati. Anche noi ne abbiamo preso
atto. Quando sono solo le previsioni a contare, allora ci sentiamo d’esprimere
qualche nostra valutazione. Parecchi problemi che credevamo d’esserci lasciati
alle spalle, ci sono ancora tutti. Del resto, non ci sono razionali presupposti
capaci di farci sperare per il meglio.
Sopra ogni altra considerazione, resta una
realtà che non riesce a evolversi. Dopo di tante, troppe, privazioni, una
classe sociale è in via d’estinzione. Tra “ricchi” e “poveri”, non ci sono più
classi intermedie. Senza dubbio, non c’è italiano che non abbia chiaro il
concetto che abbiamo espresso. Certo è che la speranza, per qualcuno, resta
l’ultima spiaggia da poter, in ogni modo, mettere in campo. Sbagliando da
subito, ma non rinunciando a diffondere illusioni là dove servirebbero
certezze.
Per questo motivo, ci chiediamo perché fare
delle promesse che già hanno la consistenza delle illusioni. Riformare, costi
quel che costi, non è bastato per il passato e non basterà per il futuro.
“Buona Volontà” e “Fiducia” sono i mezzi ma non i fini da conseguire. Più che
la carica di questi politici “rampanti” ci servirebbe una maggiore coerenza su
una struttura confusa con tante
polemiche palesi o, peggio, celate. Giorgio Brignola, de.it.press
Inaugurato a Genova il MEI, Museo dell’Emigrazione Italiana
GENOVA. “Sono
stati sette anni di lavoro intenso e oggi è bello essere qui. Ed è ancora più
bello farlo in questa primavera che ci rivede tutti insieme, con la possibilità
di stare fianco a fianco. In questa struttura avevamo messo uno dei primi
centri per tamponi durante una delle crisi del Covid che abbiamo affrontato e
superato. Oggi vederlo trasformato in un luogo non solo di cultura, ma anche di
svago, di memoria e di racconto, è un passo importante, che lo valorizza ancora
di più”. Lo ha detto il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti in
occasione dell’inaugurazione a Genova alla Commenda di Prè del MEI – Museo
dell’Emigrazione Italiana.
“L’anima di Genova
– ha proseguito il governatore – è fatta dalle tante persone che da questo
porto, dalle nostre banchine, sono partite per andare dall’altra parte del
mondo, in terre lontane, a commerciare, a portare la Repubblica Marinara prima,
il Regno d’Italia e la Repubblica poi, a costruirsi una vita altrove, tenendo
però nel cuore il ricordo di questa città. Se il museo nazionale
dell’emigrazione doveva avere una sede non poteva che essere Genova: la
compagnia Rubattino, i grandi transatlantici, il palazzo della Regione che è
stato sede di una delle più grandi compagnie di navigazione”.
“Questo non solo è
un museo dell’emigrazione, – ha continuato Toti – ma è anche un museo che
racchiude un po’ dell’anima di Genova. Ricordare quel pezzo di storia è un buon
punto di partenza su cui tracciare il futuro. E io mi auguro che questo luogo
ispiri tutti noi a tracciare un futuro sempre migliore e sempre più chiaro
nonostante le ombre che si allungano sul nostro mondo”.
“Oggi – ha
concluso il presidente – recuperiamo un pezzo del centro storico della nostra
città, recuperiamo un palazzo di straordinaria bellezza, recuperiamo un’area
della città, tra il porto e l’abitato, che merita di essere valorizzata,
recuperiamo un pezzo della memoria, ma recuperiamo e costruiamo soprattutto
anche un pezzo del futuro. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati per
arrivare dove siamo oggi”.
“È un museo che
racconta tante storie passate, ma anche storie di ritorno con uno sguardo in
avanti e fa tutto questo in maniera innovativa – ha dichiarato l’assessore alla
Cultura della regione Ilaria Cavo – Oggi si inaugura in maniera a molto
rapida rispetto a quando questo progetto era partito. Si apre perché siamo
stati pronti come istituzione a dire sì. Io ero presente all’incontro con il
ministro della Cultura quando ci ha chiesto se accettavamo la sfida: non abbiamo
esitato a dare una risposta affermativa. È stata una corsa contro il tempo,
oggi siamo qui a tagliare il nastro. Chiaramente questo museo – ha concluso
l’Assessore dovrà essere costantemente aggiornato nei contenuti, ma si parla di
una realtà che vive, che vive di flussi che arriveranno qui riportando questa
parte di Genova al centro, la cultura diventerà ancora una volta anche un
fattore di promozione turistica”. (Inform/dip 11)
I Parlamentari PD sulla inaugurazione a Genova del museo dell’emigrazione
L’inaugurazione
del Museo nazionale dell’emigrazione italiana (MEI), avvenuta ieri a Genova
dopo un lungo percorso iniziato nel 2008, è sicuramente un evento positivo e
atteso, che salutiamo con convinzione ed emozione per le implicazioni storiche,
sociali, culturali ed etiche che esso comporta.
Genova è
indubbiamente una delle porte fondamentali verso le destinazioni
transoceaniche, anche se non va trascurato il ruolo che storicamente hanno
avuto Napoli, Palermo, Trieste per i viaggi di mare e altre località, come
Verona e Milano, per quelli ferroviari quando l’emigrazione italiana si è
massicciamente rivolta verso l’Europa.
L’Italia, rispetto
ai maggiori paesi di immigrazione/emigrazione, con l’istituzione di un museo
nazionale recupera il suo ritardo e, almeno sotto il profilo del riconoscimento
e del tributo di memoria, paga il suo debito verso la sua grande diaspora,
calcolata in poco meno di 30 milioni di espatriati, una delle più consistenti
del mondo.
Poiché nell’enfasi
delle inaugurazioni spesso si perdono i dati reali delle situazioni, ci piace
ricordare che la scelta di realizzare un museo nazionale dell’emigrazione fu
fatta dall’ultimo Governo Prodi, quando su richiesta del Viceministro Franco
Danieli furono iscritti in bilancio 2,8 milioni da destinare al museo e con
decreto del Ministro degli esteri fu istituito un comitato scientifico che ne
avrebbe dovuto delineare il percorso. I governi successivi hanno continuato su
quella traccia inaugurando il Museo a Roma nei locali provvisori del Vittoriano
e, dopo la chiusura di quella esperienza, il Ministro Franceschini ha accolto
l’istanza delle autorità genovesi e liguri di trasformare in Museo nazionale
l’esperienza avviata al Galata dalle autorità genovesi.
Dal momento che
nelle cronache non compaiono nemmeno tra gli invitati i nomi di coloro che
hanno permesso la realizzazione dell’istituzione, desideriamo ringraziare noi tutti
coloro che nel tempo hanno creduto e operato per la realizzazione di questo
progetto. Soprattutto, insistiamo sulla opportunità di rispettarne
l’ispirazione iniziale, vale a dire di perseguire un impianto a rete sia con i
musei locali dell’emigrazione, disseminati in molte località italiane, che con
i grandi musei dei paesi di immigrazione degli italiani, che custodiscono e
narrano le storie degli insediamenti e dei percorsi di integrazione. Solo così,
tra l’altro, si potrà dare un contributo reale al turismo di ritorno.
Un’ultima
annotazione. Nell’enfasi dell’inaugurazione, il MEI è stato descritto come la
“casa” di tutti gli italiani nel mondo. Peccato che ci si sia dimenticati di
invitare coloro che oggi, in base alla Costituzione e alle leggi in vigore, gli
italiani nel mondo li rappresentano, vale a dire gli eletti al Parlamento nella
circoscrizione Estero. Con la nostra presenza forse avremmo potuto portare un
elemento in più di consenso e un valore simbolico non marginale. Ma – si sa –
tra il dire e il fare spesso c’è di mezzo il mare, anzi, trattandosi di
emigrazione, c’è di mezzo l’Oceano.
Angela Schirò,
Francesca La Marca, Nicola Carè (deputati PD Estero); Fabio Porta, Francesco
Giacobbe (senatori PD Estero) dip 12
Il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana salutato da tante testimoninte
GENOVA –
L’inaugurazione del Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana nel centro
storico di Genova, nel palazzo della Commenda di Pré, è stato salutato da
diverse testimonianze online, provenienti da varie parti del mondo, di persone
da anni impegnate a trasmettere la memoria storica dell’emigrazione italiana.
Tra loro segnaliamo le testimonianze di Daniele Marconcini (Presidente
Mantovani e Lombardi nel Mondo) che ha parlato di “mondo italico e visione
glocal della migrazione”; Fabiola Cechinel (Segretaria Nazionale AIM Brasile)
che si è detta “orgogliosa di poter collaborare con il MEI”; Marco Crepaz
(Direttore MIM Belluno) che ha espresso un sentito augurio al nuovo Museo
genovese che sarà “una porta d’accesso alla storia dell’emigrazione”; Marco
Fedi (COASIT Melbourne) ha parlato di “emigrazione come di umanità che si muove
nel mondo e produce storia ricca di passioni e civiltà”; Mico Licastro
(Delegato CONI USA) ha associato la parola ‘emigrazione’ alle foto d’epoca
della grande emigrazione con persone stipate nella navi che partivano da
Genova; Enzo Badalotti (Presidente Veronesi nel Mondo) ha parlato di
emigrazione come di contributo apportato dagli italiani altrove; Delfina Licata
(Fondazione Migrantes) che ha inquadrato il Museo di Genova come “luogo per
capire chi siamo incontrando storia e attualità”.
C’erano
naturalmente anche altri luoghi che si erano proposte per ospitare questo
museo: Napoli, Palermo e la Regione Veneto. Alla fine il Ministro della Cultura
Dario Franceschini ha assegnato a Genova questo compito: l’ufficializzazione
c’è stata nel gennaio 2018. “Questo è un museo che è stato costruito con gli
italiani nel mondo, non è un museo genovese ma di tutti gli italiani che si
occupano di emigrazione e che se ne sono andati dall’Italia”, ha rilevato
durante la presentazione Nicoletta Viziano (Presidente del MUMA di Genova),
sottolineando come adesso ci sia bisogno di integrare il museo non solo a
livello nazionale e internazionale ma anche cittadino. “Deve essere il museo di
tutti: la casa degli italiani che vengono a scoprire la storia dei propri
nonni”, ha aggiunto Viziano ringraziando quanti hanno lavorato in questi anni
per riuscire nell’impresa di aprire in tempi record questo polo museale. Il
Ministro Franceschini nel suo videomessaggio ha ricordato il suo viaggio a
Ellis Island che è luogo di commemorazione dell’emigrazione, non solo italiana,
e si è chiesto perché in Italia non ci fosse ancora un luogo simile.
Franceschini ha sottolineato la necessità di trovare un luogo davvero simbolico
per ricordare la nostra diaspora. “La scelta non poteva che ricadere su Genova
per quello che ha rappresentato nella storia dell’emigrazione”, ha spiegato il
Ministro evidenziando i tempi record per la creazione di questo luogo unico che
fa rivivere, anche in maniera multimediale, queste pagine di storia italiana.
L’europarlamentare Pina Picierno (PD) ha ricordato come “siamo figli di
processi migratori, di dolore e speranza, di disillusione e ricerca di un posto
migliore”. Paolo Masini (Presidente del Comitato di indirizzo del Museo) ha
parlato di grande lavoro di squadra. “E’ un lavoro che parte da lontano: un
lavoro partecipato e di condivisione con più di 40 protocolli d’intesa mettendo
dentro le varie ‘Case Italia’ che sono nel mondo. Questo è il museo degli
italiani nel mondo: abbiamo ragionato insieme a loro per capire come raccontare
questa meravigliosa storia. Questa è la più grande operazione di memoria
popolare del Paese: il fenomeno dell’emigrazione è importante. Rispetto agli
italo-discendenti si parla tanto di turismo delle radici e speriamo che questa
possa essere una tappa fondamentale per loro; un altro obiettivo è quello
formativo rivolto alle scuole”, ha rilevato Masini invitando a guardare con
occhi diversi il fenomeno migratorio sia in entrata che in uscita. Marco Bucci
(Sindaco di Genova) ha ricordato con emozione la sua esperienza migratoria. “A
tutte le persone che hanno sperimentato nella loro vita cosa vuol dire essere
emigrati o immigrati dedichiamo questo Museo nazionale che diventerà
d’importanza internazionale. Questo luogo ha la tradizione di avere ospitato
tutti quelli che se ne andavano in altri Paesi, imbarcandosi sulle navi”, ha
spiegato Bucci. Giovanni Toti (Presidente della Regione Liguria) ha parlato di
quello che sarà un luogo di cultura e di memoria. “Se Genova ha un’anima, essa
è fatta dalle tante persone che da queste banchine sono partite per andare in
altre terre per commerciare o per costruirsi una vita altrove. Se un Museo come
questo doveva avere una sede, essa non poteva che essere Genova”, ha spiegato
Toti. Alberto Anfossi (Segretario Generale Fondazione Compagna San Paolo) ha
espresso soddisfazione per questo risultato ricordando come a volte le
migrazioni possono anche evidenziare un aspetto romantico, ma spesso sono
forzate. Pierangelo Campodonico (Direttore MEI) ha evidenziato come il percorso
espositivo rappresenti un viaggio nell’emigrazione. Si è parlato di un percorso
museale di visita che si snoda dalla relazione problematica tra emigrazione e
Stato; quindi si passa per la scelta del memoriale per ricordare questa storia
tra incidenti ed episodi di intolleranza; infine c’è il ‘labirinto’ che dà il
senso dell’impatto del divenire emigrato. In un percorso ascendente si termina
con ‘chi ce l’ha fatta’ nella sua sfida. (Inform/dip 16)
Per Cie e Spid necessario semplificare le procedure
Roma. "Digitalizzare la pubblica
amministrazione vuol dire renderla più equa. Per questo è importante non
lasciare indietro nessuno, a causa di ostacoli tecnologici o burocratici. Come
sta invece accadendo agli italiani residenti all'estero e iscritti all'Aire.
Molti non riescono a creare la propria identità digitale, necessaria per
accedere ai servizi della Pa, per via dei limiti tecnici degli stessi provider.
Che spesso prevedono requisiti incompatibili con quelli dei cittadini Aire.
Chiedendo, ad esempio, esclusivamente una tessera sanitaria italiana in fase di
iscrizione oppure non prevedendo l'opzione di residenza all'estero". Lo ha
dichiarato la senatrice Laura Garavini, Presidente dell’Intergruppo di amicizia
Parlamentare Italia-Benelux, incontrando la comunità italiana in Olanda, nel
corso della missione che l’Intergruppo sta svolgendo nei Paesi Benelux.
"È perciò importante
che si intervenga proprio con le società di identity provider,
sensibilizzandole affinché aprano la possibilità di iscrizione anche ai
connazionali che non risiedono in Italia. Parallelamente, è utile avviare una
campagna di informazione presso gli stessi connazionali. In collaborazione con
l'intera rete diplomatico consolare e i Comites. Entro il prossimo marzo,
infatti, tutti i servizi consolari saranno accessibili solamente in formato
digitale. È fondamentale che i cittadini Aire siano informati in tempo
utile" ha concluso la senatrice, che in merito ha depositato
un'interrogazione al Ministro per l'Innovazione tecnologica e digitale. Dip 17
Pensionati italiani all’estero e bonus di 200 euro. All’ultimo momento
esclusi
Per ora le nostre
segnalazioni e sollecitazioni rimangono senza risposta ma i tempi stringono e
il Decreto Aiuti sta per essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. I nostri
connazionali titolari di pensioni italiane (in convenzione o autonome)
residenti all’estero vogliono sapere se i 200 euro di bonus, in arrivo insieme
alle Quattordicesime con i ratei pensionistici di luglio, spettano anche a
loro.
Saranno oltre 28
milioni i lavoratori italiani dipendenti e autonomi e i pensionati con un
reddito fino a 35.000 euro che riceveranno il bonus una tantum. Il Decreto
Aiuti vale 14 miliardi di euro ed è stato introdotto per affrontare il
caro-vita e cioè l’accelerazione dei prezzi che è dipesa in larghissima misura
dai prezzi dell’energia, con misure molto ampie che spaziano dalla proroga
dello “sconto” sui carburanti alla riduzione di una serie di balzelli sulle
bollette di luce e gas per chi è in maggiore difficoltà all’allungamento dei
termini per accedere al Superbonus per le villette (misura che interessa
potenzialmente anche gli italiani residenti all’estero proprietari di immobili
in Italia), dagli aiuti alle imprese più colpite dalla guerra in Ucraina a
misure per far fronte agli aumenti eccezionali dei materiali.
In particolare il
bonus di 200 euro (per una spesa totale di 6 miliardi di euro) è stato
finanziato con un prelievo straordinario sulle aziende importatrici e
distributrici di energia che hanno realizzato extra-profitti grazie ai prezzi
energetici. Noi crediamo che in virtù di
quanto disposto, chiaramente, dal testo normativo il bonus di 200 euro deve
essere corrisposto anche ai titolari di pensioni italiane residenti all’estero
con un reddito inferiore ai 35.000 euro. Infatti la norma di riferimento,
articolo 32 del Decreto, recita testualmente che “A favore dei soggetti
titolari di uno o più trattamenti pensionistici, a carico di qualsiasi forma
previdenziale obbligatoria, di pensione o assegno sociale nonché di trattamenti
di accompagnamento alla pensione, con decorrenza entro il 30 giugno 2022 e
reddito personale complessivo non superiore a 35.000 euro lordi annui, è
corrisposta d’ufficio con la mensilità di luglio 2022 un’indennità una tantum
di importo pari a euro 200.”
Il riferimento ai
trattamenti pensionistici a carico di qualsiasi forma previdenziale
obbligatoria deve ovviamente includere anche i titolari di pensioni italiane,
in convenzione e autonome, residenti all’estero visto che la norma non vincola
il bonus alla residenza in Italia.
Per il diritto
alla indennità non rilevano: il reddito della casa di abitazione e le sue
pertinenze; i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e le competenze
arretrate sottoposte a tassazione separata; l’assegno al nucleo familiare, gli
assegni familiari e l’assegno unico universale; l’importo aggiuntivo di cui
all’articolo 70, comma 10, della legge 23 dicembre 2000 n. 388, gli assegni di
guerra, gli indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati; le indennità di accompagnamento,
le indennità previste per i ciechi parziali e le indennità di comunicazione per
i sordi prelinguali.
Giova infine
ricordare che il bonus di 200 euro, che non costituisce reddito ai fini fiscali,
è erogato sulla base dei dati disponibili all’Istituto al momento
dell’erogazione ed è soggetta alla successiva verifica del reddito complessivo
annuo lordo.
All’ultimo momento
esclusi
All’ultimo momento
il Governo ha cambiato idea ed ha deciso, come risulta dal testo del Decreto
Aiuti pubblicato in questi giorni nella Gazzetta Ufficiale, e nonostante i
nostri auspici e le nostre sollecitazioni, di non concedere il Bonus di 200
euro ai pensionati italiani residenti all’estero.
Infatti nel
Decreto Aiuti pubblicato nella Gazzetta Ufficiale è stato inserito, modificando
così il testo originale approvato dal Consiglio dei Ministri, il vincolo della
residenza in Italia ai fini del diritto al Bonus per i pensionati. All’articolo
32 intitolato “Indennità una tantum per pensionati e altre categorie di
soggetti” il legislatore ha aggiunto la frase “In favore dei soggetti residenti
in Italia… etc.”.
Siamo certamente
consapevoli che il Decreto Aiuti è stato varato con l’obiettivo di adottare
misure urgenti di sostegno economico agli italiani residenti in Italia
(individui ed imprese) per contenere gli aumenti dei costi del carburante e
delle bollette di luce e gas, ma speravamo che il Bonus di 200 euro potesse
essere esteso anche e soprattutto ai pensionati italiani residenti all’estero,
la cui grande maggioranza percepisce importi irrisori di pensione (e un numero
non esiguo di loro paga le tasse in Italia).
Speravamo che un
Bonus che a luglio verrà erogato in Italia a 30 milioni di persone potesse
diventare appannaggio anche di 400.000 pensionati italiani residenti
all’estero. Così non è stato (ma quando il Decreto arriverà Parlamento non
mancheremo di presentare emendamenti correttivi) e, come in altre circostanze,
siamo costretti fare i conti con l’ennesima disattenzione dello Stato italiano
che troppo spesso non dimostra la necessaria sensibilità per i diritti e le
aspettative dei nostri connazionali.
Ci aspettiamo
infine che il Governo chiarisca se i lavoratori italiani residenti all'estero i
quali sono alle dipendenze di un datore di lavoro italiano (come ad esempio i
contrattisti) possano avere diritto al Bonus visto che l'articolo 31 del
Decreto che ne disciplina l'erogazione non introduce, come invece l’articolo
32, il vincolo della residenza in Italia.
Angela Schirò
(deputata PD estero) - Fabio Porta (senatore PD estero) dip 20
Mehrheit der Deutschen setzt auf erneuerbare Energien
Osnabrück. Russlands Angriffskrieg gegen die Ukraine hat
nicht nur unermessliches menschliches Leid verursacht, sondern auch eine
intensive Debatte um Energiewende, Versorgungssicherheit und künftige
Energieträger ausgelöst. Ein Aspekt: Kernenergie schien trotz des in
Deutschland beschlossenen Atomausstiegs an Zuspruch zu gewinnen. Eine
überraschende Erkenntnis fördert vor diesem Hintergrund eine aktuelle –
repräsentative – Umfrage des Meinungsforschungsinstituts „forsa Gesellschaft
für Sozialforschung und statistische Analysen“ im Auftrag der Deutschen
Bundesstiftung Umwelt (DBU) zutage: Laut forsa-Erhebung für den DBU-Umweltmonitor
„Energiewende und Wohnen“ erteilt eine klare Mehrheit der Deutschen (75
Prozent) der Renaissance von Atomkraft eine Absage; breite Unterstützung (65
bis 75 Prozent) finden hingegen erneuerbare Energien (EE).
Unabhängiger von Energieimporten wie russisches Gas oder Öl
Lediglich ein Viertel der Befragten ist laut forsa dafür,
künftig Kernenergie stärker zu nutzen, um Deutschland unabhängiger von
Energieimporten wie russisches Gas oder Öl zu machen. „Die Zukunft der
Energieversorgung gehört den erneuerbaren Energien. Dieses Signal vermittelt
auch die jetzige forsa-Umfrage“, sagt DBU-Generalsekretär Alexander Bonde. „Wir
müssen den Ausbau der Erneuerbaren beherzt vorantreiben. Das allein reicht aber
nicht. Neben einem schnelleren EE-Ausbau brauchen wir zugleich mehr
Energieeffizienz – also kluge Maßnahmen vom Dämmen bis zum Heizen, besonders im
alten Gebäudebestand.“ Tatsächlich bestätigt die forsa-Erhebung einen starken
Rückhalt in der Bevölkerung für ein solches strategisches Vorgehen: Eine überwältigende
Mehrheit der Deutschen – insgesamt zwischen 65 und 75 Prozent – fordert, in
Zukunft vor allem auf Solar- und Windenergie sowie Wasserstoff aus
regenerativer Energie zu setzen, damit Deutschland nicht mehr wie bislang von
Energieimporten abhängig ist. Energieträgern wie Gas (6 Prozent Zustimmung) und
Kohle (5 Prozent) trauen nur noch wenige Deutsche eine Zukunft im Energiemix
zu.
Lediglich 14 Prozent der 18- bis 29-Jährigen für Kernenergie
Bei der repräsentativen forsa-Erhebung zwischen dem 14. bis 30.
April dieses Jahres wurden neben 1.000 Bürgerinnen und Bürger ab 18 Jahren auch
1.011 Hauseigentümerinnen und Hauseigentümer in Deutschland befragt. Die
ermittelten Ergebnisse können sowohl auf die Gesamtheit der erwachsenen
Bevölkerung als auch auf die Hauseigentümer in Deutschland übertragen werden.
Auffallend in der aktuellen forsa-Umfrage zur Kernenergie als Option für
größere Unabhängigkeit von Energieimporten bei gleichzeitiger Vermeidung von
Versorgungsengpässen sind die Unterschiede zwischen den Altersgruppen: Unter
den 18- bis 29-Jährigen sehen darin lediglich 14 Prozent eine Lösung für die
Zukunft. Bei den 30- bis 44-Jährigen (28 Prozent), den 45- bis 59-Jährigen (27
Prozent) sowie den 60-Jährigen und Älteren (26 Prozent) liegt dieser Wert nahezu
doppelt so hoch. In den genannten Altersgruppen ist hingegen die Zustimmung zur
Solar- und Windenergie sowie Wasserstoff aus erneuerbaren Energien mit zwei
Dritteln bis drei Vierteln der Befragten nahezu gleich groß.
„Enormes Einsparpotenzial für mehr Energieeffizienz“
Welche Herausforderung auf den Energiemarkt allein in
Deutschland wartet, macht eine andere Erkenntnis der forsa-Umfrage deutlich:
Denn noch heizen ihr Haus oder ihre Wohnung insgesamt 52 Prozent der Befragten
mit Gas und 18 Prozent mit Öl. Luft-Wärmepumpe (3 Prozent), Erd-Wärmepumpe (2
Prozent) und Solarenergie (1 Prozent) verharren dagegen derzeit noch im unteren
einstelligen Bereich. Etwas mehr genutzt wird im Moment lediglich Fernwärme;
das gaben elf Prozent der Befragten an. Hausbesitzer, deren Haus vor 1978
gebaut wurde, nutzen weitaus häufiger (31 Prozent) eine Öl-Heizung als solche
mit Häusern, die erst nach 1978 errichtet wurden (15 Prozent). Das Jahr
markiert eine Zäsur in der bundesdeutschen Energiepolitik, denn Ende 1977 trat
in Deutschland die erste Wärmeschutzverordnung in Kraft – mit der Folge, dass
nicht nur das Dämmen von Dächern, Wänden und Decken an Bedeutung gewann,
sondern auch effizientere Heizungstechniken. Hinzu trugen seinerzeit die noch
spürbaren Auswirkungen der Ölkrise Anfang der 1970er-Jahre zu einem Umdenken
bei. Dazu DBU-Generalsekretär Bonde: „Dieses forsa-Ergebnis ist als Appell für
dringendes Handeln zu verstehen. Denn fast zwei Drittel der Gebäude in
Deutschland sind vor der ersten Wärmeschutzverordnung gebaut worden. Das birgt
enormes Einsparpotenzial für mehr Energieeffizienz.“ Dbu 20
Die Kriegsverbrechen in der Ukraine
müssen aufgeklärt, die Täter zur Rechenschaft gezogen werden. Es ist moralisch
geboten und stärkt das Völkerrecht. Patricia Schneider
Der Ruf nach Aufklärung der mutmaßlichen Kriegsverbrechen
insbesondere gegen Zivilisten in der Ukraine ist laut. Das Abstreiten jeglicher
Verantwortung durch den Kreml bleibt unglaubwürdig und wirkt zynisch. Dabei ist
das Problem nicht die Dokumentation der Verbrechen. Die ukrainischen Behörden
befragen vor Ort, sammeln Beweise und obduzieren Leichen – auch aus den
Massengräbern –, soweit Zugang zu den umkämpften Gebieten besteht. Die ukrainische
Generalstaatsanwaltschaft kündigte Anfang Mai den ersten Prozess gegen einen
gefangenen russischen Soldaten an, welcher aus einem Auto auf Zivilisten
geschossen haben soll.
Lokale und internationale Nichtregierungsorganisationen und
Medien tragen zur Dokumentation bei. Videoaufnahmen werden überprüft. Mithilfe
von Satellitenbildern wurden Angriffe auf zivile Objekte sowie Leichenfunde
belegt, um dem Vorwurf einer „Inszenierung“ entgegenzuwirken. In Deutschland
werden im Rahmen von Ermittlungen des Generalbundesanwalts Geflüchtete befragt.
Nicht nur das BKA, sondern auch der BND arbeiten hierbei zu. Letzterer weist
zum Beispiel durch das Abhören von Funksprüchen die Verantwortlichkeit von
russischen Streitkräften und Sicherheitsdiensten nach.
Russischen Akteuren werden Angriffe auf Wohnhäuser, Schulen,
Krankenhäuser, Theater, Einkaufszentren und Bahnhöfe vorgeworfen. Werden diese
nicht militärisch, sondern zivil genutzt, dürfen diese laut Völkerrecht nicht
angegriffen werden. Angriffe während der Evakuierung von Zivilisten auf
Fluchtwegen sind verboten. Genauso ist es ein Verbrechen, Menschen auf der
Flucht auf feindliches Territorium zu treiben. Viele ukrainische Soldaten aus
Mariupol fürchten in russischer Kriegsgefangenschaft um ihr Leben. Auch
ukrainischen Streitkräften wird die Misshandlung oder Tötung von
Kriegsgefangenen vorgeworfen. Vorwürfe, dass Russland biologische oder
chemische Waffen eingesetzt habe, konnten bisher nicht unabhängig bestätigt
werden.
Bei späteren Gerichtsverfahren – sei es in der Ukraine, in
Deutschland oder vor dem Internationalen Strafgerichtshof in Den Haag – stellen
sich vor allem zwei Probleme: erstens persönliche Verantwortlichkeit und damit
politische und militärische Befehlsketten für geplante und systematische
Verbrechen gerichtsfest nachzuweisen und zweitens des Hauptschuldigen habhaft
zu werden.
Hierzu sind Einsichten in die politischen und militärischen
Führungsprozesse notwendig. Solange das Regime Putin an der Macht bleibt, ist
ein solcher Zugang unwahrscheinlich. Bei den Nürnberger
Einsatzgruppen-Prozessen war es möglich, die Beschuldigten schnell zu
verurteilen, da das Nazi-Regime selbst seine Gräueltaten akribisch dokumentiert
hatte und Aktenzugang bestand. Bei den Verhandlungen des Internationalen
Straftribunals für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) zeigte sich, wie schwierig,
langwierig und aufwändig es ist, zur historischen Wahrheitsfindung beizutragen.
Mit dem Internationalen Strafgerichtshof (ICC) wurde ein
ständiger Gerichtshof geschaffen, der es erlaubt, Kriegsverbrechen, Verbrechen
gegen die Menschlichkeit, Völkermord und Aggression zu verurteilen. Dies kann
er tun, wenn eine der drei Bedingungen erfüllt ist: Die Verbrechen finden auf
dem Territorium eines Mitgliedsstaates statt, werden durch Angehörige eines Mitgliedsstaates
ausgeführt oder der Fall wird durch den VN-Sicherheitsrat überwiesen.
Der ICC kann Haftbefehle erlassen und hierbei auf die
Unterstützung der EU-Staaten zählen. Die Frage der Immunität von amtierenden
Staatsoberhäuptern ist im Völkerrecht grundsätzlich umstritten. Die Statuten
des ICC sehen jedoch gerade keine Immunität für Staatsoberhäupter vor. So
klagte der ICTY Slobodan Miloševi? 1999 als erstes Staatsoberhaupt noch während
seiner Amtsausübung wegen Völkermordes an. Ausgeliefert wurde er dann erst nach
seinem Rücktritt. Der ICC erließ Haftbefehl gegen Omar al-Bashir, den damals
amtierenden Präsidenten des Sudans, wegen Verbrechen im Darfur-Konflikt. Der
Diktator wurde jedoch selbst nach seinem Sturz 2019 nicht ausgeliefert. Würde
ein internationaler Haftbefehl gegen Wladimir Putin erlassen, wäre in jedem
Fall seine Reisefähigkeit eingeschränkt, da ja stets eine Auslieferung drohen
würde, wozu die 123 ICC-Mitgliedsstaaten verpflichtet wären. Dazu gezwungen
werden könnten sie allerdings nicht.
Dies zeigt ein anderes Kernproblem auf: die eingeschränkte
Reichweite des ICC. Der Internationale Strafgerichtshof ist nicht Teil der
Vereinten Nationen, sondern basiert auf dem Römischen Statut als gesondertes
Vertragswerk. Der Grundgedanke ist, dass es keine Straflosigkeit für die
schwersten Verbrechen der Menschheit geben soll. Personen, die die meiste
Verantwortung tragen, sollen sich nicht schützen können, sondern sollen
verurteilt werden können, selbst wenn die nationale Gerichtsbarkeit dazu nicht
in der Lage ist. Dies soll abschreckende Wirkung entfalten. Es sind aber nicht
alle Staaten bereit, die politische Entscheidung zu treffen, sich dieser
Gerichtsbarkeit zu unterwerfen, beispielsweise auch die Mitglieder des
VN-Sicherheitsrats Russland, China und die USA. Es steht Staaten jedoch offen,
die ICC-Gerichtsbarkeit ad-hoc bei einem konkreten Konflikt anzuerkennen. Das
hat die Ukraine 2014 im Kontext der Krim-Annexion getan, sodass bereits
Ermittlungen laufen, die nun um den aktuellen Konflikt erweitert wurden.
Internationale Strafgerichtsprozesse haben vor allem drei
wichtige Funktionen: erstens Individuen zur Verantwortung zu ziehen und Opfer
zu entschädigen, zweitens Verbrechen nach einem Konflikt aufzuklären und
drittens zukünftige Verbrechen durch Abschreckung zu verhindern.
Um diese Abschreckungsfunktion zu stärken, ist der
Chefankläger des ICC Karim Khan bereits Mitte März an die ukrainisch-polnische
Grenze gereist und hat betont, dass der ICC Verantwortliche für Angriffe gegen
Zivilisten sowie zivile Objekte vor Gericht bringen kann. Damit wurde ein
klares Zeichen gesetzt, dass es keine Straflosigkeit geben werde – selbst wenn
die russische Führung glaubt, den Krieg gewinnen und eine Marionettenregierung
einsetzen zu können, von der sie nichts zu befürchten habe. Aber obwohl dies
ein wichtiges Signal war, wurden auch danach weiter Kriegsverbrechen begangen.
Dies spiegelt die fehlende politische globale Unterstützung
des Gerichts wider: Die Anzahl der Mitlieder des Strafgerichtshofs stagniert.
Burundi und die Philippinen sind sogar wieder ausgetreten – aus Empörung über
Untersuchungen im eigenen Land. Laufende Untersuchungen können dadurch
allerdings nicht gestoppt werden. Mächtige Staaten wollen sich und ihre
Alliierten vor Strafverfolgung schützen. Insbesondere im Sicherheitsrat wirkt
sich der Machtunterschied aus, wenn entschieden wird, welche Fälle durch das
Gremium überwiesen werden. Gleichzeitig finden weiterhin Verbrechen statt, für
die lautstark Gerechtigkeit eingefordert wird, vor allem von
zivilgesellschaftlicher Seite. Das führt dazu, dass immer mehr Situationen vom
ICC untersucht werden. Und nicht nur – wie anfangs – geografisch konzentriert
auf Afrika, sondern weltweit, etwa in Palästina, Georgien, Venezuela,
Afghanistan und Bangladesch/Myanmar. Eine weitere Herausforderung besteht
allerdings darin, dass nicht nur die Anzahl der Mitgliedsländer stagniert,
sondern auch das Budget, das in der Regel von den Mitgliedern bereitgestellt
wird. So ist das Gericht gar nicht in der Lage, alle untersuchten Fälle auch
zum Prozess zu bringen.
Deutschland sollte dem Ruf des ICC nach mehr Mitteln und
abgeordnetem Personal für Ermittlungen im Ukraine-Krieg Folge leisten und für
breite Unterstützung werben. Denn die symbolische Wirkung der Untersuchungen stärkt
das Völkerrecht und trotzt allen Auflösungstendenzen.
Die Spielregeln, die das Völkerrecht festlegt, sind
politisch gesetzt. Völkerrecht ist also zutiefst politisch, wie auch seine
Befolgung und Durchsetzung. Diese Spielregeln werden immer wieder neu
ausgehandelt und Grenzen ausgetestet. Rückschritte sind nicht auszuschließen.
Länder wie Russland und China, die diese Ordnung herausfordern, sind dennoch
bedacht, juristische Rechtfertigungen für ihre Handlungen vorzulegen, indem sie
das Recht in ihrem Sinne uminterpretieren.
Die Ukraine bedient sich in Gegenwehr aller gerichtlicher
Mittel. Ein Beispiel ist die Anrufung des Internationalen Gerichtshofs (IGH),
der für die Völkermordkonvention zuständig ist. Der Gerichtshof fand keine
Anzeichen für einen gerechtfertigten Angriff und forderte als Eilmaßnahme die
sofortige Einstellung der Kampfhandlungen. Russland argumentierte danach in
einer Stellungnahme nicht mehr mit Völkermord, um den Angriff auf die Ukraine
zu rechtfertigen. Es wurde also eine wichtige Legitimationsbasis entzogen. Die
Aggression ging jedoch unvermindert weiter.
Es offenbart sich eine Krise der politischen Institutionen
und der Weltpolitik. Dennoch: Der Abgesang auf das Völkerrecht als Ausdruck der
geltenden Ordnung, in der Grenzen nicht gewaltsam verschoben und
Kriegsverbrechen nicht ungestraft begangen werden können, ist zu früh. Solange
die internationale Gemeinschaft diese Handlungen breit verurteilt, wird die
Gültigkeit der Regeln gestärkt. Dagegen untermauert jede Enthaltung und jede
Gegenstimme ein System der Straflosigkeit. Daher bedarf es weiterhin einer
aktiven Unterstützung aller unterschiedlicher strafrechtlicher Bemühungen, der
öffentlichen Verurteilung von Kriegsverbrechen und der Verteidigung des
Völkerrechts. Es ist ein wichtiger symbolischer Baustein der Bemühungen, das
Mittel der militärischen Gewalt in zwischenstaatlichen Beziehungen zu ächten,
auch wenn sich die geopolitischen Machtkonstellationen und Bündnisse verändern.
