Webgiornale 16-30 aprile 2025

Inhaltsverzeichnis

1.     Ora l’Europa è a un bivio. 1

2.     Il disprezzo di Trump. 1

3.     Von der Leyen alla guerra dei dazi. “Difenderemo i nostri interessi”. 1

4.     Ora una risposta comune. 1

5.     Un altro passo avanti verso un’Unione europea più resiliente. 1

6.     Trump alza i dazi: tassi alti e inflazione in agguato. 1

7.     Nuovi equilibri e squilibri istituzionali nell’Unione europea. 1

8.     Guerra Commerciale: scontro tra Stati Uniti, Cina ed Europa. Minaccia alla stabilità mondiale. 1

9.     Raggiunto in Germani l’accordo di coalizione. 1

10.  La visione di politica globale del nuovo governo tedesco. 1

11.  I Referendum abrogativi 2025 in Italia. 1

12.  Partita in Germania la campagna per il "Sì" ai 5 referendum.. 1

13.  Riunito a Saarlouis l’Intercomites Germania. 1

14.  Berlino: la ministra Locatelli ospite in Ambasciata. 1

15.  Criminalità in calo in Germania, ma la violenza aumenta. 1

16.  Brevi di cronaca e politica tedesca. 1

17.  Berlino. La comunità scientifica italo-tedesca in Ambasciata. 1

18.  Francoforte. L’audio-tour sul cimitero di guerra di Westhausen: IMI e civili 1

19.  G2B a Berlino. Le aziende italiane in Ambasciata. 1

20.  Il Gruppo „Folk-Acli” di Kaufbeuren a Kempten. 1

21.  IIC di Amburgo: incontro letterario italo-tedesco sul romanzo di Greta Olivo “Spilli”. 1

22.  25 Aprile, 80° Anniversario della Liberazione. 1

23.  La rete diplomatica e il 25 aprile. Qualche consolato…latitante?. 1

24.  L’Europa al confronto con Trump. 1

25.  I lavori del Comitato di Presidenza del Cgie. Si è parlato di cittadinanza, voto all’estero e incentivi di rientro. 1

26.  La voglia di capire. 1

27.  L’Italia emigra ancora: oltre 7 milioni gli iscritti all’AIRE. 1

28.  Cittadinanza italiana: nuove regole tra continuità e cambiamento. 1

29.  Cittadinanza. Acli: no alle semplificazioni, serve una cittadinanza italiana consapevole. 1

30.  Tornare a casa: Cgie e Commissariato per la ricostruzione insieme per promuovere la flat tax al 7%.. 1

31.  Il semestre. 1

32.  Varato il decreto legge in materia di sicurezza. 1

33.  Istat, il tasso di fecondità italiano ha superato il minimo storico del 1995. 1

34.  Dalla pandemia alla paura della guerra: in emergenza perenne?. 1

35.  Manette e milioni: la messinscena di un governo in bancarotta politica. 1

36.  Essere propositivi 1

37.  Il mondo che si spezza e quello che possiamo ricostruire. 1

38.  Cittadinanza. Per Natitaliani il DL 36/25 è completamente sbagliato. 1

39.  L’arte di lasciar andare. 1

40.  I diritti 1

41.  Decreto Cittadinanza: “Fare i conti con la storia dell’Italia, un paese fondato sull’emigrazione”. 1

42.  CGIE, Italia e italo-discendenti: un legame da mantenere. 1

43.  Decreto cittadinanza, CGIE: siamo pronti a svolgere il nostro ruolo. 1

44.  Scuole paritarie all'estero: Tripodi risponde a Borghese (Maie) 1

45.  “Vado e torno” per il sostegno alla formazione universitaria all’estero. 1

46.  Avviato l’esame del decreto legge recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. 1

47.  Sono 11.100 i Rom e Sinti in Italia, lo 0,2% della popolazione. 1

48.  Turismo delle Radici: Unaie al convegno di Bergamo. 1

49.  Audizioni sul decreto per la cittadinanza. L’intervento della Segretaria Generale del Cgie Maria Chiara Prodi 1

50.  Istituti Italiani di Cultura. Cultura investimento strategico per il Paese. 1

51.  50 milioni di euro per richiamare giovani ricercatori dall’estero. 1

52.  Cie in Italia per gli iscritti Aire. 1

53.  Potenziamento degli IIC all’estero e frequenza telematica delle Università italiane degli studenti esteri 1

 

 

1.     Zwei Jahre Krieg im Sudan. Die „größte humanitäre Katastrophe der Welt“. 1

2.     Beispiel Zypern. Flüchtlingspolitik national nicht machbar. 1

3.     Neuer Plan. Italien bringt erstmals abgelehnte Asylbewerber nach Albanien. 1

4.     Ukraine: Karwochen-Beginn unter Bomben. 1

5.     Union will mehr Zurückweisen und mehr Abschieben. 1

6.     EuGH-Generalanwalt zweifelt an Italiens „Albanien-Modell“. 1

7.     Das steht im Koalitionsvertrag zur Migrationspolitik. 1

8.     Lagerbildung im Klassenzimmer schadet Integration. 1

9.     Interviews . „Wir werden nicht tatenlos zusehen“. 1

10.  Vatikan bei UN-Sitzung zu Entwicklung: Gesundheit und Sicherheit für alle. 1

11.  Koalitionäre einig. Aus für Turbo-Einbürgerung, Aus für Familiennachzug, Aus für Bürgergeld. 1

12.  Vatikan/UNO: Logik der Abschreckung durchbrechen. 1

13.  Erzbischof Broglio: „Ein schmerzlicher Schnitt“. 1

14.  Hackordnung in Deutschland. Edelausländer – und andere. 1

15.  Deutschland hat Aufnahme von UN-Flüchtlingen vorläufig ausgesetzt 1

16.  Gesundheitsvorsorge: Nur ein Drittel kennt sich aus. 1

17.  Klöckner fordert klare Positionierung der Kirchen. 1

18.  Italien/Afghanistan: Humanitärer Korridor. 1

19.  Nebenan. Das Glaubwürdigkeitsproblem.. 1

20.  Handeln statt kuschen. 1

21.  Massiver Rückgang. Deutschland bei Asylanträgen nicht mehr EU-Spitzenreiter. 1

22.  Weltgesundheitstag 2025: „Gesunde Anfänge – hoffnungsvolle Zukunft“. 1

23.  Flüchtlingspolitik. Bürgermeister von Lampedusa mahnt mehr Unterstützung an. 1

24.  Skeptisch, teils feindselig. 1

25.  Trump-Zölle könnten BIP um 0,3 Prozent reduzieren. 1

26.  Studie. Soziale Herkunft entscheidet in Deutschland über guten Schulstart. 1

27.  Culture Moves Europe: Drei Jahre kulturelle Begegnungen in Europa. 1

28.  Hinkende Vergleiche, falsche Schlüsse. 1

29.  Erdbeben in Myanmar:  Versorgung läuft an. World Vision befürchtet Missbrauch von Kindern. 1

30.  UNHCR warnt. Streichungen der Hilfsgelder lassen Millionen Menschen hungern. 1

31.  Entwicklung in Deutschland wird wieder positiver gesehen, aber wachsende Sorge vor militärischen Konflikten. 1

32.  Rücktrittsforderungen. 1

33.  Trautes Heim.. 1

34.  Stumme Gefahr Bluthochdruck: So schützen Sie Herz und Gefäße. 1

35.  „Ein politisches Erdbeben“. 1

36.  Alterungsprozess verlangsamen?. 1

 

 

 

Buon periodo pasquale

 

 

Ora l’Europa è a un bivio

 

Fratelli tutti è un’enciclica estremamente importante, che ha avuto un’eco mondiale. È stata meditata e discussa in tantissime sedi, perché tocca temi di larghissimo respiro. Non solo tratta della convivenza tra le persone e tra i popoli, ma ha riflessi anche sullo stesso ordine mondiale. D’altronde, questo orizzonte fraterno e universale parte da san Francesco. Basti ricordare il suo incontro con il Sultano. Il poverello di Assisi non parlava l’arabo, che cos’è andato a dire, e cos’è andato a fare dal Sultano? Certamente non è andato a convertirlo. Il suo è stato un gesto di fraternità.

Un esempio da imitare. Quel che è mancato nella politica mondiale di questi ultimi anni è proprio il dialogo. E c’è da sperare che si torni a incontrarsi e a dialogare. Quando ci fu la crisi dei missili a Cuba, c’era l’angoscia che scoppiasse una guerra nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica. Pericolo scongiurato perché i due leader Kennedy e Kruscev si parlarono e concordarono che la “linea rossa” Mosca-Washington era più conveniente dell’escalation nucleare. I due leader non hanno stipulato nessun trattato, si sono semplicemente parlati. Cosa che oggi avviene più difficilmente.

Il dialogo nella politica è assolutamente indispensabile. Con tutti. Occorre parlare e trattare anche con i dittatori. A parlare con san Francesco sono tutti buoni, ma con il lupo è un problema. Se si rompe il dialogo, in questo mondo è finita. E oggi pare che questo dialogo si sia interrotto. Il mondo delle guerre non è finito e il secolo della pace non è ancora arrivato. È vero, invece, quanto afferma papa Francesco che c’è in corso una Terza guerra mondiale a pezzi. Ma se continuiamo così, prima o poi, i pezzi si ricompongono.

Lo vediamo, in questi ultimi anni, con il conflitto in Ucraina, nel cuore dell’Europa; lo vediamo con i problemi del Medio oriente, tra israeliani e palestinesi in particolare. E prima ci sono state le guerre in Iraq e in Siria. E c’è da chiedersi quanto influisca, in questo contesto geopolitico e nella politica contemporanea, l’uso della religione o della democrazia che si intende esportare, come è avvenuto in Iraq. 

Se si parte da questo punto di vista, la guerra è inevitabile. Se noi pensiamo di imporre cristianesimo e democrazia agli altri Paesi otteniamo soltanto lo scontro, perché anche gli altri, l’Islam in particolare, vorranno fare lo stesso. Sotto questo aspetto, il mondo sta ripercorrendo la vecchia tragedia delle guerre di religione in Europa. Occorre che ci sia una netta distinzione tra fede e politica; possono e devono cooperare tra di loro, ma hanno un ruolo diverso nella trasformazione mondiale. 

Tutto ciò fa emergere l’importanza della diplomazia che, in questi tempi, sembra essere scomparsa del tutto, rispetto a una o due generazioni fa. E questo è uno dei grandi problemi odierni. Guardando alla guerra in Ucraina, che ci è così vicina, possiamo dire che, sostanzialmente, non c’è stata nessuna mediazione da parte dell’Europa. Sì, ci sono stati diversi tentativi, ma l’Europa è sempre stata assente. Abbiamo avuto perfino qualche tentativo saudita o brasiliano, ma mai uno europeo. In ogni caso, la diplomazia ha assunto un ruolo assolutamente secondario. Perché?

Forse la ragione è che l’ideologia è tornata a essere molto forte nelle controversie politiche. Ecco, allora, che il mondo si è diviso non solo dal punto di vista del potere economico e finanziario, ma anche dal punto di vista fortemente ideologico. Un’ideologia, nella maggior parte dei casi, barattata con interessi petroliferi o vendita di armi, e diventata un ulteriore elemento di tensioni nel rapporto fra i diversi Paesi.

Ecco, quindi, la tensione nella quale stiamo vivendo. E che ci impone di riprendere i fili del dialogo. Non soltanto a livello della massima politica, ma anche a livello culturale. Quando, ad esempio, a causa della guerra in Ucraina si vieta in un Paese la lettura o un incontro su Dostoevskij ciò è davvero imperdonabile. Vuol dire che siamo arrivati al di là della ragionevolezza. E poi, proprio Dostoevskij, lo scrittore che più di ogni altro ha tentato di sondare l’animo umano con i suoi drammi e le sue tensioni! 

Ma questo è il mondo in cui viviamo. Un mondo dove il potere non è ancora definito in modo completo. E dove c’è una profonda ristrutturazione della politica internazionale. Se prima c’era un’unica potenza dominante, gli Stati Uniti, adesso siamo di fronte alla tensione tra due grandi potenze, gli Usa e la Cina, che induce gli altri Stati a costruire alleanze sempre più forti.

Gli Stati Uniti rimangono ancora la potenza numero uno dal punto di vista militare, ma debbono adottare una strategia di difesa sia sotto l’aspetto economico che politico, perché c’è un altro antagonista nel panorama mondiale, che condiziona tutti i Paesi. Anche la soluzione della guerra in Ucraina non può prescindere dal dialogo tra Usa e Cina, perché l’Europa ormai non ha più alcuna possibilità di parola. E nemmeno la Russia è in grado da sola di fare la pace con l’Ucraina.

Ora siamo di fronte alla rottura del mondo in due: da una parte gli Stati Uniti e dall’altra la Cina. O come dicono gli analisti politici: West contro Rest; e gli altri Paesi a dover decidere da che parte stare tra le due grandi potenze. Questo è il vero problema. La Cina, ormai, ha uno strapotere assoluto nei confronti della Russia. Nei dieci anni prima del Covid è cresciuta di una Russia all’anno.

D’altra parte, l’Europa è diventata sempre più debole, sempre più incapace di parlare con il suo naturale alleato, gli Stati Uniti. A maggior ragione ora con Donald Trump, personaggio alquanto bizzarro a capo del più grande Paese al mondo. L’Europa non solo sarà chiamata a un notevole aumento delle spese militari, ma corre il grave rischio di un’ulteriore frammentazione, perdendo di fronte alle due grandi potenze la sua capacità di mediazione, che in passato era fortissima.

Mediazione, un tempo, molto rispettata dalla Cina. Quand’ero presidente della Commissione europea, negli incontri del G7, il presidente cinese era interessato a una sola cosa: l’avvento dell’euro. Il resto non gli interessava proprio perché se accanto al dollaro c’era l’euro, ci sarebbe stato posto anche per la moneta cinese. Si prospettava, allora, un mondo pluralistico con l’Europa mediatrice. Anche nei confronti della Russia.

L’Unione europea, nel frattempo, si allargava, suscitando grandi speranze e includendo otto Paesi del Patto di Varsavia. Allargamento reso possibile grazie al semaforo verde da parte della Russia, purché non avesse la Nato ai propri confini. 

Questo è il quadro in cui l’enciclica Fratelli tutti si trova a operare. E che sollecita la necessità di avere dialoghi paritari fra tutti i componenti dell’umanità. Dialogo e diplomazia. E, sotto l’aspetto religioso, anche la conferma dei propri princìpi, senza pensare di poterli imporre agli altri. Una buona politica internazionale dev’essere come un ponte, dove passano tutti, e tutti sono diversi. Il problema è stabilire le regole del traffico. E questo è ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno.

C’è poi da tenere presente l’aspetto economico. E anche qui siamo di fronte a una situazione di estremi cambiamenti. Il liberismo assoluto, in generale, ha avuto un effetto devastante in merito a un’equa distribuzione del reddito e della ricchezza. In tutti i Paesi del mondo, sia comunisti che capitalisti, è aumentata la disuguaglianza. In Cina, ad esempio, la differenza di reddito è impressionante. E così la società si è ulteriormente spaccata, indebolendo dappertutto la democrazia.

In questi ultimi vent’anni, i Paesi democratici hanno perso non solo la leadership morale, ma anche la guida politica, a causa delle divisioni al loro interno. In Europa, Germania e Francia si stanno sfrangiando per la moltiplicazione dei partiti o per coalizioni di governo litigiose tra loro. Lo stesso avviene anche negli Stati Uniti, dove si è accentuata una divisione fra ricchi e poveri, fra aree metropolitane e campagne, tra bianchi e neri, tra colti e incolti. Nel Paese non c’è più la speranza di poter migliorare la propria condizione e passare a una categoria superiore.

Pensiamo anche al problema che più angoscia l’Italia oggi: la sanità, cioè la salute dei cittadini. La disuguaglianza nella ricchezza e le difficoltà di bilancio dello Stato stanno facendo cadere un grande strumento di fraternità che è il welfare sociale. Uno spezzettamento della società che si ritrova anche negli altri Paesi europei. Stiamo costruendo strutture politiche, sociali ed economiche che generano divisioni, scomponendo ancor di più la società.

Come comporre, allora, la fraternità nell’ambito di un Paese? Oltre alla redistribuzione del reddito, c’è da considerare il crollo delle strutture intermedie della società, ossia la delegittimazione e il venir meno delle rappresentanze sindacali, produttive e culturali. Qui si sono davvero rotti i ponti! Cioè ogni forma di intermediazione. E questo va assolutamente ricomposto, per creare una classe dirigente e politica che abbia il senso complessivo della società. Cerchiamo il leader solitario perché non esistono più forme rappresentative, quali il partito, il sindacato... imperfetti quanto si vuole, creavano però quella composizione che generava una vera leadership.

In Italia, inoltre, siamo vittime di una pessima legge elettorale che rompe per definizione il rapporto fra il rappresentante del popolo e il Paese. I parlamentari vengono eletti sostanzialmente dai vertici dei partiti. E non hanno più alcun rapporto diretto con il territorio. Dopodiché se arriva un leader autoritario, tutti esultano, perché almeno decide e ci toglie dalla frammentazione. Paradossalmente, prima abbiamo demolito le reti democratiche e poi facciamo appello all’autorità superiore!

La stessa cosa sta avvenendo a livello europeo. Dove si sta imponendo la visione dei singoli Paesi, rappresentati da Consiglio, a scapito della visione unitaria propria della Commissione europea, organismo sovranazionale. Se poi si aggiunge il diritto di veto di ogni singolo Paese, allora siamo alla paralisi totale dell’Europa. La democrazia europea si sta auto suicidando con delle regole che sono per una casta chiusa, non per l’apertura agli altri. Il diritto di veto va abolito, a favore di decisioni prese a maggioranza. Altrimenti l’Europa resterà paralizzata.

Infine, se a Bruxelles si può solo mediare e non decidere, perché i giovani dovrebbero abbracciare l’Europa e non gli estremismi o i nazionalismi? E perché non dovrebbero astenersi alle elezioni? L’Unione europea ha bisogno di avere obiettivi comuni, e la possibilità di poterli raggiungere. Perché sono alla sua portata. Romano Prodi, Vita Past. aprile

 

 

 

 

 

Il disprezzo di Trump

 

Lo scandalo Signalgate e la guerra dei dazi, che vede l’Ue tra i target principali di Washington, hanno confermato ciò che gli europei già sapevano: il disprezzo dell’amministrazione Trump per l’Europa è profondo e la frattura transatlantica è strutturale. 

I leader europei sperano ancora di evitare gli scenari peggiori, come un’invasione della Groenlandia o il ritiro delle truppe Usa dalla Nato. Si concentrano soprattutto sul garantire che, se (o forse quando) gli Stati Uniti abbandoneranno Kyiv, sarà l’Europa collettivamente a riuscire a garantire un’Ucraina libera, indipendente e democratica. Ma non bisogna illudersi che ciò avvenga lavorando in sinergia con Washington o addirittura con la sua tacita approvazione.

Il Signalgate è stato prevedibile e scioccante, ma non sorprendente: l’astio verso l’Europa emerso nella chat riservata del team di sicurezza Usa rispecchia le dichiarazioni pubbliche dell’amministrazione. La coerenza è evidente: Washington vede l’Europa come obsoleta, arrogante e parassitaria. Ciò che è sconvolgente, tuttavia, è che gli Stati Uniti non si limitano a considerare l’Europa come moribonda: i funzionari di Trump sembrano voler contribuire alla sua morte. Per Washington, attaccare gli Houthi nel Mar Rosso sarebbe nell’interesse della sicurezza nazionale americana. Eppure, proprio il fatto che tale azione aiuterebbe anche l’Europa viene considerato un motivo valido per metterla in discussione. Il vantaggio di contrastare una minaccia diretta agli Usa viene messo in dubbio dal solo fatto che ne beneficerebbero anche gli europei.

Le componenti del disprezzo

Questo disprezzo ha tre importanti implicazioni politiche per l’Europa. In primo luogo, il commercio. Trump ha annunciato la sua guerra commerciale contro i Paesi che, secondo lui, “fregano” l’economia statunitense. Nessuna simpatia o amicizia storica potrà attenuare la dimensione Usa-Ue di questa guerra. L’imposizione del 20% di dazi su tutte le esportazioni europee agli Stati Uniti, oltre a quelle già imposte su acciaio, alluminio e automobili, ne è la testimonianza concreta. Tuttavia, la gestione della politica commerciale per i 27 Stati membri è una competenza esclusiva dell’Ue e il blocco ha un peso economico combinato che gli Stati Uniti non possono ignorare. In questo confronto, i danni saranno reciproci. Con un’Europa unita sul commercio, come sulla regolamentazione della tecnologia, gli Usa non potranno agire in modo predatorio nonostante il loro odio irrazionale. Alla fine, Washington dovrà adottare un approccio pragmatico e cercare un accordo con Bruxelles. 

In secondo luogo, Trump ha più volte ribadito le sue mire sulla Groenlandia. La controversa visita di Vance all’isola e le sue critiche alla Danimarca segnalano un’intensificazione delle pressioni americane. Tuttavia, la reazione inizia a farsi sentire efficace: dopo le critiche, il viaggio è stato frettolosamente modificato escludendo la capitale Nuuk e limitandosi a una remota base militare statunitense nell’estremo nord del territorio. La prima ministra danese, Mette Frederiksen, ha accusato gli Stati Uniti di “pressioni inaccettabili“, ma spetterà agli altri leader europei sostenerla. Quanto più gli europei si mostreranno deboli e pusillanimi, tanto più le pressioni degli Stati Uniti si aggraveranno.

Infine, e soprattutto, l’Ucraina. I Paesi volenterosi, guidati da Emmanuel Macron e Keir Starmer, insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, stanno elaborando piani di sostegno all’Ucraina. Ma appare sempre più evidente che dovranno farlo non solo senza il sostegno militare degli Stati Uniti, ma forse anche contro di essi. Mentre l’Europa pianifica un maggiore sostegno economico-militare e una “forza di rassicurazione” per addestrare e assistere le forze ucraine nella protezione delle città e delle infrastrutture, dovrà accettare l’assenza di una garanzia statunitense. Naturalmente, è opportuno continuare a coinvolgere gli Usa nelle varie discussioni, in particolare sulla condivisione di informazioni e sul supporto logistico. Tuttavia, se Washington continuerà a mettersi di traverso, Europa e Ucraina dovranno farne a meno. 

Sulle sanzioni alla Russia, l’Europa dovrà probabilmente agire in contrapposizione agli Usa. La strategia di Vladimir Putin è ovvia: subordinare il cessate il fuoco alla fine del sostegno occidentale e alla revoca delle sanzioni. Molto probabilmente l’amministrazione americana asseconderà il Cremlino e farà pressione sugli europei affinché seguano il suo esempio, dipingendoli come ostacoli alla pace.

Finora i governi europei hanno tenuto duro, respingendo le richieste russe di sospendere le sanzioni finanziarie sul settore agroalimentare come precondizione per un cessate il fuoco nel Mar Nero. L’Europa deve essere pronta a resistere anche alle pressioni americane.

Opporsi alla prepotenza degli Stati Uniti non è solo una buona politica, ma anche politicamente vantaggioso. Con fermezza, coraggio e cortesia, l’Europa dovrebbe semplicemente andare per la sua strada. Nathalie Tocci, Aff.Int. 8

 

 

 

 

Von der Leyen alla guerra dei dazi. “Difenderemo i nostri interessi”

 

Le ritorsioni commerciali di Trump rischiamo di generare pesanti contraccolpi in Europa su imprese, lavoratori, consumatori. La presidente della Commissione non chiude le porte al negoziato, ma prova a far sentire la voce dei Ventisette. Intanto rafforza i legami con altri partner economici e punta a mettere al sicuro il mercato unico - di Gianni Borsa

La “guerra commerciale” mobilita Ursula von der Leyen. Che prova a rispondere, a nome dei Ventisette, alle decisioni di Donald Trump. I dazi, prima minacciati poi effettivamente imposti, dall’amministrazione americana sui beni strumentali e sui prodotti europei, sta surriscaldando i mercati e – se si continuerà su questa linea – le ricadute su imprese, lavoratori e consumatori potrebbero essere pesanti. Inflazione compresa perché, come va dicendo da tempo la presidente della Commissione, “i dazi sono tasse” che gravano sull’attività economica e, infine, sulle famiglie.

Una nota a sé merita il fatto che Trump non se la prende solo con gli ex amici europei, ma alza barriere anche verso altri partner commerciali, non ultima la potente Cina.

“Abbiamo tutto ciò che è necessario per proteggere la nostra gente e la nostra prosperità”, ha affermato martedì 1° aprile Ursula von der Leyen, intervenendo alla sessione plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo. Parole che hanno preso di mira i dazi statunitensi, in vigore dal 2 aprile. A suo avviso “molti europei si sentono completamente scoraggiati dagli annunci degli Stati Uniti. Ma voglio essere chiara: non è stata l’Europa ad aver dato inizio a questo scontro”. Per poi aggiungere: “Noi pensiamo che sia sbagliato”. Per questo l’Ue deve mettere in atto delle contromosse, in tre direzioni, basandosi, come dice la presidente, su “tre pilastri: rimaniamo aperti a un negoziato; continueremo a differenziare il nostro commercio con altri partner” (al momento l’Ue ha accordi commerciali con 76 Paesi, e ora si punta su India, Sudafrica, Indonesia, Thailandia e la stessa Cina); inoltre “raddoppieremo gli sforzi profusi per rafforzare il mercato unico”.

“Il nostro messaggio è chiaro: l’Europa è disponibile, affidabile e aperta per fare affari. Abbiamo il più grande mercato unico al mondo. Abbiamo la forza di negoziare”. Perché, comunque, lo “stile” dell’Ue è negoziale. Eppure Von der Leyen – impegnata, come tutta l’Ue, su ben altro fronte, quello della guerra in Ucraina e sul piano di riarmo – prova a essere perentoria: “I cittadini europei dovrebbero sapere che insieme ci batteremo sempre per l’Europa. […] Difenderemo i nostri valori e i nostri interessi. […] Il sogno di un’Europa unita era nato per smantellare le barriere, eliminare dazi, creare un mercato unico. Abbiamo costruito in 70 anni legami forti anche con gli Usa, questo ha creato benessere”. Ma ora da Washington arrivano i dazi (peraltro non proprio una novità nella politica trumpiana…).

“I dazi sono tasse che pagheranno i cittadini, e aumenteranno l’inflazione, con ripercussioni sul lavoro. Creando un mostro di procedure doganali e nessuno ne ha bisogno”.

Proseguendo il ragionamento sulla guerra commerciale e le contromisure Ue, la presidente precisa: “Mi sono già messa in contatto con i nostri capi di Stato e di governo sui prossimi passi”, già sapendo di ulteriori dazi da oltre oceano (puntualmente annunciati da Trump il 3 aprile). L’obiettivo rimane una soluzione negoziata. “Questo scontro non è nell’interesse di nessuno” e “la relazione commerciale transatlantica è la più grande e più prospera relazione commerciale al mondo. Staremmo tutti meglio se potessimo trovare una soluzione costruttiva”. Posizione piuttosto chiara di fronte a un futuro incerto. Sir 4

 

 

 

 

Ora una risposta comune

 

All’indomani dell’elezione di Donald Trump, alcuni osservatori europei si affrettarono a spiegare che le preoccupazioni per le dichiarazioni incendiarie del presidente eletto erano infondate, dato che esse rientravano in una logica strettamente elettorale e sarebbero state quindi ridimensionate dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Altri raccomandarono di non sottovalutare i progetti trumpiani, in particolare quelli relativi al commercio e alla sicurezza, e le loro conseguenze. Ora dovrebbe essere abbastanza chiaro chi aveva ragione.   

I dazi americani sono arrivati, come preannunciato, e assestano un colpo durissimo alle economie di avversari e alleati. Si salva solo la Russia, mentre gli stessi Stati Uniti pagano subito un prezzo molto elevato. Si valutano le risposte più adeguate, si arriva anche a mettere a fuoco una soluzione ideale, un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, anche se è di là da venire. Suona come una voce fuori dal coro dell’Europa, oggi in preda alle preoccupazioni e all’incredulità, dopo gli annunci con cui Trump ha festeggiato a suo modo “il giorno della liberazione”. Robert Habeck, vice cancelliere e ministro dell’Economia, assegna all’Europa un obiettivo di lungo periodo – un accordo ambizioso, di mutuo interesse per i due lati dell’Atlantico. Non importa che tra qualche settimana non sarà più membro del governo tedesco, quel che rileva è la volontà di reazione del Paese europeo più colpito dai dazi americani e l’impegno a definire un’agenda efficace a tutela dei propri interessi, molto consistenti. 

Occorre un’Unione europea coesa

Se si seguisse la logica, si dovrebbe andare verso una liberalizzazione degli scambi tra due aree economiche già così integrate e imponenti nel mondo. Ma Trump la vede in un altro modo: fissa dazi punitivi a destra e a manca, sconvolge i commerci senza distinguere tra avversari e alleati e senza battere ciglio davanti al costo salato imposto agli stessi Stati Uniti (aumento dei prezzi, inflazione etc.). Per una possibile risposta europea, è da considerare la necessità di una reazione coesa e unitaria dell’Ue, mentre sono da scongiurare ogni furbesca scorciatoia nazionale, foriera di complicazioni ulteriori del quadro, non soltanto economico. L’Europa deve essere capace di dare segnali di fermezza, di predisporre misure adeguate, non fini a sé stesse, non per rappresaglia, bensì come leva per riavviare il dialogo e negoziati indispensabili con gli Stati Uniti. Se possibile, occorrerà ricostituire la fiducia e l’equilibrio. In ogni caso, per sedersi al tavolo della trattativa occorre avere qualche buona carta in mano.

Lo sconcertante spettacolo offerto mercoledì scorso da Donald Trump dal Giardino delle Rose della Casa Bianca e le sue interpretazioni autentiche non sembrano preludere a immediate aperture negoziali né a proiezioni di lungo periodo, addirittura con una meta ideale di libero scambio. Comunque, gli europei cominciano a trarre qualche lezione dalla doccia fredda, attesa, di Washington. Nessuno vuole una guerra commerciale senza precedenti con gli Stati Uniti, il dialogo va ricercato ancor più quando l’orizzonte si rabbuia. L’Europa dovrà serrare i ranghi con misure ben calibrate per avviare su quella base un negoziato, per quanto teso, non per aumentare le tensioni e rischiare una spirale di ritorsioni fuori controllo. Saranno di aiuto anche un’opportuna diversificazione e l’aumento degli scambi europei con Mercosur, Messico e India. 

Vari leader europei e la presidente della Commissione hanno parlato con chiarezza. I dazi di Trump assestano “un colpo durissimo” all’economia mondiale e anche a quella americana, come confermato da tutti gli indicatori. L’Europa, il più grande mercato del mondo, è ancora disorientata di fronte all’abbandono da parte del suo più antico alleato. Oggi si patisce nel commercio, domani il prezzo sarà da pagare nel campo della difesa e sicurezza. Gli avvertimenti non sono mancati. 

Per i dazi, non ci si dovrebbe sorprendere che essi siano diretti senza distinzioni a tutti gli europei. Non sono solo i trattati a imporre una risposta comune dell’Ue, ma la necessità di essere ascoltati ed efficaci. Certo, sull’amministrazione americana potrebbe pesare anche la pressione dissuasiva di settori dell’economia Usa fortemente penalizzati. Tuttavia la difesa dei propri interessi non può essere delegata ad altri né si può sperare in ravvedimenti provvidenziali. Fermezza e dialogo sono gli strumenti necessari in una situazione grave e di estrema incertezza, sempre gravida di rischi pesanti nell’economia e nella politica internazionale. Per questo occorre scongiurarla con ogni mezzo, riconoscendo che chi si spinge fino a considerare l’emergenza come un’“opportunità” si illude e illude pericolosamente quanti cercano invece risposte razionali.

Michele Valensise, Aff.Int. 8

 

 

 

 

 

Un altro passo avanti verso un’Unione europea più resiliente

 

Il territorio europeo è colpito sempre più spesso da emergenze di diversa natura: inondazioni e terremoti, incidenti industriali e atti intenzionali, e più recentemente la pandemia da Covid-19. A questi si sono aggiunte azioni di guerra ibrida che mirano a colpire tutti i livelli della società, le sue istituzioni e infrastrutture, con l’obiettivo di causare l’interruzione dei servizi vitali. Inoltre, più recentemente, il conflitto in Ucraina ha riportato da un lato il rischio dell’arma atomica, e dall’altro la possibilità che materiali pericolosi di diversa natura possano diffondersi in aree popolate. Questi episodi dimostrano un’evoluzione delle minacce verso eventi spesso considerati improbabili. Si tratta, inoltre, di emergenze con gravi conseguenze che superano i confini nazionali e richiedono il coordinamento tra più attori. Ne emerge la necessità di un rinnovato dibattito sulla preparazione della società alle crisi e di un sistema adeguato a non farci cogliere impreparati di fronte alle minacce attuali e alle crisi future nelle loro molteplici dimensioni.

Le iniziative europee nella gestione delle emergenze

L’Ue ha adottato negli anni numerose iniziative volte ad aumentare il sostegno europeo, incoraggiare la collaborazione e coordinare l’assistenza tra gli Stati membri. Fra queste, va ricordato il Meccanismo di Protezione Civile dell’Ue (EU Civil Protection Mechanism – EUCPM), lanciato nel 2001 e basato sulla condivisione di risorse quali equipaggiamenti, mezzi e personale, messi volontariamente a disposizione dagli Stati partecipanti. Nel 2019, l’EUPCM è stato ulteriormente rafforzato da rescEU, una programma di scorte aggiuntive (fra cui articoli medici e dispositivi di protezione) finanziate al 100% dall’Ue.

A livello nazionale, alcuni Stati membri si contraddistinguono, inoltre, per il loro approccio onnicomprensivo alla sicurezza, che si riflette in misure locali indirizzate a tutta la società. Ne sono un esempio la Finlandia e la Svezia, le cui politiche di resilienza comprendono corsi erogati a livello nazionale e regionale per insegnare la preparazione e la difesa civile, rivolti al settore privato e alle organizzazioni della società civile, ai giornalisti e ai media. Particolare attenzione è data al mantenimento dell’autosufficienza dei cittadini in situazioni di emergenza, istruiti su come affrontare in modo autonomo una crisi, anche in assenza di assistenza statale.

La Preparedness Union Strategy

L’approccio onnicomprensivo e l’importanza di coinvolgere maggiormente i cittadini nella costruzione della sicurezza, sono alcuni dei punti chiave del rapporto elaboratolo scorso ottobre dall’ex Presidente finlandese, Sauli Niinistö, nel suo ruolo di Special Adviser alla Presidente della Commissione europea. Il rapporto ha fornito, a sua volta, la base della Strategia europea Preparedness Union Strategy presentata lo scorso 26 marzo 2025.

La Strategia comprende 30 azioni chiave che gli Stati membri dell’Ue devono intraprendere per aumentare il loro livello di preparazione (“preparedness”) contro potenziali crisi future, dalle catastrofi naturali agli incidenti industriali, agli attacchi informatici e militari. Il documento comprende un Piano d’Azione per promuovere gli obiettivi di resilienza dell’Unione, nonché per sviluppare una cultura della preparazione fin dalla pianificazione di tutte le politiche dell’UE.

La Strategia si basa su tre pilastri: un approccio integrato a tutti i rischi (multi-hazard approach), un approccio che coinvolge gli attori governativi di tutti i livelli di governo (whole-of-government) e un approccio che coinvolga l’intera società (whole-of-society), riunendo privati, società civile, imprese, oltre che la comunità scientifica e accademica.

Questo triplice approccio è necessario per raggiungere gli obiettivi chiave della Strategia. Tali obiettivi comprendono: la protezione e il mantenimento delle funzioni essenziali della società, anche tramite la fornitura di scorte aggiuntive a quelle del già citato programma rescEU, a livello nazionale, o nella forma accordi con il settore privato; il rafforzamento del coordinamento della risposta alle crisi; l’aumento delle capacità di valutazione e prevenzione della minaccia; l’aumento della cooperazione pubblico-privata e civile-militare; e l’adozione di misure di preparedness per tutta la popolazione, inclusa una formazione dedicata nelle scuole.

Come ricordato dalla Presidente Von der Leyen, i cittadini, che Stati membri e le imprese hanno bisogno degli strumenti giusti sia per prevenire le crisi che per reagire rapidamente. Chiunque si trovi un territorio a rischio, deve essere formato e preparato in quanto esso stesso attore di sicurezza. Da questa consapevolezza deriva una delle azioni che ci riguarda i cittadini più da vicino, ovvero la disponibilità di kit di emergenza che consentano ai singoli di essere autosufficienti per un minimo di 72 ore. È prevista, inoltre, l’elaborazione di una valutazione dei rischi e delle minacce entro il 2026 e l’istituzione di Centro di coordinamento delle crisi dell’Ue, che dovrebbe migliorare l’integrazione fra i centri di coordinamento europei già esistenti.

Con la Preparedness Union Strategy, l’Ue, che da anni svolge un ruolo cruciale nella protezione e nell’assistenza alle persone e ai paesi colpiti da gravi emergenze, si sta evolvendo di fronte alla crescente evidenza che le crisi richiedono azioni e di prevenzione e preparazione mirate, forti e coordinate. Un approccio a livello europeo svolge e continuerà a svolgere un ruolo chiave nell’armonizzare le capacità di gestione delle crisi, facilitando il coordinamento e sostenendo lo sviluppo coerente di programmi. Allo stesso modo, è fondamentale una gestione delle crisi flessibile, che unisca una componente sovranazionale al ruolo dello Stato e del singolo cittadino, come fornitori ed attori di sicurezza. AffInt 27.3.

 

 

 

 

Trump alza i dazi: tassi alti e inflazione in agguato

 

I nuovi dazi introdotti dagli Stati Uniti e le reazioni dei Paesi colpiti rischiano di alimentare l’inflazione, rallentare i consumi e aumentare i costi produttivi, con effetti negativi su prestiti, investimenti, imprese e occupazione a livello globale – di Paolo Zucca

Dazio chiama inflazione. L’introduzione di nuove tasse doganali all’import da parte dell’amministrazione Trump, con la conseguente analoga controffensiva dei Paesi colpiti, non è una buona notizia per chi ha prestiti in corso perché manterrà alti i tassi di interesse. Neppure per gli imprenditori che chiedono finanziamenti per sviluppare le loro attività e magari assumere personale. Produrrà costi aggiuntivi e quindi rischi di inflazione. Almeno per i prossimi mesi prevarrà la prudenza: pochi tagli o nessun taglio da parte delle Banche centrali, in attesa di misurare l’altezza dell’onda provocata dai decreti esecutivi firmati dal nuovo presidente Usa.

Ai prodotti europei verrà imposto un onere aggiuntivo del 20%, un 25% per le auto prodotte all’estero e 34% per i prodotti cinesi.

L’effetto immediato dei nuovi dazi (subito sulle auto estere, nei prossimi giorni per gli altri) è però tanto facile da annunciare in TV quanto difficile da gestire nelle imprese. Vale per gli Usa, per l’Europa, la Cina e tutti quanti sono coinvolti nel regolamento dei conti fiscale planetario. La serata del Liberation Day preannuncia l’irrigidimento dei rapporti commerciali, crea freddezza diplomatica, alimenta voglie di rivalsa. Lavora sul rancore di chi si chiude nei propri confini. Il contrario di un corretto libero scambio che favorisce i rapporti tra i popoli secondo il detto: “Dove passano le merci non passano i carri armati”.

Ma cosa potrà produrre la nottata dei dazi istantanei, degli ordini esecutivi? Nell’immediato, soprattutto incertezza, scossoni ai consumi e sovraccosti nelle catene di approvvigionamento delle produzioni. Un’auto o un impianto di macchine utensili è frutto di acquisti di componenti da fornitori stranieri, non immediatamente sostituibili con un fornitore nazionale.

Almeno per alcuni mesi le componenti intermedie della manifattura resteranno le stesse, con prezzi però gravati da un onere imprevisto. Maggiori costi che verranno scaricati sui prezzi, e per questo l’inflazione Usa, ma anche quella delle grandi aree economiche, tornerà sotto pressione. A febbraio l’aumento dei prezzi americani era del 2,8% rispetto al 3% di gennaio (2,2% a marzo in Europa). La tendenza al calo non è scontata, neppure l’entità di un riaccendersi del costo della vita, perché dipenderà dal comportamento delle imprese e dei consumatori. Investire in un capannone o in un nuovo elettrodomestico necessita di scenari prevedibili e sereni. Sono quelli che mancano in queste ore. Sir 3

 

 

 

 

Nuovi equilibri e squilibri istituzionali nell’Unione europea

 

La nuova legislatura europea che si è aperta lo scorso dicembre è caratterizzata da una serie di nuovi equilibri e squilibri istituzionali, che hanno determinato nuove dinamiche. Sarà vitale, per l’Unione europea, trovare il modo di funzionare e di mantenere l’unità interna anche in questa situazione e durante una fase di grandi mutamenti internazionali.

Se guardiamo all’interno delle istituzioni, le elezioni europee e quelle nazionali che si sono susseguite nel super anno elettorale del 2024 (con la coda di quelle tedesche del 2025) hanno fatto registrare un consenso crescente per forze radicali ed euroscettiche che influenzano le maggioranze al Parlamento europeo, ma anche l’agenda della Commissione e del Consiglio europeo. 

Al Parlamento europeo ha sostanzialmente tenuto una maggioranza centrista, moderata e pro-europea, formata dal Partito Popolare Europeo (PPE), dai Socialisti e Democratici, dai Liberali e dai Verdi. Questa stessa coalizione ha eletto Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato come Presidente della Commissione europea con 401 voti, una quarantina in più del minimo necessario. Quasi tutti i partiti estremisti hanno votato contro di lei, segnando una chiara linea di demarcazione tra maggioranza e opposizione. L’opposizione resta divisa tra il gruppo dei “Conservatori e Riformisti Europei” (ECR) guidato fino allo scorso anno da Giorgia Meloni, il neonato gruppo “Patrioti per l’Europa”, al quale appartiene anche la Lega, e il gruppo “Europa delle nazioni sovrane” guidato da Alternative für Deutschland (AfD). Per tenere salda la maggioranza, è stato applicato il “cordone sanitario”, che impedisce ai rappresentanti dei “Patrioti per l’Europa” e dell’”Europa delle nazioni sovrane” – ma non a ECR – di assumere posizioni rilevanti nelle commissioni del Parlamento europeo. Allineamenti alternativi alla maggioranza, in particolare tra PPE e ECR, si sono già verificati, ad esempio per il rinvio e l’indebolimento della legge sulla deforestazione nel novembre 2024, e non è escluso che si ripetano nel corso di questa legislatura. 

Mutano le diverse composizioni degli organi politici

Anche al Consiglio europeo si registra uno spostamento a destra. Con le elezioni in Belgio e in Germania, il numero dei rappresentanti di ECR equivale a quello dei rappresentanti dei Socialisti e Democratici, mentre la maggioranza resta salda in capo al PPE. Trovare il consenso a 27 sta diventando sempre più complicato, tant’è vero che negli ultimi Vertici è stato necessario ricorrere ad espedienti di vario tipo per far passare decisioni necessarie ed urgenti: ad esempio quando il leader ungherese Orban è uscito dalla sala per permettere al Consiglio europeo di votare l’avvio dei negoziati di adesione di Kyiv, oppure allegando alle conclusioni formali dei Vertici le deliberazioni sul sostegno all’Ucraina concordate a 26, di nuovo senza l’Ungheria. E questa tendenza è destinata ad accentuarsi nella prospettiva di un ulteriore allargamento. 

L’attivismo estremo della Commissione

Anche la composizione della nuova Commissione voluta dalla Presidente von der Leyen presenta alcuni elementi nuovi, tra i quali il più evidente è un’estrema frammentazione delle competenze tra i Commissari sui principali dossier. Ne sono un esempio il Clean Industrial Deal, che ricade sotto ben tre Commissari: Teresa Ribera, Vicepresidente esecutiva per la transizione pulita, giusta e competitiva, Stéphane Séjourné, Vicepresidente esecutivo per la prosperità e la strategia industriale e Wopke Hoekstra, Commissario per il clima, l’azzeramento delle emissioni nette e la crescita pulita. Oppure il Libro Bianco sulla Difesa, che è nelle mani di Kaja Kallas, vicepresidente, Alta rappresentate per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Andrius Kubilius, Commissario per la difesa e lo spazio. Di recente, il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha promosso un’interrogazione in cui si contesta che “non esiste un Commissario designato con un portafoglio chiaro per il mercato interno e la tutela dei consumatori”. Avere incarichi in parte sovrapponibili e con obiettivi comuni rende poco chiari i limiti entro i quali ciascun Commissario riesce ad operare, e finisce per accentrare il processo decisionale nelle mani della Presidente von der Leyen. Questa tendenza è stata confermata anche dalla decisione di von der Leyen di istituire 14 “Gruppi di progetto” composti dai diversi Commissari che si occupano di definire iniziative e coordinare il lavoro nelle diverse aree prioritarie d’azione della Commissione. 

Questo marcato rafforzamento delle prerogative della Presidente della Commissione sta influenzando anche le dinamiche inter-istituzionali, realizzando fughe in avanti potenzialmente anche a scapito dei centri di potere intergovernativi. Un ambito in cui questo è particolarmente marcato è quello della difesa, un settore che è ancora di competenza prevalentemente nazionale e in cui le principali decisioni sono soggette alla regola del consenso in sede in Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea. La Commissione, sfruttando al massimo le sue prerogative in tema di politica industriale della difesa, ha prima istituito il nuovo ruolo di Commissario per la difesa e ha poi proposto due iniziative di primo piano per rispondere alle esigenze di un maggiore impegno europeo: il piano RearmEu, poi ridenominato Readiness 2030, e il Libro Bianco sulla Difesa. Gli Stati membri riuniti in Consiglio e Consiglio europeo hanno reagito sostenendo queste iniziative, ma avanzando anche diverse critiche e richieste di modifica. In generale, quello che emerge è un attivismo estremo della Commissione, senza però una chiara copertura politica dei 27 Stati membri. Invece di tradursi in un rafforzamento della dimensione sovranazionale delle politiche europee, l’attivismo della Commissione rischia di produrre un disequilibrio nell’architettura istituzionale e in un mancato impegno politico da parte delle capitali in iniziative comuni, aumentando le già significative spinte centrifughe che arrivano da dentro e da fuori l’Unione.

Per resistere all’impatto di queste trasformazioni, la nuova leadership europea dovrebbe imparare rapidamente a navigare nel nuovo ambiente politico e pensare seriamente di mettere in cantiere una serie di riforme istituzionali quanto mai necessarie per superare lo stallo nel processo decisionale intergovernativo, riformare la composizione della Commissione anche con un ridimensionamento del numero dei Commissari, bilanciare in modo più funzionale le prerogative delle diverse istituzioni. Insomma, in questa legislatura l’Unione europea si muove in bilico tra nuovi equilibri e rischi di frammentazione. Alla fine, come sempre, la funzionalità delle procedure decisionali e la chiara definizione delle rispettive responsabilità saranno essenziali per realizzare le politiche nei vari settori e sostenere la competitività europea. Jean Monnet diceva: “Niente è possibile senza gli uomini, niente dura senza le istituzioni”. Nicoletta Pirozzi, Aff.Int. 8

 

 

 

 

 

Guerra Commerciale: scontro tra Stati Uniti, Cina ed Europa. Minaccia alla stabilità mondiale

 

"Quando le merci non attraversano le frontiere, lo faranno gli eserciti." (Frédéric Bastiat)

Il clima economico globale si fa sempre più teso. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’intenzione di aumentare drasticamente i dazi sulle importazioni cinesi, portandoli fino al 104%, a partire dal 9 aprile. Questa mossa rappresenta una risposta diretta alle recenti ritorsioni della Cina, che ha imposto tariffe del 34% su una vasta gamma di prodotti americani, incluse tecnologie, agroalimentare e beni manifatturieri.

La Cina risponde con fermezza

Pechino ha reagito duramente, accusando gli Stati Uniti di alimentare un conflitto economico senza precedenti. Il Ministero del Commercio cinese ha definito le nuove misure come “un’aggressione deliberata al sistema commerciale multilaterale” e ha promesso ulteriori contromisure. I media statali cinesi, nel frattempo, hanno rilanciato una narrativa patriottica per sostenere le aziende nazionali, suggerendo che il Paese è pronto a sostenere “una lunga resistenza economica”.

L’Unione Europea nel mezzo della contesa

Anche l’Europa si trova coinvolta. La Commissione Europea, con la presidente Ursula von der Leyen in prima linea, ha proposto un accordo per l’eliminazione reciproca dei dazi industriali con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha rifiutato l’offerta, accusando l’UE di dipendenza energetica da Russia e Cina, e invitandola ad acquistare energia e beni tecnologici dagli USA. In risposta, Bruxelles ha preparato una lista di prodotti americani da colpire con dazi, pronti a scattare in caso di ulteriori pressioni commerciali.

Mercati in allarme e rischio recessione

Le tensioni hanno immediatamente colpito i mercati finanziari. Le borse europee e asiatiche hanno registrato cali sensibili, e Wall Street ha aperto in forte ribasso. Il prezzo del petrolio è salito, mentre le catene di approvvigionamento globali mostrano segni di nuova instabilità.

Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, ha avvertito: “Una guerra commerciale tra le principali economie mondiali potrebbe mettere in crisi la ripresa globale post-COVID e spingerci verso una nuova recessione.” L’investitore Bill Ackman ha aggiunto: “Stiamo giocando con il fuoco. Le barriere commerciali sono un boomerang economico.”

Ripercussioni sull’Italia e sul Made in Europe

In Italia, le associazioni di categoria lanciano l’allarme. Settori come agroalimentare, moda, automotive e meccanica rischiano di subire contraccolpi importanti. Le esportazioni verso gli Stati Uniti e la Cina sono tra le più colpite, con piccole e medie imprese italiane in prima linea nel chiedere misure compensative e supporto diplomatico.

Prospettive Future e Possibili Vie d’Uscita

Nonostante la tensione, alcuni spiragli rimangono. Negli USA, consiglieri moderati della Casa Bianca stanno sondando canali di dialogo, anche attraverso paesi terzi come Singapore o Corea del Sud. L’Europa, dal canto suo, punta a mantenere una posizione negoziale e propone nuove regole globali per il commercio.

Possibili scenari nei prossimi mesi:

1. Escalation incontrollata: l’inasprimento dei dazi potrebbe portare a una paralisi del commercio globale, blocchi industriali e carenza di beni.

2. Accordi settoriali: soluzioni temporanee in ambiti specifici (energia, semiconduttori, agricoltura) per ridurre le tensioni.

3. Nuovo ordine commerciale globale: l’idea di un vertice multilaterale sul commercio prende piede, con l’OMC in cerca di rilancio.

4. Blocchi regionali: se il dialogo fallisce, potremmo assistere a una nuova frammentazione economica, con la nascita di blocchi indipendenti in Asia, America Latina e Africa.

Nel pieno di questa tempesta commerciale, la comunità internazionale guarda con preoccupazione all'evoluzione dei prossimi giorni. Le decisioni che verranno prese da Washington, Pechino e Bruxelles non riguardano solo i dazi, ma il futuro stesso dell'economia globale. Come ammoniva Bastiat, “quando le merci non attraversano le frontiere, lo faranno gli eserciti”, un monito che, oggi più che mai, non possiamo permetterci di ignorare.

Le nostre azioni determinano ciò che siamo. Questo è il messaggio che emerge con forza in un contesto internazionale sempre più frammentato. Le scelte economiche e politiche di oggi plasmano il futuro delle nazioni, ma anche la nostra stessa identità come società globale. Ignorare le conseguenze di azioni irrazionali potrebbe significare non solo un ritorno a vecchie tensioni geopolitiche, ma anche la minaccia di perdere il controllo del nostro destino economico. Carlo Di Stanislao, de.i.press 8

 

 

 

 

 

Raggiunto in Germani l’accordo di coalizione

 

Nei colloqui di coalizione, che si sono tenuti dal 13 marzo, è stato raggiunto un accordo tra l’Unione Cristiano Democratica (CDU e CSU) e i Socialdemocratici (SPD). Dopo che l’Unione di CDU e CSU ha vinto le elezioni anticipate per il parlamento tedesco il 23 febbraio, i colloqui con l’SPD, iniziati a febbraio, si sono conclusi il 9 aprile. Ora, i congressi della CDU e dell’SPD devono approvare la proposta, come ha già fatto ufficialmente la CSU il 10 aprile.

L’accordo di coalizione si concentra sulla sicurezza interna e sull’immigrazione, oltre che sull’economia e sulla stabilità democratica. Nei colloqui esplorativi, i partiti avevano concordato un pacchetto di debito per la difesa e le infrastrutture che avrebbe consentito al nuovo governo federale di contrarre un debito di miliardi.

Sono stati concordati anche i diversi ministeri che ciascun partito fornirà. Alla CDU andranno sette ministeri, tra cui il ministero dell’Economia e degli Esteri. Anche l’SPD avrà sette ministeri, tra cui il ministero del Lavoro e delle Finanze. Alla CSU andranno il ministero dell’Interno e della Comunità, dell’Istruzione e della Ricerca, e quello dell’Alimentazione e dell’Agricoltura. [1]

I partiti di opposizione

Altri partiti politici criticano l’accordo. La Sinistra definisce l’accordo un “documento di ignoranza” poiché non affronta le grandi sfide di oggi come la solidarietà sociale, l’aumento degli affitti, la distruzione del pianeta e le crisi internazionali. Per il partito l’accordo di coalizione manca di “soluzioni reali”. [2]

Il partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) definisce l’accordo un “certificato di resa” dell’Unione. Secondo Alice Weidel, leader dell’AfD, l’accordo è chiaramente influenzato dall’SPD e dal partito dei Verdi che agiscono dietro le quinte. Inoltre, le grandi questioni relative alla migrazione e all’energia rimangono senza risposta e la coalizione è una “coalizione di bugie e un cordone sanitario”. [2]

Il partito dei Verdi, membro della precedente coalizione guidata dal cancelliere Scholz, critica anche la mancanza di interesse per le grandi sfide, come il cambiamento climatico. In materia di giustizia sociale, non c’è nulla da aspettarsi dal nuovo governo. Potranno anche avere i soldi per realizzare le idee, ma non hanno idee che valga la pena realizzare. [2]

Voci cattoliche

La Chiesa cattolica in Germania ha mostrato reazioni contrastanti. Il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK) ha avuto una reazione complessivamente positiva. L’accordo di coalizione mostra una concentrazione su “sicurezza interna, sviluppo economico e investimenti in una società giusta e diversificata”. Accolto con favore è stato anche il rapido accordo tra i partiti. Il prossimo passo sarebbe quello di formare rapidamente un governo funzionante – ha detto il Presidente dello ZdK. Allo stesso tempo, si aspettano che il governo difenda l’importanza del diritto internazionale e metta al loro posto coloro che credono nella legge del più forte.

Mentre il sostegno e il rafforzamento della democrazia sono un gradito obiettivo della coalizione, l’indebolimento previsto della legge sulla catena di approvvigionamento, il ritorno al rimborso del gasolio agricolo e i piani di politica migratoria non sono in linea con lo ZdK e incontrano le loro critiche. [3]

L’organizzazione per gli aiuti allo sviluppo Misereor accoglie con favore il proseguimento del Ministero della Cooperazione Economica e dello Sviluppo come segnale di sviluppo, pace e impegno per la lotta alla fame e alla povertà. Allo stesso tempo, Misereor fa appello al governo affinché non effettui ulteriori tagli al bilancio della cooperazione allo sviluppo. I tagli ai finanziamenti indebolirebbero la lotta contro la crisi climatica, la fame, la povertà e le malattie. L’indebolimento della legge sulla catena di approvvigionamento è un altro punto di critica. [3]

Il direttore del Jesuit Refugee Service (JRS) ha definito l’accordo di coalizione un “disastro annunciato”. In particolare, lo preoccupano i cambiamenti nella politica migratoria, poiché mettono a repentaglio la coesione sociale emarginando rifugiati e migranti senza risolvere alcun problema. [3]

[1] Schwarz-rote Koalition: News zur neuen Bundesregierung. | ZEIT ONLINE

[2] Koalitionsvertrag: Linke kritisiert Koalitionsvertrag als “Dokument der Ignoranz” | ZEIT ONLINE

[3] Lob und Kritik: Kirchliche Stimmen zum Koalitionsvertrag – katholisch.de Laura Welle, Sett.News 12

 

 

 

 

 

La visione di politica globale del nuovo governo tedesco

 

I negoziati per la formazione della nuova coalizione di governo in Germania procedono spediti, anche a causa di un quadro internazionale che reclama con sempre maggiore urgenza una leadership chiara e forte. In particolare, il concretizzarsi della sfida trumpiana al sistema delle relazioni economiche internazionali aggiunge un ulteriore fattore di urgenza a quello legato al progetto di riarmo europeo. 

Coerentemente con il quadro emerso all’indomani delle elezioni, si configura una coalizione a due – CDU/CSU e SPD – che porrà all’opposizione un ventaglio di partiti che va dai Verdi ad AfD passando per la Linke. Si tratterà dunque di una coalizione che non potrà sicuramente essere definita come “grande” ma che certamente dovrebbe presentare minori problemi gestionali della defunta coalizione semaforo, che aveva posto un vero e proprio problema dei tre corpi, finendo per logorare soprattutto il maggiore, l’SPD, e il suo leader, Olaf Scholz. In questi giorni le trattative tra le due forze principali si stanno intensificando, anche se il raggiungimento di un accordo per la fine di aprile sembra davvero difficile, con una maggiore fiducia per i primi giorni di maggio. 

Ha avuto molta eco la convergenza espressa da socialdemocratici e cristiano-democratici per la riforma delle regole di finanza, che sono state fatte votare dal parlamento uscente e che permetteranno al governo tedesco un maggiore margine di manovra su tematiche strategiche. In questo senso, l’impegno per il riarmo e la continuazione del sostegno all’Ucraina rappresenta la premessa attraverso cui cementificare l’intesa. 

Restano però molti fattori divisivi legati soprattutto alle diverse visioni dell’economia e dello sviluppo del paese, al momento alle prese con una contrazione economica che va governata e trasformata in un volano di crescita. A dividere molto è il tema della detassazione: mentre la CDU preme per un taglio immediato delle tasse sulle aziende, per i socialdemocratici questo obiettivo va raggiunto in un orizzonte più ampio, quello del 2029. Si tratta di divisioni di sostanza ma anche di forma: su questi temi infatti i partiti mettono in gioco la loro identità e la loro visione della società. 

Diversi punti di frattura

In realtà, il tema del rilancio dell’economia è molto più complesso e va oltre le divisioni più classiche su tasse e occupazione. La futura Groko dovrà infatti mettere a punto un programma per modernizzare un’economia che, nell’ultimo decennio, non ha saputo effettivamente rinnovarsi. Vi è un ritardo infrastrutturale rilevante, basti guardare al comparto ferroviario. Vi è poi una questione energetica aperta: è diffusa l’idea che la svolta green che il paese ha compiuto sia stata mal pensata e mal gestita. Vi è poi un discorso più generale di innovazione e di adeguamento di una legislazione che con il tempo si è fatta più complessa e farraginosa. Questo processo di riforma si intreccia e si sovrappone con le politiche in materia portate avanti dall’Unione europea, dall’Omnibus Simplification Package ad altri macro-provvedimenti che andranno rapportati e integrati con le strategie nazionali.

Tutti questi temi, che dovranno necessariamente trovare una sintesi nella piattaforma politica del nuovo governo, andranno poi a sommarsi alla nuova visione strategica che il governo dovrà definire, innanzitutto nei confronti dei tre attori globali principali: Russia, Cina e Stati Uniti. Questi ultimi pongono un duplice problema: da un lato quello di ripensare (e, se necessario, integrare) il dialogo transatlantico, dall’altro quello di evitare che il vuoto di potere generato dalla ritrazione di Washington in diverse aree geografiche sia colmato dagli altri, in particolare da Pechino. In questo senso un aspetto molto importante da monitorare sarà la visione di politica globale del nuovo governo, con un’attenzione specifica alle politiche di aiuto allo sviluppo. Inizialmente si pensava che il nuovo governo tedesco avrebbe tagliato questa voce per dare priorità ad altro, ma oggi ci si chiede se questo sia possibile per evitare che la Cina subentri nel controllo di aree e ambiti economici strategici.

Federico Niglia, AffInt 15

 

 

 

 

I Referendum abrogativi 2025 in Italia

 

ROMA – Per cosa si vota?

Con i Decreti del Presidente della Repubblica del 31/03 2025, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 75, del 31/03/2025, sono stati indetti 5 referendum popolari abrogativi per:

* Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana.

* Contratto di lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione.

* Piccole imprese – licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale.

* Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi.

* Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione.

Chi può votare all’estero?

Gli elettori iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), che ricevono direttamente il plico elettorale al proprio indirizzo di residenza all’estero

Gli italiani temporaneamente all’estero per almeno tre mesi, esclusivamente per motivi di lavoro, studio o cure mediche, e i familiari con essi conviventi all’estero.

Attenzione: l’elettore temporaneamente all’estero deve presentare apposita richiesta al Comune italiano di residenza entro il 7 maggio per ricevere il plico elettorale.

Quando si vota?

In Italia si vota domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025.

Gli elettori all’estero votano in anticipo, per corrispondenza. I plichi verranno spediti all’indirizzo di residenza entro il 21 maggio.

Attenzione: gli elettori che entro il 25 maggio non abbiano ancora ricevuto il plico elettorale potranno contattare il proprio ufficio consolare per ottenere il duplicato.

Come si vota?

Il voto avviene per corrispondenza. Le schede dovranno essere rispedite al consolato seguendo attentamente le indicazioni del foglio informativo presente nel plico elettorale ed utilizzando unicamente il materiale con esso fornito. Saranno trasmesse in Italia per lo scrutinio solamente le schede votate recapitate all’ufficio consolare di riferimento entro e non oltre le ore 16 locali di giovedì 5 giugno. (www.esteri.it)

Si ricorda che il voto è un diritto tutelato dalla Costituzione Italiana e che, in base alla Legge 27 dicembre 2001, n. 459, i cittadini italiani residenti all’estero, iscritti nelle liste elettorali, possono votare per posta, ricevendo il plico elettorale al proprio indirizzo di residenza. A tal fine, si raccomanda di controllare e regolarizzare la propria situazione anagrafica e di indirizzo presso l’Ufficio consolare competente, utilizzando preferibilmente il portale online dei servizi consolari Fast It.

 

In alternativa al voto per corrispondenza, gli elettori iscritti all’AIRE possono scegliere di votare in Italia presso il proprio comune di iscrizione elettorale, comunicando per iscritto la propria scelta (opzione) al Consolato entro il 10° giorno successivo alla indizione delle votazioni. Gli elettori che scelgono di votare in Italia in occasione della prossima consultazione referendaria riceveranno dai rispettivi Comuni italiani la cartolina-avviso per votare presso i seggi elettorali in Italia. La scelta (opzione) di votare in Italia vale solo per la consultazione referendaria rispetto alla quale è espressa.

 

Si ribadisce che in ogni caso l’opzione deve pervenire all’Ufficio consolare non oltre i dieci giorni successivi a quello dell’indizione delle votazioni, ovvero entro il giorno 10/04/2025. Tale comunicazione può essere scritta su carta semplice e - per essere valida - deve contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, luogo di residenza e firma dell’elettore, accompagnata da copia di un documento di identità del dichiarante.

 

Per tale comunicazione si può anche utilizzare l’apposito modulo scaricabile dal sito web del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (www.esteri.it) o da quello del proprio Ufficio consolare di riferimento. Il modulo, debitamente compilato, firmato e accompagnato da un documento d’identità, può essere consegnato/inviato presso l’Ufficio consolare competente:

a mano; per posta; per posta elettronica ordinaria; per posta elettronica certificata.

 

Come prescritto dalla normativa vigente, sarà cura degli elettori verificare che la comunicazione di opzione spedita per posta sia stata ricevuta in tempo utile dal proprio Ufficio consolare. Le richieste pervenute oltre il termine sopra indicato non potranno essere ritenute valide. La scelta di votare in Italia può essere successivamente revocata con una comunicazione scritta da inviare o consegnare all’Ufficio consolare con le stesse modalità ed entro la stessa data prevista per l’esercizio dell’opzione.

 

Se si sceglie di rientrare in Italia per votare, la Legge non prevede alcun tipo di rimborso per le spese di viaggio sostenute, ma solo agevolazioni tariffarie all’interno del territorio italiano.

Vi invitiamo a contattare l’Ufficio consolare competente per qualunque dubbio o domanda. De.it.press 10

 

 

 

 

 

Partita in Germania la campagna per il "Sì" ai 5 referendum

 

Berlino - Il Pd Germania ha preso parte il 4 e 5 aprile a Wolfsburg e a Berlino al'inizio della Campagna Referendaria per il "Sì" ai 5 quesiti per cui si voterà i prossimi 8 e 9 giugno. Obiettivo della campagna: chiamare i cittadini italiani all'estero a partecipare per dire stop ai licenziamenti illegittimi, per tutelare i/le lavoratori/trici delle piccole imprese, per la riduzione del lavoro precario, per più sicurezza sul lavoro, e per ottenere la cittadinanza italiana con 5 anni di residenza legale.

"Il voto dell'8 e 9 giugno sarà un momento importantissimo per gli italiani per manifestare, attraverso la principale forma di democrazia diretta di cui dispongono, la loro volontà di riconoscere diritti fondamentali del e nel lavoro e diritti di cittadinanza a chi vive e lavora in Italia - ha spiegato il coordinamento tedesco per i referendum -. Il voto è la nostra rivolta per cambiare l'Italia e renderla un paese migliore".

Se ne è discusso dunque presso la casa del sindacato dell’IG Metall, a Wolfsburg, il 4 aprile, alle ore 16.30 nella sala Otto Brenner, con Giovanni Cotugno, Segretario Generale FIOM CGIL Emilia-Romagna, Lina Rossetti, Delegata FIOM in Ducati Motor, coordinatrice internazionale dei lavoratori, di Ducati e componente del Consiglio mondiale dei lavoratori VW, Volker Telljohann, IRES CGIL Emilia-Romagna, Deepika Salhan, Co-presidente Comitato Referendum Cittadinanza e Presidenta dalla, parte giusta della storia, e Michele Bulgarelli, Segretario Generale CGIL Bologna.

Il giorno dopo, il 5 aprile, alle 14.30 il coordinamento ha aperto la campagna anche a Berlino, a AWO Begengnungszentrum, con il contributo di Gianni Corugno Segr. Gen. FIOM Emilia Romagna, Bruna Rossetti Delegata FIOM Ducati, cons. mondiale. Volkswagen, e Deepika Salhan Co-presidente Comitato Referendum Cittadinanza.

L'Assemblea poteva essere seguita on line attraverso Zoom. (aise/dip 6) 

 

 

 

Riunito a Saarlouis l’Intercomites Germania

 

Saarlouis. Il 29 e 30 marzo scorsi, l’Intercomites Germania si è riunito, insieme agli eletti al CGIE per la Germania, a Saarlouis, nella sala ricevimenti del Comune della città per la prima delle due riunioni periodiche dell’Intercomites che sono programmate ogni anno. Durante la due giorni, sono stati trattati diversi temi tutti strettamente aderenti alle problematiche degli italiani in Germania.

Presente alla riunione, in rappresentanza dell’Ambasciata, la Consigliera Anna Bertoglio. Inoltre, è intervenuto da remoto anche il Console Generale di Francoforte, Massimo Darchini, e il Comites del Lussemburgo.

Durante un collegamento online con l’Intercomites Francia, riunito a Lione con la presenza della Segretaria Generale del CGIE, Maria Chiara Prodi, si è constatato che i principali problemi e le relative iniziative sono comuni e condivisi.

Domenica mattina la riunione è stata aperta dal Presidente della Provincia di Saarlouis, Patrik Lauer, che ha ricordato in maniera appassionata il contributo italiano non solo alla comunità locale, ma anche allo spirito europeo, all’essere stati tra i fondatori del concetto di Europa unita.

Inoltre, toccante è stata l’apertura dei lavori dedicata a Michele Schiavone, ex Segretario Generale del CGIE, a un anno dalla sua scomparsa. La Coordinatrice dell’Intercomites Germania e presidente del Comites di Colonia, Simonetta del Favero, in un clima di forte commozione ha dato lettura di un ricordo in sua memoria scritto dal Consigliere del CGIE e componente per l’Europa e l’Africa del Nord del Comitato di Presidenza, Tommaso Conte.

Entrando nel vivo dei lavori, la Consigliera Bertoglio ha aggiornato i dati a disposizione sui servizi consolari. La comunità italiana in Germania si conferma in costante crescita ed estremamente mobile, sia da che verso l’Italia, sia all’interno della Germania che verso altre nazioni europee. Si conferma una comunità giovane e molto dinamica, a quanto spigato da Bertoglio. A fronte di questa situazione lo stato dei servizi consolari ha raggiunto un livello ottimale in alcune circoscrizioni; per alcune circoscrizioni i presidenti hanno riportato ancora difficoltà e ritardi per ottenere appuntamenti per carte d’identità e passaporti. Tenuto conto che le carte d’identità cartacee perderanno la loro validità dal 3 agosto del 2026, la consigliera si è augurata che i consolati dove permangono ritardi seguano a breve gli esempi di quelli più virtuosi.

La parte centrale della discussione si è svolta attorno al tema della legge finanziaria e delle conseguenze in buona parte negative per gli italiani all’estero. La finanziaria per il 2025 ha garantito un leggero aumento dei contributi per alcuni Comites, seppure in maniera diseguale e non comprensibile, tanto che alcuni Comites dovranno richiedere dei finanziamenti integrativi ritrovandosi nella stessa situazione del 2024. Anche quest’anno alcuni Presidenti dovranno anticipare risorse di tasca propria per coprire le spese dei primi mesi dell’anno. Una situazione che non può più essere accettata. “Era stato garantito che per il finanziamento 2025 si sarebbe tenuta in considerazione anche la copertura delle spese di gestione, ma non è stato così per tutti i Comites”, spiegano dall’Intercomites. I criteri di assegnazione delle risorse sono cambiati e danno ora un peso maggiore alla popolazione residente nella circoscrizione oltre alla considerazione delle spese di gestione sostenute. “Resta da comprendere che fine devono fare i Comites che si trovano su territori con meno popolazione residente e che con la loro attività però sostengono tanti connazionali che risiedono a centinaia di chilometri dalla sede del Consolato e hanno difficoltà ad accedere ai servizi consolari”. L’impegno, ora, per i Comites “più piccoli” è in continuo aumento mentre le disponibilità finanziarie loro stanziate rimangono da anni sempre le stesse e inferiori alle spese regolarmente rendicontate ogni anno nei bilanci consuntivi.

La stessa legge ha prodotto un danno grave a tutti i pensionati con pensione uguale o superiore alla minima, che rimane bloccata nella sua rivalutazione di adeguamento all’inflazione. Su questo è stato fatto il punto sull’iniziativa promossa dall’Intercomites Germania e sulla diffusione della campagna che ha raggiunto anche l’Australia e l’Ungheria e che sta avendo una buona risonanza. In collegamento da Lione, Toni Ricciardi, unico rappresentante presente tra gli eletti all’estero, ha confermato di essere a conoscenza di iniziative legali allo studio da parte di sindacati di pensionati e di patronati. La via legale pare al momento l’unica percorribile. I Comites della Germania si sono quindi impegnati alla massima diffusione di azioni e iniziative, oltre a tutte le informazioni necessarie per aderire.

Si è brevemente discusso della recentissima nuova legge sulla cittadinanza italiana. Benché questa problematica sia sentita soprattutto nei Paesi del continente americano, i consiglieri italo-tedeschi hanno concordato che il provvedimento rischia di colpire in maniera indiscriminata, rescindendo anche i legami con comunità lontane e di antica emigrazione e mettendo in discussione anche il concetto di identità culturale.

La discussione si è poi spostata sulla drammatica situazione degli enti gestori dei corsi di lingua e cultura, messi in fortissima difficoltà da una crescente iperburocratizzazione a fronte invece di una totale assenza di indicazioni e direttive per una politica culturale in favore della lingua italiana, sia per gli alunni italiani che per quelli, non pochi, stranieri, sia, soprattutto, per i nuovi giovani in età scolare in arrivo dall’Italia. L’Intercomites ha quindi chiesto una maggiore azione di coordinamento da parte dell’Ambasciata su obiettivi comuni per non perdere questa rete che raggiunge famiglie fin nei territori più lontani. La consigliera Bertoglio ha dunque confermato che è allo studio il passaggio della gestione dei corsi alla Direzione Generale per gli Italiani all’Estero, come da tempo richiesto dal CGIE e dai Comites, il che rappresenterebbe un segno di maggiore attenzione per la comunità e, soprattutto, la possibilità di interagire con un interlocutore, data la totale mancanza di risposte da parte della Direzione Generale per la diplomazia pubblica e culturale che gestisce ora i corsi.

Sono stati in seguito trattati altri temi come lo stato della guida “Primi passi in Germania”, ormai giunta alla correzione delle bozze e prossima alla pubblicazione, uno strumento indispensabile per chi è appena arrivato in Germania e per chi dall’Italia sta pensando di trasferirsi in questo paese.

Infine, si è verificato lo stato delle varie iniziative per il 70° Anniversario della firma degli accordi tra Italia e Germania sull’emigrazione.

In chiusura di lavori, l’Intercomites ha anche ricordato l’importante momento di coordinamento consolare che si terrà a Berlino il prossimo 24 maggio dove la comunità italiana, attraverso i suoi rappresentanti, incontrerà il nuovo Ambasciatore d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci, mentre il prossimo incontro di coordinamento dei Comites è previsto per i giorni 7 e 8 novembre 2025 a Dortmund. (aise/dip 4)

 

 

 

 

Berlino: la ministra Locatelli ospite in Ambasciata

 

La ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, è stata ospite dell’Ambasciata d’Italia a Berlino, dove si è recata in occasione del “Global Disability Summit”.

Locatelli ha partecipato in particolare alla sessione inaugurale alla quale sono intervenuti anche Nawaf Kabbara, presidente di International Disability Alliance (IDA), Olaf Scholz, cancelliere della Repubblica Federale di Germania, Abdullah II ibn Al Hussein, Re del Regno Hashemita di Giordania, e Amina Mohammed, vice segretaria generale delle Nazioni Unite.

La ministra ha poi preso parte nel pomeriggio di ieri, 2 aprile, all’evento “Building future-ready, inclusive infrastructure for all – News challenges & local solutions”, e oggi, 3 aprile, a “Technology, Innovation and Entrepreneurship: Supporting Independent Living for Persons with Disability”, organizzato dalla Lega Araba in collaborazione con IDA, la Arab Organization for Persons with Disabilities (AOPD) e lo Executive Bureau of the Gulf Cooperation Council Ministers of Labor and Social Affairs.

La ministra Locatelli è inoltre intervenuta sul tema “Empowering Independent Living through Policy: Italy’s Commitment to Innovation for Persons with Disabilities”.

Nella serata di ieri Locatelli è stata ospite dell’ambasciatore d’Italia a Berlino, Fabrizio Bucci, che ha accolto la ministra, assieme al commissario governativo per le questioni relative a persone con disabilità, Jürgen Dusel, con un ricevimento in Residenza. (aise/dip 3)

 

 

 

 

Criminalità in calo in Germania, ma la violenza aumenta

 

Meno crimini, ma più pericolo nelle strade. La nuova Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) 2024, presentata dalla Ministra dell’Interno Nancy Faeser, mostra una realtà complessa: il numero totale dei reati è diminuito dell’1,7%, ma la violenza è in crescita. Accoltellamenti, stupri e aggressioni sono aumentati, trasformando le città tedesche in scenari sempre più insicuri – di Licia Linardi

La Ministra federale dell’Interno, Nancy Faeser, il Senatore per gli Affari Interni della città Anseatica di Brema, Ulrich Mäurer, e il Presidente dell’Ufficio Federale di Polizia Criminale (BKA), Holger Münch, hanno presentato a Berlino la Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) 2024, il rapporto annuale sulla criminalità in Germania.

I dati mostrano un quadro complesso: da un lato, il numero complessivo dei reati è diminuito dell’1,7% rispetto all’anno precedente, con circa 5,84 milioni di crimini registrati. Dall’altro, però, la violenza è in aumento, con un incremento del 1,5% dei reati violenti, che hanno raggiunto quota 217.277 casi. Preoccupante la crescita dei crimini sessuali e degli attacchi con armi da taglio.

Dietro questi numeri si nasconde un quadro allarmante: quasi 600 crimini violenti al giorno, un’escalation di attacchi con armi da taglio e una criminalità sessuale in continua crescita. La politica reagisce con nuove leggi e misure drastiche, come il divieto di coltelli nei luoghi pubblici, l’inasprimento delle espulsioni per criminali stranieri e l’introduzione del braccialetto elettronico per gli aggressori domestici.

Uno dei principali fattori che hanno determinato la riduzione complessiva della criminalità è stata la parziale legalizzazione della cannabis, entrata in vigore il 1° aprile 2024. La depenalizzazione del possesso e della coltivazione per uso personale ha fatto sì che molte infrazioni legate alla droga non fossero più perseguibili penalmente, riducendo così il numero di reati registrati.

Tuttavia, mentre i reati legati alla cannabis sono diminuiti, sono aumentati quelli connessi a droghe sintetiche come LSD e nuove sostanze psicoattive, un fenomeno su cui le autorità stanno ponendo particolare attenzione.

Uno dei dati più allarmanti del rapporto riguarda l’aumento della violenza, in particolare gli attacchi con coltelli. Nel 2024 si sono verificati 15.741 accoltellamenti, pari al 7,2% di tutti i reati violenti.

Per contrastare questo fenomeno, il governo ha adottato nuove misure restrittive, come il divieto di porto di coltelli su mezzi pubblici, in eventi di massa e in luoghi ad alto rischio. Questi divieti possono ora essere controllati senza necessità di sospetti specifici, per garantire una maggiore efficacia nella loro applicazione.

La Ministra dell’Interno Nancy Faeser ha dichiarato: “Ogni giorno la polizia registra circa 600 crimini violenti in Germania. Abbiamo introdotto divieti rigorosi sul porto di coltelli negli spazi pubblici e stiamo lavorando per farli rispettare. Non esiste alcuna giustificazione per la violenza. Chi commette reati deve affrontare conseguenze rapide e severe.”

Un altro aspetto particolarmente preoccupante della PKS 2024 riguarda l’aumento delle violenze sessuali, tra cui stupri e molestie. Secondo la Ministra Faeser, il sistema di protezione e supporto per le vittime deve essere rafforzato: “Abbiamo bisogno di un sistema di protezione più efficace per le donne vittime di violenza. Chiedo con urgenza l’introduzione del braccialetto elettronico per impedire agli aggressori di avvicinarsi alle loro vittime.”

L’uso del braccialetto elettronico per il monitoraggio dei colpevoli di violenza domestica è già stato adottato in Spagna con risultati positivi. Ulrich Mäurer, presidente della Conferenza dei Ministri degli Interni (IMK), ha proposto di inserire questa misura nel Gewaltschutzgesetz (Legge sulla protezione dalla violenza) per garantire maggiore sicurezza alle donne minacciate da ex partner violenti.

Inoltre, è stato varato un nuovo Gewalthilfegesetz (Legge per l’assistenza alle vittime di violenza) che garantisce consulenza e protezione gratuite alle donne vittime di aggressioni. Un primo esempio concreto di questa iniziativa è il centro di supporto aperto 24 ore su 24 alla stazione di Berlino Ostbahnhof, dove agenti specializzati forniscono assistenza immediata e raccolgono denunce.

Un altro tema centrale del rapporto è la presenza di stranieri tra i sospettati. Secondo i dati, oltre un terzo dei sospettati non possiede la cittadinanza tedesca.

La Ministra Faeser ha sottolineato l’importanza di un’azione più severa nei confronti degli stranieri colpevoli di reati gravi: “Abbiamo inasprito le leggi per aumentare le espulsioni. Oggi il numero delle deportazioni è del 55% più alto rispetto a due anni fa.”

Le nuove misure includono:

– Aumento del periodo massimo di trattenimento in attesa di espulsione da 10 a 28 giorni

– Maggiori poteri di perquisizione nelle strutture di accoglienza

– Possibilità di espellere i detenuti senza preavviso

Secondo il Senatore Mäurer, la gestione della criminalità tra i migranti deve considerare anche fattori sociali e psicologici, come i traumi vissuti da rifugiati e richiedenti asilo. Per questo, ha sottolineato la necessità di un miglior coordinamento tra polizia, sanità e servizi sociali, per prevenire atti violenti e tragedie come quelle avvenute a Magdeburgo e Aschaffenburg.

Il rapporto evidenzia anche una diminuzione del numero di minori coinvolti in reati, ma un aumento della violenza tra bambini e adolescenti:

– Tatverdächtige Kinder (sospetti minori di 14 anni): -2,3% (101.886 casi)

– Tatverdächtige Jugendliche (sospetti tra 14 e 18 anni): -6,9% (192.863 casi)

– Violenza minorile: +11,3% tra i bambini, +3,8% tra gli adolescenti

Secondo il presidente del BKA Holger Münch, le cause possono essere legate agli effetti a lungo termine delle restrizioni Covid-19, che hanno aumentato il disagio psicologico e la propensione alla violenza nei più giovani. Il BKA ha annunciato nuovi studi per analizzare meglio il fenomeno.

La PKS 2024 evidenzia progressi nella riduzione complessiva della criminalità, ma mostra anche nuove sfide da affrontare, come l’aumento della violenza, dei crimini sessuali e delle aggressioni con coltelli.

Le misure adottate, come i divieti di porto d’armi da taglio, il rafforzamento delle espulsioni e il sostegno alle vittime di violenza, sono passi importanti. Tuttavia, secondo gli esperti, serviranno ulteriori interventi per prevenire la criminalità giovanile e affrontare le radici sociali della violenza.

La sicurezza in Germania resta una priorità, e la sfida per le autorità è garantire risposte efficaci senza compromettere i diritti fondamentali dei cittadini.

Ma basterà? Mentre le autorità cercano di contenere l’ondata di violenza, emergono interrogativi più profondi: perché i giovani sono sempre più inclini alla brutalità? Cosa sta spingendo le città tedesche verso un clima di paura? La Germania è a un bivio tra sicurezza e libertà, e la risposta a queste sfide definirà il futuro della società tedesca. CdI on. 4

 

 

 

 

Brevi di cronaca e politica tedesca

 

Governo: si forma l’alleanza “nero-rossa”

Il suo titolo è “Responsabilità per la Germania”. Nel programma di 140 pagine si legge che “le politiche dei prossimi anni avranno un ruolo decisivo nel determinare se in futuro continueremo a vivere in una Germania libera, sicura, giusta e prospera”. Il leader della CDU Friedrich Merz definisce l’accordo un “segnale forte” per i cittadini e per l’Europa, per questo i partiti moderati di centro sono “in grado di risolvere i problemi”. Dopo tutte le controversie politiche delle ultime settimane, il Cancelliere designato si mostra fiducioso: “La Germania avrà un governo capace di agire e fermo nelle sue azioni”.

La lista del futuro Cancelliere Merz prevede: incentivi per l’economia; riduzione dell’imposta sul reddito delle società; abbassamento delle tasse per i redditi medio-bassi; maggiori spese per la difesa; un nuovo modello di servizio militare obbligatorio; respingimenti più frequenti di migranti irregolari alle frontiere, rilascio dei visti  sottoposto a controlli più rigidi; la cittadinanza tedesca sarà possibile solo dopo cinque anni, non dopo tre; i rifugiati ucraini non riceveranno più l’indennità di cittadinanza; gli indirizzi IP dovranno essere conservati per tre mesi per motivi di sicurezza; istituzione di un Consiglio di sicurezza nazionale; abolizione del reddito di cittadinanza; salario minimo fissato a 15 euro; rimozione degli ostacoli burocratici e digitalizzazione dell’amministrazione; sgravi fiscali per i consumatori per far fronte ai costi elevati dell’elettricità.

Il leader dell’SPD Lars Klingbeil afferma che “l’accordo è soggetto a una riserva finanziaria” e parla di “tempi veramente storici”, con piena consapevolezza della propria responsabilità. Secondo il leader della CSU Markus Söder, “il nuovo accordo di coalizione smarca la Germania dalla difensiva in materia di politica estera”. L’accordo rappresenta quindi anche un “segnale rivolto all’estero, la Germania non è indifesa, prendiamo in mano il nostro destino”. Allo stesso tempo, è un segnale rivolto ai cittadini per dire che “ci prendiamo cura di loro”. Il programma è un mix di “cura di riabilitazione e programma fitness per il nostro Paese”. Il futuro Cancelliere Friedrich Merz ha inviato un messaggio chiaro al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “La Germania è tornata in pista, adempirà ai suoi obblighi in materia di difesa ed è pronta a rafforzare la propria competitività. Questo non vale solo per il nostro Paese. L’Unione Europea e la Germania torneranno a essere un partner molto forte in futuro“. 

 

La tabella di marcia del prossimo governo          

Questa è la tabella di marcia per l’insediamento del nuovo governo: l’SPD ha annunciato che i membri voteranno online sull’accordo di coalizione, cosa che dovrebbe richiedere circa dieci giorni. La CDU deciderà in merito in un congresso di partito ristretto alla fine di aprile. Se CDU, CSU e SPD si troveranno d’accordo, stando ai piani finora fissati il leader della CDU Friedrich Merz potrebbe essere eletto Cancelliere il 7 maggio prossimo. Resta da vedere se otterrà la maggioranza assoluta di 316 voti alla prima votazione. Nel nuovo Bundestag, CDU-CSU e SPD possono contare su 328 deputati. Tuttavia, alcuni deputati dell’SPD hanno annunciato di non voler votare per Merz e anche nelle file di CDU-CSU non mancano le critiche al futuro Cancelliere. In un’eventuale terza votazione basterebbe la maggioranza semplice. Prima dell’elezione del Cancelliere sarà anche necessario fissare i nomi di chi sarà a capo dei dipartimenti ministeriali. Questi vengono nominati dal Presidente dello Stato a seguito dell’elezione del nuovo capo di governo.

Toto-nomi ministeri: ripartizione dei dicasteri: secondo l’accordo di coalizione, che deve essere ancora approvato dai partiti nel contesto di varie procedure, la CDU nomina il Cancelliere federale e il capo della Cancelleria federale.

 

Inoltre, la CDU presiederà i seguenti dicasteri: Economia ed energia, Affari Esteri, Istruzione Famiglia Anziani Donne e Giovani, Salute, Trasporti, Digitalizzazione e modernizzazione dello Stato

 

La CSU sarà a capo dei seguenti ministeri:

• Interni

• Ricerca, tecnologia e spazio

• Alimentazione, agricoltura e territorio

 

I seguenti ministeri andranno all’SPD:

• Finanze

• Giustizia e tutela dei consumatori

• Lavoro e affari sociali

• Difesa

• Ambiente, protezione del clima, tutela ambientale e sicurezza nucleare

• Cooperazione e sviluppo economico

• Alloggi, sviluppo urbano ed edilizia

 

L’SPD cerca nuove Co-presidenti                              

Da alcuni anni i Socialdemocratici hanno un doppio vertice e dopo il pessimo risultato alle ultime elezioni, i candidati della SPD alla presidenza del partito latitano. La Co-presidente Saskia Esken, che appartiene all’ala sinistra del partito, ha intenzione di continuare a ricoprire il ruolo, ma su di lei piovono forti critiche.

L’ex Presidente del Bundestag Bärbel Bas, che ha anche partecipato ai negoziati di coalizione dei vertici della CDU-CSU e dell’SPD, non sembra per il momento rifiutare la carica. In un’intervista, Bas ha lasciato aperta la possibilità di assumere la presidenza del partito: “Non lo dirò qui, ma prenderò questa decisione personale nei prossimi giorni”. 

 

Convention dei Verdi: il partito traccia il bilancio

Alla prima convention dei Verdi dopo le elezioni perse, il candidato alla Cancelleria Robert Habeck ha tracciato un bilancio. Nonostante gli errori della campagna elettorale, ha difeso la sua linea criticando le azioni di CDU-CSU. “È un bene che il partito si prenda ora il tempo per fare autocritica”, anche se osserva che “altri avrebbero probabilmente più motivi per chiedersi cosa sia andato storto nella loro campagna elettorale”. La CDU e la CSU hanno “consapevolmente costruito la loro campagna elettorale su falsità” e ora attraversano una crisi di fiducia. L’ex Vicecancelliere non è riuscito a nascondere la sua amarezza, e rivolgendosi agli elettori della CDU-CSU ha aggiunto che questi “hanno scelto di votare per la delusione”. 

“Dare un nome ai problemi e affermare verità scomode”: è questo l’approccio con cui Habeck descrive il suo lavoro, la cui premessa deve essere di avere “cittadini responsabili capaci di premiare questo approccio”. “Questo mandato non ci è stato conferito” ha affermato, per questo resta da vedere “cosa significhi ciò per i Verdi e per la cultura politica del Paese”. La questione è “se le società aperte siano in grado di risolvere i problemi”. Nella nuova legislatura, oltre all’estrema destra dell’AfD e al partito della Sinistra anche i Verdi siederanno ai banchi dell’opposizione.

 

Questione migratoria: la Germania cancella il programma delle Nazioni Unite

È dal 2012 che la Germania è impegnata ad accogliere i rifugiati delle Nazioni Unite che necessitano di protezione. Ora, per la formazione del nuovo governo, il ministero dell’Interno e l’UNHCR hanno comunicato che per il momento non si assumeranno impegni per le nuove accoglienze legate al programma di reinsediamento con l’UNHCR. Le eccezioni riguarderanno quindi solo le procedure già in stato molto avanzato. Una volta accolti attraverso il programma, i rifugiati non devono più presentare domanda di asilo in Germania, ricevono subito un permesso di soggiorno valido per tre anni e, se la loro integrazione ha successo, hanno la possibilità di stabilirsi in modo permanente. 

Il programma comprende anche l’accoglienza umanitaria dei rifugiati siriani provenienti dalla Turchia, che il Paese aveva concordato con l’UE nel 2016. Oltre al programma di reinsediamento, in Germania esistono altri programmi di accoglienza umanitaria. Dal 2022, la Germania mette a disposizione ogni anno circa 12.000 posti per le persone particolarmente vulnerabili provenienti dall’Afghanistan. Nel loro accordo di coalizione, CDU-CSU e SPD hanno invece concordato di abolire il più possibile i programmi di accoglienza volontaria come questo senza sostituirli.

 

Guerra dei dazi: Audi interrompe l’export negli Stati Uniti

La casa automobilistica di Ingolstadt Audi sospende la fornitura di veicoli negli Stati Uniti a causa dei dazi sulle auto introdotti dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Di conseguenza, tutti i veicoli arrivati negli Stati Uniti dopo il 2 aprile dovranno essere momentaneamente trattenuti e non saranno consegnati ai concessionari, chiamati adesso a concentrarsi sulla riduzione delle scorte. Secondo quanto afferma l’azienda stessa, al momento Audi ha più di 37.000 auto in magazzino negli Stati Uniti che non sono colpite dai nuovi dazi e che possono quindi essere vendute; una quantità questa sufficiente a coprire circa due mesi.

Audi non ha un proprio stabilimento di produzione negli Stati Uniti e deve importare tutti i veicoli. Il bestseller negli Stati Uniti, l’Audi Q5, è prodotta nello stabilimento Audi in Messico, il resto proviene dagli stabilimenti di Germania, Ungheria e Slovacchia. Audi è quindi la prima casa automobilistica tedesca a reagire alla politica dei dazi degli Stati Uniti.

 

Il cardinale Marx paragona Trump a un "padrino mafioso"

Il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e confidente del Papa, ha paragonato la politica di Trump al film “Il Padrino”, dichiarando che “questo è il modo in cui il Presidente Trump sta trattando con i suoi attuali partner in Europa, che sta di fatto ricattando”. Il cardinale Marx in un talk show si è detto “spaventato del fatto che il Presidente degli Stati Uniti possa prendere tali decisioni e invocare lo stato di emergenza”. Il Presidente Trump ha recentemente utilizzato una legge sullo stato di emergenza per imporre dazi sulle importazioni da Paesi come Canada, Messico, Cina e UE. Tra le giustificazioni elencate figurano la minaccia legata ai deficit nella bilancia commerciale, la mancanza di reciprocità nelle relazioni commerciali e gli effetti del traffico di droga.

Il cardinale Marx ha espresso critiche severe nei confronti dell’entourage del Presidente Trump e del Vicepresidente J. D. Vance, responsabili di dare forma a una società più autoritaria: “Similmente al Presidente russo Vladimir Putin, che con l’appoggio della Chiesa ortodossa sta conducendo una guerra santa contro l’Occidente. Lo scopo è quello di dividere l’Europa, e forse ci riuscirà”, questo il timore del cardinale.

 

Luoghi in Germani: Marienplatz di Monaco di Baviera

È considerata il centro della Baviera, da cui (come per il Campidoglio di Roma) vengono misurate tutte le distanze nel Land: stiamo parlando della Colonna della Madonna sulla Marienplatz di Monaco di Baviera, nascosta per mesi da lavori perché gravemente danneggiata da un carrello elevatore durante lo smantellamento del famoso mercatino di Natale. “Gli elementi in pietra naturale interessati sono stati restaurati in un’officina specializzata”, ha comunicato il municipio. “Sebbene fossero gravemente danneggiate, quasi tutte le parti in marmo sono state riassemblate senza grandi danni. Inoltre, sono state eseguite ulteriori procedure di pulizia e conservazione sull’intero monumento, in modo che la Mariensäule possa tornare a mostrarsi in tutto il suo splendore“.

L’edificio risale al 1638, anno in cui il principe elettore Massimiliano I lo fece costruire come segno di ringraziamento per aver risparmiato Monaco e Landshut dalle distruzioni della Guerra dei Trent’anni. Sulla colonna si trova una Madonna dorata, la “Patrona Bavariae”, probabilmente di alcuni decenni antecedente alla colonna stessa, alta circa 12 metri. Il Venerdì Santo, la colonna sarà di nuovo il punto di arrivo della tradizionale processione del Venerdì Santo. 

 

Proseguono i negoziati per la formazione del nuovo governo

I negoziati proseguono per la nota “scrupolosità tedesca” che fa nascere testi con più di 150 pagine: un manuale di istruzioni per quattro anni di governo. L’unico problema è che nell’attuale contesto internazionale i piani corrono il rischio di divenire carta straccia già dopo pochi mesi l’insediamento del governo. I Socialdemocratici, seppur ridotti nei numeri, gravano sulle trattative con richieste sempre nuove, soprattutto nel settore del sociale. Inoltre, l’ala sinistra del partito fa le barricate sulla politica migratoria. Avere quindi un nuovo governo entro Pasqua – questa la dichiarazione del leader della CDU Merz, che vuole vedere la Germania tornare in prima fila a livello internazionale più presto possibile – rimarrà probabilmente un desiderio.

L’elezione del Cancelliere nel Bundestag è prevista all'inizio di maggio perché l’SPD deve prima condurre un lungo sondaggio online tra i suoi membri in merito ai risultati. “Stanno fuori”, queste le parole velenose degli osservatori. “Berlino prolunga la sua pausa dalla politica mondiale, anche se la leadership politica sarebbe l’imperativo urgente del momento”, commenta un importante quotidiano. Tuttavia, gli ultimi sondaggi si esprimono senza mezzi termini: sia CDU-CSU sia SPD perdono il favore degli elettori, mentre l’AfD di estrema destra continua a crescere, avvicinandosi pericolosamente alla CDU e alla CSU.

 

Il diritto all’asilo superato dai tempi                    

Secondo il Presidente dell'“Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati”, Hans-Eckhard Sommer, è necessario un cambiamento radicale per una gestione sostenibile che limiti la migrazione. “È sbagliato attenersi al diritto di asilo individuale e sperare negli effetti positivi della riforma del sistema europeo comune di asilo”, queste le critiche mosse da Sommer nel suo discorso in occasione di un evento della Fondazione Konrad Adenauer sul futuro del diritto di asilo. Secondo le sue stesse parole, sarebbe più sensato sostituire l’attuale sistema con “accoglienze umanitarie di notevole portata numerica”. Oltre agli aspetti umanitari, anche la capacità di integrazione del mercato del lavoro può svolgere un ruolo in questo contesto. “Chi tuttavia entrasse in Germania senza permesso, non avrebbe più alcuna possibilità di ottenere il diritto di rimanere.” L’attuazione è difficile, ma realizzabile: “La politica può fare molto, se solo vuole”. Infine, “anche i rapporti di maggioranza a livello europeo sono cambiati”.

Anche i trattati internazionali, come la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, potrebbero essere modificati. “Bisogna liberarsi dai vecchi schemi di pensiero”, ha esortato Sommer. In considerazione dell’ascesa dei partiti populisti e di estrema destra in Europa, non si può nascondere che lo Stato di diritto democratico “può finire distrutto a causa di questo problema”. I politici dell’SPD e dei Verdi hanno chiesto le dimissione del Presidente Sommer. Gli elogi non sono invece mancati dalla CDU-CSU.

 

Il ministro Baerbock mette in guardia gli USA da Putin

Il ministro degli Esteri Annalena Baerbock mette in guardia gli Stati Uniti dal capo del Cremlino Vladimir Putin nei negoziati con la Russia su un cessate il fuoco in Ucraina. “È Putin che gioca sul tempo, non vuole la pace e continua la sua guerra di aggressione violando il diritto internazionale”. Lo ha dichiarato la politica dei Verdi all’inizio della sua visita di congedo a Kiev. In considerazione della situazione di stallo tra Stati Uniti e Russia, “è assolutamente fondamentale che noi europei dimostriamo di essere al fianco dell’Ucraina senza se e senza ma e che la sosteniamo ora più che mai”.

Secondo quanto affermato dal ministro Baerbock, visti i continui attacchi russi “la Germania metterà a disposizione dell’Ucraina ulteriori 130 milioni di euro in aiuti umanitari e fondi di stabilizzazione”. “L’Ucraina è pronta per un cessate il fuoco immediato”, afferma il ministro, che mette in guardia nuovamente da Putin: “Simula la disponibilità a negoziare, ma non si sposta di un solo millimetro dai suoi obiettivi. Non dobbiamo lasciarci abbagliare da Putin e da chi lo applaude“.

 

L’SPD perde un importante governatore            

I Socialdemocratici perdono uno dei loro più importanti pilastri. Il governatore di lungo corso della Bassa Sassonia Stephan Weil nel corso di una conferenza stampa nella capitale del Land Hannover, ha annunciato il suo ritiro a causa della sua età.

Le sfide dell’incarico continuano a aumentare, e lui stesso soffre di problemi di salute, ha spiegato il politico 66enne dell’SPD, proponendo agli organi dell’SPD l’attuale ministro dell’Economia Olaf Lies per la sua successione. Il passaggio di potere dovrebbe avvenire a metà maggio. Lies è stato a lungo considerato un possibile successore di Weil. Nelle prossime elezioni regionali, l’SPD potrebbe avere filo da torcere in una delle sue ultime roccaforti.

 

Anche in Germania il nuovo nemico si chiama cocaina

Il commissario federale per le droghe del governo rosso-verde uscente ha difeso la parziale legalizzazione della cannabis dalle critiche provenienti soprattutto da CDU-CSU. “La legge sulla cannabis ha dato un importante contributo a un uso più onesto e depenalizzato delle droghe. La destigmatizzazione aiuta a parlare degli effetti del consumo di droghe”, ha dichiarato il politico dell’SPD Burkhard Blienert. Inoltre, “dichiarare guerra alla cannabis non sarebbe efficace alla luce della crescente diffusione di droghe più pesanti. (…) Ciò che dovrebbe preoccuparci al momento è che sempre più giovani ricorrono a droghe più potenti come gli oppioidi sintetici quali tilidina o fentanil”, questo il monito del commissario federale per le droghe. “Rispetto a pochi anni fa, il consumo di coloro che fanno uso di cocaina è più che raddoppiato“. Al momento la cocaina è “il numero uno delle droghe illegali in Germania”. Una tendenza negativa si riscontra anche per quanto riguarda il numero di decessi per droga. Per contrastare questi sviluppi, Blienert ha chiesto “una politica in materia di dipendenze che protegga, aiuti e sostenga, e che non si basi su congetture e pregiudizi, ma sull’evidenza”.

La legalizzazione parziale della cannabis era stata deliberata dal governo della coalizione semaforo ed è entrata in vigore il 1° aprile 2024. Da allora, il possesso e la coltivazione controllata di cannabis per uso privato sono consentiti, ma con numerose restrizioni. Pertanto, il consumo è ancora vietato in gran parte degli spazi pubblici. L’acquisto è legale solo rifornendosi presso associazioni specializzate, il cui numero non può coprire il fabbisogno, motivo per cui molti consumatori continuano a rifornirsi attraverso il mercato nero. CDU-CSU vogliono invece revocare la legge.

 

L’inflazione cala, aumentano i prezzi degli alimentari

Secondo una stima dell’Ufficio nazionale di statistica, l’inflazione in Germania a marzo si è attestata al 2,2%. Di conseguenza, il tasso di inflazione è leggermente diminuito rispetto al mese precedente, quando si attestava al 2,3%. Come si evince dalle cifre, è stato soprattutto l’andamento dei prezzi dell’energia a caratterizzare il lieve calo del tasso di inflazione. Mentre a febbraio questi erano calati dell’1,6% rispetto a un anno prima, nel mese successivo i prezzi sono scesi del 2,8% rispetto a marzo 2024.

Al contrario, i prezzi dei generi alimentari hanno continuato a crescere a un ritmo più elevato rispetto a febbraio: mentre a febbraio gli statistici hanno rilevato un aumento dei prezzi del 2,4% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, a marzo i prodotti alimentari hanno fatto registrare un aumento del 2,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Per quanto riguarda i servizi, il tasso di inflazione è sceso dal 3,8% di febbraio al 3,4% di marzo. Per i consumatori, i prezzi del gas continuano a essere la parte che pesa maggiormente sul portafoglio: basandosi sulle misurazioni della seconda metà del 2021 – il periodo di confronto prima dell’attacco russo all’Ucraina e della successiva crisi energetica – i prezzi del gas per le famiglie sono stati di quasi l’80% superiori rispetto a questo periodo, hanno osservato gli statistici.

 

Calano le vocazioni nella Chiesa cattolica             

Per la prima volta, il numero di cattolici in Germania è sceso sotto la soglia dei 20 milioni. Ma anche il numero di ordinazioni sacerdotali ha raggiunto un minimo storico nel 2024: solo 29 nuovi sacerdoti sono stati ordinati nelle 27 diocesi, il numero più basso dall’inizio delle registrazioni. A titolo di confronto: nel 1962 ci furono 557 ordinazioni, nel 2004 122 e nel 2014 sono state 75. La situazione nelle cinque diocesi della Germania est è particolarmente drammatica. Qui nel 2024 le ordinazioni sono state solo due. In entrambi i casi si tratta di uomini dalla vocazione tardiva con più di 45 anni di età. Le diocesi di Magdeburgo, Dresda-Meissen e Görlitz non hanno potuto presentare neanche un candidato al sacerdozio. Il problema qui è la secolarizzazione profondamente radicata nell’ex DDR: secondo uno studio del 2012, il 59% dei tedeschi dell’est si definisce ateo.

Stando alle statistiche, lo scorso anno in undici delle 27 diocesi tedesche non è stato ordinato alcun sacerdote. Il numero massimo di quattro nuovi sacerdoti è arrivato dalla diocesi di Treviri. La Conferenza Episcopale Tedesca ha pubblicato dati aggiornati sulla selezione di nuovi candidati al sacerdozio, 47 per tutte le diocesi nel 2024. Tuttavia, l’esperienza dimostra che un gran numero di essi non vengono poi ordinati sacerdoti.

 

Luoghi in Germania: Fiera di Hannover                

La capitale del Land della Bassa Sassonia non rientra tra le grandi metropoli tedesche, eppure gode di fama mondiale come sede fieristica. In termini di superficie, la città presenta tra i padiglioni più grandi della Germania.

Al momento è in corso la famosa “Hannover-Messe”, una fiera internazionale dedicata all’ingegneria meccanica e alle attrezzature industriali: un evento irrinunciabile per il settore internazionale e per la città, con mezzo milione di visitatori da tutto il mondo e un indotto di milioni di euro.  Kas 3/12

 

 

 

 

 

 

Berlino. La comunità scientifica italo-tedesca in Ambasciata

 

L’Ambasciata d’Italia a Berlino ha celebrato ieri, 9 aprile, l’ottava edizione della Giornata Nazionale della Ricerca Italiana nel Mondo con un evento dedicato a un tema di grande attualità: i recenti e continui progressi nelle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale.

Durante l’evento intitolato “Artificial Intelligence for Industry: Research, startups and beyond” sono intervenuti fra gli altri: Roberto Scopigno, direttore CNR-ISTI (Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione); Antonio Krüger, amministratore delegato DFKI Deutsches Forschungszentrum für Künstliche Intelligenz (Centro tedesco di ricerca per l’intelligenza artificiale); Antonio Emilio Calegari, direttore AI4I (Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale dell’Industria); Daniele Panfilo, fondatore e amministratore delegato della start up Aindo; Nils Bottler, responsabile Angelini Ventures.

I relatori, insieme agli esponenti del mondo della ricerca, dei programmi governativi di supporto, delle startup e del venture capital, sono intervenuti sul tema in un panel moderato dall’addetto scientifico dell’Ambasciata, Piergiorgio Alotto. In platea anche vari esponenti del network SIGN che raccoglie gli scienziati italiani in Germania.

“Per Paesi come l’Italia e la Germania, che hanno un ricco patrimonio industriale e ecosistemi di ricerca dinamici, l’intelligenza artificiale rappresenta sia una sfida significativa che una straordinaria opportunità di crescita e innovazione”, ha detto l’ambasciatore d’Italia in Germania, Fabrizio Bucci.

Al centro del panel sono state dunque le grandi questioni poste dai più recenti sviluppi della Intelligenza Artificiale: per esempio la concretezza delle aspettative del suo utilizzo nel mondo dell’industria, dell’energia e della sanità; gli ostacoli e le possibilità del suo impiego su larga scala nella produzione industriale, e infine la cooperazione tra industria, il governo e il mondo accademico, anche nel quadro della cooperazione italo tedesca.

L’evento si è concluso con una tavola rotonda tra i relatori. (aise/dip 10)

 

 

 

 

Francoforte. L’audio-tour sul cimitero di guerra di Westhausen: IMI e civili

 

1945-2025 – A 80 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale

Ci è voluto un anno di lavoro e di ricerca negli archivi, raccolta di testimonianze di familiari e di fonti attendibili per preparare l’audio tour del Cimitero militare d’onore di Westhausen dove sono sepolte 4788 vittime della follia nazista. Sono per la maggior parte IMI, internati militari italiani, ma ci sono anche lavoratori e lavoratrici coatti civili, prigionieri politici e persino bambini. L’audio guida virtuale è un progetto della sezione ANPI di Francoforte in collaborazione con il museo storico di Francoforte (Historisches Museum Frakfurt). Nel restituire alla memoria alcune biografie, questo progetto contribuisce a far luce su un capitolo della storia della Seconda guerra mondiale ancora poco conosciuto.

Bisogna andarci apposta al Cimitero militare italiano d’onore di Westhausen perché si trova nella periferia nord, nord-ovest di Francoforte, quartiere di Hausen, penultima stazione della linea 7 della metropolitana. È un grande cimitero immerso nel verde e una lapide posta all’ingresso introduce alla parte destinata a cimitero di guerra, dove dal 1958 riposano in pace le spoglie mortali di italiane e italiani, portate qui dalle regioni vicine. Oggi sono in realtà qualche decina meno di 4788 perché alcuni resti sono stati traslati in Italia ad opera e a spese dei familiari, grazie a una legge di pochi anni fa. In Germania sono quattro i cimiteri di guerra per i 13.000 italiani, soldati e civili, morti sul suolo della Germania occidentale. Gli altri cimiteri sono ad Amburgo, a Berlino e a Monaco.

„Una questione di rispetto umano per queste vite non vissute“ (G. De Simoi)

Ora il cimitero di Westhausen di Francoforte è stato reso più accessibile grazie a questa visita virtuale in dodici tappe, frutto di un accurato lavoro di ricerca che ha portato alla luce e alla memoria alcune biografie, talvolta sono solo tracce di biografie di alcuni dei sepolti al cimitero. Queste tappe sono segnate da fiori di metallo, posti accanto al cippo di pietra e dietro al nome si può ascoltare una storia e seguire il percorso del tour.

Chi sono gli IMI, gli internati militari italiani

„Uno dei giorni più tristi della mia vita è stato, come per altri della mia generazione, l’8° settembre 1943. Una data tragica presto dimenticata dalla leadership politica e militare che ha scatenato l’assurda e inutile seconda guerra mondiale“. Così Luigi Baldan nel suo libro autobiografico, curato insieme al figlio Sandro Lotta per sopravvivere. La mia Resistenza non armata contro il nazifascismo (2007). Luigi Baldan riuscì a scappare dal lager con un amico. Le sue memorie sono una fonte diretta, autorevole e imprescindibile per conoscere le condizioni di vita degli IMI.

Sono i soldati e gli ufficiali italiani che dopo l’armistizio dell’8 settembre, catturati dai nazisti, moltissimi nei Balcani e in Grecia, ma anche in Italia furono fatti prigionieri e portati in 60 lager in tutto il territorio tedesco perché si rifiutarono di combattere con i nazisti e nell’esercito della Repubblica sociale di Salò. In tutto erano 600.000 fra soldati, ufficiali, marinai, avieri, carabinieri, tutti parte dell’esercito italiano. Questo atto di resistenza passiva lo pagarono a prezzo della prigionia e molti di loro con la morte (50.000 in tutto). A loro il regime nazista non riconobbe lo status di prigionieri di guerra per evitare di applicare la convenzione di Ginevra che avrebbe loro garantito un minimo di assistenza sanitaria e di condizioni di vita e di lavoro meno crudeli. La vita nei campi di lavoro e di prigionia fu durissima per gli IMI: poco cibo, indumenti inadatti, poco riposo, quasi nulla era l’assistenza medica e spesso tardiva.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre due milioni di soldati italiani si trovarono allo sbaraglio, abbandonati senza ordini. Di loro un milione furono disarmati, 800.000 furono fatti prigionieri; di questi 186.000 si unirono alla Repubblica sociale di Mussolini, mentre 600.000 furono internati appunto come detto sopra.

Chi sono le altre vittime

Scopriamo seguendo l’audio tour che a Westhausen sono sepolti 60 soldati, del massacro di Kassel (31 marzo 1945).

Oltre al lavoro accurato di ricerca di Roberto Zamboni una fonte importante per l’audio tour è stato il libro di Luigi Baldan e la collaborazione con il figlio Sandro Baldan, recentemente scomparso.

Al cimitero di Westhausen sono sepolti anche lavoratori e lavoratrici civili che dopo l’8 settembre persero tutti i diritti e divennero dei lavoratori coatti. Fra loro, Irene Calciati, che morì sotto le bombe nelle baracche degli italiani (Arbeitserziehungslager) delle Metallwerke nell’ottobre 1944 a Frankfurt-Heddernheim. L’Italia fascista e la Germania nazista infatti stipularono un accordo nel 1938 che permise complessivamente a 500.000 italiani e italiane di andare a lavorare in Germania. Al momento dell’armistizio erano 100.000 i lavoratori e le lavoratrici civili in Germania, dopo l’8 settembre il loro status divenne di lavoratori forzati.

Nel cimitero di guerra di Westhausen sono sepolti anche 20 bambini. L’audio tour ricorda due di loro, i fratelli Heinrich e Valentin Rogger, uccisi nel famigerato Ephata-Heim che eliminava i bambini con disabilità. Sepolti nel cimitero militare italiano d’onore di Westhauser, racconta l’audio guida, anche 80 prigionieri politici. In totale furono 24.000 i deportati politici, uomini e donne, nei lager tedeschi tra il 1943 – 1945.

L’audio tour. Come è nato il progetto fra ANPI Francoforte e Historisches Museum

Il tour virtuale è stato presentato una sala gremita di pubblico nel Museo storico di Francoforte il 28 gennaio scorso e lo si trova nella app gratuita Frankfurt History e fa parte del progetto in fieri „Frankfurt und der NS“.

“Questo progetto” – racconta Rosanna Maccarone (ANPI), che ha lavorato al progetto e co-curato la stesura dei testi dell’audio tour “è nato in modo ‘cospirativo’ (sorride, n.d.r.) perché quello sugli IMI è un capitolo non ancora sufficientemente studiato, sconosciuto ai più, e affidato allo studio e alla cura di alcuni storici appassionati”.

La guida virtuale al cimitero di Westhausen non sarebbe stata possibile senza la sensibilità oltre che la competenza professionale di Angela Jannelli, curatrice del museo storico di Francoforte. E occorre fare un passo indietro al novembre 2022 quando l’Historisches Museum Frankfurt lanciò l’app Frankfurt History, divisa in tre aree tematiche, di cui una è Frankfurt und der NS. Così Angela Jannelli: “Quando abbiamo presentato al pubblico la app c’era Rosanna Maccarone, mi ha detto di essere dell’ANPI, e le ho chiesto se potevamo fare qualche cosa sul cimitero militare di Westhausen. Dopo due settimane mi ha invitata a incontrare il gruppo di lavoro in nuce al Club Voltaire lì è nato il progetto”.

Angela Jannelli, responsabile del progetto, ha indicato dove chiedere finanziamenti, dato la tempistica, strutturato il processo: „ho aiutato nella scelta delle biografie affinché coprissero un buon spettro di informazioni rilevanti“ (A.Jannelli)

Nel gruppo di lavoro ha fatto parte anche Giancarlo De Simoi, conoscitore esperto di storia militare: “L’aspetto che più mi ha appassionato è stato il ricordo di quello che hanno passato questi ragazzi coinvolti in una tragedia assurda ed è anche una questione di rispetto umano per queste vite ‘non vissute’”.

Silvia Zavagnin, archivista e socia ANPI: “Mi sono occupata di tutte le ricerche dal lato italiano, dall’archivio del Ministero degli affari esteri a tutte le istituzioni italiane. Poi con gli altri abbiamo messo insieme i pezzi, pensato il percorso, le tappe e il design del percorso. Mi sono sentita valorizzata per la mia competenza di cui ho potuto esprimere al massimo le potenzialità per far arrivare questi messaggi a tutti per valorizzare la memoria. Mi ha dato una grande soddisfazione”.

“L’aspetto più faticoso e problematico del lavoro di ricerca – aggiunge Giancarlo De Simoi  – è che sono passati 80 anni e dunque molti non hanno più discendenti o i discendenti non hanno più interesse. Però con quelle famiglie dove c’è più interesse abbiamo fatto l’esperienza di un attaccamento fortissimo pur essendo passati 80 anni. Mi ricordo di una coppia, li ho aiutati a trovare il cippo del loro congiunto e quando l’anno trovato, il nipote si è messo ad accarezzare la pietra”.

La storica Sara Berger che lavora al Fritz Bauer Institut di Francoforte, l’istituto di studi e ricerca sull’Olocausto e i suoi effetti, e che in passato ha lavorato al Museo della Shoa a Roma, era ospite alla presentazione della guida virtuale. Sulle tracce biografiche degli IMI ha aggiunto: “Se guardiamo alle memorie negli archivi italiani degli uomini che sono stati inviati a Francoforte, di soldati semplici o i sottufficiali, che non provenivano dalla classe sociale elevata, non abbiamo molto; mentre invece gli ufficiali scrivevano diari e memorie. E di queste memorie c’è ancora molto da ricercare negli archivi italiani. C’è da fare, è un campo di ricerca ancora aperto”.

La guida virtuale al cimitero di guerra di Westhausen è un progetto ANPI in collaborazione con il Museo storico di Francoforte, Historisches Museum Frankfurt. Alla sua realizzazione hanno contribuito con finanziamenti il Consolato Generale d’Italia, il Kulturdezernat di Francoforte), l’EVZ (Fondazione Erinnerung, Verantwortung, Zukunft).

La app con il tour virtuale al cimitero di Westhausen è così ben fatta e di notevole valore storico che vale la pena scaricarsela, leggerla o ascoltarla, anche se non si è di Francoforte e non ha la possibilità di far visita al cimitero. È inoltre accessibile in italiano, in tedesco e persino in inglese. Paola Colombo, CdI on 7

 

 

 

 

 

G2B a Berlino. Le aziende italiane in Ambasciata

 

Berlino - L’importanza della collaborazione tra istituzioni pubbliche e imprese private è stata al centro dell’incontro “G2B – Public-Private Partnership for Growth” che si è tenuto ieri, 3 aprile, in Ambasciata a Berlino.

L’evento ha avuto come obiettivo la creazione di un’occasione di dialogo e scambio per rafforzare la presenza delle imprese del nostro Paese sul mercato tedesco, nel quadro del Piano d’Azione per l’export dell’Italia “Diplomazia della crescita” presentato dal vice presidente del Consiglio e ministro deli Affari Esteri Antonio Tajani lo scorso 20 marzo.

“Il nostro incontro di oggi mira a diventare un forum permanente di discussione, un punto di partenza per un dialogo strutturato in cui scambiarsi idee e raccogliere spunti per massimizzare il gioco di squadra, in un’ottica di partenariato rafforzato tra pubblico e privato. Un tema centrale della conversazione odierna è, infatti, l’importanza della nostra collaborazione, in cui istituzioni pubbliche e imprese private lavorano fianco a fianco per raggiungere il successo reciproco”, ha esordito l’ambasciatore Fabrizio Bucci introducendo l’incontro. “Abbiamo un obiettivo ambizioso: raggiungere 700 miliardi di euro di esportazioni entro il 2027. Per raggiungere questo obiettivo, il “Sistema Italia” mobiliterà competenze, know-how e risorse per sostenere le imprese italiane in tutto il mondo”.

L’ambasciatore ha inoltre ribadito l’importanza della già forte collaborazione italo-tedesca anche a livello economico e la necessità di rafforzare sempre più i legami tra i due Paesi. “Solo attraverso l’unità e l’azione collettiva”, ha detto, “possiamo salvaguardare la stabilità economica e garantire che il commercio rimanga una forza per la crescita e la cooperazione, piuttosto che per il conflitto e la divisione”.

Gli strumenti messi a disposizione per favorire la crescita delle aziende da parte del “Sistema Italia in Germania” sono stati tema del panel moderato dalla giornalista de Il Sole 24 ore Isabella Bufacchi, a cui hanno partecipato: Ferdinando Fiore, direttore dell’ICE – Italian Trade Agency Berlino; Raffaele Tartaglia Polcini, addetto finanziario, Piergiorgio Alotto, addetto scientifico, e Marco Tripodi, addetto Guardia di Finanza dell’Ambasciata; Eliomaria Narducci, segretario generale della Camera di Commercio Italiana per la Germania di Francoforte; e Bortolo Venturelli, vice presidente della Camera di Commercio Italo-Tedesca di Monaco.

L’incontro si è concluso con una sessione di lavoro interattiva alla presenza dei rappresentanti delle molte imprese presenti – da Angelini Pharma a De Cecco, da Intesa San Paolo a Unicredit – che ha consentito ai partecipanti di condividere opinioni sulle sfide e le prospettive della loro attività, nonché di esporre ulteriori modalità di collaborazione con il “Sistema Italia” per rafforzare la loro attività in Germania. (aise/dip 4)

 

 

 

 

Il Gruppo „Folk-Acli” di Kaufbeuren a Kempten

 

Kempten, 6 aprile. Dopo anni di attesa, causata –l'altro dal Covid– e dopo un rinvio dovuto a ragioni di forza maggiore -finalmente- la Comunità Italiana di Kempten –e non solo– ha avuto la gioia di assistere all'ultimo Spettacolo in programma del Gruppo folclorico Folk- ACLI "Ciuri, ciuri". O meglio: di partecipare attivamente – perché questo succede se si assiste a uno spettacolo dei Nostri– dato il loro modo di offrirsi al pubblico e al coinvolgente commento in italiano e in tedesco del fondatore del Gruppo, Comm. Carmine Macaluso. Gruppo fondato nel lontano 1988 a Kaufbeuren, una cittadina non lontana da Kempten, e che accoglie un migliaio di connazionali e il Circolo ACLI locale, che registra il maggior numero di iscritti in tutta la Germania. Il Folk-ACLI ha rappresentato in questi decenni un costante riferimento, per oltre un centinaio di partecipanti, nell’interpretazione di musiche popolari siciliane con costumi originali ed apposite scenografie.

I suoi spettacoli, presentati nel corso degli anni in Germania, Svizzera e Francia hanno sempre riscosso un grande apprezzamento da parte del pubblico

E così è stato anche domenica scorsa nella Sala Parrocchiale di S. Anton, preparata con molta cura da diversi Membri del Consiglio Pastorale della Missione Cattolica Italiana; alcuni dei quali facenti parte del Circolo ACLI di Kempten. Circolo molto legato al Circolo di Kaufbeuren, dato che i loro Presidenti: il Comm. Carmine Macaluso è Presidente delle ACLI Baviera, Vicepresidente delle ACLI Germania, nonché Membro del Consiglio Pastorale di Kempten, come il Dr. Fernando A. Grasso, che, oltre a essere Presidente del Circolo di Kempten è Vicepresidente delle ACLI Baviera, Membro della Presidenza delle ACLI Germania, è anche Corrispondente Consolare per Kempten e dintorni.

Ma iniziamo con lo svolgimento dello Spettacolo "Ciuri, ciuri", che è cominciato poco dopo le 16:00 –dato che a quell'ora continuava ad arrivar gente– con il coinvolgente annuncio del programma della serata, da parte di Macaluso e la suggestiva entrata dei musicisti e delle ballerine, che fanno parte del Gruppo da decenni, con l'apporto di nuovi elementi, giovani e giovanissimi.

Lo spettacolo –terminato un po' prima delle 19:00– durante il quale il pubblico è stato coinvolto –come detto sopra– più volte, si è svolto in due parti, nel corso delle quali sono state eseguite magistralmente danze e melodie, a volte struggenti, a volte allegre e spiritose.  Durante una breve pausa gli artisti si sono intrattenuti piacevolmente anche con gli spettatori e alcuni di essi hanno anche acquistato un CD del Gruppo. 

Dopo l'ultima esilarante esibizione –in cui anche i presenti hanno duettato con i cantanti– non è mancata qualche spontanea danza, alla quale hanno partecipato alcuni dei presenti. Tra cui l'elegante –veramente professionale– coppia di Margarethe e Manfred Stick, Presidente Circoscrizionale del Movimento Cattolico Tedesco (KAB), molto legato al nostro Movimento ACLI.

Tra gli intervenuti, diversi amici tedeschi e italiani: gli appena nominati Coniugi Stick anch'essi Soci del Circolo ACLI di Kempten, l'Amica Nicola Reiter, le Amiche e Socie ACLI, Signore: Ingrid Mayer e Gudrun Piechler, la cara Amica Signora Emma Marando, Vicepresidente del Circolo, il caro Socio, (il primo italiano conosciuto a Kempten da chi scrive nel lontano 1965),  Signor Vicenzo Emanuele e Signora, e –non per ultimo– il Padrone di Casa: Padre Bruno Zuchowski, Rettore della Missione, nonché Consigliere Spirituale delle ACLI, che non ha mancato di rivolgere un breve saluto agli intervenuti, commentando che "stare in lieta armonia insieme può scacciare tristezza e depressione". Come confermato anche da Grasso che, malgrado la tristezza per la recente grave perdita subita –anche lui, dopo aver salutato calorosamente i presenti– si è detto compiaciuto per la numerosa presenza di amici italiani e tedeschi e  ha ricordato nuovamente agli intervenuti gli orari di apertura del suo ufficio multifunzionale situato negli uffici del KAB di Kempten.

Non resta adesso che ringraziare il pubblico per le offerte lasciate a sostegno dei progetti e soprattutto gli artisti per lo spettacolo offerto gratuitamente e, non da ultimo P. Bruno per l'ospitalità, e i Componenti del Consiglio Pastorale e del Circolo ACLI; tra cui il Signor Sabino Scarvaglieri, Consigliere del Circolo,  il Signor Ignazio Romano e l'Amico Signor Sergio Grimaldi, che si è occupato della cena preparata per gli artisti da lui e dalla Segretaria della Missione e del Circolo, Signora Pina Baiano, assente per motivi di famiglia, come anche il Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, nonché Segretario per le Risorse del Circolo ACLI e la Signora Gisella Trovato, giunti quasi al termine della spettacolo a causa di impegni pregressi. Fernando A. Grasso, dip 10

 

 

 

 

 

IIC di Amburgo: incontro letterario italo-tedesco sul romanzo di Greta Olivo “Spilli”

 

Amburgo. Martedì 8 aprile presso l’Istituto Italiano di Cultura si è tenuto il terzo incontro del 2025 della rubrica “Caffè Letterario”, dedicato agli appassionati di letteratura italiana. Gli incontri del “Caffè Letterario” si tengono in italiano e tedesco – generalmente una volta al mese – e danno la possibilità a chi legge volentieri libri italiani di incontrarsi per discutere su un libro letto a casa e scelto durante il precedente incontro, scambiarsi opinioni, cercare nuove ispirazioni, decidendo insieme i prossimi libri da leggere e discutere. La partecipazione agli incontri del Caffè Letterario è sempre gratuita, ma è richiesta la registrazione sul portale Eventbrite.  

Il romanzo del terzo incontro letterario era “Spilli” di Greta Olivo edito dalla Casa editrice Einaudi nel 2023 e tradotto in tedesco da Verena von Koskull grazie a un contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano, con il titolo “Die Nacht der Schildkröten”, pubblicato in Germania nel 2024 dalla casa editrice amburghese Rowohlt Verlag.  Per il suo romanzo d’esordio Greta Olivo ha vinto da poco il prestigioso Prix du Premier Roman Étranger 2024, il premio per il miglior libro d’esordio straniero in Francia, entusiasmando sia i critici letterari sia i lettori. Greta Olivo è stata ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo lo scorso giovedì 27 marzo, quando ha presentato personalmente il suo romanzo d’esordio accompagnato dalle letture in tedesco a cura dell’attrice Jule Nero. Il romanzo di Greta Olivo racconta la storia di una ragazza liceale, Livia, che corre più velocemente di tutte le sue compagne della squadra di atletica, balla come le ballerine di Parigi con la sua amica Morena, si traveste. Livia va in campeggio, disubbidisce, si arrabbia, forse si innamora. Poi un giorno, Livia inciampa, inizia a vedere il mondo a buchi: scompaiono le maniglie delle porte, il crocifisso appeso sopra la lavagna in classe. Al buio si muove con fatica, confonde le forme, cade, si graffia le ginocchia e i palmi delle mani. Dopo una serie di esami le viene diagnosticata una retinite pigmentosa. Malattia ereditaria che porta alla graduale perdita dei fotorecettori: la retina, progressivamente, perde la propria capacità di trasmettere le informazioni visive al cervello tramite il nervo ottico. Molte persone mantengono una visione limitata per tutta la vita, mentre altre perdono completamente la vista, come succederà a Livia. Greta Olivo è nata nel 1993 a Roma, dove vive e lavora da sempre, tranne per un suo soggiorno torinese durato tre anni, dove ha frequentato il master della Scuola Holden. Poi ha lavorato come babysitter, come segretaria in una scuola di danza, e in un’agenzia letteraria. Fino a quando – superando le sue incertezze – ha avuto il coraggio di provare a scrivere.  La scrittura di Greta Olivo è chiara, limpida nel suono e nello stile, soprattutto priva di ogni tipo di retorica.  Con «Spilli» si intendono le lettere che ogni persona affetta da miopia è abituato a (non) vedere durante la consueta visita oculistica. Le lettere in questione, sul cartellone a sfondo luminoso, diventano sempre più piccole, fino a ridursi a minuscole capocchie che il paziente prova a indovinare, nel maldestro tentativo di azzeccare almeno una vocale o una consonante dell’alfabeto.  I prossimi incontri del Caffè Letterario si terranno il 6 maggio (tema: “Gli straordinari” di Edoardo Vitale, Collezione Scrittori italiani e stranieri ISBN 978-88-04-78168-4 © 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano I edizione settembre 2024). (Inform/dip 10)

 

 

 

 

 

25 Aprile, 80° Anniversario della Liberazione

 

Mai, come adesso, tempo di gran temperie, il termine di resistenza è attuale, come quella lontana difesa della libertà e momento di rivendicazione di un’identità nazionale che sembrava perduta per sempre e portò, invece, alla rinascita del nostro Paese.

 

Gli Alleati avrebbero voluto una Resistenza diversa, fatta di semplici “colpi di mano, sabotaggi, attentati” ad opera di piccoli gruppi, facilmente controllabili, per questo si opposero, finché poterono farlo, alla formazione di bande permanenti istituzionalizzate. 

 

Invece accadde proprio quello che loro temevano: la progressiva organizzazione del movimento partigiano ebbe il significato politico di guerra patriottica per l’indipendenza del nostro Paese.

 

Dirà più tardi Ferruccio Parri, esponente di spicco del Partito d’Azione e responsabile militare CLNAI – Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, futuro Presidente del Consiglio dei Ministri: “A noi prima di tutto interessava il carattere dichiarato e manifesto di insurrezione nazionale “.

 

La distonia creatasi tra Alleati e partigiani risaliva all’inverno del 1944, quando gli Alleati sospesero ogni azione bellica dietro il fronte tedesco, lungo la “linea Gotica”, a ridosso degli Appennini.

 

Era chiaro che le loro esigenze belliche non erano le stesse dei partigiani, impegnati in una lotta che era politica prima ancora che militare, e che gli Alleati costrinsero a chiarire nei loro intenti in un documento redatto dal comunista Luigi Longo, dove si definiva il movimento partigiano come un movimento “nato dal basso”, espressione della solidarietà popolare e nazionale, come testimoniavano anche le numerose lettere di partigiani indomiti, condannati a morte.

 

Oggi che vengono meno certezze, che sembravano consolidate nella storia del nostro tempo, comprendiamo meglio come il movimento partigiano fu anche momento di rivendicazione di un’identità nazionale che sembrava perduta.

 

Dentro però quell’idea di Nazione, pari nel sentire e nel volere a qualsiasi altra Nazione, non c’erano né il sovranismo né il nazionalismo con le degenerazioni che avevamo subito. Semmai c’era il germe di quello che sarà l’articolo 11 della Costituzione, cioè, una sovranità pronta a riconoscere i propri limiti, in condizioni di parità con altre Nazioni, in un ordinamento che assicuri fra loro la pace e la giustizia.

 

Era il concetto di “pace giusta” che sarà incorporato nel progetto europeo, come meta da raggiungere. Ed è la sovranità condivisa il progetto che oggi incontra l’ostilità di neo-imperialismi militarizzati che disegnano opposte egemonie per la spartizione del mondo.

   

Profetico, proprio per quanto detto, si rivela il discorso tenuto da Alcide De Gasperi a Strasburgo il 10 dicembre 1951 per la creazione di una forza di difesa europea, in cui lo statista trentino chiede la collaborazione di tutte le forze democratiche ed una rinnovata fiducia, soprattutto dell’America, nei destini dell’Europa. Angela Casilli, dip 15

 

 

 

 

 

La rete diplomatica e il 25 aprile. Qualche consolato…latitante?

 

La rete diplomatico-consolare all’estero dovrebbe celebrare la Festa della Liberazione, che è una festa nazionale, organizzando commemorazioni così come accade in occasione della Giornata della memoria e del Giorno del ricordo. A sostenerlo è il deputato Pd Christian Di Sanzo che, insieme ai colleghi eletti all’estero – Carè, Ricciardi e Porta – oltre che a Provenzano, Amendola, Boldrini e Quartapelle, ha presentato una interrogazione in merito al Ministro degli esteri Tajani.

“Il 25 aprile – sottolinea Di Sanzo nella premessa – rappresenta una data fondamentale nella storia italiana, simbolo della Liberazione dal nazifascismo e radice fondativa delle istituzioni democratiche del Paese (legge n. 260 del 27 maggio 1949); la celebrazione di questa ricorrenza riveste un valore imprescindibile per la riaffermazione dell'unità nazionale, del recupero della memoria civile e dei valori di libertà, uguaglianza e riscatto civile che animarono la Resistenza; la resistenza italiana ebbe una dimensione europea, coinvolgendo esuli politici e intellettuali che prepararono la rinascita democratica del Paese e contribuirono alla nascita dell'idea di Europa unita”.

“Il prossimo 25 aprile 2025 – ricorda il deputato eletto all’estero – ricorrerà l'80° anniversario della Liberazione, un'occasione solenne per rinnovare l'impegno a preservare la memoria storica e a trasmettere i valori della resistenza alle nuove generazioni”.

La rete diplomatico-consolare italiana all'estero “svolge un ruolo cruciale nella promozione della cultura e della storia italiana, nonché nella diffusione dei valori democratici; l'80° anniversario può costituire una occasione importante per promuovere un approccio inclusivo e unitario sulla nostra storia sviluppando una riflessione critica e il confronto democratico sui fatti accaduti”.

“Molte rappresentanze diplomatico-consolari – evidenzia il deputato dem – già organizzano iniziative e celebrazioni legate a giornate commemorative significative come il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo, ma si manifesta a giudizio dell'interrogante una palese assenza di iniziative inerenti al 25 aprile da parte della rete diplomatico consolare; la Festa della Liberazione è una festa nazionale della Repubblica italiana e pertanto si ritiene opportuno che la rete diplomatico-consolare possa celebrarla con opportune iniziative, così come avviene per la festa della Repubblica italiana del 2 giugno”.

Considerato che “le celebrazioni del 25 aprile all'estero possono rappresentare un'opportunità per coinvolgere le comunità italiane all'estero, le istituzioni locali e la società civile nella riflessione sulla storia italiana e sui valori costitutivi della Repubblica”, Di Sanzo chiede a Tajani “quali iniziative concrete il Ministero degli affari esteri intenda promuovere e sostenere, attraverso la sua rete diplomatico-consolare, per celebrare il 25 aprile all'estero, con particolare attenzione al coinvolgimento delle comunità italiane, delle istituzioni locali e delle nuove generazioni” e “quali risorse umane e finanziarie siano state stanziate o si preveda di stanziare per sostenere le celebrazioni del 25 aprile all'estero, con particolare riferimento all'organizzazione di eventi, alla produzione di materiali informativi e alla promozione di attività educative rivolte alle nuove generazioni e alle scuole italiane all'estero”. (aise/dip 10) 

 

 

 

 

 

L’Europa al confronto con Trump

 

La politica estera del nuovo Presidente americano è eversiva quanto quella che sta attuando sul fronte interno. È connotata da un approccio esplicitamente transazionale nei rapporti fra Stati, da scarsa considerazione per le regole che presiedevano ai rapporti fra Stati e per le alleanze tradizionali, e dal ricorso spregiudicato alla logica del più forte. In sintesi, Trump sta facendo saltare i tradizionali parametri di riferimento della politica estera americana. Con il risultato di provocare una pericolosa instabilità del contesto internazionale.

Ma Trump sta provocando anche una crisi nel rapporto transatlantico, particolarmente evidente almeno su quattro fronti: misure protezionistiche, guerra in Ucraina, sicurezza e difesa, e più in generale sul tema dei valori e dei principi fondanti.

Le cause dei dazi

La politica commerciale di Trump è caratterizzata da un’autentica ossessione per gli squilibri della bilancia commerciale americana e dalla decisione di utilizzare i dazi sulle importazioni negli Usa come strumento di politica economica. Dopo aver adottato dazi generalizzati sulle importazioni di acciaio, alluminio e, successivamente, auto, Trump ha annunciato il 2 aprile – con una cerimonia tanto spettacolare quanto surreale – nuovi dazi (differenziati e qualificati come “reciproci”) sulle importazioni da circa una sessantina di Paesi, motivati dalla necessità di rispondere a dazi e altre barriere non tariffarie praticate da partner commerciali degli Usa (peraltro calcolati con metodi opinabili). Nell’ottica del Presidente americano, i dazi americani avrebbero il triplice obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale degli Stati Uniti, recuperare risorse finanziarie per ridurre il deficit del bilancio federale, e incentivare investimenti esteri per attività produttive negli Usa.  

Le decisioni annunciate da Trump segnano una svolta di portata epocale e sono destinate a provocare reazioni pesanti sull’economia americana e globale, incertezze sulle scelte degli investitori, e rischi sui mercati finanziari e sulle quotazioni di borsa, con la prospettiva di avvio di una recessione globale. Anche l’Ue è stata colpita con dazi del 20% apparentemente su tutte le importazioni europee negli Usa, che si sommano ai dazi già in vigore su acciaio, alluminio e auto. Sono quindi misure che colpiscono direttamente anche rilevanti interessi europei, rendendo complessivamente più complicato per gli europei trattare con la nuova Amministrazione americana. 

Sulla guerra in Ucraina, Trump, confermando le promesse della campagna elettorale, ha avviato un’iniziativa diplomatica mirata alla ricerca di una cessazione del conflitto. I tentativi di mediazione stanno procedendo tra molte difficoltà. Non è chiaro se a un certo punto Trump dovrà concludere che le condizioni che Putin cercherà di imporre sono inaccettabili. Tuttavia, finora Trump ha spiazzato gli europei aprendo un canale di dialogo bilaterale con Putin, legittimandolo come interlocutore affidabile e dando l’impressione di condividere la narrazione russa sulle origini e responsabilità del conflitto. Ha inoltre deliberatamente escluso gli europei da questa iniziativa, con la prospettiva che questi ultimi – oggi all’oscuro delle vere intenzioni di Trump – possano essere chiamati a svolgere un ruolo dopo un eventuale accordo, sia per la definizione di credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina, che per la sua ricostruzione.

Sul fronte della sicurezza e della difesa, è per ora improbabile che si concretizzi il rischio di un esplicito disimpegno americano dalla Nato. Tuttavia, aumenteranno le pressioni americane sugli alleati europei per una maggiore spesa per la loro difesa. La richiesta non è nuova, ma potrebbe diventare più stringente, al punto da condizionare l’impegno americano per la sicurezza dell’Europa a concreti risultati nella direzione dell’assunzione di maggiori responsabilità da parte degli europei. Ne consegue che appaiono più che legittimi i dubbi sulla stessa credibilità di un’eventuale mobilitazione degli Usa in caso di minacce alla sicurezza degli alleati europei.

Infine l’involuzione autoritaria imposta da Trump sul fronte interno (con gli attacchi alle politiche di inclusione e diversità, ai media e alla magistratura, alle università, agli studi legali, a chiunque osi contestare le politiche dell’Amministrazione americana) rimette in discussione un sistema di valori una volta considerati patrimonio comune dell’Occidente. Tutto ciò rischia di provocare un effetto imitazione anche in Europa, rafforzando i consensi per le formazioni politiche dichiaratamente nazionaliste, sovraniste ed euro-scettiche. Potrebbe inoltre accentuare le divisioni fra Paesi dell’Ue con conseguenze sulla compattezza della posizione dell’Ue.

Il risveglio europeo

Nel frattempo la linea della nuova Amministrazione americana sta stimolando un risveglio di iniziative da parte europea, non tutte lineari, coerenti o istituzionalmente corrette, ma animate dall’intenzione di recuperare un protagonismo da tempo smarrito ma che si impone date le circostanze. Non necessariamente in contrapposizione agli Usa, sui quali, malgrado tutto, si spera di poter contare, ma come tentativo di dare faticosamente sostanza e contenuto all’obiettivo dell’autonomia strategica.

La prima sfida che chiama in causa l’Ue è quella della reazione ai dazi americani. Subito dopo l’annuncio di Trump, la Presidente della Commissione ha dichiarato che le misure minacciate erano sbagliate e dannose per l’economia mondiale. Pur mantenendo aperta l’opzione di una qualche forma di accordo per ridurre l’impatto dei dazi, ha confermato di essere pronta a rispondere con misure analoghe da adottare dopo una consultazione con i Paesi membri. Si apre ora una fase delicata in cui l’Ue dovrà decidere come reagire. Non è da escludere che, oltre ai più tradizionali (e poco efficaci) dazi sulle importazioni americane, possano essere prese in considerazione anche misure mirate a colpire gli interessi delle aziende tecnologiche sul mercato europeo, come limitazioni all’accesso e tassazione dei profitti.

Sulla difesa, gli europei si stanno movendo su due direttrici: un piano di medio-lungo termine di rafforzamento delle capacità militari degli Stati membri come premessa per una futura difesa europea e una serie di iniziative a sostegno dell’Ucraina. Sulla difesa europea, le proposte della Commissione hanno ricevuto un sostegno di principio, accompagnato da critiche, distinguo e condizioni, a conferma che resta molta strada da fare per avviare concretamente un percorso condiviso di rafforzamento delle capacità europee in materia di difesa. Sull’Ucraina, oltre alla conferma del sostegno politico e di nuovi aiuti anche militari (sia pure per un volume di spesa molto inferiore quanto proposto dalla Commissione), sono in discussione varie proposte per un contributo europeo ad un sistema credibile di garanzie di sicurezza all’Ucraina che dovrebbero costituire parte integrante di un auspicabile accordo sulla cessazione del conflitto.

Sono ancora piccoli passi nella direzione giusta di un recupero di protagonismo in un contesto particolarmente difficile per l’Europa. Sul piano degli annunci le intenzioni sono quindi buone. In concreto l’Ue dovrà fare i conti con le complessità dei suoi processi decisionali e con le difficoltà di far convergere scelte e sensibilità dei Governi nazionali. Ferdinando Nelli Feroci

AffInt 15

 

 

 

 

 

I lavori del Comitato di Presidenza del Cgie. Si è parlato di cittadinanza, voto all’estero e incentivi di rientro

 

ROMA – Si sono conclusi a Roma i lavori del Comitato di presidenza de Cgie. Nel consueto incontro conclusivo con la stampa, svoltosi alla Farnesina, la Segretaria Generale Maria Chiara Prodi ha ricordato che il Cgie è un’istituzione che rappresenta non solo gli italiani, ma anche gli italodiscendenti. “perché – ha spiegato – in ogni Assemblea Paese che elegge i consiglieri del Cgie ci sono i Comites, che hanno al loro interno dei cooptati italo discendenti, nonché le associazioni degli italiani all’estero”. Prodi ha anche rilevato come il Cgie, che ha il compito di essere punto di collegamento tra gli italiani all’estero e coloro che fanno politiche per i connazionali nel mondo nel mondo, abbia in questo semestre tre priorità: la messa in sicurezza del voto all’estero, gli incentivi per il rientro – che il Cgie ha approfondito nell’incontro con il Cnel – e la riforma della legge sulla cittadinanza. Per quanto riguarda questo ultimo punto, ovvero il varo del Decreto-legge n. 36 “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”, la Segretaria Generale ha evidenziato come su questo tema siano state svolte interlocuzioni con il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, con il Direttore Generale degli Italiani all’estero del Maeci Luigi Maria Vignali, nonché con la III Commissione della Camera e la Commissione Esteri e Difesa del Senato. Sugli aspetti specifici del provvedimento, che ha già portato in vari consolati alla sospensione della trascrizione degli atti di nascita, Prodi ha sottolineato la necessità che, nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto, si apportino correttivi al provvedimento. In particolare la Segretaria Generale si è soffermata sul nodo relativo, al fine dell’acquisizione della cittadinanza, al requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia o averci vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente. Un requisito che, insieme alla limitazione alle due generazioni e al fatto che tale cambiamento è avvenuto in 24 ore, disorienta i connazionali nel mondo e rischia di compromettere il futuro legame del Paese con le sue comunità all’estero. Su questa tematica Prodi ha ribadito come il Cgie , rimasto sorpreso per il cambio di passo compiuto dall’esecutivo, sia comunque pronto a fornire il proprio contributo e i necessari pareri.  Prodi, dopo aver parlato dell’importanza di costruire una cittadinanza consapevole basata sul legame della cultura, della conoscenza e della lingua, ha evidenziato l’esigenza di mettere in sicurezza il voto all’estero, senza fare torto a questo processo democratico, studiando soluzioni tecniche per migliorare le modalità di voto per corrispondenza. Il Segretario Generale ha anche rilevato l’importante contributo fornito dal Cnel, con propri contatti sociali, per quanto concerne la tematica degli incentivi di rientro. Segnalato inoltre il proseguimento degli incontri delle Commissioni tematiche del Cgie con i Comites, il prossimo è previsto per il 12 aprile, volti ad approfondire specifici temi come ad esempio l’accompagnamenti dei giovani nella mobilitò fuori dall’Italia. Prodi, dopo aver auspicato la convocazione della Conferenza Stato Regioni Provincie Autonome Cgie, ha anche segnalato i prossimi appuntamenti del Consiglio Generale, come l’audizione dell’8 aprile in Senato sulla cittadinanza, e l’Assemblea Plenaria che si terrà dal 16 al 20 giugno presso varie sedi nella capitale.

A seguire l’intervento del Vice Segretario Generale per l’America Latina Mariano Gazzola che ha sottolineato come il Cgie sia pronto a dare il suo parere sul provvedimento relativo alla cittadinanza. Un decreto che per il Consigliere causa perplessità, in quanto tocca la discendenza di chi è già cittadino italiano, e andrebbe corretto nel corso dell’iter parlamentare, Dello stesso parere  Walter Petruzziello, Componente del Comitato di Presidenza per l’America Latina, che ha evidenziato come questo provvedimento incida sull’antica emigrazione del Brasile.

Ha poi preso la parola la Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei del Cgie Silvana Mangione che ha rilevato come il decreto sulla cittadinanza, introducendo la fattispecie del genitore nato o residente in Italia, possa aprire le porte anche in altri contesti al concetto dello ius soli. Mangione ha segnalato come, durante incontro con il referente del MEI, si sia parlato della possibilità di festeggiare il prossimo anno i 40anni della nascita dei Comites.  La Vice Segretaria Generale ha anche posto in evidenza la richiesta avanzata dal Cgie al CNEL di riproporre una ricerca sul rapporto fra la presenza dell’emigrazione italiana all’estero e la curva di crescita delle importazioni dei Paesi dove stanno crescendo le nostre comunità.

Dell’importanza di superare l’inverno demografico e la stagnazione del nostro Paese favorendo attraverso condizioni favorevoli il ritorno dei nostri connazionali all’estero, ha invece parlato il Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord Giuseppe Stabile. Il Consigliere ha ricordato come negli ultimi dieci anni vi sia stato un aumento dei residenti all’estero superiore al 40%, un problema di rilevanza nazionale. Stabile ha inoltre rilevato l’importanza attrarre gli italo discendenti che intendano veramente essere italiani vivendo e lavorando nel nostro Paese, anche attraverso la creazione di una sorta Green Card fino da utilizzare fino al raggiungimento dei termini per l’acquisizione della cittadinanza. Il Consigliere, dopo aver evidenziato che non bisogna parlare di cervelli in fuga ma di persone con talenti e competenze anche non universitarie, ha affermato come il provvedimento volto a modificare le norme sulla cittadinanza fosse necessario.  

E’ poi intervenuto il Vice Segretario Generale di Nomina governativa Gianluca Lodetti che ha sottolineato come la cesura sulla trasmissibilità della cittadinanza possa rappresentare un rischio per il mantenimento del rapporto con le collettività all’estero. Un collegamento che invece andrebbe incrementato attraverso  percorsi che portino ad una cittadinanza consapevole, rendendo i cittadini in Italia e all’estero consapevoli della conoscenza dei propri diritti, doveri, e valori, nonché della lingua italiana. Lodetti ha anche segnalato come mel corso dell’incontro con il direttore del MEI si sia anche parlato dell’esigenza di promuovere l’insegnamento della storia della nostra emigrazione nelle scuole italiane. In modo che i futuri italiani che vogliano andare all’estero lo possano fare con prospettive diverse basate su un’ide di circolazione migratoria.

E’ infine intervenuto Tommaso Conte, Componente del Comitato di Presidenza per l’Europa e l’Africa del Nord, che, pur non essendo d’accordo con le modalità adottate per modificare la norma sulla cittadinanza, ha rilevato come su questo tema un cambiamento fosse necessario. Conte, oltre a segnalare che in Germania arrivano a tutt’oggi circa 5000 connazionali al mese, ha parlato della proposta, accolta dal Comitato di Presidenza, di istituire un premio annuale in ricordo dello scomparso Segretario Generale del Cgie Michele Schiavone. (Lorenzo Morgia, Inform/dip 3)

 

 

 

 

 

La voglia di capire

 

Secondo noi, prendere atto della politica nazionale significa interessarsi, soprattutto, ai problemi della gente. Anche se gli stessi non sempre possono essere risolti, l’importante è provarci.

 

A dispetto del preambolo, dovrebbe prevalere il buon senso. Abbiamo, infatti, rilevato una voglia di focalizzare gli “errori” degli altri senza rivedere i propri.

Al presente non è più possibile “sottovalutare” le situazioni che, comunque, non lasciano scelte. Per migliorare la situazione, bisognerebbe, prima di tutto, avere ben chiaro come affrontarla. Continua, invece, a mancare l’impegno per garantire interventi risanatori fuori dalle promesse di questo Esecutivo che dovrà, col tempo, riqualificarsi.  Perchè anche gli aspetti minori della nostra realtà fanno parte della Democrazia. Con l’incertezza, non è possibile, ma neppure probabile, fare progetti. Insomma, sarebbe opportuno prospettare meno e concretare di più.

 

La voglia di cambiare ci sarebbe. Il difficile è immaginare come. Eppure, nonostante l’evidenza, tutto continua a svilirsi. I mutamenti, francamente, non hanno trovato sintonia. Ancora una volta, dobbiamo riconoscere che il potere logora chi lo detiene.

 Il bisogno di comprendere la nostra realtà socio/economica s’è fatto indifferibile.  L’accessibilità ai problemi economici del Paese dovrebbe essere credibile. Bisognerebbe capire cosa, effettivamente, serve al Paese. Di ragioni, a nostro avviso, ce ne sono parecchie. Il bisogno di capire come si evolveranno gli eventi resta fondamentale. Ora, la politica s’è fatta risentire. Data la situazione, lo riteniamo un buon segno. Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

A Roma la Prima Conferenza delle scuole italiane all’estero “Crescere in italiano”

 

ROMA – La Prima Conferenza delle scuole italiane nel mondo ha avuto inizio questa mattina presso l’Auditorium del MAXXI a Roma. A organizzare l’evento l’Ufficio V della Direzione Generale del Maeci per la Diplomazia Pubblica e Culturale (DGDP). L’evento si configura come un modo per rafforzare i legami culturali con gli italiani nel mondo e “far apprezzare e conoscere sempre di più la nostra lingua e cultura all’estero”, ha ricordato la Presidente della Fondazione MAXXI, Maria Emanuela Bruni, che ha introdotto l’evento con l’auspicio di “creare un ponte fra tutte le discipline artistiche e culturali nazionali e internazionali per capire la complessità del mondo contemporaneo”. Il Museo MAXXI è da sempre in prima linea nella formazione degli studenti italiani con visite guidate, corsi di formazione PTCO e laboratori, essendo ente riconosciuto di formazione. All’evento era presente anche il Direttore Generale del Maeci per gli Italiani all’Estero Luigi Maria Vignali.

Nel suo intervento dal Viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, che ha parlato di un istituto del MAXXI “inclusivo e soprattutto propositivo”. Cirielli, dopo aver evidenziato l’importanza di celebrare il ruolo svolto dalle scuole italiane all’estero, si è rivolto alla Sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti presene all’evento: “La ringrazio molto per quello che lei fa insieme al suo Ministero e soprattutto per la grande collaborazione, perché è il nostro partner storico per queste iniziative”. Il Viceministro Cirielli ha poi sottolineato il dovere e il diritto dello Stato a fornire servizi e supporto agli oltre ottanta milioni di discendenti degli italiani all’estero sia con la formazione promulgata mediante scuole pubbliche e paritarie di lingua italiana, sia con l’impegno a favorire l’ottenimento di una doppia cittadinanza per quegli italiani residenti in nazioni che non la rendono disponibile, come ad esempio la Spagna, dove il Viceministro si recherà a breve anche alla luce dell’importante emigrazione di giovani verso quelle località negli ultimi anni. La stessa emigrazione dall’Italia è di per sé strumento di esportazione culturale e linguistica, ha ricordato il Vice Ministro facendo riferimento all’influenza italiana in Svizzera: “Anche l’Europa – ha aggiunto Cirelli – rappresenta un dato centrale: ultimamente sono stato in Svizzera dove ho parlato non soltanto con i connazionali del Cantone italiano, ma soprattutto con politici francofoni e germanofoni, e tutte e due le etnie e culture sostenevano come ormai l’italiano abbia vinto culturalmente in Svizzera, e la classe dotta, la classe alta dei francofoni e germanofoni, vuole imparare l’italiano come lingua di qualità”. Parlando poi della visita alla scuola di Addis Abeba con la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, il Vice Ministro ha ricordato come gli italiani che esportano cultura abbiano saputo portare all’estero anche il verbo universale della pace della diplomazia e che, ad oggi, l’educazione che l’Italia esporta è spesso vista come un faro: “La scuola di Addis Abeba – ha aggiunto produce il 100% degli occupati”. Il successo delle scuole italiane all’estero, secondo Cirielli, porta giovamento all’Italia su più fronti: “Siamo una nazione che ha anche bisogno d’immigrazione e chiaramente, se qualcuno studia nelle scuole italiane e s’innamora delle scuole italiane, si prepara e magari viene  in Italia”. Il Vice Ministro ha poi spiegato che fornire a questi studenti una formazione completa permette un’immigrazione legale verso l’Italia e un’immissione nel mercato del lavoro regolamentato dallo Stato, senza rischio di sfruttamento: “Abbiamo decine di aziende e di attività – ha aggiunto – che si trasferiscono in giro per il mondo e trovare persone che hanno studiato significa anche aiutare le nostre imprese”.

Dell’impegno del Governo e del MIC nei confronti del sistema di formazione italiano ha parlato la Sottosegretaria all’Istruzione Paola  Frassinetti, che ha voluto spostare l’attenzione sul coordinamento delle iniziative fra MAEC e LIM, reso possibile dal D.L. 64 del 2017 per potenziare la rete scolastica all’estero e che costituisce una risorsa strategica per la diplomazia culturale. Nelle parole del Sottosegretario anche l’impegno a sviluppare una migliore, più efficace sinergia fra scuola e lavoro, anche per quanto riguarda il binomio scuola – cultura sul territorio italiano, mentre le 7 scuole statali italiane e le 47 paritarie all’estero risultano già essere punti di riferimento per oltre 20.000 studenti secondo i dati al 2023.  In questo contesto la Frassinetti ha anche ricordato come molti ragazzi stranieri scelgano di sviluppare le loro competenza nel modello dell’istruzione italiana all’estero. “Le 674 unità di personale all’estero – ha aggiunto – sono i migliori ambasciatori del saper fare italiano nel mondo”.  “Le riforme che sono state promosse da questo governo – ha poi rilevato Frassinetti – ben s’immettono in questo contesto internazionale. Mi riferisco per esempio alla riqualificazione degli istituti professionali e tecnici, il famoso 4+2 dove abbiamo voluto dare anche una valenza ITS, che sappiamo all’estero essere una tipologia di scuola molto attrattiva che in Italia è stata concepita con una legge parlamentare votata all’unanimità, proprio per dare una sensazione di radicamento al territorio che possa far interagire gli istituti come le università, gli enti locali, le imprese e gli ITS”. Importante anche il ruolo del liceo del Made in Italy, unicum italiano per la presenza di materie giuridiche, lingue, economia, geografia economica e facilitante la transizione da scuola a mondo del lavoro anche grazie alle sperimentazioni avviate dal Ministero con il Piano Mattei, piano d’internazionalizzazione del sistema terziario d’istruzione tecnologica.

Ha poi preso la parola il Segretario Generale della Dante Alighieri Alessandro Masi che ha parlato dell’attività della ADASIM (Fondazione Dante Alighieri Scuole Italiane nel Mondo) che accoglie in una rete le scuole italiane all’estero con l’obiettivo di condividere esperienze di alto profilo nell’insegnamento dell’italiano ed in italiano, promuovere l’aggiornamento professionale e affrontare insieme le sfide dell’educazione. In pratica con l’obiettivo di fare squadra, si inviano docenti, si avviano bandi per attività e si formano docenti.

La storia delle scuole italiane all’estero parte da lontano, inizia assieme all’Unità d’Italia nel 1861, quando il console italiano ad Alessandria d’Egitto propose all’allora Ministro degli Esteri Cavour di aprire un collegio italiano proprio ad Alessandria d’Egitto, ha ricordato nel suo intervento Il Direttore Generale del Maeci per la Diplomazia Pubblica e Culturale, Alessandro De Pedys che ha poi rilevato come ad oggi le nostre strutture scolastiche all’estero siano utilizzate prevalentemente da comunità locali straniere. Ad esempio il corpo studentesco della scuola di Addis Abeba è costituito per il solo terzo da aventi passaporto italiano, segno di quell’attrattiva esercitata dal saper fare italiano.  “L’obiettivo che noi ci poniamo oggi con questo evento – ha proseguito De Pedys – è quello di cominciare a fare rete facendo incontrare anche di persona i diversi attori e scambiarsi buone prassi, fare delle proposte, ragionare insieme su come sfruttare meglio il potenziale di questo sistema come strumento di promozione della lingua e culture italiana. Dobbiamo anche parlare delle criticità”, come ad esempio sostenere adeguatamente le scuole paritarie o migliorare la formazione dei docenti.  Il Direttore Generale ha poi evidenziato come il secondo obiettivo della Conferenza sia anche quello di far conoscere il mondo delle scuole italiane all’estero anche ai non addetti ai lavori. De Pedys ha inoltre posto il tema di come far continuare il percorso formativo in ambiti italiani a chi esce dagli istituti italiani all’estero. Una delle iniziative volte creare filiere educative è “Costruiamo il Futuro”, un progetto per cui sono state messe a disposizione sedici borse di studio per consentire a studenti che vengono dalle scuole di Addis Abeba, Casablanca, Tunisi e Il Cairo di proseguire gli studi presso università italiane. Segnalate anche iniziative volte a garantire agli studenti, attraverso pacchetti formativi, preparazione adeguata attraverso enti esterni come la Banca d’Italia per l’introduzione all’educazione finanziaria, o la fondazione Bracco, ma anche con il CEPELL per l’ambito letterario.  Citato anche il sistema educativo Reggio Children, con oltre 140 scuole nel mondo. (Jasmine Carpentieri- Inform/dip 14)

 

 

 

 

 

L’Italia emigra ancora: oltre 7 milioni gli iscritti all’AIRE

 

“Una valigia di cartone per riporre i sogni, e un treno a cui affidare la speranza”. Questa immagine, oggi forse un po’ sbiadita dal tempo, continua a parlarci con forza. Le valigie di cartone non esistono più, certo, e nemmeno quei treni affollati in partenza dalle stazioni del sud, carichi di speranze e promesse. Oggi si viaggia in aereo, si parte con un biglietto elettronico e con uno smartphone in tasca. Ma la sostanza non è cambiata. Ancora oggi si lascia l’Italia per cercare qualcosa che qui sembra mancare: un futuro, un’opportunità, una vita dignitosa. I sogni continuano ad avere bisogno di una valigia, e la speranza resta legata a un mezzo di trasporto, qualunque esso sia. Ma tutto questo, a che prezzo?

Se ripercorriamo la storia dell’emigrazione italiana, scopriamo una realtà impressionante: tra il 1860 e il 1985, oltre 29 milioni di italiani hanno lasciato il Paese. Un numero enorme, superiore alla popolazione dell’intera nazione al momento dell’Unità d’Italia. Partirono famiglie intere o singoli individui, e raggiunsero ogni angolo del mondo occidentale. Molti non fecero più ritorno. Alcuni morirono lontano, nei cantieri, nelle miniere, nelle fabbriche, vittime della fatica, delle malattie, o della solitudine. Di loro si è parlato poco, troppo poco.

Oggi, paradossalmente, sembra che si voglia cancellare quella memoria collettiva, quasi fosse una pagina da dimenticare. Si approvano leggi e decreti che ignorano, quando non sminuiscono, la realtà degli italiani all’estero. In certi casi si ha perfino l’impressione che si provi imbarazzo di fronte all’esistenza di questa “altra Italia”, fatta di cittadini che hanno scelto o dovuto scegliere l’esilio economico. Come se l’italianità fosse legittima solo entro i confini nazionali.

Eppure, questa italianità emigrata ha dato frutti straordinari. Gli italiani nel mondo si sono distinti per capacità di adattamento, spirito di sacrificio e talento. In molti Paesi sono diventati parte integrante del tessuto sociale e politico, contribuendo allo sviluppo di intere comunità. Hanno saputo conservare la propria identità senza rinunciare all’integrazione. In tanti luoghi, oggi, l’italiano non è più visto come “l’emigrante”, ma come un esempio positivo di integrazione riuscita.

Chi ha vissuto l’esperienza della migrazione sa bene cosa significhi. Emigrare è un atto carico di coraggio, ma anche di rinunce profonde. È lasciare indietro una parte di sé: la propria casa, gli affetti, le radici. È affrontare la solitudine, l’incertezza, la nostalgia che si fa più pungente nelle notti silenziose o durante le feste tradizionali. È accorciare le distanze con la mente, cercando di far sembrare i chilometri più brevi, immaginando di poter abbracciare ancora, almeno per un istante, un genitore, un fratello, una nonna.

E se oggi, con un’Europa apparentemente più unita, il termine “emigrato” sembra meno marcato, la realtà ci racconta che chi parte lo fa ancora per necessità. La forma cambia, ma la sostanza resta: si continua a emigrare perché non si trovano, in patria, le condizioni per realizzarsi. Non si parte mai per capriccio, ma per mancanza di alternative.

Sono convinto che chi è partito, oggi come ieri, porta dentro di sé una ferita che non si rimargina mai del tutto: quella del distacco. Ma sono altrettanto convinto che, proprio per questo, dobbiamo sentirci responsabili gli uni degli altri. Quando incontriamo un nostro connazionale in difficoltà, non voltiamoci dall’altra parte. Aiutiamolo, anche solo con una parola, un gesto, un sorriso. Anche solo per risparmiargli quella maledetta sensazione di solitudine che noi, da italiani all’estero, conosciamo fin troppo bene.

Perché l’emigrazione non è solo un fenomeno statistico: è una storia di vite, di speranze, di dolori e di riscatti. E questa storia è la nostra.

Carmelo vaccaro, dip 11

 

 

 

 

 

Cittadinanza italiana: nuove regole tra continuità e cambiamento

 

Con l’approvazione del decreto-legge sulla cittadinanza, il governo italiano introduce una serie di modifiche significative al sistema di acquisizione e mantenimento della cittadinanza italiana per i discendenti di emigrati all’estero. Il provvedimento, proposto dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani e dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mira a rafforzare il principio del „legame effettivo“ con il Paese, ridisegnando i criteri per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis e introducendo nuove disposizioni per i cittadini italiani residenti all’estero.

Fine della trasmissione illimitata iure sanguinis

Uno degli aspetti più rilevanti del nuovo provvedimento è la limitazione della cittadinanza automatica ai discendenti di italiani nati all’estero. Attualmente, il diritto di cittadinanza si trasmette di generazione in generazione senza limiti temporali, purché vi sia una linea di discendenza da un cittadino italiano. Con la nuova normativa, la trasmissione della cittadinanza sarà automatica solo fino alla seconda generazione:

Chi nasce da almeno un genitore italiano o un nonno nato in Italia sarà automaticamente cittadino.

I pronipoti di cittadini italiani (terza generazione e successive) non saranno automaticamente cittadini, salvo specifiche condizioni.

Questa misura si allinea alle politiche di altri Paesi europei e ha lo scopo di evitare la concessione della cittadinanza a persone che non abbiano più alcun legame con l’Italia, pur avendo un avo italiano.

Acquisizione subordinata alla residenza o alla nascita in Italia

Per i discendenti di italiani che vivono all’estero, l’acquisizione della cittadinanza non sarà più automatica se oltre la seconda generazione. Tuttavia, ci saranno due modalità per ottenere la cittadinanza:

Nascita in Italia: I figli di italiani nati in Italia saranno automaticamente cittadini.

Residenza qualificata: Se un cittadino italiano trasferisce la propria residenza in Italia per almeno due anni continuativi prima della nascita del figlio, quest’ultimo sarà automaticamente cittadino italiano, anche se nato all’estero.

Registrazione dell’atto di nascita entro 25 anni

Un’altra novità importante riguarda l’obbligo di registrare l’atto di nascita del discendente entro il compimento dei 25 anni di età. Se il soggetto non effettua la registrazione entro questo termine, perderà il diritto a chiedere il riconoscimento della cittadinanza. L’obiettivo è rafforzare il concetto di legame effettivo con l’Italia e limitare le richieste tardive da parte di discendenti lontani.

Perdita della cittadinanza per „desuetudine“

La nuova normativa introduce anche un criterio inedito: la perdita della cittadinanza per „desuetudine“. I cittadini italiani nati all’estero che non risiedono in Italia e che possiedono un’altra cittadinanza perderanno la cittadinanza italiana se non manterranno alcun vincolo effettivo con il Paese per almeno 25 anni. Questo sarà valutato in base al mancato esercizio dei diritti e doveri derivanti dalla cittadinanza italiana, come la partecipazione elettorale o la richiesta di documenti italiani.

Le modifiche alle procedure consolari

Il Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato un disegno di legge per la riforma dei servizi per i cittadini italiani all’estero. Tra le novità più rilevanti:

Centralizzazione delle richieste di cittadinanza: Le domande di riconoscimento della cittadinanza non saranno più gestite dai consolati, ma da un ufficio centrale presso la Farnesina.

Periodo transitorio di un anno: Durante questa fase, i consolati continueranno a ricevere domande, ma con un limite nel numero di pratiche accettate.

Miglioramenti nei servizi per cittadini e imprese all’estero: La riforma riguarda anche legalizzazioni, anagrafe, passaporti e carte d’identità, con l’obiettivo di snellire le procedure e ridurre i tempi di attesa.

Aggiornamenti sulla legislazione passaporti

Nel pacchetto di riforme è incluso anche un aggiornamento della legge sui passaporti, che risale al 1967. Tra le modifiche principali:

Abolizione della proroga della durata del passaporto: I passaporti avranno una durata fissa di 10 anni non rinnovabili, eliminando la possibilità di proroga tramite timbro.

Eliminazione del passaporto collettivo: Questo tipo di documento, ormai obsoleto e non più accettato negli standard internazionali, viene formalmente eliminato dalla normativa italiana.

Obbligo di denuncia per il furto o smarrimento del passaporto: Chi perde il passaporto all’estero dovrà sporgere denuncia presso le autorità locali, salvo impossibilità comprovata.

Le conseguenze per gli italiani all’estero

L’introduzione del principio del „vincolo effettivo“ avrà un impatto significativo sulle comunità italiane nel mondo, specialmente in Paesi come Argentina, Brasile, Stati Uniti e Canada, dove risiedono milioni di discendenti di italiani. Alcuni esperti prevedono un incremento delle richieste di cittadinanza nei prossimi mesi, prima dell’entrata in vigore definitiva delle nuove norme.

Tuttavia, il governo rassicura che le modifiche non influenzeranno chi ha già ottenuto il riconoscimento della cittadinanza, né coloro che avranno presentato domanda prima del 27 marzo 2025.

Le nuove disposizioni potrebbero inoltre incentivare l’immigrazione di ritorno in Italia, facilitando la naturalizzazione per i discendenti di italiani che scelgano di risiedere stabilmente nel Paese.

Con queste riforme, il governo Meloni ridisegna il concetto di cittadinanza italiana, ponendo l’accento sul legame effettivo con il Paese e uniformandosi agli standard internazionali. Il decreto e il disegno di legge segnano la fine della trasmissione illimitata della cittadinanza e rafforzano l’importanza della residenza e della partecipazione attiva alla vita civile italiana.

Sebbene la misura abbia suscitato alcune preoccupazioni tra le comunità italiane all’estero, il governo insiste che l’obiettivo non è restringere i diritti, ma garantire che la cittadinanza sia un privilegio fondato su un legame reale con l’Italia.

CdI  on. 1

 

 

 

 

Cittadinanza. Acli: no alle semplificazioni, serve una cittadinanza italiana consapevole

 

ROMA – “La cittadinanza italiana non può essere solo una questione generazionale, si tratta di una questione molto complessa che le Acli, anche grazie all’esperienza maturata attraverso le associazioni della Federazione delle Acli internazionali, attive in 21 Paesi, stanno seguendo da tempo”, ha dichiarato il Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, che si chiede: “Perché non si è proceduto con un iter parlamentare, in cui le tante sensibilità che hanno già prodotto proposte di legge sul tema possano trovare in sintesi, anche grazie al contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero?”

Il decreto legge numero 36 del 25 marzo ha modificato le regole per acquisire la cittadinanza italiana per gli italo discendenti ed è un cambiamento radicale perché modifica la natura della legge 91 del 1992, che riconosce il diritto ad essere cittadino italiano a tutti i figli di genitori italiani, mettendo un limite a due generazioni (genitori o nonni) nati in Italia per richiedere la cittadinanza italiana. Nel decreto vengono richiamati i concetti di “urgenza” e “sicurezza nazionale”.

Le Acli , che da tempo  richiamano l’attenzione delle istituzioni sulla regolamentazione di una cittadinanza consapevole, sono critiche rispetto al decreto-legge . Entrando nel merito del decreto, “la ratio pare quella di riconoscere la cittadinanza in base ad una presunta maggiore italianità rispetto ad oggi dei soli nipoti dei nati in Italia”, ma per le Acli “la semplificazione della legge 91 del 1992 non rende giustizia alla nostra storia di emigrazione perché invece di valorizzare il rapporto tra “sangue” e appartenenza alla comunità italiana attraverso la conoscenza della lingua e della cultura italiana, si riduce tutto ad una questione “generazionale” che, come abbiamo sempre sostenuto, avrebbe potuto essere un elemento riformabile della legge 91 ma insieme a questi elementi”.

“Sarebbero necessari dei correttivi in particolare con una regolamentazione che dia la possibilità di trasmettere la cittadinanza quando sussiste, ad esempio, la certificazione di una profonda conoscenza linguistica”, ha detto Matteo Bracciali, Vicepresidente nazionale della Federazione delle Acli Internazionali. “Un altro rilievo sui disegni di legge annunciati riguarda le modifiche delle procedure di richiesta della cittadinanza italiana” e “anche sul rapporto cittadinanza-diritti sociali, chiediamo al Governo un reale ascolto delle rappresentanze degli italiani all’estero: l’idea di alleggerire la pressione sui Consolati non deve essere un’ulteriore complicazione nel rapporto con l’Amministrazione Pubblica né un rallentamento per l’ottenimento della cittadinanza”. “Dall’altra parte – ha continuato Bracciali – sul tema della partecipazione dei nuovi italiani alla vita pubblica non è sufficiente chiedere di esercitare diritti o doveri almeno una volta in 25 anni, perché non è una cittadinanza “compilativa” quella a cui dobbiamo tendere, ma la norma deve prevedere investimenti in strumenti di consapevolezza, come informazione, educazione e prossimità tra Italia e chi è italiano e vive in altro Paese del mondo.   Si chiamano investimenti perché il ritorno di relazioni si trasforma in dati economici e sociali dando sostanza all’Italia fuori dall’Italia orgogliosa del proprio passato e con una identità ricca e plurima. Per Bracciali, secondo cui sulla materia andavano ascoltate le rappresentanze degli italiani all’estero, come Comites e Cgie e le reti associative, “vi è ancora speranza di poter contribuire a costruire una normativa inclusiva, per sostenere una cittadinanza consapevole.” (Inform/dip 1)

 

 

 

 

Tornare a casa: Cgie e Commissariato per la ricostruzione insieme per promuovere la flat tax al 7%

 

ROMA - Una flat tax al 7% per i pensionati residenti all'estero che tornano a vivere nelle zone del centro Italia – Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio – colpite dai terremoti del 2009 e del 2016. La misura è rivolta a chi risiede all'estero da almeno cinque anni (cittadini stranieri o italiani, anche iscritti all’Aire) e percepisce un reddito da pensione da un soggetto estero.

A promuoverla presso le collettività dei connazionali sarà il Consiglio generale degli italiani all’estero che questa mattina, a Palazzo Wedekind, ha firmato un Protocollo di intesa con il Commissario Straordinario per la Ricostruzione del Sisma 2016, Guido Castelli.

A firmare l’intesa è stata la segretaria generale Maria Chiara Prodi, accompagnata da tutto il Comitato di Presidenza – riunito in questi giorni a Roma – alla presenza, tra gli altri, anche del senatore Roberto Menia.

“Occupandomi di ricostruzione, mi sono subito imbattuto nel problema che il vero rischio della ricostruzione è che le case una volta riqualificate rimangano vuote. Il calo, il gelo demografico è stato descritto nella sua consistenza e nella sua gravità proprio ieri dal presidente dell'Istat. Ecco che ho rispolverato dalle pieghe di alcune norme fiscali la possibilità di incentivare il rientro, non con la pretesa di risolvere il problema demografico, ma di alimentare la vitalità, i flussi delle comunità del sisma”, ha spiegato Castelli. La norma che “consente di godere di una flat tax al 7% per tutti i residenti all’estero percettori di pensione straniera che decidono di venire a vivere nei nostri bellissimi borghi” è “una norma utile” che “rivolgiamo soprattutto a chi magari ha il desiderio di tornare a casa: i nostri immigrati, le progenie di tutti coloro che dovettero lasciare la loro casa e che oggi potrebbero tornarvi in una condizione ristabilita, armoniosa e anche utile fiscalmente”.

I territori coinvolti sono quelli dell’Abruzzo, colpito dal sisma nel 2009, e di Lazio, Marche e Umbria, colpite nel 2016 tra 4 terremoti in 5 mesi, un territorio – ha ricordato Castelli – che si estende per 8mila km quadrati.

“Oltre a sistemare le case – ha aggiunto il Commissario straordinario – bisogna pensare alla comunità, alla vitalità di luoghi che anche prima del sisma erano scarsamente popolati”. Da qui la decisione di rilanciare la flat tax che prevede una “fiscalità vantaggiosa per i residenti all’estero che decideranno di tornare”. Una norma rivolta a stranieri e italiani: inevitabile, quindi, pensare ai connazionali all’estero e ai loro discendenti che volessero stabilire o ristabilire un legame con la terra dei loro genitori.

Un protocollo che è nelle corde del Cgie, ha detto Giuseppe Stabile, vicesegretario per l’Europa nel Consiglio generale. Ringraziato Castelli per “la lungimiranza di modello di ricostruzione virtuoso e dinamico dal quale può scaturire effetto moltiplicatore e da cui altre regioni possono trarre spunto”, Stabile ha ricordato che “il numero di espatriati è sempre crescente, con un aumento del 40% in meno di 10 anni”. Promuovere il rientro nei territori del sisma “concilia reciproci interessi: ripopola il territorio, allarga la platea di beneficiari di provvedimenti specifici come la flat tax, favorisce il rientro dei connazionali”.

Un rientro che potrebbe essere facilitato, ha suggerito il vicesegretario, anche da altre misure, come “prevedere una sorta di green card per chi investe nei territori per ottenere la cittadinanza”, o prevedendo disposizioni rivolte ad altre categorie di connazionali, non solo pensionati: “penso ai ricercatori da impiegare nei Laboratori del Gran Sasso, o agli universitari”, ha aggiunto. Quella con il Commissariato è una “collaborazione che può avere frutti straordinari. Il Cgie sensibilizzerà le nostre comunità”.

La firma del protocollo, ha osservato Maria Chiara Prodi, da un anno alla guida del Consiglio generale, “segna un capitolo nuovo per il Cgie”, che per promuoverla può contare su “una realtà di rappresentanza con 2mila volontari” eletti nei Comites, organismi con i quali “negli ultimi mesi abbiamo ricreato un legame strutturato” attraverso diversi incontri online, molti dei quali proprio sugli incentivi al rientro che, ha ricordato Prodi, “è uno dei nostri obiettivi per il primo semestre 2025, insieme alla messa in sicurezza del voto e alla riforma della cittadinanza”.

Il Consiglio generale è determinato ad “allargare le sue altezze”, ha evidenziato la segretaria generale, secondo cui “le relazioni istituzionali vanno diversificate” nel segno della “cooperazione con tutti”. Il Cgie è “punto di sintesi nella rappresentanza degli italiani all’estero e nei rapporti con gli italodiscendenti e con gli stranieri che incontriamo nei nostri territori. Nei Comites ci sono consiglieri cooptati proprio tra gli italodiscendenti, dunque è nel nostro Dna interagire con tutti”.

Anche sul fronte istituzionale: in questi giorni, il Cdp ha discusso di incentivi per il rientro con il Cnel ed è stato contattato dall’Ue per un progetto di comunicazione rivolto alle diaspore dei diversi Paesi.

“Oggi inizia una nuova fase che vogliamo estremamente concreta”, ha ribadito Prodi che ha firmato materialmente il Protocollo con il Commissario Castelli, con il beneplacito del Ministro degli esteri Tajani che, in un messaggio, ha assicurato il supporto della Farnesina per far conoscere una “bella e utile iniziativa”.

COSA PREVEDE LA FLAT TAX AL 7%

La flat tax al 7% riguarda i pensionati residenti all'estero che tornano a vivere nel Centro Italia: questa misura è rivolta a chi risiede all'estero da almeno cinque anni e percepisce un reddito da pensione da un soggetto estero.

Le persone che ricevono una pensione dall'estero e si trasferiscono in Italia in un comune con meno di 20miloa abitanti e situato nelle zone colpite dai terremoti del 2009/2016 possono optare per l’assoggettamento di tutti i redditi con la formula della flat tax.

Questa imposta è calcolata in modo forfettario con un’aliquota del 7% sui redditi esteri per nove anni a partire dal primo anno in cui fanno questa scelta.

Basta la percezione di un qualunque reddito da pensione per poter assoggettare al 7% qualsiasi altro reddito percepito da soggetto estero.

BENEFICI

I pensionati residenti all'estero possono trasferire la residenza fiscale in un comune dell'Appennino centrale e beneficiare dell'imposta sostitutiva al 7% per 10 anni su tutti i redditi prodotti di qualunque categoria anche quelli non da pensione.

REQUISITI

Essere titolare di reddito da pensione erogato da soggetto estero.

Avere residenza all'estero da almeno cinque anni (cittadini stranieri o italiani che risiedono all'estero da almeno cinque anni, anche iscritti all'Aire).

COSA BISOGNA FARE PER USUFRUIRE DELLA FLAT TAX

Individuare un'abitazione (luogo di residenza) in uno dei comuni dell'Appennino centrale con popolazione inferiore a 20.000 abitanti;

richiedere all'Agenzia delle entrate l’attribuzione del codice fiscale;

richiedere l'iscrizione all'anagrafe del comune di residenza scelto.

Dopo almeno sei mesi dall'iscrizione, presentando la dichiarazione dei redditi è possibile scegliere il regime di flat tax al 7%, per tutti i redditi prodotti per l'anno di imposta e i successivi 9 le regioni coinvolte sono Umbria Marche Abruzzo e Lazio

SIMULAZIONI

Secondo una simulazione del Commissario straordinario, un pensionato tedesco con 60mila euro di pensione lorda, con la flat tax al 7% in Italia risparmierebbe mille euro al mese.

GLI ALTRI PAESI

Il Portogallo ha eliminato ogni agevolazione per i pensionati, ma altri Paesi ancora la mantengono. In Slovacchia e Albania non si pagano tasse su pensioni straniere; in Grecia c’è la flat tax al 7% per 10 anni; a Cipro la flat tax è al 5% per le pensioni che superano i 3420 euro. Manuela Cipollone, aise/dip 2

 

 

 

 

Il semestre

 

Con l’Esecutivo Meloni sembrerebbe che l’Italia non abbia più bisogno di lezioni politiche. Il concetto, in generale, è chiaro: se il Paese non ha parametri di crescita economica confrontabili con gli altri Stati UE, la situazione interna potrebbe essere bonificata con altri “termini di raffronto”. Del resto, neppure il nostro Primo Ministro sembra essere nelle condizioni di dare più di quanto la situazione nazionale gli consente. Da noi si usano termini socio/politici che nel resto dell’Unione non sono d’impiego corrente.

 

Dato che navighiamo su una “barca” comune, sarebbe opportuno fare “chiarezza” politica. I contrasti, che ci sono, non dovrebbero però, essere considerati irreversibili. Sarebbe una mossa che ci costerebbe l’affidabilità, sia interna sia a livello comunitario.

Certo è che le mosse dell’attuale Esecutivo per riavviare la ripresa economica interna e la coerenza politica non sono chiare. Del resto, ma lo abbiamo sempre scritto: c’è una realtà nazionale che non ha da essere confusa con quella dell’UE. Certi problemi interni hanno da restare tali. Anche la cooperazione ha dei limiti che, a nostro avviso, non dovrebbero essere superati. La stessa linea di “rigore”, che sembra trovare accoglienza in buona parte del Consiglio di Strasburgo, non ci ha sorpreso.

 

Da noi, a torto o a ragione, c’è una situazione politica che, pur se in fase evolutiva, appare complessa e non proprio comparabile con quella degli altri Paesi dell’Unione. Soprattutto di quelli che si possono considerare tra i ”fondatori” della Grande Europa. Altre sensazioni preferiamo tenerle “in pectore” per verificarne, poi, l’effettiva consistenza. Certo è che l’attuale politica dello Stivale potrebbe giocare a nostro sfavore anche a livello Comunitario. Intanto, è iniziato il semestre “critico” per il futuro socio/politico d’Italia.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

Varato il decreto legge in materia di sicurezza

 

Il Consiglio dei ministri di venerdì sera ha varato un decreto-legge in materia di sicurezza, com’era nelle previsioni e nell’ordine del giorno, ma per la premier è stato anche l’occasione per tornare in una sede ufficiale sull’emergenza determinata dalla mossa di Trump sui dazi. Di Stefano De Martis

Il Consiglio dei ministri di venerdì sera ha varato un decreto-legge in materia di sicurezza, com’era nelle previsioni e nell’ordine del giorno, ma per la premier è stato anche l’occasione per tornare in una sede ufficiale sull’emergenza determinata dalla mossa di Trump sui dazi. Giorgia Meloni ha in sostanza ribadito l’invito a non farsi prendere dal panico e nel contempo ha reso noto un colloquio telefonico con il suo omologo inglese Starmer. Ha inoltre informato degli incontri che avrà lunedì con i leader dei partiti di maggioranza e martedì con i rappresentanti delle categorie produttive. C’è l’esigenza, tra l’altro, si avere una stima ragionevole dell’impatto che l’offensiva del presidente Usa avrà sulla nostra economia, dopo il crollo dei mercati finanziari che ha visto Milano in cima alla classifica negativa.

Il decreto legge riprende nella quasi totalità il testo del disegno di legge che il Consiglio dei ministri aveva già licenziato nel novembre 2023. Il ddl era andato avanti faticosamente nell’iter parlamentare, a settembre era stato approvato dalla Camera e ora si trovava all’esame del Senato, anche se per problemi di copertura finanziaria sarebbe comunque dovuto ripassare a Montecitorio. Il decreto-legge, invece, dev’essere convertito entra sessanta giorni ma è immediatamente esecutivo. C’è chi ha parlato di uno scambio tra l’esigenza della Lega di poter sbandierare subito le nuove norme e l’introduzione di alcuni correttivi non graditi a Salvini ma ufficiosamente richiesti dal Quirinale per rendere costituzionalmente potabile il testo. Sta di fatto che l’inedita operazione di travaso dal ddl al decreto, è stata comprensibilmente contestata dalle opposizioni perché oggettivamente svilisce il ruolo del Parlamento.

Vediamo ora in sintesi i punti su cui sono state apportate significative correzioni. Le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università, le società controllate e partecipate e gli enti di ricerca non sono più obbligati a collaborare con i Servizi di sicurezza e a stipulare convenzioni che obbligano a cedere informazioni e dati anche in deroga alle normative in materia di privacy. Nelle carceri (ma anche nei Cpr) il reato di “rivolta” si considera commesso solo in presenza di violazioni di ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”.

L’aggravante per iniziative contro opere pubbliche di rilevanza nazionale viene limitata alle infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o altri servizi pubblici. Per quanto riguarda l’acquisto di sim card telefoniche, ai migranti basterà mostrare un documento d’identità e non anche il permesso di soggiorno. Per motivi di equità del diritto penale, anche nei reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale bisognerà tenere conto delle eventuali attenuanti. A proposito di forze dell’ordine, comunque, il decreto prevede che agenti e militari indagati o imputati per fatti di servizio potranno lavorare mentre lo Stato sosterrà le loro spese legali, fino a 10mila euro per ogni fase del procedimento. Tornando alle correzioni, per quanto riguarda i reati commessi da madri incinte o di minori inferiori a un anno, si prevede il ricorso agli istituti di “custodia attenuata” e non al carcere, e il giudice può valutare le preminenti esigenze del minore anche in presenza di una condotta grave della madre.

Infine, è stato corretto uno dei punti più criticati (chiamato dalla Lega “anti borseggiatrici rom”): ora si prevede l’obbligatorietà della custodia cautelare presso un istituto di custodia attenuata (e non in carcere) per le madri incinte o di minori inferiori a un anno. E il giudice può valutare le preminenti esigenze del minore, anche in presenza di una condotta grave della madre. Sir 5

 

 

 

 

Istat, il tasso di fecondità italiano ha superato il minimo storico del 1995

 

Il tasso di fecondità italiano ha superato il minimo storico: con 1,18 figli per donna viene superato il record negativo di 1,19 registrato nel 1995, anno chiave per capire la crisi demografica del nostro Paese. In quell’anno nacquero 526mila bambini, l’anno scorso i nuovi nati sono stati appena 370mila.

I dati provvisori degli Indicatori demografici 2024 pubblicati oggi, lunedì 31 marzo, dall’Istat confermano che c’è sempre meno tempo per correre ai ripari.

Come sta cambiando la popolazione italiana

Oltre alle culle mai così vuote, l’Italia deve fare i conti con la “fuga dei cervelli” (e non solo) che avanza a un ritmo sempre maggiore. Solo lo scorso anno 191mila persone hanno lasciato il Belpaese (+20,5% rispetto al 2023). Tra gli expat, 156mila erano cittadini italiani, +36,5% rispetto al 2023. “Raramente usiamo il termine ‘boom’ nei nostri report” ha spiegato Marco Marsili, Responsabile del Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita dell’Istat durante il talk che si è tenuto questa mattina presso la sala stampa Istat. Una precisa scelta lessicale per sottolineare quanto sia grave l’aumento degli espatri registrato nell’ultimo anno.

La popolazione di cittadinanza italiana si attesta a 53 milioni 512mila unità, 206mila persone in meno rispetto al 1° gennaio 2024 (-3,8 per mille). La variazione negativa non risparmia nessuna regione ed è più accentuata nel Mezzogiorno (-131mila italiani residenti in meno) nonostante il lieve calo della migrazione interna (-1,4% rispetto al 2023 per un totale di un milione e 413mila cittadini.

La diminuzione della popolazione prosegue ininterrottamente dal 2014 e il decremento registrato nel 2024 è in linea con quanto osservato negli anni precedenti (-0,4 per mille del 2023 e -0,6 per mille nel 2022). I dati pubblicati dall’Istat confermano che, senza immigrazioni, il declino demografico dell’Italia sarebbe molto più rapido.

Il ruolo delle immigrazioni

Al primo gennaio 2025, la popolazione italiana si attestava a 58,934 milioni di residenti, un calo molto limitato rispetto al 2023 (-0,6 per mille) anche grazie alle immigrazioni dall’estero che nel 2024 hanno portato 435mila persone in Italia. Di queste solo 53mila erano cittadini italiani rientrati in patria, a riprova del fatto che le agevolazioni per il rientro dei cervelli sono poco efficaci mentre altri Paesi, risultano più attraenti soprattutto per i giovani anche grazie a delle riforme che attraggono manodopera dall’estero (si pensi alle ingenti agevolazioni per i giovani previste dal Portogallo)

Nonostante la lieve diminuzione delle immigrazioni (-5mila rispetto al 2023), nel 2024 è aumentata la popolazione residente di cittadinanza straniera che è salita a 5 milioni e 422mila unità, +3,2% rispetto al 2023 ovvero 169mila persone in più sull’anno precedente. L’incidenza della popolazione straniera sale al 9,2% su quella totale.

