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KI-generierte Inhalte können fehlerhaft sein.  Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania  - redazione: T. Bassanelli    - Webmaster: A. Caponegro  IMPRESSUM

 

Notiziario religioso, ottobre 2025

 

Inhaltsverzeichnis

1.        All’Assemblea Onu l’appello della Santa Sede. Mons. “Solo nella giustizia nasce la vera pace”. 1

2.        5 ottobre: il giubileo dei migranti 1

3.        “Per una Chiesa dal volto e dalla prassi mariana”. 1

4.        “Custodire voci e volti umani”: il tema per la 60esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1

5.        Il peccato di omissione. XXVI Domenica del Tempo Ordinario. 1

6.        Celebrazione internazionale alla Mci di Kempten. 1

7.        Papa Leone XIV: "La vita di tutti può cambiare, perché Cristo è risorto dai morti". 1

8.        Leone XIV: ai catechisti, “intuire è il fiuto dei piccoli per il Regno che viene”. 1

9.        Giubileo dei catechisti, persone appassionate a Gesù”. 1

10.  Papa Leone: Il buon giornalismo è radicato nel Vangelo. 1

11.  Cei. Consiglio permanente: “Sia pace in Terra santa”. 1

12.  Leone XIV: in ottobre il Rosario ogni giorno per la pace. 1

13.  Recensione. "Sacre ossa. Storie di reliquie, santi e pellegrini". 1

14.  Oltre 300 esorcisti a convegno. Il Papa li incoraggia nel ministero di liberazione. 1

15.  Papa Leone XIV: “C’è bisogno di donne generose”. 1

16.  Missioni cattoliche di lingua italiana: “Essere chiesa oggi in Svizzera”. 1

17.  Il Giubileo dei migranti e la trappola del debito. 1

18.  Papa Leone XIV: Non siamo padroni della nostra vita né dei beni di cui godiamo. 1

19.  Papa Leone XIV: "Tanti Paesi e popoli hanno fame e sete di giustizia”. 1

20.  “Dio è nell’algoritmo”, così i giovani riscoprono la chiesa sui social media. 1

21.  Media Cei 1

22.  Napoli, si ripete il prodigio del sangue di San Gennaro. 1

23.  Papa Leone XIV: “Le istituzioni pubbliche e la Chiesa promuovano il dialogo”. 1

24.  Intervista all’ex missionario in Germania don Giovanni Ferro. 1

 

 

1.        Laien fordern Fortsetzung des synodalen Kurses. 1

2.        Fester Rahmen für Katholische Theologie in Berlin. 1

3.        Motto für katholischen Welttag der sozialen Kommunikationsmittel 1

4.        Kardinal Marx mahnt zu Einheit und Respekt. 1

5.        Papst Leo wirbt für „gesunden Säkularismus“. 1

6.        Christliche Patientenvorsorge erscheint in aktualisierter Neuauflage. 1

7.        Katholischer Monat der Weltmission eröffnet. 1

8.        Leo an Katecheten: Wort Gottes so verkünden, dass es beim Leben hilft 1

9.        Jahrestagung der Görres-Gesellschaft in Mannheim. „Kanon und Diskurs“. 1

10.  Papst: Unfehlbarkeit des Gottesvolkes findet Ausdruck im Papstamt. 1

11.  Jesuit sieht Judentum als Schlüssel des Christseins. 1

12.  Bischöfe fordern sofortiges Ende der Gewalt im Heiligen Land. 1

13.  Deutsche Bischofskonferenz: Säkularität, Missbrauch und Sicherheit im Fokus. 1

14.  10 Jahre nach „Wir schaffen das“: Kirche zieht Bilanz der Flüchtlingshilfe. 1

15.  Bischöfe aus Italien, Slowenien und Kroatien mit Appell für Frieden im Heiligen Land. 1

16.  „Kirche muss ihren Platz in einer säkularen Gesellschaft neu bestimmen“. 1

17.  Laien weltweit vernetzt: Was die deutsche Seelsorge beschäftigt 1

18.  Schöpfungszeit: Treffen der Bischofskonferenzen Europas. 1

19.  Großkundgebungen für Lebensschutz in Berlin und Köln. 1

20.  Bätzing bei Herbst-Vollversammlung: „Der Papst ist doch kein Zauberer“. 1

21.  Nicht an Paragraph 218 rühren“. 1

22.  Italien will Feiertag des hl. Franziskus wieder einführen. 1

23.  Vatikan/USA: Migration, positiv. 1

24.  Erzbischof Koch: „Versuchen, auf neuen Wegen Kirche zu leben“. 1

25.  Leo XIV. ermutigt zu mehr Beteiligung von Laien in der Kirche Roms. 1

26.  Wofür steht Papst Leo? Sein erstes Interview gibt Aufschluss. 1

 

 

 

All’Assemblea Onu l’appello della Santa Sede. Mons. “Solo nella giustizia nasce la vera pace”

 

All’Assemblea generale dell’Onu, mons. Gallagher ha rilanciato l’impegno della Santa Sede per la pace, proponendo di destinare parte delle spese militari globali a un fondo contro la povertà. Forte il richiamo al disarmo, alla libertà religiosa, alla giustizia sociale e alla responsabilità condivisa di fronte alle crisi internazionali – di Maddalena Maltese, da New York

In un intervento di poco meno di quindici minuti, significativamente più breve rispetto all’ora sfiorata dal presidente Donald Trump, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali della Santa Sede, ha preso la parola a nome della Santa Sede all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un discorso denso, articolato in 19 temi, dal disarmo all’intelligenza artificiale, alla cura del Creato, dei migranti, dei lavoratori e delle famiglie, dove ha richiamato con forza la comunità internazionale a un rinnovato impegno sui pilastri fondamentali della pace, della giustizia e della verità.

“La pace sia con tutti voi. […] Una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante”: con queste parole, pronunciate da Leone XIV all’indomani della sua elezione, mons. Gallagher ha aperto il suo intervento, ricordando anche l’omaggio reso a Papa Francesco dopo la sua scomparsa lo scorso aprile. Un tributo che ha segnato il tono di un discorso improntato alla responsabilità condivisa e alla cooperazione multilaterale.

Il tema scelto per il dibattito generale, “Meglio insieme: ottant’anni e più per la pace, lo sviluppo e i diritti umani”, ha offerto al rappresentante vaticano l’occasione per riaffermare i valori fondanti dell’Onu, in un momento storico in cui l’isolazionismo rischia di generare instabilità e frammentazione. “L’unità promuove una resilienza responsabile e un progresso condiviso”, ha sottolineato Gallagher, invitando le Nazioni Unite ad adattarsi alle sfide emergenti, dal degrado ambientale alla rivoluzione tecnologica.

Tra i passaggi più incisivi, la proposta della Santa Sede di destinare una frazione delle spese militari globali – che nel 2024 hanno raggiunto i 2.720 miliardi di dollari – a un fondo internazionale per combattere la povertà, promuovere lo sviluppo sostenibile e affrontare il cambiamento climatico. Un appello che si accompagna alla preoccupazione per il disimpegno di alcuni Stati dai trattati sul disarmo e alla denuncia della proliferazione nucleare: “Il possesso e l’uso di armi nucleari sono immorali e devono essere considerati mezzi di guerra illegali”, ha ribadito Gallagher, citando stime che parlano di oltre 12.000 testate nucleari nel mondo.

Il discorso ha toccato anche il tema del dialogo interreligioso, in occasione del 60° anniversario della dichiarazione Nostra Aetate. Gallagher ha ricordato come il dialogo non sia un semplice scambio di idee, ma un cammino condiviso verso la giustizia e la pace, da tutelare contro ogni interferenza autoritaria. “Difendere la libertà religiosa significa difendere il diritto alla vita di ogni persona”, ha affermato, sottolineando che non può esistere un opposto a questo diritto, neppure se mascherato da libertà.

Ampio spazio è stato dedicato alla giustizia sociale e alla necessità di riformare i sistemi alimentari e commerciali, superando la logica dello sfruttamento e promuovendo una distribuzione equa delle risorse. In questo Anno giubilare, la Santa Sede ha rinnovato l’appello alle nazioni più ricche affinché condonino i debiti dei Paesi che non potranno mai ripagarli: “Più che una questione di generosità, si tratta di giustizia”, ha detto Gallagher, evocando anche il concetto di “debito ecologico” tra Nord e Sud del mondo.

Infine, l’arcivescovo ha ricordato la sofferenza di 13 Stati e aree geografiche, dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Congo ai Balcani, da Haiti ai Caraibi, dall’Asia meridionale al Caucaso. Ogni crisi è stata citata con rispetto per la resilienza dei popoli coinvolti e con l’invito a esplorare soluzioni condivise.

“Solo in un contesto di giustizia si può sviluppare una cultura autentica di pace”, ha concluso Gallagher, richiamando tutti a essere artigiani di fraternità anche dentro il complesso multilateralismo delle Nazioni Unite. Sir 30

 

 

 

 

5 ottobre: il giubileo dei migranti

 

Il Giubileo dei migranti e del mondo missionario porta a Roma tanti pellegrini, ma anche un’evento di festa per tutta la città.

Il 5 ottobre, a partire dalle ore 14.30 sino alle ore 19.00, presso i Giardini di Castel Sant’Angelo più di 20 gruppi etnici proporranno momenti di musica, danza, canto. Alle performance artistiche si alterneranno testimonianze da diversi Paesi del mondo. Una festa organizzata dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano Integrale e dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma, con il sostegno e la collaborazione della Fondazione Migrantes e di tante realtà del mondo della pastorale dei migranti e del mondo missionario.

“Un evento di gioia condivisa e di conoscenza reciproca al quale siete caldamente invitati – ha scritto in una lettera alla diocesi di Roma, il cardinale vicario Reina -. Una Festa dei Popoli a cui non mancare, insieme alle Vostre Comunità!”.

Tra gli eventi giubilari collegati da segnalare “COME PONTI SUL MONDO. Scelte di vita, racconti di missione”, una mostra immersiva realizzata da Fondazione Migrantes e Museo dell’emigrazione italiana (Mei) per rendere omaggio ai tanti missionari e alle tante missionarie che hanno scelto di essere accanto e di accompagnare gli emigranti italiani nel mondo. La voce narrante è di Massimo Wertmuller. L’inaugurazione sarà giovedì 2 ottobre p.v. alle ore 11.00, a Roma, presso il Salone del Commendatore (Complesso di Santo Spirito in Sassia, Borgo Santo Spirito, 3). La mostra sarà visitabile dal 3 ottobre al 16 novembre – dalle ore 10 alle ore 18. Migr. On 29

 

 

 

“Per una Chiesa dal volto e dalla prassi mariana”

 

All’importante assise svoltasi ad inizio settembre a Roma hanno partecipato oltre 600 mariologi, docenti, esperti e cultori della materia, provenienti da tutto il mondo. I lavori hanno dimostrato che, sulla scia del Concilio Vaticano II, l’approccio alla mariologia è interdisciplinare, in quanto il mistero di Maria viene studiato all’interno del mistero di Cristo e della Chiesa – di sr. Daniela Del Gaudio

Il 26° Congresso mariologico mariano internazionale della Pontificia Accademia Mariana Internationalis si è svolto a Roma, dal 3 al 6 settembre, presso l’Auditorium Antonianum. L’importante assise ha visto la partecipazione di oltre 600 mariologi, docenti, esperti e cultori della materia, provenienti da tutto il mondo. Il tema scelto: “Giubileo e sinodalità: una Chiesa dal volto e dalla prassi mariana” ha permesso di riflettere sul futuro della mariologia in maniera dinamica e vivace, partendo dall’ascolto di conferenze, tenute da esperti, come il delegato del Papa, cardinale Rolandas Makrickas, i relatori: card. Mario Grech, p. Stefano Cecchin, presidente della Pami; don Antonio Escudero, sr. Valerija Nedjeljka Kova?, Gloria Falcão Dodd, Lúcia Pedrosa de Pádua, mons. Antonio Staglianò, sr. Daniela Del Gaudio, ma anche di testimonianze, condivisioni, che sono diventate occasione di dibattito nelle sessioni pomeridiane, divise per lingua e tematiche.

La scelta metodologica di riflettere su Giubileo e sinodalità nella prospettiva mariana ha ottenuto diversi guadagni, dal punto di vista teologico e pratico. In primo luogo, si è potuto ribadire il valore della mariologia, all’interno degli studi teologici e della vita stessa della Chiesa, come ha detto anche Leone XIV nel discorso di chiusura del congresso: “In questo 26° Congresso vi siete domandati se una Chiesa dal volto mariano sia un residuo del passato oppure una profezia di futuro, capace di scuotere le menti e i cuori dall’abitudine e dal rimpianto di una “società cristiana” che non esiste più”.

I lavori del congresso hanno dimostrato che, sulla scia del Concilio Vaticano II, l’approccio alla mariologia è interdisciplinare, in quanto il mistero di Maria viene studiato all’interno del mistero di Cristo e della Chiesa. In quest’ottica la mariologia ha un valore di disciplina di sintesi e di raccordo, contro i tentativi di relegarla a disciplina di periferia, riservata ai devoti, o all’ambito della spiritualità, in quanto, mediante la conoscenza della persona e il ruolo della Vergine Maria nel progetto salvifico divino, si riesce a comprendere, in maniera più interessante e appropriata, non solo i dogmi, ma anche la prassi ecclesiale, offrendo prospettive nuove, che proprio l’esperienza della Vergine Madre di Dio sono capaci di proporre.

La Theotokos indica la via, indica il centro, l’essenziale della Chiesa, ossia Cristo Gesù, Signore, maestro e capo della Chiesa, come possiamo contemplare nella pericope biblica della Pentecoste, non a caso icona scelta da questo congresso. La presenza di Maria nel cenacolo mostra la fede della Chiesa in Maria, in quanto la prima comunità si trova riunita con Lei, come affermano gli Atti, perché incarna la fede del popolo di Dio, per il suo fiat, che non è un atto individuale ma pronunciato a nome della Chiesa, come afferma H. U. Von Balthasar, per cui la Chiesa nasce nel momento stesso dell’Incarnazione, quando Maria concepisce il Christus totus, secondo il pensiero di Sant’Agostino, ossia Cristo come uomo e Cristo come corpo mistico. Uniti a Lui allora siamo uniti anche a Maria, Madre di Dio e madre nostra, come insegna San Paolo nella Lettera ai Galati 4, 4-7: Gesù è nato da donna perché potessimo diventare figli di Dio per mezzo di questa donna e dello Spirito Santo.

“Ecco perché la Chiesa ha bisogno della mariologia – ha affermato Leone XIV – ha bisogno che venga pensata e proposta nei centri accademici, nei santuari e nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti, negli istituti di vita consacrata; come pure nei luoghi dove si forgiano le culture contemporanee, valorizzando le innumerevoli suggestioni offerte dall’arte, dalla musica, dalla letteratura”.

E ribadendo l’importanza del tema scelto dal congresso, ha spiegato che nel Giubileo e nella sinodalità la Pami ha individuato due categorie bibliche e teologiche per dire in maniera efficace la vocazione e la missione della Madre del Signore: “Come donna ‘giubilare’, Maria ci appare capace sempre di ricominciare a partire dall’ascolto della Parola, secondo l’atteggiamento così descritto da Sant’Agostino: ‘Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode’ (Confessioni, X, 26). Come donna ‘sinodale’, ella è pienamente e maternamente coinvolta nell’azione dello Spirito Santo, che chiama a camminare insieme, come fratelli e sorelle, coloro che prima ritenevano di avere ragioni per rimanere separati nella loro reciproca diffidenza e persino inimicizia (cfr Mt 5,43-48). Una Chiesa dal cuore mariano custodisce e comprende sempre meglio la gerarchia delle verità di fede, integrando ragione e affetto, corpo e anima, universale e locale, persona e comunità, umanità e cosmo. È una Chiesa che non rinuncia a porre a sé stessa, agli altri e a Dio domande scomode – ‘come avverrà questo?’ (Lc 1,34) – e a percorrere le vie esigenti della fede e dell’amore – ‘ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola’ (Lc 1,38) –. Una pietas e una prassi mariane orientate al servizio della speranza e della consolazione liberano dal fatalismo, dalla superficialità e dal fondamentalismo; esse prendono sul serio tutte le realtà umane, a partire dagli ultimi e dagli scartati; esse concorrono a dare voce e dignità a quanti vengono sacrificati sugli altari degli idoli antichi e nuovi. Poiché poi nella vocazione della Madre del Signore è possibile leggere la vocazione della Chiesa, la teologia mariana ha il compito di coltivare in tutto il popolo di Dio in primo luogo la disponibilità a ‘ricominciare’ a partire da Dio, dalla sua Parola e dalle necessità del prossimo, con umiltà e coraggio (cfr Lc 1,38-39); e inoltre il desiderio di camminare verso l’unità che sgorga dalla Trinità, per testimoniare al mondo la bellezza della fede, la fecondità dell’amore e la profezia della speranza che non delude. Contemplare il mistero di Dio e della storia con lo sguardo interiore di Maria ci mette al riparo dalle mistificazioni della propaganda, dell’ideologia e dell’informazione malata, che mai sapranno portare una parola disarmata e disarmante, e ci apre alla gratuità divina, che sola rende possibile il camminare insieme delle persone, dei popoli e delle culture nella pace (cfr Lc 24,36.46-48). Ecco perché la Chiesa ha bisogno della mariologia; ha bisogno che venga pensata e proposta nei centri accademici, nei santuari e nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti, negli istituti di vita consacrata; come pure nei luoghi dove si forgiano le culture contemporanee, valorizzando le innumerevoli suggestioni offerte dall’arte, dalla musica, dalla letteratura”.

Il congresso si è concluso con un momento di festa, mostrando la dimensione mariana della prassi ecclesiale, con la testimonianza di esperienze, buone pratiche e attività che, da anni, l’Accademia Mariana promuove nel mondo per proporre l’immagine e il messaggio della Madre di Gesù come via di incontro e di dialogo tra le culture. Quest’anno, per la prima volta, è stato istituito anche il “Premio mariano internazionale Maria via di pace tra le culture”, destinato ad artisti visivi (pittori, scultori, fotografi e altri creatori visivi che esplorino, attraverso le loro opere, la bellezza e la profondità del messaggio mariano) e musicisti (compositori e interpreti che, con composizioni o performance, esprimano la devozione mariana combinando tradizione e innovazione).

Nei prossimi anni la Pami è chiamata, quindi, ad approfondire una mariologia non solo a livello sistematico, intellettuale, ma anche spirituale e pratico, per trovare nell’esperienza di fede di Maria di Nazareth i motivi per una prassi ecclesiale che superi ogni forma di spiritualismo o intimismo, ma sia orientata alla pienezza della vita cristiana, e sul piano culturale, antropologico, per scoprire, attraverso la sua persona, gli elementi imperituri dell’antropologia cristiana, in un mondo che ha perso ogni riferimento culturale con tematiche come la vita, la morte, l’identità sessuale, la relazione fra uomo e donna, la vocazione cristiana, perché, come afferma il presidente, p. Stefano Cecchin: “Noi partiamo sempre dalla fede cattolica che ci dice che Maria è la madre di Dio, prima di tutto. Lei che ha concepito il figlio di Dio che è entrato in una relazione fondamentale con la Trinità. Questo per noi è il principio fondamentale che rende Maria una donna che ha aperto la strada a Dio e che è entrata in una relazione fondamentale con lui”. Quella che viene proposta è una visione che parte dai principi dogmatici della fede ma capace di “ripresentare però anche la vera umanità di Maria. È la gloriosa madre di Dio, esaltata Regina del cielo e della terra. Ma per arrivare a quella realtà è stata una vera donna e quindi un modello per l’umanità”, precisa il religioso francescano. Un’umanità di Maria con la quale ognuno può dialogare: trovare in lei, così, risposte a domande, interrogativi. E a tal proposito, Cecchin aggiunge: “Dobbiamo riscoprire una Maria amica, una Maria compagna, una Maria che ha vissuto veramente, pienamente, la sua vita umana, una Maria amica che cammina con te perché desidera — alle nozze di Cana abbiamo l’esempio favoloso — che tu abbia il buon vino, immagine dell’amore, immagine della realizzazione della tua vita”. Sir 29

 

 

 

 

“Custodire voci e volti umani”: il tema per la 60esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

Reso noto il tema scelto da papa Leone XIV

Città del Vaticano. “Custodire voci e volti umani”, questo il tema scelto da papa Leone XIV per la 60.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2026. Lo ha reso noto la Sala Stampa della Santa Sede nella mattinata di oggi. 

Nel comunicato si legge: “Negli ecosistemi comunicativi odierni, la tecnologia influenza le interazioni in modo mai conosciuto prima – dagli algoritmi che selezionano i contenuti nei feed di notizie fino all’intelligenza artificiale che redige interi testi e conversazioni. Il genere umano ha oggi possibilità impensabili solo pochi anni fa”. Ma - precisa sempre il comunicato -  “sebbene questi strumenti offrano efficienza e ampia portata, non possono sostituire le capacità unicamente umane di empatia, etica e responsabilità morale”.  

E continua: “La comunicazione pubblica richiede giudizio umano, non solo schemi di dati. La sfida è garantire che sia l’umanità a restare l’agente guida. Il futuro della comunicazione deve assicurare che le macchine siano strumenti al servizio e al collegamento della vita umana, e non forze che erodono la voce umana”. Il mondo di oggi presenta grandi opportunità ma allo stesso tempo, precisa il comunicato “i rischi sono reali” perché “l’intelligenza artificiale può generare contenuti accattivanti ma fuorvianti, manipolatori e dannosi, replicare pregiudizi e stereotipi presenti nei dati di addestramento, e amplificare la disinformazione simulando voci e volti umani”. Inoltre “può anche invadere la privacy e l’intimità delle persone senza il loro consenso”.  

Da ciò, il testo diffuso oggi mette in guardia da “un’eccessiva dipendenza dall’IA” che può indebolire “il pensiero critico e le capacità creative, mentre il controllo monopolistico di questi sistemi solleva preoccupazioni circa la centralizzazione del potere e le disuguaglianze”. Aci 29

 

 

 

 

Il peccato di omissione. XXVI Domenica del Tempo Ordinario

 

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina - Di S. E. Mons. Francesco Cavina, Vescovo emerito di Carpi

Carpi. Oggi la Parola di Dio ci interpella duramente. Da un lato il profeta Amos denuncia il benessere egoista, la ricchezza che anestetizza il cuore, l’indifferenza per la sofferenza dei poveri. Dall’altro Gesù, nel Vangelo di Luca, ci narra la parabola del ricco e di Lazzaro, due vite parallele sulla terra, due destini opposti nell’eternità: per il povero Lazzaro la felicità eterna, per il ricco la dannazione eterna. Non perché Dio sia vendicativo o crudele, ma perché la vita — le nostre scelte — costruisce già da ora il nostro destino eterno.

Il Profeta parla ad un popolo che si sente al sicuro perchè protetto dalla propria prosperità. Vive nel lusso, nel piacere, dedito alle feste e ai divertimenti. Ma…non si accorge della rovina che avanza, della decadenza morale e spirituale della comunità e dell’ingiustizia che dilaga. E’ un popolo che vive come se Dio non esistesse e, pertanto, affida la propria salvezza alla ricchezza e al potere, che generano egoismo, chiusura del cuore, imprigionano l’anima e rendono sordi alla voce di Dio e dei fratelli.

Nel Vangelo Gesù ci parla di un uomo ricco e di un povero di nome Lazzaro. Il ricco vive benissimo, sfoggia abiti preziosi, banchetta ogni giorno. Lazzaro vive alla sua porta, in condizioni miserabili, bramoso del cibo che cade dalla tavola, coperto di piaghe, ignorato. Quando muoiono le sorti si invertono: Lazzaro è accolto nel seno di Abramo, il ricco è nei tormenti. Vale la pena sottolineare che il ricco non ha commesso chissà quale azione malvagia. Il suo peccato è l’omissione. Ha fatto finta di non vedere, non si è reso disponibile ad ascoltare, ha chiuso il cuore alla presenza del povero, al grido della giustizia, al richiamo della misericordia.

Amos, dunque, denuncia la decadenza di una società che ha scelto di voltare le spalle a Dio — fonte di vita, di amore e di giustizia — e vive come se Lui non esistesse. È una civiltà che, dimenticando il proprio fondamento spirituale, si abbandona all’egoismo, all’immoralità, all’ingiustizia e alla superficialità perchè non più in grado di riconoscere la verità riguardo all’uomo. Gesù, dal canto suo, ci svela la tragedia di un’anima che si chiude all’amore di Dio e, così facendo, scivola lentamente nell’indifferenza, nell’omissione e in una sordità interiore che la rende incapace di ascoltare e accogliere il bene.

Questa Parola non appartiene a un passato lontano: parla a noi, oggi. Anche noi, spesso, viviamo dentro una bolla di benessere, circondati da comodità, ma distratti, assorbiti da ritmi frenetici. E, proprio come nella parabola, anche davanti alle nostre porte ci sono tanti "Lazzaro": volti segnati dalla povertà non solo economica, ma anche spirituale, affettiva, umana. La differenza non sta solo nell’essere ricchi o poveri, ma nel saper vedere, nell’imparare ad ascoltare, nel non restare indifferenti. E questo sguardo nuovo non nasce dallo sforzo morale, ma dalla fede: dal tornare a Dio, che è sorgente di giustizia, di vita e di verità.Non servono segni straordinari, né miracoli spettacolari. Abbiamo già tutto ciò che ci occorre: la Parola di Dio che illumina il cammino, i Sacramenti che ci nutrono e ci guariscono, Cristo stesso che si fa vicino. E abbiamo il tempo — oggi — per aprire gli occhi, per convertire il cuore, per costruire, insieme, una società più giusta, più umana, più capace di riflettere il volto di Dio. Aci 28

 

 

 

 

Celebrazione internazionale alla Mci di Kempten

 

Il 21 Settembre 2025, con inizio alle ore 10:30, ha avuto luogo nella sala parrocchiale di St. Anton un importante incontro di diverse comunità, durante il quale alcuni rappresentanti degli intervenuti hanno avuto modo di presentare le proprie realtà. Presenti, oltre al Decano Bernhard Hesse, il Parroco Sebastian Bucher,  diversi Sacerdoti, tra cui il Rettore della nostra Missione, Padre Bruno Zuchowski insieme ad alcuni Membri del Consiglio Pastorale, tra cui i Coniugi Trovato e Figli, la Segretaria Pina Baiano, il Dr. Fernando Grasso, il Signor Romano, la Signora Mangano ed altri.

Alle 11:30, poi. ha avuto inizio la suggestiva Celebrazione internazionale, durante la quale diverse Letture e il Brano Evangelico del giorno sono stati letti in più lingue. Molto accurata e coinvolgente l'Omelia del Decano a commento del Brano Evangelico del Giorno, delle Letture e della particolare occasione dell'incontro delle varie Chiese presenti, e bellissimi e intonati alla giornata i canti che hanno accompagnato la Funzione, tra cui quelli proposti dai Coniugi Trovato.

Dopo la S. Messa è seguito un lieto e variegato convivio internazionale in parte anche nel cortile del Monastero, dato che si è grigliato e che il fraterno appuntamento si è protratto per alcune ore. Incontro durante il quale i partecipanti hanno fatto a gara a condividere generosamente tra di loro le proprie prelibatezze.

Un riconoscente ringraziamento vada infine al Decano Hesse, al Parroco, al Consiglio Parrocchiale, e ai loro collaboratori per la loro disponibilità.

Fernando A. Grasso

 

 

 

 

 

Papa Leone XIV: "La vita di tutti può cambiare, perché Cristo è risorto dai morti"

 

Il Pontefice: "Il Catechismo è lo strumento di viaggio che ci ripara dall’individualismo e dalle discordie, perché attesta la fede di tutta la Chiesa cattolica" - Di Marco Mancini

Città del Vaticano. Proseguono le celebrazioni giubilari presiedute da Papa Leone XIV: stamane in Piazza San Pietro il Pontefice ha celebrato la Messa per il Giubileo dei Catechisti.

Commentando il Vangelo odierno Leone osserva: “Lazzaro viene dimenticato da chi gli sta di fronte, eppure Dio gli è vicino e ricorda il suo nome. L’uomo che vive nell’abbondanza, invece, è senza nome, perché perde sé stesso, dimenticandosi del prossimo. I suoi beni non lo rendono buono”.

Questa storia – denuncia il Papa – “è, purtroppo, molto attuale. Alle porte dell’opulenza sta oggi la miseria di interi popoli, piagati dalla guerra e dallo sfruttamento. Attraverso i secoli, nulla sembra essere cambiato: quanti Lazzaro muoiono davanti all’ingordigia che scorda la giustizia, al profitto che calpesta la carità, alla ricchezza cieca davanti al dolore dei miseri! Eppure il Vangelo assicura che le sofferenze di Lazzaro hanno un termine. Finiscono i suoi dolori come finiscono i bagordi del ricco, e Dio fa giustizia verso entrambi”.

Dopo aver ricordato il dialogo tra il ricco e Abramo, Leone XIV aggiunge: “Ascoltare Mosè e i Profeti significa fare memoria dei comandamenti e delle promesse di Dio, la cui provvidenza non abbandona mai nessuno. Il Vangelo ci annuncia che la vita di tutti può cambiare, perché Cristo è risorto dai morti. Questo evento è la verità che ci salva: perciò va conosciuta e annunciata, ma non basta. Va amata: è quest’amore che ci porta a comprendere il Vangelo, perché ci trasforma aprendo il cuore alla parola di Dio e al volto del prossimo”.

Rivolgendosi poi ai catechisti il Papa rileva: “voi siete quei discepoli di Gesù, che ne diventano testimoni: il nome del ministero che svolgete viene dal verbo greco kat?chein, che significa istruire a viva voce, far risuonare. Ciò vuol dire che il catechista è persona di parola, una parola che pronuncia con la propria vita. Perciò i primi catechisti sono i nostri genitori, coloro che ci hanno parlato per primi e ci hanno insegnato a parlare. Come abbiamo imparato la nostra lingua madre, così l’annuncio della fede non può essere delegato ad altri, ma accade lì dove viviamo. Anzitutto nelle nostre case, attorno alla tavola: quando c’è una voce, un gesto, un volto che porta a Cristo, la famiglia sperimenta la bellezza del Vangelo”.

“Tutti – prosegue Papa Leone - siamo stati educati a credere mediante la testimonianza di chi ha creduto prima di noi. I catechisti ci accompagnano nella fede condividendo un cammino costante, come avete fatto voi oggi, nel pellegrinaggio giubilare. Questa dinamica coinvolge tutta la Chiesa: il Catechismo è lo strumento di viaggio che ci ripara dall’individualismo e dalle discordie, perché attesta la fede di tutta la Chiesa cattolica. Ogni fedele collabora alla sua opera pastorale ascoltando le domande, condividendo le prove, servendo il desiderio di giustizia e di verità che abita la coscienza umana.

“Ricordiamoci – conclude Leone XIV - che nessuno dà quello che non ha. Se il ricco del Vangelo avesse avuto carità per Lazzaro, avrebbe fatto del bene, oltre che al povero, anche a sé stesso. Se quell’uomo senza nome avesse avuto fede, Dio lo avrebbe salvato da ogni tormento: è stato l’attaccamento alle ricchezze mondane a togliergli la speranza del bene vero ed eterno. Quando anche noi siamo tentati dall’ingordigia e dall’indifferenza, i molti Lazzaro di oggi ci ricordano la parola di Gesù, diventando per noi una catechesi ancora più efficace in questo Giubileo, che è per tutti tempo di conversione e di perdono, di impegno per la giustizia e di ricerca sincera della pace”.

Il Papa ha poi conferito il ministero di catechista ad alcuni uomini e donne provenienti da ogni angolo del pianeta. Aci 28

 

 

 

 

 

Leone XIV: ai catechisti, “intuire è il fiuto dei piccoli per il Regno che viene”

 

“Intuire è il fiuto dei piccoli per il Regno che viene”. Lo ha detto Papa Leone XIV nell’udienza giubilare in piazza San Pietro, dedicando la sua catechesi al tema “Sperare è intuire. Ambrogio di Milano”. Rievocando l’elezione del santo vescovo, il Pontefice ha spiegato come “una voce di bambino si alzò a gridare: ‘Ambrogio vescovo!’” e tutto il popolo si unì alla richiesta. “Ambrogio non era nemmeno battezzato – ha raccontato – ma il popolo intuisce qualcosa di profondo di quest’uomo e lo elegge”. Dopo un primo rifiuto, Ambrogio “comprende che quella è una chiamata di Dio”, riceve il battesimo e diventa vescovo. “Vedete che grande regalo fatto dai piccoli alla Chiesa?”, ha detto il Papa. “Anche oggi questa è una grazia da chiedere: diventare cristiani mentre si vive la chiamata ricevuta”. Ai catechisti ha ricordato che “il popolo ha questo fiuto: capisce se stiamo diventando cristiani o no. E ci può correggere, ci può indicare la direzione di Gesù”. Concludendo, Leone XIV ha esortato: “Che il Giubileo ci aiuti a diventare piccoli secondo il Vangelo per intuire e servire i sogni di Dio”.

“Dio è semplice e si rivela ai semplici”. Lo ha detto Papa Leone XIV durante l’udienza giubilare in piazza San Pietro, rivolgendosi ai catechisti e ai pellegrini presenti. Commentando il Vangelo di Luca, il Pontefice ha riflettuto sul “sensus fidei”, definendolo “un ‘sesto senso’ delle persone semplici per le cose di Dio”. “Il Giubileo ci rende pellegrini di speranza – ha spiegato – perché intuiamo un grande bisogno di rinnovamento che riguarda noi e tutta la terra”. Intuire, ha aggiunto, è “un movimento dello spirito, una intelligenza del cuore che Gesù ha riscontrato soprattutto nei piccoli, cioè nelle persone di animo umile”. Spesso, ha osservato, “le persone dotte intuiscono poco, perché presumono di conoscere”, mentre i piccoli “hanno ancora spazio nella mente e nel cuore, perché Dio si possa rivelare”. “Gesù esulta di questo – ha proseguito – è pieno di gioia, perché si accorge che i piccoli intuiscono”. Richiamando il magistero del Concilio Vaticano II, Leone XIV ha sottolineato che “c’è un’infallibilità del popolo di Dio nel credere, della quale l’infallibilità del Papa è espressione e servizio”. E ha concluso: “Il popolo capisce se stiamo diventando cristiani o no. E ci può correggere, ci può indicare la direzione di Gesù”.

“Insegnate a coltivare una relazione con Gesù. Il suo amore ravvivi in tutti noi la speranza che non delude”. È l’invito rivolto in inglese da Papa Leone XIV ai catechisti di tutto il mondo, durante i saluti ai fedeli presenti in piazza San Pietro per l’udienza giubilare. “God bless you all!”, ha concluso il Pontefice in inglese, salutando i pellegrini provenienti da Inghilterra, Australia, Indonesia, Kuwait, Thailandia e Stati Uniti. In lingua tedesca, il Papa ha richiamato l’esempio di sant’Ambrogio di Milano, “che vi incoraggi a rispondere, con semplicità e disponibilità, alla chiamata che ciascuno riceve in modo personale e a preparare la strada al Regno di Dio”. Un’esortazione alla speranza anche nel saluto agli ispanofoni: “Chiediamo al Signore di saper intuire la sua presenza nella nostra vita e, seguendo le sue orme, di servire con generosità la Chiesa, irradiando speranza”. Ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai catechisti, Leone XIV ha augurato di non perdere “il coraggio e la dedizione nell’annunciare la buona novella di Gesù, in modo particolare ai bambini, affinché crescano intuendo che Dio li ama e ha per loro grandi sogni”. Infine, salutando i polacchi giunti per il Giubileo della Speranza, il Papa ha incoraggiato a “seminare il seme del Vangelo nei cuori dei giovani”, affrontando con forza “le sfide difficili” e “ascoltando il senso di fede del popolo di Dio”. Riccardo Benotti, sir 27

 

 

 

 

Giubileo dei catechisti, persone appassionate a Gesù”

 

“Persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, persone di comunione e persone che sappiano accompagnare e davvero creare una relazione”, l’identikit del catechista oggi secondo il responsabile del Servizio per la catechesi dell’arcidiocesi di Milano – di Gigliola Alfaro

Mentre la Chiesa universale si appresta a vivere il Giubileo dei catechisti, dal 26 al 28 settembre, la Chiesa di Milano ha già vissuto questo momento a livello diocesano, il 13 settembre, con il titolo “Battezzati, discepoli missionari”. Un incontro, presieduto dall’arcivescovo Mario Delpini, molto partecipato. Di questo appuntamento, come delle sfide della catechesi oggi parliamo con don Matteo Dal Santo, responsabile del Servizio per la catechesi dell’arcidiocesi di Milano.

Com’è andato il Giubileo a livello diocesano?

È stato un incontro molto intenso. Alcuni gruppi autonomamente parteciperanno al Giubileo dei catechisti a Roma, ma noi abbiamo scelto anche di fare un momento diocesano per dare a più persone la possibilità di vivere un’esperienza giubilare. Erano presenti circa 3.000 persone. Abbiamo invitato tutti i catechisti: battesimali, di iniziazione cristiana, dei cresimandi adulti, gli accompagnatori dei catecumeni e anche gli animatori dei gruppi di ascolto della Parola di Dio. Si è creato un bel clima di preghiera. Il nostro arcivescovo prima della celebrazione è passato a salutare tutti, girando per il duomo, e mi ha colpito che diversi catechisti lo ringraziavano per quel momento, che è stato vissuto proprio come esperienza di fede, di Giubileo. Venivano un po’ da tutta la diocesi e la celebrazione è stata molto sentita, molto partecipata. Dell’intervento dell’arcivescovo mi piace sottolineare un passaggio nel quale ha detto che le parole di fiducia sono quelle più necessarie: sono le parole di fiducia innanzitutto di Gesù nei nostri confronti, per cui si è catechisti perché inviati, perché abbiamo ricevuto una chiamata da parte del Signore. Oltre alle parole di fiducia del Signore, ci sono anche le parole di fiducia che possiamo dirci tra di noi. Le catechiste e i catechisti mi hanno anche dato questo ritorno di sentire la fiducia dell’arcivescovo nei loro confronti. Questo tema della fiducia, delle parole di fiducia che riceviamo dal Signore, ma anche che possiamo donarci tra noi, è anche il tema del Giubileo: diventare pellegrini di speranza, portare speranza e parole di fiducia.

Quanti catechisti ci sono in una diocesi grande come Milano?

Non abbiamo un numero preciso, non abbiamo mai voluto fare un censimento, posso darle una stima: potrebbero essere circa 10.000 catechisti e catechiste all’interno della nostra diocesi, che è grande: abbiamo mille parrocchie, 5 milioni di abitanti. Mi piace notare soprattutto che sono persone formate, molto generose e molto inserite nella comunità. Di solito la presenza dei catechisti in una comunità è sempre molto preziosa, anche perché la catechesi, l’iniziazione cristiana, con tutte le fatiche che ha in questo tempo, genera comunità. È un luogo molto missionario: dove è vissuto bene, permette di inserire nuove persone, di coinvolgere famiglie, di creare un tessuto di comunità. A volte non ci accorgiamo che questo è un dono prezioso: per il fatto che si fa un po’ fatica oggi nella catechesi c’è il rischio di dire che chissà se serve, in realtà genera comunità.

Quali sono le difficoltà attuali per la catechesi? Come si fa a parlare a bambini, adolescenti, adulti di Dio oggi?

Penso che la prima grossa difficoltà sia il coinvolgimento delle famiglie, di conseguenza anche i bambini, i ragazzi sono meno motivati, meno sostenuti, non perché le famiglie non siano interessate, ma perché vivono nel nostro tempo che è un tempo molto pieno, molto faticoso, abbiamo famiglie molto sotto pressione per il lavoro, per i tanti impegni, quindi credo che ci sia questa fatica di fondo. A volte è difficile coinvolgere le famiglie, anche se devo dire che laddove si trova una modalità a misura di famiglia accogliente, bella, piacevole, che crea anche comunità e legami, le famiglie ci stanno. Per quanto riguarda i ragazzi, ci sono molti altri stimoli, tanti altri modi diversi di pensare, anche se devo dire che i bambini, soprattutto nei primi anni di catechesi, sono curiosi. Il Vangelo interessa, è una buona notizia, non per finta, quindi penso che anche qui la difficoltà è trovare anche i modi con cui parlare del Vangelo. La terza difficoltà è più sul nostro versante: a volte viviamo ancora una catechesi che è legata più alla modalità della spiegazione, della lezione, mentre dobbiamo andare verso una catechesi che sia una esperienza di vita cristiana, che è anche spiegazione, contenuti, preghiere da imparare, ma è qualcosa di più ampio. Abbiamo vissuto la formazione dei catechisti in questo periodo, di cui il Giubileo era il primo appuntamento, sul tema della sensibilità e della corporeità nella catechesi. L’idea è che una catechesi deve essere multisensoriale, anche un po’ più esperienziale, perché la fede è un’esperienza e non perché è un modo per catturare i bambini. L’altra difficoltà è che adesso le nostre comunità sono un po’ più fragili, abbiamo meno catechisti, anche meno forze e meno proposte. Per superare le difficoltà quando si è un po’ fragili, sia le famiglie sia le comunità, possiamo camminare insieme e unire le forze e le risorse, non c’è uno che deve dare e l’altro che deve ricevere. Si può far diventare questa situazione un’occasione propizia per la diffusione del Vangelo.

Com’è organizzato il vostro Servizio di catechesi?

È organizzato in settori: c’è la sezione catechesi, che si occupa appunto della catechesi di iniziazione cristiana, della catechesi battesimale, della catechesi degli adulti; poi abbiamo la sezione del catecumenato, quindi per i giovani adulti che chiedono di diventare cristiani; infine, la sezione dell’apostolato biblico, quindi tutte le iniziative che riguardano la lettura della Parola, la diffusione della conoscenza della Bibbia, i gruppi di ascolto della Parola diffusi nelle parrocchie. Io sono il responsabile, ci sono dei collaboratori e poi abbiamo tante équipe o tavoli di lavoro, commissioni che ci aiutano, è un lavoro d’insieme, anche bello e molto ricco, ovviamente coinvolgendo molto i laici.

Ci sono parecchi giovani che si avvicinano in età adulta alla nostra fede? Penso anche ai molti stranieri che il vostro territorio accoglie.

Numericamente sono leggermente in aumento, noi abbiamo circa 100 persone in cammino ogni anno. Il catecumenato è un cammino di due anni, quindi vuol dire che ogni anno ci sono circa 200 persone in cammino, con il coinvolgimento di altrettante parrocchie. I catecumeni sono sempre più giovani, il catecumenato tecnicamente è dai 18 anni in su, ma iniziamo ad avere anche degli adolescenti e dei preadolescenti che chiedono di diventare cristiani. Dei 100 catecumeni all’anno un terzo ha meno di 30 anni. L’altro dato che ci colpisce è che metà di loro è nata in Italia, quindi c’è una presenza ovviamente di stranieri abbastanza consistente, ma se negli anni passati la maggior parte dei catecumeni era di origine straniera, in realtà adesso non è più così: ci sono diverse persone che non hanno ricevuto il battesimo da bambini perché i genitori hanno preferito che scegliessero da grandi, oppure vengono da famiglie dove uno dei due genitori è di altra religione o di altra cultura o magari è non credente, quindi a questo punto si è scelto di lasciare la decisione a un’età più matura. È un cambiamento che non ci aspettavamo ed è anche un segno, secondo me, che la Chiesa attrae, il Vangelo attrae.

Questi catecumeni iniziano ad affacciarsi nella comunità cristiana prima ancora di iniziare il cammino, cioè esplorano, curiosano, partecipano a delle messe, leggono il Vangelo, parlano con amici cristiani: come diceva il nostro arcivescovo nel Giubileo, la nostra fiducia è sapere che Dio attrae tutti a sé e questo è molto evidente nei catecumeni giovani e adulti.

Avete un feedback di che cosa li avvicina, incuriosisce, affascina?

Innanzitutto, ci sono delle domande di senso legate di solito a esperienze di vita, che possono essere innanzitutto esperienze legate all’amore. Alcune persone conoscono il cristianesimo perché vorrebbero sposarsi o legarsi a una persona cristiana, quindi vengono a conoscenza del Vangelo e di Gesù, questo non vuol dire che si battezzano per sposarsi, perché ci si può sposare anche senza essere battezzati, con un rito di matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. La seconda dimensione è il dolore: tante persone incontrano il Signore a partire da esperienze dolorose, da lutti. Il terzo elemento che accende domande di senso è lo studio, soprattutto per gli universitari, lo studio della filosofia, della scienza, della letteratura, dell’arte. Importanti sono anche incontri con persone cristiane al momento giusto, cioè quando si sono aperte delle domande di senso, che aprono un po’ alla ricerca. Questo ci dà una responsabilità: una luce si può accendere, ma poi si può anche spegnere, se non c’è chi la raccoglie, chi l’ascolta, chi la fa crescere.

Don Matteo, c’è un identikit del catechista del terzo millennio, secondo lei?

Sicuramente persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, quindi che frequentano Gesù, attraverso la preghiera personale e la lettura della Scrittura. Secondo, mi verrebbe da dire catechisti che lavorano insieme e quindi che creano comunità attorno a sé, con i bambini, i ragazzi, le famiglie, con la comunità in senso ampio, quindi persone di comunione. Il terzo elemento, secondo me importante, persone che sappiano prendere il passo dell’altra persona che accompagnano, perché quando accompagni una persona prendi il suo ritmo, cerchi di entrare nel suo linguaggio, cerchi di capire il suo vissuto, questo è ciò di cui la catechesi ha bisogno oggi, perché è esattamente il modo con cui possiamo andare oltre la difficoltà dei linguaggi. A volte non troviamo il linguaggio giusto perché non abbiamo la pazienza di imparare il linguaggio. Un missionario che va in una terra di missione prima di tutto impara la lingua, la cultura. Ecco,

noi abbiamo bisogno di persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, persone di comunione e persone che sappiano accompagnare e davvero creare una reciprocità, una relazione.

La Quattro giorni comunità educanti, iniziata con il Giubileo diocesano dei catechisti, che obiettivo ha avuto?

La scelta è stata proprio quella di sottolineare il tema della corporeità e della sensibilità.

L’idea è stata di provare a esplorare come possa la catechesi essere una catechesi più incarnata,

dentro il corpo ma anche dentro le esperienze di ragazzi, come può essere quella dello sport, trovare linguaggi corporei espressivi che fanno entrare nell’esperienza della fede. sir 27

 

 

 

 

Papa Leone: Il buon giornalismo è radicato nel Vangelo

 

Stamane, l'udienza con il Collegio degli Scrittori de "La Civiltà Cattolica"- Di Antonio Tarallo

Città del Vaticano. Giornata particolare per il collegio degli Scrittori della “La Civiltà Cattolica”, la storica rivista dei Gesuiti, ricevuto in udienza stamane da papa Leone XIV. Il pontefice li ringrazia per il “fedele e generoso servizio” alla Sede Apostolica. Parole di gratitudine e stima per il loro lavoro che “ha contribuito – e continua a farlo – a rendere la Chiesa presente nel mondo della cultura, in sintonia con gli insegnamenti del Papa e con gli orientamenti della Santa Sede” così ha esordito nel suo intervento. 

Un incontro - come ha tenuto a precisare papa Leone XIV - che “si svolge nel 175° anniversario di fondazione” della nota rivista.  “Qualcuno ha definito la vostra rivista “una finestra sul mondo”, apprezzandone l’apertura, e davvero una sua caratteristica è quella di sapersi accostare all’attualità senza temere di affrontarne le sfide e le contraddizioni” ha continuato il papa. Poi, delinea “tre aree significative” dell’operato degli scrittori de “La Civiltà Cattolica”: il primo, “educare le persone a un impegno intelligente e fattivo nel mondo”; il secondo, “farsi voce degli ultimi” e, infine, “essere annunciatori di speranza”.

Del primo aspetto - “educare le persone a un impegno intelligente e fattivo nel mondo” -  sottoliena che ciò che viene scritto nella rivista “può aiutare i vostri lettori a comprendere meglio la società complessa in cui viviamo, valutandone potenzialità e debolezze, nella ricerca di quei “segni dei tempi” alla cui attenzione ci ha richiamato il Concilio Vaticano II”. Questo metodo, sottolinea papa Leone XIV, mette in “grado di dare apporti validi, anche a livello politico, su temi fondamentali come l’equità sociale, la famiglia, l’istruzione, le nuove sfide tecnologiche, la pace”. 

Per il secondo punto - “farsi voce dei più poveri e degli esclusi” - cita il predecessore, papa Francesco.  Ricorda agli scrittori della rivista le parole della Esortazione apostolica Evangelii gaudium del pontefice argentino: “C’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via”. E per farsi portavoce degli ultimi, papa Leone XIV sottolinea, allora, che bisogna avere “una grande e umile capacità di ascoltare, di stare vicino a chi soffre, per riconoscere nel suo grido silenzioso quello del Crocifisso che dice: «Ho sete»”. 

Ultimo tema affrontato, essere messaggeri di speranza: “Si tratta di opporsi all’indifferentismo di chi rimane insensibile agli altri e al loro legittimo bisogno di futuro, come pure di vincere la delusione di chi non crede più nella possibilità di intraprendere nuove vie, ma soprattutto di ricordare e annunciare che per noi la speranza ultima è Cristo, nostra via. In Lui e con Lui, sul nostro cammino non ci sono più vicoli ciechi, né realtà che, per quanto dure e complicate, possano fermarci e impedirci di amare con fiducia Dio e i fratelli” sottolinea papa Leone XIV nel suo discorso. E, ricordando Benedetto XVI, “al di là di successi e fallimenti, io so che «la mia vita personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile dell’Amore», e perciò trovo ancora e sempre il coraggio di operare e di proseguire”. 

Infine, il pensiero ancora a papa Francesco che in diverse occasioni aveva incoraggiato “a proseguire nel vostro lavoro con gioia, mediante il buon giornalismo, che non aderisce ad altro schieramento se non a quello del Vangelo, ascoltando tutte le voci e incarnando quella docile mitezza che fa bene al cuore”. Delinea, in ultimo, la missione della rivista: “Cogliere lo sguardo di Cristo sul mondo, coltivarlo, comunicarlo, testimoniarlo”. Aci 25

 

 

 

 

 

Cei. Consiglio permanente: “Sia pace in Terra santa”

 

Il Consiglio permanente della Cei si è concluso a Gorizia con una Nota per la pace in Terra Santa, firmata insieme ai vescovi di Slovenia e Croazia. Il comunicato finale e la conferenza stampa di mons. Baturi.  Di M.Michela Nicolais

“Da una terra di cicatrici, a cavallo e intorno ai due conflitti mondiali, vogliamo pensare a tutti le cicatrici del mondo, pensando che è possibile cambiare. Da questa linea di confine, abbiamo pensato a tutti i confini, da questa realtà di incontro abbiamo pensato a tutte le possibilità di incontro tra i popoli”. Così mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei ha sintetizzato sia il senso della “tre giorni” di lavoro a Gorizia, sia quello della Nota diffusa oggi per invocare la pace in Terra Santa. “Attraversare, ieri sera, quella piazza nel punto esatto dove passava un confine tragico, che ha provocato 150 morti – il riferimento alla Veglia di ieri sera in piazza Transalpina – ha significato che un mondo diverso è possibile, perché la morte non può essere l’ultima parola”.

“Non possiamo restare in silenzio di fronte alla drammatica escalation di violenza, al moltiplicarsi di atti di disumanità, all’annientamento di città e di popoli”, l’appello lanciato dai vescovi italiani nella Nota “Sia pace in Terra Santa”, diffusa a conclusione dei lavori. In una terra di confine segnata da integrazione e dialogo, i presuli hanno ribadito l’urgenza di promuovere la pace insieme ai vescovi di Slovenia e Croazia, sottoscrivendo un documento congiunto che riafferma “la nonviolenza, il dialogo, l’ascolto e l’incontro come metodo e stile di fraternità”.

“Chiediamo con forza che a Gaza cessi ogni forma di violenza inaccettabile contro un intero popolo e che siano liberati gli ostaggi”, l’appello, insieme a quello affinché “si rispetti il diritto umanitario internazionale, ponendo fine all’esilio forzato della popolazione palestinese, aggredita dall’offensiva dell’esercito israeliano e pressata da Hamas”. Il documento ribadisce che “la prospettiva di ‘due popoli, due Stati’ resta la via per un futuro possibile” e invita il governo italiano e le Istituzioni europee a fare tutto il possibile per il cessate il fuoco.

La Cei si unisce agli appelli della società civile e accoglie l’invito di Papa Leone a “pregare, ogni giorno del prossimo mese, il Rosario per la pace, personalmente, in famiglia e in comunità”. In particolare, i vescovi esortano a partecipare, l’11 ottobre alle ore 18, alla Veglia del Giubileo della spiritualità mariana in piazza San Pietro, occasione in cui si ricorderà anche l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.

“Rispetto ad un dramma di questo genere, nessuno può dire di aver fatto il possibile”, ha detto Baturi rispondendo alle domande dei giornalisti sull’appello al governo e all’Europa rivolto nella Nota a proposito della situazione in Terra Santa. L’intenzione della Cei è “chiedere che si faccia il possibile per ristabilire la legalità e dare una prospettiva di stabilità, giustizia e libertà tra i due popoli, secondo la soluzione auspicata dalla Santa Sede dei due popoli e due Stati. Che due popoli vivano in pace, in due Stati è possibile, ma dentro un coinvolgimento della comunità internazionale e all’interno del ripristino del diritto internazionale”. Quello della Chiesa italiana, in altre parole, “è un atteggiamento per la pace globale, non motivato da una situazione geopolitica: dove la gente soffre, deve essere garantita una situazione di libertà. A Gaza ci sono sofferenze ingiustificabili, intollerabili, inconcepibili: l’amore per l’uomo comporta la denuncia di tutte quelle situazioni incompatibili con la dignità umana”. “La mobilitazione della Chiesa italiana è già in atto”, ha aggiunto Baturi a proposito del suo viaggio a Gerusalemme annunciato per prossimi giorni: “vado  per portare fraternità alla comunità cristiana che soffre, perché l’aiuto possa essere per tutti, come fa la parrocchia di Gaza. Vado sapendo quanto grande sia l’attenzione del popolo italiano per questa sofferenza e perché questa sofferenza abbia termine”.

Il presule ha inoltre reso noto che i vescovi italiani stanno preparando un documento “che in modo organico parli di educazione alla pace”, con un’attenzione particolare ai giovani, e ha ricordato che il Cammino sinodale della Chiesa italiana prosegue: il testo scaturito dal percorso delle prime due assemblee “non è blindato e non c’è stata nessuna censura”, ha precisato rispondendo alle domande dei giornalisti. Frutto di sei mesi di lavoro condiviso tra la Presidenza della Cei, il Comitato del Cammino sinodale e gli Organismi della Conferenza episcopale, raccoglie gli emendamenti emersi nella seconda Assemblea sinodale e sarà consegnato nei prossimi giorni ai delegati diocesani. “Il Cammino sinodale verrà chiuso dall’81ª Assemblea generale (Assisi, 17-20 novembre 2025) con la ricezione del Documento di sintesi. I vescovi hanno fissato le tappe successive fino alla 82ª Assemblea (Roma, 25-28 maggio 2026), indicando la costituzione di un gruppo che elaborerà delibere, priorità e prospettive pastorali.

“È sempre più evidente una frattura culturale e antropologica profonda”. È quanto emerge dal comunicato finale del Cep. Tra i segni di tale frattura, “la diffusione crescente della paura del diverso, l’aumento dei suicidi tra gli adolescenti, la crisi dei legami sociali”, in un quadro di “regressione spirituale globale” alimentata da consumismo disumanizzante e comunicazione violenta. Per descrivere il degrado relazionale, i vescovi parlano di “demenza digitale”, denunciando la perdita di memoria e di relazioni autentiche. Il Consiglio permanente della Cei ha poi approvato il programma dell’Assemblea generale straordinaria in programma ad Assisi dal 17 al 20 novembre  e hanno dato il via libera al messaggio per la 48ª Giornata per la vita (1° febbraio 2026), dal titolo “Prima i bambini!”. Approvati anche i formulari liturgici per la memoria di Santa Teresa di Calcutta e per la messa per la custodia della creazione, che saranno presentati all’Assemblea di novembre, insieme all’indice tematico del documento sull’Insegnamento della religione cattolica e allo schema del documento sull’educazione alla pace. Ratificato infine l’aggiornamento della circolare sugli enti e beni Cei del 2005.

Sir 24

 

 

 

 

 

 

Leone XIV: in ottobre il Rosario ogni giorno per la pace

 

Al termine dell'udienza di oggi, dedicata alla discesa di Gesù agli inferi, il Papa ha lanciato un appello a pregare ogni giorno, nel mese di ottobre, il Rosario per la pace e ha annunciato, a sorpresa, ai fedeli, che lo presiederà insieme a loro l'11 ottobre in piazza San Pietro, alle 18 – di M.Michela Nicolais

“Non c’è passato così rovinato, non c’è storia così compromessa che non possa essere toccata dalla misericordia”. Perché gli inferi “non sono soltanto la condizione di chi è morto, ma anche “l’ ’inferno quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono, della fatica di vivere”, da cui Gesù, con la sua discesa dopo la Pasqua, ci libera. Per lui, non ci sono “anime prigioniere”, ma un popolo fatto “di persone rialzate, di cuori perdonati, di lacrime asciugate”. Nella catechesi dell’udienza di oggi, Leone XIV si è soffermato ancora una volta, come aveva fatto mercoledì scorso, sul Sabato Santo, che nella concezione biblica “sono non tanto un luogo, quanto una condizione esistenziale: quella condizione in cui la vita è depotenziata e regnano il dolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli altri”.

Al termine della catechesi, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, l’appello a pregare ogni giorno il Rosario per la pace, nel mese di ottobre, e l’annuncio a sorpresa ai fedeli: “La sera di sabato 11 ottobre, alle ore 18, lo faremo insieme qui in piazza San Pietro, nella Veglia del Giubileo della spiritualità mariana, ricordando anche l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano “.

“Cristo ci raggiunge anche in questo abisso, varcando le porte di questo regno di tenebra”, ha assicurato il Papa nella catechesi: “Entra, per così dire, nella casa stessa della morte, per svuotarla, per liberarne gli abitanti, prendendoli per mano ad uno ad uno”.

“Il Figlio di Dio si è addentrato nelle tenebre più fitte per raggiungere anche l’ultimo dei suoi fratelli e sorelle, per portare anche laggiù la sua luce”, ha spiegato Leone citando un testo apocrifo, il Vangelo di Nicodemo, che manifesta “l’umiltà di un Dio che non si ferma davanti al nostro peccato, che non si spaventa di fronte all’estremo rifiuto dell’essere umano”. L’apostolo Pietro ci dice che Gesù, reso vivo nello Spirito Santo, andò a portare l’annuncio di salvezza “anche alle anime prigioniere”. Per Leone, “è una delle immagini più commoventi”: “In questo gesto ci sono tutta la forza e la tenerezza dell’annuncio pasquale: la morte non è mai l’ultima parola”.

La discesa agli inferi “non riguarda solo il passato, ma tocca la vitadi ciascuno di noi”, ha sintetizzato il Papa: Cristo entra nel nostro inferno quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono, della fatica di vivere, in tutte queste “realtà oscure”, per testimoniarci l’amore del Padre: “Non per giudicare, ma per liberare. Non per colpevolizzare, ma per salvare. Lo fa senza clamore, in punta di piedi, come chi entra in una stanza d’ospedale per offrire conforto e aiuto”. “I Padri della Chiesa, in pagine di straordinaria bellezza, hanno descritto questo momento come un incontro: quello tra Cristo e Adamo”, ha ricordato il Pontefice: “Un incontro che è simbolo di tutti gli incontri possibili tra Dio e l’uomo.

Il Signore scende là dove l’uomo si è nascosto per paura, e lo chiama per nome, lo prende per mano, lo rialza, lo riporta alla luce. Lo fa con piena autorità, ma anche con infinita dolcezza, come un padre con il figlio che teme di non essere più amato”.

Nelle icone orientali della Risurrezione, Cristo è raffigurato mentre sfonda le porte degli inferi e, tendendo le sue braccia, afferra i polsi di Adamo ed Eva: “Non salva solo sé stesso, non torna alla vita da solo, ma trascina con sé tutta l’umanità”, ha commentato: “Questa è la vera gloria del Risorto: è potenza d’amore, è solidarietà di un Dio che non vuole salvarsi senza di noi, ma solo con noi. Un Dio che non risorge se non abbracciando le nostre miserie e rialzandoci in vista di una vita nuova”. Il Sabato Santo è, allora, per il Papa, “il giorno in cui il cielo visita la terra più in profondità”: “È il tempo in cui ogni angolo della storia umana viene toccato dalla luce della Pasqua”.

“E se Cristo ha potuto scendere fino a lì, nulla può essere escluso dalla sua redenzione”, ha garantito Leone: “Nemmeno le nostre notti, nemmeno le nostre colpe più antiche, nemmeno i nostri legami spezzati”. Tutto ciò perché, ha osservato Leone, “scendere, per Dio, non è una sconfitta, ma il compimento del suo amore”: “Non è un fallimento, ma la via attraverso cui egli mostra che nessun luogo è troppo lontano, nessun cuore troppo chiuso, nessuna tomba troppo sigillata per il suo amore.

Questo ci consola, questo ci sostiene”. “E se a volte ci sembra di toccare il fondo, ricordiamo: quello è il luogo da cui Dio è capace di cominciare una nuova creazione”, ha concluso Leone XIV: “Una creazione fatta di persone rialzate, di cuori perdonati, di lacrime asciugate. Il Sabato Santo è l’abbraccio silenzioso con cui Cristo presenta tutta la creazione al Padre per ricollocarla nel suo disegno di salvezza”. Sir 24

 

 

 

 

Recensione. "Sacre ossa. Storie di reliquie, santi e pellegrini"

 

Un saggio che si legge come un romanzo - Di Caterina Maniaci

Roma. L’anno è l’828, anno sepolto nei secoli del primo medioevo. Venezia è agli albori della sua storia millenaria, la grandezza della Serenissima è ancora di là da venire. Ma l’ambizione di farla diventare forte e potente nei suoi abitanti, discendenti di quei popoli in fuga al tempo delle grandi invasioni barbariche dall’est e dal Nord, è molto forte. Bisogna che la città nata sulle acque abbia un grande protettore, un santo sotto il cui nome mettersi al riparo, e per farlo occorre avere le reliquie. Ossia quel che rimane del corpo o di oggetti appartenuti a l futuro protettore. Ormai tutti i luoghi che vogliono diventare conosciuti, a cominciare da chiese, santuari, abbazie, mete di pellegrinaggi, di culto, possiedono reliquie. Per averle si fa qualunque cosa si possono persino scatenare guerre.

Bono da Malamocco e Rustico da Torcello, mercanti temerari di Venezia, si trovano ad Alessandria d’Egitto, vengono a conoscenza che i resti del corpo dell’evangelista Marco si trovano in città. Desiderano assolutamente sottrarle ai musulmani, che governano Alessandria. Sono pronti a tutto e così per sottrarre il corpo dell’evangelista ricorrono ad un astuto stratagemma; per passare i controlli a cui sono sottoposte le navi in partenza nascondono le reliquie sotto carne di maiali. I controllori si ritraggono inorriditi da quelle carni immonde. E quel viaggio verso la glorificazione di Venezia.

Che li accoglie a bracca aperte, come degli eroi. Il doge Partecipazio dispone subito che venga  eretta una chiesa, degna dimora delle ossa del Santo. Con lo scorrere degli anni l'edifico di culto diverrà la basilica di San Marco, conosciuta in tutto il mondo.

Una storia che si muove tra realtà e leggenda e che è una delle vicende più conosciute che simboleggia l’importanza delle reliquie , soprattutto nel Medioevo, ma ancora oggi, infondo. Viaggio avventuroso, del resto, anche per le spoglie di San Nicola. Nel 1087 sessantadue marinai baresi riescono a portare via  dalla Turchia le ossa del vescovo di Mira per fare in modo che il culto di questo santo già allora molto popolare possa fiorire proprio in terra barese. In questi 930 anni la reliquia è stata a Bari e non è mai stata spostata; fino a qualche giorno fa quando una costola del santo è stata invece trasportata per la venerazione a Mosca; gesto, questo, frutto dello storico incontro tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco.

Reliquie trafugate, vendute, rubate, scambiate. A causa della religiosità  popolare, in primo luogo, ma anche per la richiesta di riscatti. E così nei secoli, accanto alla distribuzione legale, e assolutamente gratuita, di reliquie da parte della Chiesa, quando per esempio si inaugura un santuario o una parrocchia, si è alimentato un mercato illegale parallelo. Consapevole dell'importanza della pietà popolare, ma allo stesso tempo preoccupata per i rischi di 'superstizione', la Chiesa cattolica autorizza il culto delle reliquie regolamentando però nei dettagli questa pratica.

La reliquia, che una volta riconosciuta come autentica può essere venerata, esposta e trasportata in processione, può essere di prima, seconda o terza classe. Reliquie di prima classe sono gli oggetti direttamente associati ad eventi della vita di Cristo (parti della croce, chiodi della crocifissione, frammenti della mangiatoia, ecc.) o resti sacri di santi. Di seconda classe sono invece gli oggetti che il santo ha indossato e quelli che abitualmente usava in vita. E' reliquia di terza classe infine qualsiasi oggetto che sia entrato in contatto con le reliquie di prima classe. La compravendita delle reliquie è considerata simonia, il furto è invece un sacrilegio. Entrambi peccati gravissimi per la Chiesa.

Un saggio di recente pubblicazione, Ossa sacre, di  ci introduce in questo mondo straordinario, in cui è possibile imbattersi nella polvere del mantello di san Martino, il dentino da latte di Gesù Bambino, migliaia e migliaia di frammenti della Vera Croce recuperata da sant’Elena.

L’autore, che è uno storico, descrive con perizia la presenza di questi “oggetti” sacri, autentici, presunti, a volte chiaramente falsi, un elenco quasi infinito di quanto nei secoli si è  conservato  nei nostri santuari e nelle nostre chiese, ci fa anche pensare alle altre innumerevoli  storie a loro legate, in un  mondo fatto di viaggi avventurosi, raggiri, contese teologiche, battaglie campali e rapporti di potere secolari. Protagonisti non solo santi e uomini di Chiesa, ma anche sovrani, condottieri, donne straordinarie, nobili e personaggi minori come pirati, ladri, abili millantatori e tanta povera gente in buona fede.  Dai palazzi imperiali, come quello di Costantinopoli, alle rovine di Gerusalemme, dall’Italia alla Franca alla Germania e in tutta Europa, da Oriente a Occidente, sarà affascinante ritrovare le vie delle reliquie, fino ai nostri giorni, con i pellegrinaggi presso i più grandi santuari del mondo (ricordiamo le file viste anche di recente per  vedere e pregare davanti ai resti di san Antonio nella basilica di Padova), seguendo il bisogno di essere vicino ai santi, in qualche modo di “toccarli”, di capire la loro umanità concreta e insieme la loro forza nella fede, e sentirsi così di riflesso, più forti e saldi, nella speranza di un loro aiuto, della loro intercessione e supplica verso l’Alto.

Federico Canaccini, Sacre ossa. Storie di reliquie, santi e pellegrini, Laterza editore, pp.312, euro 19. aci 24

 

 

 

 

Oltre 300 esorcisti a convegno. Il Papa li incoraggia nel ministero di liberazione

 

A Sacrofano si è svolto il XV Convegno internazionale degli esorcisti, con oltre 300 partecipanti da tutti i continenti. Papa Leone XIV ha inviato un messaggio di incoraggiamento, definendo il loro ministero “opera di liberazione e consolazione”. Tra i temi affrontati: discernimento, fenomeni occulti, dialogo con la scienza e nuove sfide spirituali legate alla tecnologia – di Riccardo Benotti

“Apprezzamento per i sacerdoti che si dedicano al delicato e quanto mai necessario ministero dell’esorcista, incoraggiandoli a viverlo sia come ministero di liberazione che di consolazione, accompagnando i fedeli realmente posseduti dal maligno con la preghiera e l’invocazione della presenza efficace di Cristo, affinché mediante il sacramentale dell’esorcismo il Signore conceda la vittoria su Satana”. Con queste parole Papa Leone XIV ha aperto, con un messaggio augurale e la benedizione apostolica, il XV Convegno internazionale dell’Associazione internazionale esorcisti (Aie), svoltosi dal 15 al 20 settembre a Sacrofano, presso la Casa di spiritualità “Fraterna Domus”. Ai lavori hanno preso parte circa 300 sacerdoti esorcisti e ausiliari provenienti da tutti i continenti. Mons. Karel Orlita, presidente dell’Aie ed esorcista della diocesi di Brno in Repubblica Ceca, ha richiamato “la bellezza della comunione ecclesiale in cui si colloca il ministero dell’esorcista, vissuto saldamente radicato nel Vangelo” e ha ricordato l’approvazione ufficiale il 25 marzo 2025 del nuovo Statuto dell’Aie da parte del Dicastero per il clero come “segno di conferma e incoraggiamento alla missione dell’Associazione che ha recentemente superato il migliaio di iscritti”.

Approfondimenti e relazioni

Le giornate di lavoro sono state scandite da celebrazioni eucaristiche – presiedute dal card. Arthur Roche, dal card. Pietro Parolin e da mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira – e da relazioni di approfondimento. Mons. Aurelio García Macías, sottosegretario del Dicastero per il culto divino, ha presentato il Rituale degli esorcismi, vissuto “nella consapevolezza della centralità di Cristo, giacché nel rito è Lui la Chiesa e l’esorcismo è antica celebrazione liturgica ‘in persona Christi’”. P. John Szada, psicologo e psicoterapeuta, ha richiamato l’importanza di un discernimento che sappia unire fede e criteri scientifici, “avvalendosi anche dei moderni criteri diagnostici”. Mons. Rubens Miraglia Zani ha messo

in guardia dalle cosiddette “anime erranti”, “illusione demoniaca che si avvale di manifestazioni spettrali il cui scopo è impedire un corretto discernimento circa l’azione straordinaria del diavolo”.

P. Jean-Baptiste Vian ha analizzato i risvolti del vudù, che culminano “in pratiche magiche, di adorcismo, di sottomissione e consacrazione agli spiriti, cioè ai demoni, anche di minorenni e bambini”. Fra Benigno Palilla ha affrontato “il tema del dialogo fra scienza e fede nell’esorcismo”, mentre nella sua omelia il card. Parolin ha ricordato che “servire nella Chiesa è ricevere un dono che va custodito e rinnovato nell’umiltà”. Ai lavori pomeridiani ha preso parte anche mons. Renato Tarantelli, vescovo ausiliare e vicegerente della diocesi di Roma, che ha manifestato la sua attenzione verso il ministero e ha portato il saluto del card. Baldo Reina, vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma.

Denunce e conclusioni

Negli interventi conclusivi p. Francesco Bamonte, vicepresidente Aie e moderatore del convegno, ha denunciato i rischi pastorali derivanti dall’affidarsi alla parapsicologia: “Dando credito alle infondatezze della parapsicologia, è così accaduto che diversi sacerdoti hanno lasciato irrisolte molte situazioni gravi, abbandonando nella sofferenza persone che necessitavano dell’intervento dell’esorcista”. P. Andrés Esteban López Ruiz ha analizzato la New Age, “movimento spirituale sincretico che propone un sistema di credenze aperto dove l’uomo e il cosmo sono compresi all’interno di una visione olistica e relativista”. Fra Mauro Billetta ha evidenziato l’utilità dell’analisi differenziale per distinguere patologie e ossessione diabolica. La criminologa Beatrice Ugolini ha spiegato come

l’intelligenza artificiale favorisca “la nascita di nuovi strumenti magico-operativi, lo sviluppo di inedite tecniche di divinazione grazie agli algoritmi che permettono la raccolta di dati personali, e persino nuove forme di necromanzia e comunicazione coi defunti”.

Nella celebrazione conclusiva mons. Ferrada Moreira ha espresso la gratitudine del Dicastero per il clero verso l’Aie “per il servizio reso quotidianamente nella condivisione fraterna a beneficio di quanti sono tribolati per opera del Maligno”. A nove anni dalla morte di don Gabriele Amorth, fondatore e primo presidente, il convegno ha confermato l’attualità di un ministero che la Chiesa considera necessario per sostenere i fedeli tribolati dal maligno. Sir 23

 

 

 

 

Papa Leone XIV: “C’è bisogno di donne generose”

 

L'udienza stamane con le suore di Santa Caterina Vergine e Martire, le salesiane missionarie di Maria Immacolata, delle suore di San Paolo di Chartres e le carmelitane scalze di Terra Santa - Di Antonio Tarallo

Città del Vaticano. "Un tratto comune agli Istituti a cui appartenete è il coraggio che ne ha caratterizzato gli inizi. Vorrei perciò prendere spunto, per una breve riflessione, dal passo del libro dei Proverbi che dice: «Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore». Penso che le vostre storie offrano una risposta a tale domanda: in esse, infatti, Dio ha trovato non una, ma molte donne forti e coraggiose, che non esitato a correre rischi e ad affrontare problemi per abbracciare i suoi progetti e rispondere “sì” alla sua chiamata”. Con queste parole, papa Leone XIV ha salutato le Monache Carmelitane Scalze di Terra Santa, le partecipanti ai Capitoli Generali delle Suore di Santa Caterina Vergine e Martire, delle Salesiane Missionarie di Maria Immacolata e delle Suore di San Paolo di Chartres, ricevute in udienza stamane. 

 

Il papa si sofferma sulle fondatrici degli istituti religiosi coinvolti nell'udienza di stamane. Le definisce “donne straordinarie che sono partite in missione in tempi difficili; che si sono chinate sulle miserie morali e materiali negli ambienti più abbandonati della società; che, per stare vicino a chi era nel bisogno, hanno accettato di rischiare la vita, fino a perderla, vittime di brutali violenze in tempi di guerra”.

 

Fa riferimento alla Liturgia delle ore, papa Leone XIV, citando le parole dell' Hymnus Fortem virili pectore: Commune Sanctarum Mulierum : “Hanno domato la carne con il digiuno, hanno nutrito la mente con il dolce cibo della preghiera, si sono dissetate alle gioie del cielo”. Il pontefice, allora, commenta questi versi che definisce "parole sapienti e profonde, che richiamano le radici della vostra vita di consacrate, sia nella contemplazione che nell'impegno apostolico. La forza della fedeltà, infatti, ad ambo i livelli, viene dalla stessa sorgente, Cristo, ei mezzi per attingerne la ricchezza sono, come insegna l'esperienza millenaria della Chiesa, quelli nominati: l'ascesi, l'orazione, i Sacramenti, l'intimità con Dio, con la sua Parola, con le cose del Cielo”. 

 

E continua: "Il nostro lavoro è nelle mani del Signore, e noi siamo solo strumenti piccoli e inadeguati, "servi inutili", come dice il Vangelo. Eppure, se ci affidiamo a Lui, se restiamo uniti a Lui, grandi cose succedono, proprio attraverso la nostra povertà". Cita, a proposito, sant'Agostino che raccomandava alle vergini: "Avviatevi alle altezze col piede dell'umiltà. Egli [Dio] porta in alto chi lo segue con umiltà [...]. Affidate a Lui i doni che vi ha elargito, perché ve li conservi; deponete presso di Lui la vostra forza". Cita anche san Giovanni Paolo II che sempre sulla vita religiosa meditava sull' “ascendere al monte” e sul “discendere dal monte” nella sua Esortazione Apostolica Vita consecrata del 1996.

 

Cita gli esempi di Regina Protmann, Maria Gertrude del Prezioso Sangue, Marie-Anne de Tilly – col Padre Louis Chauvet – Santa Teresa d'Avila, gli eremiti del Monte Carmelo: per papa Leone XIV sono queste tutte persone “intimamente unite a Dio e perciò consacrate al suo servizio e al bene di tutta la Chiesa, impegnate a radicare e consolidare negli animi dei fratelli quel regno di Cristo che hanno sentito prima di tutto vivo in loro, ea dilatarlo in ogni parte della terra”. 

 

Infine, lo sguardo al presente: "Anche ai nostri giorni, infatti, c'è bisogno di donne generose. In proposito, permettetemi di rivolgere un particolare saluto alle sorelle Carmelitane Scalze di Terra Santa, qui presenti: è importante ciò che state facendo, con la vostra presenza vigile e silenziosa in luoghi purtroppo dilaniati dall'odio e dalla violenza, con la vostra testimonianza di abbandono fiducioso in Dio, con la vostra costante invocazione per la pace". aci 22

 

 

 

 

 

Missioni cattoliche di lingua italiana: “Essere chiesa oggi in Svizzera”

 

Il seminario vescovile di Bergamo ospiterà dal 20 al 23 ottobre 2025 un convegno di aggiornamento promosso dalle Missioni cattoliche di lingua italiana in Svizzera, pensato per i missionari e gli operatori pastorali, intorno al tema “Essere Chiesa oggi in Svizzera alla luce del nuovo fenomeno migratorio. Opportunità e sfide per una pastorale di comunione e di interculturalità”. Le iscrizioni devono pervenire entro lunedì 13 ottobre 2025.

In Svizzera attualmente vivono 650 mila italiani e circa il 40% della popolazione cattolica proviene dalla migrazione. Questa molteplicità di provenienza, di culture, di lingue, di tradizioni e di riti liturgici apporta un colore tipico che è l’identità propria della Chiesa che è in Svizzera. Con il documento “In cammino verso una pastorale interculturale” la Conferenza dei Vescovi svizzeri (CVS) e la Conferenza centrale cattolica romana (RKZ) hanno creato le basi per orientare questo progetto.

Il convegno intende dare un contributo di riflessioni e proposte per il futuro della Chiesa svizzera e delle comunità affidate alle Missioni, sulla scia di quello che ha lasciato scritto papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: “C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Come è importante sognare insieme! … Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce”. (FT 8)

Dalle 16.30 di lunedì 20 ottobre prenderanno il via i lavori, con gli interventi di mons. Pierpaolo Felicolo (direttore generale della Fondazione Migrantes) e Isabel Vasquez (Migratio CES – Friburgo). Giovedì 23 chiusura del convegno, con la sintesi del moderatore e del coordinatore don Egidio Todeschini. Mci ch 22

 

 

 

 

 

 

Il Giubileo dei migranti e la trappola del debito

 

Anticipazione | Il 4 e 5 ottobre la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato si celebra in concomitanza con il Giubileo dei migranti. Una scelta di papa Leone, che incentra il suo messaggio sulle disuguaglianze globali. Sulle quali grava sempre di più il “macigno del debito” (1,8 trilioni in totale), come scrive p. Giulio Albanese nel Dossier Immigrazione 2025

di Antonio Ricci, Vicepresidente di IDOS

Il 4 e 5 ottobre prossimi, per volontà del papa, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato si celebra in via eccezionale in concomitanza con il Giubileo dei migranti. Esprimendosi anche in relazione a questo tema Leone XIV, fin dall’inizio del suo pontificato, ha già messo il dito sulla piaga denunciando le disuguaglianze globali. Il papa ha invitato a riflettere “su una possibile remissione del debito pubblico e del debito ecologico”, rilanciando un tema già al centro del suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. L’appello è diretto e senza giri di parole: costruire ponti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, e farlo mettendo al centro giustizia sociale, ecologica e ambientale.

È un richiamo che non nasce dal nulla, ma si innesta in una riflessione critica maturata nel corso dei decenni. Come ricorda padre Giulio Albanese nel suo contributo (Dal sogno dello sviluppo alla trappola del debito: l’Africa nell’era della finanza speculativa) al Dossier statistico immigrazione 2025, che sarà presentato a Roma il 4 novembre prossimo, alcune intuizioni restano sorprendentemente attuali anche a distanza di decenni. Già nel 1962, Raymond Aron avvertiva in Pace e guerra tra le nazioni che “l’ineguaglianza tra le nazioni assumerà il ruolo della lotta di classe”. Oggi, guardando all’Africa, agli sbarchi e ai muri eretti alle frontiere dell’Europa, quelle parole suonano più profetiche che mai.

I dati lo confermano. Secondo le elaborazioni IDOS per il Dossier 2025, i migranti nel mondo hanno raggiunto quota 304 milioni. Non fuggono soltanto da guerre e catastrofi – che pure, solo nel 2024, hanno costretto 65 milioni di persone alla fuga – ma anche da un divario economico e simbolico reso ancora più insostenibile dalla globalizzazione. Il Nord del pianeta, con appena 1,4 miliardi di abitanti (un sesto della popolazione mondiale), concentra quasi la metà del Pil globale; il Sud, con 6,8 miliardi di abitanti, deve spartirsi il restante 56%, con un Pil pro capite quattro volte più basso (15.800 dollari contro i 62.800 del Nord).

Ecco perché, come sottolinea ancora padre Albanese, i modelli di consumo planetari amplificano la percezione della distanza tra chi ha e chi non ha. Non sorprende allora che – al di fuori delle migrazioni forzate – molti migranti provengano non dai Paesi più poveri, ma da quelli intrappolati in una “terra di mezzo” dello sviluppo.

Su questo scenario pesa come un macigno il nodo del debito. I condoni promessi negli anni ’90 sono stati presto rimpiazzati da nuovi prestiti privati, spesso più onerosi e speculativi. Risultato: solo l’Africa paga oggi interessi fino a quattro volte superiori rispetto ai Paesi ricchi, per un debito che sfiora i 1,8 trilioni di dollari. Un fardello che soffoca welfare, infrastrutture e prospettive di futuro.

Dietro queste cifre si nasconde una realtà durissima: economie fragili, schiacciate dalla finanza speculativa, costrette a svendere risorse e a rinunciare a investimenti essenziali. Un meccanismo che alimenta disuguaglianze, instabilità e, inevitabilmente, nuove migrazioni.

La Santa Sede lo ha detto chiaramente già nel 2018, nel documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones: servono regole per fermare la speculazione e riportare etica nella finanza globale. Una raccomandazione semplice ma potente, che attraversa come un filo rosso l’intero Dossier: se non affrontiamo le radici strutturali delle disuguaglianze, continueremo a rincorrerne gli effetti senza mai toccarne le cause. È un monito che ritorna pagina dopo pagina, che pervade analisi e testimonianze, e che ci costringe a guardare in faccia la realtà: senza giustizia globale, non ci sarà mai pace duratura. Idos 22

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Papa Leone XIV: Non siamo padroni della nostra vita né dei beni di cui godiamo

 

L'Angelus di oggi di papa Leone XIV. L'appello per la pace a Gaza - Di Antonio Tarallo

Città del Vaticano. Una piazza festante accoglie papa Leone XIV che dopo aver celebrato la Santa Messa di oggi nella parrocchia di Sant'Anna in Vaticano ,  recita la preghiera mariana dell'Angelus con i fedeli che sono giunti nella piazza del Bernini. 

Papa Leone XIV per la sua meditazione comincia con il Vangelo di oggi “che ci fa riflettere sull'uso dei beni materiali e, più in generale, su come stiamo amministrando il bene più prezioso di tutti, che è la nostra stessa vita”, così il pontefice. 

E sulla figura dell'amministratore menzionato nella parabola nel Vangelo spiega che si “tratta di un'immagine che ci comunica qualcosa di importante: noi non siamo padroni della nostra vita né dei beni di cui godiamo; tutto ci è stato dato in dono dal Signore e Lui ha affidato questo patrimonio alla nostra cura, alla nostra libertà e responsabilità”. E ammonisce che “un giorno saremo chiamati a rendere conto di come abbiamo amministrato noi stessi, i nostri beni e le risorse della terra, sia davanti a Dio sia davanti agli uomini, alla società e soprattutto a chi verrà dopo di noi”. Tratteggia, allora, ancora meglio la figura sempre dell'amministratore che - per papa Leone XIV - “ha cercato semplicemente il proprio guadagno” e, quando arriva il giorno in cui deve rendere conto e l'amministrazione gli viene tolta, “deve pensare a che cosa fare per il suo futuro”. Ed è in questo caso - in questa “situazione difficile”, così la definisce il pontefice - che “egli comprende che non è l'accumulo dei beni materiali il valore più importante, perché le ricchezze di questo mondo passano”. E cosa fa, allora? Il pontefice continua nel suo racconto: "Chiama i debitori e “taglia” i loro debiti, rinunciando quindi alla parte che sarebbe spettata proprio a lui. In questo modo, perde la ricchezza materiale ma guadagna degli amici, che saranno pronti ad aiutarlo e a sostenerlo".

L'insegnamento di tutto ciò è che bisogna uscire dalla “del proprio egoismo”. La parabola ci invita a porci una domanda che papa Leone XIV condivide con i fedeli:  “Come stiamo amministrando i beni materiali, le risorse della terra e la nostra stessa vita che Dio ci ha affidato?”. E a questo quesito, sempre il pontefice prospetta due alternative: o “possiamo seguire il criterio dell'egoismo, mettendo la ricchezza al primo posto e pensando solo a noi stessi”, oppure “possiamo riconoscere tutto ciò che abbiamo come dono di Dio da amministrare, e utilizzare come strumento di condivisione, per creare reti di amicizia e solidarietà, per edificare il bene, per costruire un mondo più giusto, più equo e più fraterno” conclude il pontefice. 

E dopo la recita dell'Angelus, il pensiero del papa è per le associazioni che sostengono con aiuti umanitari il popolo di Gaza. In merito, dice: "Apprezzo la vostra iniziativa e molte altre che in tutta la Chiesa esprimono vicinanza ai fratelli e alle sorelle che soffrono in quella terra martoriata. Con voi e con i pastori delle chiese in Terra Santa ripeto: non c'è futuro basato sulla violenza, sull'esilio forzato, sulla vendetta. I popoli hanno bisogno di pace chi li ama veramente lavora per la pace". aci 21

 

 

 

 

 

Papa Leone XIV: "Tanti Paesi e popoli hanno fame e sete di giustizia”

 

L'udienza in piazza San Pietro per il Giubileo degli operatori di giustizia - Di Antonio Tarallo

Città del Vaticano. Piazza San Pietro è assolata. Sopra la cupola michelangiolesca, un cielo terso. Risplende in tutta la sua bellezza. Il colonnato del Bernini diviene così, ancora una volta, suggestiva cornice a un evento che prima di oggi non è stato mai celebrato nella storia dei Giubilei. La giornata di oggi è dedicata, infatti, agli Operatori di giustizia: tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nel mondo della giustizia laica, canonica, ecclesiastica, dello Stato della Città del Vaticano, della Curia romana. Presenti giudici, pubblici ministeri, magistrati, avvocati, operatori del diritto, personale amministrativo, con i loro famigliari. 100 le nazioni conivolte. Una giornata che è iniziata alle 10,30 di stamane con il saluto istituzionale di monsignor Fisichella, Pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, che ha introdotto una Lectio di monsignor Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Dicastero per i Testi Legislativi, sul tema «Iustitia Imago Dei: l’operatore di giustizia, strumento di speranza».

 

E il papa vuole essere presente a questo così particolare Giubileo. E lo fa con un’udienza dedicata a loro, agli operatori di giustizia, nella piazza berniniana: un’udienza giubilare che ha come tema fondamentale proprio la giustizia nella sua applicazione. Arriva in piazza con un inconsueto ritardo. L’udienza era prevista per le 12,00 mentre solo alle 12,22 entra la papa-mobile in piazza: il papa è accolto da un accorato applauso. Saluta la folla con in volto un grande sorriso che si apre ancora di più nel salutare alcuni bambini che la gendarmeria vaticana gli presenta mentre l’automobile papale fa il suo giro tra i corridoi della piazza.  

 

“Il Giubileo ci rende tutti pellegrini che, nel riscoprire i segni della speranza che non delude, vogliono «ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato»”. Papa Leone XIV ricorda così le parole della Bolla di indizione del Giubileo nell’introduzione al suo intervento. E continua: “La giustizia, infatti, è chiamata a svolgere una funzione superiore nell’umana convivenza, che non può essere ridotta alla nuda applicazione della legge o all’operato dei giudici, né limitarsi agli aspetti procedurali”. 

 

«Ami la giustizia e la malvagità detesti» cita il salmo 45. Un salmo che - secondo papa Leone XIV - ci ricorda “ciascuno di noi a fare il bene ed evitare il male”. Parla di sete di giustizia che “è lo strumento-cardine per edificare il bene comune in ogni società umana”: poiché nella giustizia, infatti, “si coniugano la dignità della persona, il suo rapporto con l’altro e la dimensione della comunità fatta di convivenza, strutture e regole comuni. Una circolarità della relazione sociale che pone al centro il valore di ogni essere umano, da preservare mediante la giustizia di fronte alle diverse forme di conflitto che possono sorgere nell’agire individuale, o nella perdita di senso comune che può coinvolgere anche gli apparati e le strutture”, così continua il pontefice. 

 

Va alla radice del termine, papa Leone XIV: “La giustizia è, anzitutto, una virtù, vale a dire, un atteggiamento fermo e stabile che ordina la nostra condotta secondo la ragione e la fede” ricorda il papa. E aggiunge che “la virtù della giustizia, in particolare, consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto”. In questo contesto, allora, per il credente - secondo papa Leone XIV - “la giustizia dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune”, ricordando il Catechismo della Chiesa cattolica ai presenti. Papa Leone XIV ricorda, allora, che uno dei più importanti obiettivi della giustizia è quello di essere “garante di un ordine a tutela del debole, di colui che chiede giustizia perché vittima di oppressione, escluso o ignorato”.

 

Il pontefice elenca, allora, alcuni episodi evangelici: si alternano nelle sue parole il Vangelo di Luca (l’insistenza della vedova che induce il giudice a ritrovare il senso del giusto); cita il Vangelo di Matteo (per la giusta paga dell’operaio).  E ancora, sempre il Vangelo di Matteo nel perdonare “non sette volte, ma settanta volte sette”. 

Continua, poi, il pontefice: “La giustizia evangelica, quindi, non distoglie da quella umana, ma la interroga e ridisegna: la provoca ad andare sempre oltre, perché la spinge verso la ricerca della riconciliazione”. E sottolinea che  “il male, infatti, non va soltanto sanzionato, ma riparato, e a tale scopo è necessario uno sguardo profondo verso il bene delle persone e il bene comune”. Un compito che papa Leone XIV definisce “arduo”, ma “non impossibile per chi, cosciente di svolgere un servizio più esigente di altri, si impegna a tenere una condotta di vita irreprensibile”.

 

La giustizia, quindi, per il pontefice deve tendere “verso gli altri, quando a ciascuno è reso quanto gli è dovuto”. Deve raggiungere “l’uguaglianza nella dignità e nelle opportunità fra gli esseri umani”. Allo stesso tempo, papa Leone XIV è consapevole tuttavia “che l’effettiva uguaglianza non è quella formale di fronte alla legge. Questa uguaglianza, pur essendo una condizione indispensabile per il corretto esercizio della giustizia, non elimina il fatto che vi sono crescenti discriminazioni che hanno come primo effetto proprio il mancato accesso alla giustizia”. Ma qual è, allora, la “vera uguaglianza”? Il pontefice risponde:  “La possibilità data a tutti di realizzare le proprie aspirazioni e di vedere i diritti inerenti alla propria dignità garantiti da un sistema di valori comuni e condivisi, capaci di ispirare norme e leggi su cui fondare il funzionamento delle istituzioni”.

 

Agli operatori di giustizia spetta il compito della “ricerca o il recupero dei valori dimenticati nella convivenza”. Una ricerca, un recupero che implica un “processo utile e doveroso”, soprattutto davanti “all’affermarsi di comportamenti e strategie che mostrano disprezzo per la vita umana sin dal suo primo manifestarsi” e che “negano diritti basilari per l’esistenza personale e non rispettano la coscienza da cui scaturiscono le libertà. Proprio attraverso i valori posti alla base del vivere sociale, la giustizia assume il suo ruolo centrale per la convivenza delle persone e delle comunità umane” tiene a precisare il papa. Aci 20

 

 

 

 

 

 

“Dio è nell’algoritmo”, così i giovani riscoprono la chiesa sui social media

 

La Chiesa Cattolica, spesso percepita come un’istituzione in declino e segnata dagli scandali di abusi sessuali, sta vivendo una rinascita inattesa. E, questa nuova linfa arriva dalla Generazione Z. Per questi giovani, la cui vita online è ormai parte integrata di quella offline, il rinnovato interesse per la fede è in parte merito del crescente numero di personalità cattoliche sui social media: sacerdoti e laici predicano, creano meme e trasmettono in live streaming, influenzando adolescenti e giovani adulti.

La Francia epicentro della “nuova fede”

La Francia ha visto la partecipazione ai riti religiosi scendere tra il 2 e il 5% della popolazione. Ma negli ultimi anni è diventata un vero e proprio “hotspot” per questa svolta giovanile verso Dio. I dati della Chiesa Cattolica francese rivelano che i battesimi tra i 18 e i 25 anni sono più che quadruplicati negli ultimi quattro anni, mentre i battesimi di adulti nel complesso sono aumentati di oltre il 160% nell’ultimo decennio. La Pasqua del 2025 ha segnato un record con 17.800 battesimi di adulti, un aumento del 45% rispetto all’anno precedente.

Suor Albertine Debacker, una “influencer” cattolica di 29 anni, intervistata dalla Cnn, si è detta sorpresa da questo cambiamento, ricordando: “A un certo punto, pensavo che fosse davvero una cosa da nonne”. Ora, con 334.000 follower su Instagram e 202.000 su TikTok , è diventata una delle figure più importanti nel mondo cattolico online in Francia.

Suore e sacerdoti “digitali”: la fede a portata di click

“Quello che sta succedendo tra i giovani è che hanno iniziato a parlarne tra loro. La religione non è un argomento tabù,” ha affermato Suor Albertine. I suoi canali social sono un punto di riferimento per chi vuole approfondire la fede cattolica, offrendo preghiere (il suo video di preghiere per gli esami ha raggiunto 2,3 milioni di visualizzazioni), consigli di vita, indicazioni su come diventare suora o battezzarsi, e spiegazioni degli insegnamenti chiave cattolici. Tra i suoi contenuti, si trovano video su “Come perdonare”, “Il denaro nella Chiesa” e “3 consigli per iniziare a leggere la Bibbia”.

Ma il fenomeno non si limita solo alla Francia. L’entusiasmo giovanile per la religione si riflette anche altrove in Europa: in Belgio, i battesimi di adolescenti e adulti sono quasi triplicati in dieci anni. A Dublino, quasi il doppio degli adulti è stato battezzato a Pasqua rispetto all’anno precedente, molti dei quali giovani immigrati. Anche negli Stati Uniti, dove i numeri dei praticanti sono tradizionalmente più alti, uno studio del Pew Research Center ha indicato che il declino della religione si è arrestato, e una ricerca di Harvard del 2023 ha mostrato che un numero maggiore di americani della Generazione Z si identifica come cattolico, con i giovani uomini in testa a questa tendenza.

Perché i giovani tornano alla fede?

Ma cosa spiega questo rinnovato interesse da parte dei giovani per la chiesa? Anche se l’idea di un “influencer cattolico” possa sembrare un paradosso, la Chiesa sta abbracciando questa tendenza. Nell’estate del 2025, Papa Leone XIV ha incontrato 1.000 influencer cattolici, inclusa Suor Albertine, in Vaticano, sottolineando l’importanza di quelli che la leadership della Chiesa considera i “missionari digitali”. “Gesù ci chiede di tessere altre reti: reti di relazioni, di amore,” ha detto il Pontefice. Papa Leone XIV, il primo papa americano, ha dimostrato il suo appeal sulla Generazione Z attraverso il suo carisma discreto e la sua autenticità, parlando in diverse lingue e interagendo giocosamente con la folla durante il Giubileo dei Giovani che ha visto oltre un milione di ragazzi riunirsi a Roma.

Diversi sono gli esempi di “preti digitali”: Heriberto Garcia Arias, sacerdote della diocesi di San Juan de Los Lagos, in Messico, conta oltre 2 milioni di follower su TikTok. Don Alberto Ravagnani, prete italiano “in missione per conto di Dio sui social”, vanta 300 mila follower. O ancora, l’inquadratura su Padre Jefferson Merighetti al funerale di Papa Francesco gli è costata una visibilità enorme, frutto del bell’aspetto che ha attirato migliaia di utenti online su i suoi profili social. O, infine, Don Roberto Fiscer, sacerdote genovose che usa Instagram e TikTok, come “luoghi di missione”. Adnkronos 19

 

 

 

 

 

Media Cei

 

Tv2000 e InBlu2000, identità e innovazione nei palinsesti 2025-2026

Novità tra informazione, fiction, cinema, documentari e digitale. Morgante: “Una comunicazione sobria, rispettosa, profonda”. Porfiri: “Investimenti significativi nel digitale e contenuti per tutte le generazioni”. Mons. Baturi: “Abbiamo bisogno di voi, così come voi avete bisogno di noi”

Una programmazione solida, riconoscibile e al tempo stesso aperta a nuove sfide. Sono questi i tratti principali dei palinsesti 2025-2026 di Tv2000 e Radio InBlu2000, così come sono stati presentati questa mattina nello studio 1 di via Aurelia. Una proposta che unisce la valorizzazione dei punti di forza delle emittenti della Conferenza episcopale italiana a importanti novità editoriali, con un’attenzione costante alla qualità e al radicamento ecclesiale. L’Amministratore delegato, Massimo Porfiri, ha parlato di un percorso di consolidamento e di rilancio: “Questa nuova stagione rappresenta un momento di consolidamento e innovazione per le nostre emittenti. Abbiamo investito in contenuti che parlano dell’attualità avendo a cuore la nostra identità valoriale. La crescita esponenziale di Play2000, nata 20 mesi fa, ci dimostra che la strada intrapresa è quella giusta: offrire contenuti di qualità su tutte le piattaforme, raggiungendo anche un pubblico più giovane senza mai perdere di vista la nostra missione”.

Le novità principali: “Chiesa viva”, “Canonico 3” e “Tutta l’Italia”

Il nuovo palinsesto si arricchisce di un appuntamento quotidiano, Chiesa viva (dal lunedì al venerdì alle ore 17,30), condotto da Gennaro Ferrara, che accompagnerà il pubblico in un percorso di riflessione sul papato di Leone XIV, il Giubileo e il cammino sinodale. “Un programma che nasce dall’ascolto – ha sottolineato Vincenzo Morgante, direttore di rete e dell’informazione – e che vuole raccontare una Chiesa viva, che non ha paura di misurarsi con le sfide del presente”. Debutta inoltre il magazine settimanale di Tg2000 Tutta l’Italia (il sabato alle ore 17,30), dedicato a un racconto autentico del Paese, con uno sguardo che privilegia la profondità rispetto alla superficie. L’obiettivo è dar voce a quelle storie e a quei protagonisti che raramente trovano spazio nei grandi circuiti mediatici. Sul fronte della fiction, arriva la terza stagione di Canonico 3, con Michele La Ginestra nei panni di don Michele e la new entry Debora Villa come suor Betta. Ambientata tra Roma e la Liguria, la serie conferma il suo stile leggero ma capace di affrontare anche i nodi esistenziali, in un intreccio di umanità e Vangelo. Accanto a queste novità, Tv2000 proporrà in chiaro la terza, quarta e quinta stagione di The Chosen, la serie internazionale sul Vangelo che ha conquistato milioni di spettatori nel mondo.

Cinema, documentari e informazione

Il palinsesto 2025-2026 prevede 200 film e documentari di qualità, frutto di accordi con major internazionali e produttori indipendenti. In arrivo pellicole di registi come Spielberg, Zemeckis, Malick, i fratelli Dardenne, Olmi, Kurosawa, Kore’eda, senza dimenticare i grandi classici del cinema americano ed europeo. Sul fronte documentaristico, tra i titoli in evidenza Orfani invisibili di Valeria D’Angelo, sugli “orfani speciali” delle vittime di femminicidio, e Gli anni felici di Padre Pio di Giuseppe Feyles, con immagini restaurate e inedite del frate di Pietrelcina. Tra le produzioni originali di Tv2000 figurano L’ottavo giorno, dedicato ai senzatetto in tempo di Giubileo, e Scintille, che esplora l’incontro tra ordini religiosi e giovani. L’informazione resta uno dei pilastri della proposta editoriale: cinque edizioni quotidiane di Tg2000, due domenicali e il Giornale Radio di InBlu2000, accanto a rubriche e approfondimenti, in un equilibrio tra sobrietà e prossimità. “Il nostro lavoro ha un’anima artigianale – ha spiegato Morgante –. Non ci muove la fretta del consumo, ma la pazienza della semina. Crediamo che i contenuti di qualità siano come semi che, coltivati con coerenza, porteranno frutti duraturi nel tempo. Innoviamo senza snaturarci, custodendo il nostro stile riconoscibile e credibile”.

Play2000 e la sfida digitale

Grande attenzione è riservata all’espansione digitale. La piattaforma Play2000, lanciata meno di due anni fa, ha registrato un incremento del +800% di tempo di visione negli ultimi sei mesi, con oltre 18 milioni di visualizzazioni e 150 milioni di minuti di streaming. Oggi conta 11mila contenuti on demand, podcast originali, cortometraggi e una sezione dedicata al racconto dei borghi italiani. “Abbiamo costruito un ecosistema digitale che dialoga con tv e radio – ha aggiunto Porfiri – I numeri ci incoraggiano a proseguire su questa strada, perché il digitale non è un’aggiunta, ma parte integrante della nostra missione di comunicazione”.

Radio InBlu2000: consolidamento e prossimità

Anche Radio InBlu2000 conferma il suo ruolo di emittente cattolica nazionale, con musica, approfondimenti, informazione e dirette ecclesiali. Un’offerta che si rafforza nella sinergia con Tg2000, in una logica di complementarità e servizio.

Il saluto della Chiesa

Alla presentazione è intervenuto anche mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, che ha espresso riconoscenza per il lavoro svolto: “Abbiamo bisogno di occhi per guardare lontano, di orecchi per ascoltare i gridi dell’umanità sofferente, di mani per incontrare gli altri. Abbiamo bisogno di voi, come Chiesa, così come voi avete bisogno di noi”.

Un richiamo che restituisce il senso più profondo di un progetto editoriale che intreccia missione ecclesiale, racconto del Paese e linguaggi contemporanei, senza perdere di vista sobrietà, prossimità e credibilità. Marco Calvarese, sir 17

 

 

 

 

 

Napoli, si ripete il prodigio del sangue di San Gennaro

 

Battaglia chiede la pace: "Non sia slogan, ma pratica". Nell'omelia le parole per Gaza, per l'Ucraina, per i "Sud del mondo" - Di Antonio Tarallo

Napoli. Atteso da tutto il popolo napoletano che si è riunito stamane nel suo Duomo, alle 10.08 finalmente l'annuncio del prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro. “Abbiamo la gioia di annunciare che la reliquia è stata trovata completamente liquida”, ha detto l'abate della Cappella del Tesoro, monsignor Vincenzo De Gregorio. Come da tradizione, ad accompagnare l'annuncio, lo sventolìo del fazzoletto bianco da parte di uno dei componenti della Deputazione del Tesoro di San Gennaro. Atteso, sospirato, il prodigio è segno di vicinanza e benevolenza del santo patrono per la sua città. E la città risponde a questo amore con altrettanto amore: applausi, lacrime, e gioia nel vedere quel sangue rubino liquefarsi davanti al popolo di Dio. Fede e tradizione vivono in quel momento tanto atteso dal popolo partenopeo. 

Il cardinale Battaglia, arcivescovo di Napoli, che ha presieduto la Santa Messa nella mattinata, ha esposto poi, durante la celebrazione, l'ampolla contenente il sangue del santo patrono, davanti a tutti i presenti. Dall'altare maggiore, dopo aver fatto visionare l'ampolla ai concelebranti, l'arcivescovo di Napoli è sceso tra i fedeli: canti liturgici hanno accompagnato questa sorta di pellegrinaggio verso la città partenopea. Grande commozione per tutti i presenti. 

Così come la commozione ha colto lo stesso cardinale ad inizio della celebrazione. Le sue parole, prima di iniziare la Santa Messa, sono state incentrate sulle guerre che il mondo sta vivendo in questo momento e - in particolar modo - si sono concentrate sulla situazione a Gaza tanto che al momento dell'atto penitenziale ad inizio celebrazione c'è stato anche un video messaggio di padre Gabriel Romanelli che ha ringraziato il cardinale e la popolazione partenopea per la vicinanza spirituale e materiale che sta offrendo. 

E anche nell'omelia dell'arcivescovo, al centro di tutto, nuovamente il tema della guerra, di tutte le guerre che il mondo contemporaneo sta vivendo, sempre con una particolare attenzione alla situazione di Gaza: "È il sangue di ogni bambino di Gaza che espone in questa cattedrale" così l'arcivescovo di Napoli che ha continuato: "Oggi Napoli si ferma come il mare quando il vento si placa. È un placarsi interiore, la sensazione di una giornata di festa, di fede, di identità. Le strade si fanno navate, i balconi cantorie, la città una cattedrale intera. Al centro, non un oggetto, ma un segno: un'ampolla, un sangue, un nome — Gennaro Qui celebriamo non un trofeo, ma una memoria viva: quella dei martiri che l'Amore non ha lasciato soli.

Cita poi il Vangelo di Marco: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà». E in merito dice: "Non è un motto per poster, è un ponte tra due rive. Su quel ponte Gennaro passò intero: la carne consegnata, la paura vinta, la libertà restituita al suo Autore. Non scelse di salvarsi: scelse di donarsi. E il sangue, che i violenti credettero sigillo d'oblio, divenne voce: voce che ancora predica alla città e la chiama a fidarsi del Vangelo più di ogni calcolo, più di ogni prudenza. Guardiamo quel segno non con superstizione, ma come invito a scommettere tutto sull'Affidamento”.

Concentra poi l'attenzione sul sangue, sul suo significato in questo particolare momento storico che stiamo vivendo: "Il sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato. Se potessi, raccoglierei in un'ampolla il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini di ogni popolo — e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun rito ci assolva dalla responsabilità, perché la preghiera sente il peso di ogni ferita e non scivoli via. E oggi, con pudore e con fuoco, dico: è il sangue di ogni bambino di Gaza che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all'ampolla del santo Perché non esistono “altre” lacrime: tutta la terra è un unico altare”.

Lo sguardo si amplia, diviene universale per ogni guerra: “Cessino gli assedi che tolgono pane e acqua; cessino i colpi che sbriciolano case e infanzie; cessino le rappresaglie che scambiano la sicurezza con lo schiacciamento, cessi l'invasione che soffoca ogni speranza di pace”. E sempre sullo stesso tema, quello del sangue, il pensiero del cardinale Battaglia è assai chiaro: "Guardatelo. Non come curiosità, ma come specchio. Il sangue di Gennaro non è un talismano: è un appello. Ogni goccia dice: non tradire. Non tradire il Vangelo con un culto senza conversione. Non tradire il povero con un'elemosina senza scelte. Non tradire la pace con parole senza progetto. Non tradire i bambini con scuole senza maestri e città senza cortili".

Infine, l'appello: "Guarda la Palestina, guarda l'Ucraina, guarda i Sud del mondo: quanti non hanno più lacrime e ci prestano i loro occhi. Fa' che la pace non sia uno slogan, ma una pratica. Fa' che ogni comunità diventi sala d'attesa di resurrezioni: mensa per chi ha fame, porta per chi non ha casa, lingua per chi non sa parlare, compagnia per chi non regge da solo. E qui, nella nostra città, fa' che sotto ogni balcone si veda un ragazzo con un libro e non con un'arma che ogni cortile sia un campo di gioco e non di spaccio che ogni impresa pulita valga più di qualunque denaro sporco".

Nel cuore, nella mente dei fedeli, san Gennaro è sempre rimasto l'amico sincero a cui poter confidare tutto: le delusioni, le speranze, i problemi di ogni sorta (da quelli materiali a quelli spirituali) per poi poter chiedere la sua intercessione. San Gennaro e il miracolo del sangue, san Gennaro e il famoso tesoro: Napoli vive la sua fede popolare, ormai da diversi decenni, di questi due “capisaldi” che formano il cuore pulsante dell'amore che la città partenopea porta al santo. 

Il miracolo del sangue è “stabilito” nei giorni: 16 dicembre, il sabato precedente la prima domenica di maggio (ricorrenza del trasferimento del corpo del santo da Pozzuoli a Napoli) e 19 settembre, giorno della festa del santo. Bisogna però precisare che il termine “miracolo” — seppur così viene da tutti conosciuto — è improprio perché secondo i canoni giuridici della Chiesa si tratterebbe di “prodigio”, un evento inspiegabile dalla “ragione”. È il “prodigio” della liquefazione. Il sangue, che secondo la tradizione fu raccolto dal corpo del patrono della città dopo il suo martirio, da “solido” passa a “liquido”: è il segno di protezione da parte di san Gennaro. 

Ma non si può dimenticare nelle memorie popolari di Napoli, la famosa “Cappella del tesoro” che si trova all'interno del duomo. Fu edificata nel 1601, a seguito di un voto formulato dalla città dopo la grazia ricevuta da san Gennaro per lo scampato pericolo della pestilenza e di altre gravi malattie, nel terribile biennio 1526-1527, anni oscuri per la storia della città partenopea. Solo nel 1646 la cappella fu portata a termine e finalmente consacrata.

All'interno è custodita una parte del tesoro, ma già la struttura stessa risulta di per sé un vero capolavoro: vi hanno lavorato alcuni degli artisti più importanti del Seicento napoletano, tra i quali Caracciolo, Corenzio e De Ribera, che hanno lasciato opere di inestimabile valore. La cappella conserva oggetti, gioielli preziosi, tessuti che raccontano ognuno una storia. È il caso, ad esempio, della cosiddetta “Collana del Tesoro di San Gennaro”, realizzata dal 1679 al 1929: rappresenta la storia di 250 anni d'Europa, il risultato della devozione di re e regine, nobili e gente comune. Nel 1679, la Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro — l'organismo laico che da più di cinquecento anni ha il compito e la responsabilità di promuovere e custodire le reliquie del santo — diede l'incarico all'orafo napoletano Michele Dato di realizzare un ornamento per il busto di san Gennaro, costituito da 13 grosse maglie d'oro con diamanti, smeraldi e rubini, donati dalla Deputazione.

Una volta realizzata la collana, l'istituzione partenopea ritenne che fosse poco preziosa per il busto e così in epoche successive si è arricchita, aggiungendo altri gioielli donati da re e regine passati per Napoli. Nomi illustri parteciparono alla donazione: la regina Maria Amalia di Sassonia, Carlo III di Borbone, la regina Maria Carolina d'Asburgo, Francesco i d'Austria, Giuseppe Bonaparte, Maria Cristina di Savoia, Vittorio Emanuele ii di Savoia. Ma non mancarono, certamente, le donazioni da parte del popolo. Anche un'anziana signora anonima, per ringraziare di essere scampata alla peste, offrì il patrimonio più grande che avesse: due semplici orecchini, tramandati dalla bisnonna che sarebbero poi stati lasciati in eredità alle sue figlie. La Deputazione, ritenendolo un gesto nobilissimo, fece inserire i due orecchini nella parte superiore della collana. Un episodio curioso risale al 1929. La regina Maria José del Belgio, moglie di Umberto II di Savoia, decise di visitare la “Cappella del santo”, ma si presentò senza alcun omaggio. Era tradizione consolidata tra i potenti europei, infatti, offrono un dono al santo patrono quando si recavano in visita a Napoli. Silenzio nella sala, qualche attimo di naturale imbarazzo. Quando poi, la regina Maria Josè si sfilò dal dito un anello d'oro con diamante. Era il suo dono, che ora si trova al centro del collare, proprio tra i due orecchini della sconosciuta popolana. Il santo compie miracoli anche di questo genere: unisce tutti, senza distinzione di ceto, perché la Chiesa è comunità. Aci 19

 

 

 

 

 

Papa Leone XIV: “Le istituzioni pubbliche e la Chiesa promuovano il dialogo”

 

Udienza ai partecipanti all’Incontro giubilare promosso dal CELAM

Città del Vaticano. Papa Leone XIV riceve questa mattina in Udienza i partecipanti all’incontro giubilare promosso dal CELAM (Consiglio Episcopale Latino Americano e Caraibico) per il futuro della famiglia. Ai presenti rivolge un saluto in lingua spagnola.

C’è stato un incontro giubilare e sinodale per il Discernimento di Speranza sul Futuro della Vita e della Famiglia, tra rappresentanti dei centri di formazione in Dottrina Sociale della Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi. Il tutto presso la sede del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, in Piazza San Giovanni in Laterano, 4. 

"Il Giubileo ci invita anche a pensare alle nostre radici: alla fede ricevuta dai nostri genitori, alla preghiera perseverante delle nostre nonne che sgranavano il rosario, alla loro vita semplice, umile e onesta che, come lievito, ha sostenuto tante famiglie e comunità", dice il Papa.

“Siamo coscienti che oggi ogni giorno ci sono autentiche minacce alla dignità della famiglia, come ad esempio, i problemi relativi alla povertà, la mancanza di lavoro, l’accesso ai sistemi sanitari, gli abusi ai più vulnerabili, le migrazioni, le guerre”, dice il Papa ai partecipanti.

Per il Pontefice quindi “le istituzioni pubbliche e la Chiesa hanno la responsabilità di cercare come promuovere il dialogo e rafforzare gli elementi che nella società favoriscono la vita in famiglia e l’educazione dei suoi membri”.

In tutto ciò la famiglia è “un dono e un compito”. “È fondamentale promuovere la corresponsabilità e il protagonismo delle famiglie nella vita sociale, politica e culturale, promuovendo il suo valido contributo nella comunità”, conclude Papa Leone XIV. Aci 19

 

 

 

 

 

Intervista all’ex missionario in Germania don Giovanni Ferro

 

Ritornare straniero a casa propria

Don Giovanni Ferro: dopo 44 anni in Germania il ritorno in Italia, tra memoria, sfide e nuove consapevolezze

Don Giovanni Ferro, sacerdote e giornalista, ha trascorso 44 anni in Germania come missionario al fianco delle comunità italiane, ricoprendo anche il ruolo di direttore del Corriere d’Italia. Dalla fine del 2022 è rientrato definitivamente in patria e oggi ci racconta la sua esperienza, condividendo impressioni e riflessioni su come ha ritrovato l’Italia dopo tanti anni vissuti all’estero.

 

Quando hai varcato la frontiera per tornare definitivamente in Italia, quali emozioni e pensieri ti hanno accompagnato?

Da quel viaggio ho il ricordo di aver avuto di me la sensazione come di uno che fa il tragitto di sempre, ma stavolta per non ritornarci più. Finis. Niente più Germania, ma anche niente l’Italia che era stata la mia. Varcavo la frontiera verso l’ultimo quarto della mia vita. Ero carico di robe da trasloco nel trambusto di quanto mi portavo o regalavo. Solo dopo cominciai a sentire meglio che della mia terra avrei ignorato moltissimo.

 

Dopo tanti anni all’estero, come hai vissuto il ritorno: ti sei sentito subito “a casa” o è stato un processo più complesso?

Il tornare in patria non l’ho trovato difficile, dato che furono le difficoltà stesse a ritrovarmi e alle quali mi ci ero preparato. Sui ritorni in terra d’origine conoscevo tutta una raccolta di esperienze e tanto giornalismo ben ragionato su delusioni, stress emotivo e tempi lunghi di adattamento con imprevisti. Lo sapevo da esperienze in cui io stesso avevo data una mano ad altri in situazioni del partire all’estero e poi nel ritornare. Sapevo che l’Italia mia, quella che lasciai, avrebbe continuato a mutare in mia assenza. Ora, se guardo indietro ai 44 anni di servizio all’estero nella realtà dell’emigrare, ci aggiungo il precedente di cinque anni prima, di quando cioè praticavo sovente una Germania che in realtà era fatta di due: la Bundesrepublik e la DDR ad Est. Le novità che mi aspettavano da oriundo dal Nord Est italiano, il Friuli, mia piccola patria con due lingue madri e altro ai confini con Austria e allora Jugoslavia, da secoli terra di migranti, mi avevano allenato alle complessità del vivere fra diversi. Il Paese che lasciavo nei primi anni settanta non si sarebbe di certo fermato a recuperarmi per il mio ritorno. Insomma restai ancora un po‘ straniero, stavolta a casa mia.

 

Quali sono stati gli ostacoli più duri da affrontare, grandi o piccoli, nel reinserirti nella vita quotidiana italiana?

Certamente mi confrontai con differenze in cose di sostanza o in piccolezze, anche con inedito disagio, nel pubblico amministrativo e in regole italianamente ignote per me, venute col tempo a mia insaputa. Arrivando per restarci, scoprivo dettagli di regolamenti e procedure che sentivo anche strane. Tuttavia decisi di non indignarmi, un po‘ per rispetto d’amor patrio, un po‘ per non dar fastidio ad altri che già vivevano dei loro disagi nazionali. Ero consapevole che anche noi italiani stando all’estero, soffriamo di disamore e rabbie per dei servizi in madrepatria che sovente ci scoraggiano. Un aspetto emblematico lo notai subito per la lingua italiana che ancora io parlavo, o scrivevo, con abitudini che mi ero portata dietro congelate in tono e vocabolario dal mio liceo classico in anni sessanta, quando il parlar bello era un’eleganza dell’anima, un prestigio d’arte e cultura che da millenni ci qualifica davanti al mondo intero. Notavo invece che l’italiano aggiornato da benessere di massa, da radiotelevisioni, fatto di anglicismi e modernità ovunque, anche in gente colta e di alto rango mi infastidiva, anche per le sgrammaticature. Per non dire dei termini sfacciatissimi, assai volgari, che mi scandalizzavano. Dico di quel parlar violento ormai diffusissimo, che mi arrivava come un sintomo di nevrosi del sesso, un’ossessione da eros degradato a schifezza. Ben altro che nel pudore di qualche decennio fa. Non ero abituato a questo in altre lingue d’Europa. Le baruffe da battaglia poi in TV con urla incrociate fra sordi mi scandalizzarono non poco. Non ero addomesticato alle TV imperanti, a decine di radio schiamazzanti, per non parlare dei “socials”,

 

Tornando, hai trovato una mentalità cambiata: quali aspetti della società italiana ti hanno sorpreso di più, in positivo o in negativo?

Vengo ai fatti. Affrontai nuove procedure nel civico, nel burocratico telefonico ovunque. Cercai di tener duro, superando tappe di settimane e mesi per aggiornarmi sul procedere. E devo dire che me la spuntai. Fu scoraggiante soprattutto la cosa con il medico di base e il sistema sanitario nazionale, di cui ho bisogno per sopravvivenza. Una maratona durata un anno fu poi la trasformazione della mia patente di guida tedesca in italiana. Ricordo costi che sapevo sarebbero stati assurdi fuori d’Italia, come le comparse davanti a ripetute commissioni mediche della motorizzazione civile, dal sapore da tribunale clinico. Difficile fu il recupero della mia cittadinanza italiana andata dispersa dall’Aire dalla quale del resto mi ero congedato. Neanche la residenza nel mio piccolo appartamento di proprietà era sopravvissuta negli anni, e fu stress con il Catasto per recuperarmela. Un tormento fiscale fu la mia nuova collocazione nella dichiarazione dei redditi, dopo che la Germania mi era stata paradiso fiscale grazie a residenza di pensionato all’estero e al bonus dal Finanzamt germanico che conosceva bene che poveri e sciagurati d’ogni genere erano la grande famiglia a mio carico. Anche la buona classe di merito per la mia indenne assicurazione auto, non mi fu riconosciuta, e fui retrocesso alla classe 14, che significò la mia ricaduta a diciottenne principiante – altro che Unione Europea. Conobbi altre fiscalità che tralascio per non scoraggiare qualche interessato alla cosa.

 

Guardando al passato, quali trasformazioni ti hanno colpito maggiormente nello stile di vita e nelle abitudini del Paese?

Certo l’Italia di decenni andati, non era più quella che mi salutava. Quando l’avevo lasciata, la parola “computer”, per fare un esempio, era ancora cosa di élites professionali, di ditte e centri di avanguardia, non roba di gente qualsiasi. Il “telefonino” poi era un aggeggio di persone rare piuttosto ignoto, ingombrante, di commessi viaggiatori e tecnici: Si sarebbe divulgato dagli anni novanta. Nel mio Friuli Venezia Giulia, regione Autonomia, nel frattempo la viabilità si era perfino rivoluzionata e rispetto ad altre zone era divenuta di eccellenza anche grazie a progetti di ricostruzione dopo il terremoto che stravolse paesi e centri urbani. La nostra terra un tempo di migranti si era internazionalizzata. Al punto che all’inizio io viaggiai spaesandomi continuamente. La gente era altra e l’anarchia intollerante su strada lo testimoniava. All’occhio di un antropologo, io pensai, i modi e linguaggi erano diventati qualcos’altro a suon di smart e internet universali.

 

Cosa ti è mancato della Germania e, allo stesso tempo, quali aspetti dell’Italia ti hanno confortato al ritorno?

Chiaramente cose buone tedesche mi sarebbero mancate, e mi imposi la pazienza. Altre bontà italiane, del resto, mi confortarono. Ma per me, figlio di guerra e subito dopo, notai che cominciava a finire un resto di romanticismo nel mondo della grande e piccola musica anche popolare e nel canto, una eccellenza di cose importanti per la mia anima, che in terra tedesca si era ritrovata in un paradiso terrestre per queste cose. Quindi mi sono sentito orfano del mio umus culturale che avevo goduto in una Germania capitale del mondo come mecca per gente musicale da ovunque. Ancora vedo e sento l’ignoranza – o dimenticanza – nel costume di massa di un’Italia che dal Rinascimento fino all’Ottocento era stata maestra per musica e canto in Europa. E ora qui penso che ciò sia una cifra indicativa di impoverimento estetico che è presagio di altre decadenze nel nostro paese: ce lo dice gente che indovina un cattivo futuro indagando in certe modernità che sono barbariche.

 

Parlando di servizi pubblici, come metteresti a confronto l’Italia di oggi con la Germania che hai conosciuto?

Quello di servizi è un termine che dice di tante situazioni della vita pubblica. Posso spiegare così: già il Regno d’Italia fattosi Repubblica, si era strutturato a modo suo con altre tradizioni di governo e questo l’ho capito in tanti momenti di Germania, passata per ben altra storia. Mi sentii come fra due mondi cresciuti diversi sulle stesse cose. Così che poi rimpatriandomi imparai a rassegnarmi dicendo anch’io: “Che ci puoi fare, questa è l’Italia, fatta così”. Alla burocrazia tedesca mi ero adeguato. A quella italiana non mi sono ancora rassegnato e accetto di tener duro fino al termine dei miei giorni. Nel mondo tedesco ebbi a che fare normalmente con personale competente e gentile in tante procedure, ma spesso in stile solo formale. Anche in Italia continuo a trovare gente competente che magari fa il meglio possibile fra assurdità burocratiche infinite. Ma qui ora incontro personale che è gentile e di cordialità autentica, ma non per professione ma per natura: qui il ”bel paese” Italia ha una umanità per cuore aperto e fantasia che ci salva da certi inghippi.  Non sono io a dire che il sistema sanitario italiano non è quello tedesco, o svizzero, o… Dietro la situazione si intuisce che la politica del paese ha lavorato sia bene che assai male fra pubblico e privato. Il cosiddetto servizio privato è stato anche per me una sciagura e perfino anche un salvataggio. Ho capito che ci sarebbe molto da rivoluzionare, ma l’arte dell’improvvisazione e l’arrangiarsi in qualche modo è un recupero che qui aiuta la gente nei guai a sopravvivere. Qui il popolo non ricco di soldi, di contatti, di raccomandazioni, anche di mafie… se la cava come può. Parlando invece di “sistema tedesco”, una persona può dire solo di sé: in Germania io ho fatto esperienze tristi, come ho potuto anche godere di risurrezione clinica da buona Bundesrepublik di eccellenza. D’altronde in un paio d’anni sono mutate le cose in tutta Europa, in sicurezza pubblica in crisi, senza pace dentro le città, con masse migratorie destabilizzanti. I miei anni tedeschi dal 1974 fino 2000 sono quelli che ricordo con pace. Gli anni di dopo li sentivo già diventare diversi e non li ho in nostalgia. Anche la gioventù italiana che punta ora verso mete in Europa vive di considerazioni diverse di quelle che furono mie decenni or sono.

 

Anche la dimensione religiosa e spirituale l’hai vissuta in modi diversi tra i due Paesi: cosa hai portato con te di quella esperienza?

Per ciò che mi tocca come cristiano cattolico, sento ora che mi manca la vicinanza col mondo protestante centro-nordeuropeo e delle chiese Ortodosse là presenti, prossimità queste che hanno dato respiro al mio essere come sono. In tante realtà di Chiesa italiane che ho ritrovate in patria, ora vedo un diffuso senso del proprio campanile, una provincialità di costumi chiusi al resto del mondo e davanti al futuro. Qui si dorme spesso su vecchi allori. Anche gente di cultura è ferma a vecchie glorie, mentre la religiosità d’un tempo in Europa evapora con velocità che non era prevista. Ho vissuto in diverse Comunità di Missioni Cattoliche Italiane in Germania, da giovane sacerdote in Ruhr Gebiet, Essen e Bochum, in tempi di tanta frequenza e un’italianità di iniziative che eccelleva di associazionismo. Poi vissi in area Francoforte, ben altra realtà, nell’anonimità urbana fatta di distanze, poi fui in Niedersachsen, mondo quasi “scandinavo” e protestante, nella dispersione di connazionali.

 

Hai ancora legami vivi con la Germania, con persone o comunità a cui sei rimasto legato?

Il massimo dei rapporti che al momento conservo vivi fu in Arcidiocesi di Colonia, la metropoli italiana più Nord delle Alpi, come qualcuno sorride dicendo. In qualche modo là sono ancora legato per emergenze che ho sostenuto e dalle quali non mi sono ancora congedato. Qui in Italia, vedendo insieme le varie esperienze, penso e vivo perplesso su tante dimensioni di Chiesa costruitesi nei secoli e che rispetto, ma personalmente io punto su una spiritualità colta in diretta dal Vangelo che è ancora più antico. Lo imparai in emigrazione, perdendo cose di tradizione per andare alla sostanza

 

Con la tua esperienza, quale consiglio daresti a chi oggi sceglie di emigrare o a chi pensa di rientrare in patria?

A chi si è arricchito o ben sistemato in Germania, all’estero ovunque, consiglierei di dimenticare i disagi degli inizi, e di non farsene un monumento di se stessi da mostrare a chi non c’entra. E invece di saper dire grazie a persone e momenti che ha dato loro la provvidenza tedesca. Riconoscenza non è molto in uso, ovunque, ma in questo caso è d’obbligo. A chi invece torna in patria senza aver raccolto grande fortuna, consiglierei di perdonare a sé stesso, o a sé stessa, l’impulso a partire magari senza buona preparazione per il mondo tedesco, senza dimenticare che il detto “chi cerca trova”, non vale sempre. Per chi poi in questi ultimissimi tempi, anche per esperienze brevi di studio tipo Erasmus, va detto che la propria terra lasciata non resterà più la stessa. Anche le storie del cuore, ad esempio, possono preparare destini mai programmati. Allora non si darà fastidio ad altri con eventuali lamentele e nostalgia del perduto.

 

In conclusione, se ripensi al tuo cammino tra Germania e Italia, come si sono intrecciati nella tua vita spiritualità e servizio?

In situazioni le più diverse in Germania in spazi religiosi o di nessuna religiosità, ho allargato a distanza le mie scarne conoscenze sulle Italie fra Nord, Centro, Sud e Isole con dati che io, da “polentone” del norditaliano, ignoravo. Ho vissuto da sacerdote, un tempo anche da giornalista, da assistente sociale e psicologo assai coinvolto fra desolati e poveri di ogni genere. In questo ultimo tempo di transito fra Deutschland e Italia un’idea di sintesi mi insegue: la nostra Europa, pure nelle diversità, sta insieme finendo di essere ciò che noi giovani negli anni Sessanta immaginavamo in epoca “sessantotto” Essere di Italia o di Germania, ora fa sempre meno differenza fra adolescenti e giovani. Siccome viviamo da cittadini dello stesso villaggio globale di informazione, che non ha pause giorno e notte. Anche il parlare di Emigrazione ed emigranti ora è diverso anche dal punto di vita religioso, dimensione che finora ha fatto molto da connettivo di comunità italiane di Germania – come io ho vissuto nel servizio all’Italianità fuori patria. Ora tante cose stanno evolvendo ad alta velocità. Licia Linardi, CdI on 12.9.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Laien fordern Fortsetzung des synodalen Kurses

 

Die katholische Kirche bleibt weiterhin auf Synodalitäts-Kurs: So lautete die Botschaft, die zum Ende des Dritten Welttreffens der hauptamtlichen Laienvertreterinnen und -vertreter in Rom verbreitet wurde.

Das Treffen, in dem es u.a. um den Stand der unterschiedlichen nationalen Implementierungen von Synodalität ging, fand vom 24. bis 28. September statt und versammelte Teilnehmende aus fünf Kontinenten. Am 26. September stellte sich u.a. die Untersekretärin des Generalsekretariats der Bischofssynode, Schwester Nathalie Becquart, dem Gespräch.

„Für mich war es besonders inspirierend, die Länderberichte über Gelungenes und Herausforderungen der Umsetzung der Synodenergebnisse zu hören“, berichtete Gabriele Eder-Cakl, die Leiterin des Österreichischen Pastoralinstituts (ÖPI), im Anschluss über ihre Erfahrungen bei dem Treffen „Ich habe mir ganz konkrete Beispiele für die Unterstützung der Diözesen bei uns in Österreich von Seiten der nationalen Ebene mitgenommen.“

Unterschiedliche nationale Geschwindigkeiten

Auch in Österreich werde schließlich sowohl auf diözesaner wie auf nationaler Ebene an der Umsetzung und Implementierung synodaler Elemente gearbeitet. „Zudem ist es immer sehr bereichernd, wenn ein Austausch über die Grenzen des eigenen Landes und Kontinents hinausgeht“, so Eder-Cakl gegenüber der Nachrichtenagentur Kathpress.

Der Abschlussbericht zum Welttreffen bietet Schlaglichter auf die unterschiedlichen nationalen Geschwindigkeiten, in denen synodale Elemente in die Vollzüge von Kirche implementiert werden. Zudem bestärkten sich die Teilnehmenden darin, dass Synodalität in der Taufwürde jedes Einzelnen wurzle und zu einem bewussteren Aufeinander-Hören in der Kirche führe.

„Um das synodale Bewusstsein der Gläubigen weiter zu schärfen, wäre ein Mehr an theologischer Bildung wünschenswert“

Um das synodale Bewusstsein der Gläubigen weiter zu schärfen, sei ein Mehr an theologischer Bildung wünschenswert, heißt es in dem Bericht. Insgesamt hänge das Gelingen von Synodalität angesichts der unterschiedlichen Geschwindigkeiten maßgeblich vom Engagement der Laien vor Ort ab, die in ihrer spezifischen Rolle begleitet und gestärkt werden sollten. Die hauptamtlichen Laienvertreterinnen und Vertreter müssten sich daher immer mehr als „Moderatoren“ der Synodalität verstehen, heißt es in dem Bericht abschließend. (kap 29)

 

 

 

Fester Rahmen für Katholische Theologie in Berlin

 

Das Land Berlin und der Heilige Stuhl haben erstmals einen Staatsvertrag geschlossen. Damit erhält das Institut für Katholische Theologie an der Humboldt-Universität ein rechtlich verbindliches Fundament.

In einem Staatsvertrag haben das Land Berlin und der Heilige Stuhl ihre Beziehungen gefestigt und die Grundlage für eine engere Zusammenarbeit im Bereich der universitär verankerten Katholischen Theologie geschaffen. Das seit 2019 an der Humboldt-Universität zu Berlin angesiedelte Institut für Katholische Theologie erhält damit ein rechtlich bindendes Fundament, heißt es in einer Presseerklärung des Landes Berlin vom 29. September.

Erster Staatsvertrag zwischen Heiligem Stuhl und Land Berlin

Berlins Regierender Bürgermeister Kai Wegner und der Apostolische Nuntius, Nikola Eterovi?, unterzeichneten am 29. September den ersten Staatsvertrag zwischen dem Heiligen Stuhl und dem Land Berlin. Mit diesem Vertrag werde die Beziehung zwischen Berlin und der Katholischen Kirche gestärkt, erklärte Kai Wegner und unterstrich die bedeutende Rolle der Kirche in der Bundeshauptstadt: „In den Bereichen der Seelsorge, des Religionsunterrichts und der Erwachsenenbildung ist die Arbeit der kirchlichen Träger für viele Berlinerinnen und Berliner unverzichtbar. Nun bekommt die Zusammenarbeit im Bereich der universitär verankerten Katholischen Theologie ein festes Fundament.“

„Nun bekommt die Zusammenarbeit im Bereich der universitär verankerten Katholischen Theologie ein festes Fundament“

Zeichen der Zeit

Nikola Eterovi?, Apostolischer Nuntius beim Heiligen Stuhl, äußerte seine Freude über das Abkommen. In herausfordernden Zeiten seien die Theologinnen und Theologen am Institut der Humboldt-Universität mit ihrer wissenschaftlichen Kompetenz wichtige Gesprächspartner, so der Nuntius: „Die Herausforderungen unserer Zeit erfordern Aufmerksamkeit auf die Zeichen der Zeit.“ Mit Blick auf Papst Leo XIV., dem das Thema am Herzen liege, stellte er die Frage nach der Rolle von Künstlicher Intelligenz. „Deren außergewöhnliches Potenzial braucht eine neue geistige Auseinandersetzung über das, was der Mensch ist, was ihn ausmacht, was ihn bedroht, worauf er hofft, was er soll oder um seiner selbst lassen muss.“

„Die Herausforderungen unserer Zeit erfordern Aufmerksamkeit auf die Zeichen der Zeit“

Zusammenarbeit stärken

Auch der Erzbischof von Berlin, Heiner Koch, begrüßte das Abkommen. Das Institut leiste seit Jahren einen integralen Beitrag „zu Bildung, Wissensvermittlung und Integration“. Ein gedeihliches Miteinander setze voraus, „dass wir unterschiedliche Perspektiven und Motive austauschen und die Ernsthaftigkeit unseres Bemühens nicht von vornherein in Zweifel ziehen. Katholische Theologie bringt in dieses Gespräch das christliche Bild vom Menschen als Ebenbild Gottes und die Erfahrungen von Befreiungs-Geschichten aus aller Welt ein.“ (pm 29)

 

 

 

 

Motto für katholischen Welttag der sozialen Kommunikationsmittel

 

Papst Leo XIV. hat das Motto für den 60. katholischen Welttag der sozialen Kommunikationsmittel gewählt: Es lautet „Menschliche Stimmen und Gesichter bewahren" (Arbeitsübersetzung), wie der Vatikan diesen Montag bekanntgab. In Deutschland wird der Mediensonntag am 2. Sonntag im September begangen; weltweit ist der Sonntag vor Pfingsten, 17. Mai 2026, Datum des Welttags. Die Botschaft dazu wird erst im Januar veröffentlicht.

In einer Mitteilung zur Bekanntgabe des Themas auf Englisch erklärt das Dikasterium für Kommunikation, das für den Welttag zuständig ist: „In den heutigen Kommunikationsökosystemen beeinflusst die Technologie die Interaktionen mehr denn je – von Algorithmen, die Nachrichtenfeeds kuratieren, bis hin zu KI, die ganze Texte und Gespräche verfasst.“ Technologische Fortschritte böten zwar „Möglichkeiten, die vor wenigen Jahren noch unvorstellbar waren“, solche Werkzeuge könnten jedoch „die einzigartigen menschlichen Fähigkeiten wie Empathie, Ethik und moralische Verantwortung nicht ersetzen“.

KI klug und angemessen nutzen

Öffentliche Kommunikation, heißt es in dem Statement weiter, „erfordert menschliches Urteilsvermögen, nicht nur Datenmuster“. Daher „besteht die Herausforderung darin, sicherzustellen, dass der Mensch die Leitrolle behält. Die Zukunft der Kommunikation muss eine sein, in der Maschinen als Werkzeuge dienen, die das Leben der Menschen verbinden und erleichtern, anstatt die menschliche Stimme zu untergraben.“

„Die Zukunft der Kommunikation muss eine sein, in der Maschinen als Werkzeuge dienen, die das Leben der Menschen verbinden und erleichtern, anstatt die menschliche Stimme zu untergraben“

Risiken

Es gebe reale Risiken, die mit moderner Technologie verbunden sind: „KI kann ansprechende, aber irreführende, manipulative und schädliche Informationen generieren, Vorurteile und Stereotypen aus ihren Trainingsdaten reproduzieren und Desinformation durch die Simulation menschlicher Stimmen und Gesichter verstärken. Sie kann auch ohne Zustimmung der Betroffenen in deren Privatsphäre und Intimität eindringen.“

„KI kann ansprechende, aber irreführende, manipulative und schädliche Informationen generieren, Vorurteile und Stereotypen aus ihren Trainingsdaten reproduzieren und Desinformation durch die Simulation menschlicher Stimmen und Gesichter verstärken“

Es braucht Medien und KI-Kompetenz

Diese Bedenken unterstreichen die Dringlichkeit, „Medienkompetenz“ oder sogar „Medien- und KI-Kompetenz (MAIL)“ in formale Bildungssysteme einzuführen. Für Katholiken sei der Wandel eine große Chance; gleichzeitig gebe es reale Risiken. Eine übermäßige Abhängigkeit von KI „schwäche das kritische Denken und die kreativen Fähigkeiten."  

Der katholische Welttag der sozialen Kommunkationsmittel wurde im Jahr 1967 von Papst Paul VI. eingeführt. Der in Deutschland auch als „Mediensonntag" bezeichnete Tag stellt die Bedeutung und Verantwortung der Massenmedien und der bei ihnen Beschäftigten in den Mittelpunkt. Die Botschaft des Papstes zum Welttag wird traditionell am 24. Januar, dem Gedenktag des hl. Franz von Sales (Patron der Journalisten), veröffentlicht. 

Das Motto des Welttages 2026 auf Englisch lautet: Preserving human voices and faces. (vn 29) 

 

 

 

Kardinal Marx mahnt zu Einheit und Respekt

 

Der Erzbischof von München-Freising, Kardinal Reinhard Marx, hat anlässlich der 50. „Interkulturellen Woche“ beim „Gottesdienst der Nationen“ zur Einheit untereinander und gegenseitigem Respekt aufgerufen. Er verurteilte die Sprache des Krieges und warb für eine Kultur der Gastfreundschaft.

Im Rahmen der Interkulturellen Woche, die seit dem Jahr 1975 immer Ende September stattfindet, sprach Kardinal Marx zur Feier des „Gottesdienstes der Nationen“ über die Notwendigkeit der Kirche im alltäglichen Diskurs. Die Stimme der Kirche werde im Kleinen wie im Großen gebraucht, betonte Marx. „Wenn wir im Miteinander, zunächst als katholische Kirche, mit den verschiedenen muttersprachlichen Gemeinden, Kulturen und Traditionen, auch deutlich machen können, dass wir gut zusammenleben und Zeugnis ablegen können für die Einheit und Gleichheit aller Menschen, dann ist das ein Zeichen und ein wichtiges Element für die Botschaft: Alle Menschen sind Brüder und Schwestern, sie gehören zusammen!“, sagte der Erzbischof am Sonntag im Liebfrauendom.

„Der Krieg löst niemals ein Problem“

Spirale der Gewalt durchbrechen

Vor dem Hintergrund der vielen Konflikte weltweit warnte Marx vor der Logik des Aufrüstens und des Krieges. „Das führt zu einer unendlichen Spirale der Gewalt, die irgendwann auch einsetzt und zur Ungleichheit der Menschen führt, weil die ökonomischen Ressourcen dem Militär vorbehalten sind“. Er zeigte sich besorgt über die „Sprache der Politik. Sie bringt uns nicht weiter. Der Krieg löst niemals ein Problem, sondern nur die Verständigung und die Erinnerung daran, dass wir gleiche Interessen haben, dass wir Menschen sind, dass wir einander respektieren sollten und dass wir einen Ausgleich finden müssen, einen Kompromiss.”

„In diesem Land seid ihr willkommen! Wir gehören zusammen – in einem Erzbistum und in einer Kirche. You are all welcome“

Hoffnung statt Resignation

Trotz der angespannten Weltlage, so Marx, dürfe man nicht in Resignation und Zynismus verfallen. „Wenn wir das aufgeben, sind wir nicht mehr Zeuginnen und Zeugen der Hoffnung.“ Er verwies auf die Worte von Papst Leo XIV., dass eine andere Welt möglich sei. „Daher rufe ich euch zu wie im vergangenen Jahr: In diesem Land seid ihr willkommen! Wir gehören zusammen – in einem Erzbistum und in einer Kirche. You are all welcome!“ (pm 29)

 

 

 

 

Papst Leo wirbt für „gesunden Säkularismus“

 

Papst Leo XIV. ruft Christen, die politisch aktiv sind, dazu auf, „Männer und Frauen des Dialogs“ zu sein.

Das sagte er an diesem Montag zu den Mitgliedern einer Arbeitsgruppe zu interkulturellem und interreligiösem Dialog des Europäischen Parlaments im Vatikan. „Den Dialog zwischen Kulturen und Religionen voranzubringen, ist ein Schlüsselziel für christliche Politiker“, so der Papst.

Menschenwürde und Gemeinschaftsnatur im Mittelpunkt

„Ein Mann oder eine Frau des Dialogs zu sein bedeutet, tief im Evangelium und den daraus resultierenden Werten verwurzelt zu bleiben und gleichzeitig Offenheit, Zuhören und Dialog mit Menschen anderer Herkunft zu pflegen, wobei stets der Mensch, die Menschenwürde und unsere Beziehungs- und Gemeinschaftsnatur im Mittelpunkt stehen.“

„Religion hilft den Menschen, in Gemeinschaft und Gesellschaft zu leben“

Leo äußerte sich auch pointiert zum interreligiösen Dialog. Wer sich darin engagiere, erkenne damit an, dass Religion sowohl auf persönlicher Ebene als auch im sozialen Bereich einen Wert habe.

„Das Wort Religion selbst bezieht sich auf den Begriff der Verbindung als ursprüngliches Element der Menschheit. Wenn sie authentisch und gut gepflegt ist, kann die religiöse Dimension daher die zwischenmenschlichen Beziehungen erheblich verbessern und den Menschen helfen, in Gemeinschaft und Gesellschaft zu leben. Und wie wichtig ist es heute, den Wert und die Bedeutung menschlicher Beziehungen zu betonen!“

Papst Leo XIV. zu interreligiösem Dialog - Ein Bericht von Radio Vatikan

Wie Franziskus

Wie seine Vorgänger Benedikt XVI. und Franziskus brach der Papst mit US- und peruanischer Staatsbürgerschaft eine Lanze für einen „gesunden Säkularismus“. Franziskus war zuletzt bei einer Reise nach Korsika im vergangenen Dezember für eine „gesunde Säkularität“ eingetreten.

„Die europäischen Institutionen brauchen Menschen, die wissen, wie man einen gesunden Säkularismus lebt, das heißt eine Denk- und Handlungsweise, die den Wert der Religion bekräftigt und gleichzeitig die Unterscheidung – nicht die Trennung oder Verwirrung – vom politischen Bereich bewahrt. Besonders erwähnenswert sind hier die Beispiele von Robert Schuman, Konrad Adenauer und Alcide De Gasperi.“

Die Arbeitsgruppe zu interkulturellem und interreligiösem Dialog wird von der „Europäischen Volkspartei“ getragen. Sie ist die einzige ihrer Art im Europäischen Parlament. Auf Konferenzen bringt sie regelmäßig Politiker, NGOs und Religionsvertreter miteinander ins Gespräch. (vn 29)

 

 

 

 

Christliche Patientenvorsorge erscheint in aktualisierter Neuauflage

 

Handreichung bietet Orientierung und Unterstützung für die letzte Phase des Lebens

Orientierung und Unterstützung bei der Vorsorge für den letzten Lebensabschnitt bietet die Christliche Patientenvorsorge, die heute (29. September 2025) von den christlichen Kirchen in einer aktualisierten Neuauflage veröffentlicht worden ist. Herausgegeben wird die Handreichung von der Deutschen Bischofskonferenz, der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) und der Arbeitsgemeinschaft Christlicher Kirchen in Deutschland (ACK).

Wie soll die letzte Phase des Lebens gestaltet werden? Niemand kann voraussehen, wann und auf welche Weise das Leben zu Ende geht. Möglich ist aber eine Vorsorge im Hinblick auf die eigenen Vorstellungen und Wünsche für die Behandlung in schwerster Krankheit und im Sterben. Dafür ist es erforderlich, sich rechtzeitig mit möglichen Handlungsoptionen auseinanderzusetzen. Vor allem sollte sichergestellt sein, dass diejenigen, die einen Menschen begleiten und behandeln, dessen Vorstellungen, Behandlungswünsche und Verfügungen kennen. Nicht zuletzt muss klar sein, wer die Vollmacht hat, die eigenen Interessen zu vertreten, wenn man dazu selbst nicht mehr in der Lage ist. Die Handreichung zur Christlichen Patientenvorsorge bietet christlich-ethische Orientierung und stellt Formulare zur Verfügung, um eine Vorsorgevollmacht, eine Betreuungsverfügung und eine Patientenverfügung auszufertigen sowie Behandlungswünsche zu dokumentieren.

Erforderlich wurde die Neufassung vor allem aufgrund von Veränderungen im Bereich der Gesetzgebung. Formulare aus älteren Auflagen, die schon zu einem früheren Zeitpunkt verwendet wurden, verlieren aber nicht ihre Rechtsgültigkeit. Es wird allerdings empfohlen, die eigenen Festlegungen in regelmäßigen Abständen zu überprüfen und gegebenenfalls an veränderte Wünsche anzupassen.

Im Geleitwort zur Christlichen Patientenvorsorge schreiben der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, die Ratsvorsitzende der EKD, Bischöfin Kirsten Fehrs, und der Vorsitzende der ACK, Reverend Christopher Easthill: „Der tragende Grund für die Überlegungen dieser Handreichung Christliche Patientenvorsorge ist der christliche Glaube, der sich mit der Hoffnung verbindet, dass Gottes Liebe größer ist – größer auch als alles Leiden und Sterben – und dass Gott in Christus neues Leben schenkt.“Hinweis. Die Christliche Patientenvorsorge kann unter www.dbk.de in der Rubrik Publikationen als Broschüre bestellt oder als PDF-Datei heruntergeladen werden. dbk 29

 

 

 

 

Katholischer Monat der Weltmission eröffnet

 

Der Essener Bischof Franz-Josef Overbeck hat mit einem Gottesdienst den katholischen Monat der Weltmission in Deutschland eingeläutet. Dabei rief er am Sonntag zur Verteidigung von Menschenwürde und Demokratie weltweit auf. Der Monat der Weltmission ist nach Angaben seiner Organisatoren von missio Aachen und missio München die weltweit größte katholische Solidaritätsaktion.

Die vom katholischen Hilfswerk missio organisierte Solidaritätsaktion soll in diesem Jahr besonders zwei Ländern in Asien zugutekommen: dem von Krieg und Erdbeben erschütterten Myanmar und den Philippinen. Der Monat endet mit einer Kollekte am Weltmissionssonntag (26. Oktober).

Christen hätten die Aufgabe, Hoffnung zu vermitteln in einer Welt von Krisen und Konflikten, betonte der Essener Bischof. Eindringlich rief er dazu auf, Demokratie und Rechtsstaatlichkeit zu schützen: „Es ist ein hohes Gut." Die Gäste aus Myanmar wüssten, was ein Fehlen von Gerechtigkeit und Rechtsstaatlichkeit bedeute. Die Menschheit lebe in gefährlichen Zeiten, in denen die Möglichkeit groß sei, falsch abzubiegen. In Deutschland sei das schon einmal geschehen – „mit horrenden Folgen", fügte Overbeck unter Anspielung auf die Zeit des Nationalsozialismus' und des Zweiten Weltkriegs hervor.

Die Solidaritätsaktion steht in diesem Jahr unter dem Leitwort „Hoffnung lässt nicht zugrunde gehen". Am finalen Weltmissionssonntag am 26. Oktober sammeln mehr als 100 päpstliche Missionswerke auf allen Kontinenten für die soziale und pastorale Arbeit der Kirche in den 1.100 ärmsten Bistümern der Welt. Die Spenden kommen unter anderem den dort arbeitenden Seelsorgerinnen und Seelsorgern zugute. In Deutschland weiten die internationalen katholischen Hilfswerke missio Aachen und missio München die Aktion zu einem Monat der Weltmission aus. (kna 28)

 

 

 

 

 

 

Leo an Katecheten: Wort Gottes so verkünden, dass es beim Leben hilft

 

Papst Leo hat Katecheten und Katechetinnen aus aller Welt daran erinnert, dass sie nicht einfach Lehrstoff vermitteln, sondern das Wort Gottes so verkünden sollen, dass es Gläubigen im Leben hilft. Das sagte Leo XIV. in der Predigt bei der Jubiläumsmesse für die Katecheten an diesem Sonntag in Rom.

 „Wenn wir im Glauben erziehen, vermitteln wir nicht einfach eine Lektion, sondern legen das Wort des Lebens in die Herzen der Menschen, damit es in einem guten Leben Frucht bringen kann“, erklärte das Kirchenoberhaupt in seiner Predigt auf dem Petersplatz. Leo erinnerte an den heiligen Augustinus, der einem Katecheten geraten habe: „Erkläre alles so, dass die, die dir zuhören, glauben, im Glauben hoffen und in der Hoffnung lieben können.“

„Menschen des Wortes, eines Wortes, das sie mit ihrem Leben aussprechen“

Katecheten seien „Menschen des Wortes, eines Wortes, das sie mit ihrem Leben aussprechen“, hob der Papst hervor. Der Begriff gehe auf das griechische „kat?chein“ zurück und bedeute „durch das Wort belehren“. Erste Katecheten seien die Eltern, die ihre Kinder ins Sprechen einführten. Glaube werde zunächst wie eine Muttersprache zu Hause gelernt, nicht durch Delegation an andere. Zugleich hätten Katecheten und Katechetinnen die bedeutende Aufgabe, Menschen jeden Alters zu begleiten. Als Stütze empfahl Leo den Katechismus: Er sei das „Reiseinstrument“, das „vor Individualismus und Zwietracht schützt, weil er den Glauben der gesamten katholischen Kirche bezeugt“.

Als die zentrale Glaubenswahrheit, die es zu verkünden gelte, bezeichnete der Papst die Auferstehung Jesu. „Das Evangelium sagt uns, dass sich das Leben eines jeden Menschen ändern kann, weil Christus von den Toten auferstanden ist“, so der Papst. Dieses Ereignis sei die rettende Wahrheit und müsse deshalb nicht nur erkannt und verkündet, sondern auch geliebt werden: „Es ist diese Liebe, die uns das Evangelium verstehen lässt, weil sie uns verwandelt, indem sie unsere Herzen für das Wort Gottes und das Antlitz unseres Nächsten öffnet.“

Feierliche Beauftragung durch den Papst

Nach der Predigt traten 39 Katecheten und Katechetinnen aus verschiedenen Erdteilen vor, die in dieser Feier vom Papst ihre Beauftragung erhielten. Einige trugen die traditionelle Festkleidung ihrer Länder, darunter Korea, Mexiko und Mosambik; auch eine Frau als den Vereinigten Arabischen Emiraten war unter den Kandidaten. Leo überreichte jedem ein Kruzifix, das sie an ihren Verkündigungsauftrag erinnern soll.

Neues Dienstamt 2021 eingeführt

Leos Vorgänger Papst Franziskus hatte das Amt des Katecheten 2021 eingeführt. Er verfügte, dass die Kandidaten und Kandidatinnen eine biblische, theologische, pastorale und pädagogische Ausbildung erhalten und als treue Mitarbeiter der Priester und Diakone wirken sollen. Für das Dienstamt in Frage kommen Männer und Frauen mit tiefem Glauben und menschlicher Reife, die bereits Erfahrung in der Katechese gesammelt haben und am Leben der Gemeinde aktiv teilnehmen.

Als Konzelebranten für die Heilig-Jahr-Messe der Katecheten wirkten Erzbischof Rino Fisichella, Pro-Präfekt am Dikasterium für die Evangelisierung, sowie der deutsche Bischof Franz-Peter Tebartz-van Elst, der an derselben Behörde als Delegat für Katechese wirkt. Etwa 45.000 Menschen feierten den Gottesdienst auf dem Petersplatz mit. (vn 28)

 

 

 

 

Jahrestagung der Görres-Gesellschaft in Mannheim. „Kanon und Diskurs“

 

Die Jahrestagung der Görres-Gesellschaft ist heute (28. September 2025) zu Ende gegangen. Sie fand seit Freitag auf Einladung der Universität Mannheim unter dem Thema „Kanon und Diskurs“ statt. Dabei ging es vor allem um die aktuelle gesellschaftliche Debatte angesichts der  Verengung von Diskursräumen und die Frage, ob es überhaupt (noch) möglich ist, sich auf wissenschaftliche Standards wie die Bildung eines „Kanons“ zu verständigen. An der Tagung nahmen rund 300 Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler aus 20 verschiedenen Disziplinen unter einem Angebot von 80 Vorträgen teil.

Beim heutigen Festakt in der Aula der Universität sprach der Soziologe Prof. Dr. Heinz Bude zum Thema „Kanon und Diskurs in der multipolaren Welt“. Er warf die Frage auf, welche Rolle Europa angesichts des Hegemoniekonflikts zwischen den USA und China spielen könnte. Seine Antwort lautete: „Im Herkommen Europas wird dem Rätsel des Individuums ein Sinn gegeben. Darauf gründet der Kanon dieses imaginären Kontinents und das hält seine Diskurse in Bewegung.“

Dem Festakt vorausgegangen war ein Gottesdienst in der Mannheimer Jesuitenkirche, den Weihbischof DDr. Christian Würtz (Freiburg) feierte. Er betonte, dass das Thema der Görres-Jahrestagung auch die Theologie herausfordere: „Was gehört zum Kanon, was ist Maßstab, Richtschnur, unveränderliches Dogma? Und wie gelingt es uns darüber innerhalb der Theologie zu einem fruchtbaren Dialog zu kommen, der uns das, was im Kanon festgelegt ist, besser verstehen lässt, der uns tiefer in ihn hineinführt. Und wie gelingt es uns, auch in die Gesellschaft, außerhalb des kirchlichen Binnenraums in einen Diskurs zu kommen über die Fragen der Religion und unseres Glaubens?“, so Weihbischof Würtz. Er fügte hinzu: „Weder der Diskurs noch der Kanon können den ganzen Raum der Wirklichkeit füllen. Es braucht beides, die Tiefe und die Weite, die sich gegenseitig ergänzen und befruchten, um so zur Fülle, zur Gänze zu kommen. Was uns Bischöfe bei allem Ringen um den richtigen Weg für die Kirche in Deutschland, was uns bei allen Meinungsverschiedenheiten, bei allem Diskurs eint, ist der Glaube an einen personalen Gott, der mit uns Menschen in Beziehung getreten ist. Unüberbietbar ist das geschehen in der Menschwerdung seines Sohnes Jesus Christus, der uns am Kreuz erlöst hat. Das ist der Kanon, der ja auch vor genau 1700 Jahren im Glaubensbekenntnis von Nizäa formuliert und dogmatisiert worden ist.“

Der Präsident der Görres-Gesellschaft, Professor Dr. Bernd Engler, erläuterte: „Mit dem Thema ‚Kanon und Diskurs“ adressiert die Görres-Gesellschaft eine Perspektive, die zunächst im binnenwissenschaftlichen Diskurs von großer Relevanz ist, letztlich aber wissenschaftsgeschichtlich eine bedeutende Rolle spielt, da Wissenschaft immer auch von der wechselnden Kanonisierung bestimmter Theorien und als jeweils gültiger ‚Standard‘ definierter Werke oder Personen bestimmt ist. Gibt es aber angesichts einer zunehmenden Unübersichtlichkeit wissenschaftlicher Disziplinen überhaupt noch Standardwerke oder bedeutende Wissenschaftlerinnen und Wissenschaftler, auf die sich die Disziplinen als maßgeblich für ihr Fach einigen können?“ Eine wesentliche Frage sei, was es für die Wissenschaft bedeute, wenn eine Kanonbildung ausbleibe oder unmöglich gemacht werde. Professor Engler: „Gefährdet dies nicht letztlich die Diskursfähigkeit von Wissenschaft, wenn sie ihre eigenen Grundlagen gar grundsätzlich in Frage stellt? Im Hinblick auf die gesellschaftliche Relevanz von Wissenschaft stellt sich damit aber auch eine viel weitergehende Frage: Was bedeutet es für gesellschaftliche Debatten, wenn ihre Diskursräume immer weiter verengt werden? Geht damit nicht wissenschaftliche – und in Konsequenz gesellschaftliche – Orientierung verloren?“

Einige Beispiele aus dem Tagungsprogramm illustrieren dies: Die philosophische Sektion befasste sich mit der Frage, „wie die Philosophie exklusiv „europäisch“ wurde“. In der Pädagogik wurde unter dem Titel „Rauschen im Blätterwald?“ nach den Bildungskanon-Debatten in Geschichte und Gegenwart gefragt. Die Geschichtswissenschaften warfen einen kritischen Blick auf die Agenda der „kanonischen Themen des Postkolonialismus“. Spannend war die Sektionsveranstaltung der Altertumswissenschaften, wo z.B. über „Büchervernichtung, Kanon und Diskurs als spätantike Formen der Zensur“ diskutiert wurde, während die Neuphilologien ihre Sitzung unter das Thema „Kanon MACHT Diskurs“ stellen. Die Religionswissenschaften schließlich untersuchten u.a. „Kanonbildung“ in den Weltreligionen, und in der Kunstgeschichte wurde die Kanonisierung an Beispielen aus dem Mannheimer Schloss untersucht. Darüber hinaus beschäftigte sich die rechts- und staatswissenschaftliche Sektion mit der „Verfassungsordnung im Verteidigungsfall", die Politikwissenschaft zusammen mit den Wirtschaftswissenschaften mit den Herausforderungen für die Demokratie. 

Auch bei dieser Jahrestagung galt das besondere Augenmerk den zahlreichen Nachwuchswissenschaftlerinnen und -wissenschaftlern, die in Mannheim teilnahmen. Das eigens für diese Gruppe ins Leben gerufene „Junge Forum der Görres-Gesellschaft“ bot die Möglichkeit, sich zu vernetzen und eigene Akzente zu setzen.Hinweise. Die Predigt von Weihbischof DDr. Christian Würtz finden Sie zum Download unter dem untenstehenden Link. Die Zitate dieser Pressemitteilung sind seiner Einführung entnommen. Weitere Informationen zur Görres-Gesellschaft finden Sie unter www.goerres-gesellschaft.de db 28

 

 

 

 

Papst: Unfehlbarkeit des Gottesvolkes findet Ausdruck im Papstamt

 

Papst Leo XIV. hat die Gläubigen an die enge Verbindung von Glaubenssinn des Volkes und Lehramt erinnert. Die „Unfehlbarkeit des Gottesvolkes in Glaubensdingen“ finde ihren Ausdruck in der Unfehlbarkeit des Papstes, erklärte der Papst Heilig-Jahr-Pilgern bei der Generalaudienz an diesem Samstag in Rom. Damit knüpfte Leo an Aussagen seines Vorgängers Franziskus zum „sensus fidei“ an, hob jedoch stärker die Rückbindung an das Papstamt hervor.

Glaubenssinn ist dem Papst zufolge ein „sechster Sinn“ einfacher Menschen für die Dinge Gottes. Dieses „Spüren“ sei „eine Bewegung des Geistes, eine Weisheit des Herzens, die Jesus vor allem in den ,Kleinen´ erkannt habe, also in „den Menschen mit demütigem Herzen“, so Leo. „Gelehrte Menschen hören meist nicht auf ihr Gespür, weil sie glauben, ohnehin schon alles zu wissen. Dabei ist es so schön, im Kopf und im Herzen noch Raum zu haben, damit Gott sich offenbaren kann. Wie viel Hoffnung entsteht, wenn neue Intuitionen im Volk Gottes aufkommen!“ In dieser Intuition liege die „Unfehlbarkeit des Gottesvolkes in Glaubensdingen, deren Ausdruck und Dienst die Unfehlbarkeit des Papstes ist“, erklärte Leo unter Verweis auf das Zweite Vatikanische Konzil.

Als Beispiel für den „Spürsinn“ des Gottesvolkes verwies der Papst an die Wahl des heiligen Ambrosius zum Bischof von Mailand im vierten Jahrhundert. Damals sei die Kirche Mailands gespalten gewesen. Der Gouverneur Ambrosius habe durch Vermittlung den Tumult besänftigt. Ein Kind habe dann ausgerufen: „Ambrosius Bischof!“ und das Volk habe den Ruf sofort aufgegriffen. Obwohl Ambrosius noch nicht einmal getauft, sondern erst Katechumene war, habe ihn die Gemeinde gewählt. „So bekam die Kirche einen ihrer größten Bischöfe, und einen Kirchenlehrer“, erklärte Leo.

„Bist du eine Mutter, ein Vater? Werde Christ als Mutter und Vater“

Ambrosius habe sich zunächst verweigert und sei geflohen, doch schließlich den Ruf Gottes erkannt. „So wurde er Christ, indem er Bischof wurde“, betonte Leo XIV. Der Papst erklärte weiter: „Seht ihr, welch großes Geschenk die ‚Kleinen‘ der Kirche gemacht haben?“ Auch heute müsse jeder Christ seinen Glauben in der eigenen Berufung leben: „Bist du eine Mutter, ein Vater? Werde Christ als Mutter und Vater. Bist du ein Unternehmer, Arbeiter, Lehrer, ein Priester oder eine Ordensfrau? Werde Christ auf deinem Weg.“

Der Papst verwies auf die bleibende Wirkung des heiligen Ambrosius. Dieser habe neue Formen des Psalmengesangs, der Liturgie und der Predigt entwickelt. So sei auch Augustinus bekehrt und von Ambrosius getauft worden. „Intuition ist eine Form der Hoffnung, das dürfen wir nicht vergessen“, sagte Leo XIV.

Zum Abschluss betonte der Papst, Gott lasse die Kirche durch Intuition und das Gespür der „Kleinen“ voranschreiten. „Möge uns das Heilige Jahr helfen, im Sinne des Evangeliums ‚klein‘ zu werden, damit wir die Träume Gottes erkennen und ihnen dienen.“ 

Zur Generalaudienz waren 35.000 Pilger und Pilgerinnen gekommen. Viele von ihnen sind an diesem Wochenende zum Jubiläum für die Katechisten in Rom. Papst Leo feiert am Sonntagmorgen mit ihnen die Heilige Messe. (vn 27)

 

 

 

 

 

Jesuit sieht Judentum als Schlüssel des Christseins

 

Für den Schweizer Jesuiten und Judaisten Christian Rutishauser ist das Judentum ein essentieller Teil des Christseins. Dies anzuerkennen reiche jedoch nicht, es brauche eine viel tiefere Auseinandersetzung mit dem Fundament des christlichen Glaubens, meint er. Forschung kann ein erster Schritt zum tieferen Verständnis sein.

Das Judentum ist untrennbar mit dem christlichen Glauben verbunden, dennoch wäre es falsch zu denken, es verstehen zu können, nur weil man das Alte Testament gelesen hat, sagt der Schweizer Jesuit und Judaist Christian Rutishauser. Im Interview mit der Wiener Kirchenzeitung „Der Sonntag“ unterstreicht er, dass für das Christsein die Auseinandersetzung mit dem Judentum heute unerlässlich sei.

„Juden wollen in ihrem Selbstverständnis wahrgenommen werden“

Das Judentum habe eine tiefe und lange Tradition, „Juden wollen in ihrem Selbstverständnis wahrgenommen werden“, betont der Jesuit und schlussfolgert, dass ein Verständnis des Judentums und die Erneuerung des christlichen Glaubens Hand in Hand gingen. Oft werde im kirchlichen Alltag die Beziehung zum Judentum vernachlässigt. „Es ist nicht angekommen, dass das Judentum ein Querschnittsthema für das Christsein darstellt“, dabei begegne man in jedem Evangelium und jedem Gottesdienst Juden, so Rutishauser. „Jesus kommt aus einer jüdischen Familie; Maria war eine jüdische Mutter, Mirjam; alle Jünger und auch Paulus sind Juden.“ Die neutestamentlichen Schriften sind laut Rutishauser jüdisch-messianische Texte ihrer Zeit. Christlich geworden seien sie erst im zweiten Jahrhundert, als diese Texte zur christlichen Bibel zusammengestellt wurden.

„Jesus kommt aus einer jüdischen Familie; Maria war eine jüdische Mutter, Mirjam; alle Jünger und auch Paulus sind Juden“

Prozess muss weitergehen - Lob für Nostra aetate

Die Forschung habe Enormes geleistet, „sodass wir heute sehen, wie sich Judentum und Christentum erst in einem jahrhundertelangen Prozess ausdifferenziert haben.“ Als ersten Schritt zu einem tieferen Verständnis des Judentums nennt der Judaist das vierte Kapitel der Konzilserklärung „Nostra aetate“, die vor 60 Jahren veröffentlicht wurde. „Jeder Gläubige sollte diese Zeilen kennen. Sie sind die Magna Charta des jüdisch-katholischen Dialogs“, so der Jesuit. Dort stehen bleiben dürfe man trotzdem nicht, gerade in der Ausbildung von Seelsorgenden, Religionslehrern und Religionslehrerinnen, Priestern und kirchlichen Mitarbeitern dürfe Judaistik als Studienfach keine Randnotiz bleiben, schließlich sei die Theologie in der Exegese und in der Gottesfrage nicht mehr wegzudenken.

„Jeder Gläubige sollte diese Zeilen kennen. Sie sind die Magna Charta des jüdisch-katholischen Dialogs“

Ein Symposium zu dem Dokument will mit Missverständnissen, problematischen Deutungen und negativen Stereotypen in der katholischen Liturgie aufräumen. Unter dem Titel „Gepriesen sei der G'tt Israels“ findet das zweitägige Treffen am 29. und 30. September in Salzburg statt.

Schritt zur Erneuerung

Die Erklärung „Nostra aetate“ aus dem Jahr 1965 gilt als eine der wichtigsten Erklärungen des Zweiten Vatikanischen Konzils. Sie ist Richtschnur im interreligiösen Dialog und bleibt wegweisend für die Anerkennung anderer Religionen und deren Wahrheitsanspruch. Vor allem der Islam und das Judentum spielen darin eine herausgehobene Rolle. Die katholische Kirche sagt in dem Dokument zu, dass auch in anderen Kirchen Wahrheit und Heil zu finden sind. (kap 26)

 

 

 

 

 

Bischöfe fordern sofortiges Ende der Gewalt im Heiligen Land

 

Die Deutsche Bischofskonferenz hat in einer Erklärung an diesem Donnerstag zum Gaza-Krieg ein sofortiges Ende der Gewalt im Heiligen Land gefordert und zu einem friedlichen Miteinander von Israelis und Palästinensern aufgerufen. Die Erklärung trägt den Titel „Die Gewalt muss sofort enden! Friede für Israel und Palästina!“. Die Bischöfe betonten darin ihre besondere Verantwortung zur Solidarität mit dem jüdischen Volk und dem Staat Israel. Mario Galgano

Die Bischöfe verurteilten den Terrorangriff der Hamas vom 7. Oktober 2023, der als „Anschlag auf das Leben und die Würde des jüdischen Volkes und das Existenzrecht des Staates Israel“ gewertet wurde. Sie stellten klar: „Die Hamas, die sich der Auslöschung Israels und der Tötung jüdischen Lebens verschrieben hat, setzte an diesem Tag ihre menschenverachtende Ideologie in beispielloser Weise in die Tat um“. Gleichzeitig wurde die palästinensische Zivilbevölkerung von der Verantwortung für die Verbrechen der Hamas-Führung freigesprochen.

Völkerrechtliche Grenzen und humanitäre Katastrophe

Während das Recht Israels auf Selbstverteidigung „außer Frage“ stehe , unterliege es den „limitierenden Vorgaben des Völkerrechts“. Die Bischöfe kritisierten die „ausschließlich auf militärische Maßnahmen“ setzende Strategie der israelischen Regierung, die im Gazastreifen „katastrophale Folgen“ habe. Laut der Erklärung sind über 60.000 Menschen ums Leben gekommen, und „ganze Gebiete des Küstenstreifens liegen in Trümmern“. Besonders besorgniserregend sei die Blockade humanitärer Hilfe, die die Not verschärfe und mehr als zwei Millionen Menschen von akutem Hunger bedrohe. Die Bischöfe forderten daher „den ungehinderten Zugang zu wirksamer humanitärer Hilfe im Gazastreifen. Jede Verzögerung kostet Menschenleben“.

Kritik an Fundamentalismus und Antisemitismus

Die Erklärung wies entschieden religiöse Ideologien in der Politik zurück, die den Konflikt um Land und Sicherheit unlösbar machen. Die Hamas verknüpfe den palästinensischen Befreiungskampf mit einer islamistischen Agenda, während jüdische Fundamentalisten in Israel das Konzept eines „Großisraels“ verfolgten und einem souveränen palästinensischen Staat das Existenzrecht absprächen. Die Bischöfe verurteilten auch die Gewalt radikaler Siedler gegen palästinensische Dörfer im Westjordanland „nachdrücklich“.

Gleichzeitig verurteilten sie den weltweit zunehmenden israelbezogenen Antisemitismus, bei dem Juden pauschal für die israelische Regierungspolitik verantwortlich gemacht würden. Aus Sicht der Kirche stehe fest: „Antisemitismus und Judenhass… sind in jeglicher Form und in jedem Kontext strikt zu verurteilen“. Das Wachstum der Feindseligkeit gegen Juden in Deutschland sei „eine Schande für unser Land“.

Aufruf zu Frieden und Versöhnung

Die Bischofskonferenz bekräftigte, dass Waffengewalt niemals zu Frieden führe. Vielmehr müsse eine politische Lösung gefunden werden, die die Interessen beider Völker gleichermaßen achtet. „Dauerhafter Friede kann vielmehr nur dort entstehen, wo beide Völker Sicherheit, Würde und eine Zukunftsperspektive finden“. Die Bischöfe appellierten an die internationale Gemeinschaft, eine friedliche Koexistenz zu fördern.

„Hoffnung auf Frieden in Israel und Palästina mutet derzeit fast illusionär an“, heißt es in der Erklärung. Dennoch dürfe man sich die Hoffnung nicht nehmen lassen, so die Bischöfe und verwiesen auf die deutsch-polnische Erfahrung der Versöhnung. Sie nannten auch die Hoffnungsträger, „dass sich die Kirchen in Gaza... weiterhin um die Opfer kümmern und gemeinsame Gruppen von Israelis und Palästinensern nicht davon ablassen, sich für Aussöhnung zu engagieren“. (dbk 25)

 

 

 

 

Deutsche Bischofskonferenz: Säkularität, Missbrauch und Sicherheit im Fokus

 

Die Deutsche Bischofskonferenz hat am Mittwoch ihre Herbst-Vollversammlung in Fulda abgeschlossen. Im Pressebericht des Vorsitzenden, Bischof Georg Bätzing, standen die Reflexion über das neue Pontifikat von Papst Leo XIV., die Aufarbeitung von sexuellem Missbrauch und die Auseinandersetzung mit den Herausforderungen einer säkularen Gesellschaft im Mittelpunkt. Bei der Abschlusspressekonferenz am Donnerstag wurden die wichtigsten Themen erläutert. Von Mario Galgano

Ein zentrales Thema war die Wahl des neuen Papstes Leo XIV.. Bischof Bätzing berichtete von einem Brief der Vollversammlung an den neuen Papst, in dem die Dankbarkeit für die Annahme des Amtes ausgedrückt wurde. In seinem Grußwort hob der päpstliche Nuntius in Deutschland die friedenspolitischen Aussagen und die ökumenischen Impulse des neuen Papstes hervor. Besonders betonte er ein Zitat des heiligen Irenäus, das Leo XIV. verwendet habe: Intelligenz sei nicht dort, wo man trenne, sondern wo man verbinde.

„Synodale Kirche sein“ und die Aufarbeitung von Missbrauch

Die Bischöfe befassten sich auch intensiv mit dem Reformprojekt Synodaler Weg. Sie diskutierten über die Arbeit am Handlungstext „Gemeinsam beraten und entscheiden“ und den Entwurf einer Satzung für die „Synodalkonferenz“. Bischof Bätzing wies dabei die Unterstellung von „bischöflichem Ungehorsam“ gegenüber Rom im Zusammenhang mit dem Dokument Fiducia supplicans zurück. Er stellte klar: „Aus den Aussagen von Papst Leo XIV. zu Fiducia supplicans den Sachverhalt eines ‚bischöflichen Ungehorsams‘ seitens der deutschen Bischöfe konstruieren zu wollen, ist schlichtweg absurd“. Er betonte, dass die in Deutschland erstellte Handreichung „Segen gibt der Liebe Kraft“ eine pastorale Konkretisierung in Rücksprache mit Rom sei und die Bischöfe bewusst keine liturgischen Formulare veröffentlicht hätten.

Im Bereich der Missbrauchsaufarbeitung wurde die Verlängerung der Interventionsordnung und der Rahmenordnung Prävention bis Ende 2026 beschlossen, um eine umfassende Evaluation auf belastbarer Datengrundlage zu gewährleisten. Die Bischöfe erkennen die Arbeit der Unabhängigen Kommission für Anerkennungsleistungen (UKA) an. Seit dem Start der UKA am 1. Januar 2021 wurden bis Ende 2024 insgesamt 76.665.300 Euro an Anerkennungsleistungen ausgezahlt.

Herausforderungen in einer säkularen Welt

Ein Studientag widmete sich der „Sendung der Kirche inmitten einer säkularen Gesellschaft“. Basierend auf der Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung (KMU) wurde festgestellt, dass der christliche Glaube „spürbaren Erosionsprozessen“ unterworfen ist. Die Bischöfe reflektierten, wie die Kirche ihren Sendungsauftrag in einer mehrheitlich säkularen Gesellschaft neu definieren kann. Professor Tomáš Halík aus Prag bezeichnete die Säkularisierung als „Prozess, der zur Reinigung und Läuterung führen kann“ und als „Gabe und Aufgabe, die Gott der Kirche aufgibt“.

Die Vollversammlung reflektierte auch über das pastorale Handeln in der Corona-Pandemie. Die Studie „CONTOC“ (Churches Online in Times of Corona) zeigte, dass die Pandemie die Digitalkompetenz in der Pastoral beschleunigt hat. Drei Viertel der befragten Seelsorgenden sehen in der Digitalisierung „eher Chancen als Risiken“.

Gedenken an deutsch-polnische Versöhnung und aktuelle Krisen

Anlässlich des 60. Jubiläums des historischen Briefwechsels zwischen den polnischen und deutschen Bischöfen im Jahr 1965 wurde über die Bedeutung der Versöhnung diskutiert. Der Brief der polnischen Bischöfe enthielt das unvergessliche Wort „Wir vergeben und bitten um Vergebung“. Am 18. November 2025 ist eine Begegnung von polnischen und deutschen Bischöfen in Breslau geplant, um dieses Ereignis zu würdigen und eine gemeinsame Erklärung zu verabschieden.

Die Bischofskonferenz befasste sich auch mit der Sicherheitslage in Deutschland. Sie sehen die Stärkung der Verteidigungsfähigkeit als notwendig an, stehen aber der Wiedereinführung der allgemeinen Wehrpflicht skeptisch gegenüber. Sie betonen das Prinzip: „Freiwilligkeit geht vor Pflicht“. Statt einer Dienstpflicht bevorzugen die Bischöfe eine umfassende Stärkung der Freiwilligendienste.

In einer Erklärung zur Situation im Nahen Osten verurteilten die Bischöfe den „Anschlag auf das Leben und die Würde des jüdischen Volkes und das Existenzrecht des Staates Israel“ am 7. Oktober 2023. Gleichzeitig forderten sie, gemeinsam mit Papst Leo XIV., ein „sofortiges Ende der militärischen Auseinandersetzungen im Heiligen Land“. Der Titel der Erklärung fasst die Haltung zusammen: „Die Gewalt muss sofort enden! Friede für Israel und Palästina!“. Weiterhin heißt es: „Antisemitismus und Judenhass… sind in jeglicher Form und in jedem Kontext strikt zu verurteilen“. (vn 25)

 

 

 

 

 

10 Jahre nach „Wir schaffen das“: Kirche zieht Bilanz der Flüchtlingshilfe

 

Zehn Jahre nach Angela Merkels historischem Satz „Wir schaffen das“ hat die katholische Kirche in Deutschland bei ihrer Herbst-Vollversammlung in Fulda eine umfassende Bilanz ihrer Flüchtlingshilfe gezogen. Wie Erzbischof Stefan Heße, Sonderbeauftragter der Deutschen Bischofskonferenz, in einem Pressegespräch erklärte, hat die Kirche seit 2015 mindestens 1,1 Milliarden Euro für Schutzsuchende aufgewendet.

Mario Galgano - Vatikanstadt

Das Engagement sei getragen von der christlichen Botschaft. Erzbischof Stefan Heße erinnerte an ein Zitat von Papst Franziskus aus dem Jahr 2015: „Die christliche Hoffnung ist kämpferisch.“ Und er betonte: „Angesichts der Tragödie zehntausender Flüchtlinge, die vor dem Tod durch Krieg und Hunger fliehen (...) ruft uns das Evangelium auf, ja es verlangt geradezu von uns, ‚Nächste‘ der Geringsten und Verlassenen zu sein.“

Globale Realität und europäische Politik

Andreas Frick, Hauptgeschäftsführer des Hilfswerks Misereor, betonte, dass 2015 zwar für Deutschland eine Zäsur gewesen sei, für die meisten Regionen der Welt jedoch „ein Jahr wie viele andere“. Er kritisierte, dass die internationale Gemeinschaft in den Jahren zuvor weggeschaut habe, als die Krisen in Syrien und im Irak eskalierten. „Wir sehen noch zu wenig, dass die Nachbarländer in den Krisenregionen Großes geleistet haben und immer noch leisten“, so Frick. Er wies darauf hin, dass zwei von drei Vertriebenen in ihren Heimat- oder Nachbarländern Zuflucht fänden.

Misereor unterstütze dort Hunderte von Projekten. Frick nannte konkrete Beispiele der Flüchtlingshilfe auch in anderen Weltregionen: Im Libanon finanziere Misereor Bildungseinrichtungen für Flüchtlingskinder, in Bangladesch gebe es Berufsbildungsmaßnahmen und im Kongo sorge man für psychosoziale Versorgung von Vertriebenen.

„Die europäischen Grenzen sind bis heute mit die tödlichsten weltweit.“

Gleichzeitig verurteilte Frick die zunehmende Abschottung Europas: „Die europäischen Grenzen sind bis heute mit die tödlichsten weltweit.“ Er kritisierte, dass die EU mit Millionenbeträgen Autokraten zu „Türstehern Europas“ mache. Anstatt sich für Menschenrechte und humanitäres Recht einzusetzen, werde sogar darüber nachgedacht, Migranten in Kriegsregionen wie Ruanda auszufliegen. Frick warnte zudem, dass das individuelle Recht auf Asyl infrage gestellt werde, das ein Kernprinzip der deutschen Demokratie sei.

„Wir schaffen das“ als Auftrag an Staat und Gesellschaft

Auch Hannes Schammann, Professor für Politikwissenschaft und Mitglied im Sachverständigenrat für Integration und Migration, ordnete Merkels Satz aus der Sicht der Migrationspolitik ein. Er betonte, dass der Ausdruck weniger eine Feststellung als vielmehr „ein Wunsch und eine Aufforderung“ gewesen sei. „‚Wir schaffen das‘ bezog sich vor allem auf die unmittelbare Herausforderung der Aufnahme, das heißt der Unterbringung und Versorgung“, so Schammann. Eine nachhaltige Integration erfordere jedoch „einen langen Atem“.

Schammann sieht in der Flüchtlingshilfe der Kirchen eine doppelte Rolle. Zum einen seien sie „ein Faktor für gesellschaftliche Resilienz“, da sie in Krisenzeiten Orte und professionelle Begleitung für Freiwillige zur Verfügung stellen. Er warnte davor, dass der Staat aus Angst vor Legitimitätsverlust die Zivilgesellschaft ausbremsen könnte. Zum anderen seien die Kirchen ein „moralischer Fixstern in der Debatte“. In von „Panik getriebenen Migrationsdebatten“ sei es ihre Aufgabe, beharrlich die Frage nach dem moralischen Kompass zu stellen und das Wertefundament des Handelns zu verteidigen.

Einblicke aus der Praxis: „Wir haben trotz aller Kritik etwas erreicht“

Die Perspektive aus der Praxis lieferte Monika Schwenke, Migrationsbeauftragte im Bistum Magdeburg. Sie gab zu, dass sie den Satz von Angela Merkel 2015 „auch so gesagt“ hätte, da sie „mit Vertrauen in unsere Sozialsysteme, in die Zivilgesellschaft und in die Kraft der kirchlichen Gemeinden und Institutionen“ davon ausgegangen sei, dass die Aufgabe zu bewältigen sei. Sie sei jedoch überrascht gewesen von den tatsächlichen Herausforderungen, wie dem Mangel an Unterkünften und Personal in den Behörden.

„Wir haben trotz aller auch angemessener Kritik etwas erreicht.“

Trotzdem zieht Schwenke eine positive Bilanz: „Wir haben trotz aller auch angemessener Kritik etwas erreicht.“ Sie verwies auf unzählige Ehrenamtliche, die sich in Kirchengemeinden engagiert haben. Als Beispiele aus dem Bistum Magdeburg nannte sie die Malteser, die als Schulbegleiter fungieren, die Familienbildungsstätte Naumburg mit einem festen Treffpunkt für Migrantinnen und die Caritas, die in Erstaufnahmeeinrichtungen Lernwerkstätten für Kinder eingerichtet hat. Sie betonte, dass Integration einen „langen Atem“ brauche und oft vier bis sieben Jahre dauere, da die Menschen traumatische Erfahrungen verarbeitet hätten.

Bedeutendes Engagement im In- und Ausland

Erzbischof Heße hob hervor, dass etwa 60 Prozent der finanziellen Mittel für die internationale Flüchtlingshilfe verwendet wurden, da die Mehrheit der weltweit über 120 Millionen Geflüchteten in den Ländern des Globalen Südens Zuflucht finde. Er bezeichnete die Solidarität der Kirche als grenzenlos und forderte, nicht die Verhinderung von Migration, sondern die Bewältigung der Fluchtursachen in den Fokus zu rücken.

Auch im Inland sei das Engagement der Kirche vielfältig. Es reiche von materieller Hilfe und psychosozialem Beistand bis hin zu Rechtsberatung, Integrationsförderung und Seelsorge in den Muttersprachen. Allein im Jahr 2024 konnten rund 500.000 Geflüchtete in Deutschland durch die Dienste der katholischen Kirche erreicht werden. Heße würdigte dabei das unverzichtbare Engagement der Ehrenamtlichen, deren Zahl sich auf etwa 35.000 eingependelt habe.

Obwohl das kirchliche Handeln bei 80 Prozent der Katholiken und 73 Prozent der Konfessionslosen Zuspruch finde, beklagte Heße das rauer gewordene gesellschaftliche Klima. Er kritisierte „polemische Debatten und flüchtlingspolitische Unterbietungswettbewerbe“ und forderte, die Erfolge der Integration nicht kleinzureden. Als Beleg dafür nannte er, dass ein beträchtlicher Teil der syrischen Geflüchteten von 2015 mittlerweile erwerbstätig sei und über 200.000 die deutsche Staatsbürgerschaft erworben hätten.

Die Deutsche Bischofskonferenz wolle das Engagement der vergangenen zehn Jahre besser sichtbar machen. Dazu wurde eine Videodokumentation veröffentlicht. Darüber hinaus findet im Vorfeld des Heiligen Jahres im Oktober eine „Woche der katholischen Flüchtlingshilfe“ statt. Der Leitspruch der Kirche bleibe unverändert: „An der Seite der Schutzsuchenden“. (dbk 24)

 

 

 

 

 

Bischöfe aus Italien, Slowenien und Kroatien mit Appell für Frieden im Heiligen Land

 

Von der aktuellen Kulturhauptstadt Europas Görz (Gorizia) aus haben Kirchenvertreter aus Italien, Slowenien und Kroatien einen gemeinsamen Appell zu Frieden und Versöhnung veröffentlicht. Der von den Vorsitzenden der Bischofskonferenzen, Kardinal Matteo Zuppi (Italien), Bischof Andrej Saje (Slowenien) und Erzbischof Drazen Kutlesa (Kroatien), unterzeichnete Aufruf wurde am Dienstagabend bei einer Gebetsfeier mit jungen Menschen aus Italien und Slowenien von den Bischöfen verlesen.

„80 Jahre nach dem Ende des Zweiten Weltkriegs und in einer zunehmend von gewalttätigen Konflikten zerrissenen Zeit erheben wir gemeinsam lautstark unseren Ruf nach Frieden", heißt es in dem Appell. Ausdrücklich wird die Bedeutung christlicher Gemeinschaften als Hoffnungsträger und Förderer der Versöhnung betont. „Lasst uns gemeinsam Kraft, Mut und Entschlossenheit suchen, um jede Spirale von Ressentiments und Gewalt zu durchbrechen." Die Gebetsfeier bildete den Abschluss der dieswöchigen Tagung des Ständigen Rats der Italienischen Bischofskonferenz (CEI), der auf Einladung des Görzer Erzbischofs Carlo Redaelli in Gorizia und Nova Gorica stattfand. Die Doppelstadt an der italienisch-slowenischen Grenze ist die erste grenzüberschreitende Kulturhauptstadt Europas.

In der Botschaft erinnern die Kirchen an die tragischen Kriegserfahrungen in der Region und heben die Rolle des interkulturellen, ökumenischen und interreligiösen Dialogs hervor. Papst Johannes Paul II. (1978-2005) habe Gorizia als „das Tor Italiens, das die lateinische Welt mit der slawischen verbindet" bezeichnet. „Unser Gebet geht von diesem Gebiet aus, erstreckt sich über den gesamten Balkan und weitet sich aus, bis es das Heilige Land, die Ukraine und alle anderen vom Krieg heimgesuchten Gebiete in einer einzigen Umarmung vereint", so der Appell abschließend. 

 „Aus Gorizia, mit seinen Wunden, aber auch mit seiner Geschichte und seiner Erfahrung, die Grenzen zu Scharnieren und Mauern zu Brücken gemacht hat, rufen wir nach Frieden", sagte Kardinal Zuppi bei der Feier. Frieden sei die Voraussetzung und die Synthese menschlichen Zusammenlebens, so der Erzbischof von Bologna: „Frieden ist möglich und er beginnt bei mir. Wir müssen den Mut haben, Frieden zu schließen."

Zum Abschluss des Treffens des Ständigen Rats kündigte Italiens Bischofskonferenz (CEI) diesen Mittwoch an, Generalsekretär Giuseppe Baturi, Erzbischof von Cagliari, werde nach Jerusalem reisen. Unter dem Titel „Friede sei im Heiligen Land“ wurde die Abschlusserklärung veröffentlicht. Die Bischöfe fordern darin nachdrücklich, dass „in Gaza jede Form von inakzeptabler Gewalt gegen ein ganzes Volk eingestellt und die Geiseln freigelassen werden” und dass „das humanitäre Völkerrecht respektiert wird, indem das erzwungene Exil der palästinensischen Bevölkerung, die von der Offensive der israelischen Armee angegriffen und von der Hamas bedrängt wird, beendet wird”.

2-Staaten-Lösung

In der Erklärung, die Generalsekretär Baturi bei einer Online-Pressekonferenz verlas, wird erneut bekräftigt, dass „die Perspektive von zwei Völkern, zwei Staaten der Weg zu einer möglichen Zukunft bleibt”. Auch der Heilige Stuhl wirbt immer wieder für eine 2-Staaten-Lösung. Darüber hinaus fordern die Bischöfe die italienische Regierung und die europäischen Institutionen zu „konkreten Anstrengungen zur Beendigung der Feindseligkeiten” auf.

Während der Pressekonferenz kündigte Erzbischof Baturi außerdem an, dass die italienischen Bischöfe derzeit ein Dokument zum Thema Friedenserziehung ausarbeiten: „Für uns bedeutet dies, auf die Zeichen der Zeit und die Dynamik der Gegenwart zu achten, um sie interpretieren und leben zu können, das Erbe unseres Glaubens wiederzugewinnen und einige prophetische Zeugen des Friedens aufzuzeigen. Wir werden konkrete Hinweise für ein Engagement des gesamten Episkopats geben.“

Italiens Bischöfe laden auch alle ein, am von Papst Leo XIV. diesen Mittwoch für den 11. Oktober angekündigten Rosenkranz für den Frieden teilzunehmen. 

Synodalität

Mit Blick auf die Bischofssynode zur Synodalität erinnerte Erzbischof Baturi daran, dass „nun ein Synodendokument vorliegt, das am 25. Oktober zur Abstimmung vorgelegt werden muss".  Der nächste Schritt werde eine Diskussion im Hinblick auf den Termin am 25. Oktober sein, „der nicht der letzte ist" , wie Erzbischof Baturi präzisierte. Das Dokument werde gemäß der Vorschriften dann den Bischöfen übergeben, damit sie ihm seine endgültige Form geben und die gesammelten Vorschläge und Anregungen in Beschlüsse, Entscheidungen und pastorale Vorschläge umsetzen können. Dies sei Aufgabe der Versammlung im November 2025.  (pm/kap/vn 24) 

 

 

 

 

 

„Kirche muss ihren Platz in einer säkularen Gesellschaft neu bestimmen“

 

Im Rahmen ihrer Herbst-Vollversammlung hat die Deutsche Bischofskonferenz am Dienstag, 23. September 2025, einen Studientag unter dem Titel „Die Sendung der Kirche inmitten einer säkularen Gesellschaft“ abgehalten. Im Mittelpunkt stand die Frage, wie die Kirche angesichts tiefgreifender gesellschaftlicher Veränderungen ihre Rolle neu definieren kann. Mario Galgano

Grundlage der Beratungen bildeten die Ergebnisse der sechsten Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung (KMU), die 2023 veröffentlicht wurde und an der sich erstmals auch die katholische Kirche beteiligt hat.

An dem Pressegespräch nahmen Bischof Peter Kohlgraf (Mainz), Vorsitzender der Pastoralkommission der Bischofskonferenz, sowie die Theologen Tomáš Halík (Prag), Jan Loffeld (Utrecht) und Thomas Schärtl-Trendel (München) teil.

Zum Nachhören - über was die deutschen Bischöfe beraten haben

Reformen allein reichen nicht aus

Bischof Kohlgraf erinnerte daran, dass die Untersuchung deutlich gemacht habe, „dass Reformen allein nicht ausreichen“. Selbst wenn die Kirche alle Reformforderungen erfülle, würde das „nicht automatisch dazu führen, dass sich die Kirchenbänke füllen, die Taufzahlen steigen und die Kirchenaustritte zurückgehen“. Die Herausforderungen reichten tiefer, betonte der Mainzer Bischof: „Auch die Religiosität im Allgemeinen wie der christliche Glaube im Besonderen sind deutlichen Erosionsprozessen unterworfen.“

Die KMU zeige, dass nur 13 Prozent der Bevölkerung – bei 46 Prozent Kirchenmitgliedern – noch eine klassisch kirchlich geprägte Religiosität aufwiesen. Das sei, so Kohlgraf, „eine deutliche Ansage an die Kirchen“. Deshalb dürfe man nicht in „institutioneller Selbstbeschäftigung“ verharren, sondern müsse das Verhältnis einer kleiner werdenden Kirche zur säkularen Gesellschaft neu bestimmen.

Kohlgraf nannte konkrete Beispiele: Die hohe Akzeptanz des kirchlichen Engagements für Geflüchtete oder die anhaltende Faszination für den Jakobsweg seien Chancen, um ins Gespräch zu kommen. Entscheidend sei jedoch, ob in diesen Bereichen der „Spirit“ des Glaubens erkennbar bleibe: „Lässt unser Einsatz für den Nächsten etwas Tieferes, Höheres durchscheinen – oder laufen wir Gefahr, irgendwann austauschbar zu werden?“

„Trauen wir uns, unsere Botschaft ins Wort zu bringen?“

Auch die Spannung zwischen Anpassung und Eigenprofil müsse die Kirche aushalten: „Trauen wir uns, unsere Botschaft ins Wort zu bringen – und wenn es sein muss, auch in Gestalt des Widerspruchs? Oder schwimmen wir angepasst im Mainstream mit?“

Die Diskussion sei, so der Bischof, nicht nur für die Kirche, sondern auch für die Gesellschaft von Bedeutung. Angesichts der Entkirchlichung stelle sich die Frage, inwieweit die Kirchen weiterhin ihren Beitrag zur sozialen Infrastruktur und zur Zivilgesellschaft leisten könnten. „Unsere Botschaft kann eine frohe und tragende Botschaft sein. Wir möchten Anwälte für universale Werte der Menschlichkeit sein in einer Zeit, in der gesellschaftliche und nationale Partikularismen den Ton angeben“, erklärte Kohlgraf.

Die Reflexion knüpft auch an historische Vorbilder an: Vor 50 Jahren veröffentlichte die Würzburger Synode ihren Grundlagentext „Unsere Hoffnung“. Eine neue Standortbestimmung sei heute notwendig, um in Krisen- und Umbruchszeiten Orientierung zu bieten.

Abwanderung ist ungebrochen

Einen grundlegenden pastoraltheologischen Akzent setzte Professor Jan Loffeld von der Universität Tilburg. Er erinnerte an die Pastoralkonstitution Gaudium et spes des Zweiten Vatikanischen Konzils, die in diesem Jahr 60 Jahre alt wird, sowie an das Apostolische Schreiben Evangelii nuntiandi von Paul VI. und das Synodendokument Unsere Hoffnung von 1975. Schon damals sei vom „Bruch zwischen Evangelium und Kultur“ die Rede gewesen, so Loffeld. Heute zeigten die Daten der KMU, „dass beinahe alle Methoden, Initiativen und Kampagnen der vergangenen Jahrzehnte den Gesamttrend wenig beeinflusst haben“. Zwar hätten Reformen und pastorale Aufbrüche das Abgleiten in sektiererische Formen verhindert, doch die Abwanderung aus der Kirche sei ungebrochen.

Loffeld konstatierte nüchtern: „Kirchenreformen – gerade im Hinblick auf die Betroffenen sexualisierter Gewalt – sind absolut notwendig, aber allein nicht hinreichend.“ Eine besondere Herausforderung sei, dass eine theologische Grundannahme nicht mehr selbstverständlich gelte: dass in jedem Menschen die Frage nach Gott schlummere und es lediglich geeigneter Methoden bedürfe, sie zu wecken. „Von dieser Annahme kann heute mit Blick auf die empirischen Daten nicht mehr ausgegangen werden“, betonte Loffeld. Vielleicht sei zwar jeder Mensch religiös disponiert, doch für das individuelle Lebensglück müsse dieses Potenzial nicht aktiviert werden.

Daraus folge für die Kirche eine zentrale Konsequenz: „Als Sakrament hat die Kirche zwei Dimensionen: die vertikale, das Leben der Gemeinschaft mit Gott, und die horizontale, die Einheit mit der Menschenfamilie. Wenn eine Dimension ausfällt, helfen keine Marketingstrategien.“ Vielmehr müsse es darum gehen, beide Dimensionen neu in den Mittelpunkt zu stellen: die Frage nach Gott intellektuell redlich und lebensnah zu artikulieren und zugleich konkrete Hilfe zum Leben und zum Frieden zu leisten – gerade für jene, die in einer neoliberalen Leistungsgesellschaft unter Druck geraten. „Eine Kirche, die Sakrament ist, indem sie beide Dimensionen auf synodale Weise lebt, wird ihren Platz inmitten der säkularen Gesellschaft zum Wohl aller behalten und sich künftig als Minderheit inmitten pluraler Lebensdeutungen verorten können“, sagte Loffeld.

Relevanz der Religion

Thomas Schärtl-Trendel, Fundamentaltheologe an der Ludwig-Maximilians-Universität München, knüpfte daran an und verwies auf die jüngst erschienene Studie des US-Religionssoziologen Christian Smith (Why Religion Went Obsolete, Oxford 2025). Diese belege, dass die schwindende Relevanz von Religion in westlichen Ländern Teil einer viel größeren Entwicklung sei. Kirchen würden aus ihren „ökologischen Nischen“ verdrängt, da säkulare oder posthumanistische Weltanschauungen vergleichbare Sinnangebote oft „kostengünstiger“ bereitstellten. Schärtl sprach von einem „Referenzproblem“ der Theologie: „Kann ich Menschen ein implizites Ausgerichtetsein auf Gott überhaupt noch unterstellen?“ Klassische transzendentaltheologische Ansätze stießen hier an ihre Grenzen. Mit einem Bild aus der Phänomenologie erläuterte er: „Vielleicht hat Gott immer schon angerufen – und es liegt an uns, die Manifestationen dieses Angerufenhabens zu erkennen.“

Hintergrund

Der Studientag wurde von der Bischofskonferenz als Teil einer vertieften Auseinandersetzung mit der KMU organisiert. Neben Kohlgraf brachten auch die internationalen Experten Halík, Loffeld und Schärtl-Trendel ihre Perspektiven ein. Ziel sei es, die pastorale Sendung der Kirche in einer Gesellschaft neu zu bedenken, die mehrheitlich säkular geprägt sei, aber dennoch von christlichen Traditionen durchzogen bleibe. (dbk 23)

 

 

 

 

 

Laien weltweit vernetzt: Was die deutsche Seelsorge beschäftigt

 

Im Schatten der Weltsynode und im Geist einer zunehmend synodalen Kirche haben sich in diesen Tagen Seelsorgerinnen und Seelsorger aus aller Welt in Rom versammelt. Beim „World Meeting of Lay Ministers“ trafen sich rund 25 Teilnehmerinnen und Teilnehmer vor Ort sowie über 30 digital zugeschaltete Kolleginnen und Kollegen, um die Rolle Laien in der katholischen Kirche weltweit zu stärken. Zwei Gäste aus Deutschland erläuterten gegenüber Radio Vatikan, was besprochen wurde. Mario Galgano – Vatikanstadt

„Wir haben festgestellt, dass es diese Vereinigung längerfristig und dauerhaft braucht“, erklärt Konstantin Bischoff, Pastoralreferent im Erzbistum München und Freising und einer der Initiatoren des Treffens. Bereits 2023, beim ersten Meeting parallel zur Bischofssynode in Rom, sei der Grundstein gelegt worden: „Damals ist es uns gelungen, Menschen aus vier Kontinenten und elf Nationen zusammenzubringen, von Korea und den Philippinen bis nach Lateinamerika und die USA.“

Auch die Freiburger Pastoralreferentin Isabelle Molz, die ebenfalls zum Vorbereitungsteam gehört, betont den doppelten Schwerpunkt des Treffens: „Einerseits geht es darum, sich inhaltlich einzubringen, etwa in die Dokumente der Synode. Andererseits ist es entscheidend, sich international zu vernetzen, unterschiedliche Berufsbilder wahrzunehmen und gemeinsam die Rolle der Laien in der Kirche weiterzuentwickeln.“

Internationale Vielfalt – gemeinsame Anliegen

Heute gehören zur Bewegung mehrere tausend professionelle Laien in der Seelsorge weltweit. Die meisten arbeiten in Nordamerika und im deutschsprachigen Raum, doch auch aus Ländern wie Korea, Ghana, Nicaragua oder Chile gibt es Beteiligung. „Gerade in dem Moment, wo Synodalität das große Stichwort wird, wollen wir bewusst zeigen, dass gut ausgebildete Laien diese Haltung in der Kirche stärken können“, so Bischoff.

Der Wechsel an der Spitze der Kirche – von Papst Franziskus zu Papst Leo XIV. – hat dabei eher bestärkend gewirkt. „Unsere Kolleginnen aus Asien haben mit Begeisterung aufgenommen, dass ein international geprägter Papst die Synodalität weiterführt“, berichtet Molz.

Lernen im internationalen Kontext

Für die deutschen Teilnehmerinnen und Teilnehmer spielt der Vergleich zwischen dem Synodalen Weg in Deutschland und den weltkirchlichen Prozessen eine zentrale Rolle. „Synodalität ist vor allem eine Haltung, die die Kirche verändern muss. Wir haben gerade aus dem asiatischen Raum methodisch viel gelernt, etwa durch die ‚Conversation in the Holy Spirit‘, die dort längst etabliert ist“, sagt Bischoff.

Gleichzeitig gebe es auch ein starkes Interesse anderer Länder am deutschen Weg – und viele Fragen. „Die mediale Berichterstattung in Nordamerika zeichnet oft das Bild, dass der deutsche Synodale Weg nicht katholisch sei. Umso wichtiger ist der persönliche Austausch, denn da spüren wir ein großes Vertrauen in die Theologie aus Deutschland“, betont Molz.

Wünsche für die Kirche der Zukunft

Auf die Frage nach ihren Hoffnungen für die Zukunft der Kirche antwortet Molz ohne Zögern: „Ich wünsche mir Gerechtigkeit. Es darf keinen Unterschied mehr geben, der aufgrund des Geschlechts gemacht wird, wenn die Ausbildung dieselbe ist – weder beim Zugang zu Ämtern noch bei Leitungspositionen.“ Papst Leo XIV. hat erst jüngst in einem Interview die Lehre der Kirche in dieser Frage insofern bekräftigt, dass er in der Frage der Frauenweihe keinen Handlungsbedarf sehe. In seinem Schreiben Ordinatio Sacerdotalis hatte Johannes Paul II. 1994 lehramtlich konkret festgehalten, dass die Weihe nur Männern vorbehalten sei. Seit einigen Jahren ringen Theologen aber verstärkt um die Frage nach dem Diakonat der Frau, die nach wie vor untersucht wird.

Bischoff ergänzt: „Wir müssen neu lernen, was auf der ganzen Welt gleich sein muss – und was unterschiedlich sein darf. Gerade diese Vielfalt kann die Kirche bereichern.“

Gemeinsames Ringen statt Gegeneinander

Beide betonen, wie sehr die internationalen Begegnungen ihre Sicht auf die Kirche verändert haben. „Die großen Fragen – Macht, Klerikalismus, die Rolle der Jugend – sind weltweit dieselben“, sagt Bischoff. Molz fügt hinzu: „Entscheidend ist, dass wir diese Themen gemeinsam angehen. Das stärkt nicht nur die Kirche, sondern kann auch für die Welt insgesamt ein Lernprozess sein.“

So wurde das „World Meeting of Lay Ministers“ in Rom zu einem Ort, an dem Laien aus fünf Kontinenten nicht nur ihre Erfahrungen teilten, sondern auch eine Vision für die Zukunft der Kirche entwickelten – eine Kirche, die synodaler, gerechter und internationaler sein will, so die beiden Gäste aus Deutschland gegenüber Radio Vatikan. (vn 23)

 

 

 

 

 

Schöpfungszeit: Treffen der Bischofskonferenzen Europas

 

Bischöfe und nationale Direktoren trafen am Wochenende vom 19. bis 21. September in Castel Gandolfo zusammen. Vor dem Hintergrund der „Zeit der Schöpfung“ war die Bewahrung der Schöpfung das zentrale Thema der Gespräche.

Unter dem Motto: „Laudato si’: Umkehr und Engagement“ fand vom 19. bis 21. September in Castel Gandolfo das Treffen der Bischöfe und nationalen Direktoren für die Bewahrung der Schöpfung der Bischofskonferenzen Europas statt. Anlass für das Treffen war die von Papst Franziskus hervorgehobene „Schöpfungszeit“, eine ökumenische Initiative, die jährlich vom 1. September bis 4. Oktober stattfindet.

Anwesend waren neben den bischöflichen Delegierten auch Vertreter der wichtigsten europäischen Organisationen, die in der sozialen Mission der Kirche engagiert sind. Bei der Eröffnung sprach Schwester Alessandra Smerilli über den prophetischen Wert von Laudato si’. Sie hob die noch offenen Herausforderungen hervor und ermutigte dazu, „vom Wort zur Tat überzugehen“, um so das Herz zu bekehren. Nur so, sagte sie, „könne man wirklich auf den Schrei der Erde und der Armen antworten.“

Mustergut: Borgo Laudato Si

Am Samstag besuchten die Teilnehmer das Borgo Laudato si’. Das neu errichtete Mustergut auf den Ländereien um die päpstliche Sommerresidenz Castel Gandolfo soll ein konkretes Beispiel für nachhaltiges Leben und die praktische Umsetzung der von Papst Franziskus vorgeschlagenen ganzheitlichen Ökologie darstellen. Eine theologische Sicht der Schöpfung, die kirchliche Mitverantwortung und die Herausforderung der Bildung sind laut Erzbischof Gintaras Grušas, Präsident des CCEE, und Bohdan Dzjurach, Exarch für die Gläubigen des ukrainischen byzantinischen Ritus in Deutschland und der Ukraine, der Schlüssel für ein tieferes Verständnis.

Das Treffen endete am Sonntag mit einer Podiumsdiskussion über die Perspektiven des kirchlichen Engagements, moderiert von Luis Okulik, unter Teilnahme von Einrichtungen wie Caritas Europa, JRS, ELSiA und der Bewegung Laudato si’. (sir 23)

 

 

 

 

Großkundgebungen für Lebensschutz in Berlin und Köln

 

In Berlin und Köln haben am Wochenende Tausende Abtreibungsgegner am „Marsch für das Leben“ teilgenommen. Veranstalter war der Bundesverband Lebensrecht (BVL), ein Zusammenschluss von 15 Organisationen.

Ziel der Aktion sei es laut Veranstaltern, öffentlich für den Schutz menschlichen Lebens „von der Empfängnis bis zum natürlichen Tod“ einzutreten. Nach offiziellen Angaben nahmen in Berlin rund 2.200 Menschen an der Demonstration teil, in Köln rund 1.200. Der Veranstalter selbst sprach von insgesamt rund 7.000 Teilnehmerinnen und Teilnehmern: etwa 4.000 in Berlin und 3.000 in Köln.

In beiden Städten verliefen die Veranstaltungen weitgehend friedlich, wurden jedoch von Gegendemonstrationen begleitet. In Berlin kam es zu einer Sitzblockade von etwa 80 bis 100 Personen, die von der Polizei aufgelöst wurde. Insgesamt wurden dort etwa 220 Gegendemonstranten gezählt. In Köln begleitete ein großes Polizeiaufgebot den Protestzug; der WDR schätzte die Zahl der Gegendemonstranten auf 1.500.

„Lebensrecht geht alle an“

Kirchliche Präsenz

Die Veranstaltungen in beiden Städten hätten gezeigt, dass Lebensrecht alle angehe, sagte die Vorsitzende des Bundesverbands, Alexandra Linder. Sie bezeichnete die Kundgebungen als „friedlich, sachlich und menschenzugewandt“. Man sei nicht nur gegen Abtreibung und assistierten Suizid aufgetreten, sondern auch für politische Maßnahmen zur Stärkung von Alternativen. Der Verband fordert unter anderem ein vollständiges Werbeverbot für Abtreibungen, die Einführung einer umfassenden Abtreibungsstatistik, eine stärkere Qualitätskontrolle von Schwangerschaftskonfliktberatungsstellen sowie die uneingeschränkte Gewissensfreiheit für medizinisches Personal.

Zentrale Unterstützung erhielt der Marsch auch in diesem Jahr von kirchlicher Seite. In Berlin sprach der Regensburger Bischof Rudolf Voderholzer, der regelmäßig an der Veranstaltung teilnimmt. Er bezeichnete das Lebensrecht als „Grundwert unserer Gesellschaft“, der insbesondere im Lichte der Erfahrungen totalitärer Systeme des 20. Jahrhunderts unverzichtbar sei. Es gehe darum, so der Bischof, „eine Stimme zu erheben - für jene, die noch keine Stimme haben, und für jene, deren Stimme langsam versagt“. Der Schutz der Menschenwürde gelte von Anfang an und bis zum Lebensende. Der Marsch sei daher auch ein Appell an die freiheitlich-demokratische Gesellschaft, ihre ethischen Grundlagen nicht preiszugeben.

Neben Voderholzer trat von kirchlicher Seite auch der Berliner Weihbischof Matthias Heinrich auf, während der Vorsitzende der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln) und Bischof Stefan Oster (Passau) Grußworte an die Teilnehmenden richteten.

Grußworte von Bischöfen und Berichte von Fachleuten

Darüber hinaus berichteten Fachleute aus verschiedenen Bereichen aus ihrer beruflichen oder persönlichen Erfahrung. Der Mediziner Prof. Holm Schneider schilderte in Berlin die Begleitung einer Vierlingsschwangerschaft, bei der ursprünglich eine Teilabtreibung empfohlen worden war. Alle Kinder seien gesund zur Welt gekommen. Schneider sprach von einer „bewegenden Zeugenschaft für das Leben“.

Auch international war der Lebensschutz im Fokus: Die aus Indien stammende Johanna Durairaj berichtete in Berlin von ihrer Arbeit mit Schwangeren in prekären Lebenslagen. In Indien fänden jährlich rund 16 Millionen Abtreibungen statt. Viele Frauen, so Durairaj, erlebten Abtreibung nicht als Hilfe, sondern als Folge von Gewalt oder gesellschaftlichem Druck.

In Köln sprach der Jurist Felix Böllmann über die Bedeutung der Gewissensfreiheit in medizinischen Berufen. Diese sei nicht nur ein persönliches Anliegen, sondern auch ein durch Grundrechte geschützter Raum, der zunehmend unter Druck gerate.

Teils Proteste

In Berlin wurde der Marsch rund um den Hauptbahnhof von Rufen vereinzelter Gegendemonstranten begleitet - sie skandierten etwa „My body, my choice“ (Mein Körper, meine Entscheidung). Zudem wurde der Protestzug in Höhe der Charité von einer spontanen Sitzblockade gestoppt, die die Polizei nach kurzer Zeit auflöste. Laut den Beamten bildeten 80 bis 100 Menschen die Sperre. Die Zahl der Gegendemonstranten gab sie mit rund 220 an, angemeldet waren 2.000. Auch in Köln wurde der Protestzug, der am Neumarkt begann, von einem großen Polizeiaufgebot begleitet. Der WDR schätzte die Zahl der Gegendemonstranten auf 1.500. (kap/kna 22)

 

 

 

 

 

Bätzing bei Herbst-Vollversammlung: „Der Papst ist doch kein Zauberer“

 

Papst Leo XIV. kann ein bedeutender Vermittler in Konflikten sein. Das sagte Bischof Georg Bätzing, Vorsitzender der deutschen Bischofskonferenz DBK, beim Auftakt-Statement für die aktuelle Vollversammlung der katholischen Bischöfe in Fulda. Allerdings wunderten ihn teils geäußerte Erwartungen an das Kirchenoberhaupt, so Bätzing. Themen der Beratungen werden unter anderem der Umgang mit Mitgliederschwund, die Weltlage und die fortwährende Aufarbeitung von Missbrauch in der Kirche sein.

„Wir sind sehr, sehr dankbar dafür, dass Papst Leo die Verantwortung für die Weltkirche übernommen hat“, sagte Bischof Bätzing vor den  Medienleuten. Er habe vor einigen Wochen selbst die Gelegenheit gehabt, mit dem Papst zu sprechen. Dieser sei erstaunt gewesen, dass mit 20 Millionen Zuschauern ein Viertel der Deutschen seinen ersten Auftritt auf der Loggia des Petersdoms mitverfolgt habe: Ein Zeichen der Sympathie, so Bätzing. „Und ich konnte im Gespräch auch wirklich wahrnehmen, dass der Papst eine große Sympathie für unser Land hegt; möglich machen will, dass wir mit ihm einen guten Gesprächsfaden aufnehmen können.“

Auch der Besuch von Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier im Vatikan an diesem Montag habe deutlich gemacht, dass der Papst eine bedeutende Rolle als Vermittler in Konflikten und Krisensituationen in der Weltpolitik spielen könne: „Das ist eine Erwartung“, unterstrich Bätzing in Fulda.

Keine Kopie von Franziskus

Dabei sei Leo keine Kopie von Franziskus, doch stelle er sich in seine Kontinuität, was an wichtigen Punkten wie der Friedensbotschaft und seinem Eintreten für Synodalität deutlich werde, so Bätzing. Die Aufregung um das jüngste Interview des Papstes könne er nicht vollständig nachvollziehen, ließ der Limburger Bischof weiter durchblicken:

„Manchmal frage ich mich, was ist eigentlich die Erwartung, die Menschen haben an einen solchen neuen Papst, dass der jetzt wie ein Zauberer alle Dinge auf die eine Seite oder die andere Seite löst. Der Papst sieht, dass es Spannungen in der Kirche gibt, dass es Polaritäten gibt, und er will verbinden“

„Manchmal frage ich mich, was ist eigentlich die Erwartung, die Menschen haben an einen solchen neuen Papst, dass der jetzt wie ein Zauberer alle Dinge auf die eine Seite oder die andere Seite löst. Der Papst sieht, dass es Spannungen in der Kirche gibt, dass es Polaritäten gibt, und er will verbinden. Das ist die ganz klare Botschaft, die er setzt. Und das ist auch sein Auftrag, bei dem wir ihn unterstützen wollen.“ Der Papst müsse die Weltkirche im Blick behalten, erinnerte Bischof Bätzing.

Rom soll Positionen zusammenführen

Zwar habe das Kirchenoberhaupt bislang keine größeren Änderungen angestoßen, doch gelte dies beispielsweise auch für das Dokument „Fiducia Supplicans" von Franzikus - es ermöglicht katholischen Priestern, Paare zu segnen, die gemäß der kirchlichen Lehre nicht verheiratet sind, einschließlich gleichgeschlechtlicher Paare -  das Papst Leo er unangetastet gelassen habe. Es gebe also keinen Grund, die in Deutschland erarbeitete Handreichung „Segen gibt der Liebe Kraft" zurückzunehmen, betonte der Limburger Bischof. Das Papier, das sich als Orientierungshilfe zu Segnungen unter anderem von gleichgeschlechtlichen Paaren versteht, sei in enger Abstimmung mit der vatikanischen Behörde für die Glaubenslehre erarbeitet worden: „Wir haben keine Rituale veröffentlicht für irgendwelche Segnungen, sondern legen die Verantwortung für die Gestalt eines solchen Segens in die Hand der Seelsorgerinnen und Seelsorger“, so der Vorsitzende der deutschen Bischofskonferenz weiter. Rom habe die Aufgabe, bei auseinanderdriftenden Positionen in der Weltkirche Lösungen anzubahnen.

Die Wahrnehmung für verschiedene Geschwindigkeiten in der Weltkirche schlage sich jedenfalls auch im deutschen Diskurs nieder. So seien Erwartungshorizonte beispielsweise in der Frage nach einer Regelung für die Segnung homosexueller Paare zurechtgerückt worden, „mit Respekt vor der Weltkirche und dem Willen, auch die Einheit stark zu machen“, sagte die Generalsekretärin der Deutschen Bischofskonferenz, Beate Gilles, auf Nachfrage von Journalisten.

Pläne für Synodalkonferenz

Wie Bischof Bätzing in seinem Statement weiter betonte, halte man auch an den Plänen für eine künftige nationale Synodalkonferenz nach wie vor fest. Zunächst gelte es, eine Satzung für das Gremium zu erarbeiten, dessen Vorhaben „ganz in der Linie der Synode“ liege und auch in enger Abstimmung mit Rom erarbeitet werden solle. „Der Papst unterstützt das“, so Bätzing. Des Weiteren sei ein Dokument in Arbeit, mit dem synodale Entscheidungswege auch auf Ebene der einzelnen Diözesen und Pfarreien verankert werden könnten.

Katastrophale Situation in Gaza

Die Weltlage bereite den Bischöfen Sorgen, so der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz insbesondere mit Blick auf die Konflikte in der Ukraine und in Gaza. Unter anderem wollen die Bischöfe im Rahmen ihrer Vollversammlung auch eine Erklärung zur Nahost-Krise vorlegen. In Gaza herrsche derzeit ein unendliches Elend: „Es ist menschenverachtend, was im Moment im Gazastreifen geschieht. Zehntausende Unschuldige haben ihr Leben gelassen. Viele erleiden Hunger. Jetzt sind Hunderttausende auf der Flucht und wissen nicht, wohin.”, unterstrich der Bischof. Die Zweistaatenlösung sei die einzige Lösung dafür, dem palästinensischen Volk eine Zukunft zu geben, plädierte Bätzing am Montag.

„Es ist menschenverachtend, was im Moment im Gazastreifen geschieht. Zehntausende Unschuldige haben ihr Leben gelassen. Viele erleiden Hunger“

Demokratie in Deutschland wahren

Gleichzeitig mahnte er, sich dem zunehmenden Antisemitismus in Deutschland entgegenzustellen. In diesem Zusammenhang kritisierte er die AfD als „Spalter“ scharf und rief dazu auf, ihr keine Stimme zu geben. Zwar sei es wichtig, dass die Kirche mit potenziellen AfD-Wählern im Dialog bleibe, allerdings sei der völkische Nationalismus der AfD mit dem christlichen Gottes- und Menschenbild nicht vereinbar.

„Es ist entscheidend, dass die demokratische Mitte zusammensteht und sich nicht auseinandertreiben lässt“

„Es ist entscheidend, dass die demokratische Mitte zusammensteht und sich nicht auseinandertreiben lässt", betonte Bätzing. Die katholische Kirche wolle zur Stärkung von Dialog und Demokratie beitragen. Dies habe er zuletzt auch im Gespräch mit Bundeskanzler Friedrich Merz (CDU) zugesagt.

„Wir brauchen eine wehrhafte Demokratie und wir wollen einen Sozialstaat“

Unter den Schwierigkeiten und Herausforderungen, mit denen es umzugehen gelte, zählte Bischof Bätzing auch die aktuelle wirtschaftliche Lage, die Zollpolitik und ihre Auswirkungen sowie die globalen Fragen um Sicherheit, Krieg und Frieden auf. Ebenso wollten die Bischöfe über einen Text zum Wehr- und Freiwilligendienst beraten: „Wir brauchen eine wehrhafte Demokratie und wir wollen einen Sozialstaat“, plädierte er. Dessen Last müsse jedoch gerecht unter den Generationen verteilt werden.

Viele Themen auf dem Tisch

Weitere Themen der Beratungen sollen unter anderem eine Auswertung von Seelsorge und kirchlichem Handeln in der Corona-Zeit sein, aber auch ein tiefergehender Austausch über die Aufarbeitung von sexualisierter Gewalt durch Priester und Kirchenmitarbeitende, der Umgang mit Migration und Überlegungen über die Sendung der Kirche inmitten einer säkularen Gesellschaft. Am Dienstag will die Konferenz über Konsequenzen einer Studie zu Religion und Kirche in Deutschland beraten, der zufolge es immer weniger Kirchenmitglieder geben wird. Außerdem berät die Vollversammlung eine Stellungnahme der deutschen Bischöfe zum Wehr- und Freiwilligendienst.

Offiziell eröffnet wurde die bis Donnerstag laufende Tagung der 58 Orts- und Weihbischöfe am Abend mit einem Festgottesdienst im Fuldaer Dom. 

(vn/kna 22)

 

 

 

 

Nicht an Paragraph 218 rühren“

 

In der Debatte über die rechtliche Bewertung von Abtreibung betont der Bischof von Mainz die Würde des Menschen. „Für die katholische Kirche gilt ein Mensch als Mensch ab dem Zeitpunkt der Verschmelzung von Ei- und Samenzelle.“

Das sagte Bischof Peter Kohlgraf an diesem Sonntag der Katholischen Nachrichten-Agentur in Mainz. Ab diesem Zeitpunkt, an dem sich ein Mensch entwickelt, gelte es, die Würde des Menschen zu wahren.

„Wir haben gesehen, dass gesellschaftliche Fronten aufbrechen, wenn wir den gefundenen Kompromiss auflösen wollten, der aktuell in Bezug auf Abtreibungen zum Tragen kommt"“, sagte Kohlgraf. Dies würde die gefundene Befriedung gefährden.

Als Kompromiss gilt der Paragraf 218 des Strafgesetzbuches, der die Abtreibungsgesetzgebung umfasst. Er regelt derzeit, dass ein Abbruch der Schwangerschaft zwar rechtswidrig ist; er bleibt aber bis zur zwölften Woche straffrei, wenn vor dem Eingriff eine Beratung stattgefunden hat und ein Beratungsschein ausgestellt wurde. Dieser Kompromiss wurde nach der deutschen Wiedervereinigung 1990 getroffen. In Ostdeutschland hatte zu DDR-Zeiten eine liberalere Regelung gegolten.

Rehlinger: Abtreibung aus Strafrecht

„Jede Abtreibung ist eine Abtreibung zuviel“, sagte Kohlgraf. Der Bischof äußerte sich im Vorfeld des Aktionstags „Welttag für sichere Abtreibung“ am kommenden Sonntag (28. September). Er warnte zudem vor einer zu einseitigen Debatte. Es gelte vielmehr, das „hohe Rechtsgut“ der Selbstbestimmung der Frau ebenso wie den Schutz des ungeborenen Lebens zu beachten. Die darin liegende Spannung sei durch die geltende Rechtslage aushaltbar gemacht worden - auch für die katholische Kirche, so Kohlgraf.

Zuletzt hatte sich Saarlands Ministerpräsidentin Anke Rehlinger (SPD) im September im KNA-Gespräch dafür ausgesprochen, das Thema Abtreibung aus dem Strafrecht zu nehmen. Kohlgraf hielt dem entgegen, das Strafrecht zeige, dass der ungeborene Mensch ein eigenes Rechtsgut sei und nicht Verfügungsgegenstand einer anderen Person.

Marsch für das Leben

Derweil haben am Samstag in Berlin und Köln tausende Abtreibungsgegner am sogenannten Marsch für das Leben teilgenommen. Nach Polizeiangaben sind in Berlin 2.200 Demonstranten beim Marsch mitgelaufen, in Köln haben sich laut WDR 1.200 der Kundgebung angeschlossen. Veranstalter war der Bundesverband Lebensrecht, ein Zusammenschluss von 15 Organisationen. Nach Polizeiangaben hatten die Veranstalter in beiden Städten im Vorfeld jeweils 5.000 Teilnehmer angemeldet. (kna 21)

 

 

 

 

 

Italien will Feiertag des hl. Franziskus wieder einführen

 

Das italienische Parlament stimmt demnächst über die Wiedereinführung des 4. Oktobers als landesweiten gesetzlichen Feiertag ab.

Laut Medienberichten wurde die bereits für die abgelaufene Woche angesetzte Abstimmung auf die kommende Woche verschoben. Beantragt wurde die Wiedereinführung von der stärksten Regierungspartei, Fratelli d'Italia, sowie von kleineren Parteien. Gefeiert wird an diesem Datum der heilige Franz von Assisi, der als Nationalpatron Italiens verehrt wird.

Der 4. Oktober war 1977 zusammen mit weiteren kirchlichen Festen aus der Liste der gesetzlichen Feiertage gestrichen worden, um die nach der Ölkrise und infolge hoher Inflation notleidende italienische Wirtschaft anzukurbeln. Auch der Dreikönigstag, Fronleichnam und Christi Himmelfahrt wurden damals als nationale Feiertage abgeschafft.

Feiertag ab 2026

Bis dahin hatte Italien mehr gesetzliche Feiertage als die meisten europäischen Länder. Derzeit liegt das Land mit zwölf gesetzlichen Feiertagen im internationalen Mittelfeld. Einige katholisch geprägte Länder wie Polen, Portugal und Österreich haben mehr Feiertage.

Der Wiedereinführung des nationalen gesetzlichen Feiertags müssen beide Kammern des italienischen Parlaments zustimmen. Er soll laut dem Gesetzentwurf erstmals anlässlich des 800. Todestags des umbrischen Heiligen im Jahr 2026 begangen werden. Als Todesdatum gilt der 3. Oktober, gefeiert wird er jedoch am Tag danach. Ausgerechnet im Franziskus-Jubiläumsjahr 2026 fällt der 4. Oktober allerdings auf einen Sonntag. (kna 20)

 

 

 

 

 

Vatikan/USA: Migration, positiv

 

Hoffnung statt Angst, Solidarität statt Ablehnung: mit der „Nationalen Migrationswoche“ setzt die US-amerikanische Bischofskonferenz in der kommenden Woche ein Zeichen der Solidarität und Willkommenskultur für Flüchtlinge und Migranten – inmitten eines aufgeheizten Klimas im Land.

 „Migranten, Missionare der Hoffnung“ ist das – noch unter Papst Franziskus – gesetzte Thema der diesjährigen Papstbotschaft zum Weltflüchtlingstag 2025. Die „National Migration Week“ (22.-29. September) ist dem Welttag der Migranten und Flüchtlinge vorgeschaltet. Dieser wird auch im Vatikan gefeiert und in diesem Jahr parallel zum Heilig Jahr-Jubiläums der Migranten am 4. und 5. Oktober begangen.

In den USA will die Bischofskonferenz mit der „Nationalen Migrationswoche“ Solidarität mit Migranten zeigen und sich für die Menschenwürde einsetzen, wie sie in einer Presseerklärung verdeutlicht. Dabei wolle man auch an die eigene Geschichte als Einwanderungskirche und die Bereicherung des Landes durch Generationen von Einwanderern erinnern.

Wenig Solidarität mit Schutzsuchenden

Außerdem soll ein konkretes Zeichen der Solidarität in einem politischen Klima gesetzt werden, das feindlich gegenüber Flüchtlingen und Einwanderern ist. Die US-Bischöfe sprechen von „Herausforderungen“ für Einwanderer in den USA und drücken ihre „Angst und Sorge“ angesichts der aktuellen Einwanderungspolitik der US-Administration unter Donald Trump aus. Die Bischöfe „fordern und drängen weiterhin auf ein humaneres Einwanderungssystem, das unsere Gemeinschaften schützt und gleichzeitig die Würde aller Menschen wahrt“, wird betont. Dazu gehöre auch die Förderung der parteiübergreifenden Zusammenarbeit zwischen politischen Entscheidungsträgern.

„Ein humaneres Einwanderungssystem, das unsere Gemeinschaften schützt und gleichzeitig die Würde aller Menschen wahrt.“

An jedem Tag der „National Migration Week“ richten die Bischöfen einen anderen Fokus auf das Thema: die gleiche Würde jeder Person, die Rolle des humanitären Schutzes und der Lebensrettung, die Heiligkeit von Familien, die Sünde des Menschenhandels, die lebendige Rolle eingewanderter Glaubender in der Kirche der USA, die Bedeutung langfristiger Integration und einer sinnvollen Reform der Immigration. Die katholische Soziallehre unterstreicht drei Grundprinzipien: das Recht eines Menschen, aus Gründen des Überlebens zu migrieren; das Recht eines Landes, seine Grenzen zu kontrollieren - und die Pflicht, diese Kontrolle gerecht und barmherzig auszuüben. 

Papst Leos Botschaft zum Weltflüchtlingstag

In seiner Botschaft zum Weltflüchtlingstag hat Papst Leo die Würde der Migranten und Flüchtlingen hervorgehoben: „In einer Welt, die von Kriegen und Ungerechtigkeiten verdunkelt ist, erheben sich die Migranten und Flüchtlinge selbst dort, wo alles verloren scheint, als Botschafter der Hoffnung. Ihr Mut und ihre Beharrlichkeit sind ein heldenhaftes Zeugnis für einen Glauben, der über das hinausgeht, was unsere Augen sehen können, und der ihnen die Kraft gibt, auf den unterschiedlichen Migrationsrouten unserer Zeit dem Tod zu trotzen“, heißt es in dem Text.

„Ihr Mut und ihre Beharrlichkeit sind ein heldenhaftes Zeugnis für einen Glauben, der über das hinausgeht, was unsere Augen sehen können, und der ihnen die Kraft gibt, auf den unterschiedlichen Migrationsrouten unserer Zeit dem Tod zu trotzen.“

Restriktive Einwanderungspolitik

Die US-amerikanische Bischofskonferenz des Landes sah sich zuletzt wegen der restriktiven Einwanderungspolitik von US-Präsident Donald Trump und finanzieller Kürzungen dazu gezwungen, eigene Wege bei der Unterstützung von Flüchtlingen zu suchen. So wurde eine kirchliche Vereinbarung mit der Regierung zur Flüchtlingshilfe im April nicht verlängert.

Der Vatikan hat mit Blick auf die restriktive Linie unter Trump Sorge geäußert. Papst Leos Vorgänger Franziskus sprach sich im Februar angesichts geplanter Massenabschiebungen von Migranten aus den USA in einem Brief an die Bischöfe des Landes deutlich für den Schutz von Migranten und den Respekt gegenüber der Menschenwürde aus.

Weltweit immer mehr Klimaflüchtlinge

Laut Angaben der UNO-Flüchtlingshilfe leben inzwischen fast 75 Prozent der Flüchtlinge und Vertriebenen in Staaten, die am stärksten von der Klimakrise bedroht sind. Dazu zählten Krisenländer wie Syrien, Venezuela, Afghanistan, Südsudan und Myanmar. Erschwert wird die Lage derzeit durch eine Unterfinanzierung der humanitären Hilfe. (vn/usccb 19)

 

 

 

 

 

Erzbischof Koch: „Versuchen, auf neuen Wegen Kirche zu leben“

 

Die katholische Kirche in Deutschland verliert Jahr für Jahr Hunderttausende Mitglieder durch Kirchenaustritt. Wie der Trend zu stoppen wäre, darüber beraten die deutschen Bischöfe ab Montag in ihrer Herbst-Vollversammlung in Fulda. Der Berliner Erzbischof Heiner Koch sagte uns vorab, er orte beim Thema Hoffnung über den Tod hinaus viel Sensibilität bei Fernstehenden.

Zunächst werden sich die Bischöfe die gesammelten Fakten zum Thema Kirchenaustritt darlegen lassen, wie sie die 6. Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung 2023 erhoben hatte, sagte Koch. Danach wollen sie sich über die unterschiedlichen Situationen in den Diözesen austauschen: „Sie ist eben in Bayern anders als im Rheinland und anders als im Osten Deutschlands“, so Koch. „Wir werden aber vor allen Dingen versuchen, das Ganze auch geistlich zu deuten. Was bedeutet das für unser Verständnis als Kirche, für unseren Auftrag jetzt? Warum hat uns Gott diese Zeit als Aufgabe gegeben und diese Menschen, mit denen wir zusammenleben? Und es wird auch einen Austausch über Versuche geben, in dieser säkularen Gesellschaft vielleicht auf neuen Wegen die Kirche zu leben und zu gestalten, den Verkündungsauftrag zu erfüllen.“

Jene stützen, die dabei sind - und alle andere ansprechen

Der Erzbischof sprach von zwei Grunddimensionen zum Thema Kirchenmitgliedschaft: Die Gläubigen stützen, die dabei sind - und für alle anderen ansprechend werden. „Das eine ist, wir müssen versuchen, die Menschen, die da sind, zu stärken, zu halten. Das ist heute nicht selbstverständlich“, so Koch, der mit Berlin ein stark säkularisiertes Erzbistum leitet, in dem Katholiken in der Minderheit sind. „Wenn in solch einer Diaspora-Situation Jugendliche leben, wo sie absolute Außenseiter sind, ist es nicht selbstverständlich zu bleiben. Wenn eine gesellschaftliche Tendenz, manchmal sogar ein Strom da ist, wie in vielen christlich geprägten Ländern Deutschlands, aus der Kirche auszutreten oder die Religion und Gottesfrage beiseite zu schieben, müssen wir uns fragen, wie halten wir die zusammen, die in dieser Frage entschieden sind, die ihre Herkunft darüber definieren und die den Weg weiter gehen.“

Die zweite Grundfrage laut Koch: „Wie sprechen wir Menschen an, die bisher keine oder nur wenig Beziehung haben?“ Der Erzbischof unterschied zwischen sogenannten Fernstehenden einerseits und andererseits jenen, die nie zuvor mit Kirche in Berührung gekommen sind. „Die Zahl derer steigt ja, die nicht eine Neuevangelisierung erleben, sondern eine Erstevangelisierung brauchen. Und dies würde ich nochmal gerade von dem Hintergrund hier von uns im Osten verstärken, die überhaupt erstmal in Berührung kommen müssen mit der Frage, gibt es Gott oder nicht? Und wo ist Gott? Und wer ist Gott? Und wie kann ich mit ihm in Berührung kommen?“

„Die Frage der Hoffnung ist im Moment das zentrale Thema“

Unter den Punkten, die Menschen heute am Christentum ansprechen, ragt für Koch eines als hoch bedeutsam heraus. „Die Frage der Hoffnung ist im Moment das zentrale Thema“, so der Berliner Erzbischof. Er verwies auf die Komplexität der Welt, die Kriege und Unsicherheiten. „Was gibt es für diese Welt und was gibt es für den einzelnen Menschen in der Zukunft? Gibt es überhaupt eine Zukunft? Oder ist das Leben Geburt bis Tod und Schluss? Das wird von, glaube ich, den meisten hier in Berlin vertreten, diese letzte Auffassung.“

Die entscheidende Frage sei, „wie entdecke ich mit den Menschen nicht nur, dass es Hoffnung und Zukunft über den Tod hinaus vielleicht geben kann - das sage ich mal vorsichtig, vielleicht geben kann; wie verunsichere ich sie in ihrem Glauben, dass mit dem Tod alles aus ist. Und die zweite Frage dann: Wie führe ich sie hin an eine Erfahrung, an eine Überlegung, dass es ein größeres Leben gibt - mehr gibt als das Leben dieser irdischen Dimension, der erfassbaren, der erforschbaren, der irdischen Dimension.“

Kirchenaustritte nicht zum ersten Mal Thema bei Bischofs-Beratung

Allein 2024 verzeichnete die katholische Kirche in Deutschland etwa 320.000 Austritte. Vor zwei Jahren hatte die 6. Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung, eine groß angelegte soziologische Erhebung, ergeben, dass nur noch knapp die Hälfte der Deutschen in einer christlichen Kirche Mitglied ist und dass viele sich Reformen wünschen. Die Bischöfe beraten in Fulda - von 22. bis 25. September - nicht zum ersten Mal über das Thema Kirchenaustritte, Neu- und Erstevangelisierung, sagte Koch. „Wir sind darüber schon länger im Gespräch, obwohl wir es etwas systematischer diesmal angehen und auch mit Fachreferenten, die von außen kommend, uns vielleicht Neuigkeiten mitteilen können.“ (vn 19)

 

 

 

 

 

Leo XIV. ermutigt zu mehr Beteiligung von Laien in der Kirche Roms

 

Papst Leo XIV. hat am Freitagabend die Kirche von Rom dazu aufgerufen, ein „Laboratorium der Synodalität“ zu werden. Bei der Diözesanversammlung in seiner Bischofskirche, der Lateranbasilika, forderte er mehr Beteiligung aller Gläubigen, breite Ausbildungsangebote und neue Wege in der Katechese.

Der Papst betonte, die Kirche in Rom müsse „mit der Gnade Gottes ‚Taten des Evangeliums‘ verwirklichen“. Er verwies auf die wachsenden sozialen und existenziellen Nöte in der Stadt, die Orientierungslosigkeit vieler junger Menschen und die Belastung der Familien. Eine synodale Kirche in Mission brauche „einen Stil, der die Gaben jedes Einzelnen wertschätzt“ und Leitungsaufgaben als „friedvolles und harmonisches Tun“ verstehe. Nur so könnten Dialog und Beziehung helfen, „die zahlreichen Tendenzen zum Konflikt oder zur defensiven Abschottung“ zu überwinden.

Ein zentrales Instrument für eine synodale Kirche sind laut Leo XIV. die Beteiligungsorgane in den Gemeinden. Diese stärkten die Taufberufung aller, vertieften den Zusammenhang zwischen Priestern und Gemeinden und führten „vom gemeinschaftlichen Unterscheiden zu pastoralen Entscheidungen“. Er rief dazu auf, die Ausbildung dieser Organe zu verstärken, ihre Arbeit zu überprüfen und dort, wo sie fehlen, Widerstände zu überwinden.

„Heute sind wir gefordert, gemeinsam zu denken und zu planen“

Der Papst warnte davor, dass diözesane Strukturen und Zusammenschlüsse von Pfarreien ihre Funktion als Orte der Gemeinschaft verlieren könnten. Sie dürften nicht zu bloßen Sitzungen verkommen. „Heute sind wir gefordert, gemeinsam zu denken und zu planen, über festgelegte Grenzen hinauszugehen und pastorale Initiativen gemeinsam auszuprobieren“, sagte er.

Als erstes Feld für gemeinsames Unterscheiden benannte der Papst die Verbindung von Glaubensweitergabe und Evangelisierung. Die Nachfrage nach Sakramenten gehe zurück, daher sei ein neuer Zugang nötig. „Das Hineinwachsen in das christliche Leben ist ein Prozess, der die Existenz in ihren verschiedenen Aspekten integriert“, erklärte er. Ziel sei es, die Menschen mit dem Wort Gottes vertraut zu machen, sie für Gebet und Nächstenliebe zu öffnen und neue Methoden einzusetzen. Familien müssten stärker einbezogen werden, die schulische Form von Katechese solle überwunden werden. Besondere Aufmerksamkeit gelte Jugendlichen und Erwachsenen, die die Taufe erbitten.

Eine Pastoral, die nicht wertet und alle willkommen heißt

Als zweites Ziel hob Leo XIV. die Pastoral für Familien und Jugendliche hervor. Er mahnte eine „solidarische, empathische, diskrete, nicht wertende Pastoral“ an, „die alle Menschen willkommen heißt und möglichst individuelle Wege vorschlägt, die den unterschiedlichen Lebenssituationen der Adressaten gerecht werden.“ Familien, die Mühe hätten, den Glauben an ihre Kinder weiterzugeben, dürften nicht allein gelassen werden. „Es handelt sich – das müssen wir ehrlich sagen – um eine Seelsorge, die nicht immer das Gleiche wiederholt, sondern eine neue Lehrzeit anbietet; eine Seelsorge, die selbst wie eine Schule wird, die in das christliche Leben einführt, die Lebensphasen begleitet, bedeutungsvolle menschliche Beziehungen knüpft und so auch das soziale Gefüge prägt, insbesondere im Dienst der Ärmsten und Schwächsten.“

Drittens forderte Leo XIV. eine umfassende Ausbildung. Die Gemeinden dürften sich nicht mit traditionellen Angeboten zufriedengeben. Bibel- und Liturgiekurse seien ebenso nötig wie die Auseinandersetzung mit Themen, die besonders junge Menschen bewegten: soziale Gerechtigkeit, Frieden, Migration, Umweltschutz, verantwortliche Bürgerschaft, Partnerschaft, psychische Not und Abhängigkeiten. „Wir können sicher nicht Spezialisten in allem sein, aber wir müssen über diese Themen nachdenken, vielleicht im Hören auf die vielen Kompetenzen, die unsere Stadt bieten kann“, sagte Leo XIV.

Er freue sich sehr, mit ihnen in der Kathedrale von Rom zusammenzukommen, sagte Leo eingangs bei seiner ersten Begegnung mit dem Diözesanrat des Bistums. „Der Papst ist Papst als Bischof von Rom, und ich bin mit Ihnen als Christ und für Sie als Bischof hier“, erklärte er. Leo dankte den Angehörigen des Bischofsrates, den Priestern, Diakonen, Ordensleuten und allen Pfarrei-Delegierten „für die Freude Ihrer Jüngerschaft, für Ihre pastorale Arbeit, für die Lasten, die Sie tragen und von den Schultern der vielen nehmen, die an die Türen eurer Gemeinden klopfen.“ (vn 19)

 

 

 

 

 

 

Wofür steht Papst Leo? Sein erstes Interview gibt Aufschluss

 

Nach wenigen Monaten im Amt hat Papst Leo XIV. ein umfassendes Interview gegeben, das nun in einem neuen Buch auf Spanisch veröffentlicht wurde. In „Leo XIV.: Bürger der Welt, Missionar des 21. Jahrhunderts“ äußert sich das Kirchenoberhaupt zu drängenden Fragen unserer Zeit: von den tragischen Ereignissen in Gaza über die Beziehungen zu China bis hin zu innerkatholischen Debatten um die Rolle der Frauen und den Umgang mit LGBTQ+-Personen. Salvatore Cernuzio – Vatikanstadt

 

Als Papst wolle er „Brücken bauen“ und „die Polarisierungen, die es in der Welt und in der Kirche gibt, nicht noch weiter anheizen“. Mit diesen Worten umschreibt Leo XIV. seine Mission. Er beklagt die „schreckliche“ Situation in Gaza, gegenüber der „wir nicht abstumpfen dürfen“, und betont, der Heilige Stuhl sei derzeit nicht der Ansicht, „dass man eine Erklärung zur Definition von Genozid abgeben könne“.

Der Papst versichert außerdem, sich nicht in die Politik seines Heimatlandes USA einzumischen – doch „keine Angst“ zu haben, auch Präsident Trump gegenüber dringende Fragen anzusprechen. Zur China-Politik kündigt er Kontinuität an und erklärt, den Weg seiner Vorgänger fortsetzen zu wollen. In der Spur von Papst Franziskus will er Frauen in Leitungspositionen berufen, hält aber fest, dass sich die Lehre über die Priesterweihe von Frauen nicht ändern werde. Auch zur LGBTQ+-Frage äußert er sich: Es gebe eine „Aufnahme für alle, alle, alle“, aber „die Lehre der Kirche wird so bleiben, wie sie ist“.

Hier hören Sie ein Kollegengespräch zu dem Thema mit Mario Galgano und Stefanie Stahlhofen

Die Missbrauchsfälle bezeichnet Leo XIV. als „echte Krise“. Er fordert größtmögliche Nähe zu den Opfern, erinnert aber daran, dass es vereinzelt auch falsche Anschuldigungen gegeben habe. Bei der finanziellen Krise des Vatikans mahnt er zu Pragmatismus: Man solle nicht „jammern“, sondern weiter Pläne entwickeln. „Aber ich verliere deswegen nicht den Schlaf“, sagt er.

Das Gespräch mit Elise Ann Allen, die erste große Interviewäußerung seit seiner Wahl, ist im heute (18. September) erscheinenden Band „Leo XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI“ in spanischer Sprache (Penguin Perú) veröffentlicht. Am 14. September, seinem 70. Geburtstag, waren erste Auszüge daraus vorgestellt worden.

Das Drama von Gaza

Gleich zu Beginn äußert sich der Papst zur Lage im Nahen Osten. „Obwohl die USA Druck auf Israel ausgeübt haben und Präsident Trump Erklärungen abgegeben hat, gab es keine klare Antwort, um das Leiden der Bevölkerung zu lindern“, sagt Leo XIV. Besonders Kinder litten Hunger und bräuchten künftig medizinische Hilfe und humanitäre Unterstützung. „Es ist schrecklich, diese Bilder im Fernsehen zu sehen… so viel Leid kann man kaum ertragen“, fügt er hinzu.

Zum häufigen Gebrauch des Begriffs „Genozid“ in Bezug auf Gaza erklärt der Papst: „Die Definition ist sehr technisch, und offiziell sieht der Heilige Stuhl derzeit keinen Grund für eine Stellungnahme.“ Dass die Debatte wächst, räumt er ein, auch weil israelische Menschenrechtsgruppen die Frage aufwerfen.

Beziehungen zu China

Mit Blick auf China betont der Papst, die langjährige Politik der vatikanischen Diplomatie fortzuführen. Er stehe im „ständigen Dialog mit verschiedenen chinesischen Gesprächspartnern“, um besser zu verstehen, wie die Kirche dort ihre Mission fortsetzen könne, „im Respekt vor Kultur und politischer Situation“. Besonders denke er an Katholiken, die „lange Jahre unter Schwierigkeiten litten, ihren Glauben frei zu leben“.

Die USA und Präsident Trump

Als erster Papst aus den Vereinigten Staaten glaubt Leo XIV. nicht, dass seine Herkunft die globale Politik maßgeblich beeinflusst. Aber sie könne die Beziehung zum US-Episkopat verbessern: „Man kann mir nicht vorwerfen, wie Franziskus, dass ich die USA nicht verstehe.“ Parteipolitik sei jedoch nicht seine Aufgabe: „Es ist Aufgabe der Kirchenleitung in den USA, mit dem Präsidenten im Gespräch zu sein. Aber wenn es spezifische Themen gibt, hätte ich kein Problem, sie selbst anzusprechen.“

Zu Donald Trump merkt der Papst an, dieser habe kürzlich erklärt, er wolle ihn nicht treffen. Der US-Präsident habe aber den mittleren der drei leiblichen Prevost-Brüder, Louis, als „guten Kerl“ bezeichnet, den er im Oval Office empfing. „Wir Brüder sind uns trotz politischer Unterschiede sehr nah“, sagt Leo XIV.

Missbrauchskrise in der Kirche

Zur Missbrauchsproblematik erklärt Leo XIV., über 90 Prozent der Vorwürfe stammten erwiesenermaßen von echten Opfern. „Aber es gab auch nachweislich falsche Anschuldigungen, die Leben zerstört haben“, so der Papst. Wichtig sei, die Rechte der Opfer wie auch der Beschuldigten zu achten. „Doch das zu sagen, verursacht manchmal noch mehr Leid.“

Er warnt davor, dass Missbrauch „zum einzigen Brennpunkt der Kirche“ werde: „Die große Mehrheit der Priester und Ordensleute hat nie jemanden missbraucht. Die Kirche darf nicht auf dieses eine Thema reduziert werden.“

LGBTQ+ und Frauen

Mit Blick auf LGBTQ+-Personen bekräftigt der Papst: „Alle sind eingeladen, nicht wegen einer spezifischen Identität, sondern weil alle Kinder Gottes sind.“ Das ändere jedoch nichts an der Lehre über Ehe und Sexualität: „Eine Familie besteht aus Mann und Frau, die im Sakrament der Ehe gesegnet sind.“

Auch zur Frage der Frauenordination äußerte sich der Papst klar: „Ich beabsichtige nicht, die Lehre zu ändern.“ Frauen sollen aber abseits der Priesterweihe weiterhin Führungsrollen in der Kirche übernehmen können.

Finanzen und Reformen

Zur wirtschaftlichen Situation der Kirche verweist der Papst auf Fortschritte, etwa ein positives Ergebnis von 60 Millionen Euro im Haushaltsbericht 2024. Probleme blieben, wie der Pensionsfonds oder die Rückschläge durch die Covid-Krise bei den Vatikanischen Museen. „Wir müssen falsche Entscheidungen wie im Fall des Londoner Immobiliengeschäfts vermeiden“, mahnt er. Doch trotz aller Herausforderungen: „Ich verliere darüber nicht den Schlaf.“

Reformen in der Kurie seien nötig, erklärt er, um „Abschottungen zwischen den Dikasterien“ aufzubrechen, die den Dialog behinderten.

Liturgie, Fake News und KI

Die Debatte um die tridentinische Messe bezeichnet Leo XIV. als „Problem“, weil die Liturgie politisch instrumentalisiert werde. Er kündigt Gespräche mit Anhängern des alten Ritus an – „mit synodaler Methode“.

Auch zur Flut falscher Nachrichten im Netz und zu Künstlicher Intelligenz bezieht er Position. „Fake News sind zerstörerisch“, sagt er und warnt vor den Gefahren einer digitalen Welt, die sich verselbstständige. Ein besonders drastisches Beispiel: Jemand habe ihn gefragt, ob er einen „künstlichen Papst“ als Avatar erlaube. Seine Antwort: „Das werde ich niemals genehmigen. Wenn es jemanden gibt, der nicht als Avatar dargestellt werden sollte, dann steht der Papst ganz oben auf der Liste.“ (vn 18)