Ob und wann es letztlich zu einer Verurteilung der
russischen Führung kommt, ist zweitranging. Indem Desinformationspolitik und
rechtliche Vorwände entschleiert werden, können die Kosten für die Reputation
sowie für die innere und äußere Legitimation in die Höhe getrieben werden.
Gleichzeitig gilt es, die Ukraine maximal und nachhaltig zu unterstützen. Die
politische Isolation Russlands, gepaart mit wirtschaftlichen und militärischen
Verlusten, kann dazu beitragen, eine Verhandlungslösung attraktiver zu machen
sowie Nachahmer weltweit abzuschrecken. Ipg 20
Ukraine-Krieg. Afrika-Experten werfen Europa Doppelmoral vor
Experten sehen durch den Ukraine-Krieg das Verhältnis zwischen
Europa und Afrika schwer belastet. Bei Konflikten in Afrika rühre sich Europa
nicht, bei Konflikten in Europa erwarte die EU jedoch, dass ganz Afrika
aufspringt. In der Kritik steht auch der unterschiedliche Umgang mit
Flüchtenden aus der Ukraine und afrikanischen Ländern.
Der Ukraine-Krieg könnte nach Ansicht von Afrika-Experten
das Verhältnis Europas zum Nachbarkontinent neu bestimmen. Bisher hätten
europäische Reaktionen auf die Positionierung afrikanischer Staaten in dem
Konflikt teils ein Ernstnehmen der südlichen Länder vermissen lassen, war die
Einschätzung bei einem Diskussionsforum der Grünen-nahen Heinrich-Böll-Stiftung
Hessen am Mittwochabend in Frankfurt am Main.
Es gebe Verbitterung über eine Doppelmoral, erklärte Ulf
Terlinden, Leiter des Böll-Stiftungs-Büros in Nairobi, der per Video
zugeschaltet war. Für Menschen in afrikanischen Kriegs- und Krisengebieten, wie
in Tigray in Äthiopien, sei es nicht nachvollziehbar, dass die Welt dort
praktisch tatenlos bleibe „und gleichzeitig erwartet, dass ganz Afrika
aufspringt, wenn ein Konflikt in Europa ausbricht“.
Vor allem Kritik am Abstimmungsverhalten der Afrikaner bei
der Verurteilung Russlands in der UN-Vollversammlung sei bei manchen
afrikanischen Regierungen übel aufgestoßen, sagte Terlinden. Die Gründe für die
Enthaltungen seien vielfältig und sie seien zu hinterfragen, statt die
Positionierung zu verurteilen, waren sich die Fachleute bei der
Diskussionsrunde einig. Dazu zähle auch eine Selbstreflexion der westlichen
Haltung.
Doppelmoral im Ukraine-Russland Krieg
Eine neutrale Position bei der Abstimmung dürfe auch nicht
mit einer moralischen Neutralität in den afrikanischen Ländern gleichgesetzt
werden, betonte Antonia Witt von der Hessischen Stiftung Friedens- und
Konfliktforschung. Eine Erklärung für die politische Enthaltung sei etwa, dass
der Konflikt teils stark als einer zwischen West und Ost angesehen werde, in
dem Regierungen eine neutrale Position einnehmen wollten.
Auch Boniface Mabanza Bambu von der Kirchlichen
Arbeitsstelle Südliches Afrika verwies auf die Wahrnehmung einer Doppelmoral:
Viele fühlten sich nicht respektiert, wenn Länder, die die Kriegskasse
Russlands füllten, hart mit afrikanischen Staaten ins Gericht gingen, deren
Unterstützung höchstens symbolisch sei. Nichtsdestotrotz gebe es natürlich auch
Länder, die in ihrer aktuellen Lage auf eine Kooperation mit Russland setzten,
wie etwa Mali.
Unterschiedlicher Umgang mit Flüchtenden
Zudem habe der Umgang mit Geflüchteten das Verhältnis zu
Europa belastet: So sei die erste Solidaritätswelle in Afrika deutlich
abgekühlt durch rassistische Vorfälle in der Ukraine und an Grenzen zum Westen.
Aus der Ukraine fliehende Afrikaner und Asiaten hatten berichtet, bei der
Flucht behindert und diskriminiert worden zu sein. „Hinzu kommt, dass die Art
und Weise, wie EU-Länder mit Geflüchteten aus der Ukraine umgehen, deutlich
kontrastiert mit dem Umgang mit Geflüchteten aus afrikanischen Ländern“, sagte
Mabanza. Das werde registriert.
In dieser Konstellation sei die Frage nach einer integrativen,
gleichberechtigten globalen Ordnung umso wichtiger, sagte Witt. Jetzt sei die
Gelegenheit, „deutlich zu machen, dass man Doppelstandards entweder nicht hat
oder überwinden will“, unterstrich Terlinden. (epd/mig 20)
Tagung gegen Menschenhandel im Vatikan – Vernetzung hilft
Zum Abschluss des dreitägigen Treffens der international
besetzten Santa Marta Group wurden an diesem Donnerstag bei einer
Pressekonferenz Einblicke in die Ergebnisse der Beratungen gegeben und erprobte
Praktiken gegen Menschenhandel vorgestellt.
Mitglieder der Gruppe sind Polizeichefs, Ordensfrauen,
Juristen, Bischöfe, NGO-Vertreter aus fünf Kontinenten, die Zwangsarbeit,
-prostitution und Sklaverei bekämpfen. Nach Aussage ihres Koordinators, des
englischen Kardinals Vincent Nichols, versteht sich die Gruppe „als Katalysator
für die Arbeit zur Abschaffung von Menschenhandel“.
Laut Nichols ist diese Arbeit durch die Pandemie erheblich
erschwert worden. Millionen Menschen seien verarmt und anfällig für Ausbeutung
geworden. Im Kampf gegen Menschenhandel seien Aufklärung und das Verfolgen von
Finanzströmen besonders wichtig. Zum einen müssten mögliche Opfer informiert
und gewarnt werden; zum anderen müssten Verantwortliche in Unternehmen wie
Behörden wissen, wie viel Menschenhandel sich in ihren Lieferketten verstecken
könne.
Der Koordinator der Santa-Marta-Gruppe, Kevin Hyland, lobte
in diesem Zusammenhang das deutsche Lieferkettengesetz. Dieses sei in gewisser
Weise eine internationale Premiere im Kampf gegen Zwangsarbeit und Schattenwirtschaft.
Aber auch die Kirchen müssten prüfen, woher genau die von ihnen bezogenen
Produkte und Dienstleistungen stammten. Dazu hätten Australiens Bischöfe gerade
eine Prüfung veranlasst.
Aktionsplan wird eigens gewürdigt
Hyland lobte zudem einen auf Initiative der Deutschen
Bischofskonferenz im Frühjahr erarbeiteten Aktionsplan gegen Menschenhandel.
Diesen hatte der Kölner Weihbischof Ansgar Puff bei dem dreitägigen Treffen im
Vatikan vorgestellt und auch dem Papst übergeben. Der Plan enthält den Angaben
zufolge neun Punkte zur Bekämpfung solcher Verbrechen, die je nach nationaler
und individueller Ausgangslage zur eigenen Weiterarbeit angepasst und
übernommen werden können.
Roselyn Nambuje, Richterin des Berufungsgerichts in Nairobi,
hob die Rolle von Frauen im Kampf gegen Menschenhandel hervor. So habe man in
Kenia spezielle Einheiten weiblicher Polizeikräfte eingerichtet; ihnen
vertrauten sich Frauen und Kinder viel eher an. Auch gebe es spezielle
Fortbildungen für Richterinnen und Staatsanwältinnen. Diese würden geschult, in
Verfahren auf Menschenhandel zu achten und die Opfer zu schützen, anstatt sie
weiter in die Arme von Menschenhändlern zu treiben.
Über eine besonders verwerfliche Form von Menschenhandel
berichtete bei dem Treffen der aus Yangon/Myanmar zugeschaltete Kardinal
Charles Bo. Der internationale Organhandel, der über Südostasien laufe, sei
eine „moderne Form von Kannibalismus“.
„Heute drohen wir den Kampf zu verlieren“
Steve Francis von der US-Homeland-Security forderte mehr
Konzentration auf die Opfer von Menschenhandel. Es müsse mehr getan werden, um
diesen Verbrechen vorzubeugen. „Wir können das Problem nicht allein mit
Festnahmen lösen“, so der Polizeioffizier. Hyland ergänzte: „Wir brauchen
Wanderarbeiter weltweit; es geht nicht ohne - weder in Europa, Südostasien noch
anderswo.“
Allerdings bräuchten diese Menschen Rechtssicherheit,
Arbeitsschutz, Bankkonten und anderes mehr. Vor 20 Jahren, so Nichols, waren
die Chancen im Kampf gegen Menschenhandel besser. „Heute drohen wir den Kampf
zu verlieren.“
Wie wirksam vernetzte Vorbeugung trotzdem sein kann,
berichteten bei der Tagung Teilnehmer aus Polen und Litauen. Dort hätten
Grenzbeamte an ukrainische Flüchtlinge Info-Flyer mit Telefonnummern verteilt.
Als ein Bus eine Gruppe von zwei Dutzend Frauen und Kindern in vermeintliche
Sicherheit habe bringen wollen, sei eine Frau misstrauisch geworden und habe
mit ihrem Handy angerufen. Daraufhin sei der Bus von der litauischen Polizei
gestoppt worden.
(kna 19)
Karlsruhe vs. EU-Wahlrechtsreform könnte in die dritte Runde gehen
In einem neuen Anlauf zur Reform des EU-Wahlrechts steht dem
Europäischen Parlament möglicherweise erneut das Bundesverfassungsgericht in
Karlsruhe im Weg. Bereits 2011 und 2014 hatte es Reformen geblockt. Von:
Nikolaus J. Kurmayer
Am 3. Mai hat sich das Europäische Parlament geeinigt. Die
EU-Wahlrechtsreform soll paneuropäische Listen einführen. Allerdings enthält
der Vorstoß auch eine 3,5-Prozent-Hürde exklusiv für deutsche Wählerstimmen.
Karlsruhe hatte ähnliche Vorstöße in der Vergangenheit
bereits gekippt, immer auch wegen einer Sperrklausel, die als undemokratisch
gewertet wurde. Auch manchen EU-Parlamentariern stößt die Hürde sauer auf.
Die 3,5-Prozent-Hürde sei “ein Diebstahl von Wählerstimmen,
den ich auch einfach nicht gutheißen kann”, erklärte der Europaabgeordnete
Damian Böselager, Mitglied der pro-europäischen Partei Volt, im Gespräch mit
EURACTIV.
Böselager hatte für die EU-Grünen, denen auch Volt angehört,
den Kompromiss zwischen den einflussreichsten EU-Parteien verhandelt. Mit am
Tisch saßen die konservative EVP, die sozialdemokratische S&D und die
Liberalen von Renew Europe. Das Abkommen der EU-Parteifamilien will eine
Zweitstimme bei den Europawahlen schaffen. EU-Bürger könnten dann 28
transnationale Abgeordnete wählen. Auch das Spitzenkandidatensystem und
gendergerechte Listen sollen festgeschrieben werden.
Größtes Manko bleibt für Böselager die Sperrklausel, die vor
allem deutsche Interessen geschuldet sei. “Das war eine rein deutsche
Verhandlung”, so der MdEP.
“Das Gesetz ist eins zu eins nur für Deutschland
geschrieben. Dementsprechend hat es auch nur Deutsche interessiert”, fügte er
hinzu. Gemeint sind damit laut Böselager CDU und SPD, die den größten
europäischen Parteifamilien angehören.
CDU und SPD Liberalen wollen mithilfe der Liberalen damit
einer Zersplitterung des Europäischen Parlaments vorbeugen. Allerdings bedeutet
eine Sperrklausel für größere Parteien auch einen indirekten Vorteil.
“Es geht wirklich darum, dafür zu sorgen, dass die kleinen
Parteien rausgeekelt werden und dass dafür mehr Sozialdemokraten und
Konservative hereinkommen,” so Böselager.
Daher soll die EVP am Anfang der Verhandlungen über das
EU-Wahlrecht sogar eine 5-Prozent-Hürde gefordert haben, fügte er hinzu.
Letztendlich habe man sich aber auf die 3,5 Prozent geeinigt.
Bevor aus der Parlamentsposition gültiges Recht werden
könnte, hat allerdings vor allem der Rat der EU noch einiges mitzureden. “Es
ist dem Rat ganz klar, dass unsere Priorität diese Zweitstimme ist,” so
Böselager, der vom erwarteten Widerstand der “üblichen Verdächtigen” in Nord-
und Osteuropa spricht.
Unbeachtet des Widerstands im Rat, ist davon auszugehen,
dass man in Karlsruhe den erneuten Vorstoß inklusive einer Sperrklausel
allerdings bereits jetzt kritisch beäugt.
Zuletzt hatten die Richter des Bundesverfassungsgerichts
2014 eine Sperrklausel im EU-Wahlrecht gekippt. In einem Urteil hatte der
Zweite Senat “die bei der Europawahl 2009 (7. Wahlperiode) geltende
Fünf-Prozent-Sperrklausel” für “nichtig” erklärt.
Begründet wurde dies mit dem “Grundsatz der
Wahlrechtsgleichheit” und dass eine Sperrklausel gegen die “Chancengleichheit
der politischen Parteien verstößt”.
Allerdings ließ man in Karlsruhe einen erneuten Vorstoß
inklusive Sperrklausel damals offen.
“Eine abweichende verfassungsrechtliche Beurteilung kann
sich ergeben, wenn sich die Verhältnisse wesentlich ändern”, so der
Urteilssatz.
Im Parlament ist man daher optimistisch. “Die Schwelle wird
für Mitgliedsstaaten mit mehr als 60 Sitzen eingeführt, also auch für Italien
und Frankreich, also nicht nur für Deutschland. Ich sehe keinerlei rechtliche
Probleme”, sagte der Chefverhandler der Sozialdemokraten im EU-Parlament,
Domenec Ruiz Devesa.
Allerdings besteht in Frankreich bereits eine gültige
5-Prozent-Hürde, während Italien in fünf verschiedenen Wahlbezirken abstimmt
und somit nicht betroffen ist. Eine Parlamentsquelle beschreibt die Provision
als eine, “die effektiv nur Deutschland” betreffe.
Sven Simon, der Chefverhandler der EVP, ließ EURACTIV auf
Anfrage keine Einschätzung zukommen.
Eine Umgehung von Karlsruhe?
Laut Böselager stellt der Vorstoß somit eine versuchte
Umgehung des Bundesverfassungsgerichts dar. Denn anstatt eines Vorstoßes des
Bundestags handelt es sich diesmal um ein europäisches Gesetz im Sinne der
europäischen Verträge (223 AUEV).
“Im Gegensatz zur bisherigen Hürde, die über den Bundestag verabschiedet
wurde und die vom Karlsruhe dementsprechend auch aufgehoben werden konnte”,
handle es sich hierbei um ein “europäisches Gesetz”.
“Jetzt ist die Frage, wo im Prozess könnte Karlsruhe das
aufhalten?” fügte er hinzu, mit dem Hinweis, dass dies noch “alles nicht so
klar” sei.
“CDU und SPD hintergehen Karlsruhe aktiv und wissentlich”,
meint daher der Verhandler für die Grünen. EA 19
Produktivität und Kreativität. Studie: Unternehmen profitieren von Geflüchteten
Die Beschäftigung von Flüchtlingen führt in Betrieben zu
einer Vielzahl von Vorteilen. Das geht aus einer aktuellen Studie hervor.
Danach machen die meisten Unternehmer positive Erfahrungen. Das Institut für
Wirtschaftsforschung sieht in Geflüchteten großes Potenzial für den Arbeitsmarkt.
Unternehmen in Deutschland profitieren einer Studie zufolge
von der Integration Geflüchteter in ihre Belegschaft. Nach der am Dienstag in
Berlin vorgestellten Analyse führt die Beschäftigung von Flüchtlingen zu einer
Vielzahl von Vorteilen für die Betriebe wie erhöhter Produktivität und mehr
Kreativität der Belegschaft. Die gemeinsame Studie der gemeinnützigen
Organisation „Tent Partnership for Refugees und des Forschungsinstituts DIW
Econ analysiert die Erfahrungen von 100 mittleren und großen deutschen
Unternehmen, die seit dem Höhepunkt der großen Flüchtlingsbewegung im Jahr 2015
Geflüchtete eingestellt haben.
Trotz fehlender Sprachkenntnisse und Schwierigkeiten bei der
Anerkennung ausländischer beruflicher Qualifikationen bewerten die befragten
Unternehmen in der Umfrage die Integration von Geflüchteten in ihre Belegschaft
als sehr erfolgreich: 64 Prozent gaben an, positive Erfahrungen gemacht zu
haben. 60 Prozent der Unternehmen gaben an, dass sie nach der Anstellung von
Geflüchteten auf internationalen Märkten erfolgreicher agierten. 78 Prozent
stellten eine höhere Zufriedenheit in der gesamten Belegschaft fest.
57 Prozent sagten, dass sie von einer höheren Produktivität
profitiert haben, die auch aus einer größeren Diversität der Belegschaft
resultiere. 61 Prozent berichteten von einer gesteigerten Kreativität innerhalb
des Unternehmens, da Geflüchtete beispielsweise Problemlösungen aus
unterschiedlichen Perspektiven angehen. Als Ergebnis dieser Erfahrungen wollen
88 Prozent der Unternehmen im Jahr 2022 weitere Geflüchtete einstellen.
„Großes Potenzial für den deutschen Arbeitsmarkt“
Alexander Kritikos, Mitglied des Vorstands des Deutschen
Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), sieht in Geflüchteten „ein großes
Potenzial für den deutschen Arbeitsmarkt“. Viele von ihnen hätten sich zu
erfahrenen Arbeitskräften entwickelt, die den Personalbedarf in vielen
Bereichen der Wirtschaft ausgleichen könnten.
Andreas Wolter, Deutschland-Chef von „Tent Partnership for
Refugees“, forderte die Unternehmen auf, ihr Engagement bei der Jobintegration
von Geflüchteten weiter auszubauen. Mit ihnen „können Unternehmen ihr Personal
diversifizieren und einen engagierten, qualifizierten Talentpool gewinnen“,
sagte er.