I vantaggi dati dall’immigrazione non sono concentrati equamente lungo la penisola:

* il 58,3% dei cittadini stranieri (3 milioni 159mila individui) risiede al Nord, dove costituiscono l’11,5% della popolazione residente;

* il 24,4% (322mila individui) risiede al Centro con un’incidenza dell’11,3% sulla popolazione totale;

* il 17,3% (941mila unità) risiede nel Mezzogiorno, dove rappresentano appena il 4,8% della popolazione residente totale.

Nel 2024, riportano ancora gli Indicatori demografici dell’Istat, 217mila cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, circa 3mila in più rispetto al 2023. “Registriamo ormai stabilmente oltre 200mila nuovi cittadini italiani all’anno”, osserva Marsili.

Le tre cittadinanze di origine più frequenti sono quella albanese (31mila acquisizioni), quella marocchina (27mila acquisizioni) e quella rumena (circa 15mila acquisizioni) che rimpiazza quella argentina in terza posizione. Il 64% delle acquisizioni di cittadinanza italiana si deve a nove Paesi.

Fonte: Indicatori demografici Istat 2024

Rispetto al 2023 scendono le cittadinanze concesse a cittadini argentini e brasiliani (rispettivamente -11% e -10%) mentre crescono quelle in favore dei cittadini del sub continente indiano (India +30% e Bangladesh +19%).

Aumenta l’aspettativa di vita (e calano i decessi)

Il calo della popolazione procede lentamente anche grazie ad un altro (duplice) fattore: aumenta l’aspettativa di vita e calano i decessi: nel 2024 sono stati 651mila, -3,1% sul 2023 (-20mila unità).

In rapporto al numero di residenti sono deceduti 11 individui ogni 1.000 abitanti, contro gli 11,4 dell’anno precedente. Un numero così basso di decessi non si registrava dal 2019.

Nonostante ciò, il saldo naturale (ovvero la differenza tra nascite e decessi senza considerare il saldo migratorio) è ancora fortemente negativo e pari a -281mila unità.

In un solo anno, l’aspettativa di vita è salita di circa cinque mesi sia per le donne che per gli uomini:

la speranza di vita alla nascita nel 2024 è stimata in 81,4 anni per gli uomini e in 85,5 anni per le donne (+0,4 in decimi di anno), valori superiori a quelli del 2019. Anche l’aspettativa di vita è più alta al Nord: 82,1 anni per gli uomini e 86,0 per le donne nel Settentrione; 81,8 anni per gli uomini e 85,7 anni per le donne nel Centro Italia, 80,3 anni per gli uomini e 84,6 anni per le donne nel Mezzogiorno.

I dati sui decessi sono sull’aspettativa di vita sono più in linea con i livelli pre-pandemici che con quelli del triennio 2020-22, segno che il Paese ha assorbito (dopo quattro anni) i segni della pandemia.

Il calo delle nascite in Italia: numeri e tendenze

Nel 2024, secondo i dati provvisori, in Italia sono nati 370mila bambini, circa 10mila in meno rispetto all’anno precedente (-2,6%). Il tasso di natalità scende così al 6,3 per mille, leggermente inferiore al 6,4 per mille del 2023. I nati di cittadinanza straniera rappresentano il 13,5% del totale, con quasi 50mila bambini, in calo di circa 1.500 unità rispetto all’anno precedente.

 Fecondità ai minimi storici

 Come detto in apertura, la fecondità del 2024 è pari a 1,18 figli per donna, un valore inferiore a quello del 2023 (1,20) persino al minimo storico del 1995 (1,19). Il calo è più marcato nel Settentrione e nel Mezzogiorno:

* Nel Centro Italia, il numero medio di figli per donna rimane stabile a 1,12;

* Nel Nord scende a 1,19 (rispetto a 1,21 nel 2023);

* Nel Mezzogiorno si riduce a 1,20 (da 1,24), confermandosi l’area con la fecondità più alta ma con la contrazione più accentuata. Il Sud deve anche fare i conti con la migrazione interna.

“Tutte le regioni italiane sono sotto il livello di sostituzione pari a 2,1 figli per donna”, osserva Marsili. Il Trentino-Alto Adige è la regione con la fecondità più elevata (1,39 figli per donna) mentre la Sardegna è quella con la fecondità più bassa (0,91).

L’impatto sulla struttura demografica 

Oltre al calo della fecondità, la riduzione delle nascite è dovuta anche alla diminuzione del numero di potenziali genitori. La popolazione femminile in età riproduttiva (15-49 anni) è passata da 14,3 milioni nel 1995 a 11,4 milioni nel 2025, mentre gli uomini nella stessa fascia di età sono scesi da 14,5 a 11,9 milioni. Questo spiega perché, nonostante nel 1995 la fecondità fosse solo leggermente superiore a quella attuale, si registrarono 526mila nascite, ben 156mila in più rispetto al 2024.

Ciò che successe nel 1995 ci aiuta a capire la crisi demografica attuale. Come ricorda Marco Marsili “Quel periodo è a cavallo tra la prima transizione demografica e la seconda. In quegli anni inizia il problema strutturale, ovvero iniziano a diminuire le donne in età feconda”, ma non solo. In quegli anni aumenta la professionalità richiesta per entrare nel mondo del lavoro. Questo processo ha portato le giovani coppie a ritardare i progetti di famiglia: “c’è un tema legato al posticipo della maternità legato alla necessità di iniziare a lavorare più tardi, dopo aver terminato il percorso di formazione. Parte un meccanismo che si traduce in posticipo; si decide di posticipare al dopo ciò che non si può fare ora. Le nascite non avute in quel periodo lì sono state recuperate nei quindici anni successivi ma solo parzialmente, mentre gli altri Paesi hanno recuperato quasi integralmente il calo delle nascite”.

Per motivi analoghi, l’età media al parto continua ad aumentare e nel 2024 ha raggiunto i 32,6 anni (+0,1 rispetto al 2023). La tendenza a posticipare la maternità ha un impatto significativo sulla riduzione della fecondità: più si ritarda, meno tempo resta per realizzare un progetto familiare, più aumenta il rischio di infertilità, come ampiamente visto su queste pagine. L’età media al parto è in crescita in tutto il Paese, con il Nord e il Centro che registrano i valori più elevati (32,7 e 33,0 anni) rispetto al Mezzogiorno (32,3 anni).

Meno matrimoni, soprattutto religiosi

Anche i matrimoni sono in calo. Nel 2024, secondo i dati provvisori, sono stati celebrati 173mila matrimoni, 11mila in meno rispetto al 2023. La diminuzione riguarda soprattutto le nozze religiose (-9mila), ma anche quelle civili subiscono un calo (-2mila). Il tasso di nuzialità scende così al 2,9 per mille (dal 3,1 del 2023). Il Mezzogiorno resta l’area con il tasso più alto (3,2 per mille, rispetto al 2,8 per mille di Nord e Centro), ma è anche la zona che registra la maggiore contrazione rispetto all’anno precedente. Adnkronos 31.3.

 

 

 

 

Dalla pandemia alla paura della guerra: in emergenza perenne?

 

Una riflessione personale su paura, controllo e l’emergenza permanente

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dal 2020, è che la paura è un’arma potente. Per anni ci hanno bombardato con allarmi continui sulla pandemia, portandoci ad accettare restrizioni senza precedenti, controlli e obblighi che fino a poco prima sarebbero sembrati impensabili. Ora, mentre il Covid sembra un ricordo lontano, il clima di emergenza non è affatto finito: al contrario, si è solo trasformato. Il nuovo grande spauracchio è la guerra.

Da mesi, politici e media dipingono scenari da incubo: conflitti sempre più vicini, instabilità globale, minacce informatiche, blackout, crisi alimentari. E mentre l’ansia cresce, l’Unione Europea ha lanciato il suo piano Preparedness Union, con un messaggio chiaro: bisogna essere pronti a tutto.

Il piano della Commissione Europea prevede ben 30 misure per affrontare le possibili crisi. Tra le più significative:

Scorte di emergenza: ogni cittadino dovrebbe avere cibo, acqua e medicinali per almeno 72 ore.

Corsi di sopravvivenza a scuola: gli studenti impareranno come prepararsi a situazioni di crisi.

Piani di emergenza per infrastrutture vitali: ospedali, trasporti e telecomunicazioni dovranno attrezzarsi per funzionare anche in caso di blackout o attacchi.

Esercitazioni di crisi su larga scala: polizia, protezione civile, esercito e servizi sanitari si addestreranno insieme per gestire emergenze.

Piani aziendali per garantire beni essenziali: le imprese dovranno assicurare la produzione e la distribuzione di prodotti critici.

In Germania, la preparazione va addirittura oltre: il governo raccomanda ai cittadini di avere scorte alimentari per dieci giorni e di tenere pronto un “kit di sopravvivenza” con vestiti caldi, torce, batterie e documenti importanti.

Fermiamoci un attimo e chiediamoci: tutto questo è davvero solo per la nostra sicurezza? Certo, nessuno può negare che viviamo in tempi difficili, ma la storia ci ha insegnato che spesso le emergenze vengono usate per giustificare misure di controllo sempre più invasive.

Durante la pandemia, la paura è stata usata per convincerci ad accettare misure drastiche: dal lockdown ai certificati sanitari, fino a limitazioni che hanno inciso profondamente sulla nostra libertà. Adesso, con la minaccia della guerra, il meccanismo sembra lo stesso: allarmi continui, richiami alla responsabilità collettiva e nuove restrizioni che potrebbero diventare la norma.

E se quello a cui stiamo assistendo fosse solo un altro passo verso una società ipercontrollata, dove il cittadino è costantemente messo sotto pressione, in ansia, pronto ad accettare qualunque misura “per il bene comune”?

L’idea di un popolo impaurito e costantemente in allerta fa comodo a chi governa. Una società che vive nel terrore è una società più facile da controllare: meno ribelle, più disposta ad accettare limitazioni, meno propensa a farsi domande.

Oggi ci dicono che dobbiamo essere pronti a crisi imprevedibili, proprio come ci dicevano che il Covid sarebbe durato anni e che solo con sacrifici estremi avremmo potuto uscirne. I governi europei, invece di concentrarsi su politiche di pace e stabilità, alimentano l’idea di un futuro incerto, in cui ogni cittadino deve essere pronto a sopravvivere autonomamente per giorni, mentre le istituzioni accumulano potere e controllo. Stiamo forse andando verso una società in cui il concetto di “normalità” viene sostituito da un’emergenza permanente? Forse è il momento di smettere di vivere nella paura e iniziare a chiederci dove ci stanno portando. Licia Linardi, CdI on 1

 

 

 

 

 

Manette e milioni: la messinscena di un governo in bancarotta politica

 

"Il potere non è mai stato amico della verità." (Michel Foucault)

Mentre l’Italia arranca sotto il peso della stagnazione economica, della sfiducia crescente e di una società sempre più disillusa, il governo tenta di distrarre l’opinione pubblica con un’operazione di facciata: quaranta arresti ostentati come trofei nei telegiornali diventano l’ennesimo pretesto per giustificare un hotspot da oltre 800 milioni di euro, più una montagna di costi correnti per polizia, logistica e apparati. Un investimento sproporzionato e politicamente opaco, più utile a tenere viva la propaganda che a risolvere concretamente i problemi del Paese.

L’accordo con l’Albania, che nei fatti somiglia a una regalia più che a una strategia, mostra il volto di un esecutivo che usa la politica estera come paravento e i fondi pubblici come strumento di consenso. Intanto, nel cuore del Paese reale, da 25 mesi la crescita economica è ferma. Lavoratori impoveriti, salari stagnanti, pensioni al limite della sopravvivenza e una pressione fiscale insostenibile sono il quadro quotidiano per milioni di famiglie italiane.

A questo si aggiunge il circo delle grandi promesse irrealizzabili: un ponte sullo Stretto senza progetto esecutivo, senza un piano serio per la viabilità delle aree coinvolte, che oggi versano in condizioni da terzo mondo. Strade dissestate, collegamenti ferroviari inesistenti, territori abbandonati al dissesto idrogeologico: l’Italia che frana e allaga a ogni temporale resta fuori dai radar di un governo impegnato a vendere illusioni.

Le grandi crisi industriali rimangono irrisolte: Ilva e Alitalia sono simboli viventi dell’assenza di una visione strategica. Nessun piano industriale, nessuna prospettiva occupazionale, solo commissariamenti infiniti e miliardi buttati. La sanità pubblica è al collasso: personale ridotto all’osso, ospedali in sofferenza, accesso alle cure sempre più diseguale. La scuola non sta meglio: precariato cronico, strutture fatiscenti, docenti abbandonati.

E mentre l’Italia si smarrisce, la premier trova il tempo per volare negli Stati Uniti e inginocchiarsi politicamente davanti a Donald Trump, più confuso e schizoide che mai, in una mossa che ha tutto il sapore di una ricerca disperata di legittimazione internazionale. Una visita grottesca, tra prece e lumi, che ha più il tono del pellegrinaggio mediatico che dell’incontro tra statisti. Una leader in crisi che cerca rifugio da un leader in disfacimento.

Ma il vuoto non è solo del governo. L’opposizione, pur pronta a criticare ogni passo, non propone alternative credibili né piani concreti. Grida, polemizza, ma resta priva di visione, di coraggio e spesso di coerenza. I sindacati? In perenne ritardo, più interessati a mantenere equilibri interni che a difendere davvero i lavoratori. Confindustria non è da meno: quando non tace, balbetta. La voce delle imprese si è fatta flebile, accomodante, incapace di spingere verso riforme serie.

Nel frattempo, settori chiave come agricoltura, trasporti e turismo sono ostaggio delle lobby e dei corporativismi: gli agricoltori scendono in piazza, ma i provvedimenti sono tardivi o inconsistenti; la questione taxi è una telenovela infinita, con lo Stato ostaggio delle licenze; i balneari continuano a occupare le spiagge pubbliche senza gare né regole chiare, tra proroghe illegittime e silenzi compiacenti.

Così, mentre l’Italia vera sprofonda, la politica italiana – governo in testa, ma non solo – continua a recitare il copione stanco dell’apparenza. Non è solo inefficienza: è abdicazione. È l'incapacità di ascoltare, decidere, costruire. La crisi non è congiunturale: è sistemica. E il Paese, purtroppo, la sta pagando tutta.

Carlo Di Stanislao, Dip 14

 

 

 

 

 

Essere propositivi

 

Il tempo è galantuomo. Gli eventi, nazionali e internazionali, l’hanno sempre dimostrato e, nei nostri oltre sessant’anni d’attività pubblicistica, ci abbiamo fatto conto.

L’attuale situazione nel Vecchio Continente ha evidenziato ciò che temevamo. L’Europa è un continente geografico unito, ma, politicamente, ha delle differenze comportamentali che l’UE aveva tentato di disciplinare ma che, invece, sono tutte emerse in modo palese.

 

Le differenze, che prima erano secondarie, ora si sono fatte decisive e l’Italia, che è uno degli anelli debole dell’Europa Stellata, ne risente, maggiormente, le conseguenze. Circa la politica nazionale, dovremo essere pronti a fare delle proposte alternative.

 

L’Italia riprenderà la sua coscienza non più influenzata dalle posizioni politiche di chi ha gestito gli ultimi anni politici di questo Paese? Essere propositivo sarà la nuova meta che gli italiani saranno in grado di gestire. Meglio dimenticare i “campanilismi” politici e rivedere il panorama nazionale con un’ottica non più inquinata da alleanze fittizie che hanno dimostrato, proprio quando ci sarebbe voluta maggiore coesione, la loro inefficacia. Questo Governo dovrebbe presentare il mutamento.

 

Una nuova presa di coscienza e una più coerente gestione del potere saranno le “terapie” migliori per uscire anche dal marasma politico di quest’ultimo quinquennio. Lo avremmo dovuto capire da qualche tempo. Ora sembra che la lezione sia servita.  Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Il mondo che si spezza e quello che possiamo ricostruire

 

"La vera autorità non si esercita con la forza, ma con la persuasione." (Papa Francesco)

C’è qualcosa di profondo e inquietante nel nostro tempo. Le crisi non sono più eventi eccezionali, ma la condizione permanente del presente. Si susseguono, si intrecciano, si alimentano a vicenda. E il sentimento più diffuso non è più la rabbia o la speranza, ma una stanchezza silenziosa, corrosiva. Come se il mondo fosse in affanno, e noi con lui.

Il Sinodo della Chiesa Cattolica è solo l’ultima manifestazione di un mondo che fatica a rinnovarsi. Papa Francesco ha provato a spingere la Chiesa verso una maggiore apertura, verso un linguaggio più umano, meno dogmatico, più vicino alle sofferenze reali. Ma ha trovato ostacoli interni, resistenze, paure. La spaccatura è evidente: da una parte chi vuole riformare, dall’altra chi difende una tradizione che si confonde con l’immobilismo. Il risultato è una crisi non solo di leadership, ma di senso: qual è il ruolo spirituale di una Chiesa che si chiude mentre la realtà bussa con forza alle sue porte?

Ma la Chiesa non è sola in questo stallo. La politica globale è impantanata in dinamiche di potere sempre più autoreferenziali. Le guerre commerciali — come quella innescata dagli Stati Uniti contro la Cina — sono la punta dell’iceberg. Dietro c’è un mondo che non riesce più a trovare regole condivise. La logica del conflitto ha sostituito quella della cooperazione. Gli interessi di breve termine prevalgono sulla costruzione di un ordine internazionale stabile. E alla fine, a pagare, sono sempre i più vulnerabili.

L’Europa, teoricamente nata per superare i nazionalismi e garantire pace e prosperità, sembra oggi smarrita. Le sue istituzioni appaiono tecnocratiche, lente, timorose. Manca una visione comune, manca un progetto forte. Di fronte alle tensioni commerciali, alle crisi energetiche, ai flussi migratori, alle sfide climatiche, l’Europa balbetta. La Banca Centrale Europea interviene, ma con margini stretti. I governi nazionali pensano al proprio elettorato, non al destino collettivo.

La grande domanda: quale modello di sviluppo vogliamo?

Eppure, proprio in questa fase storica così delicata, potremmo – anzi dovremmo – porci la domanda fondamentale: è questo il mondo che vogliamo? È sostenibile un sistema che genera crescita economica per pochi e precarietà per molti? Che misura il successo solo in base al profitto, ignorando i costi sociali e ambientali?

Il neoliberismo, che per decenni ci è stato presentato come l’unica via possibile, ha mostrato crepe profonde. Ha aumentato le disuguaglianze, ha eroso il welfare, ha trasformato il cittadino in consumatore, la solidarietà in competizione.

Ma le alternative esistono. Non come utopie lontane, ma come percorsi concreti già in atto in diversi angoli del mondo.

L’economia sociale di mercato, ad esempio, punta su un equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. Non elimina il mercato, ma lo sottopone a regole chiare, orientate al bene comune. Lo Stato non si limita a “correggere” le distorsioni, ma diventa attore protagonista nello sviluppo di infrastrutture, servizi pubblici, innovazione verde.

L’economia circolare, invece, ci chiede di abbandonare il paradigma lineare “produci-consuma-scarta” e di costruire un ciclo produttivo in cui le risorse vengono riutilizzate, rigenerate, valorizzate. È un modello già adottato da alcune aziende virtuose, che dimostra come sostenibilità e competitività possano andare di pari passo.

L’economia del bene comune, nata in Europa ma diffusa anche in America Latina, propone un nuovo indicatore di progresso: non più solo il PIL, ma una “pagella etica” che misura l’impatto sociale e ambientale delle imprese. Profitto sì, ma non a scapito dei diritti, della dignità, della natura.

E poi c’è la decrescita. Termine che spaventa, che molti leggono come rinuncia o arretramento. Ma che in realtà propone una riduzione selettiva e intelligente dei consumi inutili, in favore di una vita più sobria, più ricca di relazioni, di tempo, di significato.

Europa: il coraggio di essere un laboratorio di futuro

In tutto questo, l’Europa ha una responsabilità storica. Non solo perché è ancora uno dei grandi attori economici e culturali del mondo, ma perché è stata costruita proprio sull’idea che l’unità può nascere dalla diversità, che la cooperazione è più forte del conflitto.

Oggi l’Europa può scegliere se essere una macchina amministrativa al servizio dei mercati, o un laboratorio di democrazia, giustizia e innovazione. Può scegliere se inseguire modelli in declino, o indicare nuove strade. Ma per farlo deve uscire dalla logica del compromesso sterile e riscoprire il coraggio della visione.

Un tempo nuovo può nascere solo da una consapevolezza nuova

Siamo a un bivio. E il punto non è solo sopravvivere alla crisi, ma decidere chi vogliamo essere dopo. Possiamo continuare a rincorrere un modello esausto, oppure possiamo fermarci, guardare avanti e scegliere un’altra via.

La buona notizia? Cambiare è ancora possibile. Ma richiede coraggio politico, immaginazione sociale, e soprattutto un profondo rinnovamento culturale. Dobbiamo smettere di pensare che il futuro sia solo una proiezione del passato. E iniziare a costruirlo davvero, insieme. Carlo Di Stanislao, dip 4

 

 

 

 

 

Cittadinanza. Per Natitaliani il DL 36/25 è completamente sbagliato

 

Un Decreto sbagliato nella forma e nella sostanza che sottrae diritti fondamentali e rompe i legami con gli italiani nel mondo.

Natitaliani esprime la più ferma e decisa opposizione al recente Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri, che modifica radicalmente la disciplina sulla cittadinanza italiana. Questo provvedimento rappresenta un attacco diretto a un diritto fondamentale di origine secolare, minando le basi stesse dell'italianità nel mondo.

Invece di adottare misure volte a rendere più efficiente la pubblica amministrazione e contrastare gli abusi, il Governo ha scelto la via più semplice e dannosa: cancellare un diritto storico. Si fa riferimento a presunti episodi di frode, mai quantificati, utilizzandoli come pretesto per giustificare una misura punitiva nei confronti di milioni di italo discendenti possessori dalla nascita di un diritto inalienabile.

È inaccettabile che, anziché intervenire con azioni preventive e correttive mirate, si opti per una soluzione drastica che penalizza indiscriminatamente una vasta comunità. Si potrebbe dire usando una nota metafora che si sia voluto "buttare il bambino con l'acqua sporca".

Questo decreto legge, chiaramente politico, presenta tratti autoritari che evocano i periodi più oscuri della nostra storia. Il taglio “fascista” del provvedimento è profondamente sbagliato in primis nella sostanza: ignora i diritti degli italiani nati all'estero e sottovaluta il loro immenso potenziale economico e culturale a livello globale. Inoltre, viola il principio di irretroattività, imponendo retroattivamente un termine di decadenza – fissato al 27 marzo 2025 – che respinge automaticamente le domande, anche se pronte per essere depositate.

Anche il metodo adottato è inaccettabile: una decisione su una questione di tale importanza non è stata il risultato di un confronto democratico con il Parlamento o con le organizzazioni che conoscono la realtà degli italiani all'estero, ma è stata presa a porte chiuse, nel cuore della notte.

Natitaliani ritiene pertanto che i danni economici, morali e d'immagine conseguenti a questo provvedimento siano incalcolabili.

Se ancora oggi il Made in Italy è sinonimo di eccellenza nel mondo, è anche grazie ai milioni di italiani all'estero che, con le loro tradizioni, valori e stile di vita, hanno mantenuto alto il prestigio dell'Italia a livello internazionale.

Inoltre, l'entrata in vigore immediata del decreto creerà inevitabilmente un aumento esponenziale dei contenziosi legali, sovraccaricando ulteriormente un sistema giudiziario già sotto pressione. Le sospensioni degli appuntamenti per il riconoscimento "iure sanguinis" e delle nuove prenotazioni, annunciate senza preavviso, aggiungeranno ulteriore caos e incertezza per migliaia di famiglie.

Natitaliani si impegna a mobilitare tutte le forze politiche, le associazioni, il mondo cattolico, le comunità di italo-discendenti nel mondo, i costituzionalisti e gli esperti di diritto, nonché a sensibilizzare l'opinione pubblica italiana sui danni irreparabili che questo provvedimento miope infliggerà al sistema Paese e agli italiani ovunque nati.

Continueremo a combattere contro le manipolazioni e le distorsioni mediatiche che tentano di dipingere gli italo discendenti come individui interessati unicamente a ottenere "passaporti facili" o a sfruttare il sistema sanitario e previdenziale italiano. In realtà, i residenti all'estero non hanno accesso al sistema sanitario né a quello previdenziale, salvo abbiano contribuito per almeno dieci anni come residenti in Italia. Per quanto riguarda il diritto di voto, gli italiani all'estero possono esprimersi solo per un numero limitato di parlamentari. Su questi e altri temi, forniremo dati concreti per evitare che il dibattito sulla cittadinanza venga ulteriormente strumentalizzato a fini politici.

Natitaliani ribadisce con forza che la cittadinanza italiana è un diritto inalienabile, frutto di una storia condivisa e di legami profondi che non possono essere cancellati con un colpo di penna legislativo. Invitiamo tutti gli italiani, in patria e all'estero, a unirsi a noi in questa battaglia per la giustizia, la dignità e il rispetto dei diritti fondamentali di cittadinanza. Dir 31.3.

 

 

 

 

 

L’arte di lasciar andare

 

Lasciar andare è comunemente associato ad un atto di debolezza o di mancanza di coraggio. Al contrario, è un'arte di forza insolita, un atto di adattamento al flusso naturale della vita. Non si tratta di arrendersi, ma di lasciare andare ciò che non ci giova più, liberandoci dal peso dell'attaccamento e aprendoci alle infinite possibilità del presente. È l'arte di arrendersi con grazia, comprendendo che ciò che è destinato a noi non dovrà mai essere inseguito.

 

In una delle mie riflessioni, scrissi: "Non corro mai dietro alle cose che non sono fatte per me, poiché arrivano a me quando diventano fatte per me". Questa non è stata una comprensione facile; è stata messa alla prova dall'esperienza, dalla frustrazione e da momenti di profonda intuizione. Lasciar andare è stato un viaggio intellettuale e personale, guidato dall'introspezione e dalla consapevolezza di sé. Questo è un viaggio in quella direzione.

 

1. L'illusione del controllo e il peso dell'attaccamento

La natura umana ha un desiderio innato di controllare, di avere persone, speranze ed emozioni sotto il proprio comando come fossero beni di proprietà. Ma la vita scorre comunque, cambia ogni secondo, come quel fiume che non vuole mai rimanere fermo.

 

C'è stato un tempo in cui mi aggrappavo a un'amicizia che da tempo aveva superato la sua durata naturale. Ho cercato di riunirla, di rianimare qualcosa che stava morendo, ma ho esaurito ogni mia energia. Più lottavo, più si allontanava da me. Mi sono liberato solo quando ho smesso di aggrapparmi a qualcosa di morto. Non perché l'ho perso, ma perché alcune cose sono destinate a marcire o ad andare avanti.

 

La sofferenza nasce spesso dal nostro tentativo di controllare l'incontrollabile. Non appena ci rendiamo conto che stringere i pugni non cambia l'inevitabile, la nostra esistenza diventa più serena. Lasciar andare, quindi, non è abbandonare la vita, ma avere fiducia nel suo flusso.

 

2. Il peso del passato e la libertà del presente

Il passato è un libro logoro; le sue pagine sono piene delle storie che ci hanno formato, ma non possono essere riscritte o rivissute. Eppure, molti di noi trascinano il proprio passato come un peso troppo pesante da deporre.

 

C'è stato un periodo della mia vita in cui mi sedevo per ore a ripensare agli errori del passato, desiderando di non aver mai detto certe cose o fatto certe scelte. Pensavo che, se avessi agito diversamente, la mia vita sarebbe stata diversa. Ma era questa la realtà? O era semplicemente il mio cervello che cercava di combattere il fatto che le cose fossero accadute nel modo in cui dovevano accadere?

 

Nulla rimane uguale: le relazioni finiscono, le emozioni cambiano e persino il nostro io di ieri non è quello di oggi. Lasciar andare significa accettare il cambiamento come unica costante, diventare amici dell'impermanenza. Nel momento in cui ho smesso di resistere al passato e ne ho accettato la saggezza, ho trovato una leggerezza dentro di me, una libertà che era sempre stata lì.

 

3. La resistenza dell'ego e l'arte della resa

La più grande resistenza al lasciar andare nasce spesso dall'ego: il sé che costruiamo attraverso i nostri attaccamenti. Diventiamo ciò che siamo in base a ciò che possediamo, a chi ci accompagna, a quale posizione occupiamo nella società. Ma cosa facciamo quando la vita ci chiede di lasciare andare tutto questo?

 

C'è stato un tempo in cui mi aggrappavo con tutte le forze a una speranza, ignorando ogni segnale che mi suggeriva di tornare indietro. Conoscevo la sconfitta solo come resa. Ma quando il destino mi ha spinto da parte, ho capito che lasciar andare non era la fine, ma l'inizio di qualcosa di più grande.

 

Arrendendoci alla vita invece di resisterle, siamo in armonia con la nostra vera natura, proprio come l'albero che si piega nella tempesta ma non si spezza. La vera resa non è una rassegnazione passiva; è un atto di fiducia. Quando lasciamo andare il controllo, permettiamo a qualcosa di nuovo, più in linea con la nostra evoluzione, di entrare nella nostra vita.

 

4. Amare senza possedere: la forma più alta di libertà

Forse il lasciar andare più difficile riguarda le relazioni: romantiche, familiari o di amicizia. L'amore, se è vero, non trattiene, ma libera. Tuttavia, lo confondiamo con l'attaccamento e crediamo che più stringiamo, più durerà.

 

Una volta ho amato qualcuno con passione, ma in un modo che desiderava rassicurazione, certezza e reciprocità. Quando quell'amore non è stato ricambiato come speravo, sono stato ingannato dalle mie stesse aspettative. È stato un risveglio doloroso, ma alla fine ho imparato: il vero amore non cerca possesso; lascia spazio all'altro per crescere, anche se questa crescita lo allontana da noi. Il vero amore non si tiene prigioniero con la promessa dell'eternità. Dà ali, non catene.

 

5. Il paradosso del lasciar andare: guadagnare perdendo

C'è uno strano paradosso che si scopre quando si padroneggia l'arte di lasciar andare: si guadagna ma non si perde. Diventiamo più lucidi, perché non siamo più frastornati dalla paura della perdita. Diventiamo sereni, perché abbandoniamo la stanca lotta con l'inevitabile. Diventiamo liberi, perché superiamo i confini dell'aspettativa per entrare nel regno della possibilità.

 

Mi viene in mente un ricordo in cui ho lasciato andare qualcosa a cui mi aggrappavo con amarezza. Credevo che continuare a provare dolore mi rendesse più forte, ma quando finalmente l'ho lasciato andare, ho notato quanto spazio occupava, lo spazio che doveva essere riempito con le possibilità, con cose come la gioia, la creatività e l'avventura.

 

6. La bellezza della mano aperta

Se stringi la sabbia tra le mani, scivolerà via. Ma se la tieni con delicatezza, rimarrà. Così è la vita: ciò che è destinato a noi non arriverà con la forza, ma nel suo tempo.

 

7. Camminare leggeri, vivere pienamente

Non inseguo nulla, poiché so che tutto ciò che è mio arriverà quando sarà il momento giusto.Perdere non è lasciar andare. È guadagnare tutto ciò che ci appartiene.

Krishan Chand Sethi, dip 3

 

 

 

 

 

 

I diritti

 

Scrivere dei Connazionali all’estero continua a non fare notizia. Anche se i milioni d’italiani nel mondo hanno sempre meno contatti concreti col Bel Paese. Quasi che gli italiani in Patria si siano scordati, nel concreto, di quelli che vivono oltre frontiera.

 

Se, poi, si tiene conto che la maggioranza di connazionali all’estero si trova nel Vecchio Continente, allora la nostra percezione si fa amarezza. Vale a dire che, pur se tanto geograficamente ”vicini”, molti italiani restano, nel concreto, “lontani”.

 

Insomma, per i Connazionali che vivono”altrove”, sono più i doveri che la Patria richiede rispetto ai diritti.

Ogni iniziativa resta ovattata tra le tante che non trovano giusto assetto tra quelle da dibattere in Parlamento.

 

Eppure, non abbiamo mai scritto di “privilegi”. Ci siamo sempre impegnati nel fare presente, a chi spetta, lo status degli italiani all’estero. E’ rimasto, comunque, lo scarso apprezzamento per chi ha dovuto cercare altrove pane e lavoro. Insomma, per riavere una meritata dignità.

 

 Perciò, prima d’evidenziare i doveri, sarebbe opportuno supportare anche quei diritti di chi ha avuto la sorte di vivere e lavorare lontano dal suo Paese. Intendiamo, quindi, promuovere l’italianità nel mondo. Le”proroghe” non convincono nessuno. Tanto meno noi che siamo sul fronte dell’informazione da tanti anni.

Giorgio Brignola, de.it.press

 

 

 

 

 

 

Decreto Cittadinanza: “Fare i conti con la storia dell’Italia, un paese fondato sull’emigrazione”

 

Due fatti degli ultimi giorni hanno riportato l’emigrazione italiana al centro dell’attenzione.

A partire da una vicenda marginale per la dirigenza del paese, ma non per il popolo italiano che in grande parte ha vissuto, direttamente o indirettamente, esperienze di emigrazione più antiche, o recenti e ancora in atto a seguito della crisi del 2007-2008.

Il primo fatto sotto gli occhi è il Decreto “Cittadinanza” emanato dal governo lo scorso 28 marzo. Il secondo è il report “Indicatori demografici del paese”, pubblicato dall’Istat, il 31 marzo scorso.

Il ministro degli Esteri Tajani nella conferenza stampa del 28 marzo ha illustrato le motivazioni addotte a sostegno della riduzione delle condizioni per la riacquisizione della cittadinanza italiana – jure sanguinis – alla seconda generazione antecedente (genitori o nonni nati in Italia).

Con un rapido passaggio Tajani introduceva la necessità di un pre-requisito di appartenenza forte e convinto per l’acquisizione di una italianità fondata su una sorta di condivisione identitaria, quello della riduzione dei gradi di ascendenza indicabili.

La ragione effettiva alla base della nuova condizione, sembrerebbe avere a che fare con le difficoltà incontrate dai tribunali e dai piccoli comuni, gravati dal lavoro, a trascrivere gli atti di riconoscimento della cittadinanza e per il sovraccarico di pratiche di cittadinanza che gli stessi non riescono a smaltire neanche a 10 anni dalla presentazione delle domande.

Da decenni le amministrazioni sono ampiamente sotto organico, con difficoltà che riguardano non il solo ministero degli Affari Esteri, mostrando grave incapacità nel rispondere puntualmente alle normali richieste di servizi dei cittadini anche in molti altri ambiti: dalla scuola, alla sanità.

Per quanto riguarda il MAECI l’attuale organico in Italia e all’estero è più o meno la metà di quello di 20 anni or sono.

L’Istat nei giorni scorsi ha certificato che nel 2024 si è raggiunta la punta più alta di espatrii dall’Italia dall’inizio del secolo. Quasi 191mila persone sono uscite definitivamente dal paese. Di questi, 156mila sono italiani, mentre per il restante si tratta di ex immigrati che tornano al loro paese di origine o che ri-emigrano verso altri paesi.

Val la pena considerare che quasi 200mila persone in un anno rappresentano una popolazione pari a quella di una città come Padova, Brescia, Messina, Parma, o Trieste.

Tutti gli analisti convengono sul fatto che gli espatrii effettivi sono molti di più del numero delle residenze cancellate per trasferimento all’estero, il che porta ad un dato che si colloca tra le due e le due volte e mezzo quello dell’Istat. Come dire che nel 2024 si è spostata all’estero una città delle dimensioni di Catania, o di Bari, di Firenze o di Bologna.

Questo flusso in uscita iniziato impetuosamente nel 2010, prosegue ormai da ben 15 anni.

Molti fingono di non sapere e rimuovono politicamente il problema.

Tra questi il ministro Tajani che, come è dato leggere, sorprendentemente individua la causa del raddoppio del numero degli italiani all’estero tra il 2007 ad oggi, nelle richieste di cittadinanza ad opera degli italodiscendenti.

Il ministro mostra di ignorare totalmente i numeri della nuova emigrazione. Gli fa anche difetto la conoscenza della storia e delle caratteristiche identitarie dell’emigrazione italiana più antica, in particolare di quella latino-americana, argentina o brasiliana.

I figli, nipoti e pronipoti degli italiani del continente sudamericano, coinvolti nella colonizzazione (pacifica) di quei territori continuano a sentirsi tuttora anche italiani, a prescindere dal possesso del passaporto. Spesso parlano anche lingue c.d. minoritarie come il sardo o il friulano dialetti italiani misti allo spagnolo e al portoghese (itañol o portiñol), producono italiano e all’italiana in tanti settori economici (dall’alimentare, al legno, al tessile, al calzaturiero, al mobilio, alla meccanica, ecc.), spesso in distretti industriali del tutto simili a quelli del nord-est.

Per capire cosa significhi sentirsi italiano, al governo ed ai partiti che lo sostengono dovrebbe bastare, in verità, la lettura della cartina geografica magari iniziando dal Rio Grande do Sul, in Brasile e contare le decine di città più o meno grandi che si chiamano Nova Padova, Nova Trento, Garibaldi, ecc. e riflettere sulla potenziale proiezione internazionale del Paese che potrebbe transitare per queste città, come per tante altre in Argentina, in Uruguay, in Venezuela, in Australia, negli Usa, in Canada, e così via. Cosa che non era sfuggita alla FIAT che in uno studio della Fondazione Agnelli di fine anni ‘70 aveva riconosciuto come la penetrazione commerciale delle sue automobili nel mondo di allora fosse stata grandemente favorita dalla presenza di vaste comunità di emigrati e di oriundi che compravano più volentieri auto italiane. Cosa che non era sfuggita a molti altri ambiti del made in Italy che debbono la loro fortuna nel mondo sempre a questo fattore storico trainante fatto di milioni di connazionali espatriati e di 60 (o 80? non si sa bene) milioni di oriundi.

Il ministro Tajani parla degli italiani con passaporto acquisito in Latinoamerica come di “turisti in Europa” che omettono di stabilirsi in Italia. Il ministro dovrebbe riflettere sul perché molti di quelli che hanno riacquisito la cittadinanza preferiscano, ad esempio, stabilirsi in Spagna, o in altri paesi, insieme ai loro coetanei che partono direttamente dall’Italia. Ponendosi anche la domanda sul perché quasi la metà dei ricercatori del CNR francese sono italiani.

In verità (ma da un certo tempo si tratta di una attitudine bi-partisan) si accetta che il destino dell’Italia sia quello di un di paese semi-periferico, nel quale si considera come un fatto di natura la compressione delle energie dei giovani, laureati e non, l’affossamento delle loro prospettive di vita e in definitiva, come un percorso obbligato quello dell’incentivazione all’emigrazione. Come all’epoca dello scambio “braccia in cambio di carbone”.

E questo posizionamento definitivo, in una coltre fumosa di sovranismo a la carte, sembra emergere anche dalle stesse “novità” introdotte dal Decreto “Cittadinanza” laddove si stabilisce che chi non ha genitori o nonni nati in Italia può tentare di riacquisire la cittadinanza stabilendosi (da immigrato) in Italia per 2 o 3 anni in attesa che, a conclusione del quarto anno, la pratica venga definita e perfezionata.

In accordo e in sintonia con la pratica vigente con l’immigrazione attuale cui si chiede di lavorare con meno o nulli diritti prima di “concedere” la cittadinanza.

La protesta montante che arriva dall’America Latina, ma non solo, contro il Decreto Tajani/Piantedosi, segnala la consapevolezza di una appartenenza, l’attaccamento forte alla madrepatria delle origini familiari.

Sui social e su youtube si susseguono interviste, prese di posizione e petizioni che acquisiscono decine fino a centinaia di migliaia di visualizzazioni e adesioni. Cosa rara anche per analoghe azioni sul territorio nazionale.

Il governo ha fatto i suoi passi. Dalle nostre comunità all’estero è giunta una reazione estesa negativa e la richiesta di cambiamenti del decreto.

Le opposizioni hanno dichiarato che intendono avanzare loro soluzioni chiedendo in Parlamento il cambiamento dei contenuti del provvedimento.

La valutazione sensata e realistica è che se, come da più parti, a ragione, si richiede, se si vuole riformare una legge che riguarda gli italiani all’estero, è bene prima ascoltare le loro rappresentanze istituzionali e associative in modo che la riflessione e la discussione siano pubbliche, trasparenti e aiutino a riconnetterci – tutti – con la nostra storia, o meglio, a fare i conti con la storia e con un presente di un paese che proprio dall’emigrazione è stato segnato e in larga parte conformato.

Rodolfo Ricci, Rino Giuliani, Fiei/dip 3

 

 

 

 

CGIE, Italia e italo-discendenti: un legame da mantenere

 

Roma. Fra incontri, nuove collaborazioni e confronti pratici, quelli che sta vivendo in questi giorni il Comitato di Presidenza del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero - CGIE sono dei giorni ubiqui. Ricchi di analisi, convergenze e discussioni sui grandi temi che sta affrontando con vista sull'assemblea plenaria che si terrà nella seconda metà di giugno. A partire dal decreto che venerdì scorso ha scosso il mondo dell'emigrazione italiana, quel "pacchetto cittadinanza" con cui il Governo, per voce del Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, ha riformato la disciplina in materia di cittadinanza. Una riforma "necessaria" alla quale però andranno attuati in sede parlamentare dei "correttivi". Ma la strategia del CdP del CGIE è ampia e riguarda diversi temi. Tre, in particolare, sono le priorità di cui questo pomeriggio il CdP ha discusso in una conferenza stampa tenutasi alla Farnesina, ossia la messa in sicurezza del voto all'estero, la legge di cittadinanza e gli incentivi di rientro.

"L'attualità ci dimostra che non ci eravamo sbagliati nello stilare queste priorità", ha spiegato Maria Chiara Prodi, Segretaria Generale del CGIE aprendo la conferenza. E proprio dell'attualità si è discusso in modo accentuato durante la conferenza: "stiamo raccogliendo spunti migliorativi al decreto cittadinanza - ha continuato la Segretaria Generale -. Il CGIE ha come base elettorale gli italo-discendenti. E l'Italia si è dotata di una forma di rappresentanza che allarga lo spettro a chi non solo è dentro i crismi della cittadinanza italiana ma ascoltando chi è fuori e desidera riacquistarla. Siamo stati e siamo all'ascolto degli italo-discendenti che sono rimasti stupiti dagli eventi". Prodi ha poi parlato di quanto fatto in questi giorni dal CdP, discutendo riguardo questo tema e non solo prima con il Sottosegretario agli Affari Esteri, Giorgio Silli, poi con il Direttore Generale per gli Italiani all'estero della Farnesina, Luigi Maria Vignali, e infine con le commissioni affari esteri dei due rami del parlamento oltre che con diversi gruppi parlamentari: "abbiamo incontrato tutti gli interlocutori istituzionali. E tutti hanno riscontrato l'evidenza del ruolo del CGIE, e quindi l'attuazione della legge che prevede i nostri pareri obbligatori su temi che riguardano gli italiani all'estero". E "noi siamo pronti per questo ruolo che la legge ci attribuisce" poiché "siamo il collegamento con gli italo-discendenti e i custodi di questo legame". E proprio in quanto custodi, Prodi ha voluto evidenziare: "questa trasformazione della cittadinanza crea disorientamento". Per questo il CGIE crede ci siano da mettere a punto dei correttivi, nello specifico "va sciolto il nodo relativo al requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia o averci vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente. Questa misura, unita al limite di 2 generazioni, disorienta e rischia di recidere il legame dell'Italia con gli italo-discendenti". E insieme al problema delle trascrizioni, crea un tema immediato e un "cambiamento radicale". Tutto ciò rischia di "fratturare il legame" che li unisce all'Italia. "Noi stavamo facendo una proposta in modo autonomo - ha aggiunto ancora Prodi -. Perché per noi la "cittadinanza consapevole" resta fondamentale, e questo continueremo a farlo presente".

La cittadinanza consapevole, inoltre, si collega anche all'altra priorità del CGIE, la sicurezza del voto all'estero: "non dobbiamo criminalizzare gli italiani all'estero in modo generalizzato. Dobbiamo razionalizzare la sicurezza al voto. Ci sono tanti scandali ma dobbiamo continuare a studiare le possibilità e le alternative che abbiamo. I mezzi a nostra disposizione non sono miliardi, dobbiamo continuare a ragionare sul voto per corrispondenza".

Infine l'ultimo tema prioritario, gli incentivi di rientro, sul quale il CdP del CGIE si è mossa in questi giorni attuando l'accordo con il CNEL: "ci dà grande aiuto anche per accedere a un sistema istituzionale che sennò sarebbe più complicato mentre attendiamo l'auspicata convocazione per la Conferenza Stato-Regioni-Province Autonome-CGIE. Contiamo, anche con l'aiuto delle Consulte Regionali, di avere per giugno e per l'Assemblea Plenaria una proposta sintetica".

Tornando, inevitabilmente, alla questione sulla cittadinanza, Prodi ha poi aggiunto: "noi portiamo la parola degli italo-discendenti che in 24 ore hanno visto fare una rivoluzione copernicana del messaggio che l'Italia trasmetteva. C'era la necessità di una riforma, ma lo strumento del decreto legge ci ha lasciato spiazzati. Noi eravamo disponibili per collaborare e fare sentire la nostra voce. Una situazione inedita che speriamo non diventi prassi". Ma ora "abbiamo anche un'opportunità che vogliamo cogliere, ossia di dare i nostri pareri e dire cosa non ci ha convinto. Le trasformazioni vanno accompagnate".

È intervenuto poi Mariano Gazzola, Vice Segretario Generale per l’America Latina, spiegando la distinzione tra il decreto e i disegni di legge. Questi ultimi "non li conosciamo ancora e non possiamo esprimere un parere. Non ci riconosciamo nel decreto - ha sottolineato -. Non siamo stati consultati, e ci sono normative che causano tante perplessità. Non ci riconosciamo e speriamo che in sede parlamentare ci siano dei correttivi. In questi gioni abbiamo verificato la disponibilità di quasi tutte le forze politiche per applicare questi correttivi per un testo che evidentemente attacca anche chi è già cittadino italiano". Facendo un parallelismo che lui stesso ha definito duro, Gazzolla ha concluso: "da venerdì non trasmettono la cittadinanza, oggi ci sono dei bambini, dei figli che sono desaparecidos perché non si possono registrare nell'anagrafe della Repubblica italiana".

Prendendo parola, Silvana Mangione, Vice Segretaria Generale per i Paesi Anglofoni extraeuropei, ha poi sottolineato come secondo lei questo decreto "potrebbe cambiare concetto interno di cittadinanza", rimanendo in attesa del disegno di legge. Poi ha ricordato l'incontro con il presidente del Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana di Genova avvenuto in questi giorni, con il quale si è discusso della possibilità di celebrare i 40 anni dei Comites il prossimo anno.

Giuseppe Stabile, Vice Segretario Generale per l’Europa e l’Africa del Nord, prendendo parola ha parlato prima degli incentivi per il rientro, per il quale è necessario "mettere fine all'inverno demografico" anche attraverso la possibilità di attirare "gli italo-discendenti che vogliono veramente, e sottolineo veramente, diventare italiani", poi riguardo la cittadinanza, sulla quale ha detto in maniera ferma: "il provvedimento era necessario, poi in parlamento si attueranno i correttivi, ma il provvedimento era necessario".

Per Gianluca Lodetti, Vice Segretario Generale di Nomina governativa, il decreto desta comunque delle "perplessità". "Non ci ha convinto in tanti elementi. Soprattutto quella di troncare la trasmissibilità. Rappresenta un grave rischio per il rapporto con le nostre comunità. Stiamo cercando di incrementare questo rapporto tramite la cittadinanza consapevole, ma è importante non rescindere quel legame".

Infine Tommaso Conte, Componente per l’Europa e l’Africa del Nord, che anche lui, in conclusione, ha rimarcato la necessità del provvedimento: "il mercato delle vacche doveva finire", ha spiegato, ma allo stesso tempo "il modus con cui l'ha fatto questo Governo è inaccettabile".

Per concludere, Conte ha anche dato notizia dell'istituzione di un Premio annuale in memoria di Michele Schiavone, ex Segretario Generale scomparso poco più di un anno fa.  L. Matteuzzi, aise/dip 3 

 

 

 

 

Decreto cittadinanza, CGIE: siamo pronti a svolgere il nostro ruolo

 

Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero è l’unica istituzione italiana che rappresenta non solo gli italiani, ma anche gli italodiscendenti. In tutto il mondo i nostri Consiglieri, così come quelli dei Comitati degli italiani all’estero (Com.It.Es.), da venerdì 28 marzo sono impegnati nel confronto con le nostre comunità nel mondo, molto toccate dall’applicazione del Decreto- legge n. 36 “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”, che ha determinato la sospensione della trascrizione degli atti di nascita da parte degli uffici anagrafici dei consolati. La necessità di una riforma era evidente al CGIE, tanto che la sua trattazione era stata individuata quale priorità per l’agenda del primo semestre 2025 perché crediamo nel rafforzamento di una cittadinanza consapevole; l’attualità ha imposto un’accelerazione al processo, nel quale saremo coinvolti per fornire i pareri obbligatori previsti dalla legge. Già da lunedì 31 marzo il Comitato di Presidenza, riunito a Roma, ha avviato interlocuzioni in materia con il sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale Giorgio Silli, il direttore generale della DGIT del MAECI Luigi Maria Vignali, con le Commissioni Affari esteri dei due rami del Parlamento e con i Gruppi parlamentari per ottenere chiarimenti in merito e condividere le preoccupazioni manifestate dai propri rappresentati, anche in virtù dello strumento legislativo scelto.

Auspichiamo che nel percorso parlamentare di conversione in legge si apportino correttivi al provvedimento; in particolare, va sciolto il nodo relativo al requisito dell’ascendente cittadino italiano di essere nato in Italia o averci vissuto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente. Tale misura, unita alla limitazione alle due generazioni, diametralmente opposta alla normativa vigente fino a 24 ore prima, costituisce un cambiamento che non solo disorienta i connazionali nel mondo a causa dell’incertezza sul destino dei già nati, ma pone a rischio il futuro legame del Paese con le sue comunità all’estero. cgie/dip 3

 

 

 

 

Scuole paritarie all'estero: Tripodi risponde a Borghese (Maie)

 

Roma. “L’amministrazione è determinata a garantire che ogni scuola paritaria italiana all'estero possa continuare a svolgere il proprio ruolo con dignità e qualità”. È quanto si legge nella risposta che il sottosegretario agli esteri Maria Tripodi ha reso alla interrogazione con cui il senatore del Maie Mario Borghese chiedeva di adeguare i finanziamenti all’aumento del numero delle scuole paritarie italiane all’estero.

“Le 47 scuole paritarie all'estero – sottolinea Tripodi nella risposta – rappresentano un pilastro fondamentale del "sistema della formazione italiana nel mondo", che assicura la qualità dell'offerta formativa nell'ambito della promozione della lingua e della cultura italiana, integrandola con le esigenze locali. Il riconoscimento della parità scolastica per le scuole all'estero compete al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministero dell'istruzione e del merito”, ricorda il sottosegretario, spiegando che “con tale riconoscimento le scuole possono richiedere un contributo finanziario, la cui finalità è quella di sostenere la qualità dell'offerta formativa e il ruolo delle scuole stesse quali strumenti di promozione della lingua e cultura italiana nel mondo”.

“L’impegno italiano è chiaro: si vogliono scuole moderne, inclusive, capaci di accogliere tutti gli studenti, di migliorare le proprie strutture e di investire nella formazione continua dei docenti. Per questo – aggiunge Tripodi – sono stati stabiliti criteri trasparenti per l'assegnazione dei fondi, con una quota destinata al funzionamento ordinario e un'altra dedicata a progetti specifici”.

“Le risorse stanziate per le scuole paritarie all'estero, legate ai noti vincoli di finanza pubblica, hanno comunque fatto registrare nel complesso un aumento nel corso degli anni: da circa 1,8 milioni di euro nel 2017 a circa 2,8 milioni di euro assegnati dalla legge di bilancio 30 dicembre 2024, n. 207, per l'esercizio finanziario del 2025”, riporta il sottosegretario, aggiungendo che “la Farnesina sostiene le scuole paritarie all'estero non solo finanziariamente, ma anche tramite l'assegnazione di personale scolastico. Tale personale è più che raddoppiato negli ultimi anni, passando da 21 unità per l'anno scolastico 2017/2018 a 51 per l'anno scolastico in corso”.

“L'impegno di questo Ministero non si esaurisce in queste cifre. L’amministrazione è determinata a garantire che ogni scuola paritaria italiana all'estero possa continuare a svolgere il proprio ruolo con dignità e qualità. Si continuerà a lavorare – conclude Tripodi - affinché nessuna di queste realtà venga lasciata indietro, perché investire nell'istruzione significa investire nel futuro dell'Italia nel mondo”. (aise/dip 4) 

 

 

 

 

“Vado e torno” per il sostegno alla formazione universitaria all’estero

 

ROMA – Si è aperta in Commissione Cultura al Senato la discussione sull’istituzione del programma “Vado e torno” per il sostegno della formazione universitaria all’estero in settori determinanti per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie e per il rientro in Italia dei soggetti beneficiari. Nel suo intervento la relatrice Carmela Bucalo (FdI) ha spiegato come il disegno di legge sia composto da sette articoli ed abbia come oggetto l’istituzione, in via sperimentale, di un programma che si pone la finalità di promuovere lo sviluppo di capacità professionali in settori determinanti per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie. Esso è diretto a fornire sostegno agli studenti meritevoli che abbiano vinto procedure di selezione competitive per l’ammissione a corsi universitari presso atenei esteri nelle materie scientifiche-tecnologiche corrispondenti alle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) nell’ordinamento universitario italiano. La relatrice ha precisato come si preveda l’erogazione, a favore dei soggetti beneficiari del programma, sia di una somma pari alle spese di iscrizione e alla retta per ciascuno degli anni del corso di studio universitario all’estero, sia di un contributo per sostenere le spese di soggiorno. Viene poi demandata ad un decreto ministeriale la definizione delle modalità e dei tempi di corresponsione delle suddette erogazioni, prevedendo che esse siano corrisposte esclusivamente per gli anni di durata ordinaria del corso di studio. L’ammissione al programma prevede che: nella domanda, da presentare secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca, i candidati dichiarino il proprio indicatore di situazione economica equivalente (ISEE); l’ateneo estero al quale i candidati sono iscritti rientri tra i primi 50 atenei in almeno due delle classifiche mondiali delle università da individuare con decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca; le domande siano presentate per le macro-aree del Nord, del Centro e del Mezzogiorno; i parametri di merito siano costituiti dai pregressi risultati di studio dei candidati e dalla collocazione dell’ateneo estero nelle suddette classifiche mondiali delle università. Nel provvedimento si stabiliscono inoltre determinati obblighi a carico dei beneficiari del programma, tra cui: l’obbligo di trasmettere l’attestazione dell’avvenuto pagamento delle spese di iscrizione e delle rette al Ministero dell’Università e della Ricerca; l’obbligo di comunicare al medesimo Ministero la loro disponibilità a rivestire posizioni professionali presso aziende che abbiano stipulato protocolli d’intesa in vista dell’assunzione degli studenti beneficiari del programma; l’obbligo di restituire le somme percepite, qualora non ottemperino alle condizioni previste dal disegno di legge. Si prevede che, ai fini della realizzazione del programma, il Ministro dell’Università e della Ricerca stipuli, di concerto con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, protocolli d’intesa con aziende in vista dell’assunzione degli studenti beneficiari del programma, nonché ulteriori protocolli d’intesa con soggetti pubblici e privati che intendano contribuire al programma con risorse aggiuntive. La relatrice ha infine spiegato che gli oneri derivanti dalle illustrate disposizioni dovrebbero attestarsi a 1,47 milioni di euro per l’anno 2025, provvedendo alla relativa copertura finanziaria. (Inform/dip 6)

 

 

 

 

 

Avviato l’esame del decreto legge recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza

 

ROMA – La Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l’esame della conversione in legge del DL 36/2025 recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza. In pratica si tratta di una modifica alla legge 91/1992 finalizzata a limitare il riconoscimento della cittadinanza per coloro che sono nati e residenti all’estero.  Il relatore Marco Lisei ha sottolineato come il provvedimento si suddivida in due articoli: l’articolo 1, comma 1, introduce un articolo 3-bis nella legge 5 febbraio 1992, n. 91, al fine di limitare il riconoscimento della cittadinanza per coloro che sono nati e residenti all’estero, stabilendo che debba considerarsi non aver mai acquistato la cittadinanza italiana colui il quale sia nato all’estero e sia in possesso di altra cittadinanza, anche prima dell’entrata in vigore della disposizione in esame. È introdotta, pertanto, nei casi predetti, una preclusione all’acquisto automatico della cittadinanza ed è disposta una deroga a un novero di disposizioni, tra cui gli articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della medesima legge n. 91 del 1992. La disposizione individua poi, alle lettere da a) ad e) del nuovo articolo 3-bis della legge n. 91 del 1992, una serie di eccezioni alla disciplina introdotta, tra loro alternative. La lettera a) fa salvo il caso in cui lo stato di cittadino del soggetto interessato sia riconosciuto, a seguito di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata all’ufficio consolare o al sindaco competenti entro le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel rispetto della normativa applicabile alla medesima data. L’eccezione pertanto opera per i riconoscimenti legittimamente effettuati in via amministrativa a seguito di domanda a tal fine presentata entro la data indicata. La lettera b) fa salvo il caso in cui lo stato di cittadino del soggetto interessato sia accertato giudizialmente, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025, nel rispetto della normativa applicabile alla medesima data. Le lettere c) e d) prevedono come eccezioni il caso in cui uno dei genitori o degli adottanti sia nato in Italia o sia stato residente in Italia per almeno due anni continuativi prima della data di nascita o di adozione del figlio. La lettera e) prevede infine come ulteriore eccezione il caso in cui un ascendente cittadino di primo grado dei genitori o degli adottanti, anch’essi cittadini, sia nato in Italia. Pertanto, per gli ascendenti di secondo grado deve esservi nascita in Italia, mentre per i genitori e adottanti, può esservi in alternativa la continuativa residenza biennale.  Il relatore ha poi spiegato come al comma 2 si novelli invece l’articolo 19-bis del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), intervenendo su alcuni profili della disciplina della prova relativa alle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana. In particolare, dopo il comma 2 sono inseriti due nuovi commi: il comma 2-bis, il quale stabilisce che, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, nelle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale; il comma 2-ter, ai sensi del quale si prevede che nelle medesime controversie l’onere di provare l’insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza previste dalla legge ricada su colui il quale chiede l’accertamento della cittadinanza. L’articolo 2, infine, dispone in ordine all’entrata in vigore del provvedimento. Nel corso del dibattito il senatore Andrea De Giorgis (Pd) ha sottolineato la sua contrarietà sul fatto che una materia dai rilevanti impatti costituzionali, che incidono direttamente sulla possibilità per alcuni individui di poter beneficiare di specifiche garanzie costituzionali, sia affrontata dal Governo per il tramite di un decreto-legge, soprattutto alla luce del contenuto dei diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare già assegnati alla Commissione. In proposito da De Giorgis è stato auspicato, in ordine al decreto legge, un ciclo di audizioni, ancorché limitato, al fine di acquisire imprescindibili elementi conoscitivi. In proposito il Presidente della I Commissione Alberto Balboni ha fatto notare che, essendo in via di definizione un ciclo di audizioni su disegni di legge nn. 98 e abbinati vertenti sulla materia della riapertura del termine per il riacquisto della cittadinanza, si potrebbe valutare di procedere ad un ciclo unitario di audizioni. La Commissione ha approvato la proposta del Presidente che ha anche segnalato come la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari abbia già fissato per la settimana del 6-8 maggio la calendarizzazione del provvedimento in Assemblea. (Inform/dip 6)

 

 

 

 

Sono 11.100 i Rom e Sinti in Italia, lo 0,2% della popolazione

 

L'Associazione 21 Luglio ha presentato oggi in Senato la nona edizione del Rapporto annuale 2024 sulla condizione delle comunità Rom e Sinte in Italia, intitolato "Bagliori di speranza. La condizione delle comunità Rom e Sinte in Italia". Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate a Napoli e a Roma. L’aspettativa di vita di quanti vivono nelle baraccopoli è di almeno dieci anni inferiore a quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti ha meno di 18 anni. Dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali si stima che circa il 65% abbia la cittadinanza italiana.

L’Italia è ancora il “Paese dei campi” per le persone di origine rom, anche se è in atto un forte calo delle presenze e sono sempre più le amministrazioni che puntano all’. Oggi si stimano circa 11.100 rom e sinti in Italia che vivono in insediamenti monoetnici, pari allo 0,02% della popolazione italiana, con 21 comunità rappresentate. La riduzione complessiva è di circa 14.900 presenze rispetto al 2016, ossia -53%. La Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di Rom e Sinti 2021-2030 aveva invece stimato le presenze intorno alle 30.000 persone, con un calo di circa 10.000 unità nell’arco di un decennio. Secondo l’Associazione 21 Luglio queste cifre “non sarebbero esatte”, ossia risultano sovrastimate, creando allarmi e pregiudizi. È quanto emerge dall’attività di monitoraggio e raccolta dati condotta nel 2024 da Associazione 21 Luglio, che ha presentato oggi in Senato la nona edizione del Rapporto annuale 2024 sulla condizione delle comunità rom e sinte in Italia, intitolato “Bagliori di speranza. La condizione delle comunità rom e sinte in Italia”. L’iniziativa è della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato, in occasione della Settimana per la promozione della cultura romanì e per il contrasto all’antiziganismo  e all’indomani della Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti, che si celebra l’8 aprile.

L’Associazione 21 luglio denuncia perciò “l’infelice primato” dell’Italia in Europa, perché “dedica maggiori risorse, sia umane che economiche, alla gestione di strutture abitative con un chiaro profilo discriminatorio”. “Nonostante gli sviluppi degli ultimi anni – si legge nel rapporto – sia dal punto di vista politico che di autonoma spinta alla fuoriuscita degli stessi abitanti” l’Italia “stenta a distaccarsi in modo unanime e deciso dalle politiche abitative segregative che hanno caratterizzato gli ultimi quarant’anni”.

Secondo il rapporto circa 10.580 sarebbero i rom e sinti che vivono in baraccopoli e macroaree. Nelle 64 macroaree vivono 4.931 sinti; nelle 38 baraccopoli vivono 5.649 rom. 102 sono gli insediamenti formali all’aperto (baraccopoli e macroaree) in Italia, presenti in 75 comuni e in 13 regioni. 2.000 circa sono i rom stimati presenti nelle baraccopoli informali. Attraverso il portale www.ilpaesedeicampi.it è possibile acquisire in tempo reale dati aggiornati sui 106 insediamenti monoetnici formali abitati da persone rom e sinte in Italia.

Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate a Napoli e a Roma. Napoli è la città nella quale è presente la più alta concentrazione di rom in emergenza abitativa. In Italia esistono 2 centri di accoglienza riservati esclusivamente a persone rom nei Comuni di Latina e Napoli che ospitano in totale 150 persone rom. La più grande area di edilizia residenziale pubblica monoetnica è in Calabria, nel Comune di Gioia Tauro.

L’aspettativa di vita di quanti vivono nelle baraccopoli è di almeno dieci anni inferiore a quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti ha meno di 18 anni. Dei rom e sinti presenti negli insediamenti istituzionali si stima che circa il 65% abbia la cittadinanza italiana. Sono meno di 1.000 i cittadini rom in emergenza abitativa a forte rischio apolidia in Italia.

Sempre più percorsi di uscita dai campi. I dati evidenziano inoltre come il superamento del “sistema campi” sia ormai un processo irreversibile. Da un lato, si legge nel report, “si assiste a un crescente desiderio delle nuove generazioni di intraprendere percorsi di uscita autonoma, accompagnato dall’abbandono e dal degrado dei principali mega insediamenti, che spinge le famiglie a cercare soluzioni abitative alternative. Dall’altro sempre più amministrazioni comunali e regionali, riconoscendo il fallimento del ‘sistema campi’” stanno “investendo risorse e attuando politiche orientate al superamento del sistema e all’inclusione”.

“In atto un processo di superamento dei campi rom”.  “Come quasi mezzo secolo fa, con la Legge Basaglia, si iniziava il processo di superamento della realtà manicomiale, così oggi è in atto in Italia il processo di superamento di un’altra istituzione totale, quella dei campi rom”, ha dichiarato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, che ha ricevuto di recente dal presidente Sergio Mattarella l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, “per supportare persone e gruppi in condizione di estrema segregazione e discriminazione”. Stefania Pucciarelli, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato, ha ribadito che “l’integrazione culturale è un percorso bidirezionale che richiede impegno sia da parte delle comunità ospitanti che da quelle ospitate”.

“Lo stigma, il pregiudizio” nei confronti dei Rom e Sinti “sono un vissuto reale entrato anche nell’atteggiamento della comunità ecclesiale, a parte alcune eccezioni di persone che hanno abbattuto il muro di separazione – psicologico, prima che fisico, e relazionale – che si sono trasferite a vivere in mezzo alle comunità rom”, ha detto monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliario della diocesi di Roma. Il vescovo ha raccontato dell’esperienza di comunità ecclesiali “che accolgono le comunità rom che lavorano come centri di ascolto e danno una risposta emergenziale a bisogni primari”, una sorta di “desk di pronta accoglienza”. Da questa “pronta accoglienza – ha osservato – si realizzano spazi interlocutori e di una relazione più allargata, di un maggior contatto”. Monsignor Ambarus ha invitato a “fondare questa azione su alcuni elementi: veicolare un linguaggio altro è il primo di questi elementi, che parta non dall’etnicità ma dalla fratellanza. Reputo che nelle comunità cristiane ci sia lo spazio più adatto per lavorare sul linguaggio”, perché esso “imprime anche un comportamento, plasma le azioni”. “Per me queste persone sono un insegnamento di vita”, ha concluso. Patrizia Caiffa, Sir 9

 

 

 

 

 

Turismo delle Radici: Unaie al convegno di Bergamo

 

BERGAMO – Sabato 4 aprile, alla Fiera di Bergamo, si è svolto il convegno “Turismo delle Radici. Legame con la terra di origine e valore dell’identità tra passato e futuro”, promosso da Confcommercio nell’ambito dell’evento Agritravel. L’iniziativa – informa la nota dell’Unaie – ha acceso i riflettori su un fenomeno in continua crescita, che coinvolge milioni di italiani all’estero desiderosi di riscoprire il territorio d’origine e di rinsaldare il legame con le proprie radici. Presente anche UNAIE (Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati) che ha sottolineato il valore strategico del turismo delle radici per il rilancio delle economie locali e per il rafforzamento dell’identità culturale italiana nel mondo, oltre al protocollo firmato con Confcommercio nazionale. Il presidente Oscar De Bona, nel suo intervento, ha ribadito l’importanza di queste iniziative per mantenere vivo il legame tra gli emigrati e i loro discendenti con l’Italia, sottolineato però le contraddizioni tra la spinta a promuovere il turismo delle radici e le recenti restrizioni imposte dal decreto legge sulla cittadinanza del 28 marzo. “Da un lato – afferma De Bona – si incentivano gli italiani all’estero a riscoprire le loro origini e a investire nel nostro territorio, dall’altro si pongono improvvisi stringenti per chi vorrebbe ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza”.  Dopo i saluti istituzionali di Giovanni Zambonelli, presidente di Confcommercio Bergamo, Loretta Credaro, presidente di ISNART, Carlo Personeni, presidente dell’Ente Bergamaschi nel Mondo, e Paolo Doglioni, presidente di Confcommercio Belluno, il convegno è entrato nel vivo con la presentazione della ricerca di Riccardo Grassi (SWG) sui Bergamaschi all’estero. Letizia Sinisi, esperta di turismo identitario, ha analizzato il valore di questo settore tra memoria e futuro, mentre Antonio Carminati, direttore del Centro Studi Valle Imagna, ha ricostruito il patrimonio dell’emigrazione bergamasca attraverso storie e testimonianze. Un caso concreto è stato quello della Valle di Scalve, illustrato da Alessandra Brucchieri, laureanda in Planning and Management of Tourism Systems all’Università di Bergamo, con l’intervento della docente Federica Burini e del correlatore Andrea Pozzi. Lo studio ha evidenziato il potenziale del turismo delle radici come leva per la valorizzazione delle aree interne. L’evento di Bergamo – conclude la nota – ha dimostrato ancora una volta quanto il turismo delle radici sia una risorsa preziosa non solo per l’economia, ma anche per il rafforzamento dell’identità nazionale. (Inform/dip 7)

 

 

 

 

 

Audizioni sul decreto per la cittadinanza. L’intervento della Segretaria Generale del Cgie Maria Chiara Prodi

 

ROMA – Nell’ambito delle audizioni informali sul decreto legge che introduce norme più restrittive rispetto alla concessione della cittadinanza agli italo-discendenti, è stata ascoltata, presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato la Segretaria Generale del Cgie Maria Chiara Prodi. Nel suo intervento da remoto Prodi ha ricordato che il Cgie rappresenta le comunità italiane all’estero presso tutti gli organismi che pongono in essere politiche che riguardano proprio questo ambito, sottolineando anche l’obbligatorietà del parere del Cgie sulle materie di pertinenza degli italiani all’estero. La Segretaria Generale ha inoltre segnalato come il Cgie, un organismo di secondo livello con 43 eletti all’estero e 20 membri nominati dal Governo, sia l’unica istituzione della Repubblica italiana che ha come base elettorale anche degli italo-discendenti. Prodi anche ha fatto presente che è proprio la legge a conferire al Cgie l’incarico di tenere viva la relazione tra le comunità italiane nel mondo, gli italo-discendenti e l’Italia stessa.  Il Segretario Generale ha poi segnalato lo stupore registrato nelle comunità all’estero per questo veloce cambiamento e ha rilevato come la scelta di intervenire sulla questione del riconoscimento della cittadinanza attraverso lo strumento del decreto legge, e quindi con tempi di discussione ridotti, non favorisca un approfondimento adeguato su materie di tale spessore. Prodi ha comunque evidenziato che certamente sulla questione della cittadinanza era necessaria una riforma e che tre tematiche come la stessa cittadinanza, la messa in sicurezza del voto e gli incentivi per il rientro siano al centro del lavoro del Cgie. Prodi ha anche parlato dell’importanza, anche al fine di mantenere il legame affettivo con l’Italia,  della costruzione di una “cittadinanza consapevole” ossia quella cittadinanza che si accompagna con una conoscenza della lingua e della cultura del Paese ma anche della carta costituzionale e della vita civile.  La Segretaria Generale, dopo aver segnalato che questo cambiamento repentino sulla cittadinanza potrebbe creare possibili paradossi vedi ad esempio quello di famiglie con un figlio italiano e un altro non italiano, ha sottolineato come i limiti introdotti delle due generazioni e dell’inizio della discendenza in Italia, una novità quest’ultima che pone temi costituzionali, siano da considerarsi estremamente restrittivi e vadano cambiati .  Prodi ha poi rilanciato il tema del riacquisto della cittadinanza per coloro che l’anno perduta. Una questione che riguarda una cerchia sempre più ristretta di persone e diventa fondamentale anche alla luce di quanto finora espresso intorno all’idea di un legame effettivo con l’Italia. E’ poi intervenuto il senatore Francesco Giacobbe (Pd – ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide) che ha ipotizzato la possibilità di estendere il limite per la presentazione degli emendamenti sul decreto legge in esame al fine di acquisire il previsto parere del Cgie . Ha seguire ha preso la parola il senatore Roberto Menia (FdI) che ha invitato il Cgie a fornire proposte per eventuali emendamenti. Menia ha anche ricordato che il decreto nasce dall’urgenza di far fronte a una platea di richiedenti la cittadinanza italiana che, basandosi sul criterio delle cinque generazioni, sarebbe potenzialmente di circa 80 milioni di persone. Il senatore ha inoltre rilevato come consideri imprescindibile ad esempio la conoscenza della lingua o della storia italiana per un rapporto di cittadinanza realistico e compiuto.  In sede di replica Prodi ha auspicato sui disegni di legge per la cittadinanza un’interlocuzione formale e ordinaria, anche alla luce dei lavori preparatori della prossima plenaria del Cgie che si terrà a metà giugno. Il Segretario Generale ha anche parlato della necessità di un lavoro più ordinario e funzionale con le istituzioni su queste problematiche: sicuramente arriverà il sollecitato parere del Cgie. Prodi ha concluso ricordando come la platea delle persone italo-discendenti sia la stessa alla quale viene rivolto anche l’invito a venire in Italia per studiare o ripopolare le zone interne. (Inform/dip 8)

 

 

 

 

 

Istituti Italiani di Cultura. Cultura investimento strategico per il Paese

 

Roma - "E' importante rafforzare concretamente il sistema degli Istituti Italiani di Cultura, strutture preziose che da decenni promuovono la nostra cultura e identità attraverso l’arte, la lingua, la scienza, il pensiero e la creatività. Ma sono importanti anche miglioramenti organizzativi: più risorse e strumenti moderni per affrontare le sfide di oggi. Occorre dare agli Istituti una dotazione stabile, aggiornata, capace di sostenere la domanda crescente di cultura italiana nel mondo. La cultura è un investimento strategico, non un costo. Per questo, grazie all'On. Giulio Tremonti, presidente Commissione Esteri, e all'On. Federico Mollicone, presidente Commissione Cultura, col voto favorevole della Lega Salvini Premier le Commissioni Esteri e Cultura hanno oggi approvato una risoluzione per impegnare il governo ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, per migliorare la dotazione finanziaria e di personale degli Istituti italiani di cultura e per garantire che l'accertamento dell'identità degli studenti stranieri iscritti alle università italiane possa essere effettuato dai consolati italiani e dalle società concessionarie" - lo comunica Simone Billi, deputato per la Circoscrizione Estero-Europa e capogruppo della Lega Salvini Premier in Commissione Esteri. Dip 9

 

 

 

 

 

50 milioni di euro per richiamare giovani ricercatori dall’estero

 

ROMA - Un avviso da 50 milioni di euro per potenziare l’attrattività del sistema accademico e della ricerca italiano per i ricercatori che operano presso università ed enti di ricerca esteri.

È stato pubblicato l’avviso per la presentazione di proposte progettuali da parte di giovani ricercatori vincitori dei bandi ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants fuori dall'Italia, i programmi di ricerca finanziati dall’European Research Council, destinati a ricercatori di eccellenza di ogni età e nazionalità che intendono svolgere attività di ricerca di frontiera negli Stati membri dell’UE o nei Paesi associati.

L’Avviso mira ad attrarre ricercatori italiani e stranieri attualmente impegnati fuori dall’Italia, ma interessati a tornare, o a trasferirsi, nel nostro Paese. Ogni proposta progettuale potrà ricevere un contributo massimo di un milione di euro e i progetti presentati potranno avere una durata massima di 36 mesi. Una quota pari al 40% dello stanziamento complessivo sarà destinata specificamente ai progetti di ricerca nelle regioni del Mezzogiorno.

L'Avviso dà attuazione alla Misura PNRR - Missione 4 "Istruzione e Ricerca" - Componente 2 "Dalla Ricerca all'Impresa" - Investimento 1.2 "Finanziamento di progetti presentati da giovani ricercatori".

Le risorse sono rivolte a giovani ricercatori vincitori di uno dei due finanziamenti europei - ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants - che stiano svolgendo l’attività di ricerca fuori dal nostro Paese, oppure che abbiano già concluso il proprio progetto in una Host Institution estera (università o centro di ricerca).

Per i vincitori dell'ERC Starting Grants è richiesta una esperienza post-dottorato e un curriculum promettente con una anzianità di almeno due anni e di non oltre i sette.

Il Consolidator è invece pensato per ricercatori con una esperienza post-dottorato dai sette ai dodici anni e che abbiano già dimostrato indipendenza e maturità scientifica.

Le domande di partecipazione devono essere presentate in lingua inglese attraverso la piattaforma gea.mur.gov.it a partire dalle ore 12.00 del 15 aprile 2025. La finestra temporale per la ricezione delle domande a sportello resterà aperta fino ad esaurimento delle risorse messe a disposizione e comunque non oltre le ore 12.00 del 4 giugno 2025. (aise/dip 10)

 

 

 

 

Cie in Italia per gli iscritti Aire

 

ROMA - “Procedere in maniera celere ad apportare” le “modifiche amministrative che consentirebbero” ai connazionali residenti all'estero “di ottenere il rilascio della carta d'identità elettronica presso il comune di iscrizione Aire, durante il loro soggiorno in Italia”. A chiederlo è Toni Ricciardi, deputato Pd eletto all’estero, che, insieme ai colleghi Di Sanzo, Porta e Carè, ha presentato una interrogazione a risposta in Commissione ai Ministri dell'interno e degli affari esteri, Piantedosi e Tajani, alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione sulla dicitura “genitori” sulle carte d'identità dei minori.

Nella premessa, infatti, Ricciardi ricorda che “nel 2019, allora Ministro dell'interno, Matteo Salvini, reintrodusse la dicitura “padre” e “madre” sulla carta d'identità dei minori, sostituendo il termine più neutro “genitori” introdotto nel 2015” e che “la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9216 del 2025, ha confermato la decisione della Corte d'appello di Roma, dichiarando che l'uso di “padre” e “madre” è discriminatorio, poiché non riflette la varietà delle famiglie moderne, come quelle con due madri o due padri. La sentenza sottolinea la necessità di un linguaggio più inclusivo e rispettoso delle diverse configurazioni familiari. Questo pronunciamento potrebbe influenzare anche la registrazione all'anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali, un tema già sollevato da alcuni comuni come Milano, ma ostacolato dal Ministero”.

La Cie, continua il deputato, “secondo il codice dell'amministrazione digitale è “il documento d'identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la prevalente finalità di dimostrare l'identità anagrafica del suo titolare”. Il processo di emissione della carta d'identità elettronica è di competenza del Ministero dell'interno e, di conseguenza dei comuni, mentre i compiti di produzione e fornitura sono affidati all'Istituto poligrafico Zecca dello Stato; come già segnalato e chiesto al Governo, dal Partito Democratico nell'interrogazione n. 5-00579, molti cittadini italiani residenti all'estero ed iscritti all'Aire hanno ancora difficoltà nell'ottenere lo Spid e pertanto la carta d'identità elettronica sarebbe una valida soluzione per accedere ai servizi online. Attualmente, a questi connazionali non è possibile richiedere tale documento di identità elettronica presso gli uffici anagrafe dei comuni di iscrizione Aire, in Italia, dove possono richiedere soltanto il documento di identità cartaceo: una disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani residenti sul territorio nazionale che lede i diritti dei residenti all'estero creando, di fatto, due categorie di cittadini”.

“Attualmente, - ricorda Ricciardi – la carta d'identità elettronica viene rilasciata esclusivamente dagli uffici consolari italiani siti nei Paesi dell'Unione europea e in Gran Bretagna, Svizzera, Norvegia, Principato di Monaco, San Marino e Santa Sede – Città del Vaticano, mentre i cittadini italiani iscritti all'Aire che vivono in altri Paesi extra-UE non possono accedere a tale servizio, in quanto i relativi consolati non sono abilitati ad operare tale rilascio e, di conseguenza, per questi connazionali non vi è oggi alcuna possibilità di ottenere la carta d'identità elettronica risultando discriminati rispetto sia ai residenti in Italia, sia ai residenti in Paesi dove è possibile il rilascio della carta d'identità elettronica tramite le rappresentanze consolari”.

“All'articolo 3 del Cad – annota il deputato dem – si afferma che “chiunque ha il diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, le soluzioni e gli strumenti di cui al presente codice ...”, di conseguenza l'accesso alla carta d'identità elettronica deve essere garantito a tutti i cittadini italiani, compresi quelli residenti all'estero”.

Sottolineato che “una delle difficoltà addotte dal Governo per il rilascio della carta d'identità elettronica presso il comune di iscrizione Aire per i cittadini italiani residenti all'estero era stata proprio la questione dell'utilizzo della terminologia di padre e madre per il rilascio del documento”, Ricciardi chiede ai Ministri se “non ritengano di procedere in maniera celere ad apportare quelle modifiche amministrative che consentirebbero, in accordo con l'articolo 3 del Cad, ai nostri connazionali residenti all'estero, di ottenere il rilascio della carta d'identità elettronica presso il comune di iscrizione Aire, durante il loro soggiorno in Italia, con ritiro del documento in questione presso la sede dell'anagrafe comunale o la spedizione ad un indirizzo, in Italia, indicato dal cittadino al momento della richiesta unitamente all'indicazione di un suo delegato al ritiro della carta d'identità elettronica, anche alla luce della recente sentenza n. 9216 del 2025 della Corte di cassazione”. (aise/dip 10)

 

 

 

 

Potenziamento degli IIC all’estero e frequenza telematica delle Università italiane degli studenti esteri

 

ROMA – Le commissioni Esteri e Cultura della Camera hanno approvato la risoluzione Tremonti, riformulata, sul potenziamento degli istituti italiani di cultura all’estero e su misure volte favorire la frequenza in via telematica delle Università italiane da parte degli studenti esteri. Nel corso del dibattito il Sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli nell’esprimere un orientamento favorevole del Governo sull’atto di indirizzo in esame, ha ipotizzato alcune modifiche al testo originario. Nel dettaglio ha proposto di sostituire, ovunque ricorrano, le parole: “Ministero degli Affari esteri» con le parole: «Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”, nonché di riformulare il terzo punto delle premesse nei seguenti termini: “occorre segnalare che il decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2010, n. 95, ha operato una profonda ristrutturazione dell’articolazione del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che ha comportato tra l’altro la soppressione della Direzione generale per la promozione culturale e la creazione di una Direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale: a norma dell’articolo 5, comma 8-ter, la Direzione promuove, tra l’altro, ‘la diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero, anche attraverso la gestione della rete degli istituti italiani di cultura e del sistema della formazione italiana nel mondo, ivi incluso il collegamento con gli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana’”.  Fra le altre modifiche dal Sottosegretario è stato proposto, per quanto riguarda la parte dispositiva, di aggiungere, al primo punto, dopo le parole “carattere normativo”, le seguenti: “e previo necessario adeguamento delle risorse umane e finanziarie del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale”. Silli ha altresì suggerito di riformulare il secondo impegno nei seguenti termini: “a sostenere l’avvio di iniziative per favorire la partecipazione da parte degli studenti stranieri, nei rispettivi Paesi di residenza, ai corsi delle università telematiche italiane, ferme restando le ipotesi previste dalla disciplina interna per lo svolgimento degli esami a distanza”. Dopo l’intervento del Sottosegretario ha presso la parola la deputata Anna Laura ORRICO (M5S) che ha preannunciato il voto contrario del suo gruppo.  La deputata, pur ritenendo alcune delle premesse della risoluzione assolutamente condivisibili soprattutto per quanto riguarda l’impegno di assicurare adeguate risorse umane e finanziarie agli Istituti italiani di cultura, ha espresso perplessità sulla richiesta al Governo ad impegnarsi a sostenere l’avvio di iniziative volte a favorire la partecipazione da parte degli studenti stranieri ai corsi delle università telematiche italiane. Per Orricco sarebbe invece preferibile valorizzare le università pubbliche che, soprattutto in alcuni territori fragili, rappresentano un prezioso punto di riferimento culturale. A seguire la deputata Federica Onori (Azione – ripartizione Europa), nel preannunciare l’astensione del proprio Gruppo sul testo in esame, ha sottolineato come nella risoluzione non si tengano in debita considerazione le differenze esistenti tra le università tradizionali e quelle telematiche. La deputata ha inoltre sottolineato come dal testo si prefiguri un aggravio degli oneri organizzativi a carico della rete diplomatico-consolare, già sottodimensionata rispetto ai compiti che le sono attribuiti. Al riguardo ha inoltre preannunciato l’intenzione di presentare un apposito atto di indirizzo per adeguare la dotazione finanziaria e di personale delle strutture all’estero della Farnesina. Anche il deputato del Pd Vincenzo Amendola ha annunciato l’astensione del suo gruppo sulla risoluzione, sottolineando la necessità di accompagnare il varo del testo con un incremento delle risorse economiche destinate agli uffici diplomatico-consolari. Per Amendola inoltre la valutazione sul rafforzamento degli Istituti di cultura italiana all’estero andrebbe inquadrata nel progetto di riforma della Farnesina che il Ministro Tajani si appresta a presentare. E’ stata poi la volta di Simone Billi (Lega – ripartizione Europa) che ha ringraziato i presidenti Tremonti e Mollicone per l’iniziativa assunta e ha preannunciato il voto favorevole della Lega. Espresso inoltre dal deputato apprezzamento per l’obiettivo di rafforzare la dotazione e gli strumenti degli Istituti di cultura italiana all’estero, che svolgono un ruolo essenziale per promuovere l’identità nazionale. Ha poi ripreso la parola il Sottosegretario Silli che ha precisato come la citata riforma del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale dovrebbe limitarsi a ridefinire deleghe e competenze delle diverse strutture amministrative. Il Sottosegretario ha inoltre ribaditoi il pieno apprezzamento per l’obiettivo della risoluzione di valorizzare il ruolo delle università telematiche, che stanno assumendo una rilevanza crescente nei progetti di cooperazione culturale del Governo con i Paesi terzi, quali strumenti di soft power nella strategia di politica estera dell’Italia. Dopo l’intervento del Presidente Tremonti che ha accolto le proposte di riformulazione della risoluzione di cui è primo firmatario, è intervento il Presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone che ha evidenziato come il testo della risoluzione in discussione affronti un tema assai rilevante che conferma l’importanza del ruolo della diplomazia culturale nelle sue diverse espressioni, compreso il prezioso contributo svolto dagli Istituti italiani di cultura. Sempre per quanto riguarda il testo in esame da Mollicone è stata inoltre ribadita la necessità che il Governo provveda a stanziare maggiori risorse finanziarie a favore degli Istituti italiani di cultura che sono chiamati a svolgere numerose e delicate funzioni per la promozione della cultura e della lingua italiana. Per quanto riguarda alcune considerazioni critiche svolte dai deputati intervenuti nel dibattito, relative ai contenuti del secondo impegno in tema di partecipazione degli studenti di Paesi esteri ai corsi delle università telematiche, Mollicone ha ricordato che tali università sono sottoposte alla vigilanza e al controllo del Ministero dell’università e della ricerca.  Il Presidente ha infine segnalato come che il testo della risoluzione sia frutto di un confronto costruttivo con il Governo e con il Maeci al fine di rafforzare e valorizzare il ruolo degli Istituti italiani di cultura di cui tutti apprezzano l’operato nel quadro degli intensi rapporti culturali tra l’Italia e le comunità degli altri Stati europei ed extraeuropei.

 

A seguire il testo della risoluzione approvato dalle Commissioni

La III e la VII Commissione, premesso che:

la disciplina dell’attività degli istituti italiani di cultura all’estero e degli interventi per la promozione della cultura e della lingua italiana è posta dalla legge 22 dicembre 1990, n. 401: le finalità della normativa sono fissate dall’articolo 2, in base al quale «la Repubblica promuove la diffusione all’estero della cultura e della lingua italiana onde contribuire allo sviluppo della reciproca conoscenza fra i popoli, nel quadro più generale dei rapporti tra il nostro Paese e la comunità degli altri Stati»;

la responsabilità istituzionale per il perseguimento di tali finalità è posta in capo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ferme restando le competenze previste dalle leggi vigenti per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per le singole amministrazioni dello Stato;

occorre segnalare che il decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 2010, n. 95, ha operato una profonda ristrutturazione dell’articolazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che ha comportato, tra l’altro, la soppressione della direzione generale per la promozione culturale e la creazione di una direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale: a norma dell’articolo 5, comma 8-ter, la Direzione promuove, tra l’altro, «la diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero, anche attraverso la gestione della rete degli istituti italiani di cultura e del sistema della formazione italiana nel mondo, ivi incluso il collegamento con gli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana»;

per quanto concerne le funzioni specifiche del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, delineate all’articolo 3 della legge n. 401 del 1990, esse consistono anzitutto nella definizione degli accordi sugli scambi culturali con gli altri Stati, e nella cura della loro attuazione. Il Ministero, inoltre, promuove il coordinamento da un lato delle amministrazioni dello Stato e degli enti e istituzioni pubblici, e dall’altro delle associazioni, fondazioni e privati, al fine della massimizzazione della promozione culturale dell’Italia all’estero. Il Ministero provvede altresì all’istituzione ed eventuale soppressione degli istituti italiani di cultura all’estero, la cui attività è sottoposta all’indirizzo e alla vigilanza nell’amministrazione degli affari esteri tramite le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari;

la legge n. 401 del 1990, all’articolo 7, prevede che gli Istituti italiani di cultura all’estero siano istituiti nelle capitali e nelle principali città degli Stati con i quali l’Italia intrattiene relazioni diplomatiche: come sopra richiamato, gli Istituti sono istituiti e soppressi con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e nei limiti delle risorse finanziarie previste nell’apposito capitolo di bilancio del Ministero. Pur sottoposti alla funzione di vigilanza dell’amministrazione degli affari esteri, gli istituti godono di autonomia operativa e finanziaria, con controllo consuntivo della Corte dei conti sui bilanci annuali;

un regolamento emanato con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della funzione pubblica, detta i criteri generali dell’organizzazione e del funzionamento degli istituti, si tratta in effetti del decreto ministeriale 27 aprile 1995, n. 392, che reca il regolamento sull’organizzazione, il funzionamento e la gestione finanziaria ed economico-patrimoniale degli Istituti italiani di cultura all’estero;

tale regolamento prevede, tra l’altro, l’obbligo per gli istituti di trasmettere annualmente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministero dell’economia e delle finanze, tramite la rappresentanza diplomatica o l’ufficio consolare territorialmente competente, il conto consuntivo, con acclusa una relazione sulle attività poste in essere;

la dotazione finanziaria di ciascun Istituto è stabilita dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale mediante ripartizione dell’apposito stanziamento di bilancio annuale. Gli Istituti di cultura, in vista di specifiche attività o settori di studio e ricerca, incluse quelle relative all’insegnamento della lingua italiana, possono creare proprie sezioni distaccate a valere sui fondi già stanziati per l’Istituto fondatore: ciò è tuttavia possibile agli Istituti solo dopo l’autorizzazione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’autorità diplomatica competente per territorio. La gestione finanziaria e patrimoniale delle sezioni distaccate è responsabilità dei direttori degli istituti fondatori;

presso ogni istituto di cultura è istituito un fondo scorta per i pagamenti e le spese necessarie al funzionamento dell’istituto medesimo, il cui iniziale ammontare è stabilito con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che valutano le esigenze dei vari istituti anche sulla base dei consuntivi degli anni precedenti. Il citato regolamento adottato con decreto ministeriale 27 aprile 1995, n. 392, disciplina anche le modalità di gestione dei fondi scorta e del loro adeguamento mediante utilizzo delle entrate ordinarie degli Istituti;

ai sensi dell’articolo 8 della richiamata legge n. 401 del 1990, tra le principali funzioni degli Istituti italiani di cultura all’estero figurano:

a) stabilire contatti con le istituzioni e personalità del mondo culturale e scientifico del paese ospitante, favorendo tutte le iniziative volte alla conoscenza della cultura italiana e alla collaborazione culturale e scientifica, fornendo anche le relative documentazioni e informazioni;

b) promuovere iniziative, manifestazioni culturali e mostre; sostenere iniziative per lo sviluppo culturale della comunità italiane all’estero, onde agevolare tanto la loro integrazione nel paese ospitante quanto il legame culturale con la madrepatria;

c) assicurare collaborazione a studiosi e studenti italiani nelle loro attività di ricerca e studio all’estero;

d) favorire iniziative per la diffusione della lingua italiana all’estero, anche mediante la collaborazione dei lettori di italiano nelle università del paese ospitante;

è prevista la possibilità (articolo 9) di istituire comitati di collaborazione culturale presso gli istituti, che contribuiscano alle loro attività, i direttori degli istituti formulano le proposte di costituzione dei Comitati e di nomina dei loro componenti, e le sottopongono all’approvazione delle autorità diplomatiche italiane territorialmente competenti. Dei comitati possono essere chiamati a far parte a titolo onorifico sia esponenti dei paesi ospitanti particolarmente interessati ed esperti nella cultura italiana, sia qualificati esponenti delle comunità italiane in loco;

i Direttori degli istituti (articolo 14) sono nominati, di norma fra il personale direttivo dell’area della promozione culturale, e acquisito il parere della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che tiene conto, anche in vista della destinazione geografica, delle competenze relative all’area di riferimento e delle aspirazioni espresse dall’interessato. La funzione di direttore può essere anche conferita, soprattutto in relazione alle esigenze di particolari sedi, a persone di prestigio culturale e provata competenza in ordine all’organizzazione della promozione culturale (articolo 14, comma 6);

al direttore competono importanti funzioni (articolo 15) come quella di rappresentare l’istituto, mantenerne i rapporti con l’esterno e recare la responsabilità delle attività da esso svolte, che il direttore programma e coordina sottostando alle funzioni di indirizzo e vigilanza in capo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

in particolare, il direttore di ciascun istituto mantiene i rapporti con le autorità diplomatiche italiane competenti per territorio, predispone annualmente il programma di attività e dà impulso alle relative iniziative e manifestazioni, si incarica di assicurare adeguate iniziative linguistiche e culturali in riferimento alle comunità italiane in loco, provvede all’organizzazione dei servizi e del personale nonché alla gestione finanziaria e patrimoniale dell’istituto di competenza, predispone un rapporto annuale sull’attività svolta che verrà inoltrato tramite la rappresentanza diplomatica o l’ufficio consolare competente, predispone il bilancio preventivo e consuntivo da sottoporre annualmente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sempre tramite le competenti autorità diplomatiche;

è previsto altresì che gli organi centrali ed i vari istituti di cultura possano stipulare convenzioni, nel caso si richiedano specifiche competenze non reperibili presso il personale di ruolo, per l’acquisizione di consulenze da parte di specialisti: ciò potrà avvenire solo per il tempo necessario allo svolgimento di tali attività e nei limiti delle disponibilità di bilancio;

le risorse attualmente disponibili per l’attività di promozione della lingua e della cultura italiana all’estero ammontano ad un totale nominale di circa 160 milioni di euro. 70 milioni di essi sono destinati a retribuzioni del comparto delle scuole all’estero, mentre gli altri 90 milioni sono per le iniziative vere e proprie di promozione linguistica e culturale;

la proiezione culturale dell’Italia all’estero può avere come punto di forza quello delle sue Università, che sono internazionalmente riconosciute come eccellenti: le nuove modalità di insegnamento telematico, che oramai riguardano le Università italiane e straniere più importanti, permettono di avere studenti in ogni parte del mondo; favorire questo processo è una azione importantissima di politica culturale nazionale, particolarmente rilevante nei confronti di aree come l’Africa;

impegnano il Governo:

1) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo e previo necessario adeguamento delle risorse umane e finanziarie del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per migliorare la dotazione finanziaria e di personale degli Istituti italiani di cultura;

2) a sostenere l’avvio di iniziative per favorire la partecipazione da parte degli studenti stranieri, nei rispettivi Paesi di residenza, ai corsi delle università telematiche italiane, ferme restando le ipotesi previste dalla disciplina interna per lo svolgimento degli esami a distanza. Inform/dip 13

 

 

 

 

 

 

 

 

Zwei Jahre Krieg im Sudan. Die „größte humanitäre Katastrophe der Welt“

 

Der Krieg im Sudan hat dramatische Folgen für die Bevölkerung. Mehr als 30 Millionen Menschen sind laut den UN auf Hilfe angewiesen. Zum Jahrestag des Kriegsbeginns schlagen Hilfsorganisationen Alarm.

Zwei Jahre nach Beginn des Krieges im Sudan zeichnen Hilfsorganisationen ein düsteres Bild der humanitären Katastrophe in dem nordostafrikanischen Land. „Die Lage im Sudan ist desaströs. Menschen sterben, weil sie keinen Zugang zu Nahrungsmitteln und sauberem Wasser haben“, erklärte der Generalsekretär der Welthungerhilfe, Mathias Mogge, am Montag in Berlin. Die internationale Gemeinschaft müsse dringend mehr Geld bereitstellen, „um das Überleben der Betroffenen zu sichern“.

Auch die Diakonie Katastrophenhilfe mahnte mehr Aufmerksamkeit für die Krise an. „Ein Ende der blutigen Kämpfe ist nicht in Sicht“, sagte der Leiter des evangelischen Hilfswerks, Martin Keßler: „In der Region Darfur herrscht in Teilen eine Hungersnot, doch niemand schaut hin.“ Die Weltgemeinschaft dürfe vor der größten humanitären Katastrophe der Welt nicht die Augen verschließen.

Eine der gravierendsten Krisen der jüngeren Vergangenheit

Bei dem Krieg im Sudan kämpfen die Armee und die paramilitärische RSF-Miliz um die Macht in dem Land. Die Kämpfe begannen am 15. April 2023 und weiteten sich rasch auf weitere Gebiete aus. Zuletzt eroberte die Armee die Hauptstadt Khartum zurück.

Der Konflikt hat eine der gravierendsten Krisen der jüngeren Vergangenheit ausgelöst. Laut den Vereinten Nationen sind mehr als 30 Millionen Menschen auf humanitäre Hilfe angewiesen – und damit deutlich mehr als die Hälfte der 47,5 Millionen Sudanesinnen und Sudanesen. Fast 13 Millionen Personen wurden demnach seit Beginn der Kämpfe durch die Gewalt vertrieben. Beiden Konfliktparteien werden Kriegsverbrechen vorgeworfen, darunter Angriffe auf die Zivilbevölkerung und die Blockade humanitärer Hilfe.

Schulze fordert mehr Engagement

Die geschäftsführende Bundesentwicklungsministerin Svenja Schulze (SPD) rief zu mehr internationalem Engagement auf. „Die internationale Gemeinschaft muss weiter hinschauen, ihr Engagement fortsetzen und zugleich den Druck auf die Kriegsparteien erhöhen, an den Verhandlungstisch zu kommen“, sagte sie dem Evangelischen Pressedienst. Schulze bedauerte, dass die Lage im Sudan international „viel zu wenig Beachtung“ findet. „Dabei spielt sich dort die derzeit größte humanitäre Katastrophe der Welt ab“, sagte sie.

Die geschäftsführende Außenministerin Annalena Baerbock (Grüne) reagierte am Montagabend und sagte 125 Millionen Euro für die humanitäre Hilfe zu. „Um das Leid der Menschen in der Region zu lindern und die Lage in den Nachbarländern zu stabilisieren, übernimmt auch Deutschland Verantwortung“, sagte Baerbock. Die Zusage erfolgte am Abend vor einer internationalen Sudan-Konferenz am Dienstag in London, die vom Vereinigten Königreich gemeinsam mit Deutschland, Frankreich, der EU und der Afrikanischen Union ausgerichtet wird.

Die Repräsentantin für Ostafrika der Hilfsorganisation IRC, Anne Marie Schryer, zeigte sich zuletzt besorgt angesichts der Einschnitte bei der US-Auslandshilfe unter Präsident Donald Trump. Die USA seien historisch ein wichtiger Geber für den Sudan, sagte sie. Allein vergangenes Jahr hätten die Vereinigten Staaten rund 45 Prozent der Hilfe finanziert. „Ein Wegfall dieser Mittel wäre verheerend.“ Zwar hätten die USA die Unterstützung für den Sudan bisher nicht komplett eingestellt, sagte Schryer: „Aber einige Programme wurden reduziert.“

Roten Kreuz mahnt zu Waffenruhe

Die Präsidentin des Internationalen Komitees vom Roten Kreuz, Mirjana Spoljaric, mahnte zum zweiten Jahrestag des Kriegsbeginns eine Waffenruhe an. Die Zivilbevölkerung sei in einem Albtraum aus Tod und Zerstörung gefangen und brauche eine Atempause, erklärte Spoljaric in Genf. Auch sexuelle Gewalt sei weitverbreitet und Helfer müssten bei ihrer Arbeit vorsätzliche Angriffe erdulden.

Besonders betroffen von den Kämpfen bleibt die Darfur-Region im Westen des Landes. Nach Angriffen der RSF spitzte sich am Wochenende die Lage rund um das Flüchtlingslager Zamzam zu, wo Schätzungen zufolge Hunderttausende Menschen Zuflucht gefunden haben. Nach Angaben der mit der Armee verbündeten Rebellenbewegung SLM wurden bei Angriffen der RSF-Miliz seit Freitag 450 Zivilistinnen und Zivilisten getötet. Zudem seien Tausende Familien vertrieben worden, berichtete die Zeitung „Sudan Tribune“.

Welthungerhilfe: Hungersnot im Flüchtlingslager

Auch Welthungerhilfe-Generalsekretär Mogge sprach von Angriffen auf das Camp mit „Hunderten Toten, darunter auch humanitäre Helfer“ und betonte: „Die internationale Gemeinschaft darf nicht weiter zusehen, wie die humanitäre Katastrophe eskaliert.“ Für das Flüchtlingslager wurde bereits vergangenes Jahr eine Hungersnot ausgerufen, auch weil Hilfe immer wieder blockiert wurde.

Bisherige diplomatische Anläufe für ein Ende des Krieges im Sudan scheiterten. Selbst nur für wenige Tage vereinbarte Waffenruhen wurden gebrochen. Für Dienstag ist in London eine weitere internationale Konferenz zum Sudan geplant. (dpa/mig 15)

 

 

 

 

Beispiel Zypern. Flüchtlingspolitik national nicht machbar

 

Zypern zeigt: Migration lässt sich nicht durch nationale Maßnahmen steuern – nur internationale Zusammenarbeit bringt nachhaltige Lösungen. Von Lars Castellucci

Während in Deutschland eine Diskussion über Flucht und Asyl geführt wird, als ließen sich diese Themen durch nationale Maßnahmen wie Grenzkontrollen, Zurückweisungen und vermehrte Abschiebungen „lösen“, verdeutlicht ein Blick nach Zypern die Herausforderungen der europäischen Asylpolitik. Menschen erscheinen schließlich nicht einfach an nationalen Grenzen, sondern kommen von einem bestimmten Ort, legen oft lange, beschwerliche Routen zurück und haben meist triftige Gründe für ihre Flucht.

Auf ihren Wegen sind sie fast immer gezwungen, sich Schleppern und Schleusern anzuvertrauen. Eine „Lösung“ – oder besser gesagt, eine effizientere Steuerung und Ordnung im Sinne sowohl der Geflüchteten als auch der aufnehmenden Länder – wird es nur geben, wenn die gesamten Routen in den Blick genommen und entlang dieser Ketten international zusammengearbeitet wird.

Die Fluchtbewegung der Jahre nach 2014 hat Zypern weitgehend unberührt gelassen. Die Hauptroute führte damals über die Türkei, und Zypern, kaum 100 km von der syrischen Küste entfernt, lag schlicht nicht im Fokus. Doch in den Jahren 2022 und 2023 ist Zypern das europäische Land mit den meisten Geflüchteten im Verhältnis zu seiner Bevölkerung geworden. Zwar sind dies in absoluten Zahlen vergleichsweise wenige (2022: 21.500; 2023: 11.600), doch genau dies zeigt, dass allein absolute Zahlen oft irreführend sind und nicht die ganze Dimension des Themas erfassen.

Eine traurige Besonderheit der Insel Zypern ist ihre Teilung. Sie ist durch eine von den Vereinten Nationen überwachte Pufferzone getrennt – die sogenannte „grüne Linie“. Diese Linie wird jedoch nicht als Grenze anerkannt, da die internationale Gemeinschaft die Teilung der Insel nicht legitimiert. Für den Süden verbieten sich daher Grenzbefestigungen. Die ersten Geflüchteten, die Zypern in die oberen Ränge der europäischen Aufnahmestatistik katapultierten, nutzten dies für den relativ leichten Übergang aus dem Norden. Mittlerweile ist dieser Zugang jedoch praktisch geschlossen. Im August 2024 befand sich nur noch eine mittlere zweistellige Zahl Geflüchteter in der Pufferzone, die von den Vereinten Nationen und Hilfsorganisationen notdürftig versorgt wird. Die Betroffenen können oder wollen nicht zurück und haben auch kaum eine Möglichkeit, in den Süden zu gelangen.

„Es ist ein offenes Geheimnis, dass es in diesem Zusammenhang auch zu Pushbacks an Land und auf See kommt, mit denen europäisches Recht verletzt wird.“

Nach der Corona-Pandemie stieg dagegen die Zahl der Anlandungen über das Mittelmeer nach Zypern an. Zudem nahm das Land im Verhältnis mehr Geflüchtete aus der Ukraine auf als beispielsweise Deutschland. Im Jahr 2022 schlug Zypern schließlich Alarm: Die Unterkünfte waren völlig überlastet, ebenso die Verwaltung. Im Rahmen freiwilliger Umsiedlungsprogramme erklärte sich unter anderem Deutschland bereit, bis zu 3.500 Geflüchtete aus Zypern aufzunehmen, darunter vorrangig besonders schutzbedürftige Personen. Im Jahr 2023 sanken die Zahlen der Neuankömmlinge um ein Drittel. Die Regierung setzte die Bearbeitung von Asylanträgen syrischer Geflüchteter aus. Trotz umfangreicher Unterstützung durch die europäische Asylbehörde blieben rund 21.500 Asylanträge unbearbeitet. Zur Jahresmitte 2024 waren die Anlandungen dann praktisch auf null zurückgegangen, und im August standen die Unterkünfte nahezu leer.

Es ist ein offenes Geheimnis, dass es in diesem Zusammenhang auch zu Pushbacks an Land und auf See kommt, mit denen europäisches Recht verletzt wird. Eine neue Vereinbarung zwischen der EU-Kommission und dem Libanon sieht zudem Rückführungen und eine intensivere Kontrolle irregulärer Migration nach Zypern vor, was kurzfristig zu einer Verringerung der Flüchtlingszahlen aus dem Libanon führte. Dennoch bleibt die Situation angesichts der angespannten Lage im Nahen Osten fragil.

„Eine neue globale Allianz für den Flüchtlingsschutz könnte dem Global Compact on Refugees frischen Schwung verleihen.“

Vor diesem Hintergrund lassen sich einige wichtige Ansätze ableiten: Mit europäischer Unterstützung und im Rahmen der Vorbereitungen auf das Gemeinsame Europäische Asylsystem (GEAS) erweitert Zypern derzeit seine Kapazitäten für die Erstaufnahme. Die zentrale Aufnahmeeinrichtung in Pournara wird von bisher 1.500 auf 3.000 Plätze aufgestockt, und die Abläufe im Aufnahmezentrum sollen optimiert werden, um eine verbesserte Erstversorgung sicherzustellen. Es geht dabei nicht nur um ein Dach über dem Kopf, sondern auch um Zugang zu Asylverfahren, Rechtsberatung, Unterstützung bei sozialen Fragen, Bildungsangebote für Kinder, Gesundheitschecks und geschützte Bereiche für besonders verletzliche Gruppen.

In einem nächsten Schritt sollte in Zypern ein gezielteres „Matching“ organisiert werden, damit Menschen mit Verbindungen zu bestimmten Ländern, Sprachkenntnissen oder spezifischen Talenten dorthin gelangen, wo die Bereitschaft zur Aufnahme hoch ist und Integration besser gelingen kann.

Denn natürlich soll es Geflüchteten ermöglicht werden, auch in Länder zu gelangen, in denen sie nicht zuerst ankommen – jedoch nach den Regeln dieser Länder und nicht nach denen von Schleusern. Dafür müssen wir mehr Partnerländer gewinnen. Eine neue globale Allianz für den Flüchtlingsschutz könnte dem Global Compact on Refugees frischen Schwung verleihen.

Aber auch Arbeitsmigration ist ein Thema. Bei vielen der Geflüchteten kommen Fluchtursachen und mangelnde wirtschaftliche Perspektiven zusammen. Für diese Gruppe sollte es daher vermehrt Angebote geben, ihre Qualifikationen auf dem Arbeitsmarkt einzubringen, anstatt ausschließlich auf das Asylsystem verweisen zu sein – auch wenn ihnen das Recht auf Asyl zusteht. Auch auf Zypern wächst die Erkenntnis, dass es auf Dauer ohne Arbeitskräfte von außen nicht gehen wird. Die Aussage „Wir wollen alle nach Deutschland“ muss daher auch dahingehend beantwortet werden, dass andere Länder attraktiver für Einwanderung werden.

„Migration kann gut und sinnvoll geregelt werden.“

Hier können Unternehmen eine entscheidende Rolle spielen, insbesondere jene, die dringend Arbeitskräfte benötigen. Warum nicht gemeinsam mit einem von Personalengpässen betroffenen Unternehmensverband ein Modellprojekt ins Leben rufen? In einem solchen Projekt könnten Spracherwerb, Nachqualifikation und Einreiseplanung gezielt zusammengeführt werden – ein Konzept, das sich gut auf Zypern umsetzen ließe. Gerade kleine und mittlere Unternehmen, die keine eigenen internationalen Rekrutierungsstrukturen haben, könnten davon stark profitieren.

Wer erst einmal die Erfahrung macht, willkommen zu sein, Perspektiven zu haben und sieht, dass die Kinder in die Schule gehen können, der neigt auch weniger zur sogenannten Sekundärmigration. Migration kann gut und sinnvoll geregelt werden. Trotz anders lautender Diskurse sind wir bereits mitten in diesem Prozess. (mig 15)

 

 

 

 

 

Neuer Plan. Italien bringt erstmals abgelehnte Asylbewerber nach Albanien

 

Die Abschiebepläne der rechten Regierung in Rom haben bislang noch nicht funktioniert. Die italienischen Lager in Albanien stehen leer. Nun kommt eine erste Gruppe anderer Geflüchteter dort unter.

Italiens Rechts-Regierung von Ministerpräsidentin Giorgia Meloni hat nach dem vorläufigen Scheitern ihrer umstrittenen Asyl-Pläne eine erste Gruppe abgelehnter Asylbewerber in ein Lager in Albanien bringen lassen. Ein Schiff der italienischen Marine mit 40 Menschen an Bord lief am Nachmittag im Hafen der Stadt Shengjin ein, wie die Nachrichtenagentur Ansa meldete. Die Männer sollen jetzt in Albanien in einem Lager bleiben, bis sie abgeschoben werden.

Eigentlich sollten in den beiden Lagern Shengjin und Gjader italienische Beamte im Schnellverfahren über die Asylanträge von Mittelmeer-Geflüchteten entscheiden, noch bevor diese überhaupt einen Fuß auf italienischen Boden setzen können. Dies hat seit der Eröffnung im Herbst wegen mehrerer Niederlagen vor Gericht jedoch noch nie funktioniert. Die beiden teuer errichteten Lager standen seit Monaten leer. Jetzt sind dort Asylbewerber untergebracht, deren Anträge in Italien abgelehnt wurden.

Das „Albanien-Modell“ ist ein Prestigeprojekt der rechten Dreier-Koalition. Nach den Niederlagen vor Gericht verabschiedete Melonis Regierung vergangenen Monat einen Erlass, wonach dort auch Asylbewerber untergebracht werden können, die schon in Italien waren. Normalerweise werden solche Menschen bis zur Abschiebung in Rückführungszentren in Italien festgehalten, nicht im Ausland.

Europäischer Gerichtshof prüft alte Regelung

Innenminister Matteo Piantedosi bezeichnete das Lager in Gjader als „weiteres Rückführungszentrum, nur eben außerhalb des italienischen Staatsgebiets“. In Italien werden in solchen Zentren Geflüchtete ohne regulären Aufenthaltsstatus untergebracht.

Melonis Regierung hält indes an dem ursprünglichen „Albanien-Modell“ fest. Derzeit prüft der Europäische Gerichtshof, ob ein solcher Umgang mit Schutzsuchenden mit europäischem Recht vereinbar ist. Im Kern geht es um die Frage, welche Staaten als sichere Herkunftsländer gelten, in die abgeschoben werden kann. (dpa/mig 14)

 

 

 

 

Ukraine: Karwochen-Beginn unter Bomben

 

32 Menschen, darunter mehrere Kinder, sind laut Kyiver Angaben am Morgen des Palmsonntags im Nordosten der Ukraine durch zwei russische Raketen ums Leben gekommen, mehr als 100 wurden verletzt. „Möge der Herr uns gnädig sein“, rang Erzbischof Visvaldas Kulbokas, der päpstliche Nuntius im Land, um Worte.  Francesca Sabatinelli und Anne Preckel

Es war ein blutiger Auftakt der Karwoche in Sumy, im Nordosten der Ukraine: Ausgerechnet, als sich gegen zehn Uhr im Herzen der Stadt zahlreiche Gläubige zur Palmsonntagsmesse versammelten, schlugen die zwei ballistischen Raketen ein. Dutzende Menschen, darunter Familien und Kinder, rissen sie mit in den Tod. Fernsehaufnahmen aus dem Ort, der 50 Kilometer von der russischen Grenze liegt, zeigten Leichen auf den Straßen und Feuerwehrleute, die brennende Autos inmitten von Haustrümmern löschten.

Blutiger Auftakt der Karwoche

„Alles, was bleibt, ist, sich dem Herrn zuzuwenden“, kommentierte der apostolische Nuntius in der Ukraine die neue Attacke, die sich vor Hintergrund des seit über drei Jahren andauernden russischen Angriffskrieges ereignete. In der Ukraine werde dieses Jahr parallel nach dem gregorianischen und dem julianischen Kalender Ostern gefeiert, erinnerte Erzbischof Visvaldas Kulbokas. „Auch in der Stadt Sumy gingen die Menschen am Palmsonntag - wahrscheinlich verschiedener Konfessionen - in ihre Kirchen, um zu beten.“

Mehr als 30 Menschen hätten die beiden Iskander-Raketen am Palmsonntag getötet. Und zwar in dem Moment, „als sie gerade beten wollten“, umschrieb der Nuntius die grausamen Umstände des Krieges. „Dies war der Beginn der Karwoche für verschiedene Regionen der Ukraine. Und alles, was bleibt, ist, sich an den Herrn zu wenden, um sich zu verteidigen“, rang Erzbischof Kulbokas um Worte. „Denn es scheint, dass keine andere Kraft in der Lage ist, Frieden und Leben zu schützen. Möge der Herr uns gnädig sein.“

Angriff sorgte international für Entsetzen

Der Angriff fand kurz nach einem Besuch des US-Sondergesandten Steve Witkoff in Russland statt, der mit Präsident Wladimir Putin über den Ukraine-Krieg gesprochen hatte. In der Ukraine und international sorgte die Attacke vom Palmsonntag für Entsetzen. Politiker weltweit verurteilten den Raketenangriff scharf; der ukrainische Präsident Wolodymyr Selenskyj forderte eine internationale Reaktion auf den Angriff. 

Auch ukrainische Kirchenführer zeigten sich entsetzt. Das Oberhaupt der Orthodoxen Kirche der Ukraine, Metropolit Epiphanius, sprach am Sonntag in Sozialen Medien von einer „satanischen Tat“, die das „russische Reich des Bösen“ begangen habe. „Möge der Herr den Seelen der Toten Ruhe geben“, schrieb der bekannteste Geistliche des Landes. Metropolit Epiphanius mahnte, die führenden Politiker der Welt müssten begreifen, dass der russische Staat ein Terrorist und Mörder sei, „der die ganze Welt als Geisel hält“. Nur konsequenter und beharrlicher Widerstand könne Russland stoppen. Der Geistliche führt die autokephale (eigenständige) Orthodoxe Kirche der Ukraine seit der Gründung 2018. Zu ihr bekennen sich laut einer Umfrage 42 Prozent der Bevölkerung.

Kiews griechisch-katholischer Großerzbischof, Swjatoslaw Schewtschuk, warf Russland ein „Verbrechen gegen die Menschlichkeit“ vor. Wie Erzbischof Kulbokas ging auch Schewtschuk darauf ein, dass orthodoxe und katholische Christen am Sonntag Palmsonntag begingen: „Wenn die Ukrainer den Feiertag des Lebens feiern, will der Feind ihnen seinen Feiertag des Todes aufzwingen.“ Russland und die Ukraine sind beides orthodox geprägte Länder. 

Friedensbemühungen des Vatikans

„Möge endlich Frieden einkehren in die zerrissene Ukraine.“

Papst Franziskus erneuerte am Sonntag seinen Friedensaufruf für die Ukraine: „Möge endlich Frieden einkehren in die zerrissene Ukraine", rief er in einem vom Vatikan am Sonntag verbreiteten Text auf. Franziskus hat regelmäßig zu einer Befriedung des Konfliktes und zu Dialog gemahnt und dazu auch einen Friedensdiplomaten nach Moskau, Kyiv, Washington und Peking geschickt. Der Vatikan setzt sich zudem humanitär für die Linderung der Kriegsnot ein. 

„Gezielte Angriffe auf Zivilisten“

Die USA, Frankreich und Deutschland warfen Moskau nach der Attacke vom Palmsonntag gezielte Angriffe auf Zivilisten vor. Der russische Angriff auf zivile Ziele in Sumy habe „jede Grenze des Anstands überschritten“, reagierte der US-Sondergesandte für die Ukraine, Keith Kellogg, im Onlinedienst X.

Frankreichs Präsident Emmanuel Macron wertete die Attacke als Beleg dafür, dass Russland seine Verachtung für das Völkerrecht und die diplomatischen Bemühungen von US-Präsident Donald Trump zeige.

Die geschäftsführende deutsche Außenministerin Annalena Baerbock schrieb auf der Plattform X, der Angriff zeige einmal mehr, dass Putin keinen Frieden anstrebe, sondern Zerstörung: „Mitten in Europa bombardiert er Zivilisten“, so Baerbock. Deutschland stehe fest an der Seite der Ukraine, betonte sie.

EU-Kommissionspräsidentin Ursula von der Leyen hob hervor, Europa werde den Druck auf Russland weiter aufrechterhalten. „Diese neuerliche Eskalation ist eine düstere Mahnung: Russland war und ist der Aggressor in offensichtlicher Missachtung des Völkerrechts“, schrieb sie auf X.

Die Reaktion des Nuntius Kulbokas holte Francesca Sabatinelli (Vatican News) ein. (vn/kna 14)

 

 

 

 

 

Union will mehr Zurückweisen und mehr Abschieben

 

Merz hat Änderungen bei der Regelung von Einwanderung und Asyl versprochen. Ob die neuen Verschärfungen umgesetzt werden können, wird sich in einigen Monaten zeigen. CDU und CSU zeigen sich optimistisch. Es gibt aber praktische und juristische Hürden – sowie scharfe Kritik.

Politiker von CDU und CSU sind ungeachtet möglicher rechtlicher und praktischer Hürden optimistisch, dass der von ihnen angekündigte Kurswechsel – im Kern geht es um Verschärfungen – in der Flüchtlingspolitik gelingen wird. Der von Union und SPD ausgehandelte Koalitionsvertrag sei eine „verlässliche Grundlage“, um die Zahl der Asylsuchenden kurzfristig weiter zu reduzieren, sagt Bayerns Innenminister, Joachim Herrmann (CSU).

Unionsfraktionsgeschäftsführer Thorsten Frei versprach für die Zukunft regelmäßige Abschiebeflüge nach Afghanistan und Syrien. „Darauf können sich die Deutschen verlassen“, sagte der CDU-Politiker dem Boulevardblatt „Bild“. Der SPD-Vorsitzende Lars erwartet, dass es unter der geplanten schwarz-roten Bundesregierung mehr Zurückweisungen an den Grenzen geben wird als unter der Ampel-Koalition. „Wir sind uns einig: Es gibt mehr Grenzkontrollen, damit gibt es auch mehr Zurückweisungen“, sagte er demselben Blatt. „Aber (CDU-Chef) Friedrich Merz und ich sind uns einig, dass es in Abstimmung mit den europäischen Partnern passiert“, fügte er hinzu.

Die wichtigsten geplanten Änderungen

Im Koalitionsvertrag von CDU/CSU und SPD heißt es: „Wir werden in Abstimmung mit unseren europäischen Nachbarn Zurückweisungen an den gemeinsamen Grenzen auch bei Asylgesuchen vornehmen.“ Neue freiwillige Bundesaufnahmeprogramme wird es nicht geben. Mindestens zwei Jahre lang soll es keinen Familiennachzug zu Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus geben.

Um Herkunftsländer von Ausreisepflichtigen um mehr Zusammenarbeit bei der Rücknahme ihrer Staatsbürger zu bewegen, soll notfalls Druck ausgeübt werden – etwa über die Entwicklungszusammenarbeit, die Wirtschafts- und Handelsbeziehungen und die Visa-Politik. Die „Turbo-Einbürgerung“ von besonders gut integrierten Ausländern bereits nach drei Jahren soll es demnächst nicht mehr geben.

Zurückweisung von Asylsuchenden

Dass der Vorbehalt, dies „in Abstimmung“ mit den Nachbarn zu machen, den Plan bremsen könnte, weist Herrmann zurück. Zum einen dürfe nun einmal jeder Staat an seinen Grenzen entscheiden, wer einreisen dürfe und wer nicht. Vor allem aber wollten ja auch die anderen EU-Länder eine Reduzierung der Flüchtlingszahlen. Er glaubt: „Da wird es überhaupt kein Problem geben.“

Merz selbst hatte am Abend nach der Vorstellung des Koalitionsvertrages bei „RTL Direkt“ gesagt: „Wir werden das in Abstimmung mit unseren europäischen Nachbarn machen. Und diese Abstimmung läuft.“ Ob das bedeute, dass künftig alle Asylsuchenden an den Grenzen abgelehnt werden, wollte er nicht sagen.

Schweiz pocht auf europäisches Recht

„Die Schweiz behält sich vor, entsprechend zu reagieren, sollten die Zurückweisungen aus unserer Sicht gegen das geltende Recht verstoßen“, teilte ein Sprecher des Schweizer Bundesamtes für Migration auf Nachfrage mit. Man erwarte, dass der allgemeine Personen- und Warenverkehr weiterhin möglichst unbeeinträchtigt bleibe. Der Sprecher verwies insbesondere auf das „bilaterale Rückübernahmeabkommen zwischen Deutschland und der Schweiz, das Dublin-Recht sowie die Genfer Flüchtlingskonvention“.

Österreich begrüßt die Pläne der schwarz-roten Koalition grundsätzlich. Zur geplanten Zurückweisung von Migranten an der deutschen Grenze sagte ein Sprecher des Innenministeriums in Wien: „Wir sind zuversichtlich, dass das Handeln der deutschen Behörden an den EU-Binnengrenzen auf dem Boden der Rechtsordnung erfolgt.“

Polen zurückhaltend, Tschechien kooperativ

Der polnische Ministerpräsident Donald Tusk hatte bereits Ende März laut Nachrichtenagentur PAP erklärt, es gebe zwar ein gültiges Abkommen mit Deutschland über Geflüchteten-Rückübernahmen. Polen sei aber wegen der Aufnahme einer hohen Zahl an Flüchtlingen aus der Ukraine und aufgrund des Migrationsdrucks an seiner Ostgrenze zu Belarus nicht in der Lage, Geflüchtete aus anderen EU-Ländern zu übernehmen.

Tschechien zeigte sich offen für einen Dialog. Man stehe mit den deutschen Kollegen in regelmäßigem Kontakt, sagte ein Sprecher des Innenministeriums in Prag auf Anfrage. Bei einem Anstieg der illegalen Migration sei Tschechien bereit, Gegenmaßnahmen bis hin zur Wiedereinführung von Personenkontrollen an den Schengen-Binnengrenzen zu ergreifen, sagte der Ministeriumssprecher. Er verwies zudem auf die geplante Verschärfung des Asylrechts in Tschechien. Geplant sind unter anderem eine schnellere Abschiebung von ausreisepflichtigen Ausländern, erweiterte Sicherheitsüberprüfungen und beschleunigte Asylverfahren.

Deutlicher Rückgang der Asylzahlen

Im vergangenen Jahr hatten 229.751 Menschen erstmals in Deutschland einen Asylantrag gestellt. Das waren rund 100.000 Asylerstanträge weniger als im Jahr zuvor.

Auf EU-Ebene wird aktuell über einen Punkt diskutiert, der womöglich in der bereits vereinbarten Reform des Gemeinsamen Europäischen Asylsystems (GEAS) noch verschärft werden könnte. Konkret geht es darum, ob das sogenannte Verbindungselement aus dem Konzept des sicheren Drittstaats gestrichen wird. Vor allem die Grünen hatten das abgelehnt.

Bisher dürfen Asylsuchende laut GEAS-Reform nur in Drittstaaten geschickt werden, zu denen sie eine persönliche Verbindung haben – etwa weil sie früher einmal dort gelebt haben. Im Koalitionsvertrag von CDU, CSU und SPD steht jetzt, Deutschland werde auf europäischer Ebene nun eine Initiative zur Streichung des „Verbindungselements“ ergreifen. Allerdings hat sich bislang noch kein Staat gefunden, der bereit wäre, im großen Stil Asylbewerber aus Europa aufzunehmen.

Mehr Abschiebungen durch Visa-Keule?

Dass Ausreisepflichtige Deutschland verlassen, wollte erklärtermaßen auch die Ampel-Koalition. Tatsächlich stieg die Zahl der Abschiebungen in den vergangenen zwei Jahren. 2024 gab es laut Bundesinnenministerium 20.084 Rückführungen, nach 16.430 Abschiebungen im Jahr zuvor. Das Niveau der Jahre vor der Corona-Pandemie wurde jedoch nicht erreicht.

Das liegt unter anderem daran, dass es in den vergangenen Jahren eine Sammelabschiebung nach Afghanistan und keine Abschiebungen nach Syrien gab. Die beiden Staaten zählen seit langer Zeit zu den Hauptherkunftsländern von Asylbewerbern in Deutschland. Vor allem Straftäter möchte die Bundesregierung dorthin bringen.

Bei einigen Herkunftsländern könnte die Aussicht auf restriktivere Visa-Regeln oder Handelshemmnisse, wie sie der Koalitionsvertrag für Staaten vorsieht, die bei der Rücknahme ihrer Ausreisepflichtigen nicht kooperieren, vielleicht zu mehr Kooperationsbereitschaft führen. Doch ohne ein europäisch abgestimmtes Vorgehen dürfte die Wirkung solcher Drohungen gering sein.

Praktische Hürden für Abschiebungen nach Afghanistan und Syrien

Abschiebungen nach Afghanistan sind besonders schwierig. Ende August 2024 waren mit Hilfe von Katar 28 männliche Straftäter aus Deutschland nach Afghanistan gebracht. Seither gab es trotz entsprechender Bemühungen der Ampel-Regierung keine weitere Abschiebung in das Land, das seit August 2021 wieder von den Taliban regiert wird.

Der CDU-Politiker Frei bleibt dennoch optimistisch. Dem „Bild“ sagt er, der Flug im Spätsommer 2024 habe schließlich gezeigt, dass das funktioniere. „Deswegen sind wir davon überzeugt, dass wir das auch zukünftig, dauerhaft und in wesentlich größeren Bereichen auch hinbekommen.“

Mit Vertretern der Übergangsregierung, die sich in Syrien nach dem Sturz von Langzeitmachthaber Baschar al-Assad etabliert hat, gab es zwar schon einige Begegnungen, die Abschiebungen in das arabische Land wieder in den Bereich des Möglichen gerückt haben. Doch noch ist die Lage dort so instabil, dass die geschäftsführende Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) Ende März einen geplanten Kurzbesuch in Damaskus absagen musste.

Pro Asyl: Rückschrittskoalition gegen Menschenrechte

Die Menschenrechtsorganisation Pro Asyl ist alarmiert über die Pläne der künftigen Bundesregierung. Union und SPD hätten massive Verschärfungen für Schutzsuchende festgeschrieben, statt sich an Humanität und geltendem Recht zu orientieren. „In den Koalitionsergebnissen wird eine gefährliche Abkehr von menschenrechtlichen Errungenschaften deutlich – es droht eine Rückschrittskoalition gegen Menschenrechte und Humanität“, warnt Pro-Asyl-Geschäftsführer Karl Kopp.

Das zeige sich insbesondere an den geplanten Zurückweisungen von Schutzsuchenden an deutschen Grenzen. Dies sei weiterhin europa- und verfassungswidrig. Fatal sei, dass Union und SPD sich auf die Streichung des sogenannten Verbindungselements für „sichere Drittstaaten“ geeinigt haben. „Hier geht es darum, Deals mit Ländern à la Modell Ruanda zu schließen. Damit soll dann ein Flüchtling in einen Drittstaat außerhalb der EU geschickt werden können, obwohl er dort nie zuvor war“, so die Kritik. „Damit schließt sich Deutschland den europäischen Hardlinern an ”, sagte Kopp.

Massive Verschärfungen beklagt Pro Asyl unter anderem auch im Asylverfahren durch die Beweislastumkehr zu Lasten der Schutzsuchenden sowie die geplante Aussetzung des Familiennachzugs für subsidiär Schutzberechtigte oder die Beendigung humanitärer Aufnahmeprogramme. „Der Koalitionsvertrag kappt zentrale lebensrettende Maßnahmen. Wer reguläre Wege versperrt, zwingt Menschen auf lebensgefährliche Fluchtrouten“, kritisiert Kopp. (dpa/mig 14)

 

 

 

 

EuGH-Generalanwalt zweifelt an Italiens „Albanien-Modell“

 

Der EuGH prüft, ob Italiens Asyl-Regelung zu sicheren Herkunftsländern rechtens ist. Ein Gutachten zu dem sogenannten Albanien-Modell sieht die Kompetenz bei der Regierung – aber unter Bedingungen. Droht Meloni eine weitere Justiz-Schlappe?

Im Rechtsstreit um Italiens umstrittenes Asyl-Modell wirft ein Gutachten des Generalanwalts des Europäischen Gerichtshofs (EuGH) Zweifel auf, ob es in dieser Form bestehen kann. Zwar dürften EU-Mitgliedstaaten für ihre Asyl-Verfahren sichere Herkunftsländer selbst bestimmen, erklärte Generalanwalt Richard de la Tour. Die entsprechende Regelung müsse aber offenlegen, auf welchen Quellen diese basiere, damit Gerichte sie überprüfen könnten.

Als erstes EU-Land wollte Italien gewisse Asyl-Verfahren im sogenannten Albanien-Modell außerhalb der EU ansiedeln. Die Asylanträge von männlichen Geflüchteten, die im Mittelmeer aufgegriffen wurden, sollten in eigens errichteten Lagern in Albanien geprüft werden. Wer Anspruch auf Asyl hat, darf nach Italien einreisen – abgelehnte Bewerber sollen zurückgeführt werden.

Mehrere Schlappen für Rom vor Gericht

Um Rückführungen zu beschleunigen, hat die italienische Regierung auch eine Liste sicherer Drittstaaten erstellt. Ob sie dazu befugt ist und ob die Liste in dieser Form rechtens ist, ist Kern des Verfahrens am EuGH. Ein Gericht in Rom hatte den EuGH angerufen, weil das italienische Gesetz aus seiner Sicht nicht die Quellen erläutert, auf denen die Einstufung in sichere Länder fußt.

Eigentlich sollen in den beiden Lagern in Albanien italienische Beamte im Schnellverfahren über die Asylanträge von Mittelmeer-Flüchtlingen entscheiden. Die italienische Justiz blockierte die Pläne jedoch mehrfach. Zuletzt standen die Lager – ein Prestigeprojekt der Regierung – leer. An diesem Freitag sollen jedoch 40 Asylbewerber, deren Anträge auf italienischem Boden abgelehnt wurden, dorthin gebracht werden. Eigentlich wären dazu aber keine zusätzlichen Lager im Ausland erforderlich.

Andere EU-Länder könnten folgen

Das Gutachten des Generalanwalts ist für die Richterinnen und Richter nicht bindend, im Ergebnis folgen sie ihm aber häufig. Ein Urteil wird im Mai oder Juni erwartet. Einen Termin dafür gibt es noch nicht.

Das Urteil des EuGH wird nicht nur in Rom mit Spannung erwartet: Sollte das Modell grünes Licht bekommen, könnte es in Europa Schule machen. Bundesinnenministerin Nancy Faeser (SPD) hatte das Modell als „interessant“ bezeichnet. Auch die EU hatte zuletzt Pläne für Zentren in Staaten außerhalb der EU veröffentlicht. Anders als das ursprüngliche „Albanien-Modell“ geht es dabei allerdings nur um Rückführungszentren für abgelehnte Asylbewerber. Meloni hatte vor kurzem angekündigt, die Lager in Albanien ebenfalls für Rückführungen nutzen zu wollen. (dpa/mig 11)

 

 

 

 

Das steht im Koalitionsvertrag zur Migrationspolitik

 

Sechseinhalb Wochen nach der Bundestagswahl steht der Koalitionsvertrag zwischen CDU, CSU und SPD. Auf 144 Seiten treffen die drei Parteien zahlreiche Festlegungen zur Migrationspolitik. Das sind die wichtigsten Änderungen – und die Kritik dazu.

Die Koalition aus CDU, SPD und CSU will nach eigener Formulierung „Migration ordnen und steuern und irreguläre Migration wirksam zurückdrängen“. Besondere Betonung legt sie auf das Wort „Begrenzung“, das als Ziel wieder ausdrücklich ins Aufenthaltsgesetz geschrieben werden soll. Angekündigt wird ein „anderer, konsequenterer Kurs“, wobei gleichzeitig auch dieser Satz festgeschrieben wurde: „Das Grundrecht auf Asyl bleibt unangetastet.“ Bekämpfung von „Fluchtursachen“ wird im Koalitionsvertrag eher neben erwähnt – und sehr vage. Das wurde konkret vereinbart:

Zurückweisungen von Asylbewerbern an der Grenze

Es ist seit Jahren ein Streitfall, nun will es die schwarz-rote Koalition machen: Auch Asylsuchende sollen künftig an den deutschen Grenzen zurückgewiesen werden. Bislang wird das nur für Menschen praktiziert, die kein gültiges Visum oder eine entsprechende Aufenthaltserlaubnis haben, nicht für Schutzsuchende. Die Zurückweisungen sollen „in Abstimmung mit den europäischen Nachbarn“ erfolgen. Man sei bereits „in engem Dialog“, sagte CDU-Chef Friedrich Merz bei der Vorstellung des Koalitionsvertrags. Rechtlich sind die Zurückweisungen Schutzsuchender umstritten, weil etwa nach dem Europarecht jeder Mitgliedstaat verpflichtet ist, ein Asylbegehren zumindest auf die Frage hin zu prüfen, welches Land zuständig ist.

Stopp von Aufnahmeprogramme

Humanitäre Aufnahmeprogramme wie etwa das für Ortskräfte und Menschenrechtler in Afghanistan eingerichtete Kontingent sollen „soweit wie möglich“ beendet werden. Neue Programme, mit denen besonders Schutzbedürftige direkt ausgeflogen werden, wollen Union und SPD laut Koalitionsvertrag nicht auflegen. Zum UN-Resettlement-Programm, über das besonders schutzbedürftige Flüchtlinge aus Camps in sichere Länder gebracht werden, findet sich nichts. Deutschland beteiligt sich seit vielen Jahren daran.

Familiennachzug aussetzen

Der Familiennachzug zu Menschen mit subsidiärem Schutzstatus soll für zwei Jahre ausgesetzt werden. Seit 2018 können enge Angehörige dieser Flüchtlingsgruppe über ein Kontingent aufgenommen werden, das 1.000 Plätze pro Monat umfasst. Zuletzt kamen nach Angaben des Auswärtigen Amts mehrheitlich Minderjährige darüber nach Deutschland. Subsidiären Schutz erhalten Menschen, die nicht direkt individuell verfolgt werden, in der Heimat aber etwa wegen eines Konflikts an Leib und Leben bedroht sind. In Deutschland geht es dabei vor allem um Syrerinnen und Syrer.

Abschiebungen

Schwarz-rot will auch die Zahl der Abschiebungen weiter steigern. Ein Ansatz ist dabei, Herkunftsländer zur Rücknahme ihrer Staatsangehörigen zu bewegen. Dabei sollen laut Koalitionsvertrag künftig auch Politikfelder wie Visa-Vergabe, Entwicklungszusammenarbeit sowie Wirtschafts- und Handelsbeziehungen herhalten. Zudem soll der erst in der vergangenen Wahlperiode eingeführte, verpflichtend beigestellte Rechtsbeistand vor einer Abschiebung wieder abgeschafft werden.

Kein Bürgergeld mehr für Ukraine-Flüchtlinge

Eine zentrale Erleichterung für Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine soll wieder rückgängig gemacht werden. Es werde für sie künftig kein Bürgergeld mehr geben. Flüchtlinge aus der Ukraine durchlaufen auf Grundlage einer Vereinbarung in der EU kein formelles Asylverfahren. Das sollte aufgrund der Fluchtbewegung nach dem russischen Angriff auf das Land von Bürokratie entlasten. Dadurch erhalten sie anders als andere Asylbewerber auch sofort die normale Grundsicherung und nicht die niedrigeren Asylbewerberleistungen. Für Flüchtlinge aus der Ukraine, die seit diesem April nach Deutschland gekommen sind, soll sich das den Plänen der Parteien zufolge nun ändern. Die reduzierten Asylbewerberleistungen dürfen allerdings nur für eine begrenzte Zeit gezahlt werden. Spätestens anerkannte Flüchtlinge erhalten die normale Grundsicherung, beispielsweise aber auch Asylbewerber in besonders langen Asylverfahren.

Westbalkanregelung – Begrenzung von Arbeitsmigration

Die Zahl der Arbeitskräfte, die über die sogenannte Westbalkanregelung nach Deutschland kommen, soll stärker begrenzt werden. Die maximale Zahl von Einreiseerlaubnissen über dieses Programm soll auf 25.000 Menschen pro Jahr reduziert werden. Die Ampel-Koalition hatte das jährliche Kontingent auf 50.000 verdoppelt. Wer aus Albanien, Bosnien-Herzegowina, Kosovo, Montenegro, Nordmazedonien oder Serbien stammt und über die Westbalkanregelung nach Deutschland kommen will, muss vorab einen Arbeitsvertrag vorweisen. Von der Regelung können auch ungelernte Arbeitskräfte profitieren. Die Erlaubnis für eine Arbeitsaufnahme in Deutschland muss im Herkunftsland beantragt werden. Die Regelung war eingeführt worden, um Menschen aus diesen Staaten davon abzuhalten, hierzulande grundlos Asyl zu beantragen. Zum Stichtag 30. November 2024 lebten mit einer Aufenthaltserlaubnis zur Ausübung einer Beschäftigung insgesamt rund 79.500 Menschen in Deutschland, die bei ihrer Einreise von der Westbalkanregelung profitiert hatten.

Aus für Einbürgerung nach drei Jahren

Nicht durchsetzen konnten sich CDU/CSU mit ihrer Forderung nach Rückgängigmachung der von den Ampel-Parteien verabschiedeten Reform des Staatsangehörigkeitsrechts. Hier soll laut Koalitionsvertrag alles so bleiben, wie es ist. Einzige Ausnahme: Die Einbürgerung schon nach drei Jahren für Menschen, die besondere Integrationsleistungen nachweisen können – wie etwa ehrenamtliches Engagement oder hervorragende Sprachkenntnisse – soll wieder gestrichen werden.

Entwicklungsministerium soll bleiben

Positives zu vermelden gab es – zumindest mittelbar – in puncto Fluchtursachenbekämpfung. Auch unter der neuen Bundesregierung soll ein eigenständiges Entwicklungsministerium erhalten bleiben – allerdings oll es eine „bessere Zusammenarbeit“ von Auswärtigem Amt, Entwicklungs- und Verteidigungsministerium geben. Zugleich kündigten die Koalitionäre eine „angemessene Absenkung“ der öffentlichen Entwicklungshilfe an. Dennoch zeigten sich Nichtregierungsorganisationen erleichtert über das Fortbestehen des Ministeriums. Das sei ein bedeutendes Signal für Entwicklung, Frieden, Konfliktprävention und für den Einsatz zur Linderung von Hunger und Armut.

Union und SPD wollen deutsches Lieferkettengesetz streichen

Dafür soll allerdings das deutsche Liefergesetz gestrichen werden – zur Entlastung der Wirtschaft. Es soll ersetzt werden durch ein Gesetz über die internationale Unternehmensverantwortung. Die Berichtspflicht nach dem deutschen Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz soll unmittelbar abgeschafft werden und entfällt komplett. Das seit Anfang 2023 geltende Lieferkettengesetz soll sicherstellen, dass bei Produkten, die im Ausland für den deutschen Markt hergestellt werden, Menschenrechte, Arbeits- und Umweltstandards eingehalten werden. Vor wenigen Monaten war ein europäisches Lieferkettengesetz beschlossen worden, das von den EU-Staaten binnen zwei Jahren umgesetzt werden muss. Die europäische Regelung wird allerdings voraussichtlich ein Jahr später in Kraft treten, nachdem das Europaparlament vor Kurzem den Weg freigemacht hat für eine Verschiebung.

NSU-Dokumentationszentrum kommt nach Nürnberg

Der selbsternannte „Nationalsozialistische Untergrund“ (NSU) wird im Koalitionsvertrag an einer Stelle erwähnt. „Wir schaffen ein NSU-Dokumentationszentrum in Nürnberg“, heißt es dazu. Der „Nationalsozialistische Untergrund“ (NSU) ermordete zwischen 2000 und 2007 zehn Menschen. Neun der Opfer hatten einen Migrationshintergrund. Erst nach dem Auffliegen der Terrorzelle im Jahr 2011 erkannten die Ermittler die rassistischen und rechtsextremistischen Motive. In Nürnberg erschossen die NSU-Täter am 9. September 2020 Enverimkek, am 13. Juni 2001 Abdurrahim Özüdoru und Ismail Yagar am 9. Juni 2005. Einen Bombenanschlag in seinem Nürnberger Lokal überlebte Mehmet O. am 23. Juni 1999 schwer verletzt.

Reaktionen zum Koalitionsvertrag

Mit Erleichterung und einer Mahnung hat die Türkische Gemeinde in Deutschland (TGD) auf den Koalitionsvertrag reagiert. Mindestens einen Schönheitsfehler habe der Vertrag: „Unter 19 Spitzenpolitikern, die den Vertrag verhandelt haben, war nur leider kein einziger, der aus persönlicher Erfahrung wüsste, worauf es ankommt bei der Einwanderungsfreundlichkeit“, erklärte der TGD-Bundesvorsitzende, Gökay Sofuoglu. Er rief die Koalitionäre nun auf, zumindest bei der Besetzung der Kabinettsposten dafür zu sorgen, dass dort auch Menschen mit Migrationshintergrund einen Platz finden.

Der Verbandsvorsitzende bedauert, dass Menschen mit Migrationsgeschichte im Koalitionsvertrag lediglich da erwähnt werden, wo es um die Gewinnung von Soldaten geht, nicht aber bei der Förderung von Führungskräften. Von Muslimen sei gar nicht die Rede, kritisiert er. Der Islam komme ausschließlich im negativen Kontext vor.

Einseitige Darstellung von Muslimen

So sieht es auch der Zentral der Muslime in Deutschland (ZMD). Ein zentraler Teil der Gesellschaft bleibe im Koalitionsvertrag unerwähnt: Musliminnen und Muslime. Besonders gravierend sei das vollständige Fehlen einer expliziten Benennung von antimuslimischem Rassismus. Muslimisches Leben werde im Vertrag nicht einmal erwähnt. Stattdessen tauche der Begriff „Islam“ ausschließlich im Zusammenhang mit Islamismusbekämpfung und Sicherheitsbedrohung auf. „Diese einseitige Darstellung transportiert ein verzerrtes Bild – und setzt ein falsches politisches Signal“, heißt es in einer Erklärung des ZMD.

Die TGD-Co-Vorsitzende, Aslihan Yesilkaya-Yurtbay, sagte, es sei gut, dass ein klares Bekenntnis zum bedingungslosen Schutz von Jüdinnen und Juden in Deutschland in den Koalitionsvertrag aufgenommen worden sei. „Angesichts der explodierenden Zahlen im Bereich der rassistischen Übergriffe hätte ich mir gewünscht, dass auch Schwarze Menschen, Muslime und Sinti und Roma eine vergleichbare Berücksichtigung im Text erfahren“. Was ihr noch mehr fehle, sei „ein überzeugendes sicherheitspolitisches Konzept gegen Rechtsextremismus, das uns allen das Gefühl vermittelt, wir können in Deutschland eine sichere Zukunft planen“. (epd/dpa/mig 11)

 

 

 

 

 

Lagerbildung im Klassenzimmer schadet Integration

 

München – Stehen sich in Schulklassen zwei gleich große Gruppen von Schüler*innen mit und ohne Migrationshintergrund gegenüber, leidet der soziale Zusammenhalt. Das zeigt ein groß angelegtes Feldexperiment an deutschen Schulen, dessen Ergebnisse nun im ifo Schnelldienst veröffentlicht wurden. „Ob kulturelle Vielfalt in Schulklassen den sozialen Zusammenhalt stärkt, hängt entscheidend von der Form der Diversität ab“, sagt ifo-Forscher Helmut Rainer. 

 

Die Studie untersucht, wie die Zusammensetzung der Klasse die Bereitschaft zur Kooperation zwischen Schüler*innen mit und ohne Migrationshintergrund beeinflusst. Das Ergebnis: Vertrauen und Kooperationsbereitschaft sind besonders hoch, wenn es in einer Klasse viele kleinere Herkunftsgruppen gibt, oder wenn die klare Mehrheit keinen Migrationshintergrund hat. „Für den sozialen Zusammenhalt ist entscheidend, dass in Klassenzimmern keine zwei kulturellen Fronten entstehen“, sagt Rainer. 

 

Die Studienautor*innen empfehlen, in kulturell polarisierten Schulklassen gezielte Maßnahmen zu ergreifen, um Vertrauen und Kooperation zu stärken. „Eine Möglichkeit wäre es, Lehrpläne stärker auf Inklusion auszurichten und interkulturelle Kompetenzen stärker zu fördern“, sagt Rainer. „Auch organisatorische Maßnahmen wie eine zufällige Sitzplatzvergabe könnten helfen, Gruppenstrukturen innerhalb der Klasse aufzubrechen und interkulturelle Freundschaften zu erleichtern.“

 

Die Ergebnisse beruhen auf einem Experiment mit 4.214 Schüler*innen der 9. und 10. Jahrgangsstufe in insgesamt 222 Klassen. Dabei investierten die Jugendlichen reale Geldbeträge in anonyme Jugendliche entweder aus der eigenen oder einer anderen Herkunftsgruppe – ein bewährter Test zur Messung von Vertrauen und Kooperation.

 

 

Aufsatz: „Migration, Diversität und sozialer Zusammenhalt: Welche Rolle spielen Schulen“, von Dan Anderberg, Gordon B. Dahl, Christina Felfe, Helmut Rainer und Thomas Siedler, in: ifo Schnelldienst 4/2025:

https://www.ifo.de/publikationen/2025/aufsatz-zeitschrift/gesellschaftliche-vielfalt  Ifo 11

 

 

 

 

 

 

Interviews . „Wir werden nicht tatenlos zusehen“

 

Der Vorsitzende des Handelsausschusses im EU-Parlament Bernd Lange über Trumps Zölle, Europas Antwort und eine neue Ära der Weltwirtschaft. Die Fragen stellte Philipp Kauppert.

Herr Lange, viele Beobachter haben in den vergangenen Tagen vom Beginn eines „Handelskriegs“ gesprochen. Was möchte US-Präsident Trump mit seinen drastischen Zöllen erreichen?

Wir haben es hier nicht mit einem normalen handelspolitischen Streit zu tun, sondern mit einer geopolitisch motivierten Offensive. Donald Trump nutzt Zölle nicht als temporäres Instrument zur Marktregulierung, sondern als machtpolitisches Mittel. Sein Ziel ist es, die wirtschaftliche Wettbewerbsfähigkeit Europas systematisch zu untergraben – im Rahmen seines America First-Kurses. Diese Maßnahmen sind kalkuliert, breit angelegt und hochgradig politisiert.

Wenn der US-Präsident den Tag der Zollankündigung als Liberation Day bezeichnet, ist das eine rhetorische Kriegserklärung. Ich nenne ihn den „Tag der Willkür“, weil hier wirtschaftliche Einschüchterung betrieben wird – nicht im Rahmen eines fairen, regelbasierten Systems, sondern im Gutsherrenstil. Europa muss das sehr ernst nehmen. Das ändert sich auch nicht durch die Tatsache, dass die Zölle in einer Kehrtwende doch wieder für 90 Tage ausgesetzt wurden.

Was trifft Europa und insbesondere die deutsche Exportindustrie am stärksten? Welche Bereiche müssen nun fürchten, dass Arbeitsplätze verloren gehen?

Das Ausmaß der Zölle ist beispiellos. Derzeit gelten zehn Prozent zusätzliche Zölle auf fast alle europäischen Waren. Und diese könnten in 90 Tagen auf 20 Prozent verdoppelt werden. Gleichzeitig haben wir 25 Prozent Zölle auf Stahl, Aluminium und Derivate sowie sehr hohe Zölle auf Autos und Autoteile. Präsident Trump hat außerdem angekündigt, dass weitere Zölle auf Halbleiter und pharmazeutische Produkte kommen könnten. Wie Sie sehen können, betreffen diese Zölle alle Schlüsselsektoren der europäischen Wirtschaft. Für Deutschland, dessen Wohlstand auf internationaler Wettbewerbsfähigkeit beruht, ist dies ein direkter Angriff auf sein industrielles Rückgrat.

Die Folgen sind nicht abstrakt. Wenn zum Beispiel europäische E-Autos mit einem 25-prozentigen Zoll belegt werden, verliert ein mittelständischer Zulieferer aus dem Sauerland seinen US-Kunden. Wenn Chemierohstoffe aus Europa nicht mehr wettbewerbsfähig sind, geraten ganze Wertschöpfungsketten ins Wanken. Das bedeutet im Zweifelsfall Produktionsverlagerungen, Investitionsstopps – und ja, auch Arbeitsplatzverluste. Besonders perfide ist, dass sich die US-Maßnahmen nicht nur gegen Großkonzerne richten, sondern auch mittelständische Unternehmen betreffen, die keine Diversifizierungsmöglichkeiten haben. Umso wichtiger ist es, dass wir als Europäische Union weiterhin geschlossen reagieren und verlässlichen Schutz bieten.

Wie wird die Antwort der Europäischen Union aussehen? Welche Gegenmaßnahmen der EU-Kommission sind nun aktuell in der Vorbereitung?

Die Europäische Union ist vorbereitet – und das nicht erst seit gestern. Die EU-Kommission hat in den letzten Jahren umfangreiche Kriseninstrumente entwickelt, wie zum Beispiel das Anti-Coercion Instrument, das es ermöglicht, gezielt auf wirtschaftliche Nötigung durch Drittstaaten zu reagieren. Dieses Instrument ist nun einsatzbereit.

Gleichzeitig führt die EU-Handelsdirektion detaillierte Analysen der Auswirkungen auf einzelne Sektoren durch. Auf dieser Grundlage können wir ganz gezielt Gegenmaßnahmen ergreifen – etwa Strafzölle auf US-Produkte mit starker politischer oder wirtschaftlicher Relevanz. Dabei geht es nicht um Vergeltung um der Vergeltung willen, sondern um Verhältnismäßigkeit und Wirksamkeit. Wir wollen keine unnötige Eskalation, aber wir dürfen auch keine Schwäche zeigen. Ich denke auch, dass wir im aktuellen Kontext mit Nachdruck die Debatte über eine offene strategische Autonomie führen müssen. Es reicht nicht aus, kurzfristig gegen Zölle vorzugehen. Wir müssen strukturelle Maßnahmen ergreifen, um sicherzustellen, dass wir in kritischen Bereichen – Energie, Rohstoffe, Digitalisierung – in Zukunft weniger verwundbar sind.

Welche anderen Handlungsoptionen gibt es auf europäischer Seite? Was bedeutet dies für den Handel mit anderen Regionen, etwa China oder Asien insgesamt?

Die Diversifizierung ist ein zentrales Element unserer Strategie. In den letzten Jahren hat die EU eine neue Generation von Handelsabkommen abgeschlossen: mit Kanada (CETA), Japan (JEFTA), Vietnam, Neuseeland und hoffentlich bald auch mit dem Mercosur. Diese Abkommen helfen uns, Absatzmärkte zu sichern, strategische Partnerschaften zu stärken und unsere Abhängigkeit von den USA zu verringern.

Gleichzeitig wächst in Europa das Bewusstsein, dass die Handelsbeziehungen nicht naiv geführt werden dürfen. China ist ein wichtiger Wirtschaftspartner, aber auch ein systemischer Konkurrent. Hier muss klar zwischen Kooperation und Abgrenzung unterschieden werden. Wir müssen in der Lage sein, die Interessen der europäischen Unternehmen noch besser zu schützen – gerade auf Märkten, auf denen es keine gleichen Wettbewerbsbedingungen gibt. Ein weiterer wichtiger Bereich ist die internationale Koalitionsbildung. Die USA isolieren sich mit ihrer Zollpolitik. Europa hingegen kann mit Ländern im Globalen Süden, mit ASEAN-Staaten oder lateinamerikanischen Demokratien, gemeinsame Standards und nachhaltige Wirtschaftsbeziehungen entwickeln. Das ist ein geopolitischer Vorteil, den wir nutzen müssen.

Und wie sind unsere Aussichten mittelfristig? Sind wir stark von den USA abhängig, oder könnten wir aus dieser Krise sogar gestärkt hervorgehen?

Krisen sind immer ein Weckruf. Die transatlantische Partnerschaft ist wichtig, sie hat historische Tiefe und strategische Bedeutung – aber sie darf nie eine Einbahnstraße sein. Wenn die USA einseitig agieren, muss Europa auf Augenhöhe reagieren. Die gute Nachricht ist, dass wir in den letzten Jahren bereits viele Schritte unternommen haben, um unsere Widerstandsfähigkeit zu stärken – im Energiesektor, bei der Digitalisierung, bei den Lieferketten. Diesen Weg müssen wir nun konsequent weiterverfolgen.

Mittelfristig liegt unsere Chance darin, zu zeigen, dass Europa nicht nur regulieren, sondern auch gestalten kann. Eine kohärente Industriepolitik, gepaart mit einer wertebasierten Handelspolitik, kann Europa global positionieren – nicht als Juniorpartner, sondern als eigenständiger Akteur. Darüber hinaus werden europäische Werte – Demokratie, Rechtsstaatlichkeit, Nachhaltigkeit – zunehmend zu einem Standortvorteil. Unternehmen in aller Welt suchen nach verlässlichen Partnern. Wenn es uns gelingt, Transparenz, Sicherheit und Innovationskraft zu verbinden, dann kann Europa sogar gestärkt aus dieser Debatte hervorgehen.

Abschließend: Wird es zu einem vollständigen Bruch im transatlantischen Verhältnis kommen?

Ich hoffe nicht. Wir dürfen aber auch nicht die Augen davor verschließen, dass wir in eine neue Ära der Weltwirtschaft eintreten. Die Verlässlichkeit der traditionellen Partner bröckelt, geopolitische Machtverschiebungen sind eine Realität. Wir müssen uns darauf einstellen, dass die Interessenkonflikte zunehmen – nicht nur mit den USA, sondern auch mit China, Indien und anderen aufstrebenden Akteuren.

Dennoch teilen die Gesellschaften in den USA und in Europa immer noch viele grundlegende Werte. Es liegt an uns, diese Basis zu bewahren. Dies kann nur durch Dialog, aber auch durch Standhaftigkeit geschehen. Wir sind gesprächsbereit, aber wir werden uns nicht einschüchtern lassen. Die Europäische Union ist heute wirtschaftlich, politisch und institutionell so stark wie nie zuvor. Jetzt kommt es darauf an, diese Stärke zu zeigen – umsichtig, aber entschlossen. IPG 11

 

 

 

 

 

Vatikan bei UN-Sitzung zu Entwicklung: Gesundheit und Sicherheit für alle

 

Erzbischof Gabriele Giordano Caccia, Ständiger Beobachter des Heiligen Stuhls bei den Vereinten Nationen (UN) , hat für einen ganzheitlichen Ansatz zur Sicherstellung eines gesunden Lebens und der Förderung des Wohlbefindens aller Menschen plädiert. Der Vatikan-Diplomat äußerte sich anlässlich der 58. Generaldebatte der UN-Kommission für Bevölkerung un Entwicklung am 8/9. April in New York.

Die Tagung war dem Thema „Sicherstellung eines gesunden Lebens und Förderung des Wohlergehens aller Menschen in jedem Alter“ gewidmet. Erzbischof Caccia fphrte, laut vom Vatikan verbreiteten Redemanuskript, in seinem Vortrag aus, dass die Sicherstellung eines gesunden Lebens und die Förderung des Wohlbefindens „nicht nur auf die Lösung technischer Probleme" reduziert werden dürften. Vielmehr brauche es einen ganzheitlichen Ansatz, „der die Verflechtung aller Aspekte der menschlichen Entwicklung anerkennt. Dieser Ansatz muss den Vorrang der menschlichen Person und ihrer gottgegebenen Würde in jeder Lebensphase anerkennen. Indem man sich auf die ganzheitliche Entwicklung der menschlichen Person konzentriert, können die Voraussetzungen dafür geschaffen werden, dass Einzelne und Gemeinschaften in allen Aspekten des Lebens aufblühen können."

„Vorrang der menschlichen Person und ihrer gottgegebenen Würde in jeder Lebensphase anerkennen“

Auch wenn es „erhebliche Fortschritte" bei der Verbesserung der Gesundheit und des Wohlergehens der Bevölkerung in den letzten Jahrzehnten gebe, bereite dem Heiligen Stuhl „ernste Sorge", dass es nach wie vor gesundheitliche Herausforderungengebe - : „insbesondere für die am stärksten gefährdeten Bevölkerungsgruppen. Die Kindersterblichkeit ist in vielen Regionen nach wie vor unannehmbar hoch, wobei jedes Jahr Millionen von Kindern unter fünf Jahren an vermeidbaren Ursachen wie Unterernährung und Infektionskrankheiten sterben. Auch die Müttersterblichkeit ist nach wie vor zu hoch, wobei die Fortschritte seit 2015 stagnieren", führte Erzbischof Caccia aus.

Familie ins Zentrum stellen 

Besonders betonte der Vatikanvertreter auch die Bedeutung der Familie, „als natürliche und grundlegende Einheit der Gesellschaft". Sie spiele eine „unverzichtbare Rolle bei der Gewährleistung eines gesunden Lebens und der Förderung des Wohlbefindens". Daher müsse die Familie auch im Zentrum der Bemühungen stehen, forderte der Diplomat.

„Der Heilige Stuhl ruft dazu auf, politischen Maßnahmen, die die Familien stärken und unterstützen, Vorrang einzuräumen“

„Der Heilige Stuhl ruft dazu auf, politischen Maßnahmen, die die Familien stärken und unterstützen, Vorrang einzuräumen, da er anerkennt, dass die Familien der Eckpfeiler einer gesunden und blühenden Gesellschaft sind. Eine Politik, die die Stabilität, die Einheit und die Rechte der Familie aufrechterhält, schafft die Voraussetzungen für das Wohlergehen aller ihrer Mitglieder und fördert das Gemeinwohl. Um ein gesundes Leben zu gewährleisten und das Wohlergehen zu fördern, ist es daher erforderlich, die Familie in den Mittelpunkt all dieser Bemühungen zu stellen. "

Ungleichheit beenden

Der Heilige Stuhl sei auch angesichts weiterhin bestehender großer Ungleichheiten in Sorge, so Caccia. Zwischen Entwicklungsländern und Industrienationen gebes es große Unterschiede und Ungerechtigkeiten:  „Der Zugang zur Gesundheitsversorgung ist nach wie vor ungleich, und Millionen von Menschen in Ländern mit niedrigem Einkommen können sich nicht einmal die grundlegendste medizinische Versorgung leisten oder erhalten", führte der Erzbischof aus. 

„Nicht nur eine wirtschaftliche Ungerechtigkeit, sondern auch ein moralischer Skandal, der dringend Maßnahmen erfordert“

„Diese Ungleichheit wird durch die erdrückende Schuldenlast der Entwicklungsländer noch verschärft. Es ist alarmierend, dass viele Entwicklungsländer mehr Geld für den Schuldendienst ausgeben als für wichtige Investitionen in Armutsbekämpfung, Gesundheitsversorgung, Ernährung, sauberes Wasser und andere Grundbedürfnisse, die für die Gesundheit und das Wohlergehen ihrer Bevölkerung notwendig sind. Dies ist nicht nur eine wirtschaftliche Ungerechtigkeit, sondern auch ein moralischer Skandal, der dringend Maßnahmen erfordert." 

Erinnerung an Schuldenerlass-Aufruf zum Heiligen Jahr

Erzbischof Caccia nutze seinen Beitrag in New York auch, um noch einmal alle daran zu erinnern, dass Papst Franziskus anlässlich des Heiligen Jahrs, das die katholische Kirche im Jahr 2025 begeht, reiche Nationen zu Schuldenerlassen für Entwicklungsländer aufgerufen hat. „Ein sinnvoller Schuldenerlass würde den Entwicklungsländern den finanziellen Spielraum verschaffen, um wichtige Investitionen auch im Gesundheitsbereich zu tätigen. Ein solcher Akt der Solidarität würde dazu beitragen, ein gesundes Leben und Wohlbefinden für alle Menschen in jedem Alter zu gewährleisten", schlug der VAtikan-Diplomat einen bogen zum Thema der UN-Sitzung. Caccia erinnerte zudem an die angeborene Würde eines jeden Menschen, die den Schutz des menschlichen Lebens von Beginn bis zum natürlichen Tode erfordere.  (vn 10)

 

 

 

 

 

Koalitionäre einig. Aus für Turbo-Einbürgerung, Aus für Familiennachzug, Aus für Bürgergeld

 

Die Union hat die Reform des Staatsangehörigkeitsrechts scharf kritisiert. Jetzt wird die Neuregelung in einem Punkt zurückgenommen. Änderungen gibt es auch beim Familiennachzug zu Geflüchteten. Und für Ukrainer soll es künftig kein Bürgergeld mehr geben.

Die von der Ampel-Regierung eingeführte beschleunigte Einbürgerung besonders gut integrierter Zuwanderer soll wieder abgeschafft werden. Darauf haben sich CDU, CSU und SPD bei ihren Koalitionsverhandlungen geeinigt. Die von SPD, Grünen und FDP verabschiedete Reform des Staatsangehörigkeitsrechts ermöglicht es Menschen, die besondere Integrationsleistungen erbracht haben, seit dem 27. Juni 2024, nach drei Jahren einen Antrag auf Einbürgerung zu stellen.

Voraussetzungen für die schnellere Einbürgerung sind gute Leistungen in Schule oder Job, hervorragende Sprachkenntnisse oder ehrenamtliches Engagement. Diese von der Union als „Turbo-Einbürgerung“ geschmähte Möglichkeit soll nun gestrichen werden.

An der Reduzierung der Wartefrist für normale Einbürgerungen von acht auf fünf Jahre und an der Erlaubnis für den Doppelpass, die von der Ampel ebenfalls beschlossen worden war, wollen CDU, CSU und SPD laut Koalitionsvertrag aber festhalten. Zu den grundsätzlichen Voraussetzungen für eine Einbürgerung zählt beispielsweise, dass jemand seinen Lebensunterhalt grundsätzlich selbst bestreiten kann.

Kein deutscher Pass zweiter Klasse

Abstand genommen haben die Verhandler von CDU, CSU und SPD von der bei den Sondierungsgesprächen noch diskutierten Idee, eingebürgerten Menschen, die mehr als eine Staatsangehörigkeit haben, in bestimmten Fällen die deutsche Staatsangehörigkeit wieder zu entziehen.

In dem Papier, das am Ende der Sondierungen veröffentlicht worden war, hieß es noch: „Wir werden verfassungsrechtlich prüfen, ob wir Terrorunterstützern, Antisemiten und Extremisten, die zur Abschaffung der freiheitlich-demokratischen Grundordnung aufrufen, die deutsche Staatsbürgerschaft entziehen können, wenn sie eine weitere Staatsangehörigkeit besitzen.“ Davon ist jetzt nicht mehr die Rede. Migrantenverbände hatten empört auf den Vorschlag reagiert und kritisiert, dies würde auf eine Art deutscher Staatsbürgerschaft auf Probe hinauslaufen.

Im Koalitionsvertrag heißt es nun: „Wir prüfen Änderungsbedarf bei Ausweisung auch bei öffentlicher Aufforderung zur Abschaffung der freiheitlich-demokratischen Grundordnung.“ Dies würde dann nur Ausländer betreffen, nicht deutsche Staatsbürger. Im Hinterkopf hatten einige der Verhandler bei den Diskussionen über diesen Punkt unter anderem Demonstrationen von sogenannten „Islamisten“, bei denen Teilnehmer die vermeintlichen Vorzüge eines Kalifats gepriesen hatten.

Subsidiär Geschützte: Zwei Jahre ohne Familiennachzug

Änderungen soll es den Koalitionären zufolge auch in der Flüchtlingspolitik geben. Geflüchtete mit eingeschränktem Schutzstatus sollen zwei Jahre lang keine Familienangehörigen mehr nach Deutschland holen dürfen. Der Familiennachzug für diesen Personenkreis soll nur noch in Härtefällen erlaubt sein. Aktuell gilt für die Angehörigen von Menschen mit subsidiärem Schutzstatus ein Kontingent von 1.000 Einreiseerlaubnissen pro Monat.

Nach den zwei Jahren soll dann geprüft werden, „ob eine weitere Aussetzung der zuletzt gültigen Kontingentlösung im Rahmen der Migrationslage notwendig und möglich ist“, heißt es in dem Vertragsentwurf. Die Parteien müssen dem Vertrag nun noch zustimmen.

Für alle anderen Asylberechtigten und anerkannten Flüchtlinge gab und gibt es keine Beschränkungen, was den Familiennachzug betrifft. Grundsätzlich beschränkt sich dieser immer auf die sogenannte Kernfamilie. Dazu zählen minderjährige Kinder und Ehepartner. Wer als Minderjähriger unbegleitet nach Deutschland kommt, kann außerdem seine Eltern nachholen.

CDU, CSU und SPD hatten sich bereits in den Sondierungsgesprächen darauf geeinigt, den Familiennachzug zu subsidiär Schutzberechtigten befristet auszusetzen. Wie lange dies gelten soll, stand damals jedoch noch nicht fest. Zu den Menschen mit eingeschränktem Schutzstatus zählen viele Syrerinnen und Syrer.

Merz: Es wird Zurückweisungen geben

Man werde einen „neuen Kurs“ in der Migrationspolitik einschlagen, sagte CDU-Chef Friedrich Merz bei der Vorstellung des Koalitionsvertrags am Mittwoch in Berlin. Es werde Kontrollen an den Staatsgrenzen und Zurückweisungen auch gegenüber Asylbewerbern geben.

Im Koalitionsvertrag heißt es wie schon im Sondierungspapier, Zurückweisungen sollen „in Abstimmung mit den europäischen Nachbarn“ erfolgen. Die Zurückweisung von Asylbewerbern an den Grenzen war einer der zentralen Streitpunkte in der Migrationspolitik der vergangenen Jahre. Rechtlich sind sie umstritten, weil nach dem Europarecht jeder Mitgliedstaat verpflichtet ist, ein Asylbegehren zumindest auf die Frage hin zu prüfen, welches Land zuständig ist.

Der Koalitionsvertrag hält auch fest, dass die Begrenzung sogenannter irregulärer Migration wieder als Ziel im Aufenthaltsgesetz festgeschrieben werden soll.

Kein Bürgergeld für neue Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine

Neuerungen gibt es auch für Kriegsflüchtlinge aus der Ukraine. Sie sollen kein Bürgergeld mehr bekommen, sondern die geringeren Leistungen für Asylbewerber. Darauf haben sich CDU, CSU und SPD verständigt. In ihrem Koalitionsvertrag heißt es wörtlich: „Flüchtlinge mit Aufenthaltsrecht nach der Massenzustrom-Richtlinie, die nach dem 01.04.2025 eingereist sind, sollen wieder Leistungen nach dem Asylbewerberleistungsgesetz erhalten, sofern sie bedürftig sind.“

Die Bedürftigkeit müsse zudem durch konsequente und bundesweit einheitliche Vermögensprüfungen nachgewiesen werden. Der Bund werde die durch die geplante Änderung bei den Ländern und Kommunen entstehenden Mehrkosten tragen.

Ukraine-Flüchtlinge müssen kein Asyl beantragen

Seit 2022 gilt für ukrainische Kriegsflüchtlinge EU-weit die sogenannte „Massenzustrom-Richtlinie“. Das bedeutet, dass sie einen Aufenthaltsstatus erhalten, ohne einen Asylantrag stellen zu müssen. Die Flüchtlinge aus der Ukraine haben in Deutschland seit dem 1. Juni 2022, wenn sie nicht selbst für ihren Lebensunterhalt sorgen können, Anspruch auf Bürgergeld. Jetzt soll sich das ändern. Diejenigen, die schon länger in Deutschland sind, betrifft diese geplante Änderung nicht.

Die Geltungsdauer der EU-Richtlinie für die Ukraine-Flüchtlinge war bis März 2026 verlängert worden. Aktuell leben rund 1,25 Millionen Geflüchtete aus der Ukraine in Deutschland. Mehr als 60 Prozent der Menschen aus der Ukraine, die hierzulande Zuflucht gesucht haben, sind Frauen und Mädchen. Die Zahl der Menschen, die im Kontext des Krieges aus der Ukraine nach Deutschland geflüchtet sind, hatte zuletzt wieder leicht zugenommen.

Linke: Koalitionsvertrag Dokument der Entsolidarisierung

Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag, sieht den Koalitionsvertrag als „Dokument der Entsolidarisierung und ein Armutszeugnis für alle, die ihn unterschrieben haben“. Er trage die Handschrift der AfD und einer fortschreitenden autoritären Wende, wie sie auch in Ungarn und den USA zu beobachten sei.

„Wer Schutzsuchende an den Grenzen zurückweisen, den Familiennachzug aussetzen und Abschiebungen nach Afghanistan ermöglichen will, stellt sich offen gegen den Rechtsstaat und die Menschenrechte,“ erklärt Bünger. Man erkenne, dass sich in wie vielen Punkten die Union durchsetzen konnte. (dpa/epd/mig 10)

 

 

 

 

 

Vatikan/UNO: Logik der Abschreckung durchbrechen

 

Erzbischof Gabriele Caccia, Ständiger Beobachter des Heiligen Stuhls bei den Vereinten Nationen, hat bei der UN-Abrüstungskommission am 8. April eindringlich vor der Eskalation weltweiter Rüstungsdynamiken gewarnt. In seiner Rede betonte er die Notwendigkeit, die Spirale von Misstrauen, Aufrüstung und nuklearer Abschreckung zu durchbrechen – und plädierte für einen weltweiten Konsens zur Entwaffnung. Mario Galgano – Vatikanstadt

„Die Förderung von Atomwaffen bietet nur die Illusion von Frieden“, erklärte Erzbischof Gabriele Caccia in seiner Ansprache vor der UN-Abrüstungskommission in New York. Der Vertreter des Heiligen Stuhls zeigte sich angesichts global wachsender Spannungen und zunehmender militärischer Lösungen alarmiert: „Furcht ist zur Triebfeder zahlreicher Verteidigungspolitiken geworden.“

Mit einem Zitat aus der Enzyklika Pacem in Terris von Papst Johannes XXIII. erinnerte Caccia daran, dass Aufrüstung auch in der heutigen Zeit einen gefährlichen Wettlauf in Gang setzt: Wenn ein Land seine militärische Stärke erhöhe, folgten andere aus Angst oder Konkurrenzdenken – ein Teufelskreis, der langfristigen Frieden verhindere.

Gefahr eines Atomkriegs

Angesichts der erneut drohenden Gefahr eines Atomkriegs rief der Vatikan eindringlich zur Abrüstung auf. Caccia betonte: „Die humanitären und ökologischen Folgen des Einsatzes von Nuklearwaffen wären katastrophal – für jetzige wie für künftige Generationen.“ Deshalb forderte der Heilige Stuhl die Staaten auf, dem Vertrag über das Verbot von Kernwaffen (TPNW) beizutreten und die bevorstehenden Verhandlungen im Rahmen des Nichtverbreitungsvertrags (NPT) konstruktiv und vertrauensvoll zu führen.

Ein weiterer Schwerpunkt der Rede lag auf neuen Technologien und der zunehmenden Militarisierung von künstlicher Intelligenz. Hier mahnte Caccia, ein internationales rechtliches Rahmenwerk zu schaffen, um „existenziellen Risiken durch den Missbrauch neuer Technologien vorzubeugen“. Die UN-Abrüstungskommission könne durch Prinzipien und Empfehlungen einen Beitrag zu künftigen bindenden Regelungen leisten.

Dialog fördern... auch mit unbequemen Gesprächspartner

Zum Abschluss seiner Rede zitierte Caccia Papst Franziskus mit einem Appell an die Diplomatie: „Die Berufung der Diplomatie ist es, den Dialog mit allen Parteien zu fördern – auch mit jenen, die als unbequeme Gesprächspartner gelten. Nur so lassen sich die Ketten von Hass und Rache sprengen.“

Mit Blick auf eine Welt, in der Egoismus, Stolz und nationale Eigeninteressen oft im Zentrum politischen Handelns stünden, bekräftigte der Vatikan seine feste Überzeugung: „Wahrer Frieden kann nur durch Dialog, Vertrauen und globale Zusammenarbeit entstehen – nicht durch Drohungen oder Waffen.“ (vn 9)

 

 

 

 

 

 

Erzbischof Broglio: „Ein schmerzlicher Schnitt“

 

Zollgebühren, Konflikte und Flüchtlingspolitik: Die Trump-Regierung sorgt derzeit für Schlagzeilen und bei manchen für rote Köpfe. Nach Jahrzehnten der Zusammenarbeit hat die US-Bischofskonferenz beschlossen, ihre staatlichen Kooperationsverträge zur Flüchtlings- und Jugendhilfe nicht zu verlängern. Wie Erzbischof Timothy Broglio erklärte, markiert diese Entscheidung das Ende einer „lebenswichtigen Partnerschaft“ – doch das Engagement der Kirche für Migranten und Schutzsuchende bleibt bestehen. Mario Galgano

Die katholische Bischofskonferenz der Vereinigten Staaten (USCCB) hat ihre Entscheidung bekannt gegeben, die bisherigen Kooperationsverträge mit der US-Regierung im Bereich Flüchtlingshilfe und Kinderprogramme auslaufen zu lassen. In einer Erklärung vom 7. April begründete der Vorsitzende der US-Bischofskonferenz, Erzbischof Timothy Broglio, diesen Schritt mit der Aussetzung der Umsiedlungsvereinbarungen durch die Regierung, was zu einer „drastischen Reduzierung“ der Hilfsprogramme geführt habe.

„Die Entscheidung der Regierung zwingt uns, die Art und Weise zu überdenken, wie wir auf die Bedürfnisse derer reagieren, die vor Gewalt und Verfolgung fliehen“, heißt es auf der Website der USCCB. Die Bischofskonferenz betont, man werde versuchen, alternative Wege zu finden, um denjenigen weiterhin zu helfen, die bereits von den bestehenden Programmen profitieren.

Eine Zäsur nach jahrzehntelanger Partnerschaft

Die USCCB spricht von einem „schmerzlichen Ende“ einer Kooperation, die über viele Jahre hinweg Regierungen beider politischer Lager umfasst hatte. Trotzdem bleibt die katholische Kirche in den USA weiterhin aktiv in der Unterstützung von Geflüchteten, etwa über caritative Dienste vor Ort. „Wir werden uns auch weiterhin für politische Reformen einsetzen, die geordnete und sichere Einwanderungsprozesse gewährleisten“, sagte Broglio.

„Die Kirche kann immer ein Ort sein, an dem Gegner sich treffen und zumindest reden können.“

Im Interview mit diözesanen Medien betonte der Erzbischof die Bedeutung des Dialogs. Gerade in einer Zeit globaler Konflikte – etwa in der Ukraine oder im Nahen Osten – sei die Kirche gefordert, Räume für Begegnung, Zuhören und Verständigung zu schaffen. „Die Kirche kann immer ein Ort sein, an dem Gegner sich treffen und zumindest reden können.“

Spannungsverhältnis zur Biden-Regierung

Auf Fragen zur Zusammenarbeit mit der früheren Regierung Biden äußerte sich Broglio kritisch, insbesondere mit Blick auf deren Haltung zur Abtreibung: „Es war sehr schwer für mich zu verstehen, wie Präsident Biden – selbst Katholik – einige dieser Positionen vertreten kann“, sagte der Erzbischof. Die USCCB betrachte Lebensschutz, Religionsfreiheit und Gewissensfreiheit als zentrale Anliegen.

Einsatz für Mütter in Not und Glaubensbildung

Lobend äußerte sich Broglio über das Programm Moms in Need, das schwangeren Frauen Hilfe anbietet, sowie über die Initiative der Eucharistischen Wiederbelebung. Letztere solle das Verständnis für das Sakrament der Eucharistie vertiefen und junge Menschen stärker an Christus binden. „Das ist ein fortlaufendes Projekt“, so der Bischof, das langfristig angelegt sei.

Besondere Hoffnung schöpft Broglio aus dem Glauben und dem Engagement junger Katholikinnen und Katholiken in den USA. Seine eigene Diözese, das US-amerikanische Militärordinariat, ist demografisch die jüngste in den Vereinigten Staaten. „Diese Generation ist begeistert, will lernen und hat viel zu bieten“, erklärte er.

„Diese Generation ist begeistert, will lernen und hat viel zu bieten.“

„Die Kirche gehört Christus“

Trotz aller Herausforderungen bleibt der Erzbischof zuversichtlich: „Am Ende gehört die Kirche Jesus Christus“, zitierte Broglio den heiligen Johannes XXIII. In dieser Gewissheit will die US-Kirche ihren Dienst fortsetzen – für Menschen in Not, für das Leben und für den Glauben.  usccb9

 

 

 

 

Hackordnung in Deutschland. Edelausländer – und andere

„Gute“ Migranten, „schlechte“ Migranten: Deutschland sortiert und bestimmt, wer aufsteigt, wer unten bleibt. Diese Hackordnung sortiert nach Wert und Nützlichkeit – und wer nicht unten steht, macht mit. Von Kiflemariam Gebre Wold

„Ausländer“, „Menschen mit Migrationshintergrund“, „diasporische Community“. Mittlerweile gibt es viele Begriffe, die verwendet werden, um migrantische Menschen zu benennen. Doch keiner der Begriffe gibt Rückschlüsse auf die bestehende „Hackordnung“ zwischen den migrantischen Communitys. Dabei war und ist die „Hackordnung“ – wie ich sie nenne – ein ständiger Begleiter von Menschen, die aus aller Welt für Ausbildung oder Arbeit nach Deutschland kamen und als Angehörige ihrer Communitys von der Mehrheitsgesellschaft hierarchisiert wurden.

Nach dem Zweiten Weltkrieg waren die Deutschen ganz schön überrascht, als sie feststellten, dass nicht mehr sie – die einstigen „Herrenmenschen“ – das Sagen hatten, sondern die Besatzungsmächte, allen voran die wirtschaftlich überlegenen Amerikaner. Diese mutierten im Nachkriegsdeutschland zu „Edelausländern“, bei denen viele Deutsche froh waren, Arbeit zu finden. Die Situation änderte sich rasch und grundlegend. Deutschland wurde gebraucht, um dem Stalinismus zu begegnen. Die USA ließen ihre Programme zur Entnazifizierung mehr oder weniger auslaufen. Die Agenda der neuen Zeit war klar: Die deutsche Wirtschaft wurde hochgefahren – als Gegenmodell zum Osten – und der Wiederaufbau wurde allem untergeordnet. Das bedeutete auch, dass für so einen wirtschaftlichen Aufschwung Ex-Nazis zu Fachkräften avancierten und sich nahtlos in die bundesrepublikanische Gesellschaft reintegrieren konnten.

„Klar ist, die Anwerbung von Arbeitskräften war ein Akt, der ausschließlich aus eigenem Interesse betrieben wurde, damals wie heute.“

Die ökonomische Lage erforderte eine große Anzahl an Arbeitskräften. Im Jahr 1955 kamen die ersten italienischen „Gastarbeiter“ nach Deutschland. Das war das Ergebnis eines bilateralen Anwerbeabkommens zwischen Deutschland und Italien. Der industrielle Boom erforderte weitere Anwerbeabkommen mit den Ländern Spanien/Griechenland (1960), Türkei, Marokko, Portugal, Tunesien und Jugoslawien (1968). Insbesondere nach der schleichenden und dann abrupten Schließung der Grenze zwischen der DDR und Westdeutschland war Deutschland dringend auf „Fremdarbeiter“ und „Gastarbeiter“ aus dem Ausland angewiesen, um das Wirtschaftswunder abzusichern. Hinzu kam, dass das Land enorme Summen brauchte, um Reparationskosten zu zahlen. Klar ist, die Anwerbung von Arbeitskräften war ein Akt, der ausschließlich aus eigenem Interesse betrieben wurde, damals wie heute.

Alles, was dem Herkunftsdeutschen fehlte, schienen die Italiener zu haben. Leichtigkeit, Eleganz, Wetter, kulinarische Vielfalt. Sie wurden trotz existierender Diskriminierung zu Edelausländern. In der Frühphase der Arbeitsmigration hatten auch die Griechen und Spanier eine besondere Position. Sie kamen aus christlichen Ländern und galten im Falle Griechenlands als Quelle der Philosophie. Als orthodoxe Christen gründeten sie ihre eigenen Kirchen oder durften vorhandene Kirchen mitnutzen. Die Spanier wurden von der katholischen Kirche unterstützt und in einigen Städten wurden spanische Arbeiterkantinen eröffnet. Griechenland tritt 1981 und Spanien fünf Jahre später in die EU ein. Damit wurden sie EU-Bürger und -zumindest nominell – zu Edelausländern.

„Für türkische Arbeitsmigranten galt eine religiöse und kulturelle Barriere. Hier begann das Ranking der Aufnahmegesellschaft im vollen Umfang durchzuschlagen.“

Für türkische Arbeitsmigranten galt eine religiöse und kulturelle Barriere. Hier begann das Ranking der Aufnahmegesellschaft im vollen Umfang durchzuschlagen. Neben Türken wurden auch Marokkaner, Tunesier und teilweise auch Jugoslawen zuerst als Moslems wahrgenommen. Ihnen war es unmöglich, Edelausländer zu werden. Ihre Religion, ihr Aussehen, der Palästinakonflikt – alles wurde auf sie projiziert. Unabhängig von ihrem persönlichen Status, ihrer Befähigung und Leistung wurden sie als Ausländer der zweiten oder dritten Klasse gebrandmarkt. Das gleiche Schicksal ereilte Ausländer afrikanischer Herkunft, die in den 60er Jahren fast ausschließlich zur Ausbildung und zum Studium einreisten.

Das Leben der Gastarbeiter spielte sich in Gastarbeiterlagern, Pardon, Wohnheimen, ab. Das war für alle Ausländer alles andere als edel. Es war geprägt von „Heim-Arbeit-Bahnhof“. Die Trennung der Wohnheime nach Herkunftsländern war keine Seltenheit und diente nicht nur dem Zusammenwohnen gleichsprachiger Menschen. Es sollte auch Auseinandersetzungen in den engen Baracken vorbeugen. Vor allem aber hatte diese Trennung einen politisch gewollten „Nebeneffekt“. So war es nämlich viel schwieriger, über Gastarbeitergruppen hinweg Annäherungen, Absprachen oder sogar Solidarität zu schaffen. Das half, Arbeitskämpfe zu minimieren.

„Je nach Bedarf wurden einzelne Ausländergruppen aus tatsächlicher oder imaginärer Nähe zur Mehrheitsgesellschaft in der Hackordnung nach oben geschoben.“

Dieses System war ein elegantes Instrument der Aufnahmegesellschaft, um Ausländer in Schach zu halten. Je nach Bedarf wurden einzelne Ausländergruppen aus tatsächlicher oder imaginärer Nähe zur Mehrheitsgesellschaft in der Hackordnung nach oben geschoben, dafür mussten andere weichen. Für manche Ausländer, z.B. aus Bulgarien, Rumänien und vor allem dem nicht-muslimischen Balkan, hatte die Hackordnung oberflächlich Vorteile. Sie wurden als Teil des Abendlandes angesehen und als leichter integrierbar. Solange es eine Schicht unter ihnen gab, wurden sie zumindest zeitweise in Ruhe gelassen. Eine besonders perfide Rolle innerhalb der Hackordnung kommt den Russlanddeutschen zu. Diese werden als „Bollwerk“ gegen den Rest eingesetzt. Teile dieser Community nehmen diese Rolle an und agieren als „Wachhund“ der Mehrheitsgesellschaft. Im Notfall sind sie die Pufferzone zwischen uns und der Mehrheitsgesellschaft.

Eine besondere Gruppe von Gastarbeitern waren die koreanischen Arbeitsmigranten, die Vietnamesen und japanische Investoren. Hier wird das Ranking noch komplizierter. Auch die frühen koreanischen Arbeitsmigranten sind in den 60er Jahren durch Anwerbeabkommen eingereist. Weil die Mehrheitsgesellschaft ihnen „Fleiß“ zuschrieb, hatten sie einen halb-edlen Status. Jahre später, als Korea sich als Wirtschaftsmacht etablierte, avancierten sie zu Edelausländern und zogen fast gleich mit den Japanern, die als Investoren auftraten und diesen Status schon ziemlich früh durchsetzten.

Die „Boatpeople“, die aus Vietnam immigrierten, blieben im Bewusstsein Deutschlands Boatpeople, weil sie nur aus humanitären Gründen hereingelassen wurden. Die vietnamesischen Kontraktarbeiter aus DDR-Zeiten konnten ihren Status bei der Wiedervereinigung nicht verbessern, im Gegenteil. Grundsätzlich sind Geflüchtete in der „Hackordnung“ auf der untersten Stufe – abhängig davon, ob sie Muslime, Schwarz oder eher „hellhäutig“ sind. Für Menschen aus Sri Lanka, die in den 80er Jahren geflüchtet waren, sind ihr Aussehen und ihr „Asylant-Status“ damals wie heute ein Hindernis für einen Edelausländer-Status, so das Urteil der Mehrheitsgesellschaft.

Dies war das Bild Deutschlands aus der Sicht vieler Migranten:innen von Mitte der 50er bis ca. Mitte der 80er Jahre.1 Die Republik hat sich zu einem Einwanderungsland entwickelt, ohne dass dies von den meisten wahrgenommen, geschweige denn gewollt gewesen wäre. Teilweise unterlaufen die Lebensentwürfe und -realitäten der migrantischen Community die „Hackordnung“. Binationale Ehen sind keine Seltenheit. Auch die Globalisierung hinterlässt ihre Spuren. Seit den letzten 15 Jahren arbeiten eine größere Zahl an Indern, Osteuropäern und Kamerunern in modernen IT-Unternehmen. Sie verdienen besser als Herkunftsdeutsche und wohnen in „Temporary Living“-Anlagen, in denen nicht wenige mit ähnlichem Profil und Background wohnen. Sie spielen Cricket, haben ihre Firmennetzwerke2 und treffen sich nach Feierabend in Kneipen. Sie, diese Gruppe von IT-Spezialist:innen entziehen sich geschickt der Hackordnung der Bundesrepublik Deutschland. Auch die reichen saudischen, omanischen, emiratischen, bahrainischen und kuwaitischen Medizintouristen spielen in einer anderen Liga.3 Sie werden hofiert, solange sie zahlen und sich nur kurzfristig hier aufhalten.

„Wer aber glaubt, dauerhaft vom Status ‚Lieblingsausländer‘ profitieren zu können, hat Folgendes nicht bedacht: Sobald sich der Wind für die eigene Gruppe dreht, setzt die Hackordnung wieder ein und verstärkt sogar ihre Wirkung.“

Für viele andere, weniger privilegierte, ist und bleibt die ordnende Macht der Hackordnung aktueller denn je. Sie funktioniert, aus einem einfachen Grund: Die Mehrheitsgesellschaft setzt sie rigoros durch und einige Mitglieder der migrantischen Community helfen bewusst mit. Die Mehrheitsgesellschaft favorisiert immer wieder „Lieblingsausländer“, die diese unfaire Hackordnung mehr oder weniger hinnehmen. Wer aber glaubt, dauerhaft vom Status „Lieblingsausländer“ profitieren zu können, hat Folgendes nicht bedacht. Denn sobald sich der Wind für die eigene Gruppe dreht, setzt die Hackordnung wieder ein und verstärkt sogar ihre Wirkung. Eine solche Haltung mag zwar bequem sein, sie führt geradewegs in die Selbstaufgabe.

Alle, die sich als diasporisch/migrantisch verstehen, müssen ihren Beitrag leisten, um die Hackordnung aufzuweichen und vollends aufzuheben. Denn die Mehrheitsgesellschaft wird nicht freiwillig, aus Einsicht oder aus Nachsicht auf diese Hackordnung verzichten, weil sie ein billiges und scheinbar effektives Ordnungsinstrument ist. Für den Einstieg in die Aufweichung der Hackordnung haben wir vermutlich nur noch vier Jahre zur Verfügung. Wenn 2029 die AfD stärkste Fraktion im Bundestag wird, ist es zu spät.

1. Das Jahr 2015 mit der sog. Flüchtlingswelle – also ob die Geflüchteten von damals ein Tsunami waren- wird in diesem Artikel nicht behandelt.

2. Beispiel Bosch: Türkisches Forum Bosch, chinese@bosch, Hispanics@Bosch, Asians@Bosch, AfricanAncestry@Bosch

3. Die Münchener Geschäftswelt hat sich gegen die bayerische Staatsregierung gestellt, die ein Burka-/Nikabverbot durchsetzen wollte.  (mig 9)

 

 

 

 

 

Deutschland hat Aufnahme von UN-Flüchtlingen vorläufig ausgesetzt

 

Kritiker des Asylsystems fordern oft, über Schutzersuchen im Ausland statt erst in Europa zu entscheiden. Solche Programme gibt es bereits. Deutschland drückt jetzt allerdings auf die Pause-Taste. Die Linke übt scharfe Kritik. Von Anne-Béatrice Clasmann und Christina Peters

Deutschland hat bei der Umsiedlung besonders schutzbedürftiger Flüchtlinge einen vorübergehenden Aufnahmestopp verhängt. Mit Verweis auf die laufenden Koalitionsverhandlungen von CDU, CSU und SPD werden vorläufig keine Zusagen für neue Aufnahmen über das Resettlement-Programm mit dem UN-Flüchtlingshilfswerk (UNHCR) gemacht, wie Innenministerium und UNHCR der Deutschen Presse-Agentur bestätigten.

Bis zu einer Entscheidung einer neuen Bundesregierung würden alle Verfahren ausgesetzt und keine weiteren Anträge angenommen, heißt es in einer Mitteilung des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge (Bamf) an das UNHCR von Mitte März, die der dpa vorliegt. Nur Fälle, in denen die Verfahren schon weit fortgeschritten seien, würden ausnahmsweise noch zugelassen.

Bundesregierung hatte jährlich 6.550 Aufnahmen zugesagt

Deutschland hatte dem Flüchtlingswerk und der EU-Kommission, die die Aufnahmen finanziell unterstützt, für die Jahre 2024 und 2025 insgesamt 13.100 Plätze zugesagt. Davon sind nach Daten des UNHCR bislang 5.061 Menschen eingereist. Darunter fallen auch die humanitären Aufnahmen syrischer Flüchtlinge aus der Türkei, die EU und Türkei 2016 vereinbart haben.

Beim Resettlement-Verfahren, an dem Deutschland sich seit 2012 beteiligt, schlägt das UNHCR den Aufnahmestaaten besonders schutzbedürftige Menschen vor, die weder in ihr Heimatland zurückkehren noch im Erstaufnahmeland bleiben können. Deutsche Behördenvertreter führen dann Befragungen und Sicherheitsüberprüfung noch vor Ort durch.

Wer aufgenommen wird, muss in Deutschland keinen Asylantrag stellen, sondern bekommt einen Aufenthaltstitel für drei Jahre. Bei erfolgreicher Integration ist später der Weg zur unbefristeten Niederlassung möglich.

UNHCR hofft auf Fortsetzung unter neuer Bundesregierung

Neben dem Resettlement gibt es zusätzliche humanitäre Aufnahmen, dazu zählen seit 2022 jährlich bis zu 12.000 Plätze für besonders gefährdete Menschen aus Afghanistan. Union und SPD hatten in ihrem Sondierungspapier festgelegt, freiwillige Bundesaufnahmeprogramme wie das für Afghanistan so weit wie möglich zu beenden und keine neuen solchen Programme aufzulegen.

Das UN-Flüchtlingswerk in Deutschland nimmt nach Angaben eines Sprechers an, dass die neue Bundesregierung das Resettlement dennoch weiterführen wird, auch wenn andere Programme beendet werden. Deutschland habe sich unter den Regierungen von Angela Merkel (CDU) und Olaf Scholz (SPD) sehr zuverlässig beteiligt, sagt Pressesprecher Chris Melzer. „Während der Koalitionsverhandlungen ist das erst mal gestoppt worden. Wir gehen aber davon aus, dass es weitergeht, sobald es einen neuen Minister gibt.“

Deutschland war zuletzt mit im Schnitt rund 5.000 Aufnahmen im Jahr meist das drittgrößte Aufnahmeland nach den USA und Kanada. Aufgenommen wurden auf diesem Weg vor allem Menschen, die zuvor als Flüchtlinge in der Türkei, in Ägypten, Jordanien, Kenia, Libyen und Ruanda lebten. Mehr als die Hälfte dieser Flüchtlinge sind Syrerinnen und Syrer, dazu kommen in kleinerer Zahl vor allem Menschen aus dem Irak, Jemen, dem Sudan, Südsudan, der Demokratischen Republik Kongo, Somalia und Eritrea.

Machtwechsel in den USA bedroht Zukunft Hunderttausender

Die größte Sorge aus Sicht der Helfer ist momentan allerdings der drohende Rückzug des größten Aufnahmestaats USA aus dem Resettlement-Programm. In den vergangenen Jahren nahmen die USA etwa zwei Drittel der darüber umgesiedelten Flüchtlinge auf. Unter dem vorherigen US-Präsidenten Joe Biden hatten die USA für das laufende Jahr ab Oktober 2024 bis zu 125.000 Plätze zugesagt.

Bidens Nachfolger Donald Trump beendete am Tag seines Amtsantritts das US-Programm zur Aufnahme von Flüchtlingen. Ein Gericht erklärte das Dekret für unrechtmäßig, doch die Absicht der Regierung ist erkennbar. In seiner ersten Amtszeit hatte Trump die Aufnahmen erst ausgesetzt und später drastisch gesenkt.

Linke kritisiert Aussetzung scharf

Das UN-Flüchtlingshilfswerk schätzt, dass 2,9 Millionen Flüchtlinge unter dem Resettlement-Programm umgesiedelt werden müssten – ein Zehntel der insgesamt 29 Millionen Flüchtlinge unter seiner Obhut. Infrage kommen beispielsweise verwitwete Mütter kleiner Kinder, Minderjährige, Folteropfer oder Menschen mit Behinderungen oder dringendem Behandlungsbedarf. Das sind im Prinzip die Gruppen von Menschen, die unter den Asylbewerbern, die unerlaubt nach Deutschland einreisen, unterrepräsentiert sind – weil sie das Geld für den Schlepper nicht aufbringen können beziehungsweise körperlich dazu nicht in der Lage oder ein zu hohes Risiko sehen, etwa für ihre Kinder.

Auch deshalb erntet die Aussetzung der Aufnahme scharfe Kritik. Union und SPD zeigten, „dass sie eigentlich überhaupt keine Geflüchteten mehr aufnehmen wollen“, erklärt Clara Bünger, fluchtpolitische Sprecherin der Linken im Bundestag. Ständig sei davon die Rede, dass ‚irreguläre Migration‘ reduziert werden soll. „Doch statt zumindest sichere und legale Fluchtwege auszubauen, hat Deutschland nun einen Aufnahmestopp beim Resettlement verhängt. Das ist eine fatale Entscheidung“, erklärte die Linkspolitikerin. Der Aufnahmestopp mache deutlich, wohin die vom Präsidenten des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge (Bamf), Hans-Eckhard Sommer, geforderte Abschaffung des individuellen Rechts auf Asyl führen würde: „In ein Willkürregime, das dem Kalkül der Regierungen unterliegt“.

Bamf-Chef stößt Diskussion um mehr humanitäre Aufnahmen an

Sommer hatte Ende März bei einer Veranstaltung der Konrad-Adenauer-Stiftung gesagt, es sei falsch, am individuellen Asylrecht festzuhalten. Sinnvoller wäre es, das aktuelle System durch humanitäre Aufnahmen „in beachtlicher Höhe“ zu ersetzen.

Neben humanitären Gesichtspunkten könne hier auch die Integrationsfähigkeit des Arbeitsmarkts eine Rolle spielen. Wer dennoch unerlaubt nach Deutschland einreise, hätte dann keine Aussicht mehr auf ein Bleiberecht. Sommer, der CSU-Mitglied ist, hatte zu Beginn seiner Rede betont, nicht als Bamf-Präsident zu sprechen, sondern seine „persönliche Einschätzung“ und eine Zusammenfassung seiner Erfahrungen zu präsentieren. (dpa/mig 9)

 

 

 

 

 

 

Gesundheitsvorsorge: Nur ein Drittel kennt sich aus

 

Nur 31 Prozent der Menschen in Deutschland wissen, welche Untersuchungen zur Früherkennung für sie empfohlen sind. Hier braucht es eine gezieltere Ansprache. 

München. 69 Prozent der Menschen, die in Deutschland leben, wissen nicht oder nur teilweise, welche Maßnahmen zur Früherkennung für sie empfohlen sind. Nur 31 Prozent geben an zu wissen, welche Untersuchungen für ihr Alter und Geschlecht sinnvoll sind. Das ist das Ergebnis einer repräsentativen Befragung des Instituts YouGov im Auftrag der SBK Siemens-Betriebskrankenkasse. An der Umfrage haben 2060 Personen teilgenommen. 

„Früherkennung ist eine wichtige Säule unserer Gesundheitsversorgung. Denn früh erkannt, sind viele Erkrankungen besser und weniger aufwändig zu behandeln“, betont Dr. Gertrud Demmler, Vorständin der SBK. „Damit alle davon profitieren, müssen sie wissen, wann welche Früherkennungen Sinn machen. Besonders erfolgversprechend sind dazu gezielte Einladungen im passenden Moment. Um diese Möglichkeit zu nutzen, brauchen die Krankenkassen aktuelle und verlässliche Daten. Und sie benötigen natürlich das Recht, diese unbürokratisch zu nutzen, um ihre Versicherten individuell anzusprechen. Diese Voraussetzungen sind heute leider noch nicht gegeben.“ 

Bei vielen liegt die letzte Vorsorge schon lange zurück 

Manche brauchen einen kleinen Anstoß, um zur Früherkennung zu gehen – das zeigt sich auch daran, dass bei jeder fünften Person die letzte Untersuchung bereits über zwei Jahre zurückliegt. Dabei steht zumindest die Zahnvorsorge mindestens einmal jährlich bei jedem im Vorsorgekalender. Bei Frauen trifft das auch auf die Vorsorge in der Frauenarztpraxis zu. Weitere 10 Prozent der Befragten geben an, noch nie bei einer Vorsorgeuntersuchung gewesen zu sein.   

Alter und Geschlecht beeinflussen das Wissen um notwendige Vorsorgen 

Frauen sind über die für sie empfohlenen Untersuchungen zur Früherkennung besser informiert. Fast jeder vierte Mann (23 Prozent) weiß nicht, welche Früherkennungen für ihn empfohlen sind. Bei den Frauen sind es nur 14 Prozent. Zudem nimmt das Wissen um notwendige Vorsorge mit dem Alter zu. Von den 18-24-Jährigen weiß fast jeder zweite (45 Prozent) nicht, zu welchen Untersuchungen er gehen sollte. Bei den über 55-Jährigen sind es nur noch 9 Prozent. 

Die Mehrheit ist offen für Vorsorge-Tests für zu Hause 

Einfache und bequeme Angebote zur Früherkennung können dazu beitragen, dass mehr Menschen zur Untersuchung gehen, zum Beispiel Vorsorge-Tests für zu Hause wie ein Handy-Scanner für Hautveränderungen. Sie ersparen die Suche nach dem Arzttermin und die Anfahrt. 59 Prozent würden solche Tests (wahrscheinlich) nutzen, wenn die Krankenkassen sie anbieten. 19 Prozent wären eher zurückhaltend, 12 Prozent lehnen sie ab. „Tests für zu Hause sind ein guter Weg, um Menschen die Früherkennung möglichst einfach zu machen. Zudem haben sie den positiven Nebeneffekt, die Praxen zu entlasten“, sagt Gertrud Demmler. „Denn ärztliche Beratung brauchen dann nur diejenigen mit auffälligem Testergebnis. Für diese wenigen könnten dann schneller Termine in der Praxis oder für eine Online-Beratung zur Verfügung stehen.“ 

51 Prozent derjenigen, die Vorsorgetests für zu Hause nicht nutzen möchten, geben als Grund an, der Genauigkeit ihrer Tests nicht zu vertrauen. Viele andere Gründe drehen sich um die fehlende Begleitung durch die Arztpraxis: 41 Prozent der Befragten, die dem Test zu Hause kritisch gegenüberstehen, wünschen sich einen persönlichen Austausch in der Praxis. 35 Prozent haben Bedenken, etwas falsch zu machen. 15 Prozent haben Sorge, mit dem Ergebnis allein gelassen zu werden. Um diese Hürde abzumildern, sollten diese Tests immer in ein Gesamtangebot eingebettet sein, das den Kontakt zu einer Arztpraxis ermöglicht.  

Prävention und Früherkennung sind die Zukunft des Gesundheitswesens 

Das Gesundheitswesen steht vor großen Herausforderungen – etwa einem Finanzdefizit und einer alternden, oft kränkeren Bevölkerung. Ein stärkerer Fokus auf Gesunderhaltung und Früherkennung kann helfen, diese Probleme abzufedern. Denn: Wer gesünder bleibt, profitiert nicht nur persönlich. Er oder sie entlastet auch das Gesundheitssystem. Ebenso spart das frühzeitige Erkennen und Eindämmen von Krankheiten wertvolle Ressourcen. Dafür braucht es ein Umdenken: Gesundheitsversorgung bedeutet nicht nur, Krankheiten zu behandeln, sondern vor allem, Gesundheit zu fördern.  

Um ihre Versicherten zu motivieren, die Chancen der Früherkennung zu nutzen, schickt die SBK dieses Frühjahr die Checkers auf Tournee. Die erste Band aus Organen macht Vorsorge zum Hit. Unter dem Motto „kleiner Check, große Chance“ erinnern sie musikalisch daran, zu den Untersuchungen zu gehen.  

Mehr Informationen dazu unter: https://www.sbk.org/die-checkers/  GA 8

 

 

 

 

 

Klöckner fordert klare Positionierung der Kirchen

 

Julia Klöckner, die neue Bundestagspräsidentin und langjährige CDU-Politikerin, hat in einem Interview mit dem kirchlichen Portal domradio.de ihre Erwartungen an die Rolle der Kirchen in der Öffentlichkeit formuliert.

Sie wünscht sich von den Kirchen eine klare und starke Stimme, insbesondere bei bioethischen Fragen wie Abtreibung und Sterbehilfe sowie bei der Bewahrung der Schöpfung. „Da wünsche ich mir von meiner Kirche, dass sie standhaft ist und nicht automatisch schaut, ob es Applaus gibt oder nicht“, betonte Klöckner.

Gleichzeitig äußerte sie Kritik an der Tendenz der Kirchen, sich zu sehr mit Tagespolitik zu beschäftigen. „Ich halte es nicht immer für sinnvoll, wenn Kirchen glauben, eine weitere NGO zu sein und sich zu Tagespolitik äußern“, erklärte sie. Als Beispiel nannte Klöckner den Einsatz der Evangelischen Kirche in Deutschland für ein Tempolimit auf deutschen Autobahnen. „Man kann für Tempo 130 sein, aber ich weiß nicht, ob die Kirchen dazu etwas schreiben müssen.“

Wer ist sie?

Klöckner, selbst katholisch und mehrere Jahre Mitglied im Zentralkomitee der deutschen Katholiken, sprach auch über die Rolle der Kirchen während der Corona-Pandemie. Sie kritisierte, dass die Seelsorge in dieser Zeit nicht ausreichend präsent gewesen sei, obwohl viele Menschen auf der Sinnsuche und teilweise verzweifelt gewesen seien. „Da hätte Seelsorge stärker präsent sein können“, sagte sie.

Die Kirchen sollten sich stärker auf ihre Kernaufgaben konzentrieren und ihre moralische und spirituelle Verantwortung wahrnehmen. (domradio 8)

 

 

 

 

 

Italien/Afghanistan: Humanitärer Korridor

 

700 afghanische Flüchtlinge können dank eines humanitären Korridors der katholischen Basisgemeinschaft Sant’Egidio legal und sicher nach Italien einreisen.

Ein entsprechendes Abkommen zwischen dem italienischen Innen- und Außenministerium und mehreren Partnerorganisationen, darunter Sant’Egidio und der italienischen Bischofskonferenz (CEI), wurde am Montag in Rom unterzeichnet. Es sieht die Einreise von insgesamt 700 Flüchtlingen aus dem Land am Hindukusch nach Italien vor. Die Betreuung wird jeweils von katholischen und zivilgesellschaftlichen Organisationen übernommen.

Aufnahme und Integration

Marco Impagliazzo, Präsident der Gemeinschaft Sant’Egidio, bezeichnete das neue Abkommen als „Zeichen der Hoffnung“, das die Bedeutung humanitärer Korridore als Modell für Aufnahme und Integration betone. Dies sei gerade angesichts der „besorgniserregenden Zunahme von Kriegen und Spannungen zwischen Staaten“ bedeutsam.

Bereits im November 2021 hatte es ein Abkommen über die Aufnahme von 812 afghanischen Staatsbürgern gegeben, die aus ihrem Land nach Pakistan, Iran und die Türkei geflohen waren. Das neue Abkommen schließt daran an. Unter den Partnern, die die Aufnahme und Integration der Flüchtlinge in Italien unterstützen, sind neben Sant’Egidio und der katholischen Bischofskonferenz der Bund der Evangelischen Kirchen in Italien (FCEI) und die Non-Profit-Organisation ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana).

Insgesamt 8.200 Flüchtlinge

Dank des Modells der „Humanitären Korridore“ konnten in den vergangenen Jahren insgesamt 8.200 Flüchtlinge sicher und legal nach Europa einreisen. Das Projekt ist vollständig eigenfinanziert und wird durch ein dezentrales Aufnahmenetzwerk möglich, in das viele Ehrenamtliche eingebunden sind. (sir/pm 8)

 

 

 

 

 

Nebenan. Das Glaubwürdigkeitsproblem

 

Wie man den AfD-Wahlerfolgen gegensteuern kann? Die Antwort: mehr Glaubwürdigkeit. Bedeutet: Wahlversprechen halten, beispielsweise keine Schulden aufnehmen – und noch mehr. Von Sven Bensmann

Gerade im Zusammenhang mit den Wahlerfolgen der AfD, zuletzt aber auch bei dem der Linken, wird das Erodieren des Vertrauens in die Politik (der Mitte) lamentiert und die Frage aufgeworfen, wie man dem nur entgegensteuern könnte.

Am zuverlässigsten erhält man darauf zur Zeit Antworten von der CDU/CSU. Und während ein fränkischer Wurstinfluencer und Teilzeit-Ministerpräsident von Bayern seinem eigenen Bedeutungsverlust mit dem Verzehr von Unmengen verrotteten, übersalzten Fleisches auf amerikanischen Internetplattformen begegnet, hat die CDU Niedersachsen nun einen besonders glaubwürdigen Weg gefunden.

In Hannover nämlich hat die Partei (die ein Jahr lang entschieden Wahlkampf gegen neue Schulden betrieben hatte, um dann am Tag nach der Wahl genau das Gegenteil zu tun, nämlich mehr Schulden aufzunehmen, als irgendjemand zuvor überhaupt zu denken gewagt hatte und die damit einen Betrug ungekannten Ausmaßes an ihren Wählern begangen hat – und dennoch weiter Anspruch auf den Kanzlerposten erhebt) dieser Tage verkündet, dass es ein bisher ungekanntes Maß an Betrug am Wähler sei, wenn der vor 3 Jahren gewählte, amtierende Ministerpräsident aus gesundheitlichen Gründen seinen Posten aufgeben muss.

Boom! So geht glaubwürdig. Dann klappt’s auch mit dem Wähler. (mig 8)

 

 

 

 

 

Handeln statt kuschen

 

Angesichts des US-Handelskriegs zögern Europas Regierungschefs – dabei braucht es eigene Initiativen statt Spekulationen über Trumps Absichten. Paul Mason

 

Aus Donald Trumps Entscheidung, der übrigen Welt den Zollkrieg zu erklären, lassen sich zwei strategische Schlussfolgerungen ziehen. Einerseits könnte er beabsichtigen, die gesamte Weltwirtschaft nach den Interessen der USA umzustrukturieren, die Exportmodelle zahlreicher Schwellenländer und Volkswirtschaften des Globalen Südens zu zerstören sowie die Welt in eine Rezession zu stürzen. Andererseits kann es aber auch sein, dass er lediglich hofft, unter Androhung dieser Maßnahmen Zugeständnisse in der Wirtschaftspolitik anderer Länder zu erreichen, die für die USA und den Dollar von Vorteil und für den Rest der Welt letztendlich nicht katastrophal wären.

In der Geopolitik konnten wir bereits ein ähnliches Dilemma beobachten. Nachdem Trump seine Vertreter Pete Hegseth und J.D. Vance im Februar vorgeschickt hatte, um die Ramstein-Gruppe und dann die Münchner Sicherheitskonferenz aufzumischen, fragten sich die europäischen Sicherheitsexperten: Will Trump sich ganz aus der gemeinsamen Sicherheitsarchitektur zurückziehen? Oder ist es ein Trick, um uns zu zwingen, mehr Geld für die Verteidigung auszugeben, mehr Verantwortung für die europäische Sicherheit zu übernehmen und die Ukraine stärker zu unterstützen? Die politischen Entscheidungsträger stehen somit sowohl in der Sicherheits- als auch in der Handelspolitik vor den gleichen Fragen und Problematiken. Dies sagt etwas Wesentliches über die Trump-Regierung aus: Sie will ihre Ziele durch das Schüren von Unsicherheit erreichen.

In den vergangenen Wochen habe ich jeden Entscheidungsträger, den ich traf und der Zugang zu Geheimdienstinformationen hat, gefragt: Wissen Sie, was Trumps eigentliche Ziele sind? Die meisten mussten zugeben, dass sie keine Ahnung haben. Einige spekulierten, Washington sei in Verteidigungsfragen in zwei Lager gespalten: Ein Teil wolle sich nur auf die Konfrontation mit China ausrichten, der andere sei hingegen bereit, dafür strategische Abkommen mit Russland zu schließen, Europa aus den Friedensgesprächen über die Ukraine sowie vom Zugang zur Arktis auszuschließen und Putin zu erlauben, seine potenziellen nächsten Ziele im Baltikum, im hohen Norden oder im Schwarzen Meer zu bedrohen.

Aus der Makroökonomie liegen mir Analysen vor, in denen es heißt, die Zölle seien wahrscheinlich nur symbolisch und würden wieder aufgehoben werden – egal, welche Auswirkungen dieses Vorgehen auf die Aktienmärkte hat. Seit Trump wieder an der Macht ist, lautet meine Devise mit Blick auf die MAGA-Truppe daher: Konzentriere dich auf das, was sie tun, nicht auf das, was sie sagen. Die Flut an Beschimpfungen, Beleidigungen und Falschinformationen ist im Sinne der modernen Staatsführungskunst eine Ablenkungstechnik, mehr nicht.

Wir erleben ein konsistentes und erkennbares Handlungsmuster: Die Trump-Regierung ist gewillt, Maßnahmen zu ergreifen, die ihre Verbündeten sowohl wirtschaftlich als auch sicherheitspolitisch destabilisieren, sowie Unsicherheit und Desinformation als Waffen einzusetzen, um dieses Ziel zu erreichen. Als Reaktion darauf gibt es für Liberale, Grüne und Sozialdemokraten in Europa nur eine vernünftige Vorgehensweise: sich auf US-amerikanische Autarkie und Isolationismus vorzubereiten sowie gleichzeitig Europa zu stärken und selbst „great“ zu machen. Alles andere wäre fahrlässig.

Die EU macht zusammen mit den Ländern des pazifischen Freihandelsabkommens CPTPP, mit Südkorea und Norwegen 35 Prozent der weltweiten Importnachfrage aus. Auf die USA entfallen lediglich 15 Prozent. Die besagten Länder verfügen daher über eine immense finanzpolitische Schlagkraft und institutionelle Stärke. Dennoch stehen wir vor enormen Herausforderungen: Welche direkten Maßnahmen wir auch immer ergreifen – seien es Vergeltungszölle, industrielle Strategien zur Rückverlagerung von Produktion oder im Verteidigungsbereich das Streben nach technologischer Souveränität –, letztlich werden es die langfristigen Folgen von Trumps Handlungen sowie unsere Reaktion darauf und die Chinas sein, die diese Hälfte des 21. Jahrhunderts entscheidend prägen.

Ein Blick zurück: Als 1930 mit dem Smoot-Hawley Act ebenfalls US-Zollschranken gegen den Rest der Welt errichtet wurden, ergriffen weder das Vereinigte Königreich noch Frankreich Gegenmaßnahmen. Großbritannien war fest entschlossen, die letzte Freihandelsmacht zu bleiben. Doch als die Exporte nach Amerika innerhalb eines Jahres um ein Drittel einbrachen und die Zahlungsbilanz ins Minus rutschte, sah sich die Labour-Regierung von Ramsay MacDonald gezwungen, ein Austeritätsprogramm aufzulegen. Dies führte zu einer Meuterei in der Marine, einem Aufstand der parlamentarischen Hinterbänkler und letztlich zur Bildung einer „Nationalen Regierung“. Diese gab sowohl den Goldstandard als auch den Freihandel auf, da die längerfristigen Auswirkungen des Smoot-Hawley Act – nämlich der Anstieg billiger Importe in die „ungeschützte“ britische Wirtschaft – schlicht nicht aufzuhalten waren.

Wie John Maynard Keynes es ausdrückte: Die Fakten ändern sich, also müssen wir entsprechend unser Denken und unsere Ansätze ändern. Für die Sozialdemokratie in Europa stellt sich heute die doppelte Herausforderung, dass schnell aufgerüstet werden soll, während gleichzeitig die globalen Lieferketten rapide umstrukturiert werden. Um diese Aufgaben zu bewältigen, ist es von entscheidender Bedeutung, dass die Europäerinnen und Europäer proaktiv vorgehen und sich fragen – wie es auch die Generation von Keynes während des Zweiten Weltkriegs tat –, wie die Welt aussehen soll, wenn wir gewinnen. Die unheilvollste Haltung, die wir einnehmen könnten, ist die des passiven Opfers, welches das Ende der regelbasierten Ordnung betrauert und lediglich auf das Handeln anderer Länder reagiert, aber nie selbst handelt.

„Gewinnen“ kann dabei nicht länger bedeuten, den Status quo zu verteidigen. Vielmehr geht es darum, sich einen neuen Status quo vorzustellen, der erreicht werden soll, sobald das Trump-Experiment gescheitert ist. Es geht darum, eine Allianz mit Ländern zu bilden, deren Bevölkerung weiterhin in einer Welt leben will, die vom Völkerrecht sowie universellen Konzepten von Recht und Gerechtigkeit bestimmt wird. Und es geht darum, die arbeitenden Menschen der Welt – deren Fabriken in Ländern wie Kambodscha, Sri Lanka und Nicaragua bald geschlossen werden könnten – aufzurufen, sich uns in einem neuen Projekt für freien und fairen Handel, Menschen- und Arbeitsrechte anzuschließen. Die globale Arbeiterklasse ist größer als je zuvor; und ihre Industrieregionen werden nun zu Schauplätzen von Klassenkämpfen, wie es sie in der Ära der Globalisierung in dieser Intensität noch nie gegeben hat.

Was Trump seit seiner Machtübernahme getan hat – sowohl in Bezug auf die Sicherheitsagenda als auch auf den Handel – ist Ausdruck reinen nationalen Eigeninteresses. Er wischt das Spielbrett vom Tisch, weil Amerika drauf und dran war, zu verlieren. Von nun an sollten sich der europäische Liberalismus, der zentristische Konservatismus und die Sozialdemokratie auf ein Projekt einigen, das nicht nur die Verteidigung ihrer Wohlfahrtsstaaten, des europäischen Binnenmarktes und der kollektiven Sicherheit zum Ziel hat. Sie sollten die größtmögliche Zusammenarbeit gleichgesinnter demokratischer Länder anstreben, um ihre offenen und progressiven Systeme über Kontinente und Ozeane hinweg auszudehnen und zu festigen.

Europa muss die von Trump ausgegebenen Regeln, sei es bei digitalen Diensten, Schwangerschaftsabbrüchen, Hate Speech oder Chlor-Hühnchen, nicht einfach akzeptieren. Und: Wenn die Europäische Union weiterhin eigene Regeln gemäß den liberal-internationalistischen Werten, auf denen sie gegründet wurde, aufstellen will, muss sie auch dem Vereinigten Königreich ein Angebot machen, das es nicht ablehnen kann. Sicher, es gibt milliardenschwere Pro-Trump-Medien, die versuchen, die politische Agenda des Vereinigten Königreichs zu bestimmen; es gibt Musk und X sowie unablässige russische Hybridoperationen, die auf die britische Zivilgesellschaft abzielen. Doch nichts davon dürfte stark genug sein, Großbritannien zu einem Akt strategischer Selbstzerstörung zu zwingen – und genau das wäre eine weitere Annäherung an Trump. Selbst die Konservative Partei (die inzwischen von MAGA-Fanboys und -Girls durchsetzt ist) würde es meiner Einschätzung nach nicht ertragen, dass das Vereinigte Königreich zu Trumps Wirtschaftskolonie wird.

Europa hat langjährige Erfahrung mit staatlicher Lenkung. So gibt es in den nordischen Ländern überaus wertvolles Know-how in Bezug auf staatliche Industriestrategien. Europa verfügt über starke nationale und supranationale Institutionen. Vor allem aber hat Europa eine Bevölkerung, deren Mehrheit sich bislang dem Ethno-Nationalismus widersetzt und weiterhin das europäische Projekt als das höhere Gut betrachtet. Deswegen ist es sowohl in Handels- als auch in Sicherheitsfragen nun an Europa, die Welt um seine eigenen strategischen Interessen herum neu zu ordnen – und es ist an den Briten, Teil dieses Projekts zu werden, statt Teil des Problems.

Die wirtschaftlichen Auswirkungen von Trumps Zöllen dürften rasch spürbar werden. Wie schon 2008 werden die finanziellen Folgen jedoch erst dann absehbar sein, wenn klar wird, wie viel Risiko im globalen Bankensystem im Verborgenen schlummert – und wie anfällig dieses System gegenüber Handelskonflikten tatsächlich ist. Was bislang jedoch kaum angemessen thematisiert wurde, sind die daraus resultierenden Klassenkämpfe. Hinter jedem prognostizierten Rückgang der US-Importe steht eine Fabrik in Bangladesch, Sri Lanka, Honduras oder auch in China, die schließen muss. Auch in der Digitalwirtschaft ist es kaum vorstellbar, dass der Handelskrieg nicht auf globale Marken, Social-Media-Plattformen, geistige Eigentumsrechte und gesetzliche Regelungen zur Meinungsfreiheit durchschlägt.

Wenn Trump nun tatsächlich den roten Knopf zur Sprengung der Globalisierung gedrückt hat, dann ist das Positivsummenspiel, das die Welt bisher gespielt hat, vorbei. Kurzfristig bedeutet dies, dass die Sozialdemokratie an eine Welt des Nullsummenspiels angepasst werden muss. Um ein erneutes Positivsummenspiel zwischen den Konsumenten Europas und den Produzenten des Globalen Südens zu schaffen, muss die heutige Generation von Mitte-Links-Politikern etwas tun, wofür sie nicht ausgebildet wurde: einen Systemkonflikt führen und diesen gewinnen – erstens gegen Russland in der Ukraine, zweitens gegen die USA in der Zollfrage und drittens gegen die Kommunistische Partei Chinas in Sachen Demokratie. Ich erwarte von den Machthabern in Europa unbedingte Klarheit bei der Auswahl und Festlegung dieser Ziele. IPG 8

 

 

 

 

 

Massiver Rückgang. Deutschland bei Asylanträgen nicht mehr EU-Spitzenreiter

 

Lange war Deutschland EU-Spitzenreiter bei Asylanträgen. Diese Rolle haben jetzt Frankreich und Spanien übernommen. Grund ist aber kein Anstieg in diesen Ländern, sondern ein massiver Rückgang in Deutschland.

Deutschland ist einem Bericht zufolge bei den Asylanträgen erstmals seit Jahren nicht mehr EU-weiter Spitzenreiter. Das berichtete die „Welt am Sonntag“ in Berlin unter Berufung auf bisher unveröffentlichte Zahlen der Asylagentur der Europäischen Union (EUAA). Die Zahlen werden in einem als vertraulich gekennzeichneten Bericht der EU-Kommission vom 2. April zur Lage der Migration in der EU und in Drittstaaten genannt, wie die Zeitung schrieb. Laut „Welt am Sonntag“ liegt der Bericht der Zeitung vor.

Demzufolge ist Spitzenreiter bei den Asylanträgen neuerdings Frankreich mit 40.871 registrierten Asylanträgen zwischen dem 1. Januar und dem 31. März dieses Jahres. Dahinter folgen Spanien (39.318 Asylanträge) und Deutschland. In Deutschland ist die Zahl der Schutzgesuche im ersten Quartal des laufenden Jahres um 41 Prozent gegenüber dem vergleichbaren Vorjahreszeitraum auf 37.387 Anträge zurückgegangen. Schlusslichter sind laut Quartalsstatistik Ungarn (22 Asylanträge) und die Slowakei (37). Beide Staaten verfolgen einen besonders harten Kurs in der Migrationspolitik.

Venezuela Top-Herkunftsland im ersten Quartal

Die meisten Asylantragsteller in der EU plus der Schweiz und Norwegen kamen im ersten Quartal aus Venezuela (Gesamtzahl: 25.375), gefolgt von Afghanistan (Gesamtzahl: 21.524) und Syrien (Gesamtzahl: 15.138). Insgesamt stieg die Zahl der Schutzanträge von Venezolanern im ersten Quartal dieses Jahres um 44 Prozent. Auch die Anträge auf Asyl von Ukrainern (plus 84 Prozent), Chinesen (plus 87 Prozent) und Indern (plus 56 Prozent) stiegen stark an.

Demgegenüber beantragten Personen aus Syrien (minus 56 Prozent), Kolumbien (minus 45 Prozent) und der Türkei (minus 44 Prozent) deutlich weniger Asyl. Mehr als jeder zweite Asylantrag von Syrern in der EU plus Norwegen und der Schweiz (59 Prozent) wird laut Statistik in Deutschland gestellt. Insgesamt kam ein Viertel aller Schutzanträge hierzulande von Syrern (24 Prozent), gefolgt von Afghanen (16 Prozent) und Türken (11 Prozent). Frankreich ist unterdessen zum Zielland Nummer eins für Ukrainer geworden.  (epd/mig 7)

 

 

 

 

 

Weltgesundheitstag 2025: „Gesunde Anfänge – hoffnungsvolle Zukunft“  

 

World Vision weitet Hilfen für Mütter und Babys in Syrien aus - Unterstützung in der Nähe schützt das Leben von Frauen und Neugeborenen am wirksamsten 

Friedrichsdorf – Anlässlich des heutigen Weltgesundheitstags, der unter dem Motto „Gesunde Anfänge – hoffnungsvolle Zukunft“ steht, rückt die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision die zentrale Bedeutung lokaler Unterstützung für einen guten Start ins Leben in den Fokus. Vier von fünf Ländern auf der Welt haben immer noch Probleme, sichere Geburten sowie die notwendige medizinische und emotionale Unterstützung für die Mütter vor und nach der Geburt bereit zu stellen. „Jede Frau und jede Familie auf der Welt muss diese Unterstützung erhalten – auch in Zeiten großer Unsicherheit und schwieriger Haushaltsentscheidungen“, betont Marwin Meier, Experte für globale Gesundheit bei World Vision Deutschland. „Sie ist das beste Startkonto für ein glückliches und hoffnungsvolles Leben.“ 

 

Während eine sichere Geburt in Deutschland oft als selbstverständlich angesehen wird, bleibt sie in vielen ärmeren Ländern eine Herausforderung. Laut der Weltgesundheitsorganisation sterben pro Tag 800 Frauen (im Durchschnitt) bei vermeidbaren Komplikationen während der Schwangerschaft oder Geburt, wobei 60 Prozent der Todesfälle in Ländern mit Konflikten auftreten. Trotz einer beeindruckenden Senkung der Kindersterblichkeit in den letzten Jahrzehnten sterben außerdem über zwei Millionen Babys jährlich während des ersten Lebensmonats. Hauptverantwortlich für diese vermeidbaren Tode ist meist eine schlechte Gesundheitsversorgung der Mütter und Neugeborenen. In Ländern mit Konflikten tragen werdende Mütter und Neugeborene ein besonders hohes Risiko, da der Zugang zu professioneller Geburtshilfe und Nachsorge durch Angriffe auf medizinische Einrichtungen, Zusammenbrüche der Versorgung oder Vertreibungen eingeschränkt ist. 

 

In Syrien, wo seit diesem Jahr neue Gebiete für humanitäre Hilfen zugänglich sind, hat World Vision jetzt eine Kooperation mit dem Krankenhaus At-Tal vereinbart, um die Versorgung schwangerer Frauen, Babys und Kleinkinder in einem ländlichen Gebiet der Region Damaskus zu verbessern. Nach 14 Jahren Krieg fehlt es vielen Gesundheitseinrichtungen an Ausstattung und qualifiziertem Personal, selbst für die medizinische Grundversorgung. Das durch „Aktion Deutschland Hilft“ geförderte Projekt berücksichtigt auch den gewachsenen Bedarf durch Rückkehrer, die einen Neuanfang versuchen. 

 

Das Krankenhaus wird dabei unterstützt, eine Entbindungsstation für mögliche Komplikationen auszurüsten und eine Kinderklinik aufzubauen. Diese soll mit Unterstützung des Projekts auch ambulante Beratungen rund um Schwangerschaften anbieten. Das Gesundheitsministerium hat sich bereit erklärt, Hebammen, Gynäkologen und Kinderärzte sowie Pflegekräfte bereitzustellen. Das Projekt unterstützt u.a. Fortbildungen für sie. 

 

„Für werdende Mütter und Mütter mit Neugeborenen ist es von großer Bedeutung, das gesamte Spektrum an notwendiger Unterstützung in der Nähe ihres Wohnorts zu finden“, erklärt Marwin Meier. „Mutter-Kind-Gesundheit zielt darauf ab, den Ursachen für Geburtskomplikationen bereits vor der Geburt zu begegnen – durch Beratung zu gesunder Ernährung, Familienplanung und Vorsorge gegen gefährliche Krankheiten sowie durch die Stärkung der Rechte von Frauen und Mädchen.“ 

 

World Vision weist darauf hin, dass wirksame Hilfe nicht unbedingt hochtechnisches Equipment erfordert, sondern vor allem gut ausgebildete und einfühlsame Fachkräfte vor Ort. „Wir empfehlen, bei knappen Budgets solche Prioritäten zu setzen, um das Leben von Frauen und Kindern bestmöglich zu schützen“, so Meier. 

 

Mit Spenden und finanziellen Zuwendungen von Partnern leistet World Vision in über 70 Ländern weltweit einen Beitrag zu einem gesunden Start ins Leben und ist oft langjähriger Partner lokaler Gesundheitsfachkräfte, die weit über die Geburt hinaus Hilfe leisten. WVD 7

 

 

 

 

 

 

 

Flüchtlingspolitik. Bürgermeister von Lampedusa mahnt mehr Unterstützung an

 

Während EU-Staaten über Grenzschließungen diskutieren, kommen auf der 6.000-Einwohner-Insel Lampedusa Zehntausende Bootsflüchtlinge an. Der Bürgermeister mahnt eine gerechtere Verteilung an. Die Dublin-Regelung funktioniere nicht.

Der Bürgermeister von Lampedusa, Filippo Mannino, dringt auf mehr Unterstützung für die Regionen an den EU-Außengrenzen, in denen besonders viele Geflüchtete Europa erreichen. Das Thema müsse endlich angepackt werden, sagte der Bürgermeister der italienischen Mittelmeerinsel am Mittwoch bei einem Treffen mit NRW-Landtagsabgeordneten und Vertretern der evangelischen Kirchen in Nordrhein-Westfalen. Im vergangenen Jahr waren in Lampedusa rund 41.000 Bootsflüchtlinge registriert worden, 2023 waren es mehr als 100.000. Die Insel hat gut 6.000 Einwohner.

Die Menschen steuern überwiegend mit Booten von Schleppern das im südlichen Mittelmeer gelegene Lampedusa an, vor allem von Libyen und Tunesien aus. Die Geflüchteten würden meist auf hoher See gerettet, sagte Bürgermeister Mannino. Die Lasten der Flüchtlingsmigration müssten zwischen allen EU-Staaten gerecht verteilt werden, einige Länder lehnten dies aber bisher ab.

Bewohner und Geflüchtete leiden gleichermaßen

„Wir brauchen langfristige Lösungen“, betonte der aus Sizilien stammende Lokalpolitiker. Es habe zwar schon viele Diskussionen zu dem Thema gegeben, passiert sei aber wenig. Die sogenannte Dublin-Regelung funktioniere nicht, nach der für das Asylverfahren das Land zuständig ist, in dem die Flüchtlinge erstmals in die EU gelangen.

Unter der jetzigen Situation leiden nach den Worten des Bürgermeisters sowohl die Bewohner als auch die Geflüchteten. Die in Lampedusa ankommenden Flüchtlinge werden dort registriert und in der Regel innerhalb von 24 Stunden nach Sizilien gebracht und von dort aus in Italien verteilt. Menschenrechtler haben wiederholt menschenunwürdige Unterbringung von Geflüchteten beklagt.

Kosten für Infrastruktur

Mannino nahm auch Rom in die Pflicht: Die Kosten für den Erhalt der Infrastruktur oder die Bestattung gestorbener Geflüchteter von der italienischen Regierung nur mit großer Verzögerung übernommen würden. Inzwischen gebe es allerdings einen Sonderfonds für diese Ausgaben.

Die Gruppe von Abgeordneten und kirchlichen Experten aus NRW war nach Lampedusa gereist, um sich vor Ort ein Bild vom Umgang mit der Flüchtlingszuwanderung zu machen. Bis Freitag sind auch Gespräche in Rom mit dem italienischen Innenministerium und der deutschen Botschaft sowie Mitarbeitenden evangelischer und katholischer Kirchen geplant, die in der Flüchtlingsarbeit aktiv sind. (epd/mig 4)

 

 

 

 

 

 

Skeptisch, teils feindselig

 

Trotz hitziger Debatten sind sich Polens Präsidentschaftskandidaten in einem Punkt einig: Migration. Von Olena Babakova

Am 18. Mai findet die erste Runde der polnischen Präsidentschaftswahl statt. Zwar verfügt der Präsident laut Verfassung nur über begrenzte Befugnisse, doch kann er – wie es der amtierende Präsident Andrzej Duda derzeit zeigt – die Arbeit der Regierung erheblich erschweren. Das Staatsoberhaupt spielt zudem traditionell eine zentrale Rolle in der Außenpolitik, insbesondere im Verhältnis zu den östlichen Nachbarn Polens und vor allem zur Ukraine.

Die beiden aussichtsreichsten Kandidaten für das Präsidentenamt sind der Warschauer Bürgermeister Rafa Trzaskowski von der regierenden Bürgerplattform (PO) und Karol Nawrocki, offiziell parteilos, de facto jedoch von der PiS unterstützt. Nawrocki ist derzeit Direktor des Instituts für Nationales Gedenken. Sieben Wochen vor dem Wahltag steht allerdings bereits ein erster Gewinner fest: Sawomir Mentzen von der rechtsextremen Konfederacja. Mit 15 bis 20 Prozent in den Umfragen konnte er seine rechtsextreme Partei zur drittstärksten politischen Kraft im Land machen.

Der Wahlkampf von Trzaskowski und Nawrocki ist vor allem ein Ringen um die Stimmen von Sawomir Mentzens Anhängern. Diese Wählerschaft ist mehrheitlich libertär geprägt, befürwortet einen Kapitalismus nach US-amerikanischem Vorbild und lehnt Diversität – und damit auch Migration – weitgehend ab. Dabei wird die polnische Gesellschaft zunehmend vielfältiger: Seit 2022 sind rund eine Million Arbeitsmigranten aus der Ukraine eingewandert, und etwa 950 000 Ukrainerinnen und Ukrainer verfügen über einen temporären Schutzstatus. Die zweitgrößte Diasporagruppe bilden rund 300 000 Menschen aus Belarus. Zudem wächst die Zahl der Migrantinnen und Migranten aus Indien, Zentralasien, Vietnam, Georgien und Moldawien stetig.

Was dem Wahlkampf bislang fehlt, ist ein zentrales Thema. Die regierende Bürgerkoalition hat es nicht geschafft, eine überzeugende sozioökonomische Plattform zu entwickeln, und ist ebenso daran gescheitert, die von der PiS eingeführte Justizreform rückgängig zu machen. Die PiS wiederum hat seit der Parlamentswahl 2023 kaum neue Impulse gesetzt: Stattdessen schürt sie Ängste vor Deutschland, das angeblich kurz vor einem Abkommen mit Russland stehe – zeigt sich gleichzeitig aber offen für die außenpolitischen Initiativen Donald Trumps.

Noch vor zwei Jahren positionierte sich die Bürgerkoalition als migrationsfreundlich und menschenrechtsorientiert. Sie warf der PiS vor, an der polnisch-belarussischen Grenze gegen das Völkerrecht zu verstoßen. Heute jedoch herrscht parteiübergreifend – mit Ausnahme der Linken – weitgehende Einigkeit in einer skeptischen, teils feindseligen Haltung gegenüber Migration, sowohl in Bezug auf Arbeitsmigration als auch auf die Aufnahme von Geflüchteten. Diese politische Verschiebung wirkt umso paradoxer, als über 80 Prozent der Erwachsenen mit Migrationsgeschichte in Polen einer Erwerbstätigkeit nachgehen. Im Gegensatz zu Deutschland haben sie keinen Anspruch auf Sozialleistungen. Polens Attraktivität liegt vielmehr in einem vergleichsweise unkomplizierten Verfahren zur Erlangung von Arbeits- und Aufenthaltstiteln.

2022 engagierten die Menschen in Polen sich in beeindruckender Weise für die Aufnahme ukrainischer Geflüchteter. Damals waren 90 Prozent der polnischen Bevölkerung dafür, dass sie staatliche Hilfe bekommen sollten. Heute unterstützen 88 Prozent das Vorhaben, Familienleistungen – das sind 180 Euro pro Monat für jedes Kind – für ukrainische Geflüchtete zu begrenzen. Mentzen brachte dieses Thema im vergangenen Jahr auf, und im Januar sprachen sich auch Trzaskowski und Nawrocki dafür aus.

Anspruchsberechtigt sind laut Trzaskowski nur ukrainische Geflüchtete mit vorübergehendem Schutz, die in Polen arbeiten und Steuern zahlen. Die genauen Voraussetzungen, etwa das jährliche Mindesteinkommen und die Mindeststeuersumme, wurden jedoch noch nicht bekannt gegeben. Obwohl 70 Prozent der ukrainischen Geflüchteten erwerbstätig sind und ihre Steuerabzüge und Beiträge zum Rentenfonds die Kosten ihrer Unterstützungsleistungen decken, fand der Gedanke, die Mittel zu begrenzen, bei Polinnen und Polen immer mehr Anklang. Viele geben an, kriegsmüde zu sein, und wollen damit Unzufriedenheit mit der Ukraine ausdrücken – einem Land, das laut mehreren Umfragen in den Augen vieler Polinnen und Polen zu wenig für sie tue.

Während der Regierungszeit der PiS übte die Bürgerkoalition kaum Kritik an der Zurückweisung von Asylsuchenden an der polnisch-belarussischen Grenze. Als Umfragen zeigten, dass eine Mehrheit der Bevölkerung harte Maßnahmen befürwortet, übernahm auch die neue liberale Regierung das Narrativ vom „hybriden Krieg“ – geprägt von PiS und Konfederacja – und ließ den Grenzzaun weiter ausbauen. Seit das Lukaschenko-Regime im Sommer 2021 versucht, die EU mithilfe unkontrollierter Migration zu destabilisieren, ist die Lage angespannt. Die Krise dauert an: Zwischen dem 1. Januar und dem 10. März 2025 wurden rund 1 200 Menschen beim Versuch aufgegriffen, die Grenze zu überqueren – ein Anstieg von 25 Prozent im Vergleich zum Vorjahreszeitraum.

Mit Wirkung vom 28. März 2025 hat die Tusk-Regierung die Annahme von Asylanträgen an der polnisch-belarussischen Grenze vorübergehend ausgesetzt. Die entsprechende Gesetzesänderung war bereits vor einigen Wochen verabschiedet worden. Zwar versprach die Regierung, das Instrument nur in „Extremfällen“ anzuwenden, doch trat die Regelung unmittelbar nach der Unterzeichnung durch den Präsidenten in Kraft. Proteste zahlreicher Menschenrechtsorganisationen wurden als „naiv“ und „verantwortungslos“ abgetan.

Der EU-Migrations- und Asylpakt spielt im polnischen Präsidentschaftswahlkampf bislang nur eine untergeordnete Rolle. Premierminister Donald Tusk weigert sich, den Pakt zu ratifizieren. Er lehnt insbesondere das vorgesehene Umsiedlungsverfahren für Geflüchtete ab – obwohl der Pakt Polen ausdrücklich davon ausnimmt. Zugleich leben weiterhin zahlreiche ukrainische Geflüchtete mit temporärem Schutzstatus im Land.

Trotz der ablehnenden Haltung der Regierung gegenüber dem EU-Migrationspakt und ihrer kritischen Sicht auf Rückübernahmeverfahren, kam es in den vergangenen Monaten vermehrt zu Protestaktionen an der Grenze zu Deutschland. Sympathisanten der rechtsextremen Konfederacja blockierten dabei mehrfach Übergänge – mit dem Vorwurf, Deutschland schiebe im Rahmen des Dublin-Protokolls Migrantinnen und Migranten nach Polen ab. Einer der Wortführer bei den Protesten in Zgorzelec war der ultrarechte Aktivist Robert B?kiewicz, der zuvor bereits antiukrainische Demonstrationen an der Ostgrenze organisiert hatte. Die Protestierenden forderten ständige Grenzkontrollen entlang der gesamten Landgrenze und nutzten das Migrationsthema, um antideutsche und EU-feindliche Ressentiments zu schüren.

Auf der Suche nach Themen, die bei rechten Wählerinnen und Wählern verfangen, verbreitet die polnische Regierung das Narrativ einer angeblich hohen Kriminalitätsrate unter Migranten. Dabei liegt der Anteil an Straftaten unter Zugewanderten laut offiziellen Statistiken niedriger als in der einheimischen Bevölkerung. Dennoch machte Premierminister Tusk die Abschiebung von Migranten, die verhaftet und einer Straftat beschuldigt wurden, zum zentralen Thema seiner Social-Media-Kampagne. Das Innenministerium setzte bereits Dutzende georgische Staatsbürger in eigens bereitgestellten Militärflugzeugen außer Landes – eine Aktion, die öffentlichkeitswirksam inszeniert wurde.

Darüber hinaus vergibt die polnische Regierung weiterhin nur eingeschränkt Visa an Studierende und Arbeitssuchende aus Asien, Afrika und Lateinamerika. Der stellvertretende Innenminister, Professor Maciej Duszczyk, vertritt die Ansicht, Polen habe seine Integrationskapazitäten bereits ausgeschöpft. Es sei daher unverantwortlich, noch mehr aufenthaltsberechtigte Personen mit ausländischer Staatsangehörigkeit ins Land zu lassen. Grundsätzlich plädiert Duszczyk für einen hochselektiven Ansatz in der Einwanderungspolitik: Ärzte, medizinisches Fachpersonal und bestimmte gering qualifizierte Arbeitskräfte sollen gezielt angeworben werden – andere Zuwanderungsoptionen hingegen eingefroren. Um die Einzahlungen in den polnischen Rentenfonds zu erhöhen, liegt ein Vorschlag auf dem Tisch, Arbeitserlaubnisse künftig nur noch an Personen zu vergeben, die in Polen im Rahmen eines regulären Arbeitsvertrags beschäftigt sind – eine Voraussetzung, die derzeit weniger als 40 Prozent der Migrantinnen und Migranten erfüllen.

Fachleute betonen zwar, Integration sei der Schlüssel zu erfolgreicher Migrationspolitik und sozialem Zusammenhalt, aber für dieses Ziel wird in Polen wenig getan. Vor den Präsidentschaftswahlen hatte die Regierung vor, ein landesweites Netzwerk von EU-finanzierten Einwanderungszentren aufzubauen. Zum ersten Mal hätte der polnische Staat Migrantinnen und Migranten Sprachkurse, psychologische Hilfe und Rechtsberatung angeboten. Nach Kritik von PiS und Konfederacja wurde das Projekt jedoch auf Eis gelegt.

Wie bereits in der PiS-Ära liegt die Aufgabe, Migrantinnen und Migranten das Ankommen in Polen zu erleichtern, weiterhin größtenteils bei der Zivilgesellschaft. Sollte Rafa? Trzaskowski die Präsidentschaftswahl gewinnen, könnte die Bürgerkoalition einen entspannteren Kurs in der Migrationspolitik einschlagen und die längst versprochenen Integrationsprojekte tatsächlich auf den Weg bringen. Doch indem sie Migration im Wahlkampf mal als „Bedrohung“, mal als „notwendiges Übel“ darstellt, stärkt sie auf lange Sicht vor allem jene Kräfte, die diese Narrative schon immer vertreten haben: PiS und Konfederacja. IPG 3

 

 

 

 

 

Trump-Zölle könnten BIP um 0,3 Prozent reduzieren

 

München – Die von US-Präsident angekündigten Zölle würden die deutsche Wirtschaft massiv schädigen. Nach ersten Berechnungen des ifo Instituts würden die neuen Zölle das BIP in diesem Jahr um 0,3 Prozent reduzieren. Einige Schlüsselbranchen wie Auto und Maschinenbau wären besonders stark betroffen. „Da Deutschlands Wirtschaft bereits stagniert, ist es möglich, dass die US-Zölle das Wirtschaftswachstum in Deutschland unter die Nulllinie drücken“, sagt ifo-Präsident Clemens Fuest. 

 

„Wenn die USA bei den angekündigten Zöllen bleiben, ist das der größte Angriff auf den Freihandel seit dem 2. Weltkrieg“, sagt Fuest. Die deutsche Wirtschaft leidet nach Ansicht der ifo Experten dreifach: Erstens, weil Deutschland weniger in die USA exportieren kann. Zweitens, weil Deutschland aufgrund der geringeren Wettbewerbsfähigkeit Chinas weniger nach China exportieren kann. Drittens, weil Länder wie China dann stärker auf andere Exportmärkte ausweichen müssen und damit deutsche Unternehmen zusätzlich unter Druck setzen werden.

 

„Die Zolldifferenz zwischen den USA und der EU beträgt durchschnittlich nur 0,5 Prozentpunkte. Dass gegenüber der EU dennoch zusätzliche Zölle in Höhe von 20 Prozent verhängt wurden, zeigt, dass die US-Regierung das Niveau gegenseitiger Zölle willkürlich festgelegt hat und dabei auch handelsfremde Aspekte wie Mehrwertsteuersätze miteinbezogen hat“, sagt ifo Außenhandelsexpertin Lisandra Flach. „Da eine solche Interpretation von Reziprozität von nur wenigen Handelspartnern weltweit geteilt wird, macht das bilaterale Verhandlungen mit der US-Regierung schwierig“, so Flach.

 

Die Europäische Union sollte mit größtmöglicher Geschlossenheit auf die neuen US-Zölle reagieren und konkrete Gegenmaßnahmen androhen, beispielsweise eine Digitalsteuer, die die USA empfindlich treffen würden. „Eine vorschnelle Reaktion mit Gegenzöllen wäre aber kontraproduktiv und könnte eine handelspolitische Eskalationsspirale weiter befördern“, warnt ifo Experte Andreas Baur. Man sollte erst verhandeln, allerdings mit einer relativ kurzen Frist bis zum Inkrafttreten der Gegenmaßnahmen.

 

Die Strategie des US-Präsidenten ist nach Ansicht von ifo Präsident Clemens Fuest wenig überzeugend: „Die Wettbewerbsfähigkeit einer Volkswirtschaft misst sich an ihrer Produktivität, nicht am Außenhandelssaldo. Die Produktivität wird sinken, weil die Zölle die internationale Arbeitsteilung beeinträchtigen. Wenn Trump Investitionen in die USA locken und gleichzeitig das Handelsdefizit reduzieren möchte, müssen die Amerikaner selbst mehr sparen. Das erfordert schmerzhafte Anpassungen in Form von Konsumverzicht.“

Auch die Idee, direkte Steuern mit Zöllen ganz zu ersetzen, ist nach Ansicht von Fuest illusorisch. Dennoch könne Trump die Einnahmen verwenden, um die direkten Steuern zu senken. Allerdings würde das stark regressiv wirken. „Wenn Trump außerdem das Budgetdefizit senken will, wie er behauptet, wird es nichts mit den Steuersenkungen.“ Ifo 3

 

 

 

 

 

Studie. Soziale Herkunft entscheidet in Deutschland über guten Schulstart

 

Sprach- und Mathekompetenzen hängen in Deutschland bei Schulstart stark von der sozialen Herkunft ab. Das ist das Ergebnis einer aktuellen DIW-Studie. Danach schneidet Deutschland bei einem internationalen Vergleich schlecht ab.

Die schulischen Fähigkeiten sind einer Studie des Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) zufolge besonders stark von der sozialen Herkunft bestimmt. Bei sprachlichen Kompetenzen sei dieser Zusammenhang in Deutschland stärker als in allen anderen untersuchten Ländern, teilte das DIW am Mittwoch in Berlin mit. Mathematische Kompetenzen seien nur in den USA ähnlich durch soziale Ungleichheit bedingt wie hierzulande.

Für die Studie hatte das DIW in Zusammenarbeit mit der Uni Leipzig repräsentative Datensätze aus Frankreich, Großbritannien, Japan, den Niederlanden, den USA und Deutschland verglichen. Untersucht wurden dabei die Kompetenzen von Schulanfängern. Dies erlaube Rückschlüsse darauf, welche Bedingungen neben dem Schulsystem selbst Ungleichheiten beförderten, hieß es. Der Bildungsstand der Eltern war dabei meist einflussreicher als deren Einkommen.

Mangelhafte frühkindliche Bildungsangebote

Demnach können in Deutschland 19,5 Prozent der sprachlichen Kompetenzunterschiede bei Schulbeginn mit der Herkunft erklärt werden. Beim Spitzenreiter Japan waren es 4,6 Prozent. Bei mathematischen Unterschieden waren es in Deutschland 13,9 Prozent. Auch hier erzielte Japan mit 7,1 Prozent den besten Wert.

Nach den Worten des Studienautors Jascha Dräger liegen die schlechten Werte Deutschlands an dessen mangelhaften frühkindlichen Bildungsangeboten. „Besonders gebührenfreie und hochwertige Betreuungsangebote sowie eine gezielte Unterstützung sozial benachteiligter Familien beim Kita-Zugang könnten dazu beitragen, die Startchancen für Kinder unabhängig von ihrem familiären Hintergrund zu verbessern“, empfahl er. (epd/mig 3)

 

 

 

 

Culture Moves Europe: Drei Jahre kulturelle Begegnungen in Europa

 

Mit Culture Moves Europe setzt das Goethe-Institut das größte Programm der europäischen Union für kulturelle Mobilität um. Seit 2022 wurden über 7.000 Kunst- und Kulturschaffende aus 40 Ländern gefördert. Die Europäische Kommission und das Goethe-Institut leisten damit einen wichtigen Beitrag zu gesellschaftlichem Austausch und Zusammenhalt in Europa.

 

In Zeiten rasanter geopolitischer Veränderungen schaffen Kunst und Kultur Räume für internationalen Dialog und Verständigung. Während die internationale Gemeinschaft mit wachsenden politischen Spannungen, den gewaltigen Auswirkungen der Klimakrise und einem Anstieg rechtspopulistischer Bewegungen konfrontiert ist, geraten künstlerische Freiheit und Autonomie zunehmend unter Druck. Umso entscheidender ist es, gerade jetzt internationalen Austausch und künstlerische Kooperation über verschiedene Länder hinweg zu fördern.

 

Mit Culture Moves Europe leisten die Europäische Kommission und das Goethe-Institut einen wichtigen Beitrag hierzu. In der ersten Projektphase, von 2022 bis 2025, deren Abschluss heute in Brüssel gefeiert wird, betrug das Budget aus Mitteln der EU rund 21 Millionen Euro. Damit hatten über 7.000 Kunst- und Kulturschaffenden aus 40 Ländern die Möglichkeit international zu arbeiten. Das bedeutet über 160.000 Tage, an denen kulturelle Netzwerke und internationaler Zusammenhalt gefördert wurden, und zwar nicht nur zwischen den 27 EU-Mitgliedsstaaten, sondern auch mit benachbarten Ländern wie Serbien, Georgien, Tunesien oder der Ukraine.

 

Johannes Ebert, der Generalsekretär der Goethe-Instituts, unterstreicht die Relevanz kultureller Zusammenarbeit in Krisenzeiten: "Culture Moves Europe ist das zentrale Programm der europäischen künstlerischen Mobilität und ein wichtiger Beitrag zum europäischen Zusammenhalt. Es ermöglicht Kunst- und Kulturschaffenden, ihre einzigartigen Perspektiven und Erfahrungen grenzüberschreitend zu teilen. Dieser Austausch trägt zu gegenseitigem Verständnis bei und gibt wichtige praktische Impulse für die Arbeit von Künstlern und Kulturmanagerinnen. So entstehen nachhaltige europäische Netzwerke der Zusammenarbeit und des Vertrauens."

 

Ein bedarfsorientiertes Programm mit Fokus auf Nachhaltigkeit und Inklusion

Culture Moves Europe richtet sich an Künstler*innen und Kreative aus den Bereichen Architektur, Kulturerbe, Design und Modedesign, Literatur, Musik, darstellende Kunst und bildende Kunst. Sie erhalten entweder Förderung für eigene Projekte oder nehmen an Residenzprogrammen teil, die durch Culture Moves Europe unterstützt werden. Mit einem bedarfsorientierten und niedrigschwelligen Antragsverfahren reagiert das Programm auf die Realitäten des Kultursektors und legt besonderen Wert auf die Förderung von aufstrebenden Kunst- und Kulturschaffenden.

 

Dabei stehen Nachhaltigkeit und Inklusion im Mittelpunkt: ermuntert durch finanzielle Anreize, nutzen mehr als 50% der Geförderten umweltfreundliche Transportmittel anstelle von Flugreisen. Eigens bereitgestellte Ressourcen unterstützen bei der Entwicklung nachhaltiger Projektansätze. Künstler*innen, für die die Teilnahme an internationalen Projekten mit besonderen Hürden verbunden ist, erhalten zusätzliche Förderung. Es gibt beispielsweise Zuschüsse für Menschen mit Behinderungen, Visakosten oder Teilnehmende mit Kindern.

 

Culture Moves Europe geht weiter

80% der Teilnehmer*innen geben an, dass sie ihre Projekte ohne die Unterstützung von Culture Moves Europe nicht ätten durchführen können, 99,6% würden das Programm weiterempfehlen. Aufbauend auf diesem Erfolg wird Culture Moves Europe mit einer zweiten Projektphase fortgesetzt, die voraussichtlich Mitte 2025 startet.

Weitere Informationen zu Culture Moves Europe finden Sie hier: https://www.goethe.de/culturemoveseurope  

 

Culture Moves Europe fördert die Mobilität von Kunst- und Kulturschaffenden in den 40 Creative Europe-Ländern, die in den Bereiche Architektur, Kulturerbe, Design und Modedesign, literarische Übersetzung, Musik, darstellende Kunst und bildende Kunst tätig sind. Das Förderprogramm besteht aus zwei Aktionslinien: Individuelle Mobilität und Residenzen. Gezielte Maßnahmen sollen umweltfreundliche Mobilität sowie Zugänglichkeit für alle Akteur*innen des Kultur- und Kreativsektors sicherstellen. Culture Moves Europe wird von der Europäischen Union finanziert und vom Goethe-Institut umgesetzt.

 

Das Goethe-Institut ist das weltweit tätige Kulturinstitut der Bundesrepublik Deutschland. Mit derzeit 151 Instituten in 98 Ländern fördert es die Kenntnis der deutschen Sprache, pflegt die internationale kulturelle Zusammenarbeit und vermittelt ein aktuelles Deutschlandbild. Durch Kooperationen mit Partnereinrichtungen an zahlreichen weiteren Orten verfügt das Goethe-Institut insgesamt über rund 1.000 Anlaufstellen weltweit. www.goethe.de.  GI 3

 

 

 

 

 

Hinkende Vergleiche, falsche Schlüsse

 

Kriminalität und Migration: Was sagen die Zahlen wirklich?

Oft wird versucht, einen Zusammenhang zwischen Migration und Kriminalität herzustellen. Bei Vorstellung von Polizeilichen Kriminalstatistiken geht dann oft eine Debatte um. Experten fordern eine differenzierte Betrachtung der Realität. Von Serhat Koçak

In der öffentlichen Debatte ist immer wieder zu hören, dass Migration angeblich zu einer Zunahme der Kriminalität in Deutschland führe. Dieser Eindruck wird oft mit dem Verweis auf die Anzahl der ausländischen Tatverdächtigen in Kriminalstatistiken unterstrichen.

Die genaue Analyse der Zahlen zeigt aber, dass solche Pauschalaussagen problematisch sind. Expertinnen und Experten weisen darauf hin, dass die Polizeiliche Kriminalstatistik (PKS) eine Vielzahl von Verzerrungen aufweist, die eine direkte Verbindung etwa zwischen Migration und höherer Kriminalität nicht einfach belegen lassen.

Hinkende Vergleiche

Eine klassische These, die beispielsweise in den sozialen Medien immer wieder verbreitet wird: Vergleicht man die Zahl der Ausländer, denen in der Bundesrepublik eine Straftat vorgeworfen wird, mit ihrem Anteil an der Bevölkerung, so sollen sie vermeintlich krimineller sein als Deutsche.

Das Problem bei solch einem Vergleich ist aber: Während in der Kriminalitätsstatistik bestimmte Ausländergruppen wie beispielsweise Menschen ohne Aufenthaltserlaubnis, Durchreisende, Touristen, Grenzpendler oder stationierte Streitkräfte mitgezählt werden, kommen diese Gruppen von Menschen in der Statistik der Wohnbevölkerung gar nicht vor. Sprich: Von den nichtdeutschen Tatverdächtigen wohnt ein nicht geringer Teil gar nicht in der Bundesrepublik.

Deutsche andererseits, die im Ausland etwa als Urlauber oder Geschäftsreisende Straftaten begehen, landen erst gar nicht in der deutschen PKS.

Grundsätzlich erfasst die PKS alle der Polizei bekanntgewordenen Straftaten, einschließlich Tatverdächtigen- und Opferzahlen, und dient der Kriminalitätsanalyse. Sie bildet jedoch nur das sogenannte Hellfeld ab. Sie zählt Straftaten, die angezeigt oder polizeilich registriert wurden. Als Dunkelfeld werden Straftaten bezeichnet, die nicht gemeldet werden. Daher gibt die PKS zwar einen Überblick über Kriminalitätstrends, aber kein vollständiges Bild der tatsächlichen Kriminalitätslage.

Unterschiedliche Hintergründe, falsche Schlüsse

Gerade bei der Untersuchung von Ausländerkriminalität sei das problematisch, sagt Susann Prätor, Kriminologin und Professorin an der Polizeiakademie Niedersachsen, da „dieser Ausschnitt der Kriminalität durch verschiedene Faktoren noch mal verzerrt wird“. Sie kritisiert, dass Straftaten wie Verstöße gegen das Asyl- oder Aufenthaltsgesetz nur von Nichtdeutschen begangen werden können und deshalb die Statistik in diesem Bereich verfälsche. Dies müsse berücksichtigt werden, da es die Zahl der Tatverdächtigen in der ausländischen Bevölkerung in die Höhe treibe, „weil eben nur diese Personengruppen überhaupt diese Straftaten begehen können.“

Die Kriminologin betont, dass die Gruppe der Nichtdeutschen äußerst heterogen sei und keine einheitliche Kategorie bilde. In einem Raum versammelt fänden sich Menschen unterschiedlicher Hintergründe: Einwanderer aus den USA, die ihre ursprüngliche Staatsangehörigkeit behalten haben, Geflüchtete aus Syrien mit traumatischen Erfahrungen, türkische Migranten, die seit Jahrzehnten in Deutschland leben, Touristen oder auch Personen, die gezielt einreisen, um Straftaten zu begehen.

„Wenn Sie die Gruppe fragen würden, was das verbindende Merkmal ist, würde die Gruppe Ihnen wahrscheinlich sagen, überhaupt keines, weil sie so unterschiedlich sind. Und das Einzige, was sie verbindet, ist der nichtdeutsche Pass.“ Die Lebensumstände innerhalb dieser Gruppe seien jedoch so verschieden, dass sich daraus keine allgemeingültigen Aussagen über Kriminalitätswahrscheinlichkeiten ableiten ließen.

Forderungen nach einer differenzierteren Betrachtung

Die Diskussion um die Polizeiliche Kriminalstatistik wird regelmäßig angestoßen, insbesondere wenn es um die Frage geht, inwieweit sie ein realistisches Bild der Kriminalität abbildet. „Es gibt immer wieder Stimmen, die eine Abschaffung der PKS fordern, eben weil sie nur eine Hellfeldstatistik darstellt“, sagt Dirk Baier, Leiter des Instituts für Delinquenz und Kriminalprävention an der Hochschule für Angewandte Wissenschaften in Zürich. Doch statt diese abzuschaffen, solle man eher immer wieder erwähnen, dass es eine Anzeigestatistik ist.

Die PKS erfasst nämlich lediglich Tatverdächtige – also Personen, gegen die Ermittlungen geführt werden, ohne dass dabei eine abschließende juristische Bewertung erfolgt. Soll etwa heißen: Ob ein Gericht später einen Tatverdächtigen verurteilt oder freispricht, ist nicht herauszulesen.

„Wir wissen, insbesondere auf Basis von Jugendstudien, dass die Anzeigebereitschaft einem ausländischen Täter gegenüber bis zu 50 Prozent höher liegt als einem deutschen Täter gegenüber“, erklärt der Soziologe. Dieser Unterschied sinke aber, je schwerer eine Straftat sei. Ebenso wie grundsätzlich mit der Schwere einer Straftat die Anzeigebereitschaft steige.

Soziale Ungleichheit als Treiber von Vergehen

Es könnte sein, dass Konflikte schwerer zu lösen sind, weil Menschen unterschiedliche Sprachen sprechen oder aus verschiedenen Kulturen kommen. Denkbar sei aber auch, dass Ressentiments, Vorurteile und Fremdenfeindlichkeit eine Rolle spielen, warum ein ausländischer Täter eher angezeigt werde.

Kriminalität sei kein Naturereignis, dem eine Gesellschaft schutzlos ausgesetzt sei, sagt Baier. Vielmehr sei sie durch soziale Faktoren mitbestimmt. Dies zeigt sich beispielsweise mit Blick auf gesellschaftliche Ungleichheiten wie etwa des Einkommens, des Vermögens oder der Bildung. „Wenn Ungleichheiten zunehmen, nimmt Kriminalität zu. Wenn es hingegen gelingt, allen Menschen über sozialstaatliche Leistungen ein einigermaßen gutes Leben zu ermöglichen, gibt es weniger Kriminalität.“ (dpa/mig 3)

 

 

 

 

 

Erdbeben in Myanmar:  Versorgung läuft an. World Vision befürchtet Missbrauch von Kindern 

 

Friedrichsdorf. – Nach dem starken Erdbeben in Myanmar hat die internationale Kinderhilfsorganisation World Vision die Versorgung von Überlebenden mit Hilfsgütern begonnen. Auch abgelegene Dörfer konnten von World Vision erreicht werden. 

Zerstörte Straßen, beschädigte Infrastruktur und häufige Stromausfälle erschweren zwar die Arbeit der Einsatzteams von World Vision. Doch sie konnten jetzt auch Überlebende in abgelegenen Dörfern in den am stärksten betroffenen Gebieten in der Region Mandalay unterstützen. Verteilungen lebenswichtiger Hilfsgüter wie Lebensmittel, sauberem Wasser und Materialien für Unterkünfte wurden bereits geleistet. So hat ein lokales Einsatz-Team gestern 500 Haushalte mit je 50 Kilogramm Reis versorgt. Zudem wurde Trinkwasser geliefert und Familien bekamen Hilfsgüter wie Matten, Tücher und Moskitonetze. 

„Der humanitäre Bedarf in Myanmar ist immens“, so Dr. Kyi Minn, Landesdirektor von World Vision in Myanmar. „Die Familien kämpfen mit sehr hohen Temperaturen, großer Hitze und Wassermangel ohne Unterkunft, Nahrung oder medizinische Versorgung und erleiden gleichzeitig ein schweres körperliches und emotionales Trauma.“ 

World Vision arbeitet zudem daran, den Zugang zu medizinischer Versorgung, sanitären Einrichtungen und psychosozialer Unterstützung für die betroffenen Kinder und ihre Familien zu ermöglichen.  

Kyi Minn betont, dass der Schutz der Kinder oberste Priorität haben muss. „Kinder sind während einer humanitären Krise immer am stärksten gefährdet. Schon vor diesem Erdbeben war die Lage der Kinder in Myanmar katastrophal“, so Minn. „Jetzt haben die Zerstörungen das Leid der Familien noch verschlimmert und die Kinder in große Gefahr gebracht. In Notsituationen wie dieser sind manche Kinder gezwungen zu fliehen, werden von ihren Familien getrennt und sind Ausbeutung und Missbrauch ausgesetzt. Sie sind der Gefahr ausgesetzt, verletzt oder sogar getötet zu werden. Mädchen sind besonders gefährdet.“ 

World Vision Deutschland ist für die Durchführung der Projekte und für die Erbebenopfer in Myanmar und Thailand auf Spenden angewiesen: 

 

World Vision Deutschland e.V. 

Spendenkonto: PAX-Bank eG 

IBAN DE72 3706 0193 4010 5000 07 

BIC GENODED1PAX 

Stichwort: Erdbeben Myanmar 

Online: Jetzt für Katastrophenhilfe spenden 

World Vision Deutschland ist Mitglied bei “Aktion Deutschland hilft” 

Aktion Deutschland Hilft e.V. 

DE62 3702 0500 0000 1020 30 

BIC: BFSWDE33XXX 

SozialBank Stichwort: Erdbeben Myanmar  Wv 2

 

 

 

 

 

UNHCR warnt. Streichungen der Hilfsgelder lassen Millionen Menschen hungern

 

US-Präsident Trump und andere Länder streichen die Gelder für die humanitäre Hilfe zusammen. Rund 58 Millionen Menschen droht deshalb Hunger. Viele Binnenflüchtlinge könnten noch mehr leiden. Auch in Deutschland könnte es Kürzungen geben.

Politiker versprechen wiederholt, Fluchtursachen bekämpfen zu wollen. Eines der wichtigsten Instrumente dafür sind Hilfsgelder. Diese werden entgegen dem Versprechen allerdings immer mehr gekürzt. Die Vereinten Nationen warnen vor dramatischen Folgen der Mittelkürzungen der USA und anderer Länder für die globale humanitäre Hilfe. Rund 58 Millionen Menschen seien vom Verlust lebensrettender Essensrationen bedroht, warnte das Welternährungsprogramm. Das Hilfswerk UNHCR betonte, dass die Streichungen Millionen Menschen auf der Flucht treffen könnten.

Nach Angaben des Welternährungsprogramms ist die Bevölkerung in 28 Krisengebieten durch Lebensmittelmangel gefährdet, darunter Sudan, die Demokratische Republik Kongo und die Palästinenser-Gebiete. Bereits in den vergangenen zwei Jahren habe das WFP immer weniger Gelder erhalten. Die Organisation rechnet nochmals mit einem Rückgang der Finanzierung um 40 Prozent in diesem Jahr.

Lebensbedrohliche Konsequenzen

Präsident Donald Trump hatte im Januar alle US-Hilfsprogramme im Ausland für eine 90-tägige Überprüfung ausgesetzt. Er strich die humanitären Programme der Hilfsagentur USAID massiv zusammen. Auch andere Regierungen kürzten ihre Zahlungen für humanitäre Programme weltweit.

„Wir stehen vor einem finanziellen Abgrund mit lebensbedrohlichen Konsequenzen“, sagte Rania Dagash-Kamara, beigeordnete Exekutivdirektorin beim Welternährungsprogramm. „Notfall-Ernährungsprogramme retten nicht nur Leben und lindern menschliches Leid. Sie bringen auch dringend benötigte Stabilität in fragile Gemeinschaften“ unterstrich sie.

Globale Hungersituation dramatisch verschärft

Die globale Hungersituation habe sich dramatisch verschärft. Rund 343 Millionen Menschen seien von akuter Ernährungsunsicherheit betroffen. Ursachen seien Konflikte, wirtschaftliche Instabilität und klimabedingte Katastrophen. Im laufenden Jahr 2025 plane das WFP, etwas mehr als ein Drittel dieser Menschen zu unterstützen, das seien rund 123 Millionen der weltweit Hungernden.

Im Sudan benötige das WFP fast 570 Millionen US-Dollar, um monatlich über sieben Millionen Menschen zu versorgen. Insgesamt litten dort 24,6 Millionen Menschen unter akutem Hunger. In der Demokratischen Republik Kongo brauche das UN-Programm 399 Millionen US-Dollar, um 6,4 Millionen Menschen zu ernähren.

Millionen ohne lebensrettende Gesundheitsmaßnahmen

Für die Palästinenser-Gebiete veranschlagt das WFP den Angaben zufolge rund 265 Millionen US-Dollar für die nächsten sechs Monate. Damit sollen 1,4 Millionen Menschen im Gaza-Streifen und im Westjordanland mit Lebensmittel versorgt werden. Weitere Brennpunkte seien Syrien, Libanon, Südsudan, Myanmar, Haiti und die Sahelzone.

Das UNHCR warnte, dass ohne angemessene Mittel schätzungsweise 12,8 Millionen Vertriebene im Jahr 2025 ohne lebensrettende Gesundheitsmaßnahmen dastehen dürften. Davon seien 6,3 Millionen Kinder. Die derzeitige humanitäre Finanzierungskrise beeinträchtige den Umfang und die Qualität der öffentlichen Gesundheits- und Ernährungsprogramme für Flüchtlinge. Das Risiko von Krankheitsausbrüchen, Unterernährung, unbehandelten chronischen Erkrankungen und psychischen Problemen steige.

Warnungen vor Kürzung bei Entwicklungshilfe auch in Deutschland

Auch in Deutschland stehen Kürzungen in der Entwicklungshilfe bevor. Die Union plädiert in den derzeit laufenden Koalitionsverhandlungen mit der SPD für eine Integration des Bundesentwicklungsministeriums ins Auswärtige Amt. Die SPD – die derzeit auch die geschäftsführende Entwicklungsministerin Svenja Schulze stellt – hält an dem Ministerium fest. Strittig ist auch die zukünftige Höhe der Ausgaben für Hilfsprojekte im Ausland.

Die Kirchen warnen vor Einschnitten bei der Entwicklungszusammenarbeit. In einem am Freitag veröffentlichten gemeinsamen Aufruf äußerten sich der stellvertretende Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Tobias Bilz, und der Vorsitzende der Kommission Weltkirche der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, Bertram Meier, mit Blick auf die laufenden Koalitionsverhandlungen besorgt über mögliche Kürzungen.

„Die Welt steht vor großen Aufgaben: Klimawandel, Hunger, Flucht und Krisen erfordern internationale Zusammenarbeit und Solidarität“, heißt es dem ökumenischen Aufruf: „Vor diesem Hintergrund erfüllen uns Überlegungen bei den laufenden Koalitionsverhandlungen, die deutsche Entwicklungspolitik drastisch zu kürzen, mit großer Sorge.“ (epd/mig 2)

 

 

 

 

 

Entwicklung in Deutschland wird wieder positiver gesehen, aber wachsende Sorge vor militärischen Konflikten

 

Hamburg – Nach der Bundestagswahl formiert sich derzeit eine neue Regierung, gleichzeitig hat der Krieg in der Ukraine durch die wenig erfolgreichen Friedensbemühungen Donald Trumps neue Relevanz gewonnen. Beide Entwicklungen hinterlassen ihre Spuren in der Meinungs- und Gefühlslage der Deutschen – das zeigt die aktuelle Erhebung der Ipsos-Studie „What Worries the World“, die monatlich in 29 Ländern durchgeführt wird.

* Wenige Wochen nach der Bundestagswahl nimmt das Gefühl, dass sich Deutschland in die richtige Richtung entwickelt, wieder messbar zu – wenn auch auf niedrigem Niveau: Aktuell sind 21 Prozent der Bundesbürger der Meinung, dass es mit dem Land wieder aufwärts geht. Das sind 4 Prozentpunkte mehr als im Vormonat, als ein neuer Tiefstand erreicht wurde. Im weltweiten Vergleich liegt Deutschland damit aber immer noch auf dem viertletzten Platz. Nur in Südkorea, Frankreich und Peru wird die Lage noch pessimistischer eingeschätzt.

* Auch die wirtschaftliche Lage wird kritisch beurteilt: Drei Viertel der Deutschen (74 %) halten sie weiterhin für schlecht – ein Prozentpunkt weniger als im Vormonat.

* Nach der öffentlichen Eskalation zwischen US-Präsident Trump und dem ukrainischen Präsidenten Selenskyj nimmt die Sorge vor militärischen Konflikten weltweit zu – in Deutschland um 11 Prozentpunkte auf 27 Prozent. Auch bei den europäischen Nachbarn ist ein Anstieg zu verzeichnen: Neben Deutschland am stärksten in Polen (+5 auf 32 %), Schweden (+10 auf 27 %), den Niederlanden (+8 auf 25 %), Frankreich (+6 auf 15 %) und Italien (+4 auf 14 %).

„Die Präsidentschaft von Donald Trump wird mit Unsicherheit und Polarisierung in Verbindung gebracht“, erklärt Laura Wolfs, Ipsos-Expertin für qualitative Politik- und Sozialforschung. „Ereignisse, die dieses Gefühl der Unsicherheit nähren, wie der offen zur Schau gestellte Konflikt mit Selenskyj, tragen dazu bei, die Kriegsangst weiter zu verstärken. In unserer Ipsos eigenen Online-Community haben wir Ende letzten und Anfang dieses Jahres die Mitglieder nach ihren Gefühlen und Einstellungen zur aktuellen weltpolitischen Lage befragt. Dabei konnten wir bereits feststellen, dass die Besorgnis über den russischen Angriffskrieg zugenommen hat. Eine Teilnehmerin formulierte ihre Sorge so: ‚Dieses Jahr habe ich vor allem Angst vor Kriegen, vor allem weil in den USA nun Donald Trump an der Macht ist.'“

 

Sorgenbarometer: Migration bleibt größte Sorge der Deutschen

Das Thema Migration bereitet 41 Prozent der Deutschen Sorgen und steht damit zum sechsten Mal in Folge an der Spitze des Rankings, auch wenn es seit Februar leicht an Bedeutung verloren hat (-3 Prozentpunkte). Im weltweiten Vergleich liegt Deutschland bei der Sorge um Zuwanderung knapp hinter Chile (44 %) auf Platz zwei, mit einigem Abstand folgen andere europäische Länder wie Großbritannien (32 %) und Frankreich (27 %) sowie die USA (25 %).

An zweiter Stelle der größten Sorgen der Deutschen steht wieder die Angst vor Armut und sozialer Ungleichheit (33 %), die im Vergleich zum Vormonat um 3 Prozentpunkte gestiegen ist. Dagegen haben die Themen Kriminalität und Gewalt (31 % | -5) sowie Inflation (27 % | -4) seit der Bundestagswahl deutlich an Bedeutung verloren. Die Inflation, die vom Sommer 2022 bis zum Herbst 2023 die größte Sorge der Deutschen war, liegt im weltweiten Durchschnitt auch heute noch auf Platz 1.

Die stark gestiegene Angst vor militärischen Konflikten (27 % | +11) komplettiert in Deutschland die Top 5 des Ipsos-Sorgenbarometers – dicht gefolgt von der Angst vor zunehmendem Extremismus (23% | ±0), die nirgendwo größer ist als in Deutschland, und der Sorge vor den Folgen des Klimawandels (22% | +3). Ipsos 2

 

 

 

 

 

 

Rücktrittsforderungen

 

Chef vom Bundesamt FÜR Flüchtlinge – GEGEN Asyl

Eigentlich heißt die Behörde, die Bamf-Chef Sommer leitet, Bundesamt FÜR Migration und Flüchtlinge. Jetzt fordert Sommer aber eine Politik GEGEN Asyl. Grüne und Linke fordern seinen Rücktritt.

Innenpolitiker von Grünen und Linken fordern den Rücktritt des Präsidenten des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge (Bamf), Hans-Eckhard Sommer. Hintergrund ist, dass er sich für einen radikalen Kurswechsel in der Asylpolitik ausgesprochen hat – weg von der Prüfung individueller Asylanträge, hin zu humanitären Aufnahmen über Kontingente.

Das Bamf untersteht dem Bundesinnenministerium. Die geschäftsführende Ministerin Nancy Faeser (SPD) macht sich die Aussage von Sommer bei einer Pressekonferenz zu Migrationsfragen zwar nicht zu eigen. Personelle Konsequenzen kündigt sie aber nicht an. Auf die Frage eines Journalisten, ob sie mit dem Behördenchef über seinen Vorschlag sprechen wird, antwortet Faeser lediglich: „Ich spreche immer mit Herrn Sommer.“ Von seinem Vorschlage halte Faeser aber nicht viel. „Das Asylrecht steht für die SPD nicht zur Disposition.“

Ihr Parteikollege, der Bundestagsabgeordnete Ralf Stegner, sagt derweil dem „Handelsblatt“: „Solche öffentlichen Äußerungen eines Behördenchefs widersprechen seiner Verantwortung, verletzen mutmaßlich die Dienstpflichten und ziehen in der Regel personelle Konsequenzen nach sich.“

Bamf-Präsident hielt Vortrag nach eigener Aussage als Privatperson

Sommer hatte am Montag bei einer Veranstaltung der Konrad-Adenauer-Stiftung gesagt, es sei falsch, am individuellen Asylrecht festzuhalten und auf positive Effekte der beschlossenen Reform des Gemeinsamen Europäischen Asylsystems (GEAS) zu hoffen. Sinnvoller wäre es nach seinen Worten, das aktuelle System durch humanitäre Aufnahmen „in beachtlicher Höhe“ zu ersetzen. Neben humanitären Gesichtspunkten könne hier auch die Integrationsfähigkeit des Arbeitsmarkts eine Rolle spielen.

Wer dennoch unerlaubt nach Deutschland einreise, hätte dann keine Aussicht mehr auf ein Bleiberecht. Sommer, der CSU-Mitglied ist und vor seiner Bamf-Amtsübernahme als Hardliner in Asylfragen galt, hatte zu Beginn seiner Rede betont, nicht als Bamf-Präsident zu sprechen, sondern seine „persönliche Einschätzung“ und eine Zusammenfassung seiner Erfahrungen zu präsentieren.

Grünen-Politiker halten Sommer für „nicht tragbar“

„Dass ein Präsident einer deutschen Bundesbehörde geltendes deutsches Recht und das Völkerrecht infrage stellt, ist für einen Rechtsstaat nicht tragbar“, sagt die Migrationsexpertin der Grünen-Fraktion, Filiz Polat. „Bamf-Präsident Sommer hat sich mit seinen Äußerungen zur Abschaffung des individuellen Asylrechts und dem Vorschlag, die Genfer Flüchtlingskonvention zu verändern, für den Rücktritt qualifiziert.“

Die Bundestagsabgeordnete Clara Bünger (Linke) kritisiert als Fehler, dass Faeser den von ihrem Amtsvorgänger Horst Seehofer (CSU) 2018 eingesetzten Bamf-Präsidenten nicht bei ihrem Amtsantritt abgezogen hat. „Wer als Behördenchef die Kernaufgabe seines eigenen Amtes, individuelle Asylprüfungen vorzunehmen, für unzeitgemäß, überflüssig oder gar falsch hält, sollte von seinem Posten zurücktreten.“ Die Grünen-Politikerin Lamya Kaddor nannte Sommers Ideen abenteuerlich.

Noch deutlicher reagierte die Organisation Pro Asyl auf Sommers Vorschlag: „Wenn ausgerechnet der Leiter einer der größten Asylbehörden der Welt das Asylrecht abschaffen will, sollte er seinen Hut nehmen“, sagte Geschäftsführer Karl Kopp.

„Vorauseilender Gehorsam“?

Der Grünen-Vorsitzende Felix Banaszak sagte, dass sich der Präsident des Bamf „als vermeintliche Privatperson auf einer Veranstaltung einer CDU-nahen Stiftung hinsetzt und ein so hohes Gut wie das Grundrecht auf Asyl infrage stellt und unsere Rechtsordnung angreift, ist mit seinem Amt nicht zu vereinbaren“. Womöglich habe Sommer dies mit Blick auf einen vermuteten Wechsel des Innenministeramts zur CDU/CSU „im vorauseilenden Gehorsam“ getan.

Tatsächlich kam der von Sommer vorgeschlagene Kurswechsel beim Parlamentarischen Geschäftsführer der Unionsfraktion, Thorsten Frei (CDU), gut an. „Dass ich diesem Vorschlag gegenüber eine gewisse Sympathie habe, das kann man schon daran sehen, dass ich diesen Vorschlag auch schon einmal unterbreitet habe“, sagte er bei RTL/ntv. In den laufenden Koalitionsverhandlungen habe man darüber aber nicht gesprochen. (dpa/mig 2)

 

 

 

 

 

Trautes Heim

 

Teure Mieten, tiefe Spaltung: Wie die verfehlte Wohnraumpolitik den sozialen Zusammenhalt in Europa gefährdet. Von Gerald Koessl

Das Thema Wohnraum rückt auf der politischen Agenda immer weiter nach oben. Bei den jüngsten regionalen und nationalen Wahlen in Spanien, Österreich und den Niederlanden präsentierten verschiedene politische Parteien ihre Ideen zur Lösung der Wohnungskrise. Für viele Europäerinnen und Europäer ist die Situation in der Tat krisenhaft. Laut der Eurobarometer-Erhebung vom Herbst 2024 gehört die Wohnungsfrage nach Einschätzung der Befragten zu den fünf dringlichsten Problemen im eigenen Land. Dass bezahlbarer Wohnraum als drängendes Problem wahrgenommen wird, ist eindeutig wirtschaftlich begründet. Zwischen 2005 und 2023 wuchs das mittlere verfügbare Einkommen der europäischen Bevölkerung lediglich um 17 Prozent, während die Mieten um 34 Prozent und die Preise für Wohneigentum sogar um 76 Prozent stiegen. Doch der Mangel an bezahlbarem Wohnraum ist nicht nur ein finanzielles Problem. Entscheidender ist, dass er die wirtschaftlichen und sozialen Gräben in Europas Gesellschaften langfristig zu vertiefen droht.

Für die Entkopplung der Preise für Wohneigentum und Mieten von der Einkommensentwicklung sind vor allem zwei Faktoren verantwortlich. Erstens hat die Finanzialisierung von Wohnraum dazu geführt, dass mit Immobilien wie mit Anlagegütern verfahren wird. Ihr Wert wurde so in die Höhe getrieben, dass Wohnraum zunehmend seine Funktion als bezahlbarer und dauerhafter Lebensort verliert. Besonders in der Niedrigzinsphase wurde intensiv spekuliert und investiert, da Immobilien zu den wenigen Anlagemöglichkeiten mit substanziellen Ertragsaussichten zählten. Zweitens wurde über Jahre hinweg zu wenig in neue und erschwingliche Sozialwohnungen investiert. Gleichzeitig wurde vorhandener öffentlicher oder gemeinnütziger Wohnraum privatisiert, sodass der Bestand an bezahlbarem und sicherem Wohnraum in vielen europäischen Ländern geschrumpft ist.

Doch wie haben diese Entwicklungen den sozialen und wirtschaftlichen Zusammenhalt europäischer Gesellschaften verändert? Die Probleme, die durch rasant steigende Immobilienpreise und Mieten entstehen, stehen zwar inzwischen im politischen Fokus. Aber der Anstieg der Hauspreise war lange Zeit nicht nur ein wirtschaftlicher Nebeneffekt, sondern politisch gewollt. Steigende Immobilienpreise bescherten den Hausbesitzern erhebliche Vermögenszuwächse. Oft waren die Mehreinnahmen höher als das, was im gleichen Zeitraum durch Erwerbsarbeit verdient werden konnte. Dieses Phänomen war nicht nur in Städten wie London zu beobachten, wo die Wertsteigerungen von Wohneigentum deutlich das mögliche Erwerbseinkommen überstiegen.

Einerseits flossen im großen Stil spekulative Investitionen in den Wohnungsmarkt, andererseits wurde für Haushalte mit durchschnittlichem Einkommen der Zugang zu Wohneigentum immer mehr erschwert. Im Extremfall führte dieser Teufelskreis dazu, dass viele Eigentümer hohe Überschüsse aus Mietwohnungen erzielten, während für einkommensschwache Mieter Immobilienvermögen unerreichbar wurde. Besonders deutlich zeigt sich dieses Auseinanderdriften in vielen angloamerikanischen Gesellschaften, deren Wirtschaftsordnung stark von der Logik des Neoliberalismus geprägt ist. Nach dieser Logik soll privates Vermögen schrittweise die Rolle des Wohlfahrtsstaates übernehmen. Die sozialen Spaltungen, zu denen es in dieser „Asset-Ökonomie“ kommt, sind somit maßgeblich vom Wohnimmobilienmarkt bestimmt – oder werden sogar durch ihn hervorgerufen.

Die kurzfristige Logik der Wirtschaftspolitik beschert manchen Akteuren beträchtliche Vermögenszuwächse – auf Kosten anderer Teile der Bevölkerung, die nicht von steigenden Immobilienpreisen profitieren. Dies hat allerdings auch fatale ökonomische Konsequenzen: Der Mangel an bezahlbarem Wohnraum mindert die Kaufkraft und belastet zugleich die öffentlichen Haushalte. In den meisten europäischen Ländern steigen die staatlichen Ausgaben für Wohngeld erheblich an. Dieses gilt als aussagekräftiger Indikator für die Probleme von Haushalten, bezahlbaren Wohnraum zu finden. Im Klartext: Die Steuerzahler subventionieren teure Mieten, die überwiegend an Privatvermieter gehen – ohne dass dies die Bezahlbarkeit oder die Qualität des Wohnraumangebots langfristig verbessern würde.

Der Mangel an bezahlbarem Wohnraum betrifft nicht nur die einzelnen Haushalte, sondern belastet auch die Wirtschaft. Zwei Studien zu den ökonomischen Effekten gemeinnütziger Bauvereinigungen in Österreich zeigen: Ein besseres Angebot an bezahlbarem Wohnraum stärkt nicht nur die Kaufkraft und die lokale Wirtschaft, sondern senkt auch die staatlichen Ausgaben für Wohngeld. Zudem wirkt sich die Verfügbarkeit von Wohnraum zu kostenbasierten Mieten preisdämpfend auf den gesamten Wohnungsmarkt aus. Am stärksten unter hohen Wohnkosten zu leiden haben die einkommensschwächeren Haushalte. Da Wohnraum ein Gut des täglichen Bedarfs ist, lassen sich die Wohnkosten nicht analog zum Einkommensniveau anpassen. Darum müssen einkommensschwächere Haushalte einen überproportional großen Anteil ihres Einkommens für ihre Wohnkosten aufwenden. Während der durchschnittliche Anteil der Wohnkosten am verfügbaren Einkommen bei etwa 20 Prozent liegt, beträgt er bei einkommensschwachen Haushalten rund 38 Prozent. Als einkommensschwach gilt ein Haushalt, wenn sein verfügbares Einkommen weniger als 60 Prozent des landesweiten Medianeinkommens liegt.

Der krisenhafte Mangel an bezahlbarem Wohnraum hat auch Auswirkungen auf Quartiersebene. Der steigende Druck auf dem Wohnimmobilienmarkt entfaltet eine Selektions- und Lenkungswirkung, die im urbanen Raum besonders ausgeprägt ist. Einkommensstärkere Haushalte können sich das Wohnen in attraktiven und gut angebundenen innerstädtischen Gebieten leisten; Haushalte mit geringem Einkommen haben dagegen immer weniger Wohnortoptionen. Im internationalen Vergleich ist die Segregation in den europäischen Städten noch verhältnismäßig moderat, aber in den Hauptstädten nimmt die sozioökonomische Entmischung erkennbar zu. Der Mangel an bezahlbarem Wohnraum gefährdet nicht nur die finanzielle Stabilität vieler Menschen und schmälert ihre Konsummöglichkeiten – er kann auch zu bleibenden Rissen im Sozialgefüge unserer Städte und Stadtviertel führen. Besonders bei Menschen, die wirtschaftlich nicht abgesichert sind und in prekären Wohnverhältnissen leben, steigt das Risiko sozialer Ausgrenzung deutlich. Mögliche Folgen sind Vereinsamung, Isolation und Verbitterung. Gleichzeitig verschärfen geografische Ungleichheiten die sozialen Disparitäten – insbesondere wenn Kinder unter sehr unterschiedlichen Bedingungen aufwachsen und keinen gleichberechtigten Zugang zu qualitativ hochwertiger Infrastruktur oder Bildung haben. Eine europaweite Untersuchung ergab, dass sogar der Zugang zu Grünflächen und sauberer Luft in hohem Maße von den materiellen und finanziellen Ressourcen abhängt.

Bezahlbarer und sicherer Wohnraum ist essenziell für den gesellschaftlichen Zusammenhalt. Wo er fehlt, wird die gesellschaftliche und ökonomische Ausgrenzung verstärkt. Aber welcher politische Handlungsbedarf leitet sich daraus ab? Eine der größten Herausforderungen liegt in der Diskrepanz zwischen kurzfristigen politischen Zyklen und einer Wohnraumpolitik, die nur mit langfristigem Atem Wirkung entfalten kann. Diese zeitliche Schieflage erklärt mitunter, warum es vielen Regierungen bisher nicht gelingt, tragfähige Lösungen für die Wohnraumkrise zu liefern. Stattdessen behelfen die Regierungen sich oftmals mit kurzfristigen Korrekturen und lassen sich dabei eher von ideologischen Vorstellungen als von evidenzbasierten Strategien leiten. Dabei wird eine positive Vision für einen bezahlbaren und stabilen Wohnungsmarkt dringender benötigt denn je.

Negative Zukunftserwartungen gehören nachweislich zu den stärksten Prädiktoren für die Unterstützung extrem rechter Bewegungen. Die Gefahr wächst, dass politische Akteure am rechten Rand solche Ängste instrumentalisieren, wie in Ländern wie Irland, den Niederlanden und zuletzt auch in Deutschland geschehen. Eine Sündenbockpolitik, die den Mangel an erschwinglichem Wohnraum vor allem als Folge von Migration darstellt, verfehlt die tatsächlichen Ursachen der Wohnraumkrise. Sie verschärft nicht nur die gesellschaftliche Polarisierung, sondern behindert auch die Entwicklung wirksamer Lösungen. Konstruktiver wäre es, den strukturellen Ursachen mit evidenzbasierten Konzepten zu begegnen – Konzepten, die nicht spalten, sondern den gesellschaftlichen Zusammenhalt stärken. Im Zentrum sollten dabei die wachsende ökonomische Ungleichheit und eine seit Jahren verfehlte Wohnraumpolitik stehen. IPG 1

 

 

 

 

 

Stumme Gefahr Bluthochdruck: So schützen Sie Herz und Gefäße

Schlaganfall, Herzinfarkt, Vorhofflimmern: Ursache ist häufig ein über Jahre unbemerkter Bluthochdruck. Was tun, um sich vor Bluthochdruck und seinen Folgen zu schützen?

Frankfurt a. M. – Über 20 Millionen Menschen haben in Deutschland einen hohen Blutdruck, etwa jeder dritte Erwachsene – sehr viele wissen nichts von ihrem Bluthochdruck. Dieser ist tückisch, weil er als stumme Erkrankung in der Regel ohne spürbare Symptome über die Zeit schleichend lebenswichtige Organe schädigt und zerstört. „Jede noch so geringe Erhöhung des Blutdrucks schädigt Gefäße und auf Dauer Organe wie Herz, Gehirn. Nieren oder Augen. Je ausgeprägter die Blutdruckerhöhung ist, desto schwerer die Folgen für die Organe“, warnt der Kardiologe Prof. Dr. Thomas Voigtländer, Vorstandsvorsitzender der Deutschen Herzstiftung. Dabei könnte etwa die Hälfte aller Schlaganfälle und Herzinfarkte durch Vorbeugung, eine frühe Diagnose und Therapie verhindert werden. Darauf weisen Kardiologen und Hochdruckspezialisten im neu überarbeiteten Herzstiftungs-Ratgeber „Bluthochdruck: Herz und Gefäße schützen“ hin, der unter https://herzstiftung.de/bestellung oder per Telefon unter 069 955128-400 angefordert werden kann.

Wo beginnt hoher Blutdruck, was sind die Therapieziele?

Die frühzeitige therapeutische Einstellung des hohen Blutdrucks ist zwingend notwendig, weil die meisten der von einem unkontrolliert hohen Blutdruck verursachten Schäden nicht reparabel sind. Optimal sind bei Erwachsenen Werte um 120/70 mmHg. Liegt beim Arztbesuch der Blutdruck wiederholt bei oder über 140/90 mmHg, besteht Bluthochdruck – auch wenn nur ein Wert erhöht ist. „Spätestens dann ist eine Behandlung erforderlich, darin sind sich alle europäischen Leitlinien einig“, sagt Prof. Voigtländer. Bei der Selbstmessung zu Hause liegt der Grenzwert bereits bei 135/85 mmHg, wenn im Schnitt an sieben aufeinanderfolgenden Tagen diese Werte im Mittel gemessen werden. Allerdings definieren die aktuellen Empfehlungen der Europäischen Gesellschaft für Kardiologie (ESC) von 2024 mit dem sogenannten „erhöhten Blutdruck“ – das sind Blutdruckwerte zwischen 120-139 (systolisch) und 70-89 mmHg (diastolisch) – eine neue Kategorie, um zu unterstreichen, dass ein erhöhtes Risiko für Organschäden nicht erst bei systolischen Werten über 140 mmHg anfängt. Blutdruckwerte von 130-139 mmHg systolisch beziehungsweise 80-89 mmHg diastolisch werden demzufolge schon als behandlungsbedürftig (durch Lebensstiländerung plus meist auch Medikamente) angesehen, wenn zum Beispiel bereits eine Herzerkrankung (Herzinfarkt, Herzmuskelschwäche), ein Schlaganfall oder eine Nierenschwäche vorliegen. Diese Begleiterkrankungen erhöhen das kardiovaskuläre Risiko. Ziel ist es, dass der systolische Blutdruck idealerweise wenigstens zwischen 120 und 129 mmHg liegt. Weitere Infos unter https://herzstiftung.de/bluthochdruck

Blutdruckmessen: die beste Vorsorge

Bluthochdruck wird leider weithin unterschätzt. Das liegt insbesondere daran, dass ein dauerhaft erhöhter Blutdruck den Körper an den hohen Druck gewöhnen lässt. Man fühlt sich dennoch gut. Symptome wie Schwindel, Ohrensausen, Kopfschmerzen oder Nasenbluten können, müssen aber nicht auftreten. „Macht sich Bluthochdruck durch Beschwerden bemerkbar, dann sind häufig Gefäße und Organe geschädigt“, so Prof. Voigtländer, Ärztlicher Direktor des Agaplesion Bethanien-Krankenhauses Frankfurt am Main. Umso wichtiger bei der Vorsorge ist das früh- und rechtzeitige Erkennen des Bluthochdrucks durch Messen, damit der Blutdruck medikamentös und mit einem gesunden Lebensstil gut eingestellt werden kann. Die Deutsche Herzstiftung empfiehlt gemäß den aktuellen ESC-Leitlinien eine Blutdruckkontrolle

* mindestens alle drei Jahre bei Erwachsenen unter 40 Jahren,

* mindestens einmal pro Jahr ab einem Alter von 40 Jahren. Werden dabei erhöhte Werte festgestellt, es liegen aber keine weiteren Risikofaktoren vor, die eine therapeutische Intervention erfordern, sollte innerhalb des Jahres eine Nachkontrolle erfolgen.

Blutdruck messen: Wo und wie am besten?

Es gibt drei verschiedene Arten, den Blutdruck zu bestimmen:

1. die Blutdruckmessung beim Arzt in der Praxis,

2. die Selbstmessung zu Hause und

3. die kontinuierliche 24-Stunden-Messung.

Blutdruckmessungen in der Praxis/Klinik: Gerade hier besteht immer die Gefahr der sogenannten „Weißkittelhypertonie“: Der Patient ist aufgeregt, der Stresspegel steigt und mit ihm die Blutdruckwerte, die dann höher gemessen werden als zu Hause. Deshalb sollte in der Praxis idealerweise eine unbeaufsichtigte Blutdruckmessung erfolgen: Dem Patienten wird eine Blutdruckmanschette angelegt und er sitzt alleine in einem ruhigen Raum. Nach kurzer Wartezeit führt das Gerät automatisch mehrere Messungen durch. Das erste Messergebnis wird verworfen, aus den beiden anderen Ergebnissen wird der Mittelwert errechnet. Die so ermittelten Werte entsprechen dann am ehesten den Werten einer Selbstmessung zu Hause.

Blutdruckmessen zu Hause: Bluthochdruckpatienten sollten ihren Blutdruck regelmäßig morgens vor Einnahme ihrer Blutdrucksenker messen. Es ist auch möglich, eine Messwoche pro Monat einzurichten. Bluthochdruckpatienten messen dabei eine Woche lang morgens und abends den Blutdruck. Der Durchschnittswert aus allen Werten der Woche gibt dann Aufschluss, ob der Blutdruck passt. „Patienten sollten dann ihre Werte notieren, am besten im Blutdruck-Pass, wie ihn die Deutsche Herzstiftung anbietet“, rät Prof. Voigtländer. Auch zertifizierte Apps bieten die Möglichkeit, Messwerte zu dokumentieren. Infos unter https://herzstiftung.de/blutdruck-messen

Fünf Grundregeln für korrektes Blutdruckmessen

Für das Messen des Blutdrucks gibt es folgende Grundprinzipien, die eingehalten werden sollten:

1. Vor der Messung sollten Sie zunächst für 5 Minuten zur Ruhe kommen und zuvor körperliche Aktivitäten vermeiden.

2. Setzen Sie sich entspannt auf einen Stuhl lehnen Sie sich an die Stuhllehne an und legen Sie den zu messenden Arm auf den Tisch.

3. Wichtig ist die richtige Position der Blutdruckmanschette: die Manschette muss sich – egal ob am Oberarm oder Handgelenk – immer in Herzhöhe befinden, sonst kommt es zu verfälschten Werten.

4. Vermeiden Sie Bewegungen, Reden oder Lachen sowie Ablenkungen durch Musik oder Nachrichten während der Messungen.

5. Zertifizierte Blutdruckmessgeräte sind zu bevorzugen.

Blutdruck senken: Medikamentös, aber flankiert von gesundem Lebensstil

Medikamente gehören zu der Basistherapie von Bluthochdruck. Die Einnahme von Blutdrucksenkern (Antihypertensiva) wird (spätestens) ab Blutdruckwerten von 140/90 mmHg empfohlen, insbesondere, wenn mit einer Lebensstil-Optimierung der Blutdruck nicht ausreichend gesenkt werden kann. Erst indem man erhöhte Blutdruckwerte durch einen gesunden Lebensstil, allen voran mit Ausdauerbewegung und Abbau von Übergewicht, und der konsequenten Einnahme der blutdrucksenden Medikamente senkt, beugt man wirksam den Folgeerkrankungen des Bluthochdrucks vor wie Herzschwäche (hypertensive Herzkrankheit oder „Hochdruckherz“), koronare Herzkrankheit (KHK), Herzrhythmusstörungen (Vorhofflimmern) sowie Herzinfarkt und Schlaganfall. Infos zu Blutdrucksenkern: https://herzstiftung.de/blutdruck-senken-medikamente

Basis eines gesunden Lebensstils ist – neben weiteren Maßnahmen wie gesunde Ernährung, Verzicht auf Rauchen und Alkohol – das Ausdauertraining: etwa flottes Gehen, Radfahren, Joggen oder Schwimmen, am besten fünfmal pro Woche mindestens 30 Minuten lang. „Auch kürzere Abschnitte von zehn bis fünfzehn Minuten wirken bereits blutdrucksenkend. Man kann also auch mit zweimal 15 Minuten pro Tag beginnen“, rät Voigtländer. „Mit Ausdauerbewegung sinkt die Wahrscheinlichkeit, Übergewicht und damit einen der wichtigsten Risikofaktoren für Bluthochdruck und andere Herzkrankheiten zu entwickeln.“ Ergänzend zum Ausdauertraining ist ein mildes Krafttraining zwei- bis dreimal die Woche ratsam, um den Blutdruck zu senken. Wichtig ist, mit niedrigen Gewichten und vielen Wiederholungen (mindestens 15) zu beginnen und ohne Pressatmung zu trainieren: immer mit offenem Mund und im Rhythmus der Hantelbewegung ein- und ausatmen. Weitere Infos zum gesunden Lebensstil bei Bluthochdruck:

https://herzstiftung.de/tipps-zu-blutdruck-natuerlich-senken

(wi/red)

Jetzt Ratgeber zum Bluthochdruck anfordern!

In dem Ratgeber „Bluthochdruck: Herz und Gefäße schützen“ informieren renommierte Bluthochdruckexpertinnen und -experten laienverständlich über Ursachen, Diagnose und Therapie des Bluthochdrucks. Ein weiterer Schwerpunkt ist die Prävention. Der 128 Seiten umfassende neu überarbeitete Ratgeber kann bei der Herzstiftung kostenfrei angefordert werden unter https://herzstiftung.de/bestellung oder per Mail unter bestellung@herzstiftung.de oder Tel. 069 955128-400.

Herzspezialist Prof. Dr. Thomas Voigtländer erläutert die Blutdruckmessung im Video: https://youtube.com/watch?v=6cQZaQskJJc

Zusatzinfos zum Bluthochdruck

* Der Blutdruck ist die Kraft, die das Blut auf die Wand von Arterien und Venen ausübt. Er wird in Millimeter Quecksilbersäule angegeben, abgekürzt mmHg.

* Ärzte nennen immer zwei Werte: Der systolische Wert ist der Druck, der in den Gefäßen herrscht, wenn der Herzmuskel das Blut in den Körper pumpt (Systole). Der diastolische Wert – der niedrigere von beiden – gibt den Druck in den Gefäßen an, wenn der Herzmuskel entspannt ist und das Organ sich wieder mit Blut füllt (Diastole). GA 1

 

 

 

 

„Ein politisches Erdbeben“

 

Die Paris-Büroleiterin Adrienne Woltersdorf über das Urteil gegen Marine Le Pen und ihren Ausschluss von der Präsidentschaftswahl 2027. Von Adrienne Woltersdorf. Die Fragen stellte Philipp Kauppert.

Das lang erwartete Urteil im Prozess wegen der Veruntreuung von EU-Geldern gegen die Vorsitzende des rechtsextremen Rassemblement National (RN) hat hohe Wellen geschlagen. Wie waren die Reaktionen in Frankreich?

Schock, Ungläubigkeit und Stellungnahmen, die das Vertrauen in das demokratische System schwer beschädigen. Kurz, es ist ein auf unterschiedlichsten Ebenen folgenreiches Urteil, in jeder Hinsicht. Nicht nur drohen Marine Le Pen mindestens zwei Jahre Haft und eine Geldstrafe von 100 000 Euro. Das Gericht hielt es auch für angemessen, der Politikerin mit sofortiger Wirkung für fünf Jahre zu verbieten, für politische Ämter zu kandidieren. Damit wird faktisch auch ihre Kandidatur bei der Präsidentschaftswahl 2027 untersagt.

Der Rassemblement National, die Partei Marine Le Pens, könnte das Urteil nun aber für eine politische Kampagne missbrauchen. Wie schätzt du das ein?

Marine Le Pen und ihre Partei halten auch nach der Urteilsverkündung völlig reuelos an ihrer Unschuld fest. Damit tappen sie zunächst in ihre eigene Propagandafalle. Im Le-Pen-Lager scheint man ernsthaft schockiert. Le Pen verließ den Gerichtssaal, noch während das Urteil verlesen wurde, und zeigte damit deutlich ihre Verachtung für den Rechtsstaat. Zur Erinnerung: Die Führungsriege des RN, einer Anti-EU-Partei, hatte über zwölf Jahre hinweg systematisch EU-Gelder in Millionenhöhe veruntreut. Das Gericht hat Marine Le Pen dafür keineswegs härter bestraft als andere Betrüger in Frankreich, oder sogar andere hochrangige Politiker.

Nur erliegt der RN dem Wahn, dass Gesetze für ihn nicht gelten würden. Das Urteil hat die Partei nun eben mal geköpft – und ihr die schon ins Präsidentenamt geträumte Gallionsfigur abgeschlagen. Klar, dass der RN schäumt. Der zeigte aber schnelle Reaktion und begann sofort mit dem Verteilen von Flugblättern und einer Medienkampagne, um die Öffentlichkeit gegen den ihrer Meinung nach „demokratischen Skandal“ aufzuhetzen. Donald Trump hat es schließlich vorgemacht: Juristische Niederlagen lassen sich als Steilvorlagen für erfolgreiche Opferkampagnen nutzen.

Schwer verständlich ist, dass sich Mitte-rechts-Parteien der RN-Kritik mehr oder weniger anschließen. Wie ist das zu erklären?

Die Reaktionen von der gemäßigten Rechten, aber auch von der linkspopulistischen Partei La France Insoumise (LFI) und zum Teil sogar aus der aktuellen Regierung sind verstörend. Das zeigt einmal mehr, wie tief die Krise ist, in der sich die französische Demokratie tatsächlich befindet. Anstatt klar und deutlich den Rechtsstaat zu verteidigen, wie es etwa die Sozialisten im Laufe des Tages taten, trompeten diese Parteien und die Regierung in das RN-Horn. Nach anfänglich beredtem Schweigen ließen Mitarbeitende des Premierministers François Bayrou, der selbst in eine Affäre um parlamentarische Assistenten verwickelt ist, verlauten, er sei „beunruhigt über die Urteilsbegründung“. Schon 2024 hatte er das Szenario einer sofortigen Unwählbarkeit Le Pens als „störend“ bezeichnet. Auch der aktuelle Justizminister, Gérald Darmanin, hatte es letztes Jahr „schockierend“ genannt, sollte Le Pen verurteilt werden. Zahlreiche Politiker aus dem Mitte-rechts-Lager nennen das Urteil „politisch bedenklich“ oder sogar „gefährlich für die Demokratie“. Damit verdrehen sie die Fakten und stellen den gesamten Rechtsstaat in Frage. Das ist gefährlich, nicht das Urteil selbst.

Das heißt, das Urteil wird weitreichende politische Folgen haben. Was bedeutet das mit Blick auf die Präsidentschaftswahlen 2027?

Mit Sicherheit wird es massive politische Folgen geben. Aber es ist kein politisch motiviertes Urteil. Das Gericht muss Gesetze anwenden, die hier grob und systematisch missachtet wurden. Natürlich wird das nun Verschwörungstheorien aller Art beflügeln. Denn ausgerechnet der Politikerin, die nach heutigen Umfragewerten die besten Chancen hätte, 2027 ins französische Präsidentenamt gewählt zu werden, wird dieser Weg per Gericht wohlbegründet versperrt. Das ist ein politisches Erdbeben. Viele Wählerinnen und Wähler, vor allem Anhänger des RN, werden das nicht akzeptieren. Das Urteil könnte selbst über Frankreich hinaus Folgen auf EU-Ebene haben, denn offensichtlich ist es zu einfach, das EU-System auszutricksen und Gelder zu veruntreuen. Das muss auch andere Parteien mit EU-Abgeordneten alarmieren.

Und wie waren bisher die Reaktionen auf progressiver Seite? Gibt es Unterschiede zwischen den Sozialisten und der extremen Linken?

Einmal mehr überraschte Jean-Luc Mélenchon mit einem seiner typischen Hakenschläge. Der LFI-Vorsitzenden ist übrigens ebenfalls seit der Einleitung eines Ermittlungsverfahrens im Jahr 2018 wegen Verstößen und Unregelmäßigkeiten in seiner Zeit als EU-Abgeordneter angeklagt. Zwar verlas er das neutrale Statement seiner Partei, betonte aber, dass er „grundsätzlich“ die vorläufige Vollstreckung in Bezug auf die Nichtwählbarkeit ablehne. Unter Missachtung des rechtsstaatlichen Urteils betonte auch er, dass die Entscheidung, einen Abgeordneten seines Amtes zu entheben, dem Volk überlassen werden solle. Diese Aussage hat innerhalb der französischen Linken für ziemlich viel Ärger und Unmut gesorgt. Für ihn und seine Kandidatur für das Präsidentenamt ist die Aussicht auf den Verlust seiner rechtsextremen Gegnerin strategisch von Nachteil.

In der übrigen Linken war die Tonalität deutlich anders. Hier verwies man auf die rhetorischen Angriffe des Rassemblement National, der immer bereit ist, die Korruption der anderen Parteien, der vermeintlichen „oberen Kasten“ anzugreifen. Zu Recht kritisierten grüne und linke Politiker die Angriffe auf den Rechtsstaat, der bereits durch die Regierung unter Präsident Macron arg beschädigt worden sei. Auf Seiten der Sozialistischen Partei erinnerte allen voran der Abgeordnete und Kandidat für den Bürgermeisterposten in Paris, Emmanuel Grégoire, an die Gleichheit vor dem Gesetz. Er betonte, dass diejenigen irren, die glauben, sich in einer „Weihe durch Umfragen“ rühmen zu können, um sich vom Respekt vor dem Gesetz zu befreien. Der frühere Präsident und heutige PS-Abgeordnete François Hollande kommentierte kritisch, dass der Premierminister nicht „verstört“ sein solle, schließlich sei er der Hüter des Gesetzes.

Welche Auswirkungen wird das Urteil auf den weiteren Wettbewerb zwischen den Parteien und das politische System insgesamt haben?

Es ist völlig klar, dass sich der RN nun neu formieren müssen wird. Denn im Solarsystem des RN ist Marine Le Pen die Sonne, um die sich alles dreht. Die Wählerbasis dürfte allerdings recht widerstandsfähig sein und die Partei auch mit einer neuen Führung weiterhin unterstützen. Le Pens Unwählbarkeit ebnet jetzt eben etwas vorzeitiger den Weg für ihren Adlatus und jetzigen Vorsitzenden, Jordan Bardella – und auch für eine Neuausrichtung an der Parteispitze. Der RN hat bisher stets behauptet, einen Strategieplan für alle Eventualitäten in der Tasche zu haben und quasi startklar zu sein für das Regieren. Noch hat man davon jedoch nicht viel gemerkt. Es bleibt auch abzuwarten, wie sich das politische Feld insgesamt neu sortiert. Denn auch für die anderen rechtskonservativen Parteien könnten die Karten im Hinblick auf 2027 nun neu gemischt werden. Fakt ist: In Frankreich kommt jetzt einiges in Bewegung. IPG 1

 

 

 

 

 

Alterungsprozess verlangsamen?

Berlin/München - Die meisten Menschen wünschen sich ein langes Leben voller Gesundheit, Kraft und Lebensqualität. Der Trendbegriff Longevity (zu dt. Langlebigkeit) wird immer populärer: Dahinter steckt der Wunsch, nicht nur möglichst lange zu leben, sondern die Lebensjahre auch aktiv genießen zu können – ohne früh auf Hilfe angewiesen zu sein. Doch welche Tools, Produkte und Praktiken haben erwiesenermaßen einen positiven Effekt auf den Alterungsprozess? In der neuen Folge des ACHILLES RUNNING Podcasts gibt Prof. Dr. Alexander Rondeck, Präventionsmediziner und Longevity-Experte, konkrete Tipps, wie mit Bewegung, Ernährung und einer gezielten Lebensweise die Grundlage für gesundes Altern geschafft werden kann. 

Bewegung als Schlüssel – aber in Balance 

In der aktuellen Folge des ACHILLES RUNNING Podcasts, Deutschlands Top-Laufpodcast, widmet sich Gast und Longevity-Forscher Prof. Dr. Alexander Rondeck insbesondere der Rolle, die Sport für die Langlebigkeit spielt. Hierbei komme es auf die richtige Mischung an: Ausdauertraining – etwa Laufen, Radfahren oder Schwimmen – stärke das Herz-Kreislauf-System und fördere einen gesunden Stoffwechsel. Krafttraining, so Rondeck, sei wiederum entscheidend, um Muskeln und Knochen auch im Alter stark zu halten und einem Verlust an Selbstständigkeit vorzubeugen. Ergänzt durch gezieltes Gleichgewichts- und Koordinationstraining trage Bewegung außerdem dazu bei, das Sturzrisiko zu senken und die körperliche Stabilität zu verbessern. Entscheidend sei jedoch nicht nur die Aktivität selbst, sondern auch die Erholung danach: Wer sich keine Pausen gönne, schwäche langfristig den Körper. Regeneration – insbesondere qualitativ hochwertiger Schlaf – sei unerlässlich, damit Reparaturprozesse in den Zellen ablaufen können. Wer abends zu intensiv trainiere oder zu lange vor Bildschirmen sitze, sabotiere möglicherweise die eigene Schlafqualität – und damit auch die nächtliche Hormonproduktion, die Zellregeneration und das Immunsystem. 

Zellgesundheit stärken – mit Ernährung und Mikronährstoffen 

Auch die Ernährung spielt eine zentrale Rolle für gesunde Langlebigkeit. In der Podcastfolge erklärt der Mediziner, dass eine mediterrane, pflanzenbasierte Ernährungsweise nachweislich entzündungshemmend wirke, wichtige Mikronährstoffe liefere und vor chronischen Erkrankungen schützen könne. Im Fokus stehen dabei Gemüse, Hülsenfrüchte, gesunde Fette wie Olivenöl und frische Kräuter. Fisch und Fleisch sollten am besten nur in Maßen konsumiert werden.  

Ergänzend zur ausgewogenen Ernährung könne auch eine gezielte Supplementierung sinnvoll sein – vor allem dann, wenn Mängel bestehen. Mikronährstoffe wie Vitamin D3 in Kombination mit Vitamin K2, B-Vitamine, sowie Coenzym Q10 zählen laut Rondeck zu den wichtigsten Substanzen für Zellgesundheit und Energieproduktion. Auch Kreatin könne hilfreich sein, um die Muskelkraft zu unterstützen und die mitochondriale Leistungsfähigkeit zu verbessern. Weitere wertvolle Inhaltsstoffe wie Spermidin oder sekundäre Pflanzenstoffe wirken antioxidativ und förderten zelluläre Reparaturprozesse. 

Eine pauschale Einnahme von Nahrungsergänzungsmitteln sei jedoch nicht zu empfehlen. Stattdessen solle zunächst eine individuelle Nährstoffanalyse erfolgen, um gezielt und bedarfsgerecht zu supplementieren. Nur so ließen sich mögliche Defizite effektiv ausgleichen und die gewünschte gesundheitliche Wirkung erzielen. 

Ob NAD-Infusionen, Peptide oder NMN: Welche weiteren Longevity-Trends wirklich Potenzial haben und wo Vorsicht geboten ist, wird ebenfalls in der ACHILLES RUNNING Podcastfolge vom 31.03.2025 beleuchtet. 

Die Folge „Longevity-Strategien: Lange laufen, langsam altern - mit Prof. Dr. Alexander Rondeck“ ist jetzt bei allen gängigen?Podcastanbietern?verfügbar. Mehr zum Podcast unter: ACHILLES RUNNING Podcast.

Longevity-Strategien: Lange laufen, langsam altern - mit Prof. Dr. Alexander Rondeck | ACHILLES RUNNING Podcast: https://shows.acast.com/5f55583f-d2b4-498e-b707-e9dddd4e556e/67d13c2ac6a6a96730cc2c44  

Der ACHILLES RUNNING Podcast ist ein Angebot der ELPATO Medien GmbH und befindet sich regelmäßig auf Platz 1 der deutschsprachigen Lauf-Podcasts. Im wöchentlichen Zyklus werden Themen wie Trainingswissenschaft, Sportmedizin und Ernährungsberatung mit wechselnden Expert:innen aus der Sport- und Gesundheitsbranche auf unterhaltsame Weise aufbereitet.

GA 31.3.