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Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli - Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 16 aprile – 15 maggio 2024
Papa Francesco: “Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui”
“Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi. Parecchi sono superficiali
e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da
pettegolezzi e malignità. Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno
male. Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo
quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò
accade. Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno
toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri”.
Così Papa Francesco prima del Regina Caeli da Piazza San Pietro: “Eppure
c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare. Facciamo fatica a parlare
di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.
Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne. Ciascuno
di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato,
e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i
momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel
cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione,
forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza”. Per il Santo Padre, “così come
fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei
pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche
degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella
vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi”.
“Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie
giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa
dell’intervento da parte dell’Iran. Faccio un accorato appello affinché si
fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di
trascinare il Medio Oriente in un conflitto bellico ancora più grande”. Lo ha
detto oggi il Papa al termine del Regina Caeli: “Nessuno deve minacciare
l’esistenza altrui. Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e
aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco,
in sicurezza. È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due
Stati vicini”.
Quindi Francesco ha chiesto che “si giunga presto ad un cessate il fuoco a
Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione”: “Si aiuti
quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino
subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace.
Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al
dialogo e sì alla pace!”. Riccardo Benotti, sir 15
Non siamo stati creati per la morte, ma per la vita. III Domenica di Pasqua
Città del Vaticano. L’apparizione di Cristo risorto ai discepoli rinchiusi nel
Cenacolo è l’esperienza che vive la comunità cristiana in ogni celebrazione
della Santa Messa. Cristo viene in mezzo a noi perchè sa che abbiamo bisogno di
Lui. Il Signore Gesù, infatti, ci invita a stare alla sua presenza non per
umiliarci, ma per salvarci con l’infinita ricchezza del suo amore e
renderci partecipi della sua stessa vita divina.
Anche a noi il Signore, come ha fatto con gli undici, affida una missione
che non ha confini geografici e che coinvolge tutte le creature: “predicare a
tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”. Tutto il mondo,
dunque, è terra di evangelizzazione. E non può essere diversamente! La Chiesa,
infatti, è mandata non a raccontare una notizia qualsiasi, un fatto tra i
tanti, ma ad annunciare un avvenimento decisivo per la vita dell’uomo, che san
Clemente di Alessandria qualifica come il “Canto Nuovo”’.
Egli parlando del Verbo Incarnato lo qualifica “Nuovo” perchè è venuto
ad abitare tra noi per narrarci qualcosa di assolutamente diverso dalla comune
narrativa in quanto si presenta come proposta di vera umanità. È “Canto” perché
la sua presenza è in grado di rispondere alle aspirazioni di gioia, pace,
libertà, amore presenti nel cuore dell’uomo. Solo da Gesù, vero uomo e vero
Dio, noi apprendiamo che siamo stati creati non per la morte, ma per la vita,
non per il dolore, ma per la gioia, non per l’odio, ma per l’amore. Infatti,
Cristo risorgendo dalla morte annuncia che l’umanità non è incamminata verso la
distruzione, l’annientamento, ma verso un compimento, una pienezza. Se questo è
il destino dell’uomo allora anche noi possiamo dire con il salmista: “In pace
mi corico e subito mi addormento, perchè tu solo Signore, fiducioso, mi fai
riposare”.
Il mandato del Risorto di Predicare a tutti i popoli la conversione ci
porta anche a riconosce che l’azione missionaria non nasce dalla Chiesa e
neppure è il frutto di un volontà di potere, ma è una necessità interiore. “È
intrinseco alla nostra condizione di cristiani - scriveva il Card. Biffi
- il desiderio che Gesù di Nazareth sia riconosciuto da tutti come il
Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, il Signore che è risorto ed è il
principio di risurrezione” (Nota Pastorale “Guai a me” n° 16).
In altre parole, per un cristiano che ama veramente il Maestro diventa insopportabile
non annunciare e testimoniare ai fratelli la vita bella che nasce dall’incontro
con la Parola fatta carne. Pertanto, l’assenza dei cristiani dalla vita della
società non è rispetto della libertà del mondo, ma indifferenza verso la sua
rovina.
La missione che Gesù risorto affida ai discepoli comporta, quindi,
l’impegno a mettersi insieme e testimoniare una fede incarnata in tutte le
dimensioni della vita: dal lavoro alla cultura, dalla politica alla scienza
perchè nulla sfugge alla ricapitolazione in Cristo. Il recente documento
“Dignitas infinita” ricorda che, non si può separare la fede dalla difesa della
dignità umana, l’evangelizzazione dalla promozione di una vita dignitosa e la
spiritualità dall’impegno per la dignità di tutti gli esseri umani». A tutti
deve essere data la possibilità di conoscere la Verità che è Cristo perchè,
come mi scriveva un giovane, Egli porta gioia, ci rende migliori di quello che
siamo e utili per il mondo. Parole che dovrebbero essere l’approdo del cammino
di ogni persona. Mons. Francesco Cavina, Aci 14
Dignitas infinita. Don Patriciello: “La persona umana è il terreno sacro
comune”
Quello del Dicastero per la Dottrina della Fede è “un documento importante
non solo per la vita della Chiesa, perché risponde non solo a problemi
all’interno della Chiesa, ma offre uno sguardo globale sull’umanità”, dice al
Sir il parroco di Caivano - Gigliola Alfaro
Ciascuna persona umana ha una dignità infinita, al di là di ogni
circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi. Parte da questa
consapevolezza la Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede
“Dignitas infinita circa la dignità umana”, pubblicata l’8 aprile. Questa
dignità riguarda ogni sfaccettatura della persona, ma purtroppo subisce
violazioni, quando è toccata da povertà, guerra, traversie che devono
affrontare i migranti, tratta, violenze contro le donne, aborto, maternità
surrogata, eutanasia e suicidio assistito, scarto dei diversamente abili,
teoria gender, cambio di sesso, violenza digitale. Ne parliamo con don Maurizio
Patriciello, parroco a Caivano.
La dichiarazione parla di “dignità infinita”
Un documento importantissimo, come dimostra anche il fatto che la
riflessione sia stata in incubazione cinque anni. La Chiesa si pone in ascolto
di tutte le sofferenze del mondo, anche di quelle che sono “fuori moda”, di cui
il mondo non ama parlare. Ecco lo considero un documento importante non solo
per la vita della Chiesa, perché risponde non solo a problemi all’interno della
Chiesa, ma offre uno sguardo globale sull’umanità.
La Dichiarazione cita diversi tipi di violazioni…
Quando si parla delle violazioni della dignità, si parte dalla povertà:
basti pensare a tutte le povertà indotte, le povertà che noi stessi abbiamo
procurato per il nostro egoismo. Si parla delle guerre: noi oggi stiamo vivendo
due guerre spaventose, terribili, a due ore di aereo dall’una e dall’altra
guerra, quasi ci sembra di sentire fisicamente i lamenti dei bambini in Ucraina
e nella Striscia di Gaza. Si parla dei migranti: sappiamo che dal punto di
vista politico ci siamo schierati, quasi come se una persona che sta annegando
in mare possa avere un colore politico. Si parla degli abusi sessuali e della
violenza sulle donne: solo in Italia 100/120 donne vengono uccise in modo
brutale dai loro partner ogni anno. Si tocca il dramma dell’aborto: nei giorni
scorsi mi hanno portato una bambina, che era stata sul punto di essere gettata
nella fogna. La mamma aveva già preso appuntamento per abortire, nessuno le era
stato accanto. La prima parte della legge 194 non viene quasi mai osservata.
Non ci sono dubbi: il corpo della donna le appartiene, ma dobbiamo avere uno
sguardo più globale. Addirittura Facebook esclude le immagini sugli aborti. Io
sono l’ultimo di cinque figli maschi. La mia mamma poteva dire: “Ho già quattro
figli, mi bastano”. Il pensiero che sarei potuto finire in una fogna mi fa
letteralmente inorridire e quindi non finirò mai di ringraziare i miei genitori
anziani, poveri, che mi hanno voluto. Solo l’anno scorso nel mondo ci sono
stati 42 milioni e 600mila aborti accertati, non sappiamo di quelli illegali.
Sull’aborto si dicono tante bugie: le donne che lo fanno, per svariati motivi,
si portano nella tomba questo dolore. E ancora altre violazioni: eutanasia,
suicidi assistiti. E come dimenticare l’utero in affitto? La prima menzogna
parte propria dalla terminologia. La donna non affitta un utero, quando c’è la
gravidanza, è coinvolta tutta la donna, tutta la sua femminilità, la sua
dignità. La maternità non è qualcosa di aggiunto, lo stesso corpo si deforma e
si fa da parte per accogliere questa vita. Se anche la maternità diventa motivo
di commercio siamo arrivati alla frutta. La cosa più terribile è si vuol far
passare questa vergogna come atto di amore. Insomma, il documento ha messo il
dito in tante piaghe.
E nessun aspetto è meno importante di un altro…
La Dichiarazione parla della dignità ontologica: il “pacchetto” o lo
accogli nella sua totalità o cade tutto.
Se vai a manomettere le fondamenta della dignità ontologica, si può
arrivare a fare di tutto a categorie di persone che erroneamente sono
considerate senza dignità o che l’hanno persa: il feto con una malformazione,
la nonna con l’Alzheimer, il vecchietto con la demenza senile, malati di
patologie incurabili. L’altro giorno sono stato all’ospedale Monaldi nel
reparto della Sla, dove ci sono persone che comunicano guardando un computer:
non hanno dignità neppure loro? Ma allora cos’è la dignità? Il documento dice
una cosa importante: la dignità non ti viene concessa da qualcuno, non è lo
Stato che ti concede la dignità. No, viene riconosciuta la dignità ontologica
di ciascuno, non è concessa.
Quali sono i rischi se non accogliamo questa verità?
Pensiamo a un gioco di fantasia. Prendiamo cento persone e ciascuno dica
quale aspetto della dignità umana non considera importante. Come succede per i
dieci comandamenti, dei quali ognuno potrebbe considerare 9 validi e un altro,
che maggiormente lo scomoda, metterlo da parte, così nel nostro ipotetico gioco
di fantasia, uno potrebbe non voler considerare l’aborto come un’offesa alla
dignità, un altro vuole essere libero di morire nel momento che sceglie, altri
hanno in odio l’immigrazione e non accettano neanche gli appelli del Papa a non
lasciar morire in mare i migranti. E, man mano, ognuno toglie qualche aspetto
che lede la dignità: alla fine lasciamo che cosa? Manomettiamo tutta la
struttura della persona umana, passando dalla dignità umana a quella che
potremmo definire una libertà personale, secondo la quale decido io che cosa è
dignitoso e cosa non lo è. Ma allora sorge una domanda: tutto è così relativo?
Decido io cosa è dignitoso per la mia vita? Indicare le violazioni della
dignità non vuol dire non mettersi in ascolto della persona, del grido che
viene dal singolo, ma ricordare che quando si comincia a manomettere la
struttura non mancano i danni. Se un albero è molto alto deve avere radici
profonde per non essere abbattuto dal vento, così un palazzo alto deve avere
fondamenta molto solide, altrimenti diventa un pericolo. Andando a costruire
presunti diritti, per esempio il diritto ad avere un figlio a tutti i costi,
corriamo il rischio di ledere la dignità della persona, nella sua integrità.
Ogni aspetto della dignità citato nel documento, che ha uno sguardo ampio, ha
la stessa radice. Un’ultima osservazione.
Ci dica…
Ritorno alla mia visita nel reparto della Sla: una signora attraverso il
computer mi ha detto pace e bene, mi ha fatto una grande tenerezza. Sono
tornato dall’ospedale vergognandomi dei miei lamenti. Rimane il mistero, noi
nuotiamo nel mistero: la sofferenza è un mistero, la vita è un mistero, nascere
per morire è già un mistero. Dove trovare un punto d’incontro tra chi crede e
non crede? Se non è la persona umana nella sua dignità il terreno comune su cui
ci possiamo ritrovare credenti, miscredenti, diversamente credenti e atei, dove
ci possiamo ritrovare? Non credo che esista un altro terreno comune:
la persona umana è quel terreno sacro davanti al quale ci togliamo le
scarpe.
Chi crede è molto avvantaggiato perché nella persona umana vede l’immagine
di Dio, ma anche per chi non crede la persona umana ha un immenso valore. Sir
13
Dialogo con mons. Birkhofer. Comunità, volto vivo della Chiesa
Mons. Peter Birkhofer è vescovo ausiliare nell’arcidiocesi di Friburgo in
Brisgovia ed è membro della XIV commissione della Conferenza episcopale
tedesca, quella della migrazione. Ha partecipato al Convegno nazionale della
Delegazione MCI „Lontano da casa, essere a casa. Ovunque tu vada la Chiesa è
con te“, che si è tenuto lo scorso ottobre a Palermo. È intervenuto nella
giornata di convegno dedicata al dialogo con la Chiesa tedesca. Molto
gentilmente ha messo a disposizione per la pubblicazione il suo intervento. Le
domande, la moderazione e la traduzione, sono state curate da Paola Colombo.
Pur parlando fluentemente italiano ha preferito interloquire in lingua tedesca.
Ridisegnare la territorialità delle parrocchie, la tendenza a togliere
la missio cum cura animarum alle comunità di altra madrelingua, nel
contempo l’aumento in percentuale dei cattolici senza passaporto tedesco, a
fronte di tutto ciò come sta cambiando nelle diocesi in Germania e anche nella
conferenza episcopale la percezione delle comunità di altra madrelingua nella
chiesa tedesca?
Nell’arcidiocesi di Friburgo le oltre 1.000 parrocchie esistenti verranno
sciolte come entità giuridiche e fuse per formare 36 nuove parrocchie. La
parrocchia è il livello strutturale e amministrativo. D’ora in poi chiameremo
comunità le parrocchie precedenti. Le comunità sono il volto vivo della Chiesa
sul territorio. Finora le comunità di altra madrelingua hanno avuto
un’esistenza di nicchia nel tessuto parrocchiale esistente. Tuttavia, a fronte
delle misure di risparmio che sostanzialmente tutte le diocesi stanno
affrontando, sta diventando sempre più chiaro che dobbiamo avvicinarci. In
questo modo anche le missioni ricevono maggiore attenzione e sono più
strettamente integrate nella vita parrocchiale. Le missioni potranno finalmente
essere percepite da noi come Chiesa universale ed essere maggiormente integrate
nella vita di comunità.
In futuro, le missioni avranno lo stesso livello di attenzione di una
comunità tedesca nella nuova parrocchia. Il missionario riceverà la procura per
il territorio di missione, che interessa in parte più parrocchie, il che
corrisponde a una missio cum cura animarum. Spero che ci sarà un’unione
più forte, un atteggiamento che riconosca e prenda sul serio i diversi carismi
delle diverse comunità e che alla fine renderà anche le nostre parrocchie più
interattive e più attrattive. E in ultimo ma non meno importante, grazie a un
maggiore coinvolgimento delle missioni le parrocchie potranno anche parlare in
modo molto più credibile di integrazione, migrazione, rifugiati e così via e
avere un impatto diverso sulla società.
Come può allora la Chiesa tedesca favorire l’interculturalità, la
reciprocità tra le comunità di lingua tedesca e quelle di altra madrelingua?
Innanzitutto è una questione di atteggiamento: non esiste uno stile di vita
ecclesiale perfetto, ci sono solo persone diverse che vivono la propria fede in
modi diversi e qui ci sono momenti e opportunità per imparare gli uni dagli
altri e per modellare la comunità e la Chiesa in modo tale che siano
interessanti, soprattutto per i più giovani, concentrandosi sulla comunità
fornita da Cristo, e non perseguendo freneticamente questioni politiche. La
strada dovrebbe essere quella, come è stato programmaticamente descritto dal
Concilio Vaticano II, di “interpretare i segni dei tempi”. Siamo una comunità
di credenti e, partendo da questa base, esaminiamo come possiamo essere lievito
nel mondo.
Ma ciò significa anche che dobbiamo prima concordarci su come vogliamo
vivere e lavorare come Chiesa e comunità interculturale. Solo così potremo
volgerci in modo credibile verso l’ambiente spesso laico dell’Europa. È un po’
come per l’ecumenismo: finché ci sono ancora diverse confessioni che pensano
tutte di dover parlare solo per sé, il messaggio cristiano perde di
plausibilità. È quindi necessario lo scambio tra le diverse missioni di altra
madrelingua ed è necessario il dialogo con le comunità di lingua tedesca nella
parrocchia e oltre.
Spesso il problema è che l’uniformità semplicemente mette a tacere la voce
delle missioni, contrapponendo una presunta maggioranza a una presunta
minoranza. Ma in realtà accade il contrario: spesso le missioni crescono mentre
le nostre comunità “tradizionali” si assottigliano. Ciò che serve, allora, è un
processo di camminare insieme, di evangelizzazione e scambio. Così può avvenire
uno intreccio effettivo e reciproco, che, come da noi richiesto, verifica il
tutto e conserva il meglio, ma con l’obiettivo di crescere insieme in un’unica
Chiesa, un’unica comunità.
La carenza di sacerdoti è una realtà. Il numero di seminaristi in Europa
sta diminuendo più o meno drasticamente dappertutto. Nelle comunità, anche in
quelle italiane, arrivano sacerdoti da molto lontano. Ci sono esempi
meravigliosi di accoglienza e di comunione, ma anche comunità dove ci sono
conflitti ed enormi differenze di mentalità che si manifestano anche nei
rapporti con il personale assunto laico, in particolare con le donne. Che fare?
Innanzitutto vorrei sottolineare che al Synodale Weg c’erano solo due
rappresentanti delle missioni di altra madrelingua, cioè solo circa l’1% dei
sinodali, cosa che a mio avviso non riflette la realtà in Germania.
L’interculturalità è un’opportunità: se posso sperimentare e imparare
attraverso lo scambio perché atteggiamenti o mentalità differiscono, allora
posso anche capire perché qualcuno affronti la questione delle donne nella
Chiesa in modo diverso. Oppure ha una tradizione diversa dalla mia quando si
tratta di questioni di fede. Non si tratta però di avere ragione – cosa che
purtroppo spesso si è notato nel cammino sinodale – ma piuttosto di come
possiamo realizzare insieme la Chiesa in modo tale che questa Chiesa annunci la
buona novella di Cristo. Questo è innanzitutto amore. Questo tuttavia non
significa ancora che si possa fare tutto, perché abbiamo visto come gli abusi
sessuali e spirituali hanno causato grandi sofferenze alle persone, con la
falsa pretesa di annunciare e condividere la buona novella.
Questa consapevolezza porta ad un’attenzione rispettosa tra comunità, preti
e laici, uomini e donne, senza uniformarsi vicendevolmente. Abbiamo bisogno di
una nuova evangelizzazione in cui possiamo parlare dei nostri punti di vista e
anche dei nostri sentimenti. Ma deve anche essere chiaro che occorre qualcosa
di più ampio delle emozioni, perché altrimenti non riusciamo ad avvicinarci
perché di emozioni non si può discutere. È possibile discutere invece su
argomenti, punti di vista, tradizioni, conoscenze ed esperienze. Dobbiamo
trarne le giuste conclusioni. Ma anche questo richiede un atteggiamento di
ricettività interiore: se qualcuno, in questo processo, crede di essere
completamente nella ragione, in realtà rifiuta di prendere parte al processo.
Non c’è apertura all’opera dello Spirito Santo. Dobbiamo, perdonatemi se la
metto così, rimanere toccabili per la voce del vicino, l’altro. Solo così può
avvenire una trasformazione, un cambiamento, una santificazione della
quotidianità e della vita. Solo così possiamo sviluppare forza irraggiante e
allo stesso tempo riuscire a chiarificare le nostre differenze. In questo modo
si mostra che siamo sorelle e fratelli di Gesù Cristo, figli dell’unico Padre
che è nei cieli, uno in Cristo (Gal 3).
L’universalità del cattolicesimo è oggi maggiormente messa alla prova dalla
sfida dell’inculturazione?
No, cattolicità significa proprio abbracciare tradizioni e opinioni
diverse. Naturalmente ci sono alcuni fondamenti incrollabili della nostra fede.
Questi sono stati stabiliti, ad esempio, nei Concili. Se l’intera Chiesa
universale ora concorda sulla necessità di fare alcuni ulteriori sviluppi,
allora va bene ed è espressione dell’opera dello Spirito Santo, che ci
accompagna fino alla venuta di Cristo nel tempo chiliastico.
L’inculturazione ha plasmato il cristianesimo fin dalle sue origini perché
Cristo è venuto agli uomini e alle donne e quindi anche la fede deve essere
portata loro. Ma ciò non vuol dire annacquare il messaggio né introdurre
strettoie che mettano la propria fede contro l’altra. Si tratta piuttosto di
essere, come credenti, in costante relazione come la stessa Trinità. Ci sono
tanti cammini di fede quante sono le persone. Perché spesso siamo così
arroganti e pensiamo di avere quello migliore, l’unico giusto? Questo è ciò che
l’idea universale di fondo del cattolicesimo vuole superare. In essa l’unità
può essere vissuta in ogni diversità. È una differenza riconciliata, non
competitiva. Cattolico è unità nelle diverse lingue, culture, origini,
mentalità e molto altro ancora. Nonostante la diversità, vi sperimentiamo
un’unità che supera i confini e unisce le persone a modo proprio.
Tuttavia, anche questa è una sfida, perché non esiste una certezza
definitiva nel vero senso della parola. Ma come può esserci certezza di fronte
in un discorso su Dio, nella teologia, quando dobbiamo sempre mettere
sottolineare l’onnipotenza e la grandezza di Dio, che ci viene messa davanti
agli occhi nei Salmi, così ricchi nel linguaggio e pieni di immagini?
Come garantire le diverse sensibilità religiose senza rischiare la deriva
verso Chiese parallele?
Una teologa protestante una volta mi chiese se tra noi cattolici ci sono
così tante divisioni e fondazioni di nuove chiese. Le risposi che i cattolici
restano sotto il tetto della Chiesa cattolica. Spesso i carismi hanno trovato
posto nella fondazione di nuove congregazioni spirituali. L’essere cattolico
non si esprime in Chiese parallele ma dovrebbe sempre far parte di un continuo
processo di negoziazione. Abbiamo tante opportunità di vivere la nostra fede
insieme, ma anche separatamente gli uni dagli altri. Molte persone in Germania
e in Europa non sono nemmeno consapevoli di questo dono: non dobbiamo
nasconderci, non dobbiamo preoccuparci di essere uccisi perché pratichiamo la
nostra fede, abbiamo molta libertà. Noi stessi spesso limitiamo questa libertà
perché abbiamo l’errata convinzione di dover dire agli altri cosa è cattolico e
cosa non lo è. L’opposto conduce all’obiettivo di una maggiore unità con grande
indipendenza: abbiamo bisogno di pregare, parlare e agire insieme, ma anche di
momenti isolati di preghiera, conversazione e azione.
Per me, tuttavia, l’aspetto più rilevante è il numero sempre più esiguo di
cattolici nelle parrocchie tedesche che si sono messe un po’ troppo a loro
agio, appoggiandosi ai soldi delle entrate fiscali. Solo in comunione possiamo
solo fare qualcosa per la Chiesa nel suo insieme, solo nella relazione con gli
altri la mia particolare identità cattolica può arricchire gli altri e io posso
essere arricchito. Ciò a volte può portare ad una reazione di rifiuto perché
non riflette la mia idea di vivere la fede, ma dobbiamo continuare a parlarci.
La nuova parrocchia con le tante comunità può diventare davvero luogo dove si
vivono i diversi carismi, espressioni di un’unica fede in lingue e tradizioni
diverse. Queste comunità si arricchiscono a vicenda e si rafforzano nella
testimonianza e nel dialogo con il mondo.
Al tempo stesso posso capire che anche gli immigrati italiani e/o i loro
figli e nipoti vogliano preservare un pezzo della propria identità. Come
comunità tedesca dovrei riconoscere questo bisogno e assolutamente preservarlo
come segno di diversità, di cattolicità. Tuttavia è necessaria un’idea
complessiva di come io, come parrocchia o comunità in un paese o in una città,
voglia parlare della fede cristiana sia internamente che esternamente.
Lo scorso anno (febbraio 2023) A Friburgo è stata aperta, riaperta una
comunità di lingua italiana. Molti sono stati gli attori che hanno concorso a
questo risultato per le persone di lingua italiana. Molti dei credenti che
frequentano la comunità sono giovani famiglie immigrate in Germania, ma ci sono
anche giovani nati in Germania i quali hanno un forte attaccamento alla lingua
delle loro origini. Conoscendo queste realtà complesse, che tipo di
collaborazione è auspicabile tra le due conferenze episcopali, tedesca e
italiana?
Innanzitutto, il Cammino sinodale in Germania e la sua percezione
all’estero mi hanno fatto capire che abbiamo fondamentalmente bisogno di più
dialogo che travalichi i confini. Abbiamo bisogno di più incontri faccia a
faccia, cuore a cuore. Dobbiamo lasciarci trasportare dalle esperienze degli
altri e dobbiamo lasciare che gli altri condividano i nostri pensieri e le
nostre esperienze. E condividere significa ascoltarsi a vicenda e agire di
conseguenza.
Sarebbero sicuramente necessari ulteriori accordi, soprattutto considerando
il problema che le comunità di altra madrelingua dovrebbero essere guidate da
un prete madrelingua. Altrimenti è strano: come posso parlare apertamente e
onestamente con le persone se non posso almeno condividere un po’ delle loro
riserve, esperienze e desideri? Questo è esattamente ciò che ci mostra la fede
cristiana e ciò che la rende così forte: Cristo è stato un essere umano come
noi, ha sperimentato le nostre profondità più recondite, fino alla morte, e
così ci ha redenti. Questa forma di partecipazione personale ed esistenziale è
importante.
Le risposte le dobbiamo trovare qui, vista la carenza di preti anche in
Italia. Forse alcuni sacerdoti italo-tedeschi potrebbero essere formati parte
in Germania e parte in Italia e poi essere inseriti nelle missioni? Ma questo
deve essere importante anche per la Conferenza episcopale italiana. Udep, CdI
aprile
Alle popolazioni del Medio Oriente il Papa dice: basta, fermatevi!
Città del Vaticano. La fine del Ramadan a pochi giorni dalla Pasqua, una
lieta ricorrenza, che "stride fortemente con la tristezza per il sangue
che scorre nelle terre benedette del Medio Oriente". Papa Francesco lo ha
scritto nel messaggio che ha inviato al network televisivo Al Arabiya.
"Dio è pace e vuole la pace. Chi crede in Lui non può che ripudiare la
guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti. La guerra, non mi stanco
di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre
prospettive, ma estingue la speranza" Francesco è "angosciato per il
conflitto in Palestina e Israele" chiede che cessi "il fuoco nella
striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare
gli aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli
ostaggi rapiti a ottobre!" Nel cuore del Papa ci sono Siria, Libano, e
tutto il Medio Oriente: "non lasciamo che divampino le fiamme del rancore,
sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti! Non lasciamo che la
guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!" E ripete: "Basta!
– ripeto anch’io – a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni:
basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai
bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli. Guardiamo tutti al
futuro con gli occhi dei bambini. Loro non si chiedono chi è il nemico da
distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; loro hanno bisogno di case,
parchi e scuole, non di tombe e fosse!"
Se possono fiorire i deserti, dice il Papa, possono farlo anche i cuori:
"Ma dai deserti dell’odio spunteranno germogli di speranza solo se sapremo
crescere insieme, l’uno a fianco dell’altro; se sapremo rispettare il credo
degli altri; se sapremo riconoscere il diritto di esistere di ogni popolo e il
diritto di ogni popolo ad avere uno Stato; se sapremo vivere in pace senza
demonizzare nessuno. Io credo e spero in questo e con me i cristiani che, tra non
poche difficoltà, vivono in Medio Oriente: li abbraccio e li incoraggio,
chiedendo che abbiano sempre e ovunque il diritto e la possibilità di
professare liberamente la loro fede, che parla di pace e fraternità". Il
messaggio si chiude con un grazie e una benedizione: Vi ringrazio per
avermi ascoltato. Vi saluto con affetto, assicurandovi che porto il Medio
Oriente nel cuore. A ciascuno di voi auguro ogni bene e benedizione
dall’Altissimo. Shukran!". Angela Ambrogetti, Aci 13
Russia: condanna da parte di Wcc dell’affermazione “guerra santa” in
Ucraina
“Gravi preoccupazioni”. È quanto esprime il Consiglio ecumenico delle
Chiese (Wcc) in un comunicato diffuso oggi in merito al decreto approvato il 27
marzo scorso dal XXV Consiglio mondiale del popolo russo, sotto la presidenza
del capo della Chiesa ortodossa russa, Sua Santità il Patriarca Kirill, in cui
si definisce la guerra in Ucraina “una guerra santa”. Nel comunicato il Wcc
sottolinea che il Consiglio mondiale del popolo russo è il più grande forum
pubblico russo e, secondo i suoi statuti, il capo del consiglio è il Patriarca
di Mosca e di tutta la Russia, sotto la cui presidenza si tengono le riunioni
annuali del consiglio. Ad intervenire personalmente sulla questione è il
segretario generale dell’organismo ecumenico della Chiese, il rev. Jerry
Pillay. “Il Consiglio ecumenico delle Chiese – dice – non riesce a conciliare
l’affermazione secondo cui ‘l’operazione militare speciale (in Ucraina, ndr) è
una guerra santa’ con ciò che abbiamo sentito direttamente dallo stesso
Patriarca Kirill”.
Il comunicato ricorda a questo proposito che, in un incontro con il
segretario generale del Wcc a Mosca nel maggio 2023, il Patriarca Kirill ha
affermato che qualsiasi riferimento alla “guerra santa” non era legato al
conflitto armato in corso in Ucraina e che nessuna guerra di violenza armata
può essere “santa”. “Il decreto contraddice questa posizione”, osserva Pillay.
Il Patriarcato di Mosca è membro del Consiglio ecumenico delle Chiese. Il
Consiglio ecumenico ricorda che, in più occasioni e ai livelli più alti di
governo, il Wcc ha affermato “con forza la posizione secondo cui ‘la guerra è
incompatibile con la natura stessa di Dio e la volontà per l’umanità e contro i
nostri fondamentali principi cristiani ed ecumenici’”. Le Chiese membro hanno
denunciato esplicitamente l’invasione dell’Ucraina come “illegale e
ingiustificabile”. Inoltre, hanno respinto “qualsiasi uso improprio del
linguaggio e dell’autorità religiosa per giustificare l’aggressione armata e
l’odio”. “La Chiesa ortodossa russa – osserva il rev. Pillay – era
rappresentata in entrambi gli incontri chiave dell’organo direttivo e nei
processi che hanno portato all’adozione di queste dichiarazioni”.
Alla luce di queste posizioni, il Wcc “non può accettare” che il decreto
approvato dal Consiglio mondiale del popolo russo presenti “l’illegale e
ingiustificabile invasione da parte della Russia del suo vicino sovrano
Ucraina” come “una nuova fase della lotta di liberazione nazionale del popolo
russo contro il regime criminale di Kiev”. Così come non può accettare “la
prospettiva che ‘tutto il territorio della moderna Ucraina dovrebbe entrare in
una zona di influenza esclusiva della Russia’”. Il segretario generale del Wcc
ha pertanto scritto al Patriarca Kirill chiedendo “chiarimenti se questo
decreto debba essere inteso come espressione della posizione della Chiesa
ortodossa russa, come tali posizioni possano essere mantenute da una chiesa
membro del Consiglio ecumenico delle chiese e come possano essere inquadrate
con quanto affermato direttamente dallo stesso Patriarca”. Il Wcc ha infine
richiesto un incontro urgente per discutere la questione e per trovare modi in
cui le preoccupazioni sollevate all’interno delle Chiese membro possano essere
affrontate. M. Chiara Biagioni, Sir 13
Papa Francesco nominerà l’arcivescovo Georg Gänswein nunzio apostolico
Dopo le tensioni degli ultimi tempi Bergoglio ha comunque deciso di mettere
un punto e chiudere una polemica che ha finito col diventare imbarazzante per
tutti - Gian Guido Vecchi
Nonostante le tensioni, Francesco «ha deciso» di fare punto e a capo e
nominare l’arcivescovo Georg Gänswein come nunzio apostolico «da qualche parte
nel mondo», un incarico prestigioso da ambasciatore della Santa Sede dopo
l’«esilio» senza incarichi a Friburgo deciso l’estate scorsa. Lo scrive il
quotidiano argentino La Nación in un articolo firmato da Elisabetta Piqué,
biografa e amica del Papa che conosce da quando Jorge Mario Bergoglio era
cardinale a Buenos Aires. Un gesto di «misericordia», per chiudere una polemica
che ha finito col diventare imbarazzante per tutti.
Ancora in un libro intervista uscito nei giorni scorsi in Spagna, «Il
Successore», Francesco era tornato a deplorare la pubblicazione del libro di
Gänswein all’indomani dei funerali di Benedetto XVI, nel gennaio 2023,
«l’ho vissuto come una mancanza di nobiltà e di umanità». Nel libro, intitolato
«Nient’altro che la verità» il segretario storico Ratzinger ripercorreva gli
anni vissuti accanto al Papa emerito durante il pontificato di Bergoglio. Tra
l’altro aveva dato spunto per nuove polemiche intorno a un conflitto tra i due
papi che nella realtà non c’era mai stato. Gänswein aveva respinto queste
interpretazioni, «non ho mai voluto dividere», si diceva avesse cercato di
rinviare la stampa. Ma Francesco non aveva apprezzato e ne aveva già parlato ai
giornalisti di ritorno dal Sud Sudan, il 5 febbraio dell’anno scorso, con
parole durissime: «La gente che, in un modo o in un altro, strumentalizza una
persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa,
quella gente non ha etica, è gente di partito, non di Chiesa».
L'esilio di Georg Gänswein
Di lì a qualche mese Gänswein era stato rimandato in Germania, nella sua
vecchia diocesi. «Sono senza incarichi e senza lavoro, e questo è brutto»,
spiegava al Corriere lo scorso dicembre, quando era tornato a Roma per
celebrare nelle Grotte Vaticane una messa di suffragio a un anno dalla morte di
Benedetto XVI. Proprio in quell’occasione, secondo La Nación, l’arcivescovo ha
ottenuto un’udienza con Francesco e «avrebbe comunicato al Pontefice la sua
disponibilità a collaborare e il suo disagio per l'assenza di un incarico». E
così il Papa si sarebbe ormai deciso a dargli un nuovo incarico e nominarlo
«presto» nunzio apostolico, un’ipotesi che si era fatta l’anno scorso ma ormai
sembrava tramontata: una scelta «inaspettata», scrive Elisabetta Piqué, ma «del
tutto in linea con la misericordia, l'apertura di cuore e la mancanza di
rigidità predicate dal primo papa gesuita fin dall'inizio del suo pontificato».
CdS 12
Mons. Crociata: “Sopprimere una vita non può essere mai un diritto umano”
I vescovi dell'Unione europea esprimono “dispiacere” e “disaccordo”
all’approvazione oggi in Parlamento europeo della Risoluzione che chiede di
inserire il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Ue.
“Non si può pensare di dichiarare che l’aborto sia un diritto umano perché la
soppressione di una vita non può essere mai un diritto umano”, afferma mons.
Crociata, presidente della Comece. “Qualcuno parla di un grumo di cellule –
aggiunge -, in realtà è l’inizio di una nuova persona”. Don Manuel Barrios
Prieto, segretario generale dell’organismo europeo, aggiunge: “Ci rattrista la
posizione di alcuni partiti che si richiamano alla tradizione democratica
cristiana come il Partito popolare europeo che su questo tema, oggi, si è
spaccato” - M. Chiara Biagioni
“L’approvazione di questa Risoluzione da parte del Parlamento europeo ci
reca molto dispiacere. Come Comece l’abbiamo espresso con una dichiarazione
uscita in questi giorni. Non possiamo che esprimere il nostro disaccordo”. Così
mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e presidente della Commissione degli
episcopati dell’Unione europea (Comece), commenta a caldo la Risoluzione
approvata oggi, giovedì 11 aprile, in Parlamento europeo con 336 voti a favore,
163 contrari e 39 astensioni, nella quale i deputati hanno dichiarato la
volontà di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Ue. “Non si può pensare di dichiarare che l’aborto sia un diritto umano
perché la soppressione di una vita non può essere mai un diritto umano”,
afferma mons. Crociata.
“Qualcuno parla di un grumo di cellule – aggiunge -, in realtà è l’inizio
di una nuova persona”.
La Risoluzione nasce con l’intento di garantire un’assistenza di alta
qualità a tutte le donne. Anche su questo punto, mons. Crociata dissente.
“Questo voto non aiuta la condizione delle donne”, afferma. “Ostacolare la
maternità non è un modo per aiutare le donne, che vanno senz’altro sostenute e
accompagnate sempre, e rispettate nelle loro scelte”. Il testo approvato oggi esorta
i Paesi UE a rimuovere e combattere gli ostacoli all’aborto, invitando in
particolare la Polonia e Malta ad abrogare le loro leggi e altre misure che lo
vietano e lo limitano. “E’ qualcosa che va contro il diritto comunitario”,
evidenzia il presidente dei vescovi Ue. “Perché non consente di rispettare gli
orientamenti e le sensibilità delle varie nazioni e dei vari popoli che su
questa materia hanno competenza. Dunque, la Risoluzione ha l’effetto oltre
tutto di produrre divisione e divaricazione all’interno dell’Unione europea. E’
come andar contro l’identità, la storia, il compito e il futuro dell’Unione
europea”. Riguardo, infine, alla clausola di “coscienza” posta da alcuni medici
e che invece viene condannata nella Risoluzione perché causa ritardi e rischi
alla salute, mons. Crociata afferma: “Non possiamo che considerare con grande
preoccupazione la limitazione della libertà di coscienza che è uno dei principi
fondamentali che garantiscono il rispetto della persona e della democrazia”.
“La limitazione della libertà di coscienza è una minaccia alla libertà, un modo
di agire che alla fine assomiglia molto ad un regime autoritario. Speriamo che
il nostro Parlamento europeo non vada in questa direzione”.
Sulla questione entra in merito anche don Manuel Barrios Prieto, Segretario
Generale della Comece. “Ci rattrista – dice – la posizione di alcuni partiti
che si richiamano alla tradizione democratica cristiana come il Partito
popolare europeo che su questo tema, oggi, si è spaccato. E’ vero che una buona
parte ha votato contro ma bisogna dire anche che una buona parte ha votato a
favore di questa mozione. Se ci pensiamo è un po’ scandaloso”. “A volte su
questi temi si vota a favore o contro per una certa obbedienza di partito,
altre per ignoranza e poca conoscenza della materia”, osserva il sacerdote.
“Richiamiamo i partiti e i politici alla responsabilità mentre si avvicinano le
elezioni europee”. “Speriamo che il nuovo Parlamento che uscirà dalle urne,
abbia a cuore questi temi. Ma questo dipenderà dagli elettori”. Il segretario
generale della Comece non nasconde il fatto che il voto “ci rattrista molto,
anche se era aspettato”. I vescovi avevano espresso alla vigilia del voto il
punto di vista della Chiesa cattolica in una Dichiarazione, ribadendo – ricorda
don Barrios Prieto – che “l’aborto non può essere considerato un diritto. Il
diritto umano fondamentale è il diritto alla vita. La morte evidentemente è la
sua negazione”. La Chiesa si schiera sempre a favore della “difesa della vita,
soprattutto quando è in situazione di vulnerabilità come è quella del bambino
non ancora nato nel grembo di suo madre”. Don Manuel Barrios Prieto ricorda che
i vescovi avevano anche sollevato la questione del “rispetto che l’Unione
europea deve avere per le competenze nazionali così come per altre tradizioni
culturali e legislative”. Insomma, conclude il sacerdote, i vescovi hanno
proposto una chiara argomentazione sulla questione.
“Purtroppo constatiamo che il Parlamento continua a votare sulla stessa
alinea e questo ci rattrista”. Sir 11
"Sofferenza e malattia non vanno ridotte a tabù"
Alla Pontificia Commissione Biblica il Papa ricorda che "il dolore e
l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un
percorso di maturazione" - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “La sofferenza e la malattia sono avversarie da
affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano,
diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare,
magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a
vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione”. Lo ha detto il Papa,
stamane, ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria della Pontificia
Commissione Biblica.
“Tutti – ha ammesso Francesco - vacilliamo sotto il peso di queste
esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza
ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in
isolamento, abbandono o disperazione. Sappiamo che il dolore e l’infermità,
nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di
maturazione”.
Il Papa invita a guardare a Gesù che “ci esorta a prenderci cura di chi
vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la
malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze
alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto”.
Il Pontefice suggerisce due parole chiave: compassione e inclusione. “La
compassione, indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore
nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra. Questa sua
compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i
sofferenti. Compassione che porta alla vicinanza. Tutto ciò rivela un aspetto
importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non
si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne
accoglie il dramma, lasciandosene toccare”.
“Cristo – ha aggiunto Papa Francesco - ha trasformato il nostro dolore facendolo
suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore. Non
ha dato risposte facili ai nostri perché, ma sulla croce ha fatto suo il nostro
grande perché”.
Per quanto riguarda l’inclusione che “non è un vocabolo biblico, questa parola
esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del
peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano
accolti nella casa del Padre”.
“L’inclusione – ha spiegato il Papa - abbraccia anche un altro aspetto: il
Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo.
A poco gioverebbe una guarigione fisica dal male senza un risanamento del cuore
dal peccato. C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito. Questa prospettiva
di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato
in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai
suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome,
condividendo con loro la sua missione di consolazione. Attraverso l’esperienza
della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare
insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della
comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza”.
“La Parola di Dio – ha concluso - è un antidoto potente nei riguardi di
ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in
cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la
carità e ravviva lo zelo apostolico. Perciò la Chiesa ha la costante necessità
di abbeverarsi alle sorgenti della Parola”. Aci 11
Vangelo Migrante: Domenica 14 aprile – III di Pasqua (Lc 24, 35-48)
Secondo Luca, Gesù risorto si manifesta alla comunità riunita nello stesso
giorno della visita delle donne al sepolcro vuoto e dell’apparizione ai due di
Emmaus. Li sentiamo ancora intenti ad annunciare quanto sperimentato e
riconosciuto nello spezzare del pane che, ecco, è lo stesso Gesù risorto a
farsi presente in mezzo a loro, stavolta senza la dinamica di
nascondimento/riconoscimento avvenuta lungo la via. Eppure, anche questa scena
ci parla di una palese difficoltà dei discepoli a riconoscere nel Risorto il
Nazareno, nonostante il saluto iniziale, «Pace a voi» (v. 37). In quell’augurio
di pace, lontano da un banale convenevole, risuona la shalom biblica,
l’invocazione della benedizione di Dio, il desiderio di bene per la vita
dell’altro. Ma i discepoli sono ancora nel terrore e nella paura e non
discriminano: credono di avere davanti uno spirito.
Per questo c’è bisogno addirittura di un supplemento di prove. Se per i due
di Emmaus erano state le spiegazioni della Scrittura a scaldare il cuore e lo
spezzare del pane ad aprire gli occhi, qui, per uscire dalla confusione,
servono ulteriori concretezza e carnalità: «carne ed ossa», dice Gesù (v. 39).
Questa espressione, per noi così familiare, riscatta il valore della corporeità
umana a fronte di uno spiritualismo disincarnato e la riconsegna alla memoria
come lo spazio, il tramite concreto dell’esperienza, delle relazioni,
dell’amicizia. Poi Gesù mostra le mani e i piedi (v. 40). E, sebbene il
racconto non parli di segni della crocifissione a differenza di quello
giovanneo, quelle mani e quei piedi portano comunque le stigmate
dell’esperienza vissuta, dall’inizio alla fine: strada, guarigioni,
insegnamenti, moltiplicazioni, crocifissione. Com’è bello, in questa prima
giornata di incontri con il Risorto, che tutto l’essere umano, corpo e anima,
carne e ossa, intelligenza, pancia e cuore, vengano chiamati a riconoscere e
testimoniare che la relazione sperimentata è ancora viva ed efficace e non è
stata interrotta dalla morte!
Ma ancora non basta, perché stavolta è la gioia grande, segno lucano di
un’esperienza di grazia, a stordire le donne e gli uomini riuniti nel cenacolo.
Così Gesù passa al nutrimento, al cibo, a quel pesce arrostito mangiato davanti
ai loro occhi chissà quante volte. E aggiunge, infine, la parola, che ricorda,
spiega e che «apre la mente». Come fatto con quelli di Emmaus, Gesù riprende
tutto quanto di lui era stato preannunciato nelle Scritture (nella “classica”
tripartizione della tradizione di Israele, la legge, i profeti e gli altri
scritti, qui rappresentati per sineddoche dai salmi), li rimette in sintonia
con quella storia di salvezza per Israele e per tutte le genti che Luca ha
cuore sin dagli esordi del suo vangelo (cfr. le parole dell’anziano Simeone in
Lc 2,30-32). La passione, la morte, la resurrezione e l’annuncio di conversione
e perdono esteso a tutti i popoli, iniziando da Gerusalemme (e proprio nel
tempio lasceremo questi discepoli col cuore festante, cfr. Lc 24,52): di questo
le donne e gli uomini del cenacolo, aiutati dallo Spirito, saranno chiamati ad
essere testimoni quando, smesso di contemplare il cielo dell’ascensione,
inizieranno a percorrere le strade del mondo portando il nome di Gesù (cfr. il
libro degli Atti).