(epd/mig 18)
Baerbock und Habeck beliebteste Minister, Ansehensverlust für Scholz, Lauterbach und Lambrecht
Hamburg. Außenministerin Annalena Baerbock kann ihr Ansehen
in der Bevölkerung weiter verbessern und führt damit erstmals das Ranking der
beliebtesten Bundesminister an. 29 Prozent der Deutschen bewerten Baerbocks
Arbeit auf einer Skala von 1 bis 10 inzwischen als sehr zufriedenstellend
(8-10), zu Jahresbeginn taten dies lediglich 16 Prozent. Gleichzeitig sank der
Anteil der stark Unzufriedenen (1-3) von 39 Prozent im Januar auf aktuell 31
Prozent, so das Ergebnis einer repräsentativen Online-Umfrage des Markt- und
Meinungsforschungsinstituts Ipsos. Wirtschaftsminister Robert Habeck kann seine
Beliebtheitswerte ebenfalls steigern, im Gegensatz zu Kanzler Olaf Scholz,
Verteidigungsministerin Christine Lambrecht und Gesundheitsminister Karl
Lauterbach, die deutlich an Zustimmung verlieren.
Habeck gewinnt am meisten Zuspruch
Neben Parteikollegin Baerbock ist Robert Habeck das einzige
Regierungsmitglied, das zuletzt an Ansehen gewonnen hat. Waren im März nur 22
Prozent der Bundesbürger sehr zufrieden mit der Arbeit des Vize-Kanzlers, sind
es im Mai ganze 27 Prozent – kein anderer Ressortinhaber verzeichnet gegenüber
der letzten Erhebung einen größeren Zufriedenheitsgewinn. Seit Januar hat sich
der Anteil der Zufriedenen sogar um elf Prozentpunkte erhöht. Damit rückt der
Wirtschaftsminister in der Beliebtheitsskala von Platz 4 auf Platz 2 vor.
Bundeskanzler Scholz verliert an Beliebtheit
Von Bundeskanzler Olaf Scholz sind dagegen immer weniger
Deutsche überzeugt. Inzwischen bezeichnet nur noch jeder fünfte Befragte (20%)
Scholz‘ Arbeit als sehr zufriedenstellend, im März waren es noch 27 Prozent.
Fast jeder Dritte (32%) bewertet die Arbeit des Kanzlers sehr negativ.
Betrachtet man die Netto-Zufriedenheit, also die Differenz zwischen denjenigen,
die sehr zufrieden und sehr unzufrieden sind, verzeichnet Scholz seit
Jahresbeginn einen starken Rückgang um 19 Prozentpunkte, während Baerbock (+21%)
und Habeck (+13%) im gleichen Zeitraum stark zulegen konnten.
Starker Gegenwind für Lauterbach und Lambrecht
Größter Verlierer in der aktuellen Beliebtheitsskala ist
Gesundheitsminister Karl Lauterbach, der bei der letzten Erhebung im März noch
beliebtester Bundesminister war. Im Mai fiel der Anteil der Befragten, die
angeben, mit seiner Arbeit sehr zufrieden zu sein, jedoch deutlich von 31 auf
23 Prozent. Mehr als jeder Dritte (34%) bewertet Lauterbachs Arbeit inzwischen
negativ.
Am wenigsten Zuspruch findet derzeit die Arbeit von
Verteidigungsministerin Christine Lambrecht. 42 Prozent der Bundesbürger sind
mit der Arbeit der SPD-Politikerin sehr unzufrieden, nur noch knapp jeder
zehnte Befragte (11%) bewertet ihre Arbeit positiv. Finanzminister Christian
Lindner (20% zufrieden | 31% unzufrieden) und Verkehrsminister Volker Wissing
(11% zufrieden | 34% unzufrieden) verlieren gegenüber der März-Erhebung
ebenfalls deutlich. Ipsos 17
Kein Krieg. Ukrainer und Russen im Klassenzimmer
Viktoria hat russische Wurzeln. Katarina kommt aus der
Ukraine und geht seit kurzem in die gleiche Schulklasse am Hildesheimer
Andreanum. Dass ihre Heimatländer Krieg gegeneinander führen, trennt die
Mädchen nicht - im Gegenteil. Von Charlotte Morgenthal
Als Lehrer Thorben Trüter die zwölfjährige Katarina fragt,
ob sie eine Rolle im Klassenmusical spielen möchte, schaut das ukrainische
Mädchen Hilfe suchend zu Viktoria in der ersten Sitzreihe. „Viktoria, kannst Du
übersetzen?“ Eine Frage, die Trüter häufiger im Unterricht an das elfjährige
Mädchen mit russischen Wurzeln stellt. Viktoria steht von ihrem Platz auf und
erklärt Katarina im russischen Flüsterton die Frage. Schließlich reckt Katarina
mit einem siegessicheren Lächeln die Daumen nach oben. „Ich habe verstanden.“
Katarina ist eines von bundesweit mehr als 90.000 Kindern,
die vor dem Krieg in der Ukraine geflüchtet sind und nun an eine deutsche
Schule gehen. Allein in Niedersachsen gibt es derzeit knapp 12.000 ukrainische
Schülerinnen und Schüler. Die 12-Jährige, die aus Kiew stammt, ist kurz vor den
Osterferien in die Klasse 6-M des Hildesheimer Gymnasiums Andreanum gekommen.
In der Ukraine hat sie schon etwas Deutsch-Unterricht gehabt. Und oft
verständigt sie sich auch schon ohne Übersetzung. Wenn die Mitschüler Witze
machen, kichert auch Katarina mit. „Die Kinder hier haben mich sehr freundlich
aufgenommen“, sagt sie.
Am Tag ihrer Ankunft in Deutschland organisierten die
Andreanum-Schüler gerade einen Spendenlauf für die Ukraine und sammelten mehr
als 55.000 Euro. Damit haben sie unter anderem einen Krankenwagen für ein
Krankenhaus in Kiew finanzieren und die Tafeln in der Region unterstützen
können, erzählt Schulleiter Dirk Wilkening stolz. Die Solidarität an der
evangelischen Schule ist spürbar groß.
Übersetzungs-App im Unterricht
Trüter hat zwei Tage vor Katarinas Aufnahme in die Klasse
mit den Schülern Übersetzungskarten gestaltet und laminiert. „Wie geht es Dir?“
und „Tut Dir etwas Weh?“ steht in deutscher und ukrainischer Sprache darauf.
Anfangs haben Katarina und ihre ukrainische Mitschülerin diese Karten noch oft
in die Hand genommen, nun sind sie kaum noch im Gebrauch. Viktoria ist
allerdings nicht immer zum Übersetzen da. „Manchmal nervt das auch ein
bisschen, denn auch in den Pausen werde ich ständig gefragt“, sagt sie.
Dann hilft im Unterricht auch eine Übersetzungs-App vom
Smartphone. Nur das von Trüter an diesem Tag ausgewählte Gedicht von Mascha
Kaleko will sich nicht so recht übersetzen lassen. „Bei Lyrik funktioniert es
nicht so gut“, sagt er schmunzelnd. Katarina und ihre ukrainische Mitschülerin
bekommen die Aufgabe, selbst ein ukrainisches Frühlingsgedicht in den
Unterricht mitzubringen.
Erstmal ankommen
Die insgesamt zehn ukrainischen Schüler am Andreanum sollen
möglichst gemeinsam mit russischsprachigen Schülern am Regelunterricht
teilnehmen und lernen nur in besonderen Stunden Deutsch als Zweitsprache. Die
Kriegs-Erfahrungen der Schüler thematisieren die Lehrer nicht, erstmal gehe es
um das Ankommen.
Dass Viktoria russische Wurzeln hat und Katarina aus der
Ukraine kommt, ist für die Mädchen nicht wichtig. Über den Krieg sprechen sie
untereinander kaum, sagen beide. „Was soll man auch dazu sagen?“, fragt
Katarina. Viktoria stört es allerdings schon, dass im Zuge des
Ukraine-Konflikts immer öfter Russen diskriminiert werden. „Viele Leute sind
nicht für den Krieg, das ist einfach Quatsch. Nicht alle sind wie Putin.“
Katarina sagt schließlich zögerlich und mit ernster Miene, ihr größter Wunsch
sei es, dass ihre Familie wieder vereint sei. Sie vermisse ihren Vater. Auch
ihr kleiner Dackel „Puma“ sei in Kiew geblieben.
Vermittlung ukrainischer Lehrkräfte
„Eigentlich bräuchten wir für diese Themen einen
ukrainischen Sozialpädagogen“, sagt Trüter. Demnächst wird eine ukrainische
Lehrerin am Andreanum die Schüler auch mit Unterrichtsstoff aus ihrem
Heimatland versorgen. Landesweit vermittelt das niedersächsische
Kultusministerium mit einem Online-Portal ukrainische Lehrkräfte. Somit können
die Schüler bis zum Ende des ukrainischen Schuljahres Ende Mai am Online-Unterricht
der Ukraine teilnehmen. Wie es danach weiter geht, ist ungewiss.
Für Mariia und Mariana aus der 11. Klasse steht allerdings
schon fest, dass sie am Andreanum das Abitur machen wollen. Sie haben in Kiew
schon lange Deutsch gelernt und helfen viel beim Übersetzen, denn die
ukrainischen Schüler sprechen oft nur wenig Englisch und kaum Deutsch. Kürzlich
haben die beiden 17-Jährigen mit ihren Klassenkameraden eine Video-Andacht
gestaltet, die per Youtube verbreitet wurde. Darin bittet Mariana zum Schluss
Gott um Hilfe: „Gib uns Geduld, auf unsere Väter zu warten, auf Frieden und
Gerechtigkeit.“ (epd/mig 17)
Schwedens Sozialdemokraten sagen Ja zur NATO, Nein zur nuklearen Teilhabe
In einem historischen Schritt sprach sich der Parteivorstand
der Sozialdemokraten am Sonntag in einer Pressemitteilung für einen NATO-Antrag
mit „einseitigen Vorbehalten gegen die Stationierung von Atomwaffen“ aus.
Nach einer außerordentlichen Sitzung des Parteivorstandes am
Sonntag (15. Mai) gab die regierende Sozialdemokratische Arbeiterpartei
Schwedens offiziell bekannt, dass sie einen NATO-Beitritt befürworte und damit
von ihrer langjährigen Politik der Blockfreiheit und Neutralität abweicht.
Die Partei wird sich jedoch „dafür einsetzen, dass Schweden,
falls der Antrag von der NATO genehmigt wird, einseitige Vorbehalte gegen die
Stationierung von Atomwaffen und ständigen Stützpunkten auf schwedischem
Territorium äußert“, heißt es in der Pressemitteilung der Partei weiter.
Die Entscheidung wurde nach einer außerordentlichen Sitzung
des Parteivorstandes am Sonntag (15. Mai) getroffen. Nach Angaben von Expressen
wurde die Entscheidung ohne eine Abstimmung getroffen, und kein Mitglied
äußerte Vorbehalte.
„Angesichts der Situation, die sich ergeben hat, ist es nur
selbstverständlich, dass wir uns für einen NATO-Beitritt entscheiden müssen“,
sagte Verteidigungsminister Peter Hultqvist, der sich zuvor gegen eine
NATO-Mitgliedschaft ausgesprochen hatte.
„Die schwedischen Sozialdemokraten haben heute eine
historische Entscheidung getroffen und Ja zu einem Antrag auf Mitgliedschaft in
der NATO gesagt. Die russische Invasion in der Ukraine hat die Sicherheitslage
für Schweden und ganz Europa verschlechtert“, schrieb Außenministerin Ann Linde
auf Twitter.
„Wir Sozialdemokraten glauben, dass es für die Sicherheit
Schwedens und des schwedischen Volkes das Beste ist, wenn wir der NATO
beitreten“, sagte Ministerpräsidentin Magdalena Andersson auf einer
Pressekonferenz nach der historischen NATO-Entscheidung der Partei.
Die Entscheidung sei „nach reiflicher Überlegung getroffen
worden“, so die Ministerpräsidentin.
Schweden und das schwedische Volk „leben in einer neuen und
gefährlichen Realität“, in der „wir glauben, dass Schweden die
Sicherheitsgarantien braucht, die mit der Mitgliedschaft in der NATO
einhergehen“, sagte sie weiter.
Andersson wies ferner darauf hin, dass Schweden während des
NATO-Bewerbungsverfahrens verwundbar sei und forderte die Schwed:innen auf,
sich von glaubwürdigen Quellen informieren zu lassen.
„Wir können nicht ausschließen, dass Russland versucht, uns
einzuschüchtern. Behalten Sie einen kühlen Kopf angesichts der Versuche, uns
einzuschüchtern und zu spalten“, sagte sie und nannte den Dialog mit Finnland
„von unschätzbarem Wert“, da die Zukunft der beiden Länder „eng miteinander
verwoben“ sei.
Der schwedische Plan sieht nun vor, am Dienstag (17. Mai)
gemeinsam mit Finnland einen NATO-Antrag zu stellen, nachdem am Montag im
Riksdag – dem schwedischen Parlament – über die NATO abgestimmt wurde, so SvD.
Nach der Zustimmung der Sozialdemokraten unterstützt die überwiegende Mehrheit
der schwedischen Parteien eine NATO-Mitgliedschaft.
Wenn das Parlament zustimmt, wird der Antrag an
NATO-Generalsekretär Jens Stoltenberg weitergeleitet. Von: Charles Szumski, EA
16
IW-Studie. Deutschkenntnisse der Eltern entscheidend für Bildungserfolg
Je besser die Deutschkenntnisse von Eltern mit ausländischen
Wurzeln sind, desto häufiger besuchen ihre Kinder ein Gymnasium. Das geht aus
einer aktuellen IW-Studie hervor. Die Experten fordern mehr Sprachförderung
über Ganztagsschulen.
Kinder mit Eltern, die zu Hause nicht fließend oder
zumindest gut Deutsch sprechen, haben einer aktuellen Studie zufolge eine
erheblich geringere Chance zum Besuch eines Gymnasiums. Während 40 Prozent
aller Jugendlichen im Alter zwischen 13 und 15 Jahren in Deutschland ein
Gymnasium besuchen, liegt der Anteil der Kinder aus fremdsprachigen Familien
bei nur 15 Prozent, heißt es in einer Studie des Instituts der deutschen
Wirtschaft (IW).
Für die IW-Studie wurden den Angaben zufolge Daten des
Socio-Oekonomischen Panels am Deutschen Institut für Wirtschaftsforschung
ausgewertet, eine auf Umfragen basierende soziologische Langzeit-Datenbank. Der
Blick auf die Sprachverwendung in Familien und die Sprachkenntnisse der Eltern
zeigt demnach, dass bei etwa zehn Prozent der Unter-16-Jährigen aus
mehrsprachigen Familien weder Mutter noch Vater über gute deutsche
Sprachkenntnisse verfügen. Bei den fremdsprachigen Familien – hier wird
ausschließlich eine ausländische Sprache zu Hause gesprochen – ist das bei mehr
als jedem vierten Kind der Fall. Das führe häufig zu Nachteilen in der
schulischen Laufbahn, hieß es.
Sprache entscheidet über Schulform
Deutlich wird das laut Studienautoren beim Blick auf die
besuchte Schulform der Kinder: Fast 40 Prozent der 13- bis 15-Jährigen besuchen
demnach ein Gymnasium, fast 20 Prozent eine Gesamtschule und rund 40 Prozent
eine sonstige Schulform. Für Kinder mit Eltern ohne gute Deutschkenntnisse
sehen die Anteile deutlich anders aus. Nur 15,5 Prozent gehen auf ein
Gymnasium, 25 Prozent besuchen eine Gesamtschule und 60 Prozent eine andere
Schulform, etwa Sonder- oder Hauptschulen. Liegen hingegen bei fremdsprachigen
Familien zumindest bei einem Elternteil gute Deutschkenntnisse vor, weichen die
besuchten Schulformen laut der Studie kaum vom Gesamtdurchschnitt ab, wie die
Studie ergab.
Die Studienautoren forderten für Kinder aus fremdsprachigen
Familien eine verstärkte Sprachförderung über die Ganztagsschulen. Auch müssten
Kindertagesstätten in Regionen, in denen viele Eltern mit geringen deutschen
Sprachkenntnissen wohnen, diese gezielter ansprechen. So ergab die Studie des
arbeitgebernahen Instituts zudem, dass Kinder aus fremdsprachigen Familien
seltener eine Kita besuchen. Über den Ausbau von Kitas und Grundschulen zu
Familienzentren und mehr Sprachkursen für Eltern könnten auch die Eltern
gezielt unterstützt werden, hieß es. (epd/mig 16)
Finnen glauben nicht daran, sich allein verteidigen zu können
Obwohl Finnland über eine beträchtliche militärische Stärke
verfügt, ist weniger als die Hälfte der Bevölkerung davon überzeugt, dass sich
das Land allein gegen einen großen militärischen Angriff verteidigen könnte.
Von: Pekka Vänttinen
Den Befragten zufolge hat sich die Wahrscheinlichkeit eines
russischen Angriffs auf Finnland seit dem Beginn des Krieges in der Ukraine
bereits in diesem Jahr auf 19 Prozent fast verdreifacht. Bis 2027 steige das
Risiko solcher russischen Maßnahmen auf 30 Prozent, so die Einschätzung der
2.800 Finn:innen, die an der Umfrage des Think-Tanks Finnish Business and
Policy Forum (EVA) teilnahmen.
Bei der Frage nach einem NATO-Beitritt Finnlands sprachen
sich 76 Prozent der Befragten für einen Beitrittsantrag aus, da sie glaubten,
dass dadurch die Wahrscheinlichkeit eines russischen Militärangriffs in diesem
Jahr auf 14 Prozent sinken würde.
Präsident Sauli Niinistö und Ministerpräsidentin Sanna Marin
erklärten am Donnerstag (12. Mai), Finnland solle so bald wie möglich einen
Antrag auf Mitgliedschaft in der NATO stellen. Diese Äußerung hatte eine rasche
Reaktion aus Moskau zur Folge.
Dmitri Peskow, der Pressesprecher von Präsident Wladimir
Putin, bezeichnete den Beitritt Finnlands zur NATO als „Bedrohung“. „Natürlich
muss dies alles speziell analysiert und die notwendigen Maßnahmen entwickelt
werden, um die Situation auszugleichen und unsere Sicherheit zu gewährleisten“,
sagte er laut der Nachrichtenagentur TASS.
Finnlands Präsident Sauli Niinistö und Ministerpräsidentin
Sanna Marin haben am Donnerstag (12. Mai) offiziell die Idee eines
NATO-Beitritts ihres Landes befürwortet.
Bis vor kurzem sah die finnische Führung die
NATO-Mitgliedschaft als eine unnötige Provokation Russlands an, doch seit dem
Ausbruch des Krieges in der Ukraine hat auch in der Bevölkerung die
Unterstützung für die Mitgliedschaft zugenommen.
Unmittelbar vor der Ankündigung unterzeichneten Helsinki und
Stockholm Abkommen, die gegenseitige Sicherheitsgarantien mit dem Vereinigten
Königreich zusichern.
Bundeskanzler Olaf Scholz versprach am Donnerstag die „volle
Unterstützung“ Deutschlands für den finnischen Antrag auf NATO-Beitritt,
während der französische Präsident Emmanuel Macron sagte, ein solcher Schritt
solle „ohne Verzögerung“ erfolgen.
In Brüssel nahm die Europäische Kommission eine neutralere
Haltung ein und erklärte, es sei das souveräne Recht Finnlands, sich um eine
NATO-Mitgliedschaft zu bewerben.
Das russische Außenministerium erklärte seinerseits, es
werde „ernsthafte militärische und politische Konsequenzen“ geben. EA 13
Der Präsident des Zentralrats der Juden in Deutschland, Dr.
Josef Schuster, ist in dieser Woche mit der Staatsministerin für Kultur und
Medien, Claudia Roth, im Leo-Baeck-Haus zu einem Gespräch über die Debatte rund
um die documenta fifteen zusammengekommen.
In dem guten und konstruktiven Gespräch brachte Dr. Schuster
das Anliegen des Zentralrats zum Ausdruck, eine ehrliche und differenzierte
Debatte über Antisemitismus und Feindlichkeiten gegen Israel zu führen. Eine
solche differenzierte und ausgewogene Debatte wäre aus Sicht des Zentralrates
mit der von der documenta geplanten Gesprächsreihe nicht gegeben gewesen. Zudem
sei der Zentralrat von der documenta in Bezug auf die Gestaltung dieser
Gesprächsreihe nicht eingebunden gewesen.
Kulturstaatsministerin Claudia Roth machte deutlich, dass
sie die von Herrn Dr. Schuster angesprochene Kritik, seine Sorgen und Anliegen
in Bezug auf die documenta sehr ernst nimmt.
Der Präsident des Zentralrates der Juden Dr. Josef Schuster
und Kulturstaatsministerin Claudia Roth erklären gemeinsam nach dem Treffen:
„Wir sind gemeinsam der Überzeugung, dass die documenta
wichtig ist für Deutschland und für die Kunst weltweit. Sie erhält hohe
Aufmerksamkeit und hat große Ausstrahlung als eine der weltweit bedeutendsten
Ausstellungen. Deutschland hat eine besondere Verantwortung im Kampf gegen den
Antisemitismus. Von daher ist auch eine besondere Sensibilität gefragt, wo es
um Diskurse auf der und rund um die documenta geht.
Wir sind uns einig, dass Antisemitismus in seinen
unterschiedlichsten Formen keinen Platz in Deutschland und weltweit haben darf,
auch nicht auf der documenta.
Zugleich müssen wir feststellen, dass der bisherige Versuch
einer konstruktiven öffentlichen Debatte gescheitert ist.
Wir sehen uns gemeinsam in der Verantwortung, durch
vertrauliche Gespräche mit Expertinnen und Experten sowie mit den
Verantwortlichen der documenta hierfür wieder die Grundlage zu schaffen.
Der klare Einsatz gegen Antisemitismus in seinen
unterschiedlichen Formen und der Schutz der Kunstfreiheit, aber auch die Frage
ihrer Grenzen müssen gemeinsam und unter Bezug sowohl auf Deutschland als auch
die
internationale Dimension erörtert werden. Dazu gehören auch
das Gespräch und die Debatte über postkolonialistische Diskurse und das bei
manchen dahinter stehende Bild von Israel und antisemitische Tendenzen.
Darüber hinaus haben wir uns auch über Tendenzen von
Boykotten gegen israelische Künstlerinnen und Künstler sowie Kulturschaffende
in Deutschland ausgetauscht, die uns gemeinsam mit Sorge erfüllen. Wir haben
eine enge
Zusammenarbeit vereinbart, um dem gemeinsam
entgegenzutreten.“
Link zur Meldung im Webangebot: https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/gespraech-des-zentralrats-der-juden-mit-staatsministerin-roth-ueber-den-gemeinsamen-kampf-gegen-antisemitismus-sowie-die-documenta-fifteen-2039338.
pib 13
Diskriminierung von Sprache. Eine internationale Betrachtung der Welt des Linguizismus
Linguizismus ist strukturell und institutionalisiert.
Zweitgenanntes lässt sich durch Zuhilfenahme eines Instruments verdeutlichen.
Von Clemens Becker
Diskriminierungen treten unterschiedlich auf. Wenn eine
Person den Akzent einer anderen – im Beisein dieser – garstig imitiert, handelt
es sich um eine individuelle Diskriminierung. Der sprachliche Hintergrund ist
dabei Gegenstand dieser Diskriminierung, die auch Linguizismus genannt wird und
eine moderne, ausgeklügelte Form des Rassismus ist. Einer der
Begriffsurheberinnen ist die Linguistin Skutnabb-Kangas. Wie alle Diskriminierungen
hat auch diese unterschiedliche Gesichter – und oft gar keines. Der
unpersönliche Linguizismus kann von institutioneller Seite und auf
struktureller Basis geschehen. Das sind alles keine Neuigkeiten – nur wurden
sie bisher selten als Linguizismus deklariert. Betrachten wir also verschiedene
Fälle strukturellen solcher Diskriminierungen der Vergangenheit und der
Gegenwart.
Die erwähnte Skutnabb-Kangas stufte im Jahr 1995
verschiedene linguizistische Diskriminierungen und sprachliche Förderungen aus
verschiedenen Ländern in einem zweidimensionalen Diagramm ein. Es ist ein
Werkzeug, um institutionellen Linguizismus anschaulich einzuordnen. Und das
soll auch hier wieder geschehen. Das Spektrum zum Umgang mit Sprachen reicht
dabei auf der Horizontalen vom Verbot bis zur Förderung der Sprache, und auf
der Vertikalen wird zwischen expliziter und impliziter Diskriminierung
unterschieden. Das Kontinuum beginnt mit dem Verbot einer Sprache. Dessen Ziel
darin besteht, die sprachliche Minderheit zur Assimilierung an die dominante
Sprache zu zwingen. Es geht weiter über die Duldung, d. h. eine Situation, in
der die Sprache nicht verboten ist, aber eben auch nicht ihre Diskriminierung.
Anschließend folgt das Gebot der Nichtdiskriminierung, was die Diskriminierung
von Menschen aufgrund der Sprache untersagt. Der nächste Punkt auf dem
Kontinuum ist die Autorisierung zur Verwendung der Minderheitensprache.
Schließlich folgt die Förderung, die Ausrichtung den Erhalt der Sprache.
Einer der bekanntesten, da schwerwiegendsten Fälle war die
systematische Unterdrückung des Kurdischen in der Türkei. Es fiel in die
Kategorie des expliziten Verbots, denn genau das war es umfassend und
landesweit. Nicht nur die Sprache, sondern gleich alles Kurdische war offiziell
nicht existent, kurdischen Menschen war es nicht erlaubt, sich mit ihrer
Erstsprache zu identifizieren. Auch wenn der institutionelle, hier vom Staat
verordnete Linguizismus nach und nach zurückgefahren wurde, so besteht dennoch
ein implizites Verbot des Kurdischen beispielsweise an staatlichen Schulen
fort.
Linguizistische Diskriminierungen und sprachliche
Förderungen in einem zweidimensionalen Diagramm
Denn in der türkischen Verfassung heißt es noch immer: Den
türkischen Staatsbürgern darf in den Erziehungs- und Lehranstalten als
Muttersprache keine andere Sprache beigebracht und gelehrt werden als Türkisch.
Das Kurdische ist hier somit Tabu, auch wenn es nicht
konkret erwähnt wird. Hinzu kommt ein weiterer struktureller Linguizismus, denn
das Kurdische hat in der Türkei noch immer einen äußerst schweren Stand. Der
Zustand des Kurdischen in der Türkei ist insofern ein linguizistischer Fall der
Vergangenheit, der Gegenwart, und da keine Aussicht auf Lockerungen bestehen,
wohl auch in der Zukunft.
Russisch in der Ukraine
Wenden wir unseren Blick weiter Richtung Westen in die
Ukraine, wo ein heftiger Angriffskrieg tobt. Das macht eine
Auseinandersetzung mit Diskriminierung nicht obsolet, denn sie muss
angesprochen werden. Sonst legitimiert man implizit die Diskriminierung und
sorgt so für ihr Forstbestehen, bis sie irgendwann salonfähig wird. In der
Ukraine wurde die Sprache spätestens mit der Verabschiedung eines Gesetzes im
April 2019 zu einem Politikum. Und es spiegelt einen Teil des Kampfes der
Ukraine und Russland wider, in dem es um Einflusssphären durch die Sprache geht
und was damit getan werden kann. Nach einer Übergangsphase gilt das Gesetz seit
Januar 2022. Jahrzehnte zuvor wurde in der Sowjetunion das Ukrainische
unterdrückt. Nun, lange nach ihrem Zusammenbruch wendete sich das Blatt und die
ukrainische Regierung wurde Täterin, indem sie – als diskriminierende
Institution – das Russische landesweit einschränkte. Ein linguizistischer Kampf
auf beiden Seiten. Einerseits gewährleistet Artikel 10 der ukrainischen Verfassung
die „freie Entfaltung und Schutz“ und nimmt dabei klaren Bezug auf das
Russische. Dieser Artikel lässt sich also in dem Diagramm als explizite
Autorisierung einordnen. Das Russische ist in der Ukraine zudem noch immer eine
weit verbreitete Sprache in der Popkultur und in der informellen und
geschäftlichen Kommunikation. Nun kommt allerdings das erwähnte Gesetz hinzu.
Und das hat es in sich. In Artikel 1, den Allgemeinen Grundlagen, heißt es:
Der Status der ukrainischen Sprache als einzige Amtssprache
bedingt ihre obligatorische Verwendung in der gesamten Ukraine bei der Ausübung
der Befugnisse der Regierungsbehörden und der lokalen Selbstverwaltungsorgane
sowie in anderen gemeinsamen Bereichen des öffentlichen Lebens, die in diesem
Gesetz festgelegt sind.
Das Ukrainische ist also de jure alleinige Amtssprache, aber
de facto nicht überall. Denn in Artikel 21 des Gesetzes von 2019 steht:
In Bildungseinrichtungen können je nach Lehrplan ein oder mehrere
Fächer in zwei oder mehr Sprachen unterrichtet werden – in der Amtssprache [das
Ukrainische], in Englisch oder in anderen Amtssprachen der Europäischen Union.
Ein Unterricht auf Englisch oder anderen Amtssprachen der
Europäischen Union ist demzufolge möglich. Latent bemerkbar und aufgrund der
vielen Russischsprechenden dennoch auffällig ist, dass dem Russischen solche
Rechte nicht eingeräumt wurden. Auch andere Bereiche des Lebens sind betroffen,
darunter die Presse. Medien dürfen zwar noch auf Russisch publizieren, aber
eine ukrainische Version ist Pflicht, was die herausgebenden Institute
finanziell belastet.
So schlimm dieser Linguizismus ist, er gerät durch das
humanitäre Drama in der Ukraine in den Hintergrund. Und doch scheint es die
gesellschaftliche Stellung der Russischen international nicht unberührt zu
lassen. Allen voran der Angriffskrieg des russischen Regimes, aber auch das
Sprachgesetz nehmen Einfluss auf Russischsprachige in Deutschland. Ein
struktureller Linguizismus ist die Folge. Der Bayrische Rundfunk berichtet
beispielsweise von Online-Hasskommentaren gegenüber einer russischsprachigen,
in Lettland geborener Jugendlichen. Und in Berlin wurden zwei Russisch
sprechende junge Männer beleidigt und körperlich angegriffen.
Die ukrainischen Lehrkräfte und die Unterrichteten setzen
derzeit den Schulunterricht mitunter online tapfer fort und verschwenden dabei
wohl keinen leisen Gedanken an die linguizistischen Umstände im Schulwesen. Das
soll ihnen nicht aufgebürdet werden. Lösungsansätze können selbstverständlich
dennoch benannt werden. Eine langfristige Möglichkeit für das Verhältnis vom
Russischen und dem Ukrainischen ist um die Ecke gedacht: das Interslawische.
Dabei handelt es sich um eine Plansprache, die auf mehreren slawischen Sprachen
basiert und leicht von Menschen, die solch eine slawische Sprache sprechen,
erlernt werden kann. Um sich auf diesem linguistischen Weg der Mitte zu
treffen, braucht es gegenseitige Akzeptanz. Letztendlich muss man sich doch
sagen: Es ist doch egal, auf welcher Sprache wir uns verstehen.
Ceutanisch-Arabisch in der spanischen Stadt Ceuta
Translanguaging? Ein pädagogisches Lernkonzept. Eine Aufgabe
wird auf einer Sprache gestellt und in einer anderen bearbeitet. So ergibt sich
durch die andere Sprache ein anderer Blickwinkel auf die Aufgabe, was sie
verständlicher machen kann.
Ein anderer Fall, der zwischen institutionellem und
individuellem Linguizismus schwankt, ist der Umgang mit dem
Ceutanisch-Arabischen in der spanischen Stadt Ceuta auf dem afrikanischen
Kontinent. Zumindest an einer Schule der Stadt ist die Sprache verboten.
Einzige Sprache im Unterricht ist hier Spanisch, auch wenn die Erstsprache der
Kinder und Jugendlichen Ceutanisch-Arabisch ist. Dabei könnte gerade hier die
Zweisprachigkeit dienlich beim Lernprozess in gleich welchem Fach sein. Das
Zauberwort heißt Translanguaging. Über den Grund, den Beschulten die Nutzung
ihrer Erstsprache zu verwehren, kann nur spekuliert werden. Es mag sein, dass
eine Unsicherheit, nicht mehr die Kontrolle über den Unterricht zu haben, hier
eine Rolle spielt. Denn die betreffenden Lehrerinnen sprechen nur Spanisch.
Die Situation in Deutschland
Und sonst heute, in Deutschland? In Deutschland sind
Friesisch, Sorbisch und Dänisch Minderheitensprachen, die anerkannt sind und
nicht unterdrückt werden. Das Türkische und das Russische sind es nicht –
womöglich auch (noch) nicht aufgrund ihrer kurzen historischen Präsenz in
Deutschland. Untersuchungen zufolge wird ein russischer und türkischer Akzent
deutlich schlechter bewertet als beispielsweise ein französischer. Hierbei
handelt es sich nun um einen strukturellen Linguizismus, denn er geht nicht von
einer Institution wie dem Staat aus.
Gerade dieser strukturelle Linguizismus ist viel schwerer
greifbar und kann nicht einfach abgeschafft werden, wie die zuvor benannten
linguizistischen Gesetze abgeschafft werden könnten. Das ist bei den eher
geräuschlosen Missbilligungen von nichtdeutschen Akzenten grundsätzlich nicht
anders als bei den jüngsten Anfeindungen gegenüber dem Russischen in
Deutschland. Betrachtet man diese Anfeindungen, scheint es aber außerdem
plausibel, dass struktureller Linguizismus aus seinem institutionellen Pendant
erwächst.
Doch darf man eines nicht vergessen: Das Diagramm bietet
auch die Möglichkeit, positive Fälle aufzuzeigen. Auf diese Weise können auch
Lösungsansätze benannt werden. Toll ist beispielsweise, dass das Türkische
immer mehr Einzug in den deutschen Schulunterricht hält, und zwar nicht mehr
nur im Rahmen des Sprachenunterrichts, sondern auch als Unterrichtssprache. So
wird die sprachliche Lebenswelt vieler mit Türkisch Aufwachsenden
widergespiegelt. Und es fördert die gesellschaftliche Stellung des Türkischen –
eine Methode, dem strukturellen Linguizismus zu begegnen. MiG 12
Wachsende Ressentiments gegen ukrainische Flüchtlinge in Mittel- und Osteuropa
Die Hilfsbereitschaft der Bürger:innen Mittel- und Osteuropas
gegenüber ukrainischen Flüchtlingen lässt langsam nach, vor allem in eher
pro-russischen Ländern wie der Slowakei und Bulgarien, wo Unmut über
„Privilegien“ für Flüchtlinge laut wird. Von: Michal Hudec
Nach Angaben des UN-Flüchtlingshilfswerks (UNHCR) sind seit
Beginn des Krieges fast sechs Millionen Menschen aus der Ukraine geflohen.
Polen und Rumänien haben die meisten von ihnen aufgenommen (3,2 Millionen
beziehungsweise 889.000), etwa 772.00 sind nach Russland und 577.000 nach
Ungarn gekommen.
Polen und Rumänien haben die meisten Flüchtlinge aufgenommen
(3,2 Millionen beziehungsweise 889.000).
Während die Regierungen zum großen Teil eine
Willkommensrhetorik an den Tag legen und humanitäre Hilfe leisten, gab es in
Mittel- und Osteuropa Straßenproteste gegen ukrainische Flüchtlinge, wenngleich
in den meisten Ländern weiterhin eine grundsätzlich positive Einstellung ihnen
gegenüber vorherrscht.
Besonders offen zeigt sich Bulgarien, wo 38 Prozent der
Bürgerinnen und Bürger eine positive Einstellung zu Flüchtlingen haben, während
18 Prozent eine negative Haltung einnehmen, wie jüngste Umfragen zeigen.
„Es ist ein allgemeines Phänomen, dass die bedingungslose
Solidarität mit Kriegsflüchtlingen in den benachbarten Aufnahmeländern mit der
Zeit nachlässt. Sozioökonomische Spannungen können spontane Reaktionen in der
Bevölkerung auslösen, auch gewalttätige“, sagte Zsolt Zádori, Pressesprecher
der Menschenrechtsorganisation Hungarian Helsinki Committee (HHC), gegenüber
EURACTIV.
Der Unmut wachse, während die Hilfsbereitschaft abnehme,
sagte auch der slowakische Aktivist Branislav Tichý, der mehrere Wochen an der
slowakisch-ukrainischen Grenze verbrachte.
„Die ersten Proteste und die öffentliche Ablehnung der Hilfe
für Flüchtlinge aus der Ukraine sind in der ganzen Slowakei zu spüren. Das ‚Was
ist mit uns und unseren slowakischen Kindern?‘- Narrativ beginnt an Dynamik zu
gewinnen“, schrieb er in einem Facebook-Post.
Zu großzügige Leistungen?
Ein umstrittenes Thema in den mittel- und osteuropäischen
Ländern sind die Leistungen, die die Geflüchteten erhalten. Das Narrativ, dass
sich Regierungen mehr um die Flüchtlinge kümmern würden als um ihre
Bürger:innen, ist in allen Ländern präsent und wird durch rechtsextreme
Parteien angefeuert.
In der Slowakei beschweren sich Menschen über kostenlose
öffentliche Verkehrsmittel und Essensgutscheine, die die Regierung ukrainischen
Flüchtlingen gewährt hat.
In Bulgarien verbreitet die nationalistische, pro-russische Varazhdane-Partei,
die von etwa 10 Prozent der Wähler:innen unterstützt wird, alle möglichen
Falschnachrichten über ukrainische Flüchtlinge. Diese beruhen auf dem Vorwurf,
dass der Staat und die EU sich nicht um die vielen in Armut lebenden
Bulgar:innen kümmerten, sondern sich nur auf die Ukrainer:innen konzentrierten.
Auch die tschechische rechtsextreme Partei Freiheit und
direkte Demokratie kritisierte die derzeitige Regierung für die Unterstützung
der ukrainischen Flüchtlinge. Auf der Parlamentssitzung am Dienstag (10. Mai)
sagte der Parteivorsitzende Tomio Okamura, dass die Qualität der Bildung für
tschechische Kinder nach der Ankunft der ukrainischen Schüler:innen sinken und
es nicht genügend Kindergartenplätze geben werde.
Selbst im traditionell russlandfeindlichen Polen behauptet
die nationalistische Konfederacja, ukrainische Flüchtlinge genössen derzeit zu
viele Privilegien in Polen, obwohl die Unterstützung für Flüchtlinge laut der
jüngsten Umfrage immer noch von mehr als 90 Prozent der Pol:innen unterstützt
wird.
Regierungen müssen Lösungen anbieten
Die flüchtlingsfeindliche Rhetorik und die zunehmenden
Ressentiments haben bereits zu mehreren Zwischenfällen geführt. In Bulgarien
fand eine ukrainische Frau, die mit ihrem kleinen Kind ins Land kam, ihr Auto
mit einer Spitzhacke in der Motorhaube wieder. In der Slowakei wurde das Auto
einer ukrainischen Familie mit dem russischen Z-Symbol besprüht. In Ungarn
wurde ein Ziegelstein auf eine Flüchtlingsunterkunft geworfen.
Die gewalttätigen Zwischenfälle hielten sich jedoch in
Grenzen. Vielmehr nimmt der wachsende Unmut in den meisten Fällen andere Formen
an. In der Slowakei weigerten sich einige Busfahrer:innen, Flüchtlinge
kostenlos einsteigen zu lassen, obwohl sie von der Regierung dazu verpflichtet
wurden.
Sowohl Zádori als auch Tichý verweisen auf die Verantwortung
der Politik bei der Verhinderung und Aufdeckung solcher Straftaten. „Die
Regierung hat Einfluss darauf, wie sich die Situation entwickelt. Je mehr der
Staat in der Lage ist, den Ukrainer:innen bei der Integration zu helfen, desto
weniger Raum gibt es für Konflikt und Hass“, sagte Tichý.
„Aber wegen eines frittierten Blumenkohls und 69 Euro
Härtefallregelung neidisch auf Flüchtlinge zu sein, ist einfach eine Schande“,
fügte er hinzu.
EU-Migrationspakt
Kurz nachdem Russland in die Ukraine einmarschiert war,
berichtete EURACTIV vor Ort über die Situation auf der Insel Lesbos, wo 2015
eine große Zahl von Menschen eintraf.
Die lokalen Gemeinden hießen 2015 auch Flüchtlinge aus dem
Osten willkommen, doch angesichts eines fehlenden gemeinsamen EU-Ansatzes zur
Migration schlug das Willkommensgefühl schnell in Ablehnung um.
Der linke Europaabgeordnete Stelios Kouloglou erklärte
damals gegenüber EURACTIV, dass es ohne eine gemeinsame EU-weite Migrationspolitik
nur eine Frage der Zeit sei, bis auch die „weißen“ Flüchtlinge aus der Ukraine
langfristig in eine ähnliche Situation geraten würden.
Die Gespräche über eine gemeinsame Migrationspolitik, die
von der Europäischen Kommission für das Jahr 2020 vorangetrieben wurde, sind
jedoch ins Stocken geraten.
Der Vizepräsident der Kommission, Margaritis Schinas, sagte
auf einer EURACTIV-Veranstaltung im September 2021, dass der neue Vorschlag
voraussichtlich direkt nach den französischen Präsidentschaftswahlen fertiggestellt
werde. EA 12
Oft werde Deutschland aus gutem Grund nicht gemocht, so
George Pagoulatos aus Athen. Die Kritik an der deutschen Russlandpolitik sei
jedoch verfehlt. George Pagoulatos
Wladimir Putins brutaler Einmarsch in der Ukraine hat im
Westen zu neuer Selbstreflexion geführt. Eine Reihe von Kommentatorinnen und
Kommentatoren, die meisten aus den USA oder Großbritannien, haben ihren
neuesten Sündenbock gefunden: Deutschland sei schuld mit seiner
jahrzehntelangen Appeasement-Politik gegenüber Russland. Im Ernst?
Deutschland wird sehr gerne nicht gemocht – oftmals aus
gutem Grund. Die vier von Angela Merkel geführten Regierungen gaben sich bei
der Bewältigung der Eurozonen-Krise knallhart und zwangen dem Süden Europas
verheerende Austeritätsmaßnahmen auf. Ebenso hatten Deutschlands eigene und
engstirnige wirtschaftliche Interessen Priorität beim Umgang mit illiberalen
Regimen, beispielsweise einer aggressiven Türkei. Gegenüber Russland verfolgte
Berlin eine ähnliche Politik und knüpfte ein enges Netz aus
Wirtschaftsbeziehungen. Seit der Zäsur vom 24. Februar ist jedoch klar, dass
diese Art der Politik nicht mehr zeitgemäß ist. Die Kritik an Deutschland
steigert sich jedoch allmählich ins Extreme: „Putins nützliche Idioten“, so das
Urteil eines jüngst bei Politico Europe erschienenen Artikels über das deutsche
Führungspersonal. Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier wurde ein Besuch in
Kiew untersagt und er zur persona non grata erklärt. Hier wird über das Ziel
hinausgeschossen.
Bei dieser extremen Kritik geht es nicht nur um Deutschland
und darum, wie man mit brutalen Führern wie Putin umgehen sollte. Es geht auch
um die Rolle Europas im internationalen System. Die Kritik geht zu weit – aus
mindestens vier Gründen:
Erstens: Geschichte. In Deutschland wurden die Verbrechen
des Nationalsozialismus anerkannt und das Land nach 1945 auf neuen Fundamenten
wiederaufgebaut. Kein anderer Staat hat historische Schuld so sehr zu einem
integralen Bestandteil seines nationalen Selbstverständnisses gemacht. Es kam
zur Ausarbeitung einer pazifistischen Verfassung, zur Verdrängung des deutschen
Nationalismus an den gesellschaftlichen Rand und zu mehr als sieben Jahrzehnten
Engagement für die europäische Integration. Wenn Deutsche den Bau der Nord
Stream-Pipeline rechtfertigen und dabei an die Zerstörungen erinnern, die
Hitlerdeutschland im heutigen Russland angerichtet hat, oder wenn gesagt wird,
man wolle nicht, dass deutsche Panzer in die Ukraine rollen und russische
Soldaten töten, dann hat das einen tieferen historischen Hintergrund. Man
könnte derartige Haltungen als überholt abtun, aber diese Hintergründe sind
nicht bedeutungslos – und sie sind auch kein vorgeschobenes Argument.
Zweitens: Ostpolitik. Die heutigen deutschen Sozialdemokraten
stehen in der Tradition von Willy Brandts Politik der Zusammenarbeit, des
Dialogs und der Entspannung gegenüber der Sowjetunion und dem Ostblock ab den
1960er Jahren. Diese Politik, an der seither jede Bundesregierung festgehalten
hat, trug zum Fall der Berliner Mauer 1989 und zur friedlichen
Wiedervereinigung der beiden deutschen Staaten bei. Als Mitglied der NATO hatte
Deutschland zwar stets eine aktive Rolle bei der Einhegung des sowjetischen
Blocks gespielt; aber es ergänzte diese Rolle mit einer weitsichtigen Politik
der Öffnung gegenüber der Sowjetunion. Letztendlich war es eine kluge Politik,
die sich als die richtige erwiesen hat.
Drittens: Realpolitik. Es besteht kein Zweifel daran, dass
die tiefgehenden Handelsbeziehungen und Deals mit Putins Russland für
Deutschland von wirtschaftlichem Nutzen waren. Es ist allerdings auch wenig
überraschend, dass ein Staat entsprechend seiner wirtschaftlichen Interessen
handelt. Und in der Tat führt der Merkantilismus einer exportorientierten
deutschen Wirtschaft – deren Rückgrat der Außenhandel ist – dazu,
dass in der deutschen Außenpolitik häufig Beziehungen zu autoritären Regimen
aufgebaut werden.
Mit Nord Stream 2 hätte sich Deutschland komplett abhängig
von russischem Gas gemacht. Allerdings hat die Regierung von Olaf Scholz die
Pipeline unmittelbar nach dem russischen Einmarsch in die Ukraine gestoppt.
Ebenso wurden alle schweren Sanktionen gegen Moskau mitgetragen und der daraus
resultierende wirtschaftliche Schaden für Deutschland in Kauf genommen. Der Knackpunkt
ist folgender: Wenn Europas Hauptwaffe gegen Putins Aggression derartige
Wirtschaftssanktionen sind, dann ist es doch gerade die Intensität der
Handelsbeziehungen mit Russland, die die Sanktionen zu einem wirksamen Hebel
macht. Dank der bisher engen Beziehungen kann echter Druck ausgeübt werden.
Ohne die vorherigen Geschäfte hätte Putin nichts zu verlieren und Sanktionen
wären völlig sinnlos. Die wirtschaftliche Verflechtung gibt Europa die Macht,
durch härtere Sanktionen eine abschreckende Wirkung zu erzielen – auch wenn es
einen guten Teil der Kosten und Schäden freilich selbst tragen muss.
Wenn man langfristig mit einem militaristischen, autoritären,
atombewaffneten Konkurrenten verhandeln will, kann es kein reines Schwarz-Weiß
geben. Es bedarf einer sich ständig weiterentwickelnden Mischung aus Anreizen
und Sanktionen, um gewünschtes, positives Verhalten zu fördern, von negativen
Handlungen abzuschrecken und unmittelbar auf Aggressionen reagieren zu können.
Es braucht ein ganzes Paket von Instrumenten, das sowohl Engagement und
Zusammenarbeit als auch Abgrenzung und Einschränkung umfasst, und das
entsprechend der jeweiligen Lage angewandt werden kann. Die deutsche
Handlungslogik im Umgang mit Russland trägt dazu bei, eine ausgewogene
europäische Außenpolitik aufrechtzuerhalten. Wäre dies nicht der Fall, würden
atavistische Kalter-Krieg-Ansichten überwiegen.
Viertens: Europa. Der Frieden in Nachkriegseuropa beruht vor
allem auf der pragmatischen Zurückhaltung der Staatsführungen, der Eindämmung
des Nationalismus und dem Aufbau einer für alle Seiten vorteilhaften
Zusammenarbeit. Die EU verdankt ihren historischen Erfolg dem Bau von Brücken, nicht
dem von Mauern. Um es mit Keynes zu formulieren: Wenn sich die Dinge aber
ändern, ändert Europa (und Deutschland) natürlich auch seine Meinung. Die EU
kann und darf ihre Doktrin der soft power nicht aufgeben. Vielmehr muss sie
diese durch eine hard power und defensive Abschreckung ergänzen. Doch gerade
diejenigen europäischen Staats- und Regierungschefs, die versucht haben,
Russland als Partner zu gewinnen, nun für Putins Krieg verantwortlich zu
machen, ist schlimmer als Revisionismus. Es ist schlichtweg eine Verzerrung
jeglicher Logik. IPG 11
UNO-Chef Guterres würdigt Caritas
UNO-Generalsekretär Antonio Guterres hat der katholischen
Hilfsorganisation Caritas für ihren Einsatz für Frieden, Gerechtigkeit und zur
Bekämpfung von Armut und Ungleichheit in der Welt gedankt.
„Ihre Arbeit ist wichtiger denn je“, betonte Guterres in
einer Video-Grußbotschaft an die noch bis Donnerstag in der griechischen
Hauptstadt Athen tagende Regionalkonferenz von Caritas Europa. Der europäische
Caritasverband veröffentlichte die Botschaft von Guterres via Twitter.
Der Krieg in der Ukraine verursache massive Verwüstungen,
Tod und Leid und sende mit einem dramatischen Anstieg der Lebensmittel- und
Energiepreise Schockwellen um die Welt, sagte der UNO-Chef. Die Covid-19-Pandemie
habe tiefe Ungleichheiten offenbart und verschärft. Zudem bedrohe die
Dreifach-Krise aus Klimastörung, Umweltverschmutzung und dem katastrophalen
Verlust an Biodiversität überall Menschen und ihre Lebensgrundlagen.
Papst Franziskus habe diese Herausforderungen in seiner
„bahnbrechenden“ Enzyklika Laudato si‘ klar erkannt, so Guterres. „Lassen Sie
uns mutig handeln, um unser gemeinsames Haus zu schützen. Ich zähle auf Sie“,
wandte sich der UNO-Chef an die Caritas-Spitzen der europäischen Staaten.
Ukrainehilfe ist Hauptthema
Zu den zentralen Themen der dreitägigen Caritas-Konferenz in
Athen zählt die humanitäre Hilfe für die Opfer des Krieges in der Ukraine. Auch
die Leiter der beiden Caritas-Verbände in der Ukraine, Tetiana Stawnychy von
der griechisch-katholischen Caritas Ukraine und Vyacheslav Grynevych von der
römisch-katholischen Caritas-Spes, nehmen an den Beratungen teil.
Mit 49 Mitgliedsorganisationen in 46 Ländern ist Caritas
Europa eines der größten Hilfsnetzwerke weltweit und repräsentiert eine von
insgesamt sieben Regionen des Caritas-Weltverbands „Caritas Internationalis“.
In Athen findet auch die turnusmäßige Neuwahl des Präsidiums statt. Präsident
von Caritas Europa ist seit 2020 der österreichische Caritas-Präsident Michael
Landau (61).
(kap 11)
LEAK: EU-Kommission will höhere EU-Ziele bei den Erneuerbaren
Die EU-Kommission will das Ziel für erneuerbare Energien für
2030 erhöhen – unter anderem durch schnellere Genehmigungsregeln und eine
mögliche Pflicht zur Installation von Solaranlagen auf allen Neubauten zu
installieren, wie aus Vorschlägen hervorgeht, die EURACTIV vorliegen. Von: Kira
Taylor
Die Vorschläge werden voraussichtlich am 18. Mai als Teil
der EU-Pläne zur Verringerung der Abhängigkeit von russischer Energie
veröffentlicht.
Eine Beschleunigung der Energiewende wird die Emissionen und
die Abhängigkeit Europas von Energieimporten verringern und den EU-Bürger:innen
und -Unternehmen erschwingliche Energiepreise bieten, heißt es in dem Entwurf,
der EURACTIV vorliegt.
Angesichts der dringenden Notwendigkeit, den Einsatz von
erneuerbaren Energien zu beschleunigen, solle das EU-Ziel für erneuerbare
Energien erhöht werden, heißt es weiter. Allerdings steht das neue Ziel noch
nicht fest. Der neue Prozentsatz wird in dem Vorschlag, der die EU-Richtlinie
über erneuerbare Energien ändern würde, als „XX“ in eckigen Klammern angegeben.
Die Europäische Kommission hatte bereits im vergangenen Jahr
vorgeschlagen, das EU-Ziel für erneuerbare Energien bis 2030 von derzeit 32
Prozent auf 40 Prozent zu erhöhen. Der Vorschlag war Teil eines im Juli
vorgelegten Pakets von Klimagesetzen, das darauf abzielt, die
Treibhausgasemissionen der EU bis zum Ende des Jahrzehnts um mindestens 55
Prozent zu senken.
Angesichts des Krieges in der Ukraine überlegt die Kommission
jedoch, wie sie diese Pläne beschleunigen kann. Im März forderte sie das
Europäische Parlament und die EU-Länder auf, „höhere oder frühere Ziele für
erneuerbare Energien und Energieeffizienz“ in Betracht zu ziehen, wenn sie das
Juli-Paket mit dem Titel „Fit für 55“ diskutieren.
Im Europäischen Parlament gibt es bereits große Zustimmung
für die Erhöhung des Anteils erneuerbarer Energien auf 45 Prozent bis 2030.
Auch bei einigen EU-Regierungen gibt es Bestrebungen, ein höheres Ziel für
erneuerbare Energien zu fördern, obwohl unklar ist, ob es dafür bereits eine
Mehrheit gibt.
Die Europäische Kommission äußert sich nicht zu den Leaks.
Als Reaktion auf den Einmarsch Russlands wird das
Europäische Parlament nun darauf drängen, dieses Ziel auf 45 Prozent zu
erhöhen.
Solarstrategie
Im Rahmen der Bemühungen, Europas Abhängigkeit von
russischen fossilen Brennstoffen zu verringern, wird die EU voraussichtlich am
18. Mai mehrere Vorschläge vorlegen, darunter einen neuen Leitfaden für
Genehmigungen und eine Strategie für Solarenergie, heißt es aus der Industrie.
Laut einer durchgesickerten Strategie, die EURACTIV
zugespielt wurde, hat die Solarenergie ein erhebliches Potenzial, schnell zu
einem Hauptbestandteil der Strom- und Heizsysteme in Europa zu werden, was der
EU helfen würde, ihre Klimaziele zu erreichen und ihre Abhängigkeit von
Russland zu verringern.
Der Strategieentwurf enthält einen Vier-Punkte-Fahrplan zur
Förderung der Solarenergie für europäische Bürger:innen und die Industrie, der
auf der im März veröffentlichten Empfehlung REPowerEU der Kommission aufbaut.
Ein Teil dieser Strategie ist die Europäische
Solardach-Initiative, die im Falle ihrer Umsetzung bereits im ersten Jahr 17
TWh Strom erzeugen würde – 17 Prozent mehr als die derzeitigen EU-Prognosen –
und bis 2025 42 TWh zusätzlichen Strom erzeugen würde, wie aus dem Leak
hervorgeht, obwohl keine endgültigen Zahlen vorliegen.
In diesem Zusammenhang schlägt die Strategie vor, den
Einsatz von Solarenergie mit Dachsanierungen zu kombinieren, bis 2025 alle
dafür geeigneten öffentlichen Gebäude mit Solarenergie auszustatten und bis
2025 in jedem Bezirk mit 10.000 oder mehr Einwohnern mindestens eine Gemeinde
mit erneuerbaren Energien zu haben.
Darüber hinaus erwägt die EU-Kommission, die Installation
von Solaranlagen auf Dächern für alle neuen Gebäude verbindlich vorzuschreiben,
obwohl dies derzeit noch diskutiert wird. Zudem beabsichtigt sie, die
Genehmigungsverfahren für Solaranlagen auf Dächern bestehender Gebäude auf drei
Monate zu begrenzen.
Die Strategie schlägt auch eine
EU-Qualifikationspartnerschaft für erneuerbare Energien an Land vor, um
sicherzustellen, dass es genügend ausgebildete Arbeitskräfte für die Einführung
erneuerbarer Energien gibt. Außerdem soll eine Europäische Allianz der
Solarindustrie ins Leben gerufen werden, um eine innovationsorientierte,
widerstandsfähige solare Wertschöpfungskette in Europa aufzubauen.
Laut Walburga Hemetsberger, der Geschäftsführerin des
Branchenverbands SolarPower Europe, braucht die Branche bis 2030 eine
Gesamtkapazität von 1 Terawatt, einen Fonds für die Solarproduktion und neue
Maßnahmen zur Ausschöpfung des Potenzials von Solardächern.
Bewältigung von Genehmigungsfragen
Genehmigungen sind der Branche der erneuerbaren Energien
schon lange ein Dorn im Auge. Sie sind ein häufiges und vermeidbares Hindernis
für den Einsatz von Solarenergie und erneuerbaren Energien, so Hemetsberger.
„Die Wartezeiten und Verwaltungsverfahren sind unnötig
aufwändig und variieren in der EU – und oft haben die Behörden nicht die
Ressourcen, um effizient auf Genehmigungsanträge zu reagieren“, sagte sie
gegenüber EURACTIV.
Um dieses Problem zu lösen, bereitet die EU die
Veröffentlichung eines neuen Leitfadens für Genehmigungen in den EU-Ländern
sowie eines Gesetzesvorschlags vor, der Projektträgern und Investoren mehr
Sicherheit geben soll.
Wie in Deutschland werden die EU-Länder sicherstellen
müssen, dass Genehmigungsverfahren als übergeordnetes öffentliches Interesse
betrachtet werden. Dies gilt für die Planung, den Bau und den Betrieb von
Anlagen zur Nutzung erneuerbarer Energien, für Speicher und Netzanschlüsse.
Der durchgesickerte Gesetzesvorschlag, der EURACTIV
vorliegt, fordert strenge Fristen für Genehmigungsverfahren. So soll das
Verfahren für neue Projekte im Bereich der erneuerbaren Energien ein Jahr und
für Repowering-Genehmigungen in diesen Bereichen für Kapazitäten unter 150 kW
nicht länger als sechs Monate dauern.
Außerhalb dieser Bereiche sollten Projektgenehmigungen nicht
länger als zwei Jahre und Repowering-Genehmigungen für Projekte unter 150 kW
nicht länger als ein Jahr dauern.
Der Entwurf sieht außerdem vor, dass die EU-Staaten
innerhalb eines Jahres nach Inkrafttreten des Gesetzes bestimmte Land- und
Seegebiete ausweisen müssen, die für die Installation von Infrastrukturen für
erneuerbare Energien erforderlich sind.
Darüber hinaus müssen die EU-Staaten mindestens eine
Kontaktstelle einrichten oder benennen, die Antragsteller auf Anfrage durch das
Verwaltungsverfahren führen und dieses erleichtern soll.
Dies entspricht den Forderungen der Windindustrie nach
Genehmigungsfristen von 1-2 Jahren, besserer Raumplanung und One-Stop-Shops. Es
entspricht auch der Forderung der Branche, dass eine nicht rechtzeitige Antwort
der Behörden eine positive Antwort darstellt, wenn auch nur in bestimmten
Gebieten. EA 11
DIHK. Unternehmen brauchen Flüchtlinge als Arbeitskräfte
Angesichts des Fachkräftemangels sind Betriebe laut DIHK auf
die Integration von Geflüchteten angewiesen. Das Bundeswirtschaftsministerium
verspricht Erleichterungen beim Aufenthaltsrecht von Geflüchteten.
Betriebe sind nach Angaben des „Netzwerks Unternehmen
integrieren Flüchtlinge“ angesichts des Fachkräftemangels auf die Integration
von Flüchtlingen angewiesen. Der Erfolg bei der Integration sei für deutsche
Unternehmen in Zukunft essenziell, sagte Sofie Geisel von der
Hauptgeschäftsführung des Deutschen Industrie- und Handelskammertags, Gründer
und Träger des Netzwerks, am Dienstag in Frankfurt am Main.
Die Coronakrise habe einen Schock für die Unternehmen und
noch mehr für die frisch integrierten Flüchtlinge bedeutet, sagte Geisel. Viele
Bemühungen seien steckengeblieben, viele Hilfsstrukturen aber in Unternehmen
bewahrt worden. Das Netzwerk gehe davon aus, dass die Integration von
Flüchtlingen in den Arbeitsmarkt im Eigeninteresse der Unternehmen auch in
Zukunft erfolgreich sein werde. Menschen aus der Ukraine hätten den von
Unternehmen gewünschten Bildungsstand. Viele dieser Flüchtlinge seien jüngere
Frauen mit Kindern und daher auf Kinderbetreuung angewiesen. Sie seien
allerdings von Kriegserlebnissen belastet, und viele wollten in ihr Heimatland
zurückkehren.
Ministerium: Wollen Aufenthaltsrecht von Flüchtlingen vereinfachen
Der Staatssekretär des Bundeswirtschaftsministeriums und
Bundesbeauftragte für den Mittelstand, Michael Kellner (Grüne), sicherte dem Netzwerk
von mehr als 3.000 Unternehmen weiter die Unterstützung der Bundesregierung zu.
Die Ampelkoalition wolle in drei Gesetzespaketen das Aufenthaltsrecht von
Flüchtlingen vereinfachen. Die Praxis der Kettenduldung solle beendet und nach
fünf Jahren Aufenthalt ein dauerhaftes Aufenthaltsrecht verliehen werden.
Duldungen sollten großzügiger erteilt und die Einwanderung von Fachkräften
erleichtert werden.
Mehrere Unternehmensvertreter betonten in einer
Gesprächsrunde, dass eine umfassende und intensive Betreuung von Flüchtlingen
durch die Unternehmen erforderlich sei. Dazu gehörten Sprachkurse, Praktika,
die Begleitung des Schulunterrichts oder Unterstützung hinsichtlich des
Aufenthaltsrechts.
(epd/mig 11)
Parolin: Projekt Europa bleibt ein Projekt des Friedens
Der vatikanische Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin hat
anlässlich des Europatages am Dienstag in der Basilika Santa Sofia, der
Nationalkirche der Ukrainer in Rom, eine Messe gefeiert. Die Erinnerung an die
Gründerväter, die „im Leben daran gearbeitet haben, dort aufzubauen, wo andere
nur zerstört hatten“, sei auch heute noch ein Ansporn. Sein besonderes Gebet
galt der Ukraine. Mario Galgano und Salvatore Cernuzio – Vatikanstadt
Ein Europa, das trotz des Schreckens des andauernden
Ukraine-Kriege jenes „Friedensprojekt“ fortführt, das Robert Schumanns
Inspiration und Wunsch war und aus den Trümmern des Zweiten Weltkriegs
entstand. Das ist die Vision, von der Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin
hofft, dass sie in der Zukunft des europäischen Kontinents zum Normalfall
werde. Am Dienstagnachmittag feierte der Kardinal anlässlich des Europatages
eine Messe in der Basilika Santa Sofia in Rom. Unter den byzantinischen
Gewölben der Nationalkirche der Ukrainer in der italienischen Hauptstadt, die seit
Ausbruch des Krieges zu einer Sammelstelle für Hilfsgüter für die Bevölkerung
geworden ist, erinnerte Parolin – von Liedern und Applaus begrüßt – an die
vielen Toten, die die Ukraine zu beklagen hat. Einen Krieg, den Papst
Franziskus als „grausam“ und „frevelhaft“ stigmatisiert hatte, wie Parolin
hinzufügte.
Das Gebet für die Opfer des Krieges
„Wir erbitten von Gott das Geschenk des Friedens für die
Ukraine, materiellen und geistlichen Trost für die Opfer des Krieges und
besonders für die Flüchtlinge, für die Kinder, für die, die alles verloren
haben, für die Alleingelassenen. Möge der Herr die Herzen der Regierenden
erleuchten, damit sie daran arbeiten, Frieden und Harmonie wiederherzustellen“,
sagte der Kardinal in Anwesenheit zahlreicher, beim Heiligen Stuhl
akkreditierter Botschafter.
Der Tod ist überwunden
In seiner Predigt kommentierte der Staatssekretär das von
der heutigen Liturgie vorgeschlagene Wort Gottes „voller wertvoller Ideen, die
uns helfen, tief in das österliche Geheimnis des Herrn einzudringen“. Dann ging
er auf die Bedeutung des Todes ein, besiegt von Christus, dem Guten Hirten, der
das Leben zurückgibt. „Zu Ostern öffnet uns der Herr Jesus die Türen zum ewigen
Leben. Der Tod hat keine Macht mehr, er wurde im Fleisch des Erlösers besiegt.
Jesus öffnet uns einen Durchgang zum Ewigen, Er ist der Durchgang, die Tür,
durch die wir gehen müssen, um in das wahre Leben einzutreten. Der Sieg Christi
"scheint sich jedoch zu mühen, seinen Triumph zu zeigen", fast
"verschwommen" in dieser Welt, in der "Sünde und Tod die
Oberhand zu haben scheinen".
Die „denkwürdige“ Schuman-Erklärung
Die Bilder aus der Ukraine erinnern uns jeden Tag an das,
wofür Parolin um Gebete bittet. Angesichts der durch den Krieg verursachten
Tragödien erinnert der Kardinal an den Geist, der die „denkwürdige“ Erklärung
des ehrwürdigen Robert Schumann am 9. Mai 1950 beseelte, fünf Jahre nach dem
„größten und blutigsten“ Konflikt, den Europa bis dahin erlebt hatte.
Der französische Außenminister Schuman – erinnerte Parolin –
verstand damals, dass der einzige Weg, die Gefahr eines neuen Konflikts zu
beseitigen, weder die Abschreckung noch der „Schaffung eines bewaffneten
Friedens wie im Kalten Krieg“ war; vielmehr spürte er, dass nur „gegenseitige
Solidarität und das Teilen von Ressourcen“ zu „authentischer Versöhnung“ führen
könnten. Und so wurde der Weg zur europäischen Föderation beschritten, und das
veränderte „das Schicksal der Regionen, die sich seit langem der Herstellung
von Kriegsinstrumenten verschrieben haben“.
Einsatz für ein geeintes und versöhntes Europa
Grundlage der Schumann-Erklärung sei „das ganze politische
und gesellschaftliche Engagement“ des Staatsmanns, „verwoben mit dem im
täglichen Leben gepflegten christlichen Glauben“. „Für Schumann war Christus
wirklich auferstanden“, sagt der Kardinal: Es war kein abstrakter Gedanke,
sondern eine aktive Präsenz in der Welt. Und gerade aufgrund dieses
allumfassenden Glaubens verpflichtete sich der damalige Minister dazu, „für ein
geeintes und versöhntes Europa zu arbeiten“. Auf seiner Reise begegnete er
Persönlichkeiten, „die den gleichen Glauben, den gleichen Blick auf das Dasein,
das gleiche politische Engagement, die gleiche Leidenschaft für das Gemeinwohl
teilten“: Konrad Adenauer und Alcide de Gasperi.
Hört einander zu
Sie alle „waren sich bewusst, dass der Tod nicht mit einem
anderen Tod besiegt wird, sondern dass nur das Leben den Tod besiegt“.
Angesichts der „menschlichen Versuchung, Zwietracht walten zu lassen“,
verstanden die Gründer auch, dass der einzige Weg, den sich stellenden
Herausforderungen zu begegnen, darin bestand, „einander zuzuhören, die eigenen
Gründe mit Ehrlichkeit und Einfachheit zu formulieren und gleichzeitig die
Gründe anderer greifbar zu machen“, sagte Parolin. Deshalb nennen wir sie
„Gründerväter“, weil „sie den Grundstein für ein neues Gebäude legten“ und „im
Leben daran arbeiteten, dort aufzubauen, wo andere vor ihnen nur zu zerstören
wussten“. Ihr Vermächtnis sei es, „zuzuhören und willkommen zu heißen“,
diejenigen, die „noch heute die Stärken Europas sind“. Heute, so der Kardinal
abschließend, „ist es wertvoll, diese Position im ohrenbetäubenden Getümmel
unserer Zeit am Leben zu erhalten“.
EU-Botschafterin und Ukraine-Botschafter bedankten sich
Die EU-Botschafterin beim Heiligen Stuhl, Alexandra
Valkenburg, dankte dem Kardinalstaatssekretär für die Worte und erinnerte
daran, dass sich die gesamte EU hinter der Ukraine stehe. Auch der ukrainische
Botschafter beim Heiligen Stuhl, Andrii Yurash, dankte für das Gebet und die
Unterstützung aus Europa.
In ihrer Ansprache am Ende der Messe erinnerte
EU-Botschafterin Valkenburg an Robert Schumans „Traum vom Frieden in Europa“,
eine Vision, die es den 27 Nationen der Union ermöglichte, „den Kreislauf von
Krieg und Konflikt zu durchbrechen und ihn durch eine Vision der Einheit,
Solidarität und Hoffnung zu ersetzen“.
Während der Krieg auf unseren Kontinent zurückgekehrt ist,
„müssen wir noch mehr als zuvor auf Schumans Vision hinarbeiten“, denn „die
russische Aggression gegen die Ukraine verursacht weiterhin großes Leid für
Millionen von Ukrainern, für unsere europäischen Mitbürger“, in einem Krieg,
der „sinnlos und nicht zu rechtfertigen“ ist.
Botschafterin Valkenburg erinnerte daran, dass sich die
Europäische Union den Friedensappellen des Papstes anschließe, unterstrich die
Verbundenheit mit der Ukraine, für die man sich weiterhin solidarisch zeigen
werde, und würdigte „den unglaublichen Mut des ukrainischen Volkes“. In dieser
Situation, so schloss sie, sei die strategische Union zwischen der Europäischen
Union und dem Heiligen Stuhl in den Bereichen Frieden, Solidarität,
Menschenrechte, Klima, Armutsbekämpfung, aber auch bei der Unterstützung des
Multilateralismus „Partner mit den gleichen Ansichten“, noch wichtiger.
Der ukrainische Botschafter beim Heiligen Stuhl bedankte
sich insbesondere für die Entscheidung, den Europatag in der Basilika Santa
Sofia zu begehen. Er dankte für die Unterstützung der Ukraine in dieser
„kulturell schwierigen“ Zeit und betonte erneut, dass die Ukraine und Europa
„zum selben kulturellen und geistigen Raum gehören“, mit denselben Werten und
Grundsätzen, „die auf der Achtung der Menschenwürde, der Entscheidungsfreiheit
und der unbestreitbaren Anerkennung des Rechts eines jeden Staates, seine
Identität aufzubauen und zu leben, beruhen“.
Dies seien Werte, die durch eine „ungerechtfertigte und
barbarische Aggression von Putins imperialistischem Russland“ gefährdet seien, und
dies sei eine Gefahr, die „nicht nur die Ukraine, sondern den gesamten
europäischen Kontinent“ betreffe.
Yurash erinnerte daran, dass die Ukraine seit ihrer Taufe
vor 1034 Jahren „Teil der europäischen Gemeinschaft“ sei und die in der
Basilika Santa Sofia gefeierte Messe zeige, dass „die Ukraine im Herzen Europas
liegt“. (vn 10)
UN-Bericht. Weltweiter Hunger nimmt weiter zu
Die Zahl der Hungernden ist im vergangenen Jahr laut UN
weiter gestiegen: Knapp 193 Millionen Menschen benötigten dringend Hilfe.
Besonders dramatisch ist die Lage in Äthiopien, Madagaskar, im Südsudan und im
Jemen.
Immer mehr Menschen leiden laut den Vereinten Nationen
weltweit unter Hunger und Lebensmittelknappheit. Hunderte Millionen Menschen
hätten 2021 nicht genügend zu essen gehabt, teilten die UN mit. Fast 193
Millionen Menschen in 53 Ländern und Territorien waren laut einem von
verschiedenen UN-Agenturen und Partnerorganisationen veröffentlichen Bericht
über Nahrungskrisen von Ernährungsunsicherheit betroffen und benötigten
dringend Hilfe – 40 Millionen Menschen mehr als im Vorjahr. Die Bundesregierung
sagte den betroffenen Ländern Unterstützung zu.
Weitere 236 Millionen Menschen in 41 Ländern und Territorien
befanden sich dem Bericht zufolge in einer angespannten Lage und hätten
Unterstützung für ihren Lebensunterhalt und Hilfe zur Verringerung des
Katastrophenrisikos gebraucht.
Hunger nimmt wegen Krisen und Konflikten zu
„Millionen von Menschenleben und Existenzen stehen auf dem
Spiel“, erklärte UN-Generalsekretär António Guterres in einem Vorwort. Der
Direktor des UN-Welternährungsprogramms, David Beasley, rief die internationale
Gemeinschaft zu einem entschlossenen Gegensteuern auf. Andernfalls werde sich
die Krise weiter verschlimmern. Der Hunger nehme wegen der Corona-Pandemie, den
Folgen des Klimawandels sowie der vielen Konflikte zu.
Besonders besorgniserregend ist laut dem Report die Lage in
Äthiopien, Madagaskar, dem Südsudan und im Jemen. In diesen vier Ländern seien
570.000 Menschen vom Hungertod bedroht gewesen. Demnach dürften sich die
Aussichten für die weltweite akute Ernährungsunsicherheit auch für das laufende
Jahr weiter verschlechtern. Der Krieg in der Ukraine werde ungünstige
Auswirkungen auf die weltweiten Preise und Lieferungen von Nahrungsmitteln,
Energie und Düngemitteln haben.
Preise für Grundnahrungsmittel stark gestiegen
Zuletzt waren die Preise für Grundnahrungsmittel weltweit
stark gestiegen, auch wegen der Furcht vor dem Ausfall von Weizenlieferungen
aus der Ukraine und Russland. Die beiden Länder sind für etwa 30 Prozent der
Weizenexporte verantwortlich und zählen damit neben Staaten wie den USA,
Frankreich und Deutschland zu den größten Weizenlieferanten der Welt. Vor allem
nordafrikanische Länder wie Libyen, Tunesien und Ägypten beziehen einen Großteil
ihres Weizens aus der Region.
Bundeskanzler Olaf Scholz (SPD) sicherte den betroffenen
Ländern Hilfe zu. Deutschland könne die Staaten, die wegen des Ukraine-Krieges
von der Ernährungskrise bedroht seien, nicht alleine lassen, sagte er am
Mittwoch nach einer zweitägigen Kabinettsklausur in Meseberg. Es müsse dafür
gesorgt werden, dass die Getreideexporte auch weiterhin gelingen.
Bundeswirtschaftsminister Robert Habeck (Grüne) sagte, „die
Nahrungsmittelknappheit wird die Welt hart treffen, und zwar Teile der Welt,
die sowieso schon politisch unruhig sind“.
Schulze: Ärmere Länder unabhängiger machen
Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) rief dazu
auf, ärmere Länder von Lebensmittelimporten unabhängiger zu machen.
„Kurzfristig sind Nahrungsmittelhilfen überlebenswichtig“, sagte sie. Ziel
müsse jedoch sein, „dass die Menschen in den ärmsten Ländern sich selbst
versorgen können, damit steigende Weltmarktpreise nicht mehr automatisch zu
mehr Hunger führen“. Bereits im April hatte Schulze bei der Weltbank-Frühjahrstagung
in Washington ein neues Bündnis für globale Ernährungssicherheit vorgeschlagen,
um die Verteilung von Getreide so zu organisieren, dass Hungerkatastrophen
möglichst vermieden werden.
Der Bericht wurde im Auftrag des Globalen Netzwerks gegen
Ernährungskrisen erstellt. UN-Institutionen wie die Ernährungs- und
Landwirtschaftsorganisation (FAO) und das Welternährungsprogramm (WFP) sowie
Partner stehen dahinter. (epd/mig 10)
Italien stellt sich hinter Macrons Pläne zur Reform der EU
Italien unterstützt die ehrgeizigen EU-Reformvorschläge des
französischen Präsidenten Emmanuel Macron zur Erweiterung. Dies erklärte der
italienische Europaminister Vincenzo Amendola am Montag auf der
Abschlussveranstaltung der Konferenz zur Zukunft Europas in Straßburg. Von:
Margherita Montanari
In seiner Rede vor dem EU-Parlament am Europatag schlug
Macron den Aufbau einer neuen „europäischen politischen Gemeinschaft“ vor und
erläuterte seine Reformvorschläge.
Die Initiative des französischen Präsidenten entspricht den
Vorschlägen einiger italienischer Politiker, darunter der ehemalige
Ministerpräsident und derzeitige Vorsitzende der Demokratischen Partei, Enrico
Letta.
Italien „schließt sich dem ehrgeizigen Vorschlag des
französischen Präsidenten Emmanuel Macron an, einen größeren politischen Raum
für die Erweiterung der Europäischen Union zu schaffen“, sagte Amendola vor den
Abgeordneten in Straßburg.
„Es wird erwartet, dass die EU in der Zusammenarbeit im
Energiebereich und in Bereichen wie der Außen- und Verteidigungspolitik einen
entscheidenden Schritt nach vorne macht. Nur durch den Zusammenhalt der EU in
diesem historischen Moment können wir uns vor der Gefahr eines Krieges
schützen“, so Amendola weiter.
Der italienische Staatssekretär stellte auch klar, dass „die
Zukunft der EU von der Vertragsreform abhängt“ und fügte hinzu, dass es
dringend notwendig sei, „das bisherige Zögern in Bezug auf die Erweiterung zu
lassen, insbesondere für einige Länder wie Albanien und Nordmazedonien“.
Zuvor, am Montag (9. Mai), erinnerte Premierminister Mario
Draghi an die Bedeutung des „föderalistischen Idealismus beim Aufbau eines
europäischen Bewusstseins“.
„Wir müssen den Pragmatismus einbeziehen, der der Schaffung
der ersten europäischen Institutionen und ihrer Entwicklung zugrunde lag“,
sagte er per Videokonferenz auf dem Ventotene Europa Festival. EA 10
Erstmals eine Frau zur DGB-Chefin gewählt – mit Migrationshintergrund
Ein Novum. Erstmals sitzt mit Yasmin Fahimi eine Frau – mit
Migrationshintergrund – an der Spitze des Deutschen Gewerkschaftsbundes. Die
Halbiranerin kündigt der Diskriminierung von Frauen in der Arbeitswelt den
Kampf an.
Yasmin Fahimi ist neue Vorsitzende des Deutschen
Gewerkschaftsbundes (DGB). Auf dem DGB-Bundeskongress in Berlin stimmten am
Montag 358 der 398 Delegierten für die frühere SPD-Generalsekretärin, die als
einzige zur Wahl stand. 26 Delegierte votierten gegen die 54-Jährige. Zehn
enthielten sich.
Damit steht erstmals eine Frau an der Spitze des 1949
gegründeten DGB. Fahimi löst Reiner Hoffmann ab, der den Gewerkschaftsbund seit
2014 geführt hatte. Vor ihrer Wahl hatte Fahimi in einer Vorstellungsrede
angekündigt, der DGB werde unter ihrer Führung unter anderem verstärkt gegen
die Diskriminierung von Frauen in der Arbeitswelt kämpfen.
Fahimi hat sich als SPD-Politikerin für eine
gleichberechtigte Teilhabe von Menschen mit ausländischen Wurzeln eingesetzt
und sich in der Integrationspolitik von Einwanderern und Geflüchteten
engagiert. Fahimi selbst hat einen Migrationshintergrund. Sein Vater, ein
Chemiker aus dem Iran, war noch vor ihrer Geburt gestorben. Als Halbwaise sie
bei ihrer deutschen Mutter auf.
Fahimi will Bundestagsmandat niederlegen
Die studierte Chemikerin Fahimi studierte an der Universität
Hannover zunächst Elektrotechnik und war von 2000 bis 2013
Gewerkschaftssekretärin bei der Industriegewerkschaft Bergbau, Chemie, Energie.
2014 und 2015 amtierte sie als SPD-Generalsekretärin. Von 2016 bis 2017 war sie
beamtete Staatssekretärin im Bundesarbeitsministerium. Seit 2017 gehört sie dem
Deutschen Bundestag an. Sie hat angekündigt, ihr Bundestagsmandat nach der Wahl
zur DGB-Chefin niederzulegen.
Der DGB umfasst acht Mitgliedsgewerkschaften mit insgesamt
rund sechs Millionen Mitgliedern. Der Bundeskongress, der noch bis 12. Mai
tagt, ist das höchste Gremium des Gewerkschaftsbundes. Er tritt alle vier Jahre
zusammen. (epd/mig 9)
DIW-Studie. Flüchtlinge fühlten sich in der Corona-Pandemie stark diskriminiert
Bildung, Behörde, Alltag, Arbeits- und Wohnungsmarkt -
Geflüchtete haben sich in der Corona-Pandemie stärker diskriminiert gefühlt als
zuvor. Das ist das Ergebnis einer aktuellen DIW-Studie. Experten warnen vor den
gesundheitlichen Folgen von Diskriminierung.
Geflüchtete, die in den Jahren 2013 bis 2016 nach
Deutschland gekommen sind, fühlten sich im ersten Jahr der Corona-Pandemie
einer Studie zufolge stärker diskriminiert als zuvor. Das traf insbesondere auf
die Arbeitssuche und in Bildungseinrichtungen zu, wie aus der kürzlich in
Berlin veröffentlichten Untersuchung des Deutschen Instituts für
Wirtschaftsforschung (DIW) hervorgeht. Befragt wurden fast 4.000 Flüchtlinge.
Neben der Arbeitssuche und Bildungseinrichtungen wurden vom
DIW auch die Bereiche Wohnungssuche, Alltag, Behördengänge und Kontakt mit der
Polizei unter die Lupe genommen. Am häufigsten diskriminiert fühlten sich
demnach Geflüchtete, die in Ostdeutschland lebten, jünger als 40 Jahre alt
waren, schlechte Kenntnisse der deutschen Sprache aufwiesen sowie erwerbstätige
Frauen.
Geflüchtete verloren in der Corona-Krise ihren Job
„Verantwortlich für die Zunahme der wahrgenommenen
Diskriminierung waren wohl die ökonomischen und sozialen Verwerfungen im Zuge
der Corona-Pandemie“, erklärte DIW-Forscherin Adriana Cardozo Silva.
Geflüchtete arbeiten besonders häufig in prekären Arbeitsverhältnissen und in
Branchen wie der Gastronomie oder im Tourismus, die von den Maßnahmen zur
Eindämmung der Pandemie besonders betroffen waren. Dementsprechend häufig
verloren Geflüchtete in der Corona-Krise ihren Job.
Bei der Arbeit fühlten sich der Studie zufolge im Jahr 2020 insgesamt
31 Prozent manchmal oder häufig benachteiligt – sechs Prozentpunkte mehr als
ein Jahr zuvor. Bei der Suche nach einer Erwerbstätigkeit empfanden 39 Prozent
der Geflüchteten Diskriminierungen. Das waren acht Prozentpunkte mehr als ein
Jahr zuvor.
Diskriminierung führt zu Stress
Die Analyse von Diskriminierung sei besonders wichtig, wenn
es um die Integration von Geflüchteten in die Gesellschaft geht, erläuterten
die Studienautoren. Forschung im Bereich der Psychologie zeige außerdem, dass
ein höheres Maß an Diskriminierung mit einem höheren Maß an psychischem Stress
verbunden sei und die Gesundheit von Menschen gefährde, erklärten die
Wissenschaftler.
Umso schwerwiegender erscheine es, dass zu Beginn der
Corona-Pandemie im Frühjahr 2020 Sprach- und Integrationskurse mindestens
vorübergehend eingestellt wurden oder für viele Geflüchtete nur schwer bis gar
nicht über digitale Wege zugänglich waren. Dass derzeit viele Ukrainerinnen und
Ukrainer nach Deutschland flüchten, vergrößere die künftigen Herausforderungen
noch, erwarten die Studienautoren. Wichtig sei, sich um die Integration aller
Geflüchteten zu kümmern und nicht die Bedürfnisse einzelner Gruppen
zurückzustellen. (epd/mig 9)
Mücken und Zecken ein Schnippchen schlagen
Aham - The same procedure as every year: Steigende
Temperaturen lassen nicht nur die Pflanzen sprießen, sondern leider auch
unliebsame Wegbegleiter wie Mücken und Zecken. Bedingt durch den Klimawandel
gehen Forscher davon aus, dass Infektionen durch Mückenstiche oder Zeckenbisse zunehmen
werden. Mit den Stichfrei Pflegeprodukten von BALLISTOL bleiben Sie geschützt.
Einmal auftragen – bis zu 8 Stunden effektiver Schutz
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Icaridin duftet nach Citrus, spendet Feuchtigkeit und enthält keinerlei
synthetische Duft-, Farb- oder Konservierungsstoffe. Stichfrei hat sich nicht
nur in Mitteleuropa, sondern auch in den Tropen, den skandinavischen Wald- und
Seegebieten sowie in Afrika bewährt.
Keine Ausnahme für die Kleinsten
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einzigen Mückenschutz, der bereits ab zwei Monaten aufgetragen werden kann.
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die bis zu 8 Stunden vor Mücken schützt. Es enthält den unbedenklichen
Wirkstoff IR3535 und verzichtet auf ätherische Öle und Zusatzstoffe. Sowohl
Stichfrei als auch Stichfrei Kids sind dermatologisch und allergologisch mit
„sehr gut“ bewertet (Quelle: www.ballistol.de).
Allergiker und Asthmatiker aufgepasst
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dass ausschließlich Inhaltstoffe verwendet werden, für die nachweislich keine
allergene Wirkung bekannt ist. Alle ausgewählten Inhaltstoffe sind äußerst
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getestet und wird vom DAAB (Deutscher Allergie- und Asthmabund e.V.) empfohlen.
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10
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Über 35.000 Studierende sind derzeit an 55
Hochschulstandorten in Afrika, dem Nahen Osten, Asien und Lateinamerika in den
vom Deutschen Akademischen Austauschdienst (DAAD) geförderten transnationalen
Bildungsprojekten eingeschrieben. Der DAAD blickt anlässlich des
zwanzigjährigen Jubiläums des Programms mit einer Tagung in Berlin am 17. und
18. Mai auf Themen, Erfolge und Herausforderungen bei der Transnationalen
Bildung. Bonn, 17.05.2022
„Der Bedarf an qualifizierter Hochschulbildung wächst
weltweit seit vielen Jahren. Immer mehr junge Menschen wollen von der
Ausbildungsqualität renommierter internationaler Hochschulen profitieren, ohne
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Angebot für Studierende in aller Welt, für die ein ganzes Studium in
Deutschland nicht in Frage kommt. Unsere Mitgliedshochschulen ermöglichen ihnen
mit hochwertigen Bildungsangeboten an ausländischen Partnerhochschulen den
Erwerb eines deutschen Hochschulabschlusses. So können Studierende
beispielsweise in Singapur einen Masterabschluss der TU München erwerben oder
erhalten an der ‚German-Jordanian University‘ im Fachstudium fundierte
Deutschland-Kompetenz, die auf dem jordanischen Arbeitsmarkt sehr gefragt ist“,
sagte DAAD-Präsident Prof. Dr. Joybrato Mukherjee anlässlich der Tagung.
Weltweit gibt es zahlreiche Angebote transnationaler Bildung
(TNB). Besonderheiten des deutschen TNB-Modells sind das Fehlen der
gewinnorientierten Ausrichtung und der kooperative Ansatz. In dem vom
Bundesministerium für Bildung und Forschung (BMBF) finanzierten Programm
entwickeln deutsche Hochschulen in enger Zusammenarbeit mit ihren ausländischen
Partnerinstitutionen Lehrinhalte, die spezifische regionale Bedarfe
einbeziehen. Auch die Integration eines Deutschlandbezugs ist ein wichtiges
Merkmal, sei es als Sprachunterricht, Praktikum in einem deutschen Unternehmen
mit Sitz im Gastland oder auch als integrierter Deutschland-Aufenthalt.
Stipendien des Auswärtigen Amts für die eingeschriebenen Studierenden ergänzen
die TNB-Projekte.
Das Spektrum der insgesamt rund 330 Projekte ist breit: Es
reicht von Zusatzqualifikationen über einzelne Studiengänge bis hin zur
Gründung ganzer Fakultäten oder binationaler Hochschulen. Sieben binationale
Hochschulen feiern in diesem Jahr ebenfalls Jubiläen: die Andrássy-Universität
in Budapest (AUB, 20 Jahre), die deutschsprachige Fakultät für Ingenieur- und
Betriebswissenschaften an der Universität Sofia in Bulgarien (FDIBA, 30 Jahre),
die German University in Cairo (GUC, 20 Jahre), die German-Jordanian University
(GJU, 15 Jahre), die German University of Technology in Oman (GUtech, 15
Jahre), das Heidelberg Center Lateinamerika (HCLA, 20 Jahre) und der TUM
Asia-Campus der TU München in Singapur (20 Jahre). Daad 17
Friedrichsdorf/Berlin. In immer mehr Ländern weltweit leiden
Menschen und insbesondere Kinder unter akuter Mangel- und Unterernährung. Aus
diesem Grunde hat die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision zum
zweiten Mal in ihrer Geschichte die höchste weltweite Katastrophen-Warnstufe
ausgerufen und aktiviert damit die internationale Partnerschaft, sich für
umfangreiche Hilfsmaßnahmen einzusetzen. World Vision ruft die internationale
Gemeinschaft auf, umgehend und schnell Gelder für die betroffenen Länder bereit
zu stellen. „Die Welt kann nicht länger einfach zuschauen wie Millionen Kinder
krank werden oder sterben, weil sie nicht ausreichend oder nur nährstoffarmes
Essen haben“, betont Fiona Uellendahl, World Vision Expertin für Ernährung und
Klimawandel. „Zudem müssen Gelder flexibel und langfristig bereitgestellt
werden, nicht nur im Krisenmodus, um Mangelernährung wirklich zu beseitigen.“
Fünfundvierzig Millionen Menschen in 43 Ländern leiden
aktuell unter akuter Mangelernährung und könnten in den nächsten Wochen und
Monaten sterben. Besonders betroffen sind viele Kinder unter 5 Jahren. World
Vision weitet seine Hilfsmaßnahmen aus und will im Rahmen seiner
Katastrophenhilfe mindestens 11,5 Millionen Menschen erreichen. Andrew Morley,
Präsident und CEO von World Vision International, sagt: „Millionen Kinder
leiden unter dieser furchtbaren Hungerkrise, die durch eine tödliche
Kombination von Konflikten, Klimawandel und Covid-19 verursacht wird."
Steigende Kosten für z.B. Treibstoff, Dünger und Weizen, die
durch Engpässe und Sanktionen sowie Exportstopps infolge des Krieges in der
Ukraine verursacht werden, verschärfen die Hungerkrise. In vielen Ländern
wächst die Zahl der Menschen, die in Gefahr sind zu verhungern. World Vision
konzentriert seine Hilfsmaßnahmen auf 24 Länder, in denen die Situation am
schlimmsten ist, darunter Afghanistan, Äthiopien, Burkina Faso, Mali, Kenia,
Niger, Somalia und Südsudan. Weitere Länder im südlichen Afrika und im
südasiatisch-pazifischen Raum werden derzeit beobachtet und könnten in die
Liste mit aufgenommen werden. Viele Länder, darunter Libanon und Haiti, sind
neben der verschärften Ernährungssituation auch noch von Wirtschaftsproblemen
und zunehmender Gewalt betroffen.
Während einer Reise nach Kenia zeigte sich Morley schockiert
von den Berichten der Menschen. „Ich sprach mit einer jungen Mutter, die nachts
immer wieder nach ihren schwer unterernährten Kindern schaute, um sich zu
vergewissern, dass sie noch leben. Die Hungerkrise wirkt sich auf alle
Lebensbereiche aus.“
In Ostafrika erreichen die aktuellen Nothilfeprogramme von
World Vision bereits mehrere Millionen Menschen. Rund 2100 besonders stark
betroffene Haushalte in Nord-Kenia und in Zentral-Somalia erhalten
beispielsweise flexibel einsetzbare finanzielle Hilfen durch ein gemeinsames
Projekt von World Vision Deutschland und „Aktion Deutschland Hilft“. Das
Projekt stärkt außerdem gezielt die Einflussmöglichkeiten und das Wissen von
Frauen, da sie die aktivste Rolle bei der Bekämpfung von Unterernährung haben,
und es fördert lokales Engagement gegen Ausbeutung, Kinderarbeit und
geschlechtsspezifische Gewalt, die als Folge der Krise zunehmen. Gemeinsam mit
dem Bundesentwicklungsministerium und weiteren Partnern arbeitet World Vision
auch daran, bisher wenig unterstützte Regionen in Ostafrika widerstandsfähiger
gegen Ernährungskrisen zu machen, etwa durch klimasmarte
Landwirtschaftspraktiken, regenerative Aufforstung und nachhaltigeres
Weidemanagement, bessere Kommunikation mit der Regierung und Zugängen zu
Finanzdienstleistungen.
Die Kinderhilfsorganisation World Vision ist seit vielen
Jahren sowohl in der langfristigen Entwicklungszusammenarbeit als auch in der
Katastrophenhilfe in den Ländern des Südens aktiv und beschäftigt eine Vielzahl
von MitarbeiterInnen, die über umfangreiches Fachwissen auf diversen Gebieten
verfügen. Als größter Partner des Welternährungsprogramms ist World Vision in
der Lage, schnell und umfangreich zu helfen. Dennoch wird dringend weitere
Hilfe benötigt.
Spendenaufruf: Helfen Sie dabei, Kinder zu ernähren und
ihnen die Chance auf eine gesunde Zukunft zu geben.
PAX-Bank eG. BAN DE72370601934010500007. Stichwort: Hunger
1050
Oder online: worldvision.de/nothilfe. WV 19