Tutto l’uomo – carne, ossa, occhi, viscere, mani, piedi – e tutta la sua
storia – incontri, sequela, sofferenza, finanche la morte – vengono riscattati
nel giorno del Signore. Come a dire: non si prende sul serio l’annuncio di
Pasqua se non si prende sul serio l’Incarnazione. Così la mente si apre e il
cuore si riempie di gioia. (Annalisa Guida) Migr.on.11
Dignitas infinita. Un commento
Già il titolo della Dichiarazione del Dicastero Vaticano per la dottrina
della fede, pubblicata l’8 aprile 2024 merita una particolare attenzione. Il
motivo non è tanto per la sua originalità, dal momento che esso rimanda ad una
espressione già ricorrente in precedenti testi di magistero pontificio, quanto
piuttosto per quell’interessante e provocatorio spazio evocativo creato dalla
figura dell’infinito, racchiusa nell’aggettivo scelto a qualificare la dignità,
di cui il documento vuole parlare.
Un filo rosso sul tema della dignità
Sul tema stesso della dignità umana la voce del magistero non è nuova. In
particolare, con il Concilio Vaticano II (Dignitatis humanae) e in diversi
pronunciamenti in epoca postconciliare, esso si era espresso a riguardo.
L’odierno documento, dopo una lunga fase di preparazione che viene fatta
risalire al 2019, riprende nella sua introduzione (Nr. 1-9) il filo rosso di
tale insegnamento, quasi a volerlo ricapitolare e compattare, utilizzando anche
la metodica dell’abbondante rinvio a testi magisteriali precedenti e inculcando
l’idea di una continuità da non ignorare. Per entrare nel tema si fornisce
anche una chiarificazione previa sull’ampiezza semantica del concetto di
dignità, distinguendone le dimensioni ontologica, morale, sociale,
esistenziale, con il chiaro indicatore di importanza fondativa dell’approccio
ontologico. Questo fattore non è marginale, perché crea in realtà sia la cifra
di lettura che l’opzione interpretativa in cui il documento intende
collocarsi. Privilegiare il piano ontologico e mettere in connessione con
esso gli altri piani esprime un chiaro orientamento fondativo da cui
intenzionalmente si vuole ricavare solidità al ragionamento, ma dal quale ci si
deve anche aspettare una inevitabile astrattezza nell’impianto teoretico e una
caratteristica di staticità e di strettezza normativa nella considerazione dei
problemi concreti affrontati nella parte finale del documento. A tali rischi
non era impossibile sfuggire. Ma l’impianto rigidamente ontologico avrebbe
dovuto essere integrato con uno sguardo fenomenologico, non meno rigoroso, ma
di certo più calibrato, flessibile e promettente dal punto di vista
ermeneutico. Proprio questo approccio, infatti, aiuta a contestualizzare
anche una tematica così fondamentale, valorizzando sia il suo tenore
personalistico, sia la dimensione storica in cui l’essere persona si svolge, la
percezione della dignità si incarna e la declinazione dei diritti ad essa
legati si evolve.
Le diverse parti della Dichiarazione
Nell’architettura della Dichiarazione, scandita in quattro parti, le prime
tre sviluppano una lettura fondativa del concetto di dignità, non ignorandone
la presenza sia nell’elaborazione della filosofia classica, sia nelle
prospettive biblico-teologiche della tradizione cristiana. Il confronto con le
correnti della filosofia moderna viene succintamente richiamato, senza tuttavia
lasciar intendere la reale portata della valenza che esse hanno per
l’antropologia e la morale. Questo porta (Nr. 22 e 25) a una considerazione
piuttosto funzionale della libertà, senza esprimerne la densità fondativa del
soggetto e della sua dignità e senza indicarne la risorsa emancipatoria, per
costruire più umanità. Una maggiore attenzione alla percezione non sospetta
della modernità starebbe in buona compagnia con la ricchezza di significato che
la seconda e la terza parte del documento dedicano alla ricostruzione teologica
del tema. L’intreccio tra creazione, incarnazione e risurrezione (Nr. 20) come
luoghi rivelativi della dignità umana disegna un telaio di senso per la
dignità, il cui substrato antropologico, dal canto suo, è fatto di reale
valorizzazione della persona, della sua libertà e della sua responsabilità. Per
non ricadere in rigurgiti antimoderni, il nesso dignità-libertà va
doverosamente mantenuto nel suo regime di fattore imprescindibile e
incondizionato.
Su quest’asse di pensiero il documento costituisce lo spunto per un
prezioso strumento di dialogo con la cultura moderna, nelle sue articolazioni
filosofiche ed antropologiche. Infatti, mettere al centro del confronto
con il mondo secolare il tema della dignità è una formidabile occasione di
reciproco arricchimento; stimare e valorizzare fattivamente il cammino che
l’umanità fa nella percezione della dignità di ogni persona e dei suoi
inalienabili diritti è una condizione irrinunciabile per la chiesa.
L’impegno della chiesa per la dignità e i diritti
Dall’altro lato è importante che la chiesa renda ragione – e il documento
contribuisce intenzionalmente a questo – del cammino che essa stessa, lungo i
secoli, ha fatto e intende ancora fare nel riconoscimento della centralità
della dignità di ogni persona. Ma questo richiede anche consapevolezza
critica nel non ignorare resistenze e lentezze con cui certi processi di
emancipazione sono stati affaticati e ritardati dall’ottica di una antropologia
cristiana astratta e avulsa dalla realtà. L’enfasi sicuramente
significativa (Nr. 17-21) sul tema della dignità in connessione con l’idea
dell’uomo come immagine di Dio acquista autenticità e forza, se non si
dimentica il travagliato cammino che essa ha richiesto per essere considerata
effettivamente attribuita ad ogni essere umano. L’aggettivo “infinita”
presente nel titolo non sta a dire solo che la dignità non ha limiti e non ha
condizioni, ma dice anche che il suo riconoscimento è legato a uno sforzo e a
un compito che non sono ancora finiti e non lo saranno mai. In questo senso la
categoria di dignità non afferisce alla sfera di una norma definita di
valutazione morale, ma fonda un orizzonte aperto di senso e costruisce
un’euristica di orientamenti per discernere creativamente il reale e per
decidere sul come agire. Pensare alla dignità come ad un principio
generativo di movimento e non come ad un argine definito una volta e per tutte
nel suo rigore normativo vuol dire in realtà tenere aperto il ventaglio di
ricognizione del reale e della sua complessità, sapersi orientare
discorsivamente e dialogicamente per le scelte morali da compiere.
Nel tema della dignità vanno coniugati insieme il suo valore fondativo
dell’orizzonte di senso e il suo apporto euristica per le decisioni morali,
laddove l’anello di congiunzione è dato dalla densità/dignità della persona,
dalla sua responsabilità per la propria e l’altrui libertà. Se si infrange
questo equilibrio, il concetto di dignità diventa un postulato con cui si
ritiene di poter risolvere, senza dovute mediazioni, le questioni morali
incombenti.
Dove la dignità è messa a rischio
Il documento allinea ai primi tre capitoli di carattere fondativo un quarto
capitolo nel quale diverse aree di tematiche etiche concrete vengono rapportate
al tema della dignità. I tredici temi affrontati spaziano dalle problematiche
della povertà, della guerra, delle migrazioni, degli abusi sessuali, della
violenza contro le donne, della tratta delle persone, dell’aborto, della
maternità surrogata, dell’eutanasia, del trattamento dei diversamente abili,
della teoria del gender, del cambio di sesso, della violenza digitale.
L’evidente ampiezza di compasso attesta una sensibilità etica molto larga, a
cui il magistero di Papa Francesco ci ha saputo educare. Essa è capace di affacciarsi
alle dimensioni personali, interpersonali sociali e strutturali delle questioni
morali del nostro tempo, con l’intento di riportarle alla questione radicale
della dignità umana minacciata o calpestata. Tuttavia, nel quarto capitolo
del documento c’è una eterogeneità delle questioni – non solo in termini di
dimensioni, ma anche di complessità – che induce a semplicemente sfiorarle nei
brevi tratti dei paragrafi ad esse dedicati, al punto tale che sia l’impianto
argomentativo che l’effetto delle formulazioni normative risultano mortificati.
C’è una riduzione talvolta semplicistica delle problematiche e una mancanza di
elaborazione discorsiva che fa risultare il giudizio morale apodittico. In
ragione poi dell’opzione ontologica della fondazione della dignità di cui sopra
abbiamo parlato, i giudizi normativi dell’ultima parte finiscono per essere
costruiti con logica principialistica e deduttiva. Il ricorso a luoghi
comuni, senza un adeguato approfondimento delle questioni impressiona
negativamente e fa sorgere la domanda sul reale rispetto della condizione
esistenziale – e quindi della dignità – propria dei soggetti interessati (come
nel caso del passaggio sul cambio di sesso, al Nr. 60). Ma anche i paragrafi
dedicati alla maternità surrogata (Nr. 48-50) e alla teoria del gender (Nr.
55-59) rivelano una limitata considerazione della complessità delle questioni.
Per la prima ci si espone a un rifiuto morale a corto circuito argomentativo,
senza alcuna differenziazione di tipologia del fatto in questione e con la
richiesta di proibizione a livello universale (Nr. 48) che presta il fianco a
disegni reazionari, ventilati nei programmi politici di tante parti del mondo.
Per la questione del gender si rimane su una comprensione parziale di essa,
chiusi a ogni sforzo di approfondimento delle articolazioni così diversificate
che i Gender Studies da tempo e documentatamente ci forniscono. Il
linguaggio rigido e severo con cui il documento si esprime (si pensi che è
l’unico passaggio in cui si usa un aggettivo di valutazione morale al
superlativo “teoria pericolosissima” – Nr. 56) fa pensare a una rigidità di
giudizio definitivo e irriformabile. Sorprende questo a maggior ragione se si
pensa che proprio in questi stessi frangenti di tempo esce l’ultimo libro di
Judith Butler, l’autrice più rappresentativa degli studi di genere, con il
titolo WHO’S AFRAID OF GENDER? (Farrar, Straus & Giroux, New York
2024). Ella si chiede come mai ci sia in giro tanta paura del
tema gender e lancia l’appello a una possibilità di confronto e di
dialogo su questi temi, proprio per non cadere in concezioni preconcette,
costruite ed enfatizzate senza adeguata conoscenza delle questioni in oggetto.
Sarebbe un peccato se la Dichiarazione Dignitas infinita venisse
presa a scudo per chiudersi a ogni dialogo. La posta in gioco della dignità di
ogni persona rende più che doveroso l’approfondimento competente delle
questioni e più che plausibile l’esercizio instancabile della pazienza
argomentativa nell’affrontare i problemi morali del nostro mondo. Antonio
Autiero, promundivita.it 9
Sempre meno fedeli a messa. “Ripartire dalle parrocchie, approfondire la
fede”
"L'errore è stato ritenere che fosse possibile recuperare la pratica
religiosa non attraverso un puntuale lavoro sulle coscienze, ma puntando su un
approccio sicuramente attraente ma forse superficiale. La fede non ha bisogno
di essere spettacolarizzata ma seguita e alimentata". Luca Diotallevi,
docente di sociologia all’Università di Roma Tre, presenta il suo ultimo libro
"La Messa è sbiadita" – di Riccardo Benotti
Sempre più anziani a partecipare alla messa, con le donne che tendono ad
allontanarsi dalla chiesa e un calo del riavvicinamento alla pratica religiosa
dopo l’età adulta. È un quadro preoccupante quello che esce da “La Messa è sbiadita.
La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019” (Rubbettino) a
firma di Luca Diotallevi, docente di sociologia all’Università di Roma Tre.
Il calo delle persone che partecipano alla messa è drastico: dal 1993 al
2019, almeno un terzo di praticanti è sparito. Cosa sta succedendo?
I processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte
inerzia: se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la
partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti.
Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a
vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a
prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi
a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale.
Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio
all’età adulta da parte di coloro che hanno “fatto” il Sessantotto.
Con quali conseguenze?
La secolarizzazione, ovvero la crescente inadeguatezza e mancanza di
partecipazione rispetto alla formazione religiosa e a quella dei riti. Negli
anni Sessanta venivamo dal Concilio Vaticano Secondo e dal pontificato di Paolo
VI, entrambi avevano perfettamente compreso il fenomeno Sessantotto.
La modernità è un momento provvidenziale che richiede però una fede più
profonda. Non audience, ma fede vera, che non si recupera con interventi
improvvisati.
L’errore è stato ritenere che fosse possibile recuperare la pratica
religiosa non attraverso l’approfondimento e un puntuale lavoro sulle
coscienze, ma puntando su un approccio sicuramente attraente ma forse
superficiale. La fede non ha bisogno di essere spettacolarizzata ma seguita,
alimentata. Le Giornate mondiali della gioventù ad esempio, ci dicono di
milioni di giovani infervorati da Cristo, presenti a un evento importante. Se
guardiamo alla partecipazione alla messa, dove sono finiti i due milioni di
ragazzi presenti a Tor Vergata per il Giubileo del 2000? Una cosa è assistere a
un concerto per ascoltare il nostro cantante preferito, altra cosa è imparare a
suonare. E per imparare a suonare non devi andare solo al concerto, ma al conservatorio.
Dove si studia con fatica dieci anni e non basta pagare il biglietto.
Dalla metà dei primi anni Duemila si assiste a una ulteriore accelerazione
dell’allontanamento dalla messa…
I fenomeni di interazione, che richiedono la presenza fisica delle persone,
si riducono. Cerchiamo di capirci, non è che la gente non va più a messa perché
frequenta la sezione del partito o altri luoghi di aggregazione: non va a messa
perché resta a casa. Questa erosione della componente corporea ha avuto
un’immediata ripercussione sulla celebrazione eucaristica. Non basta
spettacolarizzare la liturgia o proporre celebrazioni televisive con milioni di
persone. Al di là degli impedimenti personali, c’è chi ormai segue la messa in
casa mentre fa altre cose oppure la vede registrata appena ha un attimo di
tempo.
Insomma la messa non è più un rito sacro, che necessita un adeguato
approccio prima e durante il suo svolgimento, ma un appuntamento come tanti
altri. Il rischio è trasformare il sacramento in immagine.
È definitivamente in crisi la pratica religiosa confessionale?
È certamente in crisi la forma religiosa dominante nell’Europa continentale
dal XVI al XX secolo. Alcuni si rifugiano nel neo-confessionalismo, cercando
uno spazio dietro all’uomo forte di turno, che sia di destra o di sinistra. Poi
c’è chi si affida alla commercializzazione, alla commodification of religion,
ma la Chiesa su quel terreno è in difficoltà, perché si porta dietro venti
secoli di tradizione. Infine c’è l’intuizione di Paolo VI che nella Evangelii
Nuntiandi parlava già allora della complessità dell’azione evangelizzatrice. E
in più tracciava la strada da seguire. A volte mi sembra, invece, che il
generoso impegno profuso oggi dalla Chiesa vada in altre direzioni col rischio
di disperdersi. Non stiamo buttando via una cosa andata a male, ma una
ricchezza inestimabile.
La diminuzione della pratica religiosa ha conseguenze anche a livello
sociale?
Negli anni Settanta andare o non andare a messa faceva la differenza in
tante cose, dalla partecipazione politica alla cultura. Tutte queste
correlazioni oggi sono venute meno. Il cristianesimo sta diventando un fenomeno
ad altissima compatibilità, va bene con tutto e non è contraddistinto da
niente.
Dunque è un’Italia che perde l’identità?
Se alla società italiana togli il contributo del cattolicesimo, il
cambiamento è davvero epocale. L’acqua che esce dal rubinetto dei cattolici ha
irrigato e continua ad irrigare il Paese. Si sta impoverendo la vita sociale,
la partecipazione alla messa non ha più relazione neanche con le reti amicali.
Nel libro evidenzia che il calo dei laici è di gran lunga superiore alla
crisi vocazionale dei sacerdoti…
Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di
quelli ordinati negli anni Novanta ma non c’è paragone con i laici che si
recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le
strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti
ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte
riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte
significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane.
Le classi dei 40enni e dei 50enni di oggi che partecipano sono molto meno
numerose. Nel giro di qualche anno assisteremo non tanto a un progressivo
diminuire, ma a un vero e proprio tracollo. È un fatto fisiologico.
Inoltre, non avremo più una comunità prevalentemente femminile. Tra 10 o 15
anni, se la tendenza non cambia, le comunità saranno piccole e meno
sbilanciate. Magari si potranno fare cose oggi impossibili.
L’unica relazione che regge è quella con il volontariato: chi va a messa,
risulta essere più coinvolto nelle attività solidali…
Il nesso fra partecipazione alla messa e disponibilità alle azioni di
carità è l’unica relazione che perdura. Ma spesso è un’azione di carità cieca e
fine a se stessa perché, se non si sta dentro un’istituzione, non si percepisce
la finalità di certe azioni. Tuttavia si è certamente più disponibili a
compiere gesti di solidarietà personale.
Da dove ripartire?
Si può ripartire soltanto dalle parrocchie e dalle associazioni, che vivono
nella parrocchia. Più attenzione all’operatore pastorale, il cosiddetto
volontario che in parrocchia fa un po’ di tutto. Lì dove è stato adottato, come
in Germania ad esempio, è risultato essere il killer dell’apostolato. Diventa
l’unico laico di cui ti puoi fidare. Ma un laico che vive in pieno la sua
laicità è un laico che di fatto non ha tempo, perché è impegnato nella
professione, nella famiglia, nel sociale. Mi domando: se un laico ha tanto
tempo, che laico è? Quando lavora, quando sta con il coniuge, quando fa
politica, quando sta con gli amici? Se porti il laico dietro l’altare e gli
metti la tunica, magari lo fai contento ma rischia di diventare l’impiegato di
un ufficio postale di un paesino dove nessuno spedisce più lettere. Sir 10
Annuario Pontificio 2024, Papa Francesco torna ad essere il Patriarca di
Occidente
Nel 2006, Benedetto XVI decise di sopprimere il titolo. Nel primo annuario
dopo la morte del Papa emerito, il titolo compare di nuovo tra i titoli storici
del vescovo di Roma - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Era dal 2006 che il Papa non figurava come Patriarca di
occidente. E la decisione era stata giustificata da un comunicato dell’allora
Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Ma, dall’Annuario Pontificio
2024, tra i titoli storici di Papa Francesco compare di nuovo quello di
Patriarca d’Occidente. Ed è una novità di grande rilievo, se non altro perché
con un colpo di penna cancella una delle prime innovazioni volute da Benedetto
XVI.
Come sempre, l’Annuario Pontificio è una fotografia, e in questo caso si
ferma al 31 dicembre 2023. Non c’è, né ci potrebbe essere, il ruolo di
assessore del Papa per la Vita Consacrata attribuito al vescovo Daniele
Libanori, già ausiliare di Roma, e sarebbe interessante vedere se questo
incarico si inserisce tra gli incarichi di Curia o se invece, essendo una
nomina personale, resti fuori dai ranghi di qualunque dicastero.
E non c’è, né ci potrebbe essere, l’improvvisa vacanza del Vicario del Papa
per la diocesi di Roma - vacanza che potrebbe essere anche prolungata,
considerando tra l’altro che secondo la nuova costituzione apostolica che
regola il Vicariato di Roma il Vicario è parificato ad un vescovo ausiliare. Il
Cardinale Claudio Piacenza, ormai in pensione, figura ancora come Penitenziere
Maggiore, e il nuovo penitenziere, il Cardinale Angelo de Donatis, è ancora
nell’Annuario come vicario del Papa. L’arcivescovo Rolandas Mackrickas è ancora
commissario straordinario della Basilica di Santa Maria Maggiore, e non ancora
arciprete coadiutore, dunque con diritto di successione.
La fotografia, tuttavia, permette di guardare dentro le decisioni del Papa,
considerare come si sta ridisegnando la Curia dopo la promulgazione della
costituzione apostolica Praedicate Evangelium di due anni fa. E dare uno sguardo
alle nomine che ci sono, quelle che ci sono state, e quelle che verranno.
Papa Francesco Patriarca di Occidente
Tra i titoli storici del Papa, ricompare quello di Patriarca di Occidente.
Il titolo era stato eliminato nel 2006, nel primo annuario pontificio
pubblicato sotto Benedetto XVI, e la decisione era stata spiegata in un
comunicato del Pontificio Consiglio dell’Unità dei Cristiani del 22 marzo 2006.
Nel comunicato, si spiegava che dal punto di vista storico gli antichi
Patriarcati dell’Oriente erano relativi a “un territorio abbastanza chiaramente
circoscritto”, mentre il territorio del vescovo di Roma rimaneva vago, ma era
compreso come Patriarca d’Occidente nel sistema ecclesiastico imperiale di
Giustiniano (527-565), mentre Roma privilegiò l’idea delle tre sedi episcopali
petrine di Roma, Alessandria e Antiochia, e il Papa venne elencato come primo
dei cinque patriarchi dal IV Concilio di Costantinopoli (869–70), dal IV
Concilio del Laterano (1215) e dal Concilio di Firenze (1439).
Il titolo di Patriarca d’Occidente, usato da Papa Teodoro nel 642, fiorì
nel XVI e XVII secolo, e l’Annuario Pontificio descrisse il Papa per la prima
volta come Patriarca di Occidente nel 1863.
Ma – spiega il dicastero ecumenico vaticano – Occidente ormai richiamava un
contesto culturale che “non si riferisce soltanto all’Europa Occidentale, ma si
estende dagli Stati Uniti d’America fino all’Australia e alla Nuova Zelanda,
differenziandosi così da altri contesti culturali”, e non può essere “adoperato
come definizione di un territorio patriarcale” , mentre se si volesse
attribuirgli un linguaggio giuridico ecclesiale potrebbe “essere compreso solo
in riferimento alla Chiesa latina”.
Ma oggi – concludeva il comunicato – “il titolo «Patriarca d’Occidente»,
sin dall’inizio poco chiaro, nell’evolversi della storia diventava obsoleto e
praticamente non più utilizzabile. Appare dunque privo di senso insistere a
trascinarselo dietro. Ciò tanto più che la Chiesa cattolica con il Concilio
Vaticano II ha trovato per la Chiesa latina nella forma delle Conferenze
Episcopali e delle loro riunioni internazionali di Conferenze Episcopali,
l’ordinamento canonico adeguato alle necessità di oggi”.
Insomma, niente cambiava riguardo al riconoscimento delle antiche Chiese
patriarcali, né la soppressione del titolo “sottintende nuove rivendicazioni”,
ma piuttosto “vuole esprimere un realismo storico e teologico e, allo stesso
tempo, essere la rinuncia ad una pretesa, rinuncia che potrebbe essere di
giovamento al dialogo ecumenico”.
Non è stato spiegato perché Papa Francesco abbia ripristinato il titolo di
Patriarca di Occidente. Il reinserimento del titolo di Patriarca di Occidente
non è comunque la prima modifica fatta all’Annuario da Papa Francesco. Nel
2020, il Papa veniva definito vescovo di Roma, e gli altri titoli che erano
tradizionalmente attribuiti al pontefice avevano una variazione grafica e
sostanziale.
Precedentemente questi titoli erano pubblicati sopra la breve biografia
ecclesiastica di Jorge Mario Bergoglio. In cima e con caratteri più grandi
quello di “Vicario di Gesù Cristo”, sotto gli altri: “Successore del Principe
degli Apostoli”, “Sommo Pontefice della Chiesa Universale”, “Primate d’Italia”,
“Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana”, “Sovrano dello Stato della
Città del Vaticano” e “Servo dei Servi di Dio”.
Dal 2020, gli attributi del Papa sono sotto la biografia, tutti in
carattere più piccolo e introdotti con il titoletto “Titoli storici”. Il
direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni sottolineò che “titoli
storici vuole indicare il legame con la storia del Papa”, e non c’era piuttosto
l’intenzione di “storicizzare” i titoli, “altrimenti sarebbero stati
cancellati, come avvenne all’inizio del pontificato di Benedetto XVI quando il
titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ venne espunto a partire dall’Annuario
Pontificio 2006”.
Sinodo e Segreteria di Stato
Qualche curiosità nell’annuario pontificio 2024. La Segreteria Generale del
Sinodo consta ora di 10 consultori, ed è una scelta di equilibrio tra i 18
consultori previsti nell’Annuario 2022, e i soli quattro che si trovano
nell’Annuario Pontificio 2023.
Il Consiglio dei Cardinali è presente nella sua nuova composizione
rinnovata.
Aci 10
L’Udienza del 10 aprile, dedicata alla virtù della fortezza
Il Papa ha dedicato l'udienza di oggi alla fortezza, la virtù che ci
permette di "sconfiggere i nemici interni ed esterni". Al termine, un
ennesimo appello per la pace: "la guerra è dappertutto" - M. Michela
Nicolais
“Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che
non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile”. Ne è convinto Papa
Francesco, che ha dedicato la catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in
piazza San Pietro, alla fortezza, “la più combattiva delle virtù”. “Il mio pensiero
va alla martoriata Ucraina, e alla Palestina e Israele”, l’appello al termine
dell’udienza, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana.
“Che il Signore ci dia la pace, la guerra è dappertutto!”, l’invocazione
del Papa: “Non dimentichiamo il Myanmar, ma chiediamo al Signore la pace”. “E
non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questi
posti di guerra”, l’appello finale: “Preghiamo insieme e sempre per la pace”.
La fortezza “afforza la decisione di resistere alle tentazioni e di
superare gli ostacoli nella vita morale, rende capaci di vincere la paura,
perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni”, ha spiegato
Francesco nella catechesi odierna: “Se la prima delle virtù cardinali, vale a
dire la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la
giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù è spesso
legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano appetito
irascibile”. “Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni:
sarebbe un sasso”, ha sottolineato il Papa: “E non è detto che le passioni
siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate,
indirizzate, purificate con l’acqua del battesimo, o meglio con il fuoco dello
Spirito Santo”. “Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le
emozioni umane”, il monito: “Al contrario, davanti alla morte dell’amico
Lazzaro scoppia in pianto; e in certe sue espressioni traspare il suo animo
appassionato”.
Sconfiggere i “nemici interni” e i “nemici esterni”. E’ ciò che la virtù
della fortezza permette di fare. “Ci sono nemici interni che dobbiamo
sconfiggere, che vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di
colpa”, l’analisi di Francesco: “tutte forze che si agitano nel nostro intimo e
che in qualche situazione ci paralizzano”. “Quanti lottatori soccombono prima
ancora di iniziare la sfida, perché non si rendono conto di queste virtù
interne!”, ha esclamato: “La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi
stessi. La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche, e
non si avverano per nulla. Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare
tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non
da soli! Il Signore è con noi, se confidiamo in lui e cerchiamo sinceramente il
bene. Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che
ci fa da scudo e corazza”. Oltre alle prove interne, ci sono “nemici esterni,
che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci
aspettavamo e che ci sorprendono”, ha proseguito il Papa, secondo il quale “noi
possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la
realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la
nostra barca viene sballottata dalle onde. La fortezza allora ci fa essere
marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano”.
“No al male e no all’indifferenza, sì’ al cammino che ci fa progredire
nella vita. E per questo ci vuole lottare”, l’invito finale a braccio a
proposito della fortezza, “una virtù fondamentale perché prende sul serio la
sfida del male nel mondo”. “Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada
bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si
dibattano forze oscure portatrici di morte”, l’obiezione di Francesco: “Ma
basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire
le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze,
schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano”.
“La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un ‘no’ secco a tutto questo”,
ha garantito il Papa: “Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’
annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice
sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale,
avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le
persone scomode e visionarie. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto
soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il
nostro ‘no’ al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza”. Sir 10
Due dicasteri in uno per la Cultura e l'Educazione
Il Pontificio consiglio per la Cultura di Giovanni Paolo II e la
Congregazione per l'Università di Sisto V - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. Quello che dal marzo del 2022 è il Dicastero per la
Cultura e l' Educazione è il frutto di una serie di accorpamenti.
Nella Sezione per la Cultura è confluito l'ex Pontificio Consiglio
della Cultura, che aveva creato Giovanni Paolo II con il cardinale Poupard nel
1982 trasferendo il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti, che
era stato creato da Paolo VI nel 1965. Benedetto XVI, con la nel 2012, vi aveva
unito la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa.
Le competenze riguardano ovviamente la promozione della cultura e
le relazioni tra la Santa Sede e il mondo della cultura, ma anche la
collaborazione affinché la Chiese locali tutelino e conservino il patrimonio
storico e le culture etc. E anche il dialogo con coloro che, pur non
professando una particolare religione, cercano l'incontro con la verità di Dio.
La Sezione per l'Educazione raccoglie l'eredità della Congregazione
per l'Educazione Cattolica. Qui la storia è più antica e risale a Sisto V
che nel 1588, crea la Congregatio pro universitate studi romani, che presiedeva
agli studi della Università di Roma e di altre insigni Università. Leone XII,
nel 1824, crea la Congregatio studiorum per le scuole dello Stato Pontificio.
Dal 1870 tale Congregazione cominciò ad esercitare la sua autorità su tutte le
università cattoliche; Benedetto XV, nel 1915, crea la Sacra Congregatio
de Seminaris et Studiorum Universitatibus, unendo la Sezione dei Seminari,
esistente presso la Congregazione Concistoriale, e la Congregatio Studiorum.
Paolo VI nel 1967, le conferì l'appellativo di Sacra Congregatio pro
Institutione Catholica. A sua volta, la Costituzione Apostolica Pastor Bonus,
del 28 giu. 1988, cambiò il nome del Dicastero in Congregazione per
l'Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi).
Infine Benedetto XVI, nel 2013, ha trasferito la competenza sui Seminari
allora Dicastero per il Clero.
Lo scopo di questa sezione per la educazione è collaborare con le Chiese
locali affinché i principi fondamentali dell'educazione, specialmente quella
cattolica, siano recepiti ed approfonditi. È anche competente per il
riconoscimento, da parte degli Stati, dei gradi accademici rilasciati a nome
della Santa Sede e rilascia il nulla osta per l'insegnamento delle discipline
teologiche.
Legate al dicastero sono le Accademie Pontificie: la Pontificia Insigne
Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, la Pontificia
Accademia Romana di Archeologia; la Pontificia Accademia di Teologia; la
Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino; la Pontificia Accademia Mariana
Internazionale; la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum; la Pontificia
Academia Latinitatis.
Aci 9
Vaticano. La gestazione per altri “sia proibita a livello universale”
La Santa Sede, nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede
“Dignitas infinita”, approvato dal Papa, elenca le “gravi violazioni della
dignità umana”: aborto ed eutanasia. Ma anche “guerra e povertà, violenze su
migranti e donne” - Domenico Agasso
CITTÀ DEL VATICANO. È un documento che diventa immediatamente un pilastro
del pontificato di Francesco. Un testo che vuole conciliare le diverse
sensibilità della galassia ecclesiastica. «Dignitas infinita circa la dignità
umana», che il Dicastero per la Dottrina della Fede pubblica oggi con
l’approvazione del Papa, vuole infatti contribuire «a superare la dicotomia tra
quanti si concentrano in modo esclusivo nella difesa della vita nascente o
morente dimenticando tanti altri attentati contro la dignità umana e,
viceversa, coloro che si concentrano solo sulla difesa dei poveri e dei
migranti dimenticando che la vita va difesa dal concepimento fino alla sua
naturale conclusione». Lo scrive il direttore editoriale dei Media vaticani
Andrea Tornielli nel suo commento su Vatican News.
«Dignitas infinita» ha richiesto «cinque anni di lavoro e include il
magistero papale dell’ultimo decennio: dalla guerra alla povertà, dalla violenza
sui migranti a quella sulle donne, dall’aborto alla maternità surrogata
all’eutanasia, dalla teoria del gender alla violenza digitale». L’occasione è
il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e
riafferma «l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana
all’interno dell’antropologia cristiana».
Il quarto capitolo è dedicato ad «alcune gravi violazioni della dignità
umana». La principale novità infatti è «l’inclusione di alcuni temi portanti
del recente magistero pontificio che affiancano quelli bioetici. Nell’elenco
“non esaustivo” che viene offerto, tra le violazioni della dignità umana,
accanto all’aborto, all’eutanasia e alla maternità surrogata compaiono la
guerra, il dramma della povertà e dei migranti, la tratta delle persone».
Il Documento «mette in luce l’equivoco rappresentato dalla posizione di
coloro che all’espressione “dignità umana” preferiscono “dignità personale”,
“perché intendono come persona solo ‘un essere capace di ragionare’”. Di conseguenza,
sostengono “non avrebbe dignità personale il bambino non ancora nato e neppure
l’anziano non autosufficiente, come neanche chi è portatore di disabilità
mentale. La Chiesa, al contrario, insiste sul fatto che la dignità di ogni
persona umana, proprio perché intrinseca, rimane al di là di ogni
circostanza”».
La Dichiarazione presenta quindi «l’elenco di “alcune gravi violazioni
della dignità umana”, cioè “tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni
specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio
volontario”; ma anche “tutto ciò che viola l’integrità della persona umana,
come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni
psicologiche”». E infine «”tutto ciò che offende la dignità umana, come le
condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la
schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le
ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come
semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili”». Si
cita pure «la pena di morte che “viola la dignità inalienabile di ogni persona
umana al di là di ogni circostanza”».
Si parla innanzitutto «del “dramma povertà”, una delle più grandi ingiustizie
del mondo contemporaneo”». Uno dei fenomeni che «contribuisce considerevolmente
a negare la dignità di tanti esseri umani è la povertà estrema, legata
all'ineguale distribuzione della ricchezza». Come già evidenziato da San
Giovanni Paolo II, «una delle più grandi ingiustizie del mondo contemporaneo
consiste proprio in questo: che sono relativamente pochi quelli che possiedono
molto, e molti quelli che non possiedono quasi nulla. È l'ingiustizia della
cattiva distribuzione dei beni e dei servizi destinati originariamente a
tutti». Secondo il Dicastero della Fede, sarebbe illusorio fare una distinzione
sommaria tra «Paesi ricchi» e «Paesi poveri»: già Benedetto XVI riconosceva,
infatti, che «cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le
disparità. Nei Paesi ricchi nuove categorie sociali si impoveriscono e nascono
nuove povertà. In aree più povere alcuni gruppi godono di una sorta di
supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile
con perduranti situazioni di miseria disumanizzante. Continua “lo scandalo di
disuguaglianze clamorose”», dove «la dignità dei poveri viene doppiamente
negata, sia per la mancanza di risorse a disposizione per soddisfare i loro
bisogni primari, sia per l'indifferenza con cui sono trattati da coloro che
vivono accanto a loro». Con Francesco si deve pertanto concludere che «è
aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che “nascono
nuove povertà”. Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo
si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà
attuale». Di conseguenza, la povertà si diffonde «in molti modi, come
nell'ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi
conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come
effetto diretto di allargare i confini della povertà». Tra questi «effetti
distruttori dell'Impero del denaro», si deve riconoscere che «non esiste
peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». Se
alcuni «sono nati in un Paese o in una famiglia dove hanno meno possibilità di
sviluppo, bisogna riconoscere che ciò è in contrasto con la loro dignità, che è
esattamente la stessa di quelli che sono nati in una famiglia o in un Paese
ricco. Tutti siamo responsabili, sebbene in diversi gradi, di questa palese
iniquità».
Poi c’è la guerra, «tragedia che nega la dignità umana» ed è sempre una
«sconfitta dell’umanità», al punto che «oggi è molto difficile sostenere i
criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra
giusta”».
Si continua con il «travaglio dei migranti», la cui «vita è messa a rischio
perché non hanno più i mezzi per creare una famiglia, per lavorare o per
nutrirsi».
La Santa Sede si sofferma sulla «tratta delle persone», che sta assumendo
«dimensioni tragiche» ed è descritta come «un’attività ignobile, una vergogna
per le nostre società che si dicono civilizzate», esortando «sfruttatori e
clienti» a compiere un esame di coscienza.
Si invita a combattere contro fenomeni quali «commercio di organi e tessuti
umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato,
compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine
internazionale organizzato».
È citato «l’abuso sessuale», che provoca «profonde cicatrici nel cuore di
chi lo subisce: sofferenze che possono durare tutta la vita e a cui nessun
pentimento può porre rimedio».
C’è la discriminazione delle donne, e la violenza su di esse, tra cui «la
costrizione all’aborto, che colpisce sia la madre che il figlio, così spesso
per soddisfare l’egoismo dei maschi» e «la pratica della poligamia». È
duramente condannato il «femminicidio». Le violenze «contro le donne sono uno
scandalo globale, che viene sempre di più riconosciuto. Se nelle parole si
riconosce l'uguale dignità della donna, in alcuni Paesi le diseguaglianze tra
donne e uomini sono gravissime ed anche nei Paesi maggiormente sviluppati e
democratici la realtà sociale concreta testimonia il fatto che spesso non si
riconosce alle donne la stessa dignità degli uomini».
È fermamente ribadito il no all’aborto: «Fra tutti i delitti che l’uomo può
compiere contro la vita, l’aborto procurato presenta caratteristiche che lo
rendono particolarmente grave e deprecabile»; e si afferma che la «difesa della
vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano».
Altrettanto netta è la disapprovazione della maternità surrogata. L'ex
Sant'Uffizio riporta dure parole di papa Francesco: «Ogni vita umana, a partire
da quella del nascituro nel grembo della madre, non può essere soppressa, né
diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica
della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della
donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di
necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l'oggetto di
un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per
proibire a livello universale tale pratica».
Si legge anche di eutanasia e suicidio assistito - «confusamente definiti
da alcune leggi “morte degna”, denuncia Vatican News - sottolineando che la
«sofferenza non fa perdere al malato quella dignità che gli è propria in modo intrinseco
e inalienabile». Ecco l’importanza delle cure palliative e dell’impegno a
scongiurare «ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato: la vita
è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata».
Inoltre, basta «scarto» delle persone diversamente abili.
Precisa Vatican News: «Dopo aver ribadito che nei confronti delle persone
omosessuali va evitato “ogni marchio di ingiusta discriminazione e
particolarmente ogni forma di aggressione e violenza”, denunciando “come
contrario alla dignità umana” il fatto che in alcuni luoghi persone “vengano
incarcerate, torturate e perfino private del bene della vita unicamente per il
proprio orientamento sessuale”, il documento critica la teoria del gender, “che
è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti
uguali”». Nel testo della Dottrina della Fede si ricorda: la Chiesa sostiene
che la «vita umana, in tutte le sue componenti, fisiche e spirituali, è un dono
di Dio, che va accolto con gratitudine e posto a servizio del bene. Voler
disporre di sé, così come prescrive la teoria del gender... non significa altro
che cedere all’antichissima tentazione dell’essere umano che si fa Dio». La
teoria del gender «vuole negare la più grande possibile tra le differenze esistenti
tra gli esseri viventi: quella sessuale». Dunque sono «da respingere tutti quei
tentativi che oscurano il riferimento all’ineliminabile differenza sessuale fra
uomo e donna».
Parere contrario anche sul cambio di sesso, che «di norma, rischia di minacciare
la dignità unica che la persona ha ricevuto fin dal momento del concepimento»
anche se «questo non significa escludere la possibilità che una persona affetta
da anomalie dei genitali già evidenti alla nascita o che si sviluppino
successivamente, possa scegliere di ricevere assistenza medica allo scopo di
risolvere tali anomalie».
Trova spazio pure la «violenza digitale», con le «nuove forme di violenza»
che «si diffondono attraverso i social media, ad esempio il cyberbullismo» e la
«diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale
o tramite il gioco d’azzardo» sul web.
La Dichiarazione è firmata dal prefetto della Fede cardinale Víctor Manuel
Fernández, e dal segretario per la sezione dottrinale monsignor Armando Matteo.
Spiegano nella presentazione: «Il Santo Padre Francesco ha approvato i
Deliberata di questa Feria IV nel corso dell’Udienza a me concessa il 13
novembre del 2023. In questa occasione, mi ha inoltre chiesto di evidenziare
nel testo tematiche strettamente connesse al tema della dignità, come ad
esempio il dramma della povertà, la situazione dei migranti, le violenze contro
le donne, la tratta delle persone, la guerra ed altre. Per onorare al meglio
tale indicazione del Santo Padre, la Sezione Dottrinale del Dicastero ha
dedicato un Congresso all’approfondimento della lettera enciclica Fratelli
tutti, che offre un’originale analisi ed approfondimento della questione della
dignità umana “al di là di ogni circostanza”». Con lettera datata 2 febbraio
2024, in vista «della Feria IV del successivo 28 febbraio, è stata inviata ai
Membri del Dicastero una nuova bozza del testo, notevolmente modificata, con la
seguente precisazione: “questa ulteriore stesura si è resa necessaria per
andare incontro ad una specifica richiesta del Santo Padre. Egli ha
esplicitamente sollecitato a fissare meglio l’attenzione sulle attuali gravi
violazioni della dignità umana nel nostro tempo, sulla scia dell’enciclica
Fratelli tutti. L’Ufficio Dottrinale ha provveduto così a ridurre la parte
iniziale […] e ad elaborare più dettagliatamente quanto indicato dal Santo
Padre”. La Sessione Ordinaria del Dicastero, in data 28 febbraio 2024, ha
infine approvato il testo dell’attuale Dichiarazione». Nel corso nell’udienza
concessa «a me insieme al Segretario della Sezione Dottrinale, monsignor
Armando Matteo, in data 25 marzo 2024, il Santo Padre ha quindi approvato la
presente Dichiarazione e ne ha ordinato la pubblicazione». LS 8
Documento vaticano sulla dignità umana. Dignitas Infinita
Città del Vaticano. L’essere umano non crea la sua natura. Questo è scritto
nel documento che oggi è stato presentato ai giornalisti e firmato dal
cardinale prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede Victor Manuel
Fernandez e controfirmato da Papa Francesco il 25 marzo scorso. E datato 2
aprile con un richiamo a Giovanni Paolo II. Dignitas infinita nasce in un
cambio di governo. Tra Ladaria e Fernandez dal 2019 ad oggi.
L’idea è mettere in chiaro che la dignità umana non riguarda solo inizio e
fine vita, ma anche tutto quello che succede tra questi due momenti.
Se qualcuno si aspettava una rivoluzione, sarà deluso. Il Dicastero
chiarisce sui temi più mediatici che ideologia gender, maternità surrogata ed
eutanasia la posizione della Chiesa rimane la stessa. E del resto due giorni fa
il Papa ha ricevuto una ragazza testimone di come la maternità surrogata sia
devastante. Una partecipante al convegno della LUMSA esattamente dedicato a
questa questione .
Tornando al documento si affrontano temi come gli abusi sessuali, la
tratta, la violenza sulle donne, le migrazioni, le guerre, la povertà, l’aborto
e perfino la violenza digitale.
“Per chiarire meglio il concetto di dignità, è importante segnalare che la
dignità non viene concessa alla persona da altri esseri umani” si legge nel
testo, ma “è intrinseca alla persona, non conferita a posteriori, previa ad
ogni riconoscimento e non può essere perduta. Di conseguenza, tutti gli esseri
umani possiedono la medesima ed intrinseca dignità, indipendentemente dal fatto
che siano in grado o meno di esprimerla adeguatamente”. Questa la chiave del
documento, e del resto è la chiave stessa del cristianesimo.
E ovviamente le Chiesa tutela la dignità umana che è la vera base di
diritti e doveri. E in questo senso il documento ribadisce che c’è il rischio
di usare la dignità per “giustificare una moltiplicazione arbitraria di nuovi
diritti, molti dei quali spesso in contrasto con quelli originalmente definiti
e non di rado posti in contrasto con il diritto fondamentale della vita”. Però
“la dignità umana non può essere basata su standard meramente individuali né
identificata con il solo benessere psicofisico dell’individuo. La difesa della
dignità dell’essere umano è fondata, invece, su esigenze costitutive della
natura umana, che non dipendono né dall’arbitrio individuale né dal
riconoscimento sociale”.
La dignità si basa sulla libertà, come già chiaro nella Dignitatis humanae,
e per avere la libertà di agire come persone si deve combattere ogni forma di
violenza ma anche confermare la verità sulla persona umana.
E per il Dicastero è chiaro che “la storia dell’umanità mostra un progresso
nella comprensione della dignità e della libertà delle persone, non senza ombre
e pericoli di involuzione. Di ciò è testimonianza il fatto che vi è una
crescente aspirazione – anche sotto l’influenza cristiana, che continua a
essere fermento pure in società sempre più secolarizzate – a sradicare il
razzismo, la schiavitù, l’emarginazione delle donne, dei bambini, dei malati e
delle persone con disabilità. Ma questo arduo cammino è lungi dall’essere
concluso”.
Segue un elenco di situazioni con richiami a documenti del Magistero
pontificio pregresso.
E una esortazione conclusiva: “Ad ogni singola persona e, allo stesso
tempo, ad ogni comunità umana spetta pertanto il compito della concreta e
fattiva realizzazione della dignità umana, mentre agli Stati spetta non solo di
tutelarla, ma anche di garantire quelle condizioni necessarie affinché essa
possa fiorire nella promozione integrale della persona umana”.
Nella sua introduzione "Tucho" ha parlato della Fiducia
supplicans come se dovesse convincerci di qualcosa. Ha parlato con
linguaggio "colorito di un sondaggio di cui non ha voluto rivelare la
fonte, ha poi espresso opinoni personali su Magistero, omosessualità e altro
creando disappunto e anche un po' di confusione. Ha raccontato aneddoti
personali, ma non ha spiegato alcune questioni dottrinali che gli erano state
poste. E siccome la confernza andava per le lunghe ha sgranocchiato qualche
tarallo. Angela Ambrogetti, Aci 8
Dignitas infinita: “Dignità della persona è verità universale che va
riconosciuta”
Dalla guerra alla povertà, dalla violenza sui migranti a quella sulle
donne, dall’aborto alla maternità surrogata all’eutanasia, dalla teoria del
gender alla violenza digitale, fino al cambio di sesso e alla tratta di
persone. Sono i temi principali della Dichiarazione "Dignitas
infinita", del Dicastero per la dottrina della fede, la cui ultima parte è
dedicata ad “alcune gravi violazioni della dignità umana”, il cui elenco non è
“esaustivo” - M. Michela Nicolais
Riaffermare “l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona
umana all’interno dell’antropologia cristiana”: una “verità universale, che
tutti siamo chiamati a riconoscere, come condizione fondamentale affinché le
nostre società siano veramente giuste, pacifiche, sane e alla fine autenticamente
umane”. È questo – come spiega il prefetto, card. Victor Manuel Fernandez,
nell’introduzione – l’obiettivo della dichiarazione “Dignitas infinita” del
Dicastero per la Dottrina della fede, un documento che ha richiesto cinque anni
di lavoro e fa memoria del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo. Dalla guerra alla povertà, dalla violenza sui migranti a
quella sulle donne, dall’aborto alla maternità surrogata all’eutanasia, dalla
teoria del gender alla violenza digitale, fino al cambio di sesso e alla tratta
di persone: questi i contenuti dell’ultima parte del documento, dedicata ad
“alcune gravi violazioni della dignità umana”, il cui elenco non è “esaustivo”.
Nelle prime tre parti, la Dichiarazione richiama fondamentali principi e
presupposti teorici, al fine di offrire importanti chiarimenti che possono
evitare le frequenti confusioni che si verificano nell’uso del termine
“dignità”. Nella quarta parte, presenta “alcune situazioni problematiche
attuali in cui l’immensa e inalienabile dignità che spetta ad ogni essere umano
non è adeguatamente riconosciuta”.
“Uno dei fenomeni che contribuisce considerevolmente a negare la dignità di
tanti esseri umani è la povertà estrema, legata all’ineguale distribuzione
della ricchezza”, l’incipit della quarta parte del testo, in cui si mette
l’accento sull’aumento delle disuguaglianze e si contesta la “distinzione
sommaria tra Paesi ricchi e Paesi poveri”, sulla base dell’insorgere delle
“nuove povertà”, tra cui la disoccupazione, dovuta all’ossessione di “ridurre i
costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò
provoca”.
“Mai più la guerra!”, il grido sulla scorta del magistero dei pontefici e
di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”. Sono
i migranti, oggi, “le prime vittime delle molteplici forme di povertà”. La
tratta delle persone “è un’attività ignobile, una vergogna per le nostre
società che si dicono civilizzate, un crimine contro l’umanità”, si ribadisce
nel documento: “sfruttatori e clienti a tutti i livelli dovrebbero fare un
serio esame di coscienza davanti a sé stessi e davanti a Dio!”, il monito,
unito all’invito a “lottare contro fenomeni quali commercio di organi e tessuti
umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato,
compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine
internazionale organizzato”. “Porre fine ad ogni tipo di abuso, iniziando dal
suo interno”, l’impegno da assumersi per contrastare un “fenomeno diffuso nella
società” che “tocca anche la Chiesa e rappresenta un serio ostacolo alla sua
missione”.
“Le violenze contro le donne sono uno scandalo globale, che viene sempre di
più riconosciuto”, l’altra denuncia del Dicastero guidato dal card. Fernandez:
“non si condannerà mai a sufficienza il fenomeno del femminicidio”.
“Molto ancora resta da fare perché l’essere donna e madre non comporti una
discriminazione, l’analisi: “È urgente ottenere dappertutto l’effettiva
uguaglianza dei diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a
parità di lavoro, tutela della lavoratrice-madre, giuste progressioni nella
carriera, uguaglianza fra i coniugi nel diritto di famiglia, il riconoscimento
di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri del cittadino in regime democratico”.
Tra le forme di violenza, il documento cita anche “la costrizione all’aborto,
che colpisce sia la madre che il figlio, così spesso per soddisfare l’egoismo
dei maschi” e la pratica della poligamia, giudicata “contraria alla pari
dignità delle donne e degli uomini e all’amore coniugale che è unico ed
esclusivo”.
Netta la condanna dell’aborto, contro il quale “il magistero ecclesiale si
è sempre pronunciato”, e della maternità surrogata, definita pratica
“deprecabile” che “lede gravemente la dignità della donna e del figlio” e va
proibita “a livello universale”.
“La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non
somministrata”, il monito contro l’eutanasia, “un caso particolare di
violazione della dignità umana, che è più silenzioso ma che sta guadagnando
molto terreno”. No all’eutanasia e al suicidio assistito, sì invece alle cure
palliative, il cui sforzo “è del tutto diverso, distinto, anzi contrario alla
decisione di eliminare la propria o la vita altrui sotto il peso della sofferenza”.
Per i fragili e le persone disabili, il Dicastero raccomanda l’inclusione,
antidoto alla “cultura dello scarto”. Molte le “criticità” segnalate
nell’ideologia del gender, che ”vuole negare la più grande possibile tra le
differenze esistenti tra gli esseri viventi: quella sessuale”.
“Qualsiasi intervento di cambio di sesso, di norma, rischia di minacciare
la dignità unica che la persona ha ricevuto fin dal momento del concepimento”,
si legge nella Dichiarazione. “Questo non significa – si precisa subito dopo –
escludere la possibilità che una persona affetta da anomalie dei genitali già
evidenti alla nascita o che si sviluppino successivamente, possa scegliere di
ricevere assistenza medica allo scopo di risolvere tali anomalie”.
In questo caso, per il Dicastero guidato dal card. Fernandez, “l’intervento
non configurerebbe un cambio di sesso nel senso qui inteso”. Infine, il “lato
oscuro del progresso digitale”, che può favorire la “creazione di un mondo in
cui crescono lo sfruttamento, l’esclusione e la violenza”. Sir 8
Don Lavorato, nuovo missionario a Mannheim. A servizio di chi cerca Dio
Don Salvatore Lavorato è arrivato lo scorso dicembre nella comunità
cattolica di Mannheim, guidata negli ultimi anni da don Theo Hipp, parroco e
cooperatore pastorale di Mannheim centro. Don Salvatore è un sacerdote della
diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea in Calabria. Ha studiato filosofia e teologia
a Roma e il 6 aprile del 2002 è stato ordinato prete. Parliamo con lui della
sua scelta per la Germania - a cura di Paola Colombo
I primi dodici anni sono stato in Calabria, parroco in diverse piccole
comunità. Ma l’apertura di mente a cui mi aveva portato studiare a Roma, la mia
predisposizione a lavorare con i più lontani e quelli che non frequentano molto
la chiesa, la mia voglia di esplorare nuovi orizzonti mi hanno fatto osare.
Quindi ho presentato la mia disponibilità all’ufficio Migrantes, a Roma e sono
stato contattato per un colloquio. In realtà si prospettava il Belgio, ma
bisogni impellenti dell’ultimo momento mi hanno portato prima in Svizzera. A
Monaco di Baviera ho frequentato un corso intensivo di tedesco e poi ho
cominciato subito il lavoro nel canton Zurigo. Per sei anni sono stato
missionario per la comunità italiana di Uster, a circa 10 km da Zurigo e poi un
anno come parroco a Winterthur, sempre nel canton Zurigo. Ma come per tutti gli
italiani, ha continuato anche in me ad agire una sottile e silenziosa nostalgia
della terra natìa, che mi ha portato a provare un rientro in Italia, nella mia
diocesi calabrese, a fine 2021.
Pur essendo stato accolto e amato tantissimo dalla comunità di Sorianello,
dove ho prestato il mio servizio, ho avuto subito la sensazione di aver fatto
un errore. Mi mancava l’apertura e l’aria più progressista che avevo trovato in
Svizzera e questo mi ha dato il coraggio, dopo non poche difficoltà, di
ripresentare domanda a Roma e spiegare le mie motivazioni al vescovo.
Il resto è storia. Oggi le vocazioni vivono una grande crisi e le partenze
per l’estero sono ormai quasi azzerate. Il mio desiderio di farlo e il fatto
che già parlassi un po’ di tedesco, hanno spalancato le porte per la Germania.
Mi sono messo in contatto con don Gregorio, responsabile nazionale delle
missioni. Subito in sintonia con lui, mi ha presentato diverse possibilità. Il
colloquio avvenuto all’inizio di dicembre con la diocesi di Friburgo ha avuto
un ottimo esito ed eccomi qui, felicemente trasferito a Mannheim.
Conoscere la lingua tedesca è un grande vantaggio per te e per
l’arcidiocesi di Freiburg. Che esperienza hai avuto con le comunità cattoliche
italiane in Svizzera? Anche se sei da pochi mesi in Germania, noti delle
differenze nel modo in cui le missioni di altra madrelingua sono inserite nella
Chiesa e nel rapporto con le parrocchie locali?
Sono giunto qui sicuramente aiutato dall’esperienza fatta in Svizzera. Le
due realtà ecclesiali sono molto simili ma presentano anche delle differenze.
Lo è per esempio l’obbligo in Svizzera di seguire il cammino di formazione
catechetica (in preparazione ai Sacramenti di Comunione e Cresima) nella
parrocchia, quindi in missione e in lingua italiana non è permesso fare
catechismo. È il loro modo di sottolineare l’integrazione necessaria di tutti
gli immigrati nella parrocchia a cui si appartiene. Lo concedono però per i “ritardatari”,
giovani che non hanno fatto il percorso consueto e chiedono il sacramento da
adulti… così come anche per i corsi prematrimoniali, occasione per me di grandi
incontri con coppie che tuttora seguo.
La Germania però mi ha fatto un regalo grande: l’integrazione linguistica,
che mi sembra ogni giorno più indispensabile e forse spesso ancora trascurata.
Credo di aver imparato più tedesco in questi mesi che in sette anni vissuti a
Zurigo, dovendo celebrare anche in tedesco periodicamente e dovendo preparare
un piccolo impulso (predica). Per il resto, credo che si segua un percorso
molto simile nella collaborazione tra parrocchie locali e missioni di altra
madrelingua.
L’arcidiocesi di Friburgo sta modificando l’assetto territoriale delle
parrocchie (si legga l’intervista a mons. Birkhofer sopra), ci saranno 36
grandi parrocchie comprendenti diverse comunità, quelle locali tedesche e
quelle di altra madrelingua. È un processo in atto in tutte le diocesi e che si
compirà entro il 2030. È un passaggio che ti preoccupa? Preoccupa la comunità
italiana?
A dire il vero non ho notato grande preoccupazione in merito. Anzi, è stato
bello per me vedere come anche gli italiani siano interessati al progetto
pastorale che si sta pian piano partorendo in attesa della data di inizio che
per Mannheim – comunità pilota nel progetto diocesano – sarà già il prossimo
gennaio 2026. Per questa data è previsto l’arrivo del nuovo decano che sarà il
parroco di tutta la città, mentre noi tutti saremo suoi collaboratori. Ogni
tanto un’immagine colora i miei pensieri ed è una immagine bella che mi dà
gioia e speranza: probabilmente stiamo costruendo la nuova Chiesa, quella
fondata sulla correzione dell’errore di Babele che ha portato alla divisione di
tutti.
“Vogliamo essere la Chiesa di Cristo, una con tutti e per tutti”
Per quanto siano passati pochi mesi dal tuo arrivo, che impressione hai
della comunità cattolica italiana di Mannheim? Quanto è grande? Ci sono
giovani?
Hai ragione, sono pochi mesi e non mi sento di dare una risposta che
potrebbe essere inadeguata. La mia considerazione iniziale però è che è una
comunità molto grande, dove la presenza di alcuni giovani riempie il mio cuore
e conferma la mia convinzione che tante persone, anche molti giovani, cercano
Dio, lo cercano davvero. Purtroppo noi molte volte non abbiamo saputo
comunicarlo e li abbiamo persi. Forse sono un po’ induriti nei confronti della
chiesa, ma di sicuro sono alla ricerca di Dio. Su questo cercheremo di lavorare
insieme. Per il resto, la comunità è davvero molto bella. Sicuramente
presenterà i suoi problemi, ma non esiste comunità che non lo faccia. Intanto
con grande stima e affetto sono stato accolto e spero di ricambiare con un
servizio gioioso, leale nella verità.
Chi ti ha seguito al tuo arrivo?
Al mio arrivo ho trovato Pfarrer Theo Hipp, che è stato nominato Leiter,
dirigente della comunità per un breve periodo trasformatosi invece in 5 anni. È
difficile non voler bene a don Theo. È difficile non apprezzare le sue qualità
umane e cristiane nonché le sue doti intellettuali. Con garbo e gentilezza ha
sostenuto questa comunità che oggi, avendo visto il suo amore per gli italiani
e per la Chiesa intera, lo stima ancora di più e non ha parole per ringraziarlo
del suo instancabile servizio pastorale. Io sono stato nominato suo cooperatore
per un momento iniziale. Insieme abbiamo trovato un buon equilibrio e da subito
ho cercato di sostenerlo nel suo programma lodevole di creare ponti di
collaborazione tra la missione e la comunità locale. Dal primo settembre
lascerà la direzione della comunità italiana, ma non lascerà sicuramente i
nostri cuori e la futura collaborazione è già desiderio manifestato da
entrambi.
Quali sono le tue priorità quando la comunità sarà affidata a te a
settembre?
Non sono un prete che sa fare grandi progetti pastorali. Dall’inizio del
mio percorso ho sentito una indole particolare per i lontani, quelli delle
periferie che non hanno molto a che fare con la comunità cattolica. Sicuramente
saranno loro il mio primo pensiero, perché il Signore ci ha mandato a cercare
le pecore perdute… ma cercando comunque di non trascurare quelle che sono già
nell’ovile e che meritano allo stesso modo cura, amore e dedizione. La musica è
il mio linguaggio preferito, con il quale cercherò di arrivare anche ai giovani
e scoprire con loro come Dio parli a noi anche attraverso doni e carismi
straordinari che tutti abbiamo.
Il mio sogno nel cassetto è diventata ora anche una priorità, perché la
vita è bella ma è anche breve e dobbiamo cercare di vivere piacendo a Dio e non
cercando il plauso del mondo. Tanti separati o divorziati risposati si sentono
fuori dalla Chiesa, giudicati e condannati addirittura a non poter fare la
comunione mai più… Tante persone appartenenti al mondo LGBT vivono lo stesso
dramma di esclusione e giudizio… Tanti, cercando Dio in diversi modi e luoghi,
hanno bisogno della sua parola ristoratrice e del suo abbraccio paterno, a
volte in noi lo trovano, a volte, ahimè, no.Tutto questo mi sta particolarmente
a cuore e sarà, con l’aiuto di Dio e la benedizione del suo popolo, il mio
assillo quotidiano. Vi chiedo di accompagnare il mio servizio e questa bella
comunità con la vostra preghiera. CdI aprile
Ricevete lo Spirito Santo. II Domenica di Pasqua
Carpi, domenica. Al centro dell’episodio del vangelo di questa
domenica seconda Domenica di Pasqua sta la persona di Gesù. Ci troviamo nel
Cenacolo, dove gli apostoli vivono reclusi per timore dei capi del popolo
ebraico. Improvvisamente il Signore si rese presente in mezzo a loro. Egli è
risorto dai morti e poiché è vivo può venire e fermarsi in mezzo ai suoi amici.
Chi si manifesta non è un fantasma, ma lo stesso Gesù che due giorni prima
avevano visto morire con atroci sofferenze sulla croce. E perché i discepoli
non avessero alcun dubbio al riguardo, Egli "mostrò loro le mani e il
costato". Le mani che erano state confitte sulla croce ed il costato che era
stato aperto dalla lancia del soldato.
Dopo essersi presentato e fatto riconoscere, Gesù risorto compie un atto:
alitò su di loro” e poi offre loro un dono: E disse: ricevete lo Spirito
Santo”. Il gesto del Risorto ha un significato molto profondo in quanto ricorda
il modo con cui venne creato il primo uomo (cfr. Gen 2,7), il quale prende vita
perché Dio alita in lui il suo soffio vitale. Il gesto compiuto da Gesù dunque
ricrea la persona umana. Con esso viene donato ai discepoli la Sua stessa vita.
Quel giorno, dunque, nel cenacolo è accaduto qualcosa di veramente
straordinario: il Signore risorto facendo dono del Suo Spirito ai discepoli li
rigenera ad una vita nuova e costituisce la nuova comunità dei figli di Dio, la
Chiesa.
Ma il dono comporta sempre un impegno, la grazia porta con sé un compito.
Gesù Risorto dice: "come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi".
Con il dono dello Spirito la comunità dei discepoli di Cristo diviene
missionaria, si apre al mondo, va nei posti più lontani per portare la presenza
salvatrice di Cristo.
Quanto è accaduto nel Cenacolo di Gerusalemme accade anche per noi ogni
volta che partecipiamo alla Santa Messa. La celebrazione eucaristica, infatti,
non ha al suo centro né il sacerdote né l’assemblea, ma la persona di
Gesù. I cristiani, come i discepoli nel cenacolo, si riuniscono nei loro luoghi
di culto non per ricordarsi di Gesù ma per incontrarlo, non per parlare di
Lui solamente ma per parlare con Lui. E’ possibile questo incontro perché
Egli è Risorto e vivo e si rende presente in mezzo a noi.
E noi come san Tommaso siamo chiamati a gettarci ai piedi del Risorto per
confessare la nostra fede: "mio Signore e mio Dio!".
Che equivale a dire: “Tu sei il Signore della mia vita a cui voglio rimanere
fedele per sempre, perché con la tua resurrezione rimani l’incrollabile
fondamento della pace, l’inesauribile fonte della gioia e l’unica via per
umanizzare il mondo”. Mons. Francesco Cavina Aci 7
Intervista di Papa Francesco sul rapporto con Benedetto XVI
Un libro per ora solo in spagnolo, tra i temi anche un libro di Romano
Guardini - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. Interviste, interviste, interviste e ancora interviste,
sta di fatto che Papa Francesco rimarrà certo noto per le sue molte e
diversificate interviste.
Una delle più recenti è quella pubblicata nel libro "Il
Successore" curato da Javier Martinez Brocal di ABC. Il tema almeno non è
consueto: si parla di Benedetto XVI.
A poco più di un anno dalla morte il tentativo è quello di mettere a
confronto personalità e pensiero dei due Pontefici. I commenti alle
anticipazioni del libro, che per ora esce solo in spagnolo e arriverà dopo
l'estate in traduzione italiana, non sono stati profondi. Si è parlato
soprattutto delle polemiche tra il Papa e l'ex segretario particolare di Benedetto
XVI l'arcivescovo Georg Gänswein. Che tra i due non ci fosse grande sintonia
era evidente da tempo, anche da molto prima del libro uscito il giorno del
funerale del Papa tedesco. Ma certo quel libro ha peggiorato le cose. E ora
Francesco rende pan per focaccia. Senza misericordia. E poi le eventuali nuove
norme per il funerale, e altre cose marginali per la vita della Chiesa o per
una vera riflessione sul rapporto tra Francesco e Benedetto,
E Francesco mette in evidenza molte negatività. Dal medico di Benedetto ai
sui colleghi cardinali nel Conclave del 2005 velato di cospirazione.
Sembra che si salvi solo Benedetto XVI, gentile e signorile, gran pensatore,
ma prigioniero del suo staff, inconsapevole di tante, troppe cose. Non sapremo
mai la verità, perché sarà raccontata in modo diverso dai diversi testimoni. E
quindi perché tirare ancora fuori certe questioni? Forse serve meno
"chiacchiericcio" nella Chiesa? Papa Francesco lo dice spesso.
C'è invece un bel capitolo nel libro Il Successore. Riguarda uno
scritto di Romano Guardini, L'Opposizione Polare. E' un testo giovanile del
1925, il fondamento del pensiero del teologo, di non facile lettura e interpretazione.
Le idee opposte non necessariamente devono portare alla scelta di una o
dell'altra. A Papa Francesco questo libro piace molto. Lo ha detto varie volte.
Questa è sicuramente la parte più interessante del libro, e sarebbe bello
fare una "interrogazione" a Papa Francesco su questo libro che ama
tanto. Magari con un confronto su quello che il teologo Ratzinger scriveva alla
scuola di Guardini. Ma non è un lavoro da giornalista ovviamente. Aci 6
Nuova Evangelizzazione, “Va riformata la spiritualità, non le strutture”
Il teologo Tomas Halik, premio Templeton, già relatore al Ratzinger
Schuelerkreis, definisce la necessità della nuova evangelizzazione. Un nuovo
paradigma per un nuovo mondo - Di Andrea Gagliarducci
Lussemburgo. Serve una riforma della spiritualità, prima che una riforma
delle strutture. Lo sottolinea Mons. Tomas Halik, teologo ceco vincitore del
Premio Templeton e già relatore al Ratzinger Schuelerkreis, il cui pensiero ha
avuto un grande impatto nello sviluppo della teologia moderna.
Halik ha parlato con ACI Stampa a margine di un simposio di due giorni che
si è tenuto a Lussemburgo, organizzato dalla Luxembourg School for Religion and
Society, sul tema “Cosa ci tiene insieme quando non siamo d’accordo”. Una
conferenza che si inserisce nel cammino sinodale voluto da Papa Francesco, ma
anche in un ampio dibattito teologico, che ha raggiunto livelli di
polarizzazione molto alti specialmente di fronte al cammino sinodale in
Germania e al pensiero teologico che lo sostiene e che, in fondo, non è
condiviso nemmeno da Papa Francesco.
Halik, che della Scuola lussemburghese è diventato professore onorario,
parla di una teologia che si deve sviluppare in un mondo ormai non più
cristiano, di un passaggio dal cattolicesimo alla cattolicità, della necessità
di guardare ai frutti spirituali prima che alle strutture. E lo fa con la sua
esperienza di sacerdote sotterraneo, ordinato di nascosto, sotto osservazione
del regime comunista.
Lei ha sottolineato che non c’è bisogno di una riforma delle strutture, ma
c’è bisogno prima di tutto di una riforma della spiritualità. Cosa intende?
Credo che dei cambiamenti in alcune strutture istituzionali siano
necessari, ma che debbano andare insieme all’approfondimento teologico e
spirituale, altrimenti sarebbe tutto molto superficiale. Credo che la sfida per
questo cammino sinodale sia proprio questa. Papa Francesco ci ha dato molti
buoni impulsi, ma devono essere ulteriormente sviluppati. Cosa ci dice Papa
Francesco? Che possiamo trovare Dio in ogni cosa e che lo possiamo scoprire. È
una esperienza tipica dei gesuiti e del loro discernimento spirituale.
E in che modo si deve applicare questo discernimento?
Ci deve essere un discernimento tra lo spirito del tempo e la scienza del
tempo. Si deve definire quale sia l’eco dell’opinione pubblica, nonché in che
modo abbiano un impatto le ideologie, alcuni pregiudizi, l’atmosfera morale
delle nostre società. Tutte queste cose sono il linguaggio del mondo, nel senso
del Vangelo di San Giovanni. Ma ci sono anche segni dei tempi che sono
linguaggio di Dio negli eventi della nostra cultura e società. Credo che ci
siano delle crisi e che abbiamo bisogno di un cambio di paradigma. Se ci sono
troppe nuove informazioni e nuove esperienze, allora c’è bisogno di un cambio di
paradigma. Dobbiamo allargare la nostra prospettiva. Dobbiamo comprendere più a
fondo la nostra cattolicità, transitare dal cattolicesimo alla cattolicità.
Lei crede che manchi l’educazione o che manchi la volontà delle persone di
approfondire la comprensione teologica?
L’educazione è sempre importante, ma abbiamo anche bisogno di un approccio
contemplativo alla realtà. Ammiro molto questo approccio, di avere un momento
di silenzio anche nelle conferenze, che è importante sia per il nostro lavoro
teologico che per le nostre attività. Sarebbe persino utile avere lo stesso
tipo di momento in Parlamento. Io lo uso in alcune conferenze, e mi sono
accorto con sorpresa che la qualità delle discussioni è migliore dopo questo
momento di silenzio. Credo che non solo il clima atmosferico, ma anche il clima
culturale e morale di questo pianeta è in pericolo, e si deve fare qualcosa per
liberarsi da questa accettazione superficiale delle situazioni.
Crede che ci sia ancora bisogno di religiosità in un mondo sempre più secolarizzato?
Crede che le religioni possano ancora avere un impatto?
La parola religione ha molti significati. Io distinguo tra religione nel
senso di re-ligio (dal verbo re-ligare, ovvero ricollegare) cioè religione come
forza integrante della società, e religione nel senso di re-legere, di leggere
di nuovo e comprendere più profondamente. Religione, in questo senso, è
"una nuova ermeneutica", una nuova e più profonda comprensione della
Scrittura e della tradizione, ma anche un segno dei tempi. Aci 5
Pasqua. Festa dei macigni rotolati
All’alba – quando la notte ancora si confonde con il giorno, quando tutto
ancora dorme il sonno della sconfitta, quando il vuoto e il silenzio del
sepolcro sembrano aver avuto l’ultima parola sulla vicenda umana di questo
strano profeta di Nazareth, ribelle e rivoluzionario, amico dei poveri e
compagno degli ultimi, narratore di un Dio poco creduto – ecco accadere un
fatto straordinario: la morte, ora, è solo un abbraccio vuoto che non riesce a
trattenere nulla, neanche se stessa, figuriamoci l’autore della vita. Essa è
stata vinta da un gesto che l’ha superata, che l’ha ri-significata,
trasfigurandola e trasformandola, lasciando in tal modo che il sepolcro
restasse per sempre vuoto.
A Pasqua la morte, come dice S. Paolo, ha perso il suo pungiglione. Non fa
più paura, dice Gesù: “Non temete coloro che hanno il potere di uccidere il
corpo, temete piuttosto colui che puoi farvi morire dentro” (cfr. Mt 10, 28).
La morte è stata vinta da un gesto più grande: quello dell’amore. Per
questo essa, ora, non può più usare il dolore come ricatto per farci smettere
di amare, perché il Nazareno ha rovesciato il rapporto tra amore e morte. Come
dice il Vangelo di Giovanni, Egli, avendo amato i suoi, li amò fino alla fine
(cfr. Gv 13,1), cioè fino al compimento, fino in fondo, fino all’ultima goccia,
riuscendo così a spingersi fin là dove la morte non ha il potere di arrivare,
perché il fondo dell’amore, che la croce ci ha rivelato, è più abissale della
stessa morte.
È inutile! Non serve amare, se non ami fino alla fine, fino in fondo, fino
al non-amore di chi ti messo in croce, o della stessa morte. Il fondo
dell’amore si trova molto più in profondità di quello della morte. Raggiuntala,
non solo la supera, ma la trapassa e la trasforma, la trasfigura in “sorella
morte”.
La filosofa Hannah Arendt disse che il Bene – e quindi l’amore – è più
profondo del male, e quindi della morte! Chi ama sottrae alla morte l’amato,
come Cristo ha fatto con ogni uomo, suo amato!
La Pasqua è la vittoria della vita sulla morte. Molti intendono, però, tale
morte solo nella sua dimensione fisica, corporale. Invece, quando si parla di
morte, bisogna allargare il suo orizzonte semantico, intendendo con essa le
tante forme di morte che, spesso, ognuno di noi, in un certo qual modo, si
trova a sperimentare proprio mentre ritiene di vivere.
Quali sono queste morti?
La prima è la morte interiore, che, per noia o per abitudine, ci impedisce
di coltivare dentro di noi uno spazio in cui, ogni tanto, raccoglierci per
mettere ordine nella nostra vita. Morte che fa di noi dei deserti aridi dai
quali scappare, persi tra mille cocci vuoti, difficili da raccogliere e
ricomporre. Pasqua, allora, è far rinascere l’uomo interiore dove ciascuno può
trovare la leva per risollevare non solo se stesso dalle proprie cadute e
sconfitte, ma addirittura il mondo intero.
La seconda è la morte culturale, che ci inchioda a ciò che pensiamo di
sapere, impedendoci di cercare ancora. Morte che spegne la curiosità e il senso
dello stupore, cristallizzando i saperi e le conoscenze in schemi rigidi e
consolidati, a volte fatti di inutili citazioni, che sanno solo di
autocelebrazione. Pasqua, invece, è riaccendere la passione per la verità,
quella che rende liberi, e che sempre esige il confronto con i nuovi dubbi e le
domande inedite.
La terza è la morte sociale, che dichiara morto il prossimo, considerato
sempre e comunque come rivale o, peggio, come nemico da eliminare o da
dominare, e non, al contrario, come fratello da amare e con cui camminare
insieme. Morte che chiude ciascuno nel proprio triste egoismo e non ci aiuta a
fare comunità. Pasqua, allora, è far rinascere il senso di appartenenza alla
nostra città, perché ciascuno, secondo le proprie possibilità e talenti, possa,
con la dovuta cura, contribuire alla costruzione del bene comune.
La quarta è la morte educativa, che impedisce agli adulti, spesso
demotivati e inadeguati, di assumersi la responsabilità nell’aiutare le nuove
generazioni a costruire la loro personalità con autonomia, a instaurare un buon
rapporto con se stessi, con gli altri e con il mondo, affinché ciascuno diventi
autore responsabile delle proprie azioni. Pasqua, in tal caso, è far rifiorire
la passione educativa e superare quel senso di impotenza e di scoraggiamento
che aleggia in molti luoghi educativi.
La quinta è la morte delle relazioni, specie quando ad esse mancano
profondità e durata. Relazioni ferite che non durano perché il più delle volte
sono costruite sull’effimero e sul proprio tornaconto emotivo. Pasqua, invece,
è fa rinascere i rapporti, il cui senso è cercare, per non restare eternamente
solo, qualcuno da amare, dopo che, a sua volta, si è stati amati. Che la Pasqua
rigeneri le relazioni, per poterci approcciare gli uni agli altri con quel senso
di delicatezza e di rispetto che fa di ognuno una terra sacra, non da
calpestare o usare, ma da rispettare e custodire. Per non giocare con i
sentimenti altrui, ma farsi carico ognuno del dolore altrui.
Insomma, Pasqua è rinascere da tutte queste morti – e da tante altre – di
cui non vogliamo prendere coscienza e che rimuoviamo, ricorrendo a mille
meccanismi di difesa, spesso inconsci, altre volte costruiti per paura o per
fragilità, o anche per inerzia, adottando false tecniche di rassicurazione o di
evitamento.
Il vescovo don Tonino Bello, pensando a tutte queste morti, affermava
che “sembriamo notai dello status quo, dell’esistente, e non i profeti
dell’aurora che irrompe, del futuro nuovo, dei cicli nuovi, delle terre
nuove”. Sembriamo tanti sepolcri, tenuti chiusi da enormi macigni, dai
quali difficilmente riusciamo a liberarci.
Ebbene, la Pasqua è liberare la vita da tutti questi sepolcri in cui ci
troviamo incapsulati.
Sempre il vescovo di Molfetta augurava la Pasqua così: “Vorrei che
potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la
festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le
donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi
ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non
lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni
lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della
solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del
peccato. Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte”.
E in un altro messaggio concludeva: “Il Signore è Risorto proprio per
dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è
tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via. Auguri. La
luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione”.
Il Cristianesimo non è la religione dei ricordi, ma un esercizio di fede
che attualizza il mistero dell’amore nella vita di tutti i giorni, sì da poter
trasformare ogni alba e ogni mattino in un mattino di Pasqua! Michele Illiceto,
CdI aprile
Alcuni eventi che preparano il Giubileo del 2025
Far conoscere e proporre la conoscenza di Cristo che spesso non è negato ma
appunto ignorato - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. Concerti, mostre, cineforum, pellegrinaggi. Sono alcuni
degli eventi culturali che accompagneranno il Giubileo del 2025 e che sono
stati presentati alla stampa oggi.
Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione
per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo; Mons. Dario
Edoardo Viganò, Vice Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e
delle Scienze Sociali; e Don Alessio Geretti, Curatore della Mostra e collaboratore
esterno del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni
Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo hanno elencato e spiegato le
iniziative già in agenda. A cominciare dai pellegrinaggi come “In Cammino”, un
pellegrinaggio moderno tra le 14 maggiori Abbazie d’Europa ideato e promosso da
Livia Pomodoro, presidente dell’associazione culturale “No’hma – In cammino”.
Il Pellegrinaggio, partito dall'Abbazia di Canterbury nel luglio del 2023,
attraversa sette Paesi europei per giungere poi fino a Roma nel 2025.
Poi i tre concerti che segneranno i prossimi mesi. Il primo appuntamento è
per Domenica 28 aprile alle ore 17.30 presso la Chiesa di Sant’Ignazio di
Loyola dove verrà eseguito per intero il celebre Messiah di G.F. Handel.
3 Novembre 2024 alle ore 18 presso l’Auditorium di Via della Conciliazione
vedrà protagonista l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ringrazio fin
d’ora nella persona del Presidente Sovrintendente Michele dall’Ongaro per la
sua pronta adesione all’iniziativa. L’Orchestra diretta dal Maestro Jader
Bignamini, attualmente Direttore musicale della Detroit Symphony Orchestra,
eseguirà la Quinta Sinfonia di Dimitri Shostakovich realizzata nel 1937. Alle
ore 18.00 del 22 Dicembre 2024, presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, la
Cappella Sistina si esibirà in diverse composizioni polifoniche di Palestrina,
Perosi e Bartolucci.
E il cinema come ha spiegato Dario Edoardo Viganò da La porta del cielo
(Vittorio De Sica e Cesare Zavattini,1945), in una copia recentemente restaurata
cui collaborò anche Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, allora
sostituto alla Segreteria di Stato.
Fino a Silence (2916) di Martin Scorzese e a Cristo proibito (1951) di
Curzio Malaparte.
L’iniziativa di svolge presso il Cinema delle Province, una delle Sale
della Comunità della Diocesi di Roma. Le Sale della Comunità sono circa 500
disseminate nel territorio italiano e sono coordinate dall’ACEC (Associazione
Cattolica Esercenti Cinema – www.acec.it). La Commissione nazionale valutazione
film dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI offre schede
ragionate sui film e serie Tv (www.cnvf.it).
Don Alessio Geretti presenta una serie di mostre, come quella ormai fissa
dei 100 Presepi in Vaticano che nel 2024 sarà sostenuta dal Comune di Roma. Poi
una mostra d' Icone orientali esposte grazie ai Musei Vaticani nella
sagrestia di Sant' Agnese in Agone a Piazza Navona. Un modo per capire la
spiritualità aiutata dal simbolismo che non cambia. La mostra sarà a novembre
del 2024.
Due eventi in estate e a fine anno coinvolgono due artisti particolari:
Salvator Dalì e Marc Chagall. Una delle sedi sarà la chiesa di San Marcello al
Corso.
In preparazione anche la celebrazione dei 1700 anni del Concilio di Nicea,
con una commissione ad hoc. Previsti eventi a Roma e a Nicea, oggi in Turchia
non lontano da Istambul.
Lo sforzo centrale è far conoscere e proporre la conoscenza di Cristo che
spesso non è negato ma appunto ignorato. Per questo la scelta di autori e
personaggi degli eventi culturali non sono cristiani, ma persone che si sono
interrogate. Aci 4
Consiglio dei giovani del Mediterraneo. La visita al Parlamento europeo e
alla Comece
Si conclude oggi la visita alle Istituzioni europee, a Bruxelles, del
Consiglio dei giovani del Mediterraneo, opera-segno nata a seguito
dell’Incontro di Vescovi e Sindaci del Mediterraneo (Firenze, 23-27 febbraio
2022).
La delegazione, accompagnata da Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di
Cagliari e Segretario Generale della CEI, è stata ricevuta dalla Dottoressa
Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo, e da Mons. Mariano
Crociata, Presidente della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea
(Comece), insieme a Mons. Noël Treanor, Nunzio apostolico presso l’Unione
Europea. La visita infatti prevedeva una doppia tappa: nella sede del
Parlamento europeo e in quella della Comece.
L’incontro con la Presidente Metsola, osserva Mons. Crociata, è “la
conferma di un rapporto che la Chiesa, attraverso la Comece, ha con il
Parlamento europeo, e che merita di essere portato avanti perché permette alla
Chiesa di svolgere la sua missione e al Parlamento di raccogliere voci che
vengono dal mondo cattolico, che è parte importante del popolo europeo”.
La Presidente Metsola, afferma Mons. Baturi, “ha voluto conoscere meglio le
motivazioni e la composizione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo. Si è
interessata anche della grande visione di Giorgio La Pira, chiedendo di poterla
sviluppare in contesti storici che hanno bisogno di quella prospettiva
profetica e ricordando che l’Unione europea è soprattutto un progetto di pace”.
Il Segretario Generale della CEI esprime gratitudine alla Presidente del Parlamento
europeo per “l’impegno a favore della cooperazione e della comprensione tra i
popoli e il sostegno alla libertà, alla democrazia e ai diritti”. Con il
Consiglio dei giovani del Mediterraneo, spiega Mons. Baturi, “abbiamo voluto
scommettere sui giovani perché questo significa scommettere sull’educazione,
sulla loro capacità di immaginare un futuro diverso. L’Europa non può non
accorgersi di ciò che accade nel Mediterraneo, delle forze vive e della
possibilità che esso ha di sviluppare un’azione di pace e di amicizia che avrà
ripercussioni in tutto il mondo. Per questo, vogliamo da una parte che i nostri
giovani di 18 Paesi conoscano le Istituzioni europee, dall’altra parte
chiediamo che le Istituzioni europee tengano conto di queste forze vive e prospettiche
capaci di determinare, speriamo, un futuro diverso”.
Fortemente voluto e sostenuto dalla CEI, il Consiglio mira infatti a curare
la dimensione spirituale, a rafforzare l’azione pastorale davanti alle sfide
odierne e a costruire relazioni fraterne, come racconta il portale
www.giovanimediterraneo.org dove sono disponibili informazioni e notizie. Il 16
aprile, a Fiesole (Fi), inoltre, sarà inaugurata la sede del Consiglio. La
fisionomia, la mission e le attività sono state presentate dal Direttivo, nell’ambito
dell’evento odierno “Costruire ponti di dialogo, unità e pace tra popoli e
culture”. Ai lavori, introdotti dall’europarlamentare Beatrice Covassi, sono
intervenuti Mons. Baturi, Mons. Crociata e Patrizia Giunti, Presidente della
Rete Mare Nostrum e della Fondazione La Pira. Cei 4
Udienza Generale. Il Papa parla della virtù della Giustizia
Città del Vaticano. Papa Francesco torna in Piazza San Pietro per l'Udienza
Generale. "Buona Pasqua", dice subito Papa Francesco. Poi, il Papa,
continuando il ciclo di catechesi su “I vizi e le virtù”, incentra la sua
riflessione sul tema "La Giustizia".
Francesco nella catechesi spiega che la giustizia è "rappresentata
allegoricamente dalla bilancia, perché si propone di pareggiare i conti tra gli
uomini, soprattutto quando rischiano di essere falsati da qualche
squilibrio".
"Tutti comprendiamo come la giustizia sia fondamentale per la
convivenza pacifica nella società: un mondo senza leggi che rispettano i
diritti sarebbe un mondo in cui è impossibile vivere, assomiglierebbe a una
giungla. Senza giustizia, non c’è pace. Infatti, se la giustizia non viene
rispettata, si generano conflitti. Senza giustizia, si sancisce la legge della
prevaricazione del forte sul debole", commenta Papa Francesco.
"Le mezze verità, i discorsi sottili che vogliono raggirare il
prossimo, le reticenze che occultano i reali propositi, non sono atteggiamenti
consoni alla giustizia. L’uomo giusto è retto, semplice e schietto, non indossa
maschere, si presenta per quello che è, ha un parlare vero. Sulle sue labbra si
trova spesso la parola grazie: sa che, per quanto ci sforziamo di essere
generosi, restiamo debitori nei confronti del prossimo. Se amiamo, è anche
perché siamo stati prima amati", continua il Pontefice.
Ma soprattutto il giusto "aborrisce le raccomandazioni e non commercia
favori. Ama la responsabilità ed è esemplare nel vivere e promuovere la
legalità. Ancora, il giusto rifugge comportamenti nocivi come la calunnia, la
falsa testimonianza, la frode, l’usura, il dileggio, la disonestà. Restituisce
quanto ha preso in prestito, riconosce il corretto salario agli operai",
aggiunge il Papa.
"I giusti non sono moralisti che vestono i panni del censore, ma
persone rette che «hanno fame e sete della giustizia» (Mt 5,6), sognatori che custodiscono
in cuore il desiderio di una fratellanza universale. E di questo sogno,
specialmente oggi, abbiamo tutti un grande bisogno. Abbiamo bisogno di essere
uomini e donne giusti e questo ci farà felici", conclude infine il Papa.
Veronica Giacometti, Aci 3
Il Papa: “Alcuni cardinali volevano processarmi, Ratzinger mi difese”
Francesco parla del legame e dei ricordi con Benedetto XVI nel libro-intervista
con Javier Martinez-Brocal “El sucesor”, in uscita domani 3 aprile. Il
Pontefice: «Da Gaenswein mancanza di nobiltà e umanità» - Domenico Agasso
CITTÀ DEL VATICANO. Benedetto XVI «mi difese sulle unioni civili». Joseph
Ratzinger era «un grande, non attaccato al potere, gli portavo doni dai
viaggi». Il libro pubblicato da monsignor Georg Gaenswein il giorno del
funerale «l’ho vissuto come una mancanza di nobiltà e di umanità». Papa
Francesco lo afferma nel libro intervista con Javier Martinez-Brocal «El
sucesor» (edizioni Planeta), in uscita domani 3 aprile. Il Pontefice rivela
inoltre le novità che riguarderanno il suo rito funebre: alla morte Jorge Mario
Bergoglio sarà esposto nella bara e non su un catafalco, «con dignità ma come
ogni cristiano». Ci sarà una veglia e non due e nessuna cerimonia per la
chiusura della bara. Così il Vescovo di Roma ha semplificato il rito funebre.
Ricordando i funerali di Benedetto XVI, Francesco dice: «Sarà l'ultima
veglia funebre celebrata così, con il corpo del Papa esposto fuori dalla bara,
su un catafalco. Ho parlato con il cerimoniere e abbiamo eliminato questo e
tante altre cose, il rituale attuale era troppo sovraccarico».
Il Papa conferma anche che ha dato disposizioni per essere sepolto a Santa
Maria Maggiore. Il Pontefice spiega che dopo la statua della Regina della Pace
«c’è una stanza in cui conservavano i candelabri. È quello il luogo, mi hanno
confermato che tutto è pronto» per la sua futura sepoltura.
Bergoglio racconta che la Basilica gli è cara da prima che diventasse Papa,
e che si recava spesso lì a pregare. Narra poi un aneddoto: una volta un uomo
lì cercò di truffarlo cercando di vendergli un orologio. «Per istinto»
Bergoglio disse che non aveva soldi e poi «mi dissero che se avessi tirato
fuori il portafogli mi avrebbe dato uno schiaffo e se lo sarebbe portato via.
Impressionante».
Nel Conclave del 2013 il cardinale Jorge Mario Bergoglio ebbe voti fin
dalla prima votazione, il 12 marzo; poi il 13 «molti» ma «li interpretai» come
un modo di «depositare i voti». Francesco svela anche un altro fatto accaduto
nel Conclave in quelle ore: «Ricordo che alcuni si avvicinarono a parlare con
il cardinale Angelo Scola e gli chiesero qualcosa. Poi ho saputo che aveva
detto loro: “Votate Bergoglio”».
Benedetto XVI difese papa Francesco dalle accuse di alcuni prelati in
merito alle affermazioni che lo stesso Bergoglio aveva espresso sulle unioni
civili tra omosessuali: «Alcuni andarono da Benedetto a dire che io dicevo
eresie, lui li ascoltò e con autorevolezza li aiutò a distinguere le cose» tra
matrimonio cristiano e unioni civili. «Disse loro: “Questa non è una eresia”.
Come mi difese!».
Nel volume Francesco definisce Benedetto «un grande, non era attaccato al
potere», e la sua rinuncia è stata segno di «onestà». Dice anche che Ratzinger
non era sempre d'accordo con le sue decisioni ma «con il suo silenzio le ha
sempre rispettate».
All'inizio del pontificato, in quel saluto a Castel Gandolfo, Francesco e
Benedetto parlarono della questione degli abusi: «Cambiai alcune delle persone
come lui mi aveva suggerito».
Il Papa replica alle critiche sulla gestione dei funerali di Benedetto XVI
e afferma che ad occuparsene fu il segretario di Ratzinger, padre Georg.
Francesco parla anche del libro di Gaenswein «Nient’altro che la verità» (pur
senza citare direttamente il monsignore): lo «ha addolorato che Benedetto sia
stato usato», e «ha avuto una grande pena» per il fatto che quel libro sia
uscito proprio nelle ore delle esequie di Ratzinger; «che il giorno del funerale
venga pubblicato un libro che mi ha messo sottosopra, raccontando cose che non
sono vere, è molto triste. Naturalmente non mi colpisce, nel senso che non mi
condiziona. Ma mi ha fatto male che Benedetto sia stato usato. Il libro è stato
pubblicato il giorno del funerale, e l'ho vissuto come una mancanza di nobiltà
e di umanità». LS 2
«Chi Siamo. GBV 2024”. La Giornata Bambini Vittime
In vent’otto anni abbiamo percorso strade irte e scoscese; terreni sacri
oscurati e inquinati dal ‘sistematico male’ che attraverso l’abuso sui bambini
è stato perpetrato, lacerando così l’innocente vita e interrompendo i sogni e
le attese.
Quanto grido di dolore è stato ascoltato, accolto, accompagnato, sostenuto!
Quante volte, insieme alle vittime, abbiamo alzato le mani verso il Cielo e
“alzando gli occhi verso i monti” abbiamo supplicato ed elevato un grido: da
dove mi verrà l’aiuto? (Cfr. Salmo 121)
Quanta sofferenza è stata lenita con il balsamo della consolazione e con le
‘attrezzature’ della guarigione!
Dentro questo abisso ‘infernale’, la presenza dei diaconi
dell’infanzia (così desidererei chiamare chi ‘custodisce’ e si occupa
delle ferite degli abusi sui minori e sulle persone deboli e vulnerabili) non
solo ha fatto la differenza, ma ha manifestato la possibilità della guarigione
e della speranza.
Dobbiamo continuare a fare di più e insieme, e questo operare insieme, è
una vera e propria sfida per l’oggi che ci proietta a un domani maggiormente
caratterizzato dalla tutela e dalla protezione dei bambini.
L’abuso è un trauma permanente; è una ferita invisibile con la quale si
sopravvive, ma spesso anche visibile a causa delle autodifese che ogni persona
mette in atto. Da qui la necessità di comprenderle, di accoglierle, di
condividerle per permettere a quanti siano stati feriti di uscire fuori e di
rivedere la luce della vita. Perché la vita, ogni vita, non merita alcuna
violenza, in alcun modo e in alcun caso. Non esiste una violenza sui bambini,
fin dal concepimento, che possa essere giustificata.
Non è possibile sostenere, anche ideologicamente, la ipersessualizzazione e
l’erotizzazione dei bambini per fini assolutamente inaccettabili, quali il
relativismo del corpo e la sua commercializzazione, anche attraverso il
digitale.
La pedofilia on-line rappresenta una gamma di delitti, tra i più efferati,
che si inquadrano nell’ambito della criminalità transnazionale e che non deve
essere, come ancora accade, minimizzata e sottostimata.
La Giornata Bambini Vittime, ideata dall’Associazione Meter vent’otto anni
fa, è pertanto un appuntamento che offre, a quanti stanno dalla parte dei
minori, l’occasione per richiamare ad un impegno imprescindibile e non
delegabile. Insieme. (don Fortunato Di Noto)
https://associazionemeter.org/chi-siamo/giornata-bambini-vittime/gbv-2024/
dip
Il dicastero per il dialogo interreligioso frutto del Concilio Vaticano II
Città del Vaticano. Nel 1964 Paolo VI creò il Segretariato per i non
Cristiani, frutto del lavoro per la Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate che
fu approvata nel 1965. Nel decreto istitutivo, il Papa dichiarava: “L’ardore
della divina carità deve ispirare la Chiesa, che continua l’opera di Cristo,
specialmente in questi giorni nei quali si sviluppano molte relazioni tra
uomini di ogni razza, lingua e religione. Perciò, per nostra iniziativa… in
virtù di questa lettera erigiamo e costituiamo uno speciale Consiglio o
Segretariato per i non-Cristiani…”. L’evento di più alto profilo in cui fu
coinvolto in questo tempo il Segretariato per i non Cristiani fu l’incontro di
preghiera per la Pace ad Assisi nel 1986 voluto da Giovanni Paolo
II. Nella città di san Francesco l’incontro di preghiera attirò 50
rappresentanti di comunità cristiane e 60 di altre religioni.
San Giovanni Paolo Il, con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus del 28
giu, 1988, ne cambiò la denominazione in Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso.
Il modo peculiare di Benedetto XVI nel condurre il dialogo interreligioso
era “riflettere con gli altri” (Korner) con “una distintiva enfasi sulla
verità” (Howard). Scrive il Pontefice nell’enciclica Caritas in veritate:
“La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede … A
sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla
ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo
dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità”.
Oggi si chiama Dicastero per volere di Papa Francesco. Spesso accade
che Papa Francesco nei suoi scritti e discorsi tratti tematiche attinenti al
dialogo Interreligioso e alla fratellanza umana.
Lo scopo del Dicastero per il Dialogo Interreligioso è favorire e regolare
"i rapporti con i membri e i gruppi delle religioni non cristiane, ad
eccezione dell'ebraismo la cui competenza spetta al Dicastero per la Promozione
dell'Unità dei Cristiani. Tra gli altri compiti, opera affinché il dialogo con
i seguaci di altre religioni si svolga in modo adeguato; promuove una vera
ricerca di Dio; favorisce studi e conferenze per sviluppare informazioni
vicendevoli e stima reciproca; aiuta le Chiese locali nell'impegno per il
dialogo interreligioso". Del dicastero fa parte la Commissione per i
Rapporti Religiosi con i Musulmani che fu istituita da San Paolo VI il 22
ott. 1974 come organismo distinto ma collegato al Segretariato per i non
Cristiani, ora Dicastero per il Dialogo Interreligioso.
Il suo scopo è quello di promuovere e stimolare i rapporti religiosi tra
musulmani e cattolici con l'eventuale collaborazione di altri cristiani. Nel
quadro di tali competenze la Commissione è anche a disposizione degli organismi
interessati per informarli e aiutarli a realizzare i loro compiti. Angela
Ambrogetti, Aci 2
Vangelo Migrante: Pasqua del Signore (Lc 24,13-35)
Christos anesti… alitos anesti: Cristo è risorto, è veramente risorto!
Dopo aver assistito alla tragedia della Crocifissione risuona nella Chiesa
il grande annuncio delle donne, le prime protagoniste della Pasqua. Gesù ha
lasciato il sepolcro: è risorto! Veramente risorto! Questo è il saluto che la
Chiesa orientale rivolge come scambio di pace nel giorno di Pasqua mentre ci si
abbraccia. La gioia del trovare il sepolcro vuoto ci ricorda un evento
straordinario: Cristo era morto ma ora è vivo e ci precede in Galilea. In
questa domenica siamo chiamati a vedere oltre la morte e a proclamare la
vittoria di Cristo sulle tenebre della morte e del peccato. Nessuno può dire
che esiste la Resurrezione, ma alcuni ci hanno detto che è Risorto e che lo
hanno incontrato. Maria di Magdala lo vede nel giardino e Lui la esorta a non
piangere ma a rallegrarsi perché è risorto. A Pasqua non c’è spazio per i lutti
e le lacrime. Pasqua è l’occasione felice per tirare un sospiro di sollievo:
non siamo più nel buio della morte ma nella Luce della vita! Anche Cristo,
risorto, è disceso agli inferi per chiamare e liberare Adamo affinché lui si
risvegliasse dalla morte e prendesse parte alla vita nuova. “Io sono con fino
alla fine del mondo” (Mt. 28, 20) dice Gesù e in questo orizzonte, in questo
mondo lacerato da discordie, guerre e morti noi la vita. La bella notizia
del sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, ci immergono in un clima
di vera gioia in cui sentiamo risuonare l’Alleluia pasquale e le campane a
festa. Siamo figli di un Dio che ci vuole vivi e pieni di speranza. La Pasqua
ha un valore missionario, non basta sapere che Gesù è veramente risorto e non
basta credere che non lo hanno trafugato come si pensava, occorre essere
testimoni. Dobbiamo diffondere la speranza attraverso gesti di resurrezione: un
sorriso, un abbraccio, un gesto di solidarietà con chi soffre. Possiamo farlo
non solo spalancando le braccia ma anche aprendo le nostre frontiere agli
stranieri, agli emarginati, e a tutti i poveri. Usciamo dai sepolcri fatti di
egoismo e cinismo e rimettiamoci ad amare con cuore sincero. Come san Tommaso,
tutti siamo chiamati, seppur nel dubbio, a credere senza vedere e a condividere
con tutti i fratelli la gioia di essere cristiani risorti. Da morti viventi a
uomini vivi. La Pasqua non abbatte la morte corporale, che fa parte
dell’esistenza umana e terrena e che San Francesco chiama sorella, ma ci aiuta
ad abbracciarla con fede nella Luce di Colui che è il primo dei
Risorti. In questo augurio Pasquale chiediamo allo Spirito che soffi sulle
nostre ossa inaridite (Ezechiele 37) e ci aiuti a rinnovarci nel cuore e nella
mente per essere uomini e donne nuovi trasformati dalla grazia Pasquale. Se
Cristo è risorto, e lo è, non è vana la nostra fede anzi è sempre più vera e
forte. Il Cristo Risorto riempia le nostre famiglie di benedizioni e ci
aiuti ad essere orgogliosi di avere un crocifisso appeso alla parete; non ci
faccia dimenticare il valore di un segno di croce o di una preghiera fatta col
cuore prima dei pasti; aumenti il desiderio di partecipare alla Santa
Eucaristia e di compiere sempre gesti di fraternità e umanità. Buona Pasqua a
tutti i lettori: Cristo è veramente risorto! (Andrea Fulco) Mig.on 31.3.
Urbi et Orbi di Pasqua: “Attraverso quel sepolcro vuoto passa la via nuova”
La via della pace. La richiesta di uno scambio totale dei prigionieri in
Ucraina. L’appello per Gaza. Lo sguardo all'Africa, al Myanmar, ad Haiti - Di
Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. È attraverso il sepolcro vuoto di Gesù che passa “la
via nuova”, ovvero, “la via della vita in mezzo alla morte, la via della pace
in mezzo alla guerra, la via della riconciliazione in mezzo all’odio, la via della
fraternità in mezzo all’inimicizia”. Urbi et Orbi di Pasqua: in una piazza
San Pietro decorata come al solito da fiori provenienti dall’Olanda, dopo aver
celebrato la Messa di Pasqua, Papa Francesco, con la voce un po' arrochita e
affaticata, si affaccia dalla loggia delle benedizioni per il consueto
messaggio alla città di Roma e al mondo. È un messaggio che rappresenta anche
il “termometro diplomatico” della Santa Sede, che racconta quali sono i luoghi
su cui si sta guardando con maggiore attenzione.
Cosa c’è, dunque, in questa benedizione? C’è la richiesta di uno scambio di
prigionieri totale tra Ucraina e Russia, un “tutti per tutti”, nelle parole del
Papa, che riscuote un grande applauso dai 60 mila fedeli che sono accorsi ad
ascoltarlo. C’è la richiesta del cessate il fuoco nella Striscia di
Gaza e soprattutto dell’accesso degli aiuti umanitari, anche questo accolta da
un applauso. C'è un riferimento ai bambini che "hanno dimenticato come
sorridere in quei territori di guerra", e una forte richiesta ai
responsabili internazionali di combattere la tratta degli esseri umani, e il
ricordo che ogni vita umana deve essere "accolta, protetta e amata".
Lo sguardo alle regioni calde dell’Africa, in particolare il Sahel e il Nord
Kivu e nella regione in Mozambico ormai preda dell’Isis, senza però menzione
della situazione in Nigeria, dove pure i cristiani vengono rapiti e
perseguitati.
Ma tutto parte, come di consueto, dall’annuncio della Pasqua. Perché “la
tomba di Gesù era stata chiusa con una grossa pietra”, e così “anche oggi massi
pesanti, troppo pesanti chiudono le speranze dell’umanità: il masso della
guerra, il masso delle crisi umanitarie, il masso delle violazioni dei diritti
umani, il masso della tratta di persone umane, e altri ancora”.
Da qui lo stupore che deriva dalla pietra rotolata, perché “attraverso quel
sepolcro vuoto passa la via nuova, quella che nessuno di noi, ma solo Dio ha
potuto aprire: la via della vita in mezzo alla morte, la via della pace in
mezzo alla guerra, la via della riconciliazione in mezzo all’odio, la via della
fraternità in mezzo all’inimicizia”.
Ed è lo stesso Gesù – dice Papa Francesco – ad essere “la Via della vita,
della pace, della riconciliazione, della fraternità”, e ad aprire “il passaggio
umanamente impossibile, perché solo lui toglie il peccato del mondo e perdona i
nostri peccati”.
Nota Papa Francesco: “Senza il perdono di Dio quella pietra non si toglie.
Senza il perdono dei peccati non si esce dalle chiusure, dai pregiudizi, dai
sospetti reciproci, dalle presunzioni che sempre assolvono sé stessi e accusano
gli altri”.
Papa Francesco guarda alle “vittime dei tanti conflitti che sono in corso nel
mondo, a cominciare da quelli in Israele e Palestina e in Ucraina”, e chiede
che “Cristo Risorto apra una via di pace per le martoriate popolazioni di
quelle regioni”.
Afferma il Papa: “Mentre invito al rispetto dei principi del diritto
internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia
e Ucraina: tutti per tutti!”
Quindi il Papa fa appello “a che sia garantita la possibilità di accesso
agli aiuti umanitari a Gaza, esortando nuovamente a un pronto rilascio degli
ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso e a un immediato cessate-il-fuoco nella
Striscia”, chiedendo di non permettere “che le ostilità in atto continuino ad
avere gravi ripercussioni sulla popolazione civile, ormai stremata, e
soprattutto sui bambini”.
Papa Francesco ribadisce che “la guerra è sempre un’assurdità e una
sconfitta,” chiede di non lasciare che “venti di guerra sempre più forti
spirino sull’Europa e sul Mediterraneo,” invita a non cedere “alla logica delle
armi e del riarmo”, perché “la pace non si costruisce mai con le armi, ma
tenendo le mani e aprendo i cuori”.
Papa Francesco chiede anche di non dimenticare la Siria da 14 anni in
guerra, guarda “in modo speciale” al Libano che è da tempo in blocco
istituzionale e da una “profonda crisi economica e sociale, aggravate dalle
ostilità alla frontiera con Israele”.
Importante l’accenno ai Balcani Occidentali – l’arcivescovo Gallagher è
appena tornato dal Montenegro – “dove si stanno compiendo passi significativi
verso l’integrazione nel progetto europeo: le differenze etniche, culturali e
confessionali non siano causa di divisione, ma diventino fonte di ricchezza per
tutta l’Europa e per il mondo intero”.
Il Papa incoraggia i colloqui tra Armenia e Azerbaijan, “perché, con il
sostegno della Comunità internazionale, possano proseguire il dialogo,
soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni
religiose e arrivare al più presto ad un accordo di pace definitivo”. Il
riferimento è alla situazione in Nagorno Karabakh / Artsakh, un conflitto che
ha portato ad una pace dolorosa per l’Armenia, e che ora si cerca di risolvere
dopo che l’Azerbaijan ha preso il controllo di diversi territori e dopo che da
più parti è stato messo in luce il rischio della perdita del patrimonio
cristiano nella regione.
Papa Francesco, quindi, prega che Cristo risorto apra una via di speranza
alle persone che in altre parti del mondo patiscono violenze, conflitti,
insicurezza alimentare, come pure gli effetti dei cambiamenti climatici”, e che
“doni conforto alle vittime di ogni forma di terrorismo”.
Nelle Americhe, il focus è su Haiti: il Papa prega che “cessino quanto
prima le violenze che lacerano e insanguinano il Paese ed esso possa progredire
nel cammino della democrazia e della fraternità”.
In Asia, il Papa mette in primo piano la crisi in Myanmar, e guarda in
particolare al dramma dei Rohingya “afflitti da una grave crisi umanitaria”.
Per quanto riguarda l’Africa, Papa Francesco chiede che si aprano vie di
pace “specialmente per le popolazioni provate in Sudan e nell’intera regione
del Sahel, nel Corno d’Africa, nella Regione del Kivu nella Repubblica
Democratica del Congo e nella Provincia di Capo Delgado in Mozambico”, e prega
che cessi “la prolungata situazione di siccità che interessa vaste aree e
provoca carestia e fame”. Aci 31.3.
Via Crucis a Ulm e Neu-Ulm. La partecipazione della Mci di Kempten
Come l'anno scorso una parte della Comunità della Missione Cattolica
Italiana di Kempten è partita nuovamente in treno per partecipare alla 19°
Rappresentazione della Passione di Cristo a Ulm e a Neu-Ulm. Altri fedeli della
città e dintorni hanno preferito raggiungere Ulm e Neu-Ulm con mezzi propri e
si sono uniti al Gruppo e a Padre Bruno Zuchowski all'inizio della sacra
Rappresentazione. La Segretaria della Missione, signora Giuseppina
Baiano-Polverino, purtroppo, non ha potuto prendere parte alla Celebrazione per
ragioni familiari. E anche il Presidente del Consiglio Pastorale, Signor
Giampiero Trovato e Famiglia hanno deciso di seguire il Triduo Pasquale ad Assisi.
Il gruppo è partito dalla stazione di Kempten nel primo pomeriggio
indossando i foulard con la Madonna della Pace. Per diverse ragioni la Comunità
ha deciso di non portare con sé lo stendardo con l'effigie della Vergine.
D'altro canto nei gruppi dei fedeli presenti non sono stati notati altri
stendardi o altri segni distintivi. La Cerimonia è stata, come sempre,
suggestiva e commovente ed è iniziata con il saluto di benvenuto da parte delle
autorità civili e una breve preghiera da parte delle autorità religiose di
Neu-Ulm e Ulm.
Tra i sacerdoti presenti: il Missionario italiano di Neu-Ulm e Ulm,
Don Giampiero Fantastico, che, saltuariamente, celebra la S. Messa per la
Comunità di Kempten, supportando fraternamente Padre Zuchovski, che, oltre
a essere il Rettore delle Missioni di Kempten e Augsburg, celebra la S.
Messa e si occupa dei fedeli in diverse altre località con cadenza
mensile.
Purtroppo, a causa di un improvviso malore di una giovane partecipante la
Comunità d Kempten ha dovuto anticipare la partenza da Ulm prima della fine
della Commemorazione. Fernando A. Grasso, de.itpress
Via Crucis. Quattordici volte il nome di Gesù
Anche quest’anno senza Papa Francesco la Via Crucis al Colosseo. Ma le
meditazioni portano la sua firma - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Questa è una Via Crucis speciale. Diversa dalle altre
perchè per la prima volta è Papa Francesco, di suo pugno, ad aver scritto le
meditazioni per la Via della Croce al Colosseo. Un evento in mondovisione, che
si ripete anche quest'anno però, senza la partecipazione del Papa.
Il Papa segue tutto in collegamento da Casa Santa Marta. Per conservare la
sua salute si è preferito così. Già lo scorso anno Francesco era reduce da un
ricovero al Gemelli e per questo non fu presente al Colosseo.
La Sala stampa fa sapere che sono presenti 25.000 fedeli.
“In preghiera con Gesù sulla via della Croce”, è il tema delle meditazioni
2024.
Come ha sottolineato la Sala Stampa vaticana qualche giorno fa, "le
meditazioni sono un atto di meditazione e spiritualità, con Gesù al centro. Lui
che fa il cammino della Croce e ci si mette in cammino con Lui. È tutto molto
incentrato su quello che Gesù vive in quel momento ed è chiaro che ci si
allarga al tema della sofferenza".
Ed è proprio così che avviene questa sera al Colosseo, al centro di Roma:
c’e’ Gesù sulla croce. "Signore Gesù, guardiamo la tua croce e capiamo che
hai dato tutto per noi. Noi ti dedichiamo questo tempo. Vogliamo trascorrerlo
vicini a te, che dal Getsemani al Calvario hai pregato. Nell’Anno della
preghiera ci uniamo al tuo cammino di preghiera", questa l'introduzione
sul libretto alle 14 stazioni.
Tante le preghiere e le invocazioni. Guariscimi, Gesù! Signore, ravviva in
me il ricordo del tuo amore! Gesù, dammi la forza di amare e ricominciare!
Nelle preghiere del Papa c'è tanta speranza.
Sono variegati i gruppi di coloro che portano la Croce per l’Anfiteatro più
famoso del mondo. Ci sono un gruppo di suore di clausura, persone con
disabilità, donne impegnate nella pastorale sanitaria, migranti, catechisti,
parroci della Diocesi di Roma e persone impegnate nella Caritas.
Il Papa si può dire che in questi testi riassuma tutti i dolori del mondo.
Ci sono i bambini non nati, le donne che subiscono oltraggi e violenze, gli
scartati, coloro che soffrono per la follia della guerra.
Nella seconda stazione, in cui Gesù è caricato della croce, il Papa elenca
anche le tanti croci quotidiane che riguardano tutti da vicino: una malattia,
un incidente, la morte di una persona cara, una delusione affettiva, un figlio
che si è perso, il lavoro che manca, una ferita interiore che non guarisce, il
fallimento di un progetto. Gesù, come si fa a pregare lì? Come fare quando mi
sento schiacciato dalla vita, quando un peso mi grava sul cuore, quando sono
sotto pressione e non ho più la forza di reagire?", chiede il Papa nella
meditazione.
La risposta è Venire a Lui. "Venire a te; io, invece, mi chiudo in me:
rimugino, rivango, mi piango addosso, sprofondo nel vittimismo, campione di
negatività. Venite a me: dircelo non è bastato e allora ecco che ci vieni
incontro e ti carichi sulle spalle la nostra croce, per togliercene il peso. Tu
questo desideri: che gettiamo in te fatiche e affanni, perché vuoi che ci
sentiamo liberi e amati in te. Grazie, Gesù. Unisco la mia croce alla tua, ti
porto la mia stanchezza e le mie miserie, getto in te ogni peso del
cuore", continua il Papa nella seconda stazione.
Poi c'è la sesta stazione, quella della Veronica. "Basta una tastiera
per insultare e pubblicare sentenze. Ma, mentre tanti urlano e giudicano, una
donna si fa strada in mezzo alla folla. Non parla: agisce. Non inveisce:
s’impietosisce. Va controcorrente: sola, con il coraggio della compassione,
rischia per amore, trova il modo di passare tra i soldati solo per darti sul
volto il conforto di una carezza. Il suo gesto passerà alla storia ed è un
gesto di consolazione. Quante volte invoco consolazione da te, Gesù! Ma la
Veronica mi ricorda che pure tu ne hai bisogno: tu, Dio vicino, chiedi la mia
vicinanza; tu, mio consolatore, vuoi essere consolato da me. Rendimi testimone
della tua consolazione!", scrive il Pontefice parlando degli hater, una
piaga di questo secolo scandito dai social.
Nell'ottava stazione il Papa ricorda poi il momento drammatico delle guerre
che stiamo vivendo. "Di fronte alle tragedie del mondo il mio cuore è di
ghiaccio o si scioglie? Come reagisco alla follia della guerra, a volti di
bimbi che non sanno più sorridere, a madri che li vedono denutriti e affamati e
non hanno più lacrime da versare? Tu, Gesù, hai pianto su Gerusalemme, hai
pianto sulla durezza del nostro cuore. Scuotimi dentro, dammi la grazia di
piangere pregando e di pregare piangendo", questo il cuore della stazione
"Gesù incontra le donne di Gerusalemme".
"Dio dell’impossibile, fai di un ladro un santo. E non solo: sul
Calvario cambi il corso della storia. Fai della croce, emblema del supplizio,
l’icona dell’amore; del muro della morte un ponte sulla vita. Tu trasformi le
tenebre in luce, la separazione in comunione, il dolore in danza, e persino il
sepolcro, ultima stazione della vita, nel punto di partenza della speranza. Ma
questi ribaltamenti li operi con noi, mai senza di noi. Gesù, ricordati di me:
questa preghiera sincera ti ha permesso di operare prodigi nella vita di quel
malfattore. Potenza inaudita della preghiera", la dodicesima stazione di
quest'anno al Colosseo tocca il cuore di tutti.
Ma “la sofferenza con Dio non ha l'ultima parola”.
L'Invocazione conclusiva scritta da Papa Francesco ripete il nome di Gesù
ben 14 volte.
"Signore, ti preghiamo come i bisognosi, i fragili e i malati del
Vangelo, che ti invocavano con la parola più semplice e familiare: con il tuo
nome.
Gesù, il tuo nome salva, perché tu sei la nostra salvezza.
Gesù, sei la mia vita e per non perdere la rotta nel cammino ho bisogno di
te, che perdoni e rialzi, che guarisci il mio cuore e dai senso al mio dolore.
Gesù, hai preso su di te il mio male e dalla croce non mi punti il dito
contro, ma mi abbracci; tu, mite e umile di cuore, risanami dal livore e dal
risentimento, liberami dal sospetto e dalla sfiducia.
Gesù, ti guardo in croce e vedo spalancarsi davanti ai miei occhi l’amore,
senso del mio essere e meta del mio cammino: aiutami ad amare e perdonare, a
superare l’insofferenza e l’indifferenza, a non lamentarmi.
Gesù, sulla croce hai sete, ed è sete del mio amore e della mia preghiera;
ne hai bisogno per portare a compimento i tuoi progetti di bene e di pace.
Gesù, ti rendo grazie per quanti rispondono al tuo invito e hanno la
perseveranza di pregare, il coraggio di credere e la costanza di andare avanti
nelle difficoltà.
Gesù, ti presento i pastori del tuo popolo santo: la loro preghiera
sostiene il gregge; trovino tempo per stare davanti a te, conformino il loro
cuore al tuo.
Gesù, ti benedico per le contemplative e i contemplativi, la cui preghiera,
nascosta al mondo e a te gradita, custodisce la Chiesa e l’umanità.
Gesù, porto davanti a te le famiglie e le persone che stasera hanno pregato
dalle loro case, gli anziani, specialmente quelli soli, gli ammalati, gemme
della Chiesa che uniscono le loro sofferenze alla tua.
Gesù, questa preghiera di intercessione raggiunga le sorelle e i fratelli
che in tante parti nel mondo soffrono persecuzioni a motivo del tuo nome;
coloro che patiscono il dramma della guerra e quanti, attingendo forza in te,
portano croci pesanti.
Gesù, con la tua croce hai fatto di tutti noi una cosa sola: stringi nella
comunione i credenti, infondi sentimenti fraterni e pazienti, aiutaci a
collaborare e a camminare insieme; custodisci la Chiesa e il mondo nella pace.
Gesù, giudice santo che mi chiamerai per nome, liberami dai giudizi
temerari, dai pettegolezzi e dalle parole violente e offensive.
Gesù, prima di morire dici: “è compiuto”. Io, nella mia incompiutezza, non
potrò dirlo; ma confido in te, perché sei la mia speranza, la speranza della
Chiesa e del mondo.
Gesù, ancora una parola voglio dirti e continuare a ripeterti: grazie! Grazie,
mio Signore e mio Dio". Il Cardinale De Donatis benedice e congeda i
fedeli presenti al Colosseo. Aci 30.3.
Giovedì Santo, Papa Francesco: “La compunzione va chiesta nella preghiera”
Papa Francesco stamane ha presieduto nella Basilica Vaticana la Messa
Crismale del Giovedì Santo: "Nella vita spirituale chi non piange
regredisce" - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. Papa Francesco stamane ha presieduto nella Basilica
Vaticana la Messa Crismale del Giovedì Santo in cui si procede alla benedizione
dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma e si rinnovano
le promesse sacerdotali.
Nel momento del tradimento – osserva il Papa nell’omelia - gli occhi di
Pietro “furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo
liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli
cambiò la vita. Le parole e i gesti di Gesù per anni non avevano smosso Pietro
dalle sue attese, simili a quelle della gente di Nazaret: anche lui aspettava
un Messia politico e potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di
un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza, dichiarò: «Non lo conosco!».
Ed è vero, non lo conosceva: cominciò a conoscerlo quando, nel buio del
rinnegamento, fece spazio alle lacrime della vergogna e del pentimento. E lo
conoscerà davvero quando, addolorato che per la terza volta gli domandasse: Mi
vuoi bene?, si lascerà pienamente attraversare dallo sguardo di Gesù. Allora
dal «non lo conosco» passerà a dire: «Signore, tu conosci tutto»”.
Si guarisce – osserva – “quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare
da Gesù” e il Papa propone una riflessione sulla compunzione che è “una puntura
sul cuore, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del
pentimento”.
La compunzione – spiega il Pontefice – “non è un senso di colpa che butta a
terra, non una scrupolosità che paralizza, ma una puntura benefica che brucia
dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce
peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo
smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Piangere su noi stessi non
significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Questa è
la tristezza secondo il mondo, opposta a quella secondo Dio. Piangere su noi
stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è
riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver
smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha
dato la vita per me. È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e
della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è
scendere nei meandri della mia ipocrisia. Per poi, da lì, rialzare lo sguardo
al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e
risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le
lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.
Il Papa sottolinea inoltre che “la compunzione richiede fatica ma
restituisce pace; non provoca angoscia, ma alleggerisce l’anima dai pesi,
perché agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio la
carezza del medico celeste. Il cuore senza pentimento e pianto, si irrigidisce:
dapprima diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente
alle persone, quindi freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza
infrangibile, e infine di pietra. Ma, come la goccia scava la pietra, così le
lacrime lentamente scavano i cuori induriti. Si assiste così al miracolo della
buona tristezza che conduce alla dolcezza”.
“La compunzione – dice ancora Papa Francesco è il rimedio, perché ci
riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere
peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere
perdonati. Ogni nostra rinascita interiore scaturisce sempre dall’incontro tra
la nostra miseria e la sua misericordia, passa attraverso la nostra povertà di
spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci”.
“Nella vita spirituale – è il monito del Papa - chi non piange regredisce,
invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima,
fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, matura. Si lega sempre meno a
sé stesso e sempre più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si
sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio”.
Alla compunzione si lega – secondo il Papa – “la solidarietà. Un cuore
docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente
incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per
il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati. Avviene una sorta di
ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e
inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi
con sé stessi e misericordiosi con gli altri. E il Signore cerca, specialmente
tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo,
facendosi strumento di intercessione per tutti”.
A noi pastori Dio – spiega Francesco – “non chiede giudizi sprezzanti su
chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano. Le situazioni difficili
che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo, a
contatto con un cuore compunto non suscitano la risolutezza nella polemica, ma
la perseveranza nella misericordia. Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da
durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e
insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che
salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri:
permetteremo al Signore di compiere meraviglie. E non temiamo: Lui ci
sorprenderà! Il nostro ministero ne gioverà”.
“La compunzione – conclude Francesco - non è tanto frutto del nostro
esercizio, ma è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera. Il
pentimento è dono di Dio, è frutto dell’azione dello Spirito Santo”. E per
facilitarne la crescita, il Papa suggerisce “di non guardare la vita e la
chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo
all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del
futuro. Riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia
dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata. Torniamo all’adorazione e
alla preghiera del cuore”. Aci 28.3.
Papa Francesco ai cattolici di Terra Santa: “non siete soli e non vi
lasceremo soli”
“Non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi
attraverso la preghiera e la carità operosa, sperando di poter tornare presto
da voi come pellegrini, per guardarvi negli occhi e abbracciarvi, per spezzare
il pane della fraternità e contemplare quei virgulti di speranza cresciuti dai
vostri semi, sparsi nel dolore e coltivati con pazienza”. A garantirlo è il
Papa, nella lettera ai cattolici di terra Santa, in cui rinnova l’invito “a
tutti i cristiani del mondo a farvi sentire il loro sostegno concreto e a
pregare senza stancarsi, perché l’intera popolazione della vostra cara Terra
sia finalmente nella pace”. “So che i vostri Pastori, i religiosi e le
religiose vi sono vicini”, scrive Francesco: “li ringrazio di cuore per quanto
hanno fatto e continuano a fare. Cresca e risplenda, nel crogiolo della
sofferenza, l’oro dell’unità, anche con i fratelli e le sorelle delle altre
Confessioni cristiane, ai quali pure desidero manifestare la mia spirituale
vicinanza ed esprimere il mio incoraggiamento. Tutti porto nella preghiera”. E
proprio con i cattolici di Terra Santa il Papa prega così: “‘Signore, tu che
sei la nostra pace (cfr Ef 2,14-22), tu che hai proclamato beati gli operatori
di pace (cfr Mt 5,9), libera il cuore dell’uomo dall’odio, dalla violenza e dalla
vendetta. Noi guardiamo te e seguiamo te, che perdoni, che sei mite e umile di
cuore (cfr Mt 11,29). Fa’ che nessuno ci rubi dal cuore la speranza di
rialzarci e di risorgere con te, fa’ che non ci stanchiamo di affermare la
dignità di ogni uomo, senza distinzione di religione, di etnia o di
nazionalità, a partire dai più fragili: dalle donne, dagli anziani, dai piccoli
e dai poveri’”. (M.N.) aci 27.3.
“Mi cercherete e mi troverete… Storia breve di una conversione”
“Voi mi cercherete e mi troverete perché mi cercherete con tutto il vostro
cuore”. (Geremia 29, 13)
Sono nato in una famiglia cattolica come tante altre. Quando ero piccolo,
con mio padre arrivavamo sempre alla fine della messa, giusto in tempo per
salutare il prete. Quasi un omaggio domenicale a quel presbitero. Non so
perché.
Da bambino ho frequentato l’oratorio gestito dai buoni padri salesiani e
poi, crescendo, gli scout. Il grande amore della mia vita.
Penso di essere stato sempre religioso e naturalmente cristiano. Dopo il
liceo e appassionate letture dei padri della Chiesa, in particolare di Agostino
d’Ippona, e di testi teologici e di storia delle religioni, sotto la guida
amorevole del mio coltissimo e inquieto nonno materno, ho anche studiato
teologia.
Da giovane avevo fame di mondo e di vita. E di vita e di mondo ne ho
divorati tanti da allora. Sono anche diventato giornalista, mi occupavo
soprattutto di Vaticano e questioni attinenti alla religione. Poi di mafia e di
politica. Ho viaggiato molto, ho attraversato mondi.
Cercavo di essere un buon cristiano, un cittadino responsabile e impegnato,
e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma, in verità, lo cercavo con
paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come mio padre, un uomo di
formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava solo ubbidire e
l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo a Dio ma non lo amavo. La mia
obbedienza era puramente mentale. Dentro di me lo detestavo e lo maledicevo. Mi
aveva dato un’esistenza difficile e, a tratti, orribile.
Mio padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi
sforzassi, non avrei mai meritato il suo amore. Lui avrebbe sempre trovato un
motivo per punirmi con la stessa ferocia che avevo sperimentato da parte di mio
padre la cui ira scoppiava all’improvviso, come una tempesta, e si placava solo
dopo essersi scaricata con tutta la sua forza su di me. La sua violenza era
anche psicologica. Raramente mio padre era fiero di me, ricordo solo pochi
apprezzamenti, quasi sulle dita di una sola mano. Per il resto, solo
rimproveri, insulti. Mi sono sentito spesso come un cane randagio che nessuno
vuole, scacciato da tutti, venuto al mondo quasi per caso, che non si rassegna
a morire, costretto a mendicare carezze e cibo. Così ero io. Solo e non voluto,
non amato.
Quindi, pur pensando di cercarlo, in verità, fuggivo da Dio così come avevo
passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore capriccioso e
imprevedibile di mio padre.
Uno scrittore un giorno ha detto che l’inferno sono gli altri. Per me
l’inferno in terra era mio padre.
E così, pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo
conoscevo “per sentito dire” (cfr. Giobbe 42, 5). Solo a livello mentale. In verità,
ero morto dentro. Mi ero allontanato da Dio, come avevo passato la vita ad
allontanarmi a fuggire da mio padre. Pur essendo formalmente un buon cristiano,
vivevo una vita disordinata. Priva di amore, in continua e sorda ribellione.
Come il figliolo della parabola, anch’io mi sono perso. E, mentre giacevo a
terra, reso quasi impotente e stremato per le percosse della vita, il Signore
mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e la forza di volgere i miei passi e
la mia speranza verso di Lui e la sua casa.
Estate 2018. Corso di esercizi spirituali. Meditazione sulla parabola del
figliol prodigo. Ero nella mia stanza, ma mi sentivo soffocare. Il cuore mi
batteva forte. Sono uscito in giardino e gli ho urlato contro tutta la mia
rabbia. Basta! Adesso schiantami, gli ho detto, distruggimi, riprenditi questa
vita che non voglio più perché è solo dolore e solitudine, annientami, riducimi
in cenere e che il vento disperda per sempre anche il ricordo di me. Maledico
Te e la mia vita!
Il cielo era terso. La luce del sole dorava il paesaggio: il mare davanti a
me e le colline intorno. Silenzio. Un silenzio assoluto, solido, palpabile. Mi
sono accorto all’improvviso della bellezza che mi circondava. Un dono. E ho
sentito forte, avvolgente il suo amore che mi abbracciava e mi sanava il cuore.
L’amore che spezza ogni parola. Che brucia i sensi di colpa. E il cuore quasi
mi scoppiava di gioia!
Poco prima ero morto. E all’improvviso il Signore mi aveva riportato in
vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che Lui c’era
sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché lui entrasse nella mia
vita e prendesse tutto il mio dolore, la mia rabbia… il peso della mia intera
esistenza.
Ero perduto e Lui mi aveva ritrovato. Pensiamo di cercare Dio e invece è
Lui che non smette mai di cercare noi. Ognuno di noi.
“Gli sono venuto incontro da lontano e gli ho detto: ‘Ti ho sempre amato e
per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile’” (Geremia 31,3).
Ho capito, ho sentito che Dio ama ognuno di noi di un amore speciale e
unico. Per ognuno di noi, per la gioia dei nostri occhi, ricreerebbe ogni
giorno il mondo con tutti i suoi profumi e colori e l’universo intero con tutte
le sue galassie. Solo perché siamo figli amati e non servi chiamati a un’ubbidienza
cieca. E, per quanto facciamo, nessuno di noi sarà mai lontano dal suo amore.
(Cfr. Rm 8, 35-39)
Più di trent’anni fa, mio padre era spirato fra le mie braccia chiedendomi
di perdonarlo per il male che mi aveva fatto, per tutte le sofferenze che mi aveva
provocato. Lo avevo assistito, accompagnato fin sulla soglia della morte,
combattuto da sentimenti contrastanti: la pietà nel vederlo soffrire in quel
modo a causa di un brutto male che lo stava divorando e il ricordo del dolore
che mi aveva fatto provare… Non ero stato capace di perdonarlo, quasi sottovoce
gli avevo detto parole dure delle quali mi ero subito vergognato.
Solo oggi, a distanza di tanto tempo, posso di dire di averlo veramente
perdonato e spero che, nel momento in cui è spirato, abbia consegnato la sua
anima a Dio chiedendo anche il Suo perdono
Io da allora, da quel giorno, dal giorno della mia conversione, ho
desiderato solo vivere e parlare di questo amore, servirlo con quello che
rimane della mia vita. Non importa quanti giorni ancora il Signore mi
concederà, desidero che ogni giorno che Lui mi donerà sia speso solo per la sua
gloria e per servire i fratelli. Sia una piccola luce per chi ancora vive nelle
tenebre della disperazione, un segno del suo amore.
“Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove. Io preferirei stare
sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi”.
(Salmo 84, 10)
Davide Romano (de.it.press)
Una fiction su Gesù. “The Chosen”, un racconto che funziona
Una fiction su Gesù, in sette «stagioni», al momento ancora alla terza. Dal
4 marzo 2024 saranno trasmesse le prime due stagioni su TV2000.
A meno di non essere contrari per ragioni di principio (e c’è qualcuno che
lo è), è una notizia già di per sé interessante. Ancor di più sapere che è già
un successo mondiale, con oltre 200 milioni di spettatori e 770 milioni di
visualizzazioni. Ciò significa che, dal punto di vista dello spettacolo,
«funziona», e anche questo è, per alcuni, fonte di sospetto.
Libero accesso
Escludiamo, per cominciare, che sia una furba operazione di marketing
intesa a sfruttare un soggetto che, in un modo o nell’altro, fa sempre
audience. La produzione americana (piattaforma dedicata Angel Studios) non si
appoggia a nessun colosso holliwoodiano e l’accesso alla serie è sempre free.
Netflix ha ospitato per un certo periodo la prima stagione, ma poi ha
mollato l’osso, dato che si può vedere tutto senza piattaforme a pagamento,
semplicemente scaricando unìapp gratuita.
L’impresa, inoltre, è stata finanziata tramite un crowdfunding di
eccezionale successo (dieci milioni di dollari raccolti solo per la prima
serie), proprio per evitare vincoli e veti di natura commerciale o ideologica.
Aggiungiamo che non c’è pubblicità e solo si trova l’offerta di piccolo
merchandising legata alla fiction (magliette e oggettistica varia col logo
della serie).
Eliminate le fonti di sospetto che possono derivare dai perversi meccanismi
del finanziamento e della distribuzione (primo elemento positivo), un secondo
elemento positivo è la collaborazione tra evangelici (il regista Dallas Jenkins
appartiene alla Chiesa evangelica) e cattolici con la consulenza di ebrei e
mormoni. Questo fatto ha già del miracoloso.
Aspetti positivi
La serie è fatta tecnicamente bene e può piacere a molti, anche se non
tutte le puntate sono allo stesso modo avvincenti e ben riuscite sul piano
narrativo.
La figura di Gesù è una bella figura: non troppo ieratico, ma sempre
composto, misurato, capace di ironia, simpatico senza essere piacione, senza
aureola ma senza chitarra e jeans strappati, insomma. L’attore che lo
interpreta, Jonhatan Roumie, di confessione cattolica, madre irlandese e padre
egiziano, ha un volto non convenzionale, molto espressivo, capace di comunicazione
intensa anche senza parola. Gesù pronuncia sempre alla lettera le parole
presenti nei lòghia evangelici, mentre nelle altre circostanze ricostruite
nella fiction naturalmente non è così, ma sempre le sue parole sono aderenti al
significato del messaggio evangelico.
Tutte le vicende rappresentate sono tratte dalla narrazione evangelica,
anche se è ovvio che gli elementi di contesto narrativo sono fiction: in una
rappresentazione i personaggi e il contesto devono essere caratterizzati,
mentre il racconto evangelico non ha questo intento.
Va però detto che la caratterizzazione dei personaggi è fatta con
discrezione e credibilità, senza troppe concessioni al romanzesco e nessuna
provocazione. La Samaritana al pozzo, per fare un esempio di facile controversia,
è accompagnata nella rappresentazione prima e dopo l’incontro con Gesù con
scene di fantasia, ma i suoi atti e la sua figura rimangono coerenti con la
ricerca insoddisfatta prima e la gioia dell’incontro poi.
Usi e costumi dell’epoca sono ricostruiti con sostanziale fedeltà e
accuratezza, con qualche incongruenza che vedremo.
La colonna sonora e la grafica sono pregevoli: molto bella la sigla
iniziale e discreta la presenza musicale nel corso della narrazione.
Prospettiva
Il pregio maggiore però è un altro, e cioè che il punto di vista della
narrazione è quello di coloro che incontrano Gesù di volta in volta e l’effetto
su di loro del suo messaggio: si scava nelle loro aspirazioni e frustrazioni,
si osserva come le loro debolezze vengono accolte da Gesù e come la loro vita
ne viene trasformata.
Non c’è il racconto biografico della vita di Gesù, e infatti la narrazione
comincia con l’inizio della sua vita pubblica, con qualche flashback
sull’infanzia e sull’antica storia di Israele (per altro ben fatti).
Questa prospettiva suggerisce una riflessione sulle vicende di chi anche
oggi viene in contatto col vangelo: il tormento della ricerca in Nicodemo (che
alla fine non riesce a prendere una decisione radicale); la nevrosi di Matteo
il pubblicano, salvato dalla marginalità in cui è confinato e profondamente
capito e amato da Gesù; l’impulsività di Simone, da tutti ritenuto inaffidabile
e da Gesù incaricato di essere responsabile degli altri (e, a modo suo, lo
diventa); la dedizione di Maria di Magdala che, liberata dai sette demoni, deve
tutto a Gesù e solo teme che il suo affetto possa essere mal interpretato dagli
altri (ma di questo Gesù non ha paura!); e Maria, la madre e discepola, la
quale parla e agisce con spontanea disinvoltura (il che non è ovvio).
Quanto detto fin qui basterebbe, a nostro avviso, a fare di The Chosen
un’impresa apprezzabile.
Aspetti di limite
Dimenticatevi una lettura storico-critica dei vangeli. Tutto è preso
letteralmente: dai miracoli (anche se non si indulge a rappresentazioni strabilianti
e non ci sono effetti speciali) alla consapevolezza di sé che Gesù manifesta
fin dall’inizio, con una pre-scienza e un’onniscienza a volte un po’ fastidiose
(conosce la sua missione e l’evoluzione della sua storia, conosce da prima le
persone che incontra…), alla stessa origine degli scritti evangelici (Matteo,
Marco, Luca e Giovanni sono rappresentati, in un flashforward, mentre scrivono
di loro pugno la narrazione degli eventi, dopo la Pasqua, e addirittura
prendono appunti mentre si trovano con Gesù).
Insomma, il cosiddetto «filtro post-pasquale» (cioè la reinterpretazione
che gli evangelisti danno della vicenda di Gesù a partire dagli eventi della
Pasqua) è mantenuto pienamente. Non era pensabile diversamente, del resto,
considerando i soggetti che hanno partecipato all’impresa.
Qualcuno ha eccepito riguardo le presenze femminili tra i discepoli di
Gesù, ritenendole concessioni al femminismo contemporaneo, ma è certo, in
realtà, che ci fossero donne al seguito di Gesù e che la loro presenza è stata
successivamente occultata o ridimensionata da una mentalità patriarcale.
Un discorso in parte analogo può valere per la presenza di personaggi
variamente coloured: non è impensabile che nella Palestina del tempo ci fossero
anche degli africani, ma in ogni caso non è una presenza disturbante, se viene
a significare l’universalità dell’annuncio evangelico.
Piuttosto, sul piano della ricostruzione storica, troviamo eccessivamente
caricata la presenza dei Romani, che rappresentano il potere: si capisce che il
loro ruolo sia importante in una fiction, ma nella realtà dei fatti i Romani
non solo non si occupavano di quisquilie (come invece risulta da molti
episodi), ma nemmeno circolavano sempre con l’elmo in testa, tutta l’armatura e
il mantello rosso, anche se è molto scenografico (e di gusto maledettamente
americano).
Anche i Farisei rappresentano, narratologicamente, gli antagonisti e la
loro presenza di «cattivi» potrebbe sembrare caricata. Tuttavia nei vangeli i
Farisei risultano i peggiori nemici di Gesù, con poche eccezioni che pure sono
presenti: c’è il perverso Samuele, ma c’è anche Nicodemo, che cerca la verità.
Possiamo criticare anche l’eccessiva presenza della scrittura in un
contesto culturale prevalentemente ancora orale e aurale: è poco credibile che
Gesù avesse bisogno di preparare per iscritto il Discorso della Montagna o che
i pescatori e tantomeno le donne avessero accesso alla scrittura.
Su piano più tecnico, da ultimo, è manchevole il doppiaggio: è disponibile
in italiano soltanto nelle prime due «stagioni», ma soprattutto la seconda
stagione è stata doppiata male, vuoi per fretta vuoi per risparmio. Un peccato.
A proposito di linguaggi
La cosa più importante è che il racconto funziona e che il messaggio passa.
Dobbiamo tornare ai cicli di affreschi delle antiche chiese per far
conoscere a tutti il racconto biblico. Capita che un bambino di sei anni, nato
e cresciuto in Italia, venga al battesimo della sorellina e mi chieda,
guardando il crocifisso, quale strano uccello sia: anche da questo abbiamo la
misura di quanto sia necessario uscire dal catechismo e dalle omelie per
tentare forme nuove di trasmissione di una cultura religiosa di base, anche se
si tratta sempre di operazioni delicate.
Oggi i cicli di affreschi sono le fiction, anche le fiction. E pazienza se
non tutti sono Giotto o Michelangelo. Un risultato discreto, come questo, è già
un’ottima cosa. Elisa Mascellani, Sett.News 6.3.
Nella croce la luce che vince la notte. Domenica delle Palme
Carpi. Con la Domenica delle Palme inizia la settimana più santa dell’anno,
perchè riviviamo il mistero della nostra salvezza. La Chiesa ci fa meditare il
racconto della Passione di Gesù secondo il Vangelo di san Marco. Ci soffermiamo
al momento della crocifissione. L’evangelista non fa commenti, racconta i
fatti nella loro cruda realtà. Le ore in cui Gesù rimane appeso alla croce
trascorrono tra gli insulti e gli scherni. Tutto questo odio e questa violenza
che si abbattono conto di Lui non devono scandalizzarci. Tutto era già stato
predetto. San Marco divide i denigratori di Gesù in tre gruppi. Innanzitutto la
folla che si unisce al coro di coloro che lo beffeggiano e lo deridono. Poi i
capi del popolo ebraico i quali si godono la vittoria e, osservando dai piedi
del Calvario l’agonia del crocifisso, lo provocano: “scendi dalla croce e
crederemo in te”. Ma Gesù non scende dalla croce, Dio non lo salva, e quindi,
secondo il loro modo di ragionare, Gesù non è Figlio di Dio. Non capiscono che
Gesù non scende dalla croce non perchè gli è impossibile farlo, ma per amore
degli uomini. Se Dio vuole mostrare la sua potenza, allora la croce è un
fallimento. Se Dio vuole mostrare il suo amore, allora la croce è un trionfo, è
una scuola meravigliosa di vita. A questi due gruppi di schernitori si
aggiungono anche quelli che erano crocifissi con Lui. Gesù non trova un minimo
di comprensione e di compassione nemmeno in coloro che dividono con Lui gli
atroci dolori della crocifissione.
Il momento culminante della sofferenza morale e fisica di Cristo è
manifestato dalla preghiera: Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?
Tradito dai suoi discepoli e abbandonato da tutti, Gesù rimane unito al Padre
e, pur non riuscendo a percepire la sua presenza, crede in Lui, parla con Lui,
chiede il suo aiuto. La sua preghiera muove a compassione un soldato il quale
compie un gesto di umanità. Inzuppa una spugna nell’aceto, e dà da bere a
Cristo, che a causa della grande perdita di sangue è ormai disidratato,
alleviando così la sua sete. Gesù muore emettendo un forte grido. Il grido
lanciato dalla croce è un segno della sua prossima vittoria, cioè della sua
resurrezione. Esso, infatti, esce da Cristo quando ormai è giunto alla fine
della vita e le forze lo hanno abbandonato. Questo grido è la dimostrazione che
lui non è come gli altri uomini. E’ un segno che viene compreso perfettamente
dal centurione romano, il quale nel vedere il modo con cui Gesù muore, lo
riconosce come il Figlio di Dio. Gesù in croce non è un vinto, ma un vincitore.
Un poeta moderno, parlando della morte di Cristo, si è chiesto: “A cosa può
servirmi che quell'uomo / abbia sofferto, se io soffro ora? (cfr Borghes). Si
tratta di una domanda provocatoria che non è isolata. Molti, infatti, ritengono
che la morte in croce di Gesù sia stato un sacrificio inutile perchè il
peccato, la sofferenza, l’ingiustizia, la violenza e la morte continuano a
regnare incontrastate nel mondo. A questa obiezione possiamo rispondere che il
Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto non per risolvere i
problemi dell’umanità, ma per svelarci il mistero della vita e dirci che siamo
fatti per il cielo. Non va inoltre dimenticato che nella croce, Gesù si è
caricato del dolore innocente, dell’ingiustizia subita, del non senso della
vita, dell’abbandono e del tradimento degli amici, della morte, di ogni tipo di
male morale e spirituale dell’umanità per dare un senso a tutto ciò che rende
impossibile la vita. Egli si è fatto solidale con tutti. Questa solidarietà ci
porta a riconoscere che non siamo soli nel cammino della vita, abbiamo al
nostro fianco un amico che non solo ci soccorre e ci sostiene, ma che anche ci
capisce perchè Egli ha vissuto prima di noi e per noi tutti i drammi
dell’umanità, anche il mio.
La vita di Cristo, poi, non finisce lì, su quel legno. Non finisce neppure
nel buio di una tomba. Va ben al di là. In quella croce è nascosta una luce che
è capace di vincere la notte, cioè la luce sfolgorante della Resurrezione
perchè come abbiamo ricordato chi muore non è uno qualsiasi. E’ il Figlio di
Dio. Egli dopo tre giorni nel sepolcro, torna in vita per annunciare che va a
prepararci un posto nel suo Regno eterno. Possiamo, allora, veramente dire che
la Croce di Cristo è come un faro che ci permette di intravvedere, tra le
nebbie più fitte del vivere, la luce della Resurrezione. Il grande scrittore
inglese Chesterton ha affermato che cristiani sono coloro che vanno lieti nel
buio. Possiamo camminare lieti nel buio perchè Cristo fa da “scia”. E’ la luce
che si può scorgere anche nella notte più buia. E noi seguendo questa scia
abbiamo la certezza di giungere alla fine della salita dove ci attende
l’abbraccio del Padre che ci introduce nella pienezza della vita.
“L’Incarnazione e la Passione sono la follia dell’amore di Dio per farsi
accettare dall’uomo peccatore. Dopo tale follia si capisce che il più grande
peccato sia il non credere all’amore di Dio per noi” (P. Mazzolari)
Mons. Francesco Cavina, aci 24.3.
Domenica delle Palme, papa Francesco non legge l’omelia, lunghi silenzi
Papa Francesco non ha letto l'omelia che aveva preparato per la messa delle
Palme. Introducendo i riti aveva mostrato una voce affaticata. Alla fine della
lettura del Vangelo è seguito un momento di silenzio, poi direttamente il Credo
senza l'omelia del Papa. E’ la prima volta che un pontefice non legge l’omelia
della Domenica delle Palme.
Con lui concelebrano oltre 400 prelati: 30 cardinali, 25 vescovi e 350
sacerdoti. Oltre quattrocento persone hanno portato palme e ramoscelli d'ulivo.
Secondo la sala stampa vaticana i fedeli presenti in piazza San Pietro sono
stati 60mila.
L’Angelus
Il Pontefice ha poi pronunciato l’Angelus: "Assicuro la mia preghiera
per le vittime del vile attentato terroristico compiuto l'altra sera a Mosca.
Il Signore li accolga nella sua pace e conforti le loro famiglie. E converta i
cuori di quanti proteggono, organizzano e attuano queste azioni disumane che
offendono Dio, il quale ha comandato 'non ucciderai'".
Il pensiero corre anche all’Ucraina e a Gaza: "In modo speciale penso
alla martoriata Ucraina dove tantissima gente si trova senza elettricità a
causa degli intensi attacchi contro le infrastrutture che, oltre a causare
morti e sofferenza, comportano il rischio di una catastrofe umanitaria.
Pensiamo a Gaza che soffre tanto”, ha detto Francesco al termine della
celebrazione.
Il ricordo dei due operatori di pace uccisi in Colombia
Il Papa all'Angelus ha ricordato i due operatori di pace uccisi alcuni
giorni fa in Colombia. "Esprimo la mia vicinanza alla comunità di San José
de Apartado, in Colombia. Alcuni giorni fa sono stati assassinati una giovane
donna e un ragazzo. Questa comunità nel 2018 - ha ricordato Papa Francesco - è
stata premiata come esempio di impegno per l'economia solidale, la pace e i
diritti umani".
L’omelia non esiste se non viene pronunciata
La sala stampa del Vaticano si è limitata ad osservare che "l'omelia
non essendo stata pronunciata non esiste", senza aggiungere altro. Ma la
liturgia cosa prevede? Monsignor Claudio Magnoli, dottore in Sacra Liturgia,
già consultore della Congregazione per il Culto divino e autore di tantissime
pubblicazioni, all'Adnkronos, spiega: "Dal punto di vista liturgico,
l'omelia è prevista per tutte le feste ed è raccomandata per i giorni feriali.
E quindi non c'è una deroga normalmente".
Il liturgista spiega che si tratta di una regola "già dall'epoca del
Concilio di Trento e poi ribadita con più forza nel Concilio Vaticano II,
soprattutto nel legame tra omelia e parola di Dio ascoltata, vale a dire le
letture bibliche". Sottolinea ancora mons. Magnoli: "La regola
ordinaria è che in ogni festa, in ogni domenica, c'è il dovere dell'omelia da
parte di tutti i sacerdoti, di tutti i vescovi, e da parte del Papa. La deroga
deve avere, diciamo, una qualche sua ragione specifica".
LR 24.3.
I vescovi tedeschi cercano un confronto "sinodale" con Roma
Un comunicato conferma una giornata di incontri in Curia per cercare un
dialogo - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. "Differenze e convergenze, secondo il metodo
adottato nella Relazione finale di sintesi del Sinodo della Chiesa universale
dell’ottobre 2023". Le hanno rilevate i vescovi della Conferenza
Episcopale Tedesca che hanno incontrato in Vaticano alcuni rappresentati della
Curia Romana.
Un comunicato della Santa Sede che non entra nel dettaglio di alcuna
questione discussa, pubblicato a fine giornata, spiega che si tratta del
seguito del dialogo "iniziato durante la Visita ad Limina dei Vescovi
tedeschi nel novembre 2022 e proseguito con un primo scambio il 26 luglio
2023". Clima positivo e costruttivo" per "alcune questioni
teologiche aperte e sollevate nei documenti del Cammino sinodale della Chiesa
in Germania" senza entrare nel dettaglio.
Ovviamente le questioni aperte sono conosciute e sono sacerdozio femminile,
matrimonio gay e Comunione ai divorziati risposati.
Metodo usato quello proposto dal Sinodo e si è "concordato uno scambio
regolare tra i rappresentanti della CET e la Santa Sede sull'ulteriore lavoro
del Cammino sinodale e del Comitato sinodale". Da parte dei vescovi
tedeschi si "cercherà di individuare le forme concrete di esercizio della
Sinodalità nella Chiesa in Germania, in conformità con l’ecclesiologia del
Concilio Vaticano II, le disposizioni del Diritto Canonico e i frutti del
Sinodo della Chiesa universale, sottoponendole poi all’approvazione della Santa
Sede". Non è chiaro quindi quale sia la reale situazione.
Il prossimo incontro sarà prima dell’estate 2024. Segue l'elenco dei
partecipanti: "Per la Curia Romana erano presenti i Cardinali Victor
Fernandéz, Kurt Koch e Pietro Parolin, Robert F. Prevost, OSA, e Arthur Roche e
l‘Arcivescovo Filippo Iannone, O.Carm. Per la CET sono intervenuti i Vescovi
Georg Bätzing, Stephan Ackermann, Michael Gerber, Peter Kohlgraf, Bertram
Meier, Franz-Josef Overbeck, rispettivamente Presidente della CET e Presidenti
delle Commissioni Episcopali per la Liturgia, per le Vocazioni e i Servizi
Ecclesiali, per la Pastorale, per la Chiesa Universale, per la Fede, nonché la
Segretaria Generale, dott.ssa Beate Gilles, e il Portavoce della CET, Matthias
Kopp".
La questione del cammino Sinodale della Chiesa cattolica in Germania si
protrae da anni tra alti e bassi, con lettere di rimprovero da parte del Papa
ai vescovi tedeschi, ma anche da parte di altri episcopati nazionali. Il
presidente della CET Bätzing dice di non volere uno scisma, ma di fatto tenta
di portare la Chiesa cattolica in Germania ad una condizione particolare che si
distacca dal Magistero di Roma. Aci 23.3.
Il Cardinale Cantalamessa: "Lo Spirito parla al cuore, non alle
orecchie"
Nella Predica di Quaresima il Cardinale sottolinea che "Gesù è la via
e lo Spirito è la guida"- Di Marco Mancini
Città del Vaticano. Gesù rispondendo a Tommaso dice: “Io sono la via, la
verità, e la vita nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Gesù è l’unico
nell'universo che poteva pronunciare e ha pronunciato quelle parole perchè
Cristo è la via ed è la meta del viaggio come Verbo eterno ed è la verità e la
vita in quanto Verbo fatto carne”. Lo ha detto il Cardinale Raniero
Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, nella predica di Quaresima offerta
stamane al Papa e alla Curia Romana.
La sequela, a differenza della fede e dell'amore, non indica solo – ha
spiegato il Cardinale – “un'attitudine dell'intelletto e della volontà, ma
traccia un programma di vita, indica una condivisione totale nel modo di
vivere, del destino e della missione del Signore”.
Seguire Cristo è diverso rispetto a seguire chiunque altro. “La legge – ha
osservato il porporato, citando il Vangelo di Giovanni - fu data per mezzo di
Mosè ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Per noi
religiosi questo significa che la regola ci è stata data per mezzo del nostro
fondatore, della nostra fondatrice ma la grazia e la forza di osservarla ci
viene soltanto da Gesù Cristo. Per noi e per tutti i cristiani, religiosi o no,
quella parola significa anche un'altra cosa ancora più radicale Il Vangelo ci è
stato dato dal Gesù terreno, ma la capacità di osservarlo, di metterlo in
pratica ci viene soltanto da Gesù risorto che opera attraverso lo Spirito
Santo”.
Gesù ci dice che “lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità
perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi
annunzierà le cose future. Se Gesù dunque è la via, lo Spirito Santo è la
guida”.
Lo Spirito – ha detto ancora il Predicatore della Casa Pontificia – è un
suggeritore: “lo Spirito Santo che illumina tutto resta per così dire dietro le
quinte e parla sotto voce. A differenza dei suggeritori umani, Egli non parla
alle orecchie ma al cuore. Non suggerisce meccanicamente le parole del Vangelo
come da un copione ma le spiega, le adatta, le applica alle situazioni. Stiamo
parlando delle ispirazioni dello Spirito, le cosiddette buone ispirazioni. La
fedeltà all'ispirazione è la via più breve e più sicura alla santità. Noi non
sappiamo in partenza qual è in concreto la santità che Dio vuole da ognuno di
noi, Dio solo la conosce e ce la rivela a mano a mano che il cammino prosegue.
Non basta perciò avere un programma di perfezione ben chiaro per poi
realizzarlo via via, non c'è un modello di perfezione identico per tutti Dio,
non fa i santi in serie, non ama la clonazione. Ogni santo è una invenzione
inedita dello Spirito”. Aci 22.3.
Dio esiste? La scienza lo dimostra, leggendo il libro di Bolloré e
Bonnassies
Arrivato anche in Italia il libro “Dio. La scienza, le prove. L’alba di una
rivoluzione”, di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, che in Francia ha
venduto 300mila copie e nel Bel Paese è già stato ristampato 2 volte, vendendo
nella prima settimana 3mila copie grazie alle quali è nono nella classifica
generale delle vendite e secondo in quella dei saggi, riuscendo ad incuriosire
i lettori grazie ad un linguaggio accessibile con il quale vengono riportate le
testimonianze di 20 specialisti che dimostrano come un’intelligenza creatrice
non sia inconciliabile con l’evidenza scientifica. Abbiamo raggiunto gli autori
per chiedere loro qualcosa di più su un libro così controverso, che non può
evitarci di mettere provocatoriamente il punto interrogativo proprio sul titolo
stesso: ma quindi Dio esiste? E voi credete in Dio? Marco Calvarese
Arrivato anche in Italia il libro “Dio. La scienza, le prove. L’alba di una
rivoluzione” (ed. Sonda), di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, che in
Francia ha venduto 300mila copie e nel Bel Paese è già stato ristampato 2
volte, vendendo nella prima settimana 3mila copie grazie alle quali è nono
nella classifica generale delle vendite e secondo in quella dei saggi,
riuscendo ad incuriosire i lettori grazie ad un linguaggio accessibile con il
quale vengono riportate le testimonianze di 20 specialisti che dimostrano come
un’intelligenza creatrice non sia inconciliabile con l’evidenza scientifica. La
prefazione del volume originale è dell’astronomo e fisico statunitense Robert
Woodrow Wilson, vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1978, grazie alla
scoperta fatta nel 1964 assieme ad Arno Penzias, della radiazione cosmica di
fondo, considerata la prova più importante in favore della teoria del Bing
Bang. Nella traduzione italiana la prefazione è affidata ad Antonino Zichichi,
fisico al Cern e divulgatore scientifico italiano, specializzato nel campo
della fisica delle particelle. Abbiamo raggiunto gli autori per chiedere loro
qualcosa di più su un libro così controverso, che non può evitarci di mettere
provocatoriamente il punto interrogativo proprio sul titolo stesso: ma quindi
Dio esiste? E voi credete in Dio? “L’oggetto del libro è proprio quello di
dimostrare che un Dio creatore esiste e che questa è una credenza razionale, è
invece irrazionale il contrario. Quindi la risposta è sì, Io credo che Dio
esista e io credo in Dio”, le parole di Michel-Yves Bolloré, ingegnere e
direttore d’azienda, che fanno il paio con quelle di Olivier Bonnassies,
politecnico e imprenditore, “Io penso che dal punto di vista della conoscenza e
del sapere ci sono tutte le prove e tutti gli elementi necessari per concludere
in modo molto razionale che Dio esiste, come dice la Chiesa cattolica. Con la
luce naturale della ragione umana si può arrivare alla certezza dell’esistenza
di Dio”. Un lavoro durato 3 anni e mezzo che ha superato le aspettative
iniziali, un tempo necessario per realizzare un panorama completo di tutte le
prove razionali ed esatte dell’esistenza di Dio, presentate con un linguaggio
accessibile a tutti, dal ragazzo 15enne alla persona anziana, come sottolineano
gli autori stessi. “Questo Libro non esisteva”, dichiara Bolloré, non
nascondendo la fatica nel redarlo, ma anche la soddisfazione per aver portato a
compimento un tale lavoro, grazie alla complicità di Bonnassies che aggiunge,
“Era importante per noi fare un’opera di divulgazione, rendere accessibile
questo sapere a tutti, perché siamo sorpresi dal fatto che più in quest’epoca
esistono sempre più prove dell’esistenza di Dio, e sempre meno persone che
credono”.
Un testo diviso in 12 temi tra i quali è difficile avere una preferenza per
gli autori, dato che il valore del libro sta nel fatto che tutti si incrociano
e portano alla stessa conclusione, venendo con una convergenza da discipline e
da saperi molto diversi, anche se per Bolloré quello della biologia fornisce
informazioni straordinarie. Potendo mettere da parte la domanda sull’esistenza
di Dio, verrebbe quindi da domandarsi come sia fatto, ma secondo gli autori non
arriveremo mai a questo, “nella tradizione cristiana San Tommaso d’Aquino, ad
esempio, nella somma teologica parla della conoscenza di Dio senza la fede, e
poi anche in un’altra opera parla dell’esistenza di Dio che si può leggere, che
si può individuare soltanto come elemento negativo, quindi come causa che porta
a degli effetti”, sono le parole di Olivier Bonnassies che aggiunge, “La
conoscenza di Dio è molto limitata, ma se lui si rivela è possibile ampliarla
moltissimo. E poi si potrebbe fare anche un’inchiesta su quali sono le ragioni
per credere e nella verità della rivelazione nell’ambito della cristianità. Ma
questo sarebbe un altro argomento, non è quello del nostro libro”. Guardando
alle ere geologiche e riportando la riflessione alla contemporaneità, dove si
assiste a tragedie sempre più legate al cambiamento climatico, viene da
domandarsi quanto l’operato dell’uomo incida su quello di Dio. “Per quanto mi
riguarda, la consapevolezza del funzionamento così straordinario della
regolazione della terra è un aspetto positivo. Sappiamo oggi quanto questi
parametri così sottili che sono stati definiti sono importanti e quanto l’uomo
può arrivare a scombussolare, a stravolgere questo equilibrio così precario e
così fragile”, dichiara Michel-Yves Bolloré che conclude, “questo ci consenta di
capire ancora di più fino a che punto ci si è spinti in questa regolazione così
sofisticata. Quindi questo ci aiuta a capire che, e nel libro lo diciamo, non è
soltanto la regolazione del cosmo che è stata fatta in modo così raffinato, ma
anche quella della terra, che fino a che punto questo equilibrio è fragile e
quindi, fino a che punto dobbiamo stare attenti a non sconvolgerlo”. Una
consapevolezza che, anche per chi parla di scienza, apre ad una riflessione che
sembra rinnovare il principio fondamentale legato a Dio, il libero arbitrio,
cioè quel concetto filosofico e teologico che lascia all’uomo la piena volontà
e possibilità di scelta libera, senza origine esterne. “Abbiamo perso la
consapevolezza collettiva della conoscenza di Dio. Cioè questo ha scombinato
anche il concetto di bene o male. Non si sa più che cosa è giusto e cosa è
sbagliato. Si può fare qualunque cosa”, racconta Bonnassies che conclude, “Io
spero che la consapevolezza che abbiamo acquisito con tutte queste prove che la
scienza si dà sull’esistenza di Dio, ci possa portare a modificare questo
atteggiamento. Per questo noi abbiamo parlato dell’alba di una rivoluzione in
questo libro. Speriamo che sia l’alba di una rivoluzione che cambierà la
società”. Sir 21.3.
Fa’ la cosa giusta! La voce della sostenibilità, con il Cardinale Matteo
Zuppi
“Rendere visibile l’essenziale” è il filo rosso dell’edizione di quest’anno
della Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili.
Apre il Cardinale Zuppi
Milano. “Rendere visibile l’essenziale” è il filo rosso dell’edizione di
quest’anno della Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita
sostenibili. Apre il Cardinale Zuppi.
Inizia così “Dal dire al fare”, l’inedito glossario di Fa’ la cosa giusta!
per festeggiare i suoi 20 anni e raccontare, attraverso 80 parole essenziali,
come sono cambiate le idee e le prassi dal 2004 a oggi in fatto di sostenibilità
ambientale e sociale. Per raccontare i comportamenti, le esperienze, i progetti
e i prodotti che rendono visibile che “un altro mondo è possibile”. Fa’ la cosa
giusta! festeggia 20 anni: il filo rosso di questa edizione - organizzata dalla
casa editrice Terre di mezzo - è “Rendere visibile l’essenziale”.
Apre gli incontri di questa edizione l’appuntamento di venerdì 22 marzo
(ore 11) con il Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente
della Conferenza Episcopale Italiana, oltre che inviato speciale del Papa per
la pace in Ucraina. Con lui parleremo del perdono come possibile strumento per
costruire la storia. “Pace e partecipazione” è una delle 8 sezioni di Fa’ la
cosa giusta che accompagnano la fiera fin dal suo esordio, si legge anche nel
comunicato stampa ufficiale.
Un altro evento nell’evento è l’ormai famosa “Fiera dei Grandi Cammini”:
"3 giorni di incontri e un’ampia esposizione di stand dedicati alle
proposte di cammini, cicloviaggi e turismo consapevole che valorizzano le comunità,
i patrimoni territoriali, culturali, naturali ed enogastronomici", spiega
la nota.
La Fiera dei Grandi Cammini è l’occasione per raccontare per esempio i
nuovi cammini per raggiungere Santiago de Compostela, come il Cammino d’Inverno
e quelli del Primitivo e del Salvador, oppure novità assolute nell’ambito dei
pellegrinaggi italiani, come il marchigiano Cammino dei Cappuccini e il
calabrese Cammino di San Francesco di Paola, e ancora le strategie per
affrontare percorsi impegnativi come l’epica competizione valdostana del Tor de
Géants.
In questa edizione sono protagoniste anche diverse mostre, partendo da “100
Afriche”, che raccoglie centro immagini pubblicate da Africa Rivista per
raccontare storie, di luci e di ombre, ignorate dalla stampa mainstream,
invitando a guardare il “continente vero” con occhi nuovi.
“I Migranti mappano l’Europa” è una mostra che sposta il punto di vista
sulle città europee, guardandole dalla prospettiva di chi sta cercando di
abitarle. Milano, Napoli, Bologna, Parigi e tante altre: 200 mappe in tutto
rappresentate attraverso lo sguardo dei migranti, che tratteggiano i luoghi più
significativi, i percorsi più frequenti, gli spazi abitati, i punti scelti come
riferimenti e quelli considerati inaccessibili. "Un invito all’accoglienza
e uno spunto per ricostruire". Aci 21.3.
Conferenza stampa di mons. Baturi al termine del Consiglio Cei (18-20.3.)
“C’è preoccupazione e perplessità tra i vescovi per un allargamento delle
differenze che possono far cadere in un particolarismo istituzionale”. Mons.
Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha
risposto così alle domande dei giornalisti sull’autonomia differenziata,
durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente,
svoltosi in questi giorni a Roma. “Presto svilupperemo una posizione unitaria
su questo tema”, ha annunciato il vescovo, citando il documento “Chiesa
italiana e Mezzogiorno”, del 2010, e rilanciando la “preoccupazione per la
tenuta del sistema Paese” già denunciata dal presidente della Cei, card. Matteo
Zuppi, nella sua introduzione ai lavori. “Il nostro Paese – ha spiegato Baturi
– deve poter reggersi secondo legami di solidarietà, intervenendo sulle
disuguaglianze e prestando attenzione a dinamiche e meccanismi istituzionali
che potrebbero allargare le disuguaglianze nell’accesso ai servizi
fondamentali”. “C’è preoccupazione, c’è perplessità”, ha ripetuto il segretario
generale della Cei, “anche perché siamo in un momento in cui serve un rilancio
dell’Europa: come hanno detto i vescovi europei, occorre rilanciare l’Europa
come sistema di protezione delle persone e delle comunità. In quest’opera di
rilancio, l’Italia deve poter intervenire come un Paese unito”.
Per i vescovi italiani, occorre mantenere alta l’attenzione “su scelte
legislative non in linea con il Magistero e con i principi sanciti
dall’articolo 11 della Costituzione”, ha ribadito mons. Giuseppe Baturi. “Il
tema della corsa agli armamenti è un tema che ci sta a cuore, al di là delle
contingenze”, ha detto Baturi, ricordando che “non si tratta di un tema nuovo:
anche prima dell’invasione russa dell’Ucraina, nel Messaggio per la pace del
2020, Papa Francesco aveva fatto notare che in tutto il mondo si stavano
superando gli stanziamenti del periodo relativo alla fine della guerra fredda,
mentre diminuivano gli stanziamenti globali sull’educazione”. Altro tema che
sta a cuore ai vescovi, ha proseguito il segretario generale della Cei, è
quello della “trasparenza”, che implica la garanzia che “il commercio delle
armi, che non ci può vedere favorevoli, comunque sia tracciabile”. “Tra i
vescovi – ha reso noto Baturi – c’è preoccupazione per scelte legislative che
possano rendere ancora meno legittimo questo processo. Sia i vescovi che il
presidente della Cei hanno espresso molte perplessità a questo riguardo”. In
quest’ottica, ha fatto notare Baturi, “l’obiezione di coscienza fa parte della
tradizione della Chiesa, che ha portato anche a scelte profonde, forti, che è
necessario ascoltare. Il tema fondamentale è educare alla è pace: per preparare
alla pace bisogna educare gli uomini alla pace, come ha detto il cardinale
Zuppi. Al di là delle questioni legislative, si tratta di un problema
culturale: il primato della persona e la salvaguardia della vita, della giustizia
e della libertà dovrebbero sempre venire prima rispetto ad atteggiamenti
agonistici. L’obiettivo della pace richiede l’educazione alla pace e le scelte
conseguenti”.
“Confidiamo che si possano chiarire gli elementi, ma potremmo intervenire
con più consapevolezza quando avremo maggiore cognizione delle contestazioni”,
ha continuato mons.Giuseppe Baturi sull’indagine giudiziaria riguardante la
diocesi di Ozieri, e in particolare i fondi della Cooperativa Spes, nella quale
risulta coinvolto anche il vescovo, mons. Corrado Melis. “Certamente c’è la
massima attenzione, siamo vicini al confratello nella preghiera e con
l’affetto”, ha aggiunto Baturi, rendendo noto ai giornalisti di aver incontrato
in questi giorni il vescovo e ricordando che “sul versante della carità ci sono
diversi filoni di finanziamento attraverso l’otto per mille, annuali e legati a
specifici progetti”.
“La necessità del rispetto del fatto religioso e dell’identità delle
comunità religiose, da parte dello Stato, è un fatto positivo, appartiene alla
laicità tipica dello Stato italiano”, ha detto ancora mons. Giuseppe Baturi in
merito alla scuola chiusa a Pioltello per il Ramadan. “La laicità all’italiana
– ha ricordato il segretario generale della Cei citando una sentenza della
Corte Costituzionale – non sopprime le identità religiose, ma le promuove in un
contesto di rispetto vicendevole”. “Questo, però, deve avvenire dentro un
contesto istituzionale di rispetto di norme e di procedure”, ha precisato
Baturi: “Non so se nel caso specifico si sia rispettato tutto il percorso
amministrativo, ma in generale vale il rispetto per ogni forma di libertà
religiosa”. M.Michela Nicolais, Sir
20.3.
La virtù della prudenza. "Dio non ci vuole solo santi, ci vuole santi
intelligenti!"
Il Papa, continuando il ciclo di catechesi su “I vizi e le virtù”, incentra
la sua riflessione sul tema "La prudenza". Vediamo le caratteristiche
di questa virtù - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Il Papa, continuando il ciclo di catechesi su “I vizi e
le virtù”, incentra la sua riflessione sul tema "La prudenza".
"Adesso sentiremo la catechesi di oggi, ho chiesto a Monsignore di
leggerla perchè io ancora non posso", dice subito Papa Francesco che anche
oggi non legge lui il discorso a causa di un raffreddore che lo affligge da un
pò.
Il Papa passa quindi la parola a padre Pierluigi Giroli.
"Essa, insieme a giustizia, fortezza e temperanza forma le virtù
cosiddette cardinali, che non sono prerogativa esclusiva dei cristiani, ma
appartengono al patrimonio della sapienza antica, in particolare dei filosofi
greci. Perciò uno dei temi più interessanti nell’opera di incontro e di
inculturazione fu proprio quello delle virtù", questo il pensiero della
catechesi letta in Piazza San Pietro.
"I teologi hanno immaginato il settenario delle virtù – le tre
teologali e le quattro cardinali – come una sorta di organismo vivente, dove
ogni virtù ha uno spazio armonico da occupare. Ci sono virtù essenziali e virtù
accessorie, come pilastri, colonne e capitelli", continua il discorso del
Pontefice.
Ma cosa è la prudenza. Per Francesco "essa non è la virtù della
persona timorosa, sempre titubante circa l’azione da intraprendere. No, questa
è un’interpretazione sbagliata. Non è nemmeno solo la cautela. Accordare un
primato alla prudenza significa che l’azione dell’uomo è nelle mani della sua
intelligenza e libertà. La persona prudente è creativa: ragiona, valuta, cerca
di comprendere la complessità del reale e non si lascia travolgere dalle
emozioni, dalla pigrizia, dalle pressioni, dall illusioni".
"È la capacità di governare le azioni per indirizzarle verso il bene;
per questo motivo essa è soprannominata il “cocchiere delle virtù”. Prudente è
colui o colei che è capace di scegliere: finché resta nei libri, la vita è
sempre facile, ma in mezzo ai venti e alle onde del quotidiano è tutt’altra
cosa, spesso siamo incerti e non sappiamo da che parte andare. Chi è prudente
non sceglie a caso: anzitutto sa che cosa vuole, quindi pondera le situazioni,
si fa consigliare e, con visione ampia e libertà interiore, sceglie quale
sentiero imboccare", si legge ancora nel discorso.
"La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché
ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di
saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose
nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi
dobbiamo affrontarli partendo da zero. E la persona prudente è anche
previdente. Una volta decisa la meta a cui tendere, bisogna procurarsi tutti i
mezzi per raggiungerla", ne è convinto il Papa nella catechesi letta da un
collaboratore.
"Come dire che Dio non ci vuole solo santi, ci vuole santi intelligenti,
perché senza la prudenza è un attimo sbagliare strada!", conclude il
discorso di Francesco. Aci 20.3.
«Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro»: uscito il 2° volume
«Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro», volume 2°, è l’ultimo libro
scritto da Massimo Pavanello per la Tau Editrice.
Si avvale della prefazione di Antonella Benedetta Ventre, giornalista della
Rai, con esperienza di studi e di lavoro all’estero; e della postfazione di don
Antonio Serra, da anni residente a Londra e coordinatore nazionale delle
Missioni Cattoliche Italiane in Inghilterra e Galles.
Contenuti del libro
Il testo raccoglie una decina di interviste realizzate per la rubrica «Gli
italiani nel mondo. E la Chiesa con loro» proposta da Radio Mater. Una
trasmissione ideata e condotta da Massimo Pavanello, con la consulenza della
Fondazione Migrantes.
L’interesse giornalistico dà conto della vita di alcune Missioni Cattoliche
Italiane. Dopo un primo volume, con testimonianze attinte all’interno del
Vecchio continente, questo secondo offre microfono a voci che abitano fuori
dall’Europa.
Preti, imprenditori, funzionari di Organizzazioni internazionali, giovani,
hanno conversato con il conduttore raccontando la propria esperienza di
italiani all’estero e il ruolo delle Missioni Cattoliche Italiane nel fare
comunità.
Nei colloqui sono stati affrontati anche argomenti mutuati dalla cronaca:
la guerra, con un cappellano militare; le migrazioni, con un missionario
impegnato in Marocco; l’Estremo Oriente, con un imprenditore che lavora a Hong
Kong; l’8xmille destinato ai progetti esteri; la scelta di trasferirsi fuori
dall’Italia, con una giovane connazionale che ora vive in Canada. Senza
dimenticare la presenza di carità che gli italiani testimoniano in questi
contesti.
Il pensiero finale è quasi una dedica. Né la prima né la seconda edizione
della rubrica radiofonica hanno potuto ospitare membri della vivace Comunità
italiana di Mosca che si raduna presso la chiesa di San Luigi dei Francesi. Il
contesto internazionale ha suggerito di custodire questo gruppo di fedeli. Il
libro riporta, tuttavia, il sobrio messaggio di gratitudine che la comunità
stessa ha reso noto dopo la visita, nella capitale russa, dell’inviato di pace
di papa Francesco, il cardinale Matteo Maria Zuppi.
Dichiarazione dell’autore
«L’intuizione che ha portato a questo libro (frutto dell’omonima rubrica
radiofonica) - dichiara Pavanello - parte da un dato: ci sono più italiani nel
mondo che stranieri in Italia. Da quando l’emigrazione è un fenomeno, i
connazionali all’estero hanno avuto al loro fianco una Chiesa dall’idioma
familiare. Per tutti, anche i molti realizzati, è il bisogno e non il
romanticismo a spingere verso nuovi lidi».
L’Autore, da questa ricognizione ad extra, individua anche una ricaduta
interna. Infatti, chiosa: «Conoscere l’andamento vettoriale della emigrazione
italiana, che include il dato spirituale, facilita anche la rilettura
dell’immigrazione verso le coste domestiche».
Chi è l’autore
Massimo Pavanello, Dottore in teologia, per l’arcidiocesi di Milano è
responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa
e del Servizio per il turismo e i pellegrinaggi.
Ha frequentato corsi di cooperazione internazionale e sviluppo sostenibile
presso l’ISPI di Milano. Ha pubblicato diversi lavori frutto di viaggi
missionari. Sacerdote, affianca il ministero parrocchiale all’impegno
giornalistico.
Per contatti: pavanellomassimo@gmail.com (de.it.press)
Cuore di Padre, chi era Giuseppe di Nazareth? E chi è adesso? Un film
documentario
Roma. Un film che racconta le testimonianze di coloro che hanno visto
autentici miracoli compiuti per intercessione di San Giuseppe. Dalla
ricostruzione dei matrimoni falliti all'aiuto ai morenti. Ma, chi era Giuseppe
di Nazareth? E chi è adesso? Quest'uomo misterioso oggi è più attivo che mai.
Si tratta del film documentario “Cuore di Padre” diretto dal regista Andrés
Garrigó, e prodotto dalla casa di produzione spagnola Goya Producciones, ha già
raggiunto 85 città in Italia, suscitando un crescente interesse in prossimità
della festa di San Giuseppe, il 19 marzo. Le proiezioni, iniziate l’anno scorso
a Roma, continuano a riscontrare un eco positivo nel pubblico grazie al passaparola
e all'impegno di molti volontari.
Secondo il regista Andrés Garrigó, l’intercessione San
Giuseppe potrebbe cambiare la Chiesa e il mondo di oggi: “Sappiamo tutti
che la Chiesa ha urgente bisogno dell’aiuto celeste. E quale patrocinio può
essere più efficace, dopo quello di Gesù e Maria, di quello di colui che fu
capostipite della Famiglia di Nazareth? Inoltre, ciò che gli chiediamo,
Giuseppe lo trasmette alla sua Sposa, ed Ella al suo Figlio”
ll documentario raccoglie testimonianza attuali e straordinarie di persone
semplici segnate dall'azione del santo, da Cotignac in Francia, passando per
Toledo, Avila e Barcellona in Spagna, fino in Canada e nelle Filippine. Tra le
tappe che costellano questo lungo camino ci sono quelle di San Giuseppe al Trionfale
a Roma e di Tuscania in provincia di Viterbo, dove sorelle del Verbo Incarnato
rievocano l’episodio dell’apparizione de San Giuseppe.
“Mi sembra, aggiunge Garrigó, che “Cuore di Padre” dimostra che oggi, più
che mai, il mondo ha bisogno di San Giuseppe. E una delle cause è che la figura
del padre, come la nozione di famiglia, viene attaccata con una furia mai vista
prima. Ecco perché dobbiamo fidarci di lui. Lo diceva Santa Teresa: “Tutto
quello che ho chiesto a San Giuseppe mi è stato concesso”.
Secondo Anna Lambiase, promotrice del film in Italia, “La cosa più
importante è che quasi tutti escono dalle proiezioni, sia nei cinema
parrocchiali che in quelli commerciali, molto entusiasti e fiduciosi. Molte
persone hanno scoperto la figura di San Giuseppe e sono ricorse alla sua
intercessione. Una persona di Terni ha ottenuto la guarigione della figlia,
un'altra di Reggio Emilia un lavoro a tempo pieno per il figlio, e tante altre
storie.”
Nei suoi 24 anni di vita, Goya Producciones è divenuta un punto di riferimento
mondiale nella produzione e distribuzione di contenuti audiovisivi di valore.
Le sue ultime opere hanno avuto un grande successo di critica e di pubblico:
"Fatima, l'ultimo mistero", "Cuore Ardente" o il film
"Terra Santa. L'ultimo pellegrino" sulle conversioni e le
testimonianze nella terra di Gesù. Con "Petra di San Giuseppe"
continua il suo impegno a portare sul grande schermo la vita di persone che
hanno lasciato un segno profondo, come ha fatto con "Poveda - amico forte
di Dio" e "Madre Soledad, al servizio degli infermi".
La promotorice ha organizzato quattro catechesi settimanali su San Giuseppe
via zoom per i volontari che hanno sostenuto la diffusione del film. Se ci sarà
interesse, si pensa di continuare con le catechesi mensili.
Per ulteriori informazioni e prenotazioni in Italia è possibile andare sul
sito: www.cuoredipadre.it aci 19.3.
Festa del papà. San Giuseppe, “l’uomo che passa inosservato”
Papa Francesco nutre una speciale devozione per lo sposo di Maria e il
padre putativo di Gesù, al quale ha dedicato una lettera apostolica, un anno
speciale e un ciclo di catechesi. Ma le radici del suo rapporto di intimità
spirituale con il "custode della Chiesa" risalgono alle origini della
sua vocazione e del suo pontificato, iniziato undici anni fa - M. Michela
Nicolais
“Padri non si nasce, lo si diventa”. Si conclude così la lettera apostolica
Patris Corde, con la quale Papa Francesco – in piena pandemia, dall’8 dicembre
2020 all’8 dicembre 2021 – ha indetto uno speciale anno dedicato a quello che
lui definisce “il custode della Chiesa” e per il quale nutre da sempre una
particolare devozione, come ha rivelato fin dalla messa di inizio del suo
ministero petrino, esattamente undici anni fa. È a San Giuseppe, infatti,
che il Papa argentino deve la data della sua vocazione sacerdotale: era il 19
marzo 1953 quando nella chiesa di San José di Buenos Aires il
diciassettenne Jorge Mario Bergoglio scopre la vocazione al sacerdozio. Ed
è con San Giuseppe che ha una consuetudine quotidiana di preghiera, anche
grazie alla statuetta di San Giuseppe dormiente che è ora nel suo appartamento
a Casa Santa Marta ma che risale all’epoca in cui risiedeva nel Collegio San
Miguel, di cui era rettore. “Sulla mia scrivania ho un’immagine di San Giuseppe
mentre dorme”, ha rivelato il Papa: “E quando ho un problema o una difficoltà
io scrivo un biglietto su un pezzo di carta e lo metto sotto la statua di San
Giuseppe affinché lui possa sognarlo. Ma come san Giuseppe, una volta ascoltata
la voce di Dio, dobbiamo riscuoterci dal nostro sonno. Dobbiamo alzarci e
agire”. Oltre alla Patris Corde, il Papa ha dedicato a San Giuseppe un ciclo di
12 catechesi, dal 17 novembre 2021 al 16 febbraio 2022.
“Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di
padre”, la denuncia del Papa al termine della lettera apostolica: “Anche la
Chiesa di oggi ha bisogno di padri”.
“Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato,
l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un
sostegno e una guida nei momenti di difficoltà”, assicura Francesco, secondo il
quale “San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente
nascosti o in ‘seconda linea’ hanno un protagonismo senza pari nella storia
della salvezza”.
Maestro di tenerezza e di obbedienza, San Giuseppe ci dimostra come la
storia della salvezza si compie attraverso le nostre debolezze. “Troppe volte
pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi,
mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e
nonostante la nostra debolezza”, il monito: “Giuseppe ci insegna che, in mezzo
alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della
nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno
sguardo più grande”.
“In questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla
donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato
che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la
dignità e la vita di Maria”.
Così il Papa definisce la capacità di “accoglienza” di San Giuseppe nei
confronti della sua futura sposa e della sua storia. “Se non ci riconciliamo
con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché
rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti
delusioni”, il grido d’allarme: “Solo il Signore può darci la forza di
accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte
contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza”, garantisce il Papa: “La
venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si
riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino
in fondo”.
“La fede che ci ha insegnato Cristo è quella che vediamo in San Giuseppe,
che non cerca scorciatoie, ma affronta ‘ad occhi aperti’ quello che gli sta
capitando, assumendone in prima persona la responsabilità”.
L’accoglienza di Giuseppe ci invita “ad accogliere gli altri, senza
esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli”. “Occorre
deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione
mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure
esiste”, l’invito del Papa sulla scorta di San Giuseppe: “La vita di ciascuno
di noi può ripartire miracolosamente.
E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se
alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le
rocce”.
San Giuseppe è “uno speciale patrono per tutti coloro che devono lasciare
la loro terra a causa delle guerre, dell’odio, della persecuzione e della
miseria”, sostiene inoltre Bergoglio: “Se certe volte Dio sembra non aiutarci,
ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello
che possiamo progettare, inventare, trovare”. Sir 19.3.
La vera morte è l'incapacità di amare. V Domenica di Quaresima
Carpi, domenica. Manca poco più di una settimana alla morte di Gesù e
alcuni simpatizzanti ebrei di origine greca che si trovano a Gerusalemme
rivolgono a Filippo e ad Andrea la richiesta di potere vedere Gesù. Questo
gruppo di greci rappresentano i popoli della terra che saranno attirati a
Cristo dalla fecondità del suo sacrificio. Gesù stesso, infatti, affermerà che
una volta innalzato sul patibolo della croce, attirerà tutti a sè, perché
l’uomo non rimane insensibile “a tanto amore” di Dio nei confronti
dell’umanità.
Cristo paragona la sua vita a quella del chicco di grano che per portare
frutto abbondante deve, una volta caduto nella terra, scomparire. Dice che la
vera vita sta nel morire. Si tratta di parole che ci appaiono assurde,
paradossali, ma in realtà rivelano una verità che è evidente per tutti coloro
che amano. La vera morte non è quella fisica, ma l’incapacità di amare, di
donare e di “perdere” sé stessi per coloro che si amano, perché questa è la
legge della vita: morire al proprio egoismo, che rende sterile l’esistenza, per
vivere nell’amore.
La certezza della fecondità dell’amore, del donare la vita non impedisce,
però, a Gesù di sentire l’angoscia per la sua morte fisica. Il pensiero che per
vivere in pienezza è necessario subire il destino del chicco di grano nella
terra, lo turba profondamente. Gli evangelisti ci dicono che Gesù è stato
tentato di fare ricorso alla sua divinità per non dovere sottostare alla
condizione di fragilità della vita umana (cfr Mt 4,11; Mc 14,32). Ma Egli
supera questa tentazione riaffermando ostinatamente la sua fedeltà alla volontà
del Padre. Anche noi, come Cristo, di fronte all’enigma del dolore e della
morte possiamo vacillare ed essere tentati di ripiegarci su noi stessi, ma la
fede ci aiuta e ci insegna a volgere il nostro sguardo verso il Signore
crocifisso e risorto perché Lui è l’aiuto, la compagnia e il sostegno per
potere continuare a sperare nella prova. La morte e la sofferenza sono un male,
ma Gesù dà ad esse un significato nuovo: uniti a Lui esse non sono distruzione
e annientamento, ma via per partecipare alla sua gloria. Lui è il solo che
dalla morte è capace di fare risorgere la vita.
Scriveva san Francesco di Sales: “Le notti sono dei giorni quando Dio è nel
nostro cuore, e i giorni sono delle notti quando Egli non vi è”. Lasciamo che
il Signore, con la sua presenza, illumini la notte del nostro dolore. Infatti,
senza il Signore tutte le iniziative umane, per quanto ben organizzate,
risultano inefficaci perché l’uomo porta con sé delle domande che conducono a
riflettere non su che cosa fare, ma su chi siamo. Solo quando Cristo viene
sulla riva del mare della nostra vita i nostri fallimenti, le nostre fragilità,
i nostri peccati, la nostra stessa morte assumono una luce nuova. Se Lui ci
custodisce non abbiamo nulla da temere, mentre se Lui è assente non abbiamo più
nulla da sperare. Mons. Francesco Cavina,
aci
Bischofskonferenz nimmt Bericht zur reproduktiven Selbstbestimmung mit Sorge wahr
Heute (15. April 2024) ist in
Berlin der Bericht der Kommission zur reproduktiven Selbstbestimmung und
Fortpflanzungsmedizin veröffentlicht worden. Dazu erklärt der Vorsitzende der
Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing:
„Den heute veröffentlichten
Bericht der von der Bundesregierung eingesetzten Kommission zur reproduktiven
Selbstbestimmung und Fortpflanzungsmedizin und die in ihm enthaltenen
Empfehlungen an den Gesetzgeber nimmt die Deutsche Bischofskonferenz mit großer
Sorge wahr. Angesichts der mit den Empfehlungen aufgeworfenen fundamentalen
Fragen, die die Grundlagen unserer Gesellschaft betreffen, halten wir eine
intensive, grundlegende Auseinandersetzung mit dem Kommissionsbericht in
ethischer und juristischer Perspektive für zwingend erforderlich. Die
Ergebnisse zur Neukonzeption des Schwangerschaftsabbruchs betrachten wir als zu
einseitig. Die geltende Rechtslage schützt sowohl Selbstbestimmung und
Gesundheit der Frau als auch das ungeborene Kind.
Die Arbeitsgruppe 1 der
Kommission empfiehlt eine umfassende Neukonzeption der gesetzlichen Regelung
des Schwangerschaftsabbruchs. Mindestens in der Frühphase der Schwangerschaft
soll nach dieser Empfehlung der Abbruch, ohne dass es einer Beratung bedarf,
rechtmäßig und straffrei sein. In den ersten Wochen nach Nidation habe, so wird
argumentiert, das Lebensrecht des Embryos/Fetus geringes Gewicht. Erst in der
Spätphase der Schwangerschaft, und zwar erst ab dem Zeitpunkt, zu dem der Fetus
ex utero lebensfähig ist, soll der Gesetzgeber den Abbruch grundsätzlich nicht
erlauben.
Die Empfehlungen der
Kommission beruhen auf der Annahme, ein Schwangerschaftsabbruch verletze das ungeborene
Kind nicht in seiner Menschenwürde, wobei die Kommission meint, gute Gründe
dafür anführen zu können, dass das ungeborene Kind überhaupt kein Träger von
Menschenwürde sei. Ferner geht die Kommission davon aus, dass dem ungeborenen
Kind lediglich ein abgestufter Lebensschutz zukomme. Sie bringt es auf die
Formel, dass, je kürzer die Schwangerschaft bestehe, desto eher ein
Schwangerschaftsabbruch zulässig sei, und dass je fortgeschrittener das
Gestationsalter sei, desto gewichtiger die Belange des Ungeborenen seien. Erst
ab extrauteriner Lebensfähigkeit sei demnach das Lebensrecht des ungeborenen
Kindes derart erstarkt, dass es einen grundsätzlichen Vorrang vor den
Grundrechten der Schwangeren habe. Ein vollwertiges Lebensrecht soll das Kind
nach der Auffassung der Kommission schließlich erst mit Geburt erlangen.
Damit widerspricht die
Kommission nicht zuletzt zentralen Ausführungen des Bundesverfassungsgerichts
(BVG) zur Menschenwürde und zum Lebensschutz Ungeborener, auf denen die derzeit
geltenden Regelungen zum Schwangerschaftsabbruch beruhen. Das BVG leitet aus
den Grundrechten eine enge Verknüpfung der Würde des ungeborenen Kindes mit
einem ihm zukommenden, vollwertigen Lebensschutz mit dem Zeitpunkt der Nidation
ab. Wir halten diese Ausführungen des BVG nach wie vor für richtig. Eine
Relativierung der fundamentalen Würde jedes Menschen, auch des ungeborenen
Kindes, und eine Relativierung, Einschränkung oder Abstufung des damit
verbundenen Grundrechts auf Leben halten wir für falsch.
Zu den zentralen
anthropologischen Grundaussagen des christlichen Glaubens gehört die Heiligkeit
und Unantastbarkeit jedes individuellen menschlichen Lebens, das es deshalb
nach Kräften zu schützen und zu entfalten gilt. Christen setzen sich für eine
Gesellschaft ein, in der das uneingeschränkte Lebensrecht aller Menschen
gewahrt und so die Grundlage für ein menschliches und solidarisches Miteinander
gelegt wird. Auch beim vorgeburtlichen Leben handelt es sich von Anfang an um
individuelles Leben, das als menschliches Leben immer ein sich entfaltendes
Leben ist. Es hat nach christlicher Auffassung Anspruch auf den gleichen Schutz
seines Lebens und ihm kommt die gleiche Würde zu wie einem geborenen Menschen.
Für hochproblematisch und in sich widersprüchlich halten wir, dass gerade die
Schutzbedürftigkeit des Ungeborenen und das völlige Angewiesensein auf die
werdende Mutter eine Begründung für eine verminderte staatliche Schutzpflicht
gegenüber dem ungeborenen Kind darstellen sollten.
Die Arbeitsgruppe 2 der Kommission
legt nahe, das Verbot der Eizellspende aufzugeben und diese gesetzlich zu
regeln. Sie hält es ferner für rechtlich zulässig, unter engen Voraussetzungen
auch eine Leihmutterschaft in Deutschland gesetzlich einzuführen. Allerdings
erachtet sie es auch für rechtlich möglich, die bestehenden Verbote von
Eizellspende und Leihmutterschaft aufrechtzuerhalten. Insbesondere die
Leihmutterschaft werfe eine Reihe ethischer, rechtlicher und praktischer Fragen
auf und berge selbst in altruistisch angelegten Modellen ein Potenzial für
Umgehungen und Missbrauch.
Wir sind der Auffassung, dass
die Praxis der Leihmutterschaft die Würde der Frau und des Kindes verletzt. Das
Kind sollte nicht zu einem Objekt der Kommerzialisierung und die Frau, die das
Kind austrägt, nicht instrumentalisiert werden. Auch die Kommission sieht das
hohe Risiko, dass bei der Durchführung einer Leihmutterschaft Rechte der
beteiligten Personen verletzt werden. Sie schlägt rechtliche Regelungen vor,
die diese Risiken eindämmen sollen. Wir haben hingegen erhebliche Zweifel, dass
rechtliche Regelungen, die in der Leihmutterschaft angelegten grundsätzlichen
Probleme auflösen können. Zu Recht vermutet die Kommission, dass auch eine
sogenannte altruistische Leihmutterschaft Teil eines Geschäftsmodells der
Reproduktionsmedizin sein kann. Zudem erscheint es paradox, von der Leihmutter
im Sinne des Ungeborenen eine hohe pränatale emotionale Bindung an das Kind und
gleichzeitig eine möglichst problemlose nachgeburtliche Trennung von ihm zu
erwarten. Wir sprechen uns daher dafür aus, an den Verboten von Eizellspende
und Leihmutterschaft in Deutschland festzuhalten.“ DBK 15
Nach Beschuss Israels: „Eskalationsdynamik vermeiden“
Jede weitere Eskalation
vermeiden und dem Gedanken des Friedens Raum geben: Wenige Stunden nach dem
Beschuss Israels durch den Iran gemahnt der Vorsitzende der deutschen Bischöfe
eindringlich an den Frieden.
In einer Erklärung bezeichnet
Bischof Georg Bätzing den Angriff des Iran als „dramatische Eskalation der
ohnehin furchtbaren Situation im Nahen Osten“ und als „Spiel mit dem Feuer, das
nachdrücklich verurteilt werden muss“.
Es müsse „alles dafür getan
werden, dass die Ereignisse der zurückliegenden Stunden den Nahen Osten nicht
in einen regionalen Krieg mit unabschätzbaren Folgen hineintreiben. Dies wäre
eine Katastrophe für diese Weltgegend und eine dramatische Gefährdung des
Weltfriedens“, so Bätzing.
Eskalation vermeiden, Frieden
Raum geben
Eindringlich appelliert er
„an alle Verantwortlichen, auch in einer möglichen Antwort Israels, jede
Eskalationsdynamik zu vermeiden, um weiteres Blutvergießen zu verhindern und
dem Gedanken des Friedens Raum zu geben. Beten wir in dieser Stunde auch für
alle Opfer der Gewalt, die angesichts von Terror und Krieg im Heiligen Land
bereits jetzt zu beklagen sind“, so der deutsche Kirchenvertreter.
Der Iran hat Samstagnacht gut
300 Raketen auf Israel abgefeuert. Sie seien zu 99 Prozent von Israel, den USA,
Großbritannien und Jordanien abgefangen worden, teilweise bereits über Syrien
und Jordanien, meldeten israelische Medien.
„Gott sei Dank haben die
funktionierende israelische Flugabwehr und die Unterstützung durch die USA und
Großbritannien dafür gesorgt, dass nach jetziger Kenntnis nur ein Mensch
verletzt wurde und große materielle Verwüstungen vermieden werden konnten“,
schreibt Bischof Bätzing zu dem iranischen Angriff auf Israel weiter.
Aus der südisraelischen Stadt
Arad wurde berichtet, ein zehnjähriges Beduinenkind sei durch Splitter verletzt
worden. Andere Verletzte gab es offenbar nicht. Zudem soll ein
Militärstützpunkt im Süden des Landes leicht beschädigt worden sein. Israel
kündigte entschiedene Vergeltung an.
Weitere Reaktionen von
religiöser und politischer Seite
Der Zentralrat der Juden in
Deutschland forderte eine „klare und harte Position" gegenüber dem Regime
in Teheran. Deutschland und die EU dürften keinen Zweifel an ihrer Haltung
lassen, sagte ein Sprecher des Zentralrats der Katholischen Nachrichten-Agentur
(KNA).Bereits seit dem Terrorangriff der radikalislamischen Hamas auf Israel am
7. Oktober ziehe der Iran „die Fäden des Terrors gegen Israel und die westliche
Welt", so der Sprecher weiter. „Nun greift das radikale Regime direkt an."
Israel befinde sich im Ausnahmezustand. Nun müssten die Sanktionen gegen
Teheran „auf ein Maximum erhöht, die iranischen Revolutionsgarden endlich als
Terrororganisation gelistet werden".
Deutschlands Bundeskanzler
Olaf Scholz verurteilte die Attacke mit aller Schärfe und sagte, Deutschland
stehe „eng an der Seite Israels“. US-Präsident Joe Biden machte klar, dass das
Engagement der USA für die Sicherheit Israels gegen die Bedrohungen durch Iran
und seine Stellvertreter „unumstößlich“ sei.
Italien, derzeit Vorsitzende
der G7, rief für Sonntagnachmittag eine Dringlichkeitssitzung der Staats- und
Regierungschefs der sieben mächtigsten westlichen Industrienationen (G7) zum
iranischen Angriff auf Israel ein. Zu den G7-Staaten gehören Deutschland,
Frankreich, Großbritannien, Italien, Japan, Kanada und die USA. Europäische
Union hat einen Beobachterstatus und ist deswegen bei den Treffen ebenfalls
vertreten. Auch der UN-Sicherheitsrat plant eine Sondersitzung.
Der Militärschlag des Iran
erfolgte, nachdem Israel am 1. April auf ein Konsulargebäude neben der
iranischen Botschaft in Damaskus, Syrien, geschossen hatte. Dabei waren ein
hochrangiger Offizier der Islamischen Revolutionsgarden, Mohammed Reza Zahedi,
sein Stellvertreter und weitere Militärs getötet worden.
Im Iran und von Seiten der
Hamas gab es triumphalistische Reaktionen auf den Beschuss Israels aus dem
Iran. (vn 14)
Extremisten in Pfarreiräten unerwünscht
Ehrenamtliche, die
extremistische oder AfD-Positionen vertreten, sollen in den Pfarreiräten des
Bistums Münster künftig nicht mitwirken dürfen. Daher werde die Satzung der
Pfarreiräte entsprechend überarbeitet.
Dies sagte die
Geschäftsführerin des Diözesanrats, Lisa Rotert, dem Münsterschen Onlineportal
„kirche-und-leben.de“ vom Samstag. Allerdings könne dies noch bis zur nächsten
Pfarreiratswahl im Jahr 2025 dauern. Danach werde man auch auf Satzungen
anderer Gremien schauen. Rotert war für die Durchführung der jüngsten
Pfarreiratswahl im Jahr 2021 verantwortlich.
Wegen der Umstrukturierung im
Bistum Münster und der Einrichtung Pastoraler Räume dort stehe ohnehin eine
Überarbeitung der Pfarreirats-Satzung an, erläuterte Rotert. In der bereits
vorliegenden Empfehlung einer Themengruppe zur künftigen Gremienstruktur fehlten
allerdings Aussagen zu extremistischen Haltungen, berichtete
kirche-und-leben.de. Ihre Arbeit sei aber auch abgeschlossen gewesen, bevor die
Bischöfe ihre Erklärung zur AfD vorgelegt hätten.
Bischofskonferenz
positionierte sich gegen die AfD
Die Deutsche
Bischofskonferenz hatte bei ihrem Frühjahrstreffen in Augsburg die AfD als eine
für Christen nicht wählbare Partei bezeichnet. „Völkischer Nationalismus und
Christentum sind unvereinbar“, lautet der Titel einer einstimmig beschlossenen
Erklärung. Der Kirchenrechtler Thomas Schüller aus Münster hatte daraufhin
rechtssichere Regeln für Ehrenamtliche in kirchlichen Gremien gefordert.
(kna 14)
Papstbotschaft zum Ende des Ramadan: „Wüsten können blühen“
In seiner Botschaft zum Ende
des muslimischen Fastenmonats Ramadan hat Papst Franziskus die Völker im Nahen
Osten zu mehr Zusammenhalt aufgerufen. Mit Blick auf den Nahostkonflikt
forderte er erneut einen Waffenstillstand im Gaza-Streifen sowie die sofortige
Freilassung aller Geiseln.
Die Botschaft wurde über
das mediale Netzwerk Alarabiya verbreitet und am Freitagabend veröffentlicht.
Franziskus erinnerte darin an
den „glücklichen Zufall“, dass der heilige islamische Fastenmonat in diesem
Jahr wenige Tage nach dem Osterfest endet, „dem wichtigsten Fest der Christen“.
Jedoch, so das Kirchenoberhaupt weiter, stehe dieses „glückliche Ereignis“ im
starken Widerspruch „mit der Trauer über das Blut, das in den gesegneten
Ländern des Nahen Ostens fließt“.
Zum Nachhören - was der Papst
geschrieben hat
Die „tödlichen Winde des
Wettrüstens“ nicht zulassen
„Gott ist und will Frieden“
und wer an ihn glaube, der könne nicht anders, als den Krieg abzulehnen, der
die Konflikte nicht löse, sondern sie verschärfe, mahnte der Papst weiter. Er
äußerte seine Sorgen über den Krieg in Palästina und Israel und forderte eine
sofortige Waffenruhe sowie die Freilassung der im Oktober 2023 entführten
Geiseln. Zudem erinnerte Franziskus an das gemarterte Syrien, den Libanon, „den
gesamten Nahen Osten: Lassen wir nicht zu, dass die Flammen des Grolls von den
tödlichen Winden des Wettrüstens getrieben werden“, so sein Appell.
Seite an Seite wachsen
„Kinder brauchen Häuser,
Parks und Schulen, keine Gräber und Gruben“
Der Papst forderte außerdem
die Regierungsvertreter auf, an die Kinder zu denken: „Sie fragen sich nicht,
wer der Feind ist, den es zu vernichten gilt, sondern wer die Freunde sind, mit
denen sie spielen können; sie brauchen Häuser, Parks und Schulen, keine Gräber
und Gruben“. Er glaube daran, dass Wüsten blühen könnten, doch aus
den „Wüsten des Hasses“ könne nur dann Hoffnung sprießen, „wenn wir es
verstehen, gemeinsam Seite an Seite zu wachsen; wenn wir es verstehen, die
Überzeugungen der anderen zu respektieren; wenn wir das Recht eines jeden
Volkes auf Existenz und das Recht eines jeden Volkes auf einen Staat
anerkennen“, so das Kirchenoberhaupt am Ende seiner Botschaft.
(vn 13)
Mit einem Appell, Menschen
mit Behinderung in voller Akzeptanz im Alltag zu begegnen, ist heute die
ökumenische Woche für das Leben eröffnet worden. „Menschen mit Behinderung
müssen in unserer Gesellschaft integriert sein. Jedes Leben ist lebenswert,
daran wollen wir als Kirchen mit dieser Woche erinnern. Eine Gesellschaft darf
weder selektieren noch diskriminieren, darum setzen wir uns für den
Lebensschutz aller ein“, betonten zum Auftakt der Woche der Vorsitzende der
Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, und die amtierende
Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Bischöfin
Kirsten Fehrs. Das Motto der Woche für das Leben, die vom 13. bis 20. April
2024 dauert, stellt junge Menschen mit Behinderungen und ihre alltäglichen
Herausforderungen in den Mittelpunkt: „Generation Z(ukunft): Gemeinsam.
Verschieden. Gut.“ Bei einem inklusiven Gottesdienst in der Marien Kirche in
Aulhausen (Rüdesheim am Rhein) wurden besonders Jugendliche angesprochen, die
zusammen ihre Zukunft gestalten wollen – mit und ohne Behinderungen
Bischof Bätzing predigte frei
und in Leichter Sprache vor den jungen Gottesdienstbesuchern zum Thema, wie
Inklusion gemeinsam gelingen kann – mit allen Jugendlichen. Am Rande der
Veranstaltung erinnerte er außerdem an die zentrale Grundaussage des
christlichen Glaubens, dass es Heiligkeit und Unantastbarkeit jedes
individuellen menschlichen Lebens nach Kräften zu schützen und zu entfalten
gelte: „Diese Grundannahme ist untrennbar mit dem Glauben der Kirche verbunden
und stellt den inneren Grund allen Engagements von Christinnen und Christen für
den Schutz des menschlichen Lebens dar. Das an die Bibel angelehnte Wort ‚Gott
ist ein Freund des Lebens‘ bringt die Bedeutung des Schutzes menschlichen
Lebens bildlich und kraftvoll zum Ausdruck: Wenn Gott das Leben hochschätzt,
wie könnten die Gläubigen, die ihre Hoffnung auf ihn setzten, dem nicht
nachfolgen?“ Bischof Bätzing betonte gleichzeitig, „dass jede menschliche
Gesellschaft auf lange Frist nur dann gedeihen kann, wenn sie auf Grundwerten
aufgebaut wird, die die Hochachtung und den Schutz des menschlichen Lebens
explizit mit umfassen. Diese Perspektive immer wieder neu in die
gesellschaftlichen Diskurse einzubringen, gehört zum gesellschaftsbezogenen
Grundauftrag von Kirche“.
Bischöfin Kirsten Fehrs
betonte die Grundidee der Woche für das Leben: „Wir wollen den Lebensschutz in
seiner gesellschaftspolitischen Vielschichtigkeit stark machen. Menschliches
Leben muss immer dann besonders geschützt werden, wenn es verletzlich ist, vor
allem an seinem Anfang und an seinem Ende. Genauso erheben die Kirchen aber
auch dann ihre Stimme, wenn menschlichem Leben ein höherer oder geringerer
gesellschaftlicher Nutzen zugesprochen wird. Darum ist es so wichtig, Inklusion
zu ermöglichen und vorzuleben.“ Aus diesem Grund führte Kirsten Fehrs in
Leichter Sprache in den Gottesdienst ein und hob das Besondere des
barrierearmen und inklusiven Festaktes hervor. „Manchmal bedarf es gar keiner
großen Worte und komplizierter Reden, um zu spüren, dass jede und jeder
Einzelne von uns ein wertvolles Kind Gottes ist.“ An vielen Stellen würden
junge Menschen mit Beeinträchtigungen durch ihre Umwelt und die
gesellschaftlichen Bedingungen behindert, so Bischöfin Fehrs. „Lasst uns die
inneren und äußeren Barrieren abbauen: Junge Menschen mit Behinderung gehören
in die Mitte der Gesellschaft.“
Einige Jugendliche, Bischöfin
Fehrs und Bischof Bätzing fügten im Gottesdienst verschieden gestaltete
Puzzleteile aus Holz zu einer „Skulptur der Wünsche“ zusammen, die im Sankt
Vincenzstift in Aulhausen einen dauerhaften Platz erhalten wird. Auch Gäste und
Besucher hatten vor und nach dem Gottesdienst die Möglichkeit, ihre Wünsche zum
Motto „Generation Z(ukunft): Gemeinsam. Verschieden. Gut.“ auf bereitgestellten
Puzzleteilen zu hinterlassen.
Nach dem Gottesdienst bestand
bei einem Fest der Begegnung im Innenhof des Sankt Vincenzstifts die
Möglichkeit zum Austausch. Dabei interviewten die Kölner Filmemacher Ilka aus
der Mark und Christoph Goldbeck die junge Marie Zilske aus Leichlingen, die
durch den WDR-Vierteiler „Marie will alles – durchstarten mit Down-Syndrom“
bekannt geworden ist. Die Reihe wurde von einer Fachjury mit dem Katholischen
Medienpreis 2023 ausgezeichnet.
Hintergrund. Über 30 Jahre
hinweg haben sich die beiden großen christlichen Kirchen mit der Woche für das
Leben gemeinsam für die Anerkennung der Schutzwürdigkeit des menschlichen
Lebens in all seinen Phasen eingesetzt. Um das bisherige Konzept in die Zukunft
zu überführen, haben beide Kirchen eine Evaluation in Auftrag gegeben. Diese
hat gezeigt, dass die Woche für das Leben über einen langen Zeitraum hinweg
sehr erfolgreich war. Gleichzeitig hat die detaillierte Auswertung ergeben,
dass das Format angepasst werden muss, um auch in Zukunft die Menschen zu
erreichen. Daher findet die diesjährige Woche für das Leben ein letztes Mal in
dem bekannten Format statt. Die katholische und die evangelische Kirche in
Deutschland arbeiten gemeinsam an einer neuen Struktur, um sich mit einem
zeitgemäßen Format auch zukünftig und weiterhin gemeinsam den Fragen der
Bioethik zu widmen und für den Schutz menschlichen Lebens einzutreten.
Unter dem Motto „Generation
Z(ukunft): Gemeinsam. Verschieden. Gut.“ stellt die Woche für das Leben 2024
die Situation junger Menschen mit Behinderungen und ihre Lebenswirklichkeiten
in den Mittelpunkt. Gemeinsam treten die katholische und die evangelische
Kirche in Deutschland für eine umfassende gesellschaftliche Teilhabe von
Menschen mit Behinderungen ein. Ihr gesellschaftlicher Beitrag stellt durch
ihre jeweils eigene Lebensgestaltung und Wahrnehmung von Lebenswirklichkeit
eine Bereicherung für alle dar. Das gilt besonders für Jugendliche und junge
Erwachsene und ihren Start in ein eigenständiges Leben. Dbk 13
Dignitas: Menschenwürde als Bezugspunkt für die Freiheit
Vor 75 Jahren verabschiedeten
die Mitgliedsstaaten der Vereinten Nationen die Erklärung der Menschenrechte.
Die Präambel leitet die Geltung dieser Rechte von der Menschenwürde her. Ein
jetzt erschienenes Dokument „Dignitas infinita" (Unendliche Würde) aus dem
Vatikan entfaltet den Bedeutungsgehalt dieser weltweiten Verpflichtung. Das ist
auch deshalb sinnvoll, weil die unbe-grenzte Würde - nur erkannt, nicht aber
bewiesen werden kann. von Eckhard Bieger
Vatikan unterstützt die
Vereinten Nationen
„Da die Anerkennung der
angeborenen Würde und der gleichen und unveräußerlichen Rechte aller Mitglieder
der Gemeinschaft der Menschen die Grundlage von Freiheit, Gerechtigkeit und
Frieden in der Welt bildet, da die Nichtanerkennung und Verachtung der
Menschenrechte zu Ak-ten der Barbarei geführt haben, die das Gewissen der
Menschheit mit Empörung erfüllen, und da verkündet worden ist, dass einer Welt,
in der die Menschen Rede- und Glaubensfreiheit und Freiheit von Furcht und Not
genießen, das höchste Streben des Menschen gilt,… verkündet die
Generalversammlung diese Allgemeine Erklärung der Menschenrechte.“
Aus der Präambel der
Erklärung vom 10.12.1948
Menschenwürde – ein
Erkenntnis-Prozess
Da die Menschenwürde, wie die
Freiheit, nicht bewiesen werden kann, muss sie nicht abschließend definiert
werden. Sie eröffnet mit ihrer Entfaltung ein tiefes Verstehen des Menschen.
Weil sie nicht etwas statisches in der menschlichen Person ist, gibt sie dem
menschlichen Zusammenleben bis hin zur Rechtsordnung den zentralen Bezugspunkt
vor. Das Dokument „Dignitas infinita“ entfaltet in ihrem ersten Teil die
Entwicklung des Verständnisses der Menschenwürde bis zu der Erkenntnis, dass
sie Bezugspunkt für das Zusammenleben und dessen Strukturierung durch die
Rechtsordnung ist. Die Menschenrechte sind aus einem vertieften Verständnis der
Menschenwürde formuliert worden. Das Dokument des Konzils über die
Religionsfreiheit bezieht sich in seinem Titel „Dignitatis humanae“ – Würde des
Menschen auf diese Herleitung. Menschenwürde stellt sich darin als ein Prozess
ihrer Entfaltung dar.
Die Würde ist mit dem
Menschsein gegeben.
Die Würde kann der Mensch,
wie die DNA, nicht selber herstellen. Sie kann dem Menschen nicht genommen
werden und wird ihm weder durch den Staat noch von den Eltern zugesprochen. Die
Anderen können diese Würde anerkennen und sich an diesem letztgültigen Maßstab
orientieren. Daraus folgt, dass die menschliche Gemeinschaft Bedingungen
bereitstellen muss, in denen die Würde anerkannt wird und gelebt werden kann.
Diese Verankerung der Würde in jedem Men-schen benennt das Dokument mit dem
philosophischen Begriff "ontologisch". Das griechische
"On", das Sein, besagt, dass die Würde im Sein des Menschen verankert
ist. Sie ist mehr als eine Eigenschaft, die ein Mensch auch nicht haben könnte.
Die Physik findet die Materie
vor, die Philosophie den Menschen. Beide können erforscht werden, der Mensch
sowohl naturwissenschaftlich in seiner Körperlichkeit wie auch geistig. Durch
Freiheit und Vernunft wird er als Person konstituiert. Die Menschenwürde ist
dem/ der Einzelnen selbst anvertraut und soll sich durch sittliches Handeln und
Mitgestaltung der Menschenwelt entfalten. Damit bleibt die Würde nicht nur ein
Gedanken.
Bezugspunkt für die Freiheit
Als soziales Wesen beinhaltet
Würde, Verantwortung zu übernehmen, um das menschliche Zusammenleben so zu
gestalten, so dass die Würde des Einzelnen nicht beeinträchtigt wird. Da ein
Mensch sich auch gegen die eigene Würde verhalten, sich blamieren oder
straffällig werden kann, gewinnt die Freiheit in der Würde jedes Einzelnen
ihren Bezugspunkt. Dieser ermöglicht, die eigene Freiheit und die der Anderen
als letzten Maßstab im Blick zu behalten. Für ein Dokument aus dem Vatikan
überraschend wird die Ausübung der eigenen Freiheit gefordert. Die Konsequenz,
die das Dokument ableitet, lässt alle Einschränkungen der eignen Freiheit wie
die der Anderen als Verletzung der Menschenwürde erkennbar werden
Beeinträchtigung und
Verletzung der Menschenwürde
Weil die Menschenwürde jedes
Menschen sich im Zusammenleben entfaltet, braucht sie die Anerkennung der
Anderen. Diese Achtung können Andere verweigern. Dazu werden im zweiten Teil
des Dokuments 14 solcher Formen der Missachtung benannt. Das sind u.a. die
Todesstrafe, Ar-mut, Menschenhandel, Gewalt gegen Frauen, Gewalt in der
digitalen Welt. Es gibt darunter Punk-te, die in der Gesellschaft diskutiert
und auch durch Gesetze entschieden werden. Leihmutterschaft, Euthanasie und
assistierter Selbstmord, Abtreibung, Gendertheorie, Geschlechtsumwandlung.
Diese Themen werden meist unter dem Aspekt der Freiheit des Einzelnen
diskutiert und entschieden. Das Lehrschreiben dekliniert diese Fragestellungen
in ihrem Bezug zu der Menschwürde durch. Unter diesem Gesichtspunkt entspricht
dann eine Gesetzgebung zwar dem Moment einer größeren Freiheit aber damit nicht
notwendig dem Kriterium „Menschenwürde“. Fazit: lesenswert und
ergänzungsbedürftig Der kurze Aufriss legt die Lektüre des Dokumentes „Dignitas
infinita" auch deshalb nahe, weil das Dokument die Entfaltung der
Menschenwürde nicht nur in den Menschenrechten nachvoll-zieht, sondern auch
eine dynamische Sicht für die Verwirklichung der Würde aufzeigt. Die
Beeinträchtigungen dieser Würde schließen sich an. Sie werden nicht nur als
Verletzung der Menschen-rechte, sondern als auch der Würde jedes Einzelnen.
Wie jede Annäherung an das
Wesen des Menschen bleibt die vom Vatikan formulierte Annäherung auch
unvollständig. Eines kann sich jedoch die Zentrale einer weltumspannenden Religions-gemeinschaft
nicht leisten: Die Beschränkung auf die Kultur nur eines Erdteils.
Das Vatikandokument gesteht
zwar ein, dass sich die Ausführungen auf die europäische Geistes-geschichte
beschränken. Aber Afrika gehört nicht nur deshalb in die Überlegungen, weil es
mit einem Konzept „Ubuntu“ (Verbundenheit) einen eigenen Zugang gefunden hat.
Afrikaner:innen sagen, dass die Menschenrechte eine große Herausforderung sind.
Ebenso leisten die asiatischen Kulturen einen wichtigen Beitrag zur Ausfaltung
der Menschenwürde. Mit deren Aufnahme in „Dignitas infinita" würde die
Herausstellung der Menschenwürde nicht fälschlicherweise nur auf eine
europäische Tradition begrenzt.
Hier kann das
Vatikan-Dokument in deutscher Übersetzung im Wortlaut nachgelesen werden: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_doc_20240402_dignitas-infinita_ge.html.
Eckhard Bieger S.J. kath.de. 12
EU-Abtreibungs-Votum: „Deutschen Kompromiss beibehalten“
Die Katholische Kirche hat sich
für die Beibehaltung der derzeitigen Regelung zur Abtreibung in Deutschland
ausgesprochen. Der Sozialethiker Lob-Hüdepohl warnt davor, dass ein Abweichen
vom deutschen Kompromiss auch Frauen schadet.
„Wir werben dafür, dass
dieser mühsam errungene Kompromiss bleibt“, sagte der Leiter des Katholischen
Büros in Berlin, Prälat Karl Jüsten, am Freitag in Berlin. Insgesamt habe man
damit eine „befriedete Situation“ erreicht. Alle Rechtsgüter seien gut
abgewogen. Jüsten äußerte sich bei einer Veranstaltung der „Christen in der
SPD“.
Auch der katholische Theologe
und Sozialethiker Andreas Lob-Hüdepohl warnte vor einem Aufschnüren des
geltenden deutschen Abtreibungsrechts. „Wenn mühsam gefundene politische und
gesellschaftliche Kompromisse in dieser Frage aufgekündigt werden, wird
darunter nicht nur das ungeborene Leben zu leiden haben, sondern am Ende auch
Frauen selbst“, sagte er der „Neuen Osnabrücker Zeitung“ vom Freitag.
Rollenzuweisungen... und
brüchige Grundannahmen
Fragen der menschlichen
Fortpflanzung seien in der Geschichte immer wieder dazu missbraucht worden,
Frauen bestimmte Rollen zuzuweisen, so das Mitglied des Deutschen Ethikrats.
Die bisherige Regelung in Deutschland, dass Schwangerschaftsabbrüche innerhalb
der ersten zwölf Wochen zwar illegal, aber straffrei sind, sei ein „sinnvoller
Ausgleich zwischen dem Lebensrecht des Kindes und dem Selbstbestimmungsrecht
der Frau“, der nicht zunichtegemacht werden sollte.
„In der Gesellschaft sind die
Grundannahmen der bisherigen Kompromissregelung brüchig geworden“, so
Lob-Hüdepohl. „Wer Embryonen nur für einen Zellverband hält, der kann kein
Verständnis dafür haben, dass das Recht des Embryos auf Schutz moralisch
genauso schwer wiegen könnte wie das Recht der Frau auf Selbstbestimmung. Der
kann kein moralisches Dilemma sehen.“
Auch in den modernen
Humanwissenschaften gebe es immer lautere Stimmen, die den Beginn menschlichen
Lebens nicht bereits für die Verschmelzung von Ei- und Samenzelle ansetzten,
sondern erst zu einem deutlich späteren Zeitpunkt. „Selbst in den großen
Weltreligionen gibt es unterschiedliche Auffassungen. Und auch die
UN-Kinderrechtskonvention kennt keine pränatalen Kinderrechte“, gab der
Theologe zu bedenken.
Stellungnahme einer
Expertenkommission in Berlin erwartet
Nach Paragraf 218 im Strafgesetzbuch
ist ein Schwangerschaftsabbruch in Deutschland rechtswidrig. Er bleibt aber bis
zur zwölften Schwangerschaftswoche straffrei, wenn es zuvor eine Beratung gab
und ein Beratungsschein ausgestellt wurde. Zwischen Beratung und Abtreibung
müssen mindestens drei Tage vergehen. Eine Expertenkommission der Regierung in
Berlin soll am Montag eine Stellungnahme zu der Thematik vorlegen. Laut
Medienberichten wird das Gremium eine Liberalisierung der Gesetzeslage
empfehlen. (kna/kap 12)
Vatikan zum EU-Abtreibungs-Votum: Frauen und „Kultur des Wir" stärken
Als „ideologische“ und
„rückwärtsgewandte Entscheidung“ hat der Vatikan den Vorstoß des EU-Parlamentes
bezeichnet, ein Recht auf Abtreibung in die Europäische Grundrechte-Charta
aufnehmen zu wollen. In Brüssel stimmte am Montag eine Mehrheit von 336
Abgeordneten für diesen Schritt.
„Ich halte es für eine völlig
ideologische Entscheidung im negativen Sinne des Wortes“, kommentierte der
Präsident der Päpstlichen Akademie für das Leben gegenüber Radio Vatikan. In
kultureller und sozialer Hinsicht sei es „sehr bedenklich“, dass bei der
Entscheidung das Recht des ungeborenen Kindes nicht berücksichtigt werde, so
Erzbischof Vincenzo Paglia: „In diesem Fall ist das ungeborene Kind schwächer,
es kann nicht sprechen, kann nichts einfordern, und es ist zu einfach, die
Rechte des Stärkeren durchzusetzen und den Schwächeren zu vergessen. Es ist
eine falsche Entscheidung, ein Recht nur für eine Partei einzufordern, nicht
für beide.“
Für den Vatikanvertreter
würde ein Recht auf Abtreibung zudem die notwendige Unterstützung für Frauen
untergraben: viele Schwangere trieben „aus Verzweiflung“ ab, gab Paglia zu
bedenken. „In diesem Sinne scheint es mir eine Entscheidung zu sein, die
rückwärts und nicht vorwärts geht“, so der Erzbischof.
„Es ist eine falsche
Entscheidung, ein Recht nur für eine Partei einzufordern, nicht für beide.“
In Brüssel stimmten am Montag
336 Abgeordnete für die Verankerung eines Abtreibungsrechtes in der Europäische
Grundrechte-Charta, 163 waren dagegen, 39 enthielten sich. In der Resolution
vom 11. April werden die Mitgliedsstaaten dazu aufgerufen, das „Recht auf
körperliche Selbstbestimmung und auf einen freien, informierten und umfassenden
Zugang zu sexueller und reproduktiver Gesundheit“ - wozu auch Abtreibung
gehören soll - in die Charta aufzunehmen.
Definition von Leben ist
Schlüsselfrage
„Wenn es ein Leben ist, mit
welchem Recht schließe ich es aus oder beseitige es?“
Schlüsselfrage bei der Frage
der Abtreibung sei die Definition von Leben, so Vatikanvertreter Paglia: „Ist
der Mensch, der gezeugt wurde, ein Leben oder nicht? Wenn es ein Leben ist, mit
welchem Recht schließe ich es aus oder beseitige es? Das Recht desjenigen, der
geboren werden soll, zugunsten der Rechte eines anderen völlig außer Acht zu
lassen, zumal wenn er dann nichts entscheiden kann, scheint mir eindeutig ein
kultureller Rückschritt zu sein.“ Der Präsident der Päpstlichen Akademie für
das Leben erinnert an die jüngste Erklärung der Glaubenslehre zur Menschenwürde
„Dignitas infinita“, die hervorhebt, dass jedem Menschen eine unendliche Würde
zukommt, die niemanden ausschließt.
„Deshalb muss die Kirche das
Leben verteidigen: Wir sind gegen die Todesstrafe, gegen den Krieg, gegen die
Abtreibung, gegen die Ungerechtigkeit, gegen das Fehlen von Rechten am
Arbeitsplatz, das Fehlen des Schutzes des Lebens auch für diejenigen, die unter
schrecklichen Bedingungen arbeiten. Das ist es, was wir unbedingt fördern
sollten: die Verteidigung des Lebens im Ganzen, angefangen bei dem der Schwächsten.“
„Plural-Sein“ als Substanz
des Menschlichen
„In diesem Sinne müssen wir
auch die Mitverantwortung für das Leben, das geboren wird, wiederentdecken.“
Für den Vatikanvertreter ist
das Votum des EU-Parlamentes für ein Recht auf Abtreibung nicht einfach nur
eine politische Entscheidung. In dem Willen, ein „Recht auf Abtreibung“ zu
verankern, spiegelt sich für Paglia der Vormarsch des Individualismus wider,
die Tendenz einer „totalen Wiederbelebung individueller Rechte auf Kosten der
Pflichten gegenüber anderen“. Diese „Trunkenheit des Individualismus“ lasse
vergessen, „dass wir alle miteinander verbunden sind“, gibt der Erzbischof zu
bedenken.
Das „Wir“ oder „Plural-Sein“
des Menschen komme gerade in der Mutterschaft und Geburt zum Ausdruck. „In
diesem Sinne müssen wir auch die Mitverantwortung für das Leben, das geboren
wird, wiederentdecken“, appellierte der Präsident der Päpstlichen Akademie für
das Leben. Die Fürsorge für die Frauen, die dieses Leben in sich tragen, gehöre
wesentlich dazu, insistiert Paglia:
„Mutter Teresa richtete eine
Aufnahmestelle für solche Frauen ein, wo sie den Schwangeren sagte: ,Lasst die
Kinder zur Welt kommen, ich kümmere mich um sie‘. – So viele Frauen treiben ab,
weil sie Probleme haben, vielleicht wirtschaftliche oder auch psychologische
oder anderer Art. Sie treiben ab, weil sie allein sind und keine Hilfe
bekommen. Deshalb müssen wir – statt eine Kultur, die weiterhin das ,Ich‘
verherrlicht – eine Kultur des ,Wir‘ anstreben. Dieses ,Wir‘ ist die Substanz
des Menschlichen, der Solidarität, der Geschwisterlichkeit und damit auch der
Gerechtigkeit.“
Was meint Förderung von
Frauen?
Wie der Vatikan kritisiert auch
die Vertretung der katholischen Bischöfe in Brüssel den Vorstoß des
EU-Parlamentes vom Montag. Das Recht auf Leben sei der Grundpfeiler aller
anderen Menschenrechte, erklärte die EU-Kommission der Bischofskonferenzen
(COMECE) am Dienstag. Eine Erleichterung der Abtreibung gehe zudem in eine
„entgegengesetzte Richtung zur wirklichen Förderung der Frauen und ihrer
Rechte“.
Fragen der menschlichen
Fortpflanzung seien in der Geschichte immer wieder dazu missbraucht worden,
Frauen bestimmte Rollen zuzuweisen, warnte der deutsche katholische Theologe
und Sozialethiker Andreas Lob-Hüdepohl mit Blick auf die geforderte Verankerung
eines Abtreibungsrechtes. Er äußerte sich an diesem Freitag gegenüber der
,Neuen Osnabrücker Zeitung'.
In seiner Reaktion auf das EU-Parlamentsvotum
verwies das Mitglied des Deutschen Ethikrates positiv auf die bisherige
rechtliche Regelung in Deutschland: Dass Schwangerschaftsabbrüche dort
innerhalb der ersten zwölf Wochen zwar illegal, aber straffrei sind, sei ein
„sinnvoller Ausgleich zwischen dem Lebensrecht des Kindes und dem
Selbstbestimmungsrecht der Frau“. Dieser Ausgleich sollte nicht zunichtegemacht
werden, so Lob-Hüdepohl, der vor einem Aufschnüren des geltenden deutschen
Abtreibungsrechts warnte.
„Wenn mühsam gefundene politische
und gesellschaftliche Kompromisse in dieser Frage aufgekündigt werden, wird
darunter nicht nur das ungeborene Leben zu leiden haben, sondern am Ende auch
Frauen selbst."
Das Interview mit Erzbischof
Paglia führte Francesca Sabatinelli. (vn/kap 12)
Heute (12. April 2024)
beendet die Pastoralkommission der Deutschen Bischofskonferenz eine
Studienreise in die Niederlande. Seit dem 8. April 2024 war sie im westlichen
Nachbarland, um sich zu informieren, wie die Kirchen in den Niederlanden auf
Prozesse einer fortschreitenden Säkularisierung reagieren. Mehr als 60 Prozent
der Niederländerinnen und Niederländer sind heute religionslos. Diese Gruppe
steigt deutlich an, während die Katholiken als größte Religionsgemeinschaft in
den Niederlanden mit 18 Prozent auf dem zweiten Platz liegen und wie die
Protestanten kontinuierlich weiter rückläufig sind.
„Die Säkularisierung ist in
den Niederlanden noch weiter fortgeschritten als in Deutschland“, betont der
Utrechter Pastoraltheologe Prof. Dr. Jan Loffeld, der auch Berater der
Pastoralkommission ist. „Dies schlägt sich aber auch in der Mentalität und
Kultur der Niederländer nieder. Daneben sind aber auch immer wieder Spuren des
Religiösen und Aufbrüche des Glaubens zu entdecken – und oft dort, wo man es
nicht erwartet.“
Deshalb suchte die
Pastoralkommission den Austausch in verschiedenen niederländischen Diözesen,
aber auch mit Vertretern anderer Konfessionen wie Altkatholiken und
Reformierten in den Niederlanden, um zu erfahren, welche Wege die Kirche in den
Niederlanden als Reaktion auf die Prozesse der Säkularisierung beschreiten. Auf
dem Programm standen unter anderem der Austausch mit Bischöfen der (Erz-)Diözesen
Utrecht, Haarlem-Amsterdam und 's-Hertogenbosch und Vertretern weiterer
Konfessionen, Besuche der internationalen Gemeinschaft von Sant’Egidio,
missionarischer Initiativen und von „Pionierorten“ der protestantischen Kirche
in den Niederlanden sowie das Gespräch mit niederländischen Theologen aus dem
Fachgebiet der praktischen Theologie.
„Ziel unserer Reise war zu
sehen, zu hören und zu lernen, welche Erfahrungen die Niederländer mit
kirchlichen Transformationsprozessen in einer säkularen Gesellschaft machen.
Die Niederlande gibt uns vielleicht eine Ahnung, was auch auf die Kirche in
Deutschland zukommen wird“, erklärt Bischof Dr. Peter Kohlgraf, Vorsitzender
der Pastoralkommission. „Wir haben eine große Vielfalt unterschiedlicher Weisen
gesehen, wie die christlichen Gemeinschaften auf eine nachchristliche
Gesellschaft reagieren, wie sie in ihr leben und sich zu ihr positionieren. Und
es gibt viele Punkte, besonders zum Thema Synodalität, die mich zum Nachdenken
angeregt haben. Mir wurde aber auch bewusst, wo aufgrund unserer
unterschiedlichen Geschichten und kulturellen Hintergründe Grenzen der
Vergleichbarkeit liegen.“ Die Erfahrungen werden in die Arbeit der
Pastoralkommission einfließen.
An der Reise der
Pastoralkommission nahmen neun Bischöfe sowie elf Beraterinnen und Berater
teil. Die Kommission befasst sich mit den unterschiedlichen Feldern der
Seelsorge, Verkündigung und Gemeindeentwicklung. Sie besteht aus bischöflichen
Mitgliedern sowie berufenen Beratern aus der Wissenschaft, aus Diözesen und kirchlichen
Verbänden. Dbk 12
„Leidende menschenwürdig behandeln“
Zu einer menschenwürdigen
Behandlung von Kranken und Leidenden hat Papst Franziskus aufgerufen. Das Thema
liege ihm sehr am Herzen, sagte der 87-Jährige an diesem Donnerstag bei einer
Audienz. Stefan von Kempis – Vatikanstadt
„Leiden und Krankheit sind
Widersacher, denen man sich stellen muss, aber es ist wichtig, dies auf eine
menschenwürdige Art und Weise zu tun, auf eine menschliche Art und Weise, um es
einmal so auszudrücken. Es ist sicher keine Lösung, sie auszublenden, sie zu
Tabus zu machen, über die man besser nicht spricht, vielleicht weil sie das
Bild der Effizienz um jeden Preis beschädigen, das nützlich ist, um zu
verkaufen und Geld zu verdienen.“
Franziskus äußerte sich
gegenüber der päpstlichen Bibelkommission, die sich bei ihrer jährlichen
Vollversammlung mit dem Thema „Leid und Krankheit in der Heiligen Schrift“
auseinandergesetzt hat. „Wir alle schwanken unter der Last dieser Erfahrungen,
und wir müssen uns selbst helfen, sie durchzustehen, indem wir sie in Beziehung
zueinander leben, ohne dass wir uns gegen uns selbst wenden und ohne dass die
legitime Rebellion in Isolation, Verlassenheit oder Verzweiflung umschlägt.“
Der „Filter des Leidens“
Viele Kranke und Leidende
hätten die Erfahrung gemacht, dass sie „im Licht des Glaubens“ durch ihre
Einschränkungen gereift seien, so der Papst. Durch den „Filter des Leidens“
erkenne man leichter, „was wirklich wichtig ist“. Franziskus fuhr fort, indem
er betonte, welch große Rolle Mitgefühl im Neuen Testament, namentlich bei den
Wundern Jesu, spiele.
„All dies offenbart einen
wichtigen Aspekt: Jesus erklärt das Leiden nicht, sondern beugt sich dem
Leiden. Er begegnet dem Schmerz nicht mit allgemeiner Ermutigung und sterilem
Trost, sondern er nimmt seine Dramatik an und lässt sich von ihr berühren. In
diesem Sinne ist die Heilige Schrift erhellend: Sie hinterlässt uns kein
Handbuch der guten Worte oder ein Rezeptbuch der Gefühle, sondern zeigt uns
Gesichter und konkrete Begegnungen.“
„Das menschliche Leiden mit
der eigenen Hand berühren“
Wer sich die Heilige Schrift
zu eigen mache, „reinigt seine religiösen Vorstellungen von falschen Prämissen
und lernt, dem von Jesus aufgezeigten Weg zu folgen: das menschliche Leiden mit
der eigenen Hand zu berühren“, so der Papst. „Nicht theoretisch, sondern mit
der Hand berühren.“
Eine genaue Lektüre der
Heiligen Schrift führe außerdem vor Augen, wie wichtig Inklusion sei. Jesus sei
es immer um ganzheitliche Heilung gegangen: „an Körper, Seele und Geist“.
„Deshalb sind wir als Kirche aufgerufen, durch die Erfahrung von Leid und
Krankheit mit allen zusammenzugehen, in christlicher und menschlicher
Solidarität, und im Namen der gemeinsamen Zerbrechlichkeit Möglichkeiten des
Dialogs und der Hoffnung zu eröffnen.“ (vn 11)
Familienbischof sieht Verantwortungsgemeinschaften positiv
Ab 2025 sollen so genannte
Verantwortungsgemeinschaften rechtlich möglich sein. Sorgen vor einer „Ehe light“
teilt der Berliner Erzbischof Heiner Koch in diesem Zusammenhang nicht mehr. Er
hält das Modell auch für Priester und Haushälterinnen denkbar.
Die von der Bundesregierung
geplanten Verantwortungsgemeinschaften bedeuten nach Ansicht des katholischen „Familienbischofs“
Heiner Koch keine Einführung einer „Ehe light“. „Die Befürchtung hatte ich, ich
muss allerdings sagen, dass die vorliegenden Eckpunkte dies nicht bestätigt
haben“, sagte der Berliner Erzbischof der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA).
„Dieses Gesetz könnte ein Fortschritt sein.“ Füreinander Verantwortung zu
übernehmen, sei ja grundsätzlich etwas sehr Positives. „Und dass es dafür einen
rechtlichen Schutz geben soll, das halte ich für unterstützenswert.“
Ein kritischer Punkt ist
seines Erachtens aber: „Was ist, wenn sich eine Verantwortungsgemeinschaft
wieder auflöst - ist der Hilfsbedürftige dann auch ausreichend geschützt und
abgesichert? Wer trägt die Konsequenzen?“ Auch dafür müsse Sorge getragen
werden. Erwägungen von Bundesjustizminister Marco Buschmann (FDP), auch
Regelungen zur Pflege einzubeziehen, begrüßte Koch, der in der Deutschen
Bischofskonferenz die Familien-Kommission leitet. „Wir müssen auf jeden Fall
den Bereich Pflegende und zu Pflegende stärker regeln. Das ist derzeit unbefriedigend
geregelt.“
Modell für Priester und seine
Haushälterin
Eine
Verantwortungsgemeinschaft könnte laut Koch auch ein Modell für einen Priester
und seine Haushälterin sein, gerade mit Blick aufs Alter: „Prinzipiell halte
ich das für denkbar. Es muss aber natürlich den besonderen Charakter der
Beziehung zwischen Pfarrer und Haushälterin beachten. Aber ja, zum Beispiel das
Auskunftsrecht im Krankheitsfall kann da sehr sinnvoll sein.“
Mit der
Verantwortungsgemeinschaft soll eine Möglichkeit geschaffen werden, um sich
auch außerhalb von Ehe und Verwandtschaftsbeziehungen rechtlich verbindlich
umeinander zu kümmern. Buschmann hat bislang Eckpunkte vorgelegt, und will das
neue Modell bis 2025 einführen. Bis zu sechs Menschen sollen demnach eine
solche Gemeinschaft beim Notar beurkunden lassen können. Im Blick hat der
Minister etwa Senioren-WGs und Alleinerziehende, die sich gegenseitig
unterstützen.
Geplant ist ein Stufenmodell,
das individuell angepasst werden kann. Geregelt werden können etwa die rechtliche
Betreuung, Organspende, Auskunftsrecht in medizinischen Notfällen und die
gemeinsame Haushaltsführung. In Abgrenzung zur Ehe soll die
Verantwortungsgemeinschaft keine Auswirkungen auf das Sorge-, Namens- und
Erbrecht haben und nicht mit Steuererleichterungen einhergehen.
(kna 10)
Heute (10. April 2024) endet
die fünftägige Reise des Vorsitzenden der Kommission Weltkirche der Deutschen
Bischofskonferenz, Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), in die Ukraine.
Stationen waren die Hauptstadt Kiew (Kyjiv) und Lemberg (Lviv). Neben
Vertretern der Kirchen kam der Bischof auch mit dem ukrainischen Minister für
Religionsangelegenheiten zusammen.
Im Mittelpunkt des Besuchs in
Kiew (7.–8. April 2024) stand ein ausführliches Gespräch mit dem Großerzbischof
der Ukrainischen griechisch-katholischen Kirche, Sviatoslav Shevchuk. Dieser
Kirche gehören etwa acht Prozent der ukrainischen Bevölkerung an. Der
Großerzbischof dankte der Deutschen Bischofskonferenz und den Katholiken in
Deutschland für die seit Jahren andauernde geistliche, materielle und
politische Solidarität mit der Ukraine, insbesondere seit dem russischen
Großangriff vor zwei Jahren. Er erwähnte in diesem Zusammenhang auch die
Bemühungen bei der Aufnahme einer großen Zahl von Flüchtlingen in Deutschland.
Auch würden die Verlautbarungen der deutschen Bischöfe zur Ukraine und das
grundlegende friedensethische Wort „Friede diesem Haus“ (Februar 2024) als wertvolle
Unterstützung der Kirche in der Ukraine wahrgenommen. Großerzbischof Shevchuk
berichtete von dem Leben seiner Kirche in Zeiten des Krieges, vor allem von dem
stetigen Bemühen, den Opfern der Gewalt nahe zu sein und die Resilienz der
Bevölkerung angesichts der andauernden Aggression in einer vom Glauben
getragenen Weise zu stärken. So wenig ein „radikaler Pazifismus“ die Antwort
auf die militärischen Angriffe Russlands sein könne, so sehr komme es doch
darauf an, dass die Kirche stets, gerade auch in den Situationen eines
aufgezwungenen Kampfes, an das christliche Ethos erinnere. Sowohl
Großerzbischof Shevchuk als auch Bischof Meier brachten ihre Wertschätzung für
die Vermittlungsaktivitäten des päpstlichen Beauftragten Kardinal Matteo Zuppi
zum Ausdruck.
Einblicke in die konkrete
pastorale und soziale Arbeit der Kirche für die Not leidende Bevölkerung konnte
Bischof Meier in Gesprächen mit Verantwortlichen der Stiftung „Wise Cause“ und
der Caritas der griechisch-katholischen Kirche gewinnen. Deren Projekte dienen
zum einen der Unterstützung von Menschen, die durch den Krieg ihre materielle
Lebensgrundlage verloren haben, zum anderen umfassen sie psychologische Hilfe
für diejenigen, die Traumata erlitten haben. Die diakonische Arbeit der Kirche
ist dabei besonders von dem Gedanken geleitet, das soziale Umfeld der vom Krieg
materiell oder an Leib und Seele Geschädigten zu stabilisieren. Anschaulich
wurde dies im Bericht über ein Projekt der Caritas, das den Bau provisorischer
Unterkünfte unmittelbar am Ort zerstörter Wohnhäuser ermöglicht: So können die
Betroffenen weiterhin in ihren Gemeinschaften bleiben und sozialen Zusammenhalt
erleben. Die diakonischen Projekte der Kirche werden u. a. von Renovabis
und der deutschen Caritas (Caritas international) finanziert.
Der Militärseelsorge kommt in
Zeiten des Krieges eine herausgehobene Bedeutung zu. Über deren Arbeit
informierte sich Bischof Meier im Austausch mit dem stellvertretenden Leiter
der griechisch-katholischen Militärseelsorge, Pater Andriy Zelinsky SJ. Die
internationalen Standards entsprechende Professionalität der laut Angabe von
Pater Zelinsky SJ 800 christlichen Militärgeistlichen (180 davon katholisch)
ist auch dadurch gewährleistet, dass deren Ausbildung im westlichen Ausland
erfolgt. Angesichts der konfessionellen Vielgestaltigkeit der Ukraine kommt der
ökumenischen Abstimmung im Bereich der Militärseelsorge eine große praktische
Bedeutung zu.
Am eindrücklichsten erlebte
Bischof Meier die Leiden des Krieges und die Herausforderungen, die sich der
Seelsorge stellen, beim Besuch eines Soldatenfriedhofs in Brovary (in der Nähe
der ukrainischen Hauptstadt). Der Vorsitzende der Kommission Weltkirche
begegnete dort einer Gruppe von Angehörigen, deren Söhne und Ehepartner im
Krieg gefallen sind, und dem sie betreuenden örtlichen Pfarrer. Den von Leid,
fortdauernder Erschütterung und Trauer bestimmten Gesprächen folgte das von
Bischof Meier geleitete Gebet an den einzelnen Gräbern. „Dies war der tiefste,
wichtigste und ergreifendste Moment der Reise“, fasste der Bischof seinen
Eindruck vom Besuch des Friedhofs zusammen. „Jeder abstrakte Blick auf den
Krieg verblasst im Angesicht der weinenden Ehefrauen und Eltern, die das
Wichtigste in ihrem Leben verloren haben. Und zugleich ist mir einmal mehr
deutlich geworden, wie sehr Kirche gerade in diesen Situationen gebraucht wird
und gefordert ist.“
Das Verhältnis von Staat und
Kirchen sowie den anderen Religionsgemeinschaften in der Ukraine war Thema beim
Treffen mit dem Apostolischen Nuntius in der Ukraine, Erzbischof Visvaldis
Kulbokas, und dem Minister für Religionsangelegenheiten, Viktor Yelensky.
Minister Yelensky machte deutlich, dass eine kooperativere Ausgestaltung des
Verhältnisses von Religion und Staat auf der Grundlage der Trennung beider
Sphären angestrebt werde. Das schließe Spannungen im Einzelfall nicht aus, wie
sie etwa in den Diskussionen um ein neues Rekrutierungsgesetz für Soldaten
deutlich werden: Die Kirchen wollen sicherstellen, dass Priester und
Priesteramtskandidaten bzw. Pastore nicht zum Dienst an der Waffe herangezogen
werden dürfen. Während die kirchlich-staatlichen Beziehungen trotz solcher
Fragen allgemein als zufriedenstellend angesehen werden, bildet die
ukrainisch-orthodoxe Kirche, die in ungeklärtem Verhältnis zum Moskauer Patriarchat
steht, eine Ausnahme. Sie wird – trotz gegenteiliger Bekundungen dieser Kirche
– von vielen in der Gesellschaft und auch von der Regierung als weiterhin dem
Moskauer Patriarchen Kyrill zugewandt betrachtet. Dies führt zu Spannungen mit
dem Staat, was etwa im Verbot der Militärseelsorge dieser Kirche Ausdruck
findet. Bischof Meier erörterte diese Situation auch mit dem Metropoliten
Kliment Vetcherya der ukrainisch-orthodoxen Kirche, der bemüht war, die
komplizierte kirchenrechtliche Situation seiner Kirche innerhalb der Orthodoxie
zu erläutern. Ein Gespräch mit einem Repräsentanten der orthodoxen Kirche der
Ukraine, die keinerlei Beziehungen zur russischen Orthodoxie unterhält und das
Wohlwollen der staatlichen Behörden genießt, kam während des Besuchs von
Bischof Meier nicht zustande.
Anders als im Juni 2022, als
Bischof Meier bei seiner Reise in die Ukraine eine hoch angespannte, aber
grundlegend optimistische Stimmung vorfand, dominierte dieses Mal in fast allen
Begegnungen eine tristere Atmosphäre. Die in den zurückliegenden Monaten neu
gewonnene Stabilität des russischen Militärs, Misserfolge der Ukrainer an
einzelnen Frontabschnitten, die aktuell unzureichende Waffenhilfe der
westlichen Partner und nicht zuletzt eine wachsende Zahl ukrainischer Kriegsopfer
haben die Hoffnung auf einen baldigen Erfolg schwinden lassen. Probleme bei der
Rekrutierung von Soldaten und eine viel beklagte Korruption, die das
Gerechtigkeitsempfinden vieler Menschen empört, sind Ausdruck einer auch im
Inneren des Landes schwierigen Situation. „In meinen Gesprächen“, so Bischof
Meier, „wurde immer wieder glaubhaft berichtet, dass die Ukrainer auch
weiterhin entschlossen sind, die Freiheit ihres Landes zu verteidigen. Gerade
die Brutalität des russischen Militärapparats und die willkürliche Beschießung
und Bombardierung von Zivilisten bestärken die politischen Verantwortlichen und
große Teile des Volkes in der Auffassung, dass es keine vertretbare Alternative
zum Verteidigungskrieg gibt. Die Hoffnung, dass die Ukraine als freies Land
überlebt, besteht weiter. Aber sie ist überschattet von den politischen und
militärischen Widrigkeiten. Auch und gerade in dieser schwierigen Lage ist die
Solidarität der Deutschen und der Europäer mit den bedrängten Ukrainern
gefordert!“
Der Besuch in Lemberg (Lviv)
am 9. und 10. April 2024 galt besonders der lateinischen katholischen Kirche,
einer kleineren Kirche, der ca. zwei Prozent der ukrainischen Bevölkerung
angehören, der aber in den westlichen Teilen des Landes eine große Bedeutung
zukommt. Bischof Meier traf dort mit Erzbischof Mieczys?aw Mokrzycki zusammen,
mit dem er gemeinsam eine neue Kirche in der Diözese einweihte. „Ich bin
dankbar, dass ich zum Abschluss der Reise an einem solchen Kirchenereignis
mitwirken konnte. Die festliche Stimmung, auch die Fröhlichkeit der Gläubigen,
die ich erlebt habe, zeigt ein Durchhaltevermögen in der Krise. Nichts
Aufgesetztes, kein durchsichtiger, zur Schau getragener Optimismus ist hier am
Werk, sondern christliche Hoffnung, die auch in schweren Zeiten trägt.“ Dbk 10
Caritas Europa fordert „Mission für Migranten im Mittelmeer“
Seit 2014 sind mindestens
20.000 Migranten im Mittelmeer gestorben und die Zahl steigt von Tag zu Tag, während
weltweit 108 Millionen Menschen aufgrund von Kriegen, Verfolgung, Gewalt und
Menschenrechtsverletzungen gezwungen sind, ihre Heimat zu verlassen. Darauf
weist Caritas Europa jetzt hin.
„Das Thema der Migration über
das Mittelmeer nimmt in den europäischen Medien immer weniger Raum ein, aber
das kann nicht akzeptiert werden und muss sich ändern“, so der Präsident von
Caritas-Europa, Michael Landau. Der Österreicher plädiert für eine gemeinsame
europäische Such- und Rettungsmission im Mittelmeer. Dies sagte Landau an
diesem Dienstag in Grado bei Gorizia. Der Präsident von Caritas Europa sprach
am zweiten Tag der 44. Nationalen Konferenz der diözesanen Caritas, die bis zum
11. April dauert.
„Während viele nichts mehr
haben, ganze Generationen unter kompliziertesten Bedingungen leben und
aufwachsen müssen, hat die internationale Gemeinschaft noch keinen Weg
gefunden, den Schutz von Flüchtlingen vollständig und unverzichtbar
anzuerkennen und umzusetzen, und bekämpft nicht die Ursachen“, so der ehemalige
Leiter von Caritas-Österreich. Die meisten Flüchtlinge würden „mit der nötigen
Entschlossenheit“ ihr Land verlassen, sagte der Präsident von Caritas Europa
und erinnerte auch an „die dramatische Situation im Heiligen Land, die die
gesamte Region sowie die ganze Welt betrifft“. Auch der langwierige Krieg in
der Ukraine und die Situation im Sudan und in Haiti seien für die steigende
Zahl von Flüchtlingen mitverantwortlich.
Kriege und Krisen
Zusammen „mit anderen
anhaltenden Kriegen und Krisen, die zunehmend fast vergessen werden“ sei eine
beunruhigende Weltlage entstanden. Nicht vergessen dürfe man auch die
Klimakrise, die Millionen von Umweltflüchtlingen hervorbringt. „Die
Unzulänglichkeit des politischen Systems, auf diese Herausforderungen zu
reagieren, ist besonders dramatisch geworden“, bemerkte Landau. Letztlich müsse
es möglich sein, beides zu tun: Menschen zu helfen und Grenzen zu schützen.
Darüber hinaus könne man das Migrationsproblem im Mittelmeer „natürlich nicht
reduzieren“, gab Landau zu. Die europäischen Grenzen seien „lang und
vielfältig“.
Der Präsident von Caritas
Europa betonte, dass „in vielen europäischen Ländern vielfältige Defizite im
Flüchtlingsmanagement bestehen, etwa bei den Herausforderungen für die
Vertriebenen aus der Ukraine, oft aber auch bei der Grundversorgung allgemein
oder bei der Marktintegration der Arbeitskräfte“. Abschließend sagte der
Österreicher: „Wir stehen vor einem gravierenden Arbeitskräftemangel, der nicht
mehr nur qualifizierte Arbeitskräfte betrifft, etwa im Pflegebereich.“ Ein
Umdenken sei dringend erforderlich. (sir 9)
Vatikan-Erklärung zu Menschenwürde stößt auch auf Kritik
Bis 1963 sah die katholische
Kirche mit Skepsis auf den Begriff der Menschenrechte. Ein neues
Vatikan-Dokument stellt nun die Menschenwürde in den Mittelpunkt. Aus Sicht von
Fachleuten bleibt manches unklar.
Die Erklärung des Vatikans
zur Menschenwürde stößt bei Theologen in Deutschland auch auf Kritik. Es sei
„Augenwischerei, so zu tun, als habe Würde immer im Zentrum kirchlicher
Argumentation gestanden", sagte die Dogmatikerin Gunda Werner dem Portal
katholisch.de am Dienstag. Historisch gesehen habe sich die Kirche kaum auf die
Würde aller Menschen bezogen, „stattdessen ging es vor allem um die Würde des
Mannes".
Das am Montag veröffentlichte
Dokument „Dignitas infinita" (Unendliche Würde) des Dikasteriums für die
Glaubenslehre enthält eine ausführliche Darstellung von Verstößen gegen die
Menschenwürde aus Sicht der katholischen Kirche. Dazu zählen die Ausbeutung von
Arbeitern, der Menschenhandel, die Zerstörung der Umwelt, sexueller Missbrauch
innerhalb und außerhalb der Kirche, Gewalt gegen Frauen, Krieg und die
Todesstrafe. Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Georg Bätzing,
begrüßte es, dass der Vatikan die „unverzichtbare, unverletzliche und nicht zu
reduzierende (,infinita') Würde des Menschen" unterstreiche und
einschärfe.
Werner kritisierte, dass etwa
sexualisierte Gewalt in wenigen Sätzen abgehandelt werde. „Missbrauch wird als
Hindernis für die Sendung der Kirche erkannt, aber dass es innerhalb der Kirche
vielleicht Strukturen gibt, die Missbrauch begünstigen, kommt nicht vor.“ Das
eigene Handeln der Kirche bleibe „unreflektiert“, so die in Bochum lehrende
Theologin. Ebenso klafften die Aussagen zu homosexuellen Menschen und
Transpersonen auseinander: Einerseits würden Staaten ermahnt, nicht gegen diese
vorzugehen, andererseits werde „nach innen jede homosexuelle Handlung"
verurteilt. Unklar bleibe zudem, gegen welche Gender-Theorien sich das Lehramt
konkret wende.
Gender-Theorien als Verstöße
gegen Menschenwürde?
Für den Mainzer
Moraltheologen Stephan Goertz ist die Einordnung von Gender-Theorien als
schwere Verstöße gegen die Menschenwürde „ein echtes Ärgernis":
„Menschenrechtliche Ansprüche sexueller Minderheiten werden mit keiner Silbe
der Würdigung für wert erachtet", kritisierte Goertz in einem Gastbeitrag
auf kirche-und-leben.de. „Wie soll unter diesen Vorzeichen eine auch nur
ansatzweise seriöse Auseinandersetzung stattfinden?"
Ebenso bleibe es ein
„moraltheologisches Rätsel", wie es mit der Menschenwürde in Einklang zu
bringen sei, wenn Homosexuellen die Fähigkeit abgesprochen werde, ihre
Sexualität auf humane Weise auszuleben. Zudem falle an dem Dokument auf, „dass
für die Begründung der Würde des Menschen dessen Freiheit keinen zentralen
Stellenwert besitzt". Angesichts globaler Angriffe auf freiheitliche
Gesellschaften hätte Goertz es für sinnvoll gehalten, „die demokratische,
rechtsstaatliche politische Ordnung nachdrücklicher als die relativ beste
staatliche Garantie des Schutzes von Menschenwürde christlich zu
verteidigen". (kna 9)
Beraterin beim Kardinalsrat: Großes Interesse an der Frauenfrage
Die italienische Ordensfrau
Linda Pocher registriert waches Interesse und Lernbereitschaft in der
Frauenfrage bei Papst Franziskus und den Kardinälen seines Beratungsstabs. Sie
organisiert im Auftrag von Franziskus eine Vortragsreihe über die Rolle der
Frau in der Kirche für den Kardinalsrat, die auch als Vorbereitung für die
zweite Sitzung der Synode dient.
„Ich hoffe, dass diese
Begegnungen den Kardinälen helfen können, die Dinge aus anderen Perspektiven zu
sehen, als sie es gewohnt sind“, sagte die Schwester im Interview mit der
Jesuitenzeitschrift „America“ Anfang des Monats. In der aktuellen Phase des
synodalen Prozesses gehe es nicht um „vorschnelle Entscheidungen“, sondern um
eine „Öffnung für andere Gedanken und Perspektiven als die unseren“. Bei Synode
gilt die Beschäftigung mit der Rolle der Frau als transversales Thema, das
Gläubige aus allen Kontinenten beschäftigt, wenn auch auf unterschiedliche
Weise.
Pocher kündigte für Juni ein
Buch an, das einige Überlegungen der K9-Kardinäle zur Frauenfrage bündelt. Nach
der ersten Vortragsrunde war ein Werk mit den Beiträgen der drei Fachleute
erschienen, die vor den Kardinälen und dem Papst gesprochen hatten; neben
Pocher waren das die Fundamentaltheologin Lucia Vantini und der Priester
und Seminaristenausbilder Luca Castiglione. Papst Franziskus hatte für das
Buch mit dem Titel „Smaschilizzare la Chiesa?“ (etwa: „Die Kirche
entmännlichen?“) das Vorwort beigesteuert und darin von einer „Verblüffung“
gesprochen, die entstehe, wenn Männer der Kirche Frauen zuhörten und sich ihren
Blickwinkel schildern ließen. Was in den Ohren der Männer anfangs „absurd“
klinge und sie einschüchtere, sei heilsam: „Diese Verblüffung ist gesund, sie
lässt uns wachsen“, so der Papst in dem Vorwort.
Papst war überrascht über
Kritik an Theologie
Die erste Vortragsrunde galt dem
marianischen und dem petrinischen Prinzip in der Kirche. Das Konzept geht
auf den Schweizer Theologen Hans Urs von Balthasar (1905-1988) zurück und
erhielt in den vergangenen Jahren mehr Aufmerksamkeit, weil Papst Franziskus es
einige Male nutzte, um Reformideen zur Rolle der Frau in der Kirche zu
illustrieren. Die drei Theologen hätten hinterfragt, ob das marianische und das
petrinische Prinzip „wirklich geeignet sind, die gegenwärtige Situation der
Kirche zu begleiten, die sich stark unterscheidet von derjenigen vor 50
Jahren“, als Balthasar schrieb. Besonders kritisch gesehen würde heute eine zu
starke Idealisierung der Frau und eine zu starre Rollenverteilung in dieser
Theologie. Franziskus sei von dieser Kritik überrascht gewesen, so Pocher.
Papst und Kardinäle
zeigten „viel Interesse“
Die zweite Vortragsreihe vor
dem Kardinalsrat galt dem Thema Frauen und Ämter, sagte Pocher „America“.
Dazu waren die anglikanische Bischöfin Jo Mailey Wells, verheiratet, zwei
Kinder, und die Liturgiewissenschaftlerin Giuliva Di Berardino eingeladen. Sie
habe versucht, Menschen mit unterschiedlichem Hintergrund auszuwählen, die
„zugleich etwas Interessantes über das vorgeschlagene Thema zu sagen hätten“,
so die Ordensfrau. Der Papst und die Kardinäle hätten viel Interesse gezeigt,
mit Eifer zugehört und danach „freimütig ihre Standpunkte und Bedenken
geäußert.“
Pocher, die Dogmatik an der
Hochschule ihrer Ordensgemeinschaft in Rom lehrt, war zum ersten Mal bereits
2022 eingeladen, vor dem Kardinalsrat über das marianische und das petrinische
Prinzip in der Kirche zu sprechen. Die Idee zur Vortragsreihe zwischen den
beiden Synodensitzungen sei von Papst Franziskus selbst gekommen, erklärte die
Ordensfrau. Zum Thema der bevorstehenden dritten Vortragsrunde wollte sie sich nicht
äußern. (vn 9)
Als Katholik beim Zentralrat der Juden in Deutschland
Lorenz Hegeler ist
katholisch, wohnt in Berlin und arbeitet in der interreligiösen „Denkfabrik
Schalom Aleikum“ des Zentralrats der Juden in Deutschland. Wir haben den
Kultur- und Religionswissenschaftler getroffen und mit ihm über seine Arbeit in
der Denkfabrik gesprochen.
Herr Hegeler, Sie sind
Kultur- und Religionswissenschaftler, Sie sind Katholik, leben in Berlin und
arbeiten beim Zentralrat der Juden in Deutschland. Sie arbeiten dort in der
interreligiösen „Denkfabrik Schalom Aleikum“. Wie ist die interreligiöse
Denkfabrik entstanden und was sind ihre Aufgaben?
Die „Denkfabrik Schalom
Aleikum“ ist aus einem jüdisch-muslimischen Dialogprojekt, das 2019 gegründet
wurde, entstanden. Die Denkfabrik wurde in der Form 2022 gegründet und ist eine
Initiative des Zentralrats der Juden in Deutschland. Mit dem Wandel von einem
Dialogprojekt zu einer Denkfabrik ist die Institution etwas analytischer
geworden, arbeitet mehr wissenschaftlich und erforscht jüdische, muslimische
und christliche Identitäten und Lebensrealitäten aktuell in verschiedenen
Kontexten. Sie hat zum Ziel, gegenseitige Vorurteile und Stereotype abzubauen,
Begegnungen zu schaffen und so zum Zusammenhalt der Gesellschaft beizutragen.
Die Denkfabrik macht das mit verschiedenen Formaten. Das eine ist die
wissenschaftliche Forschung. Wir geben zu verschiedenen Themen Bücher heraus
und politische Handreichungen. Das war im letzten Jahr zum Thema „Jüdische,
muslimische und christliche Lebensrealitäten in Ostdeutschland“. Dieses Jahr
dreht sich das Thema um Hassrede und religiöse Identitäten im Netz. Dazu werden
wir wissenschaftlich und publizistisch arbeiten. Die Denkfabrik führt außerdem
Bildungsworkshops durch. Vor allem in den letzten Monaten war uns der
Bildungsbereich sehr wichtig, mit jungen Erwachsenen aus dem jüdischen,
muslimischen und christlichen Umfeld gemeinsam zu sprechen, gemeinsame
Begegnungen zu haben, um abseits der medialen Aufmerksamkeit gemeinsam über
aktuelle Thematiken und Probleme zu sprechen und sich in dieser Form einfach
kennenzulernen.
„Sich für Juden einzusetzen,
für die jüdische Gemeinschaft in Deutschland, heißt auch immer, sich für andere
marginalisierte Gruppen einzusetzen und für eine gute Gesellschaft, für einen
starken Zusammenhalt“
Sie arbeiten als katholischer
Kultur- und Religionswissenschaftler in der interreligiösen Denkfabrik. Was war
Ihre Intention dort zu arbeiten?
Ich habe mich in den letzten
Jahren, insbesondere in meinem Studium der Religions- und Kulturwissenschaften,
sehr intensiv mit interreligiösen Beziehungen beschäftigt. Mein Fokus lag dabei
auf den jüdisch-christlichen Beziehungen und in diesem Kontext war es für mich
spannend, diesen Einblick in eine jüdische Institution zu bekommen. Es gibt von
Rabbiner Jonathan Sacks die Aussage „The hate that begins with Jews never ends
with Jews”, also „der Hass, der mit Juden beginnt, endet nicht mit ihnen“, und
insofern war für mich die jüdische Gemeinschaft vor allem in Deutschland immer auch
ein Lackmustest für die Stimmung in Deutschland. Sich für Juden einzusetzen,
für die jüdische Gemeinschaft in Deutschland, heißt auch immer, sich für andere
marginalisierte Gruppen einzusetzen und für eine gute Gesellschaft, für einen
starken Zusammenhalt.
Sie arbeiten in der
interreligiösen „Denkfabrik Schalom Aleikum“ zusammen mit Muslimen und
Juden und sind quasi die christliche Komponente der Denkfabrik. Wie ist es für
Sie, dort eine christliche Perspektive zu vertreten?
Es ist wahnsinnig spannend mit
Personen verschiedener Religionen und verschiedener kultureller Hintergründe zu
arbeiten. Es gibt für jede Religion, für jede religiöse Strömung gewissermaßen
einen Experten direkt vor Ort. Ich brauche nur ins nächste Büro zu gehen und zu
fragen und habe dort meine jüdischen Kollegen, meine muslimischen Kollegen und
das ist einfach sehr hilfreich. Es ist eine sehr große Vielfalt und davon leben
wir und davon lebt auch unsere Arbeit und davon profitieren wir enorm in
unserer Arbeit.
„Der Dialog ist schwieriger
geworden“
Der brutale Angriff der
islamistischen Terrorgruppe Hamas am 7. Oktober 2023 und die anschließende
Gegenoffensive Israels hatten sicher auch Auswirkungen auf die Arbeit der
Denkfabrik. Können Sie uns ein bisschen erzählen, ob oder wie sich Ihre Arbeit
in den letzten Monaten verändert hat?
Es war auf jeden Fall sehr
intensiv in den letzten Monaten. Es war sehr viel mehr los, es gab viele
Anfragen, viel zu tun in diesem Bereich. Die interreligiöse Landschaft hat sich
wahnsinnig stark verändert. Der Dialog ist schwieriger geworden. Wir hätten uns
von muslimischen Verbänden eine stärkere Positionierung und Solidarität
gewünscht. Wir merken, dass die Stimmung in diesem Bereich sehr viel rauer
geworden ist. Wir erleben, dass in Berlin – wo wir beheimatet sind als
Zentralrat der Juden in Deutschland – die Stimmung eine ganz andere ist. Das
betrifft auch vermehrt linke Gruppen, die sich radikalisieren und sehr stark
antiisraelisch und antisemitisch äußern. Und wir sehen fast täglich die
Demonstrationen in Berlin und wir sehen die Aufrufe, die es täglich gibt. Da
merkt man sehr stark, dass sich die Stimmung nicht nur zu einer
antiisraelischen, sondern auch insgesamt zu einer antijüdischen Stimmung
geändert hat. Und das hat natürlich einen riesigen Einfluss auf unsere Arbeit
in einem dialogischen und trialogischen Umfeld.
Noch eine etwas persönliche
Frage zum Schluss. Sie leben als Katholik in Berlin und sind gerade in Rom –
wie erleben Sie die Stadt?
Katholischsein in Berlin ist
sehr, sehr anders. Katholisch sein in Berlin heißt vor allem eine diasporische
Kultur zu pflegen. Also eine Kultur, in der Katholischsein gewissermaßen nicht
normal ist. Es ist eine Minderheitenposition, die gleichzeitig dazu führt, dass
man Katholizismus sehr stolz lebt und auch sehr bewusst lebt. Das finde ich
sehr spannend im Vergleich dazu hier in Rom zu sehen. Der Katholizismus ist
hier sehr viel normaler, alltäglicher. Die Personen, die man auf der Straße
sieht, da gibt es viel mehr Leute hier, die mit Priesterkragen herumlaufen, es
gibt ganz viele Mönche und Nonnen, die man hier öffentlich erkennbar sieht. Das
gibt es so in Berlin nicht. Also diese Alltäglichkeit erlebe ich hier sehr
stark und ich schätze es sehr, wie präsent diese Themen hier sind.
Vielen Dank für Ihre Zeit und
weiterhin gute Arbeit für Sie im Zentralrat der Juden in Deutschland!
Vielen Dank, dass ich hier
sein durfte! Es hat mich sehr gefreut und ich freue mich auf meine Zeit hier in
Rom.
Die Fragen stellte Valerie
Nusser. (vn 8)
Bischof Bätzing würdigt römische Erklärung Dignitas infinita
„Bestärkung für alle, die
sich für die Achtung der Menschenwürde einsetzen“
Im Vatikan ist heute (8.
April 2024) die Erklärung des Dikasteriums für die Glaubenslehre „Dignitas
infinita über die menschliche Würde“ veröffentlicht worden. Der Vorsitzende der
Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, erklärt zu diesem
römischen Dokument:
Nach eingehenden Vorarbeiten
hat das Dikasterium für die Glaubenslehre mit Datum vom 2. April 2024 die von
Papst Franziskus approbierte Erklärung Dignitas infinita über die menschliche
Würde heute (8. April 2024) veröffentlicht. Gerade angesichts der Tatsache,
dass wir in einer Welt leben, in der die Menschenwürde tagtäglich auf vielfache
Weise missachtet, untergraben, ausgehöhlt und relativiert wird, ist es höchst
begrüßenswert, dass das Dikasterium für die Glaubenslehre unter Leitung seines
Präfekten, Kardinal Víctor Manuel Fernández, in seiner Erklärung die
unverzichtbare, unverletzliche und nicht zu reduzierende („infinita“) Würde des
Menschen unterstreicht und einschärft: „Die Kirche verkündet, fördert und macht
sich zum Garanten der Menschenwürde“ (Überschrift zu Kapitel 2). Vor diesem
Hintergrund bietet die Erklärung in sachlicher und angemessener Sprache und
Argumentation eine Bestärkung für alle, die sich für die Achtung der
Menschenwürde und die sich daraus ergebenden fundamentalen Menschenrechte
einsetzen.
In seinem Grundlagenteil
bietet der Text zunächst eine Anerkennung und Fundierung der Menschenwürde aus
der Perspektive des christlichen Glaubens: „Die Kirche bekräftigt und bestätigt
im Licht der Offenbarung in absoluter Art und Weise diese ontologische Würde
der menschlichen Person, die nach dem Bild und Gleichnis Gottes geschaffen und
in Christus Jesus erlöst wurde“ (Nr. 1). Als sehr hilfreich und klärend
für den Sprachgebrauch des Würdebegriffs stellt sich die vierfache
Differenzierung von ontologischer Würde, sittlicher Würde, sozialer und
existenzieller Würde dar. In sittlichen, sozialen und existenziellen
Fragestellungen wird auf ganz unterschiedliche Weise von Würde gesprochen.
Entscheidend ist dabei die Feststellung, dass der Aspekt, der hier ontologische
Würde genannt wird, sich auf jenen auch philosophisch-anthropologisch zentralen
Begriff von Würde bezieht, der dem Menschen als Mensch zuzusprechen ist: der
schlechthin fundamentale Anspruch auf Achtung, der der menschlichen Person von
niemandem und unter keinen Umständen genommen werden kann und der deshalb
unverlierbar und unantastbar ist. Von diesem Begriff von Würde, der im
„Fortschritt der menschlichen Reflexion über das Thema Würde“ (Nr. 13)
herausgearbeitet wurde, geht die Erklärung in ihrer Befassung mit verschiedenen
Fragestellungen aus. Es ist sicher nicht nur aus deutscher Perspektive
erfreulich, dass der Text einen positiven Bezug nicht nur zu René Descartes,
sondern auch zu Immanuel Kant herstellt (vgl. Nr. 13). Gerade im Hinblick auf
die Menschenwürde wird hier eine Offenheit über den katholischen Binnenraum
hinaus signalisiert, die im Dialog in einer postsäkularen Gesellschaft
weiterhilft.
Insgesamt zeichnet sich die
Erklärung zudem durch einen sehr konsequenten Argumentationsstrang aus, der
ethische Überlegungen und Handlungsorientierungen aus dem Grundkonzept der
Menschenwürde ableitet, ohne sich dabei, etwa im Stil älterer Erklärungen,
immer wieder auf eine auch in ihren detaillierten Normierungen nicht zu
hinterfragende natürliche Sittenordnung zu beziehen. Dieser konsequente
Rückbezug auf die Menschenwürde wird nicht ohne Weiteres dazu führen, dass die
Lehraussagen der Kirche allseits und in allen Gesellschaften dieser Welt
ungeteilte Zustimmung erfahren. Aber er stärkt ganz sicher die Anschluss- und
Diskursfähigkeit der vorgebrachten Argumente.
Unter Rückbezug auf die
Konzilskonstitution Gaudium et spes weist die Erklärung auf eine Reihe von
schweren Verletzungen der Menschenwürde hin, die von bleibend dramatischer
Aktualität sind: Mord, Völkermord, Abtreibung, Euthanasie, freiwilliger Suizid,
auch Verstümmelung, körperliche oder seelische Folter, psychischer Zwang und
schließlich unmenschliche Lebensbedingungen, willkürliche Verhaftung,
Verschleppung, Sklaverei, Prostitution, Mädchenhandel und Handel mit
Jugendlichen, unwürdige Arbeitsbedingungen, unwürdige Haftbedingungen und auch
die Todesstrafe.
Als Themen von besonderer
Aktualität werden hervorgehoben: Armut und ungerechte Güterverteilung, Krieg,
die Leiden der Migranten und der Menschenhandel. Auch der sexuelle Missbrauch
wird, nicht zuletzt als Problematik der Kirche selbst, angesprochen. Unter der
Überschrift Gewalt gegen Frauen werden neben physischer und sexueller Gewalt
gegen Frauen die mangelnde Rechtsgleichheit für Frauen, ungleiche Entlohnung
und Berufsaussichten, sexuelle Ausbeutung und Zwang zur Abtreibung
angeprangert. Es wird auf die Gerechtigkeitsproblematik der Polygamie und auf
das Verbrechen der Frauenmorde hingewiesen. Eigene Abschnitte gehen auf
Abtreibung, Leihmutterschaft, Euthanasie und assistierten Suizid, den
Ausschluss von Menschen mit Behinderung, die Gender-Theorie, das Thema
Geschlechtsumwandlung und nicht zuletzt Gewalt in der digitalen Welt ein.
Ausdrücklich wird als Verstoß gegen die Menschenwürde angeprangert, dass
Menschen allein aufgrund ihrer sexuellen Orientierung inhaftiert, gefoltert
oder sogar ermordet werden.
Diese recht heterogene
Themenliste, die weder Anspruch auf Vollständigkeit noch auf systematische
Geschlossenheit erhebt, wird jeweils durch knappe Hinweise im Sinne der bereits
erwähnten Argumentation erläutert. Natürlich gäbe es zu den einzelnen Themen
noch weitaus mehr und weiter Differenzierendes zu sagen. Aber der Charakter der
Erklärung als überblickartiger Hinweis auf den relevanten Argumentationsfaden
lässt es angeraten sein, keine bis ins letzte Detail ausgearbeiteten
Einzelnormen aufzustellen. Gerade dadurch kann mit diesem Dokument in den
jeweiligen Einzelthemen weitergearbeitet werden.
Wichtig scheint dies
insbesondere etwa im Hinblick auf die Problematik der sexualisierten Gewalt und
ihrer Vertuschung in der Kirche. Dass in dieser Hinsicht auch nach
missbrauchsbegünstigenden strukturellen und systemischen Aspekten gefragt
werden muss, ist eine Perspektive, die in der Kirche noch stärkere
Berücksichtigung finden muss. Dieser Problematik, die mit einer massiven
Verletzung der Würde aller Betroffenen einhergeht, wird man anders nicht
nachhaltig entgegentreten können.
Gerade angesichts dessen muss
der Einsatz der Kirche für die Würde des Menschen, für den sich Dignitas
infinita so vehement und überzeugend ausspricht, immer auch von einem Aspekt
der Selbstkritik begleitet sein. Die Erkenntnis, dass die Kirche hinter dem
Anspruch, Garantin der Menschenwürde zu sein, in der Vergangenheit immer wieder
auch zurückgeblieben ist, kann heute zur besonderen Achtsamkeit in dieser
Perspektive beitragen. Zu Recht zitiert die Erklärung ein Wort von Papst
Franziskus, mit dem er die Allgemeine Erklärung der Menschenrechte als
Königsweg bezeichnet, „auf dem viele Fortschritte gemacht wurden, wo aber noch
sehr viele weitere Schritte fehlen, und manchmal machen wir leider auch
Rückschritte. Der Einsatz für die Menschenrechte ist nie zu Ende!“ (Franziskus,
Angelus vom 10. Dezember 2023: L’Osservatore Romano, 11. Dezember 2023, S. 12,
zit. in: Nr. 63)
Dass Dignitas infinita die
Würde der menschlichen Person so dezidiert ins Zentrum der Moralverkündigung
der Kirche stellt, ist deshalb in mehrfacher Hinsicht verdienstvoll und
zugleich perspektivreich. Wie im Brennpunkt einer Linse kommen hier die
anthropologischen Prinzipien der Kirche, die Fundamente jeder menschlichen
Sozialgestalt und die Zukunftsfragen der gesamten Menschheit zusammen. Von
daher kann man gar nicht anders als dieser Erklärung eine lebhafte Aufnahme und
Diskussion und eine segensreiche Wirkungsgeschichte zu wünschen.
Hinweis: Die von dem
Dikasterium für die Glaubenslehre veröffentlichte Erklärung Dignitas infinita
über die menschliche Würde ist auf der Internetseite des Vatikans verfügbar.
Dbk 8
„Kirche verurteilt Verfolgung wegen sexueller Orientierung“
Der Vatikan verurteilt
Gesetzgebungen, mit denen Menschen wegen ihrer sexuellen Orientierung verfolgt
werden. Das hat der Präfekt des vatikanischen Glaubensdikasteriums, Kardinal
Victor Manuel Fernández, bei der Vorstellung der Erklärung zur Menschenwürde
„Dignitas infinita“ an diesem Montag im Vatikan bekräftigt. Christine Seuss -
Vatikanstadt
Er sei einmal „fast
gestorben“, als er ein Dokument gelesen habe, in dem sich selbst als Katholiken
bezeichnende Verfasser einem Militärregime dafür dankten, eine repressive
Gesetzgebung gegen homosexuelle Menschen eingeführt zu haben, so Kardinal
Fernández bei der Pressekonferenz auf die Nachfrage einer Journalistin. Auch
wenn für die Kirche eine Ehe zwischen gleichgeschlechtlichen Partnern niemals
der Verbindung zwischen Mann und Frau gleichgestellt werden könne, so heiße
dies keinesfalls, dass sie die Verfolgung von Menschen wegen derer sexuellen
Orientierung gutheiße, so der Glaubenspräfekt in seinen Erläuterungen zum
Dokument.
„Der Text unterstreicht, dass
es im Gegensatz zur Menschenwürde steht, wenn eine Person verfolgt, gefoltert,
eingesperrt oder auch getötet wird nur wegen der Tatsache, dass sie gay ist,
nur wegen ihrer sexuellen Orientierung, was in vielen Ländern der Welt auch auf
legale Weise geschieht. Man spricht zu wenig von dieser Verletzung der
menschlichen Würde, von diesem Angriff auf die Menschenrechte!"
Doch auch auf die Kritik an
der im vergangenen Dezember veröffentlichten Erklärung des
Glaubensdikasteriums, Fiducia supplicans, ging der Argentinier, der als
Vertrauter von Papst Franziskus gilt, vor den Journalisten ein.
So sei das Dokument, mit dem
sich der Vatikan unter bestimmten Bedingungen gegenüber einer Segnung
homosexueller Paare öffnet, laut einer unveröffentlichten Studie bereits
Milliarden Mal im Internet aufgerufen worden, während ein Großteil, nämlich 75
Prozent, der unter 30-jährigen befragten Italiener mit den Inhalten der
Erklärung einverstanden sei, erläuterte Fernández. Die Daten seien vom Vatikan
nicht veröffentlicht worden, weil die Erhebung von einer externen Agentur
vorgenommen worden und dem Vatikan kulanzhalber zur Verfügung gestellt worden
sei, so der Präfekt des Glaubensdikasteriums zu den Hintergründen der Datenerhebung.
Ob die Studie schließlich veröffentlicht werde, liege in der Hand der
erhebenden Institute. Es handle sich bei dem Thema nicht um ein
„Herzensanliegen“ des Papstes, doch es sei ihm wegen der seelsorgerischen
Dimension wichtig gewesen, dazu eine Erklärung zu veröffentlichen, um den
Segensbegriff auszuweiten, unterstrich Fernandez.
Der Papst hatte das Recht
dazu
Zwar sei er dafür von einigen
Liturgie-Experten kritisiert worden, doch habe Franziskus die Änderung gewollt
und habe als Papst auch das Recht dazu gehabt, sie einzuführen. Grundsätzlich
gelte die Pflicht zum Gehorsam dem Papst gegenüber auch, wenn er nicht „ex
cathedra“ spreche, erteilte Fernández anderslautenden Interpretationen eine
Absage. Geistlichen sei es nun möglich, außerhalb des liturgischen Rahmens
einen Segen zu erteilen, ohne dass die Gesegneten in vollem Einklang mit den
Lehren der katholischen Kirche leben müssten.
Der heutige Präfekt des
Glaubensdikasteriums hatte während seiner Zeit in Argentinien einmal selbst –
im Auftrag seines Bischofs, wie er erläuterte – einen kurzen Text dazu
geschrieben, warum die Segnung homosexueller Paare durch die Kirche nicht
möglich sei. Überhaupt, so Fernández weiter, werde Franziskus seiner
Einschätzung nach „niemals ex cathedra“ sprechen, ein neues Glaubensdogma
einführen oder eine endgültige Erklärung abgeben wollen. Er glaube jedoch, dass
der Papst jenseits des Charismas der Unfehlbarkeit auch „den Beistand des
Heiligen Geistes dabei habe, die Kirche zu führen und zu erleuchten“.
Erhobenen Hauptes durchhalten
Was wiederum die hier und da
aufgekommene Kritik an seiner Person betreffe, so wisse er den Papst hinter
sich, so Fernández. Der Kardinal ließ auch durchblicken, dass Papst Franziskus
ihn mit seinem Spitznamen „Tucho“ anspricht: Bei einem Treffen habe ihm der
Papst „fest und mit Wertschätzung“ gesagt, er müsse durchhalten und erhobenen
Hauptes mit seiner Arbeit weitermachen, könne ihm doch keiner seine ureigene
Würde nehmen.
„Diese wenigen Worte haben
mich für immer gezeichnet, und ich würde mir wünschen, dass diese Botschaft für
jeden von euch gilt“, so der Kardinal mit Blick auf die unauslöschliche Würde,
die auch im Zentrum der aktuellen Erklärung der Glaubensbehörde stehe.
Ein Papstzitat aus Osnabrück
Die Erklärung ist mit
ausdrücklicher Billigung des Papstes und unter Einbeziehung verschiedener
Experten in fünfjähriger Arbeit verfasst und in Zusammenhang mit dem 75.
Jahrestag der Menschenrechtscharta der Vereinten Nationen veröffentlicht
worden. Der Titel des Dokumentes, so Fernández unter Rückgriff auf ein oft
gebrauchtes Zitat des Papstes, hätte auch sein können: „Al di la di ogni
circostanza“ – zu deutsch in etwa „Ohne Ansehen der äußeren Umstände“ - ein
Ausdruck des Gedankens, dass jeder Mensch, egal unter welchen Umständen er
geboren sei und lebe, die gleiche angeborene „unendliche Würde“ besitze.
Stattdessen habe man sich letztlich jedoch, was den Titel angehe, für ein Zitat
von Johannes Paul II. entschieden, der 1980 in Osnabrück bei einer Begegnung
mit behinderten und kranken Menschen von der „unendlichen Würde“ eines jeden
Menschen gesprochen hatte (Angelus 16.11.1980).
„Die anderen können mich zu
einem unwürdigen Leben zwingen. Aber sie werden mir niemals die immense
persönliche Würde nehmen können, die ich als menschliches Wesen besitze. Ich
habe dieselbe Würde, ob ich in Italien oder in Äthiopien geboren bin. Ich habe
dieselbe Würde, ob ich in Israel oder im Gaza geboren bin. Es ist genau
dieselbe, unveräußerliche, immense Würde,“ so Fernández.
Besonders ungerecht sei es
beispielsweise, zu beobachten, dass Kinder mit völlig verschiedenen Chancen für
ihr künftiges Leben aufwüchsen, wenn sie auf verschiedenen Seiten eines
Grenzzaunes geboren worden seien, so Fernández weiter.
Heikle moralische Fragen
Großes Gewicht räumten die
anwesenden Journalisten in ihren Fragen dem Thema von Homosexuellen und
Transgender-Menschen ein. Diese seien in der Kirche willkommen, bekräftigte
Fernández mit Blick auf die Aussage des Papstes, dass „alle, alle, alle“ in der
Kirche willkommen seien. Zwar lehne die katholische Kirche die
Geschlechtsumwandlung als solche ab, doch gelte diese Ablehnung nicht für die
Betroffenen. Allerdings sei aktuell eine Tendenz zu beobachten, nach der die Menschen
sich ihre Wirklichkeit scheinbar selbst erschaffen wollten, in der Illusion von
Allmacht, die sie ihrer Intelligenz und ihrem Willen zuschrieben, als hätte es
vor ihnen nichts gegeben. Doch beim Thema Geschlechtsumwandlung, insbesondere
wenn diese Minderjährige betreffe, gebe es noch weitaus tiefere Fragen zu
bedenken, die nicht sofort sichtbar seien, mahnte der Glaubenspräfekt.
Ähnlich äußerte er sich zum
Thema Leihmutterschaft. Nicht das Kind, das aus einer solchen Transaktion
geboren werde, sei abzulehnen, vielmehr müssten sich die Menschen mit
Elternwunsch fragen, ob sie ihre Wünsche über die menschliche Würde des zu
erzeugenden Kindes – das letztlich eine Art Vertragsgegenstand darstelle -
stellen könnten. (vn 8)
Bischof Meier in der Ukraine eingetroffen. „Solidarität mit einem geschundenen Volk“
Der Vorsitzende der
Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Bertram
Meier (Augsburg), ist heute Morgen (7. April 2024) in Kiew (Kyiv) eingetroffen.
Der Besuch in der kriegserschütterten Ukraine wird bis zum kommenden Mittwoch
(10. April 2024) dauern. Neben Kiew wird Bischof Meier auch Lemberg (Lviv)
bereisen.
„Ich hatte das Privileg, bei
einer Reise in die Ukraine wenige Monate nach dem Beginn des russischen
Großangriffs vielen mutigen Menschen zu begegnen. Niemand war bereit, diesen
illegalen Akt gegen die Freiheit der ukrainischen Nation zu akzeptieren. Auch
meine intensiven Gespräche mit den Oberhäuptern der Kirchen sind mir noch gut
im Gedächtnis. Wenn ich nach knapp zwei Jahren jetzt wieder in der Ukraine bin,
dann ist das für mich ein selbstverständlicher Ausdruck der fortdauernden
Solidarität der katholischen Kirche in Deutschland mit einem geschundenen Volk
und der Zusammenarbeit mit unseren kirchlichen Partnern, die gerade in Zeiten
der Krise von herausragender Bedeutung ist“, erklärte Bischof Meier nach seiner
Ankunft.
In Kiew sind Gespräche mit
dem Oberhaupt der ukrainischen griechisch-katholischen Kirche, Großerzbischof
Sviatoslav Shevchuk, und weiteren hochrangigen Vertretern dieser Kirche und
deren Caritas vorgesehen. Bei einem Besuch des von der griechisch-katholischen
Kirche getragenen Projekts „Wounds healing Center“ sollen Maßnahmen der
humanitären Hilfe und der psychologischen Unterstützung sowie pastorale
Aktivitäten in Zeiten des Krieges vorgestellt werden. Geplant sind darüber
hinaus Begegnungen mit dem Apostolischen Nuntius in der Ukraine, Erzbischof
Visvaldis Kulbokas, und Bischöfen der orthodoxen Kirchen. Das Programm in Kiew
wird ein Besuch des Friedhofs in Brovary abschließen. Bischof Meier und seine
kleine Delegation treffen dort mit Verwandten gefallener Soldaten zusammen. Am
Dienstag wird der Vorsitzende der Kommission Weltkirche in Lemberg erwartet, wo
er dem dortigen Erzbischof der lateinischen katholischen Kirche, Mieczysaw
Mokrzycki, begegnet.
Auf dem Weg in die Ukraine
machte Bischof Meier gestern eine Station in Markowa, wo er am Schrein der
Familie Ulma betete. Die Eheleute Ulma und ihre Kinder wurden im Jahr 1944 von
der Militärpolizei der deutschen Wehrmacht ermordet, nachdem entdeckt wurde,
dass die Familie Juden geholfen und versteckt hat. Die gesamte Familie wurde am
10. September 2023 seliggesprochen. „Die zutiefst menschliche Haltung der
Ehepaars Ulma legt Zeugnis ab von der Gottesebenbildlichkeit aller Menschen.
Ich verneige mich vor ihrem Glauben und ihrem Mut“, sagte Bischof Meier.
Bischof Meier war wenige
Monate nach Beginn des russischen Angriffskriegs auf die Ukraine vom 2. bis 4.
Juni 2022 in Kiew und an weiteren Orten. Dbk 8
Vatikan listet „schwere Verletzungen“ der Menschenwürde auf
Fünf Jahre lang hat das
Dikasterium für die Glaubenslehre am Dokument „Dignitas infinita“ (Unendliche
Würde) gearbeitet. An diesem Montag wurde es veröffentlicht. ANDREA TORNIELLI
Die Erklärung bringt auf 26
Seiten das päpstliche Lehramt der letzten zehn Jahre zum Thema Menschenwürde
auf den Punkt. Die drei ersten Kapitel bilden eine Grundlage für das vierte,
das einige schwerwiegende Verletzungen der Menschenwürde auflistet: vom Krieg
bis zur Armut, von der Gewalt gegen Migranten bis zur Gewalt gegen Frauen, von
der Abtreibung über die Leihmutterschaft bis zur Euthanasie, von der
Gender-Theorie bis zur digitalen Gewalt.
„Bekenntnis zur
UNO-Menschenrechtserklärung“
„Dignitas infinita“ erinnert
eingangs an den 75. Jahrestag der ‚Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte‘
und bekräftigt „die Unausweichlichkeit des Konzepts der Würde der menschlichen
Person innerhalb der christlichen Anthropologie“ (Präsentation). Doch die
wichtigste Neuerung des Dokuments besteht darin, dass Menschenwürde nicht nur
im bioethischen Bereich behandelt wird, sondern auch anhand einer Reihe von
Schlüsselthemen des jüngsten päpstlichen Lehramtes. In der „nicht
erschöpfenden“ Liste erscheinen unter den Verletzungen der Menschenwürde neben
Abtreibung, Euthanasie und Leihmutterschaft auch Krieg, das Drama der Armut und
der Migranten sowie der Menschenhandel.
Der neue Text trägt somit
dazu bei, eine Dichotomie zu überwinden: Da stehen auf der einen Seite
diejenigen, die sich ausschließlich auf den Schutz des werdenden oder
sterbenden Lebens konzentrieren und dabei viele andere Angriffe auf die
Menschenwürde vergessen. Und auf der anderen Seite diejenigen, die sich nur auf
den Schutz der Armen und Migranten konzentrieren – und dabei vergessen, dass
das Leben von der Empfängnis bis zu seinem natürlichen Ende verteidigt zu
werden verdient.
Grundlegende Prinzipien
Die ersten drei Kapitel der
Erklärung aus der obersten kirchlichen Glaubensbehörde erinnern an die
Grundprinzipien. „Die Kirche bekräftigt und bestätigt im Licht der Offenbarung
in absoluter Art und Weise diese ontologische Würde der menschlichen Person,
die nach dem Bild und Gleichnis Gottes geschaffen und in Christus Jesus erlöst
wurde“ (1). Eine „unveräußerliche Würde, die der menschlichen Natur unabhängig
jeden kulturellen Wandels zukommt“ (6); nichts Selbstgeschaffenes, sondern ein
dem Menschen gemachtes „Geschenk“, das auch „z. B. bei einem ungeborenen Kind,
bei einem bewusstlosen Menschen, bei einem alten Menschen im Todeskampf“ (9)
anzutreffen ist.
„Die Kirche verkündet die
gleiche Würde aller Menschen, unabhängig von ihren Lebensumständen und ihren
Eigenschaften“ (17), und sie tut dies, wie das Dokument ausführt, auf der
Grundlage der biblischen Offenbarung. Frauen und Männer sind nach dem Bild
Gottes geschaffen. Christus hat durch seine Menschwerdung „die Würde des Leibes
und der Seele bekräftigt“ (19). Und durch seine Auferstehung hat er offenbart,
dass „der erhabenste Aspekt der Würde des Menschen in seiner Berufung zur
Gemeinschaft mit Gott besteht“ (20).
Die Würde eines jeden
Menschen
Dann kommt das Dokument des
Glaubensdikasteriums auf ein Missverständnis in Sachen Menschenwürde zu sprechen.
Gemeint ist die Position einiger Denker, die lieber von der „persönlichen
Würde“ als von der „Menschenwürde“ sprechen, „weil sie unter einer Person
lediglich ‚ein vernunftbegabtes Wesen‘ verstehen“. „Das ungeborene Kind hätte
demnach keine persönliche Würde, ebenso wenig wie ein unselbstständig
gewordener alter Mensch, oder jemand mit einer geistigen Behinderung. Die
Kirche besteht im Gegenteil auf der Tatsache, dass die Würde jeder menschlichen
Person, gerade weil ihr untrennbar verbunden, ‚jenseits aller Umstände‘ bleibt“
(24).
Darüber hinaus werde der
Begriff „Menschenwürde“ manchmal missbraucht, „um eine willkürliche Vermehrung
neuer Rechte zu rechtfertigen, (…) als ob die Möglichkeit, jede individuelle
Präferenz oder jede subjektive Befindlichkeit zu äußern und zu verwirklichen,
garantiert werden müsste“ (25).
Eine Liste von
Rechtsverletzungen
Die Erklärung listet
schließlich ganz konkret „einige der vielen schweren Verletzungen der
Menschenwürde in der heutigen Welt“ auf. Zunächst einmal alles, „was zum Leben
selbst in Gegensatz steht, wie jede Art Mord, Völkermord, Abtreibung,
Euthanasie und auch der freiwillige Selbstmord“. Außerdem alles, „was immer die
Unantastbarkeit der menschlichen Person verletzt, wie Verstümmelung,
körperliche oder seelische Folter und psychischer Zwang“. Und schließlich „was
immer die menschliche Würde angreift, wie unmenschliche Lebensbedingungen,
willkürliche Verhaftung, Verschleppung, Sklaverei, Prostitution, Mädchenhandel
und Handel mit Jugendlichen, sodann auch unwürdige Arbeitsbedingungen, bei
denen der Arbeiter als bloßes Erwerbsmittel und nicht als freie und
verantwortliche Person behandelt wird“ (die drei letzten Zitate entstammen dem
Konzilstext ‚Gaudium et spes‘).
Auch die Todesstrafe wird
hier angeführt, weil sie „unter allen Umständen die unveräußerliche Würde eines
jeden Menschen verletzt“ (34).
Armut, Krieg und
Menschenhandel
Im einzelnen beschäftigt sich
„Dignitas infinita“ im vierten Kapitel, das einige konkrete Verletzungen der
Menschenwürde in unserer Zeit behandelt, zunächst mit dem „Drama der Armut“: Es
bedeute „eine der größten Ungerechtigkeiten in der Welt von heute“ (36, ein
Zitat des hl. Papstes Johannes Paul II.‘). Dann wird der Krieg genannt, „eine
weitere Tragödie, die die Menschenwürde verleugnet“ und die „immer eine
,Niederlage der Menschlichkeit‘ ist“ (38). „Angesichts dieser Tatsache ist es
heute sehr schwierig, sich auf die in vergangenen Jahrhunderten gereiften
rationalen Kriterien zu stützen, um von einem eventuell ‚gerechten Krieg‘ zu sprechen“
(39).
Weiter geht’s im Text mit den
Leiden der Migranten, die ihr Leben in Gefahr bringen, „weil sie nicht mehr die
Mittel haben, eine Familie zu gründen, zu arbeiten oder sich zu ernähren“ (40).
Und das Vatikanpapier geht auch auf das Phänomen des Menschenhandels ein, der
„tragische Dimensionen“ annehme; es definiert ihn mit einem Zitat von Papst
Franziskus als „eine niederträchtige Aktivität, eine Schande für unsere
Gesellschaften, die sich als zivilisiert bezeichnen“, und fordert „Ausbeuter
und Kunden“ zu einer eingehenden Gewissenserforschung auf (41). Entschieden
wird dann zum Kampf gegen „Handel von menschlichen Organen und Geweben,
sexuelle Ausbeutung von Knaben und Mädchen, Sklavenarbeit einschließlich
Prostitution, Drogen- und Waffenhandel, Terrorismus und internationale
organisierte Kriminalität“ (42) aufgerufen.
„Sexueller Missbrauch – ein
Leid, das durch keine Reue geheilt werden kann“
Das Dokument beschäftigt sich
auch ausdrücklich mit sexuellem Missbrauch: Er hinterlasse „tiefe Narben im
Herzen“ der Betroffenen und bedeute „ein Leid, das ein Leben lang andauern und
durch keine Reue geheilt werden kann“ (43). Ebenso geht es auf die
Diskriminierung von Frauen ein und verurteilt das Phänomen der Femizide sowie
die Gewalt gegen Frauen generell. Wobei zur Gewalt gegen Frauen auch, unter
anderem, die Praxis der Polygamie gezählt wird. Oder der „Zwang zur Abtreibung,
der sowohl die Mutter als auch das Kind betrifft und der so oft der
Befriedigung des männlichen Egoismus dient“.
Abtreibung und Leihmutterschaft
Die Verurteilung der
Abtreibung ist in „Dignitas infinita“ eindeutig: „Unter allen Verbrechen, die
der Mensch gegen das Leben begehen kann, weist die Vornahme der Abtreibung
Merkmale auf, die sie besonders schwerwiegend und verwerflich machen“ (erneut
ein Zitat Johannes Pauls II.‘); die Verteidigung des ungeborenen Lebens sei
„eng mit der Verteidigung jedes beliebigen Menschenrechtes verbunden“ (47).
Nachdrücklich wird auch die
Leihmutterschaft abgelehnt, „durch die das unermesslich wertvolle Kind zu einem
bloßen Objekt wird“. Die Praxis der Leihmutterschaft bedeute eine schwere
Verletzung der Würde von Frau und Kind gleichermaßen: „Sie basiert auf der
Ausnutzung der materiellen Notlage der Mutter. Ein Kind ist immer ein Geschenk
und niemals ein Vertragsgegenstand“ (48).
„Das Leben ist ein Recht,
nicht der Tod“
Auch auf Euthanasie und die
Beihilfe zum Suizid geht die Liste aus dem Vatikan ein; es sei irreführend,
wenn sie in einigen Gesetzen als „würdevolles Sterben“ definiert würden. Das
Leiden führe keineswegs dazu, „dass der kranke Mensch die ihm innewohnende und
unveräußerliche Würde verliert“ (51). Das Dokument betont dann, wie wichtig
Palliativmedizin sei, und dass es „jeden therapeutischen Übereifer oder
unverhältnismäßige Maßnahme zu vermeiden“ gelte. „Das Leben ist ein Recht,
nicht der Tod, der angenommen werden muss und nicht verabreicht werden darf“
(52). Nicht zuletzt wird auch „der Ausschluss von andersfähigen Menschen“ als
schwerer Verstoß gegen die Menschenwürde gewertet.
Gender-Theorie
„Dignitas infinita“ ist die
bisher höchstrangige Auseinandersetzung des Lehramts mit der Gender-Theorie.
Den Autoren des Dokuments ist es ein Anliegen, zunächst hervorzuheben, „dass
jeder Mensch, unabhängig von seiner sexuellen Orientierung, in seiner Würde
geachtet und mit Respekt aufgenommen werden soll und sorgsam zu vermeiden ist,
ihn in irgendeiner Weise ungerecht zurückzusetzen oder ihm gar mit Aggression
und Gewalt zu begegnen“. Es verletze auf schwerwiegende Weise die menschliche
Würde, dass „mancherorts nicht wenige Menschen allein aufgrund ihrer sexuellen
Orientierung inhaftiert, gefoltert und sogar des Lebens beraubt werden“ (55).
Doch auf diese Prämisse folgt
eine Kritik an der Gender-Theorie, „die sehr gefährlich ist, weil sie mit ihrem
Anspruch, alle gleich zu machen, die Unterschiede auslöscht“ (56). Das Dokument
erinnert an die kirchliche Lehre, „dass das menschliche Leben in all seinen
Bestandteilen, körperlich und geistig, ein Geschenk Gottes ist, von dem gilt,
dass es mit Dankbarkeit angenommen und in den Dienst des Guten gestellt wird.
Über sich selbst verfügen zu wollen, wie es die Gender-Theorie vorschreibt,
bedeutet (…) nichts anderes, als der uralten Versuchung des Menschen
nachzugeben, sich selbst zu Gott zu machen“ (57). Die Gender-Theorie setze
außerdem alles daran, „den größtmöglichen Unterschied zwischen Lebewesen zu
leugnen: den der Geschlechter“ (58); doch aus der Sicht der obersten
Glaubensbehörde „sind alle Versuche abzulehnen, die den Hinweis auf den
unaufhebbaren Geschlechtsunterschied zwischen Mann und Frau verschleiern“ (59).
„Geschlechtsumwandlung läuft
Gefahr, die einzigartige Würde des Menschen zu bedrohen“
Ähnlich negativ fällt auch das
Urteil zum Thema Geschlechtsumwandlung aus. Jeder Eingriff dieser Art berge die
Gefahr, „die einzigartige Würde zu bedrohen, die ein Mensch vom Moment der
Empfängnis an besitzt“. An dieser Stelle folgt allerdings eine Differenzierung:
„Damit soll nicht ausgeschlossen werden, dass eine Person mit bereits bei der
Geburt vorhandenen oder sich später entwickelnden genitalen Anomalien sich für
eine medizinische Behandlung zur Behebung dieser Anomalien entscheiden kann“
(60).
Digitale Gewalt
Sie ist der letzte Punkt auf
der Liste: die „Gewalt in der digitalen Welt“. „Neue Formen der Gewalt breiten
sich über die Sozialen Medien aus, wie z. B. Cybermobbing; das Internet dient
auch als Kanal zur Verbreitung von Pornografie und der Ausbeutung von Menschen
für sexuelle Zwecke oder durch Glücksspiel“ (61).
„Die Würde des Menschen
achten - unabhängig von allen Umständen“
Die Erklärung, die von
Kardinal Víctor Manuel Fernández unterzeichnet und vom Papst approbiert worden
ist, schließt mit der Aufforderung, „dass die Achtung der Würde der
menschlichen Person unabhängig von allen Umständen in den Mittelpunkt des
Einsatzes für das Gemeinwohl und jeder Rechtsordnung gestellt wird“ (64).
(vatican news 8)
Der Vorsitzende der
Arbeitsgruppe Naher und Mittlerer Osten der Deutschen Bischofskonferenz,
Erzbischof Dr. Udo Markus Bentz (Paderborn), hat gestern Abend (6. April 2024)
seine Reise ins Heilige Land beendet. „Besonders beeindruckt hat mich ein
Gespräch mit einer Ordensschwester in der Altstadt von Jerusalem. Ihre
Gemeinschaft sieht die Berufung darin, an den Krisenherden dieser Welt unter
den Menschen zu leben. Sie will ganz an ihrer Seite stehen und die Not teilen,
ohne sich dabei auf eine Seite des Konfliktes ziehen zu lassen. So schaffen die
Ordensfrauen im Alltag Voraussetzungen für Frieden. Dieses Zeugnis hat mich
sehr beeindruckt. Doch nach allen Gesprächen, die ich geführt habe, scheint
dieser Frieden in weiter Ferne zu liegen. Denn ein Ende der militärischen
Gewalt bedeutet noch lange keinen Frieden. Die Frage, wie dieser entstehen
kann, habe ich mit meinen Gesprächspartnern diskutiert“, so Erzbischof Bentz.
In Jerusalem traf er
sowohl den Apostolischen Nuntius in Israel und Delegat in Jerusalem und
Palästina, Erzbischof Adolfo Tito Yllana, als auch den Lateinischen Patriarchen
von Jerusalem, Kardinal Pierbattista Pizzaballa OFM. Aus diesen Gesprächen ging
hervor, dass Frieden nur durch ein gleichwertiges und gleichberechtigtes
Miteinander von Israelis und Palästinensern, Juden, Christen und Muslimen
entstehen kann: „Unser Auftrag ist in erster Linie, Anwalt der Würde aller
Menschen zu sein – und nicht politischer Akteur.“
Mit dem Botschafter der
Bundesrepublik Deutschland in Israel, Steffen Seibert, erörterte Erzbischof
Bentz die politische Vorstellung, die radikalislamische Terrororganisation
Hamas könne ausgelöscht werden. „Wir können die Hamas nicht nur als
Organisation sehen. Vielmehr ist Hamas eine Idee, eine Ideologie. Auch wenn die
Organisationsstruktur militärisch weitgehend zerstört sein mag, bleibt die
Frage: Wie geht es weiter? Wie entzieht man der Ideologie der Hamas und anderen
Formen des Extremismus den Nährboden“, so der Erzbischof. Dieser Aspekt war
auch Thema im Austausch mit dem Leiter des Vertretungsbüros der Bundesrepublik
Deutschland in Ramallah, Oliver Owcza. Bei diesem Austausch wurde außerdem
deutlich, dass die politische Situation äußerst komplex ist. Hier in Schablonen
wie „gut“ und „böse“ zu denken, spiegelt die Realität nicht annähernd wieder.
Erzbischof Bentz betont:
„Fakt ist: Der 7. Oktober 2023 hat alle Menschen traumatisiert. Schon am
Flughafen in Tel Aviv habe ich die Plakate mit den Bildern der Vermissten und
Geiseln gesehen. Dann habe ich die Berichte gehört über die humanitäre
Situation der Menschen in Gaza. Das ist erschütternd und immer wieder wird auch
in diesem Konflikt die Frage nach der Verhältnismäßigkeit als ein wichtiges
völkerrechtliches Kriterium in Kriegssituationen gestellt. Und ich habe
erfahren: Im Schatten des Krieges in Gaza haben die völkerrechtswidrigen
Siedlungsaktivitäten, aber noch schlimmer auch die Siedlergewalt im
Westjordanland, zugenommen.“
Dies ist auch in den
verschiedenen Gesprächen mit Vertretern der Zivilgesellschaft betont worden.
Sie haben von ihren täglichen Erfahrungen berichtet. Geändert hat sich nach dem
7. Oktober 2023 für sie alles. Misstrauen ist vielmals in Hass
umgeschlagen. „Das hat mir vor Augen geführt, dass Frieden nur in kleinen Schritten
wachsen kann. Er kann nicht von oben aufgezwungen werden, sondern nur im
gemeinsamen Dialog und im gegenseitigen Verständnis entstehen“, betonte
Erzbischof Bentz. Besonders junge Menschen seien dabei Hoffnungsträger für eine
friedlichere Zukunft in der Region.
Auch bei den Feierlichkeiten
zum 50-jährigen Jubiläum des Theologischen Studienjahres in der Dormitio-Abtei
in Jerusalem wurden diese Aspekte erörtert. Vor Beginn des Festaktes hatte
Erzbischof Bentz gemeinsam mit dem Präsidenten des Bundesverfassungsgerichtes,
Prof. Dr. Stephan Harbarth, die internationale Holocaust-Gedenkstätte Yad
Vashem besucht. Mit einer Kranzniederlegung gedachten sie der jüdischen Opfer
des Nationalsozialismus. Gleichwohl war auch die aktuelle Situation in der
Festrede von Prof. Dr. Harbarth und in den Gesprächen am Rande der
Feierlichkeiten Thema. „Dass junge Menschen die eigene Komfortzone verlassen
und Brückenbauer über ethnische, kulturelle und religiöse Grenzen hinweg sind,
ist ein starkes Zeichen. Mich haben die Begegnungen während meiner Reise sehr
bewegt und ich nehme die drängende Sehnsucht der Menschen nach Frieden,
Stabilität und Sicherheit mit nach Hause. Klar ist: Die Gewalt muss auf allen
Seiten ein Ende finden“, so Erzbischof Bentz.
Weitere Informationen zur
Situation im Nahen Osten und zu den Äußerungen der Deutschen Bischofskonferenz
seit dem 7. Oktober 2023 stehen auf der Themenseite Krieg im Heiligen Land
bereit. Informationen zum Theologischen Studienjahr in der Dormitio-Abtei sind
unter www.studienjahr.de zu finden.
Dbk 7
Kontrovers diskutiert: Bistum Speyer behält Beichte für Kinder bei
Im Bistum Speyer werden
Kinder auch weiterhin vor der Erstkommunion beichten - allerdings freiwillig.
Das traditionelle Ritual wird nach dem Missbrauchsskandal kritisch gesehen.
In der katholischen Kirche
sollen Kinder vor ihrer Erstkommunion das erste Mal beichten. Das wird seit
einiger Zeit kontrovers diskutiert. Eine Gemeinde im Erzbistum Freiburg
verzichtet beispielsweise inzwischen komplett auf die Kinderbeichte. Ein
Grundschulkind allein mit einem Pfarrer in einem Raum - das sei etwas, dass man
den Eltern besser ersparen sollte, fand auch die dortige Kommission zur
Aufarbeitung des sexuellen Missbrauchs.
Bistum: Kinderbeichte schult
Selbstreflexion
Das Bistum Speyer hält dem
entgegen, dass es wichtig sei, mit Kindern über Versöhnung zu sprechen. Nach
Angaben einer Sprecherin lernen Kinder durch die Beichte, Geschehenes zu
reflektieren und auch auszudrücken, was sie beschäftigt. Das Bistum Speyer
biete also weiterhin die Erstbeichte für Kommunionkinder an, aber: Die
Kinderbeichte sei freiwillig. Und die Kinder sprechen mit dem Pfarrer nicht im
Beichtstuhl statt, sondern in einem Raum mit gläsernen Türen. Davor würden die
anderen Kinder mit Erwachsenen die Zeit überbrücken, bis sie an der Reihe sind.
In der Regel werden die Kinder von denjenigen begleitet, die die
Vorbereitungsseminare geleitet haben, so eine Bistumssprecherin auf
SWR-Anfrage.
Kinderbeichte wird auch im Bistum
Speyer diskutiert
Dennoch werde auch im Bistum
weiter darüber diskutiert. Nach Angaben der Sprecherin werde zur Zeit gemeinsam
von mehreren Bistümern ein Leitfaden dazu erarbeitet. Swr.de 5
Für den Gläubigen ist jeder Mensch heilig
Jedes menschliche Geschöpf
wird von Gott geliebt und ist daher Träger unveräußerlicher Rechte. Dies
bekräftigte Papst Franziskus an diesem Samstagmorgen bei seiner Audienz vor der
Delegation des Italienischen Roten Kreuzes anlässlich des 160-jährigen
Jubiläums seiner Gründung. Mario Galgano – Vatikanstadt
Der „Strom der Liebe“ des
Roten Kreuzes habe seit seiner Gründung nie aufgehört: Heute wie gestern sei
die Präsenz der Hilfsorganisation wirksam und wertvoll, „vor allem in all jenen
Kontexten, in denen der Lärm der Waffen den Schrei der Völker, ihre Sehnsucht
nach Frieden und ihren Wunsch nach Zukunft erstickt“, erinnerte der Papst in
seiner Ansprache an die Delegation, die im Vatikan anwesend war. Dann erinnerte
er daran, dass die humanitäre Organisation vor allem den Schwächsten nahe sei:
„Was die Schwächsten betrifft, möchte ich
Ihnen etwas sagen: es sind vor allem die Kinder. Hier in Italien sind so viele
Kinder durch den Krieg in der Ukraine angekommen, und wissen Sie was? Diese
Kinder können nicht lächeln, sie haben die Fähigkeit zu lächeln verlernt... das
ist schlimm für ein Kind. Denken Sie darüber nach..."
„Überall und für jeden“
Es sei kein Zufall, dass der
Slogan, den das Italienische Rote Kreuz zu seinem 160-jährigen Bestehen gewählt
habe, folgendermaßen laute: „Überall und für jeden“. Dieser Spruch sei
universell, erinnerte der Papst. Es sei ein Ausdruck, der nicht nur ein
Engagement beschreibe, sondern auch „einen Stil, eine Art zu sein und da zu
sein“:
„Überall, denn kein Umfeld
kann behaupten, frei von Leiden zu sein, frei von den Wunden des Körpers und
der Seele, ob in kleinen Gemeinschaften oder in den vergessensten Winkeln der
Erde. Die Solidarität muss globalisiert werden... Überall und für alle, denn
unsere Gesellschaft ist eine Gesellschaft des ´Ich´ und nicht des ´Wir´, der
kleinen Gruppe und nicht aller. Es ist eine Gesellschaft in diesem egoistischen
Sinne. Das Wort 'jeder' erinnert uns daran, dass jeder Mensch seine Würde hat
und unsere Aufmerksamkeit verdient: Wir können ihn nicht wegen seines Zustands,
seiner Behinderung, seiner Herkunft oder seines sozialen Status abweisen oder
ausschließen.“
Der Papst schloss mit dem
Wunsch, dass „wir in dieser Osterzeit um die Gnade bitten, Werkzeuge der
Geschwisterlichkeit und des Friedens zu sein, Protagonisten der Nächstenliebe
und Erbauer einer brüderlichen und geeinten Welt“. (vn 6)
Rheinland-Pfalz will dieses Jahr Islamverträge schließen
Islamische Verbände per
Vertrag binden, das ist Ziel der Ampel-Regierung von Ministerpräsidentin Malu
Dreyer. In Rheinland Pfalz wird über Unterricht und Feiertage verhandelt. Noch
2024 soll ein Vertrag stehen.
Islamische Bestattungen,
Religionsunterricht, Seelsorge und Feiertage sollen in Rheinland-Pfalz
vertraglich geregelt werden. Dafür will das Bundesland noch in diesem Jahr
Gespräche mit vier Islamverbänden abschließen, wie das Ministerium für
Wissenschaft und Gesundheit auf Anfrage der Katholischen Nachrichten-Agentur
mitteilte.
Verhandlungen mit
Vertreterinnen und Vertretern der islamischen Verbände
Die Gesprächspartner des
Landes seien Ditib Rheinland-Pfalz, Schura Rheinland-Pfalz - Landesverband der
Muslime, Landesverband der Islamischen Kulturzentren Rheinland-Pfalz und
Ahmadiyya Muslim Jamaat. „Zurzeit verhandelt die Landesregierung mit den
Vertreterinnen und Vertretern der islamischen Verbände in Rheinland-Pfalz über
eine Vielzahl von Punkten", so eine Sprecherin des Ministeriums in Mainz.
Basis des Vertrags solle eine
Bekräftigung der freiheitlich-demokratischen Grundordnung als gemeinsame
Wertegrundlage sein. Die künftigen Vertragspartner sollten auf den
verschiedenen Feldern der Zusammenarbeit Rechte und Pflichten erhalten. Wie bei
anderen Verträgen werde dabei die jeweilige Seite auf deren Einhaltung achten,
so die Sprecherin. Auch eine mögliche Kündigung schloss sie als letztes Mittel
nicht aus, sollten die Verträge nicht den Erwartungen entsprechen.
Ministerpräsidentin Dreyer
spricht zuversichtlich über Vertragsverhandlungen
Zuletzt sprach
Ministerpräsidentin Malu Dreyer (SPD) im Rahmen eines Fastenbrechens im
islamischen Fastenmonat Ramadan in der Yunus-Emre-Moschee in Mainz von
kritischen Punkten, die in den Gesprächen mit den Verbänden offen angesprochen
würden. „Ich bin zuversichtlich, dass wir am Ende auch das Ziel eines Vertrags
mit vier islamischen Verbänden erreichen werden", betonte sie.
Staatsverträge mit
islamischen Verbänden gibt es bislang nur in einigen wenigen Bundesländern. Als
erstes hatte 2012 der Stadtstaat Hamburg Verträge mit drei Islamverbänden und
mit der islamischen Glaubensgemeinschaft der Aleviten geschlossen. Kurz darauf
folgte ein Vertrag mit islamischen Verbänden in Bremen. Rheinland-Pfalz hatte
2019 als erstes Flächenland einen Vertrag mit den Aleviten geschlossen.
Islamverband Ditib
Zur Türkisch-Islamischen
Union (Ditib) gehören bundesweit mehr als 900 Ortsgemeinden. Die größte
islamische Organisation in Deutschland vertritt nach eigenen Angaben über 70
Prozent der in Deutschland lebenden Muslime. Gegründet wurde der Dachverband,
der in Köln sitzt, 1984 als eingetragener Verein. ( kna 6 )
Heiliges Jahr 2025: Vatikan gibt Hinweise zum Programm
Hinweise zu geistlichen Angeboten
und Kultur-Events rund um das Heilige Jahr 2025 hat der Vatikan am Donnerstag
bekanntgegeben. In einer Pressekonferenz erläuterte Erzbischof Rino Fisichella
Details zum Rahmenprogramm. Er ist Pro-Präfekt des Dikasteriums für
Evangelisierung.
Im Februar 2022 übertrug
Papst Franziskus die Vorbereitung und Durchführung des Heiligen Jahres 2025 dem
Dikasterium für Evangelisierung. In einer Pressekonferenz hat einer der beiden
Pro-Präfekten des Dikasteriums, Erzbischof Rino Fisichella, das Programm dazu
bekannt gegeben.
Ankündigungsbulle und
Programm im Mai
Fisichella bestätigte, dass
der Papst das verbindliche Ankündigungsdokument (genannt „Bulle") für das
Heilige Jahr am 9. Mai, dem Fest Christi Himmelfahrt, in Kraft setzen will.
Darin werden auch die Regeln für den Nachlass kirchlicher Sündenstrafen, den
sogenannten Ablass, für die Pilger festgelegt. Er fügte hinzu, dass das Motto
des Heiligen Jahres „Pilger der Hoffnung“ auf gute Resonanz stoße.
Ebenfalls im Mai will der
Vatikan das Programm mit den Großveranstaltungen des Jahres veröffentlichen.
Darin werden unter anderem zentrale Gottesdienste und Veranstaltungen für
bestimmte Pilgergruppen, Berufsgruppen, religiöse Vereinigungen und ähnliche
Events enthalten sein.
Mehr als 30 Millionen Pilger
für 2025 erwartet
Für das gesamte Jahr werden
nach vatikanischen Schätzungen mehr als 30 Millionen Rom-Touristen erwartet.
Der Erzbischof gab bekannt,
dass in das Programm für das Heilige Jahr geistliche und kulturelle Elemente
eingebaut wurden. Von den frühen Planungstagen an sei eine Kulturkommission
eingerichtet worden, die Wege gesucht habe, um der Erfahrung des Heiligen
Jahres Tiefe zu verleihen. Das Heilige Jahr lädt die christliche Gemeinschaft
ein, die pastorale Fülle der Kirche zu erleben, geht jedoch auch über das Gebet
hinaus und umfasst die gesamte menschliche Existenz.
Chagall und Dalí, De Sica und
Ikonen
Bereits im laufenden Jahr
sind einige kulturelle Ereignisse geplant, die Fisichella am Donnerstag
vorstellte. Unter anderem sollen einzelne religiöse Kunstwerke von Marc Chagall
(1887-1985) und Salvador Dalí (1904-1989) in römischen Kirchen gezeigt
werden. Der Surrealist Dalí hatte sich nach 1948 wieder dem katholischen
Glauben zugewandt und unter anderem Dantes „Göttliche Komödie" mit
Aquarellen illustriert.
Auch eine filmische Rückschau
ist geplant. Unter anderem soll der weitgehend in Vergessenheit geratene Film
„La porta del cielo" (Die Himmelstür) von Vittorio De Sica gezeigt
werden. Er wurde 1944 trotz deutscher Besatzung auf dem Gelände der Basilika
Sankt Paul vor den Mauern gedreht, die zum Vatikangebiet gehört. Er erzählt die
Geschichte einer Pilgerfahrt. Der einzige Film von Schriftsteller Curzio
Malaparte „Il Cristo proibito" (Der verbotene Christus) aus dem Jahr 1951
ist auch Teil des Programms. Darin geht es um das Thema Schuld und Sühne im
Kontext der italienischen Nachkriegszeit.
Ferner sind eine Ausstellung
mit Ikonen aus Russland und der Ukraine sowie eine Reihe von Konzerten geplant.
Das letzte davon gibt der Chor der Sixtinischen Kapelle zwei Tage vor Eröffnung
des Heiligen Jahres, also am 22. Dezember 2024, in der römischen Kirche
Sant'Ignazio.
Glaube, Dialog und gemeinsame
Werte
Der Pro-Präfekt zählte
weitere Initiativen auf, die darauf abzielen, eine Glaubenserfahrung zu bieten
und Dialog und gemeinsame Werte zu fördern.
Darunter befindet sich das
Projekt „In Cammino" (übersetzt etwa: Unterwegs). Dabei handelt es sich um
eine Pilgerreise zu Europas historischen Klöstern, die einen Weg des Glaubens,
der Vernunft und des Umweltschutzes symbolisiert.
Baumaßnahmen-Abschluss bis
Jahresende
In Rom selbst wird zurzeit an
vielen Baustellen gearbeitet, um den Pilgern im kommenden Jahr eine möglichst
gute Erfahrung in der ,Ewigen Stadt' zu gewährleisten. Fisichella gab bekannt,
dass die Baumaßnahmen bis Dezember dieses Jahres abgeschlossen sein sollen.
Das Heilige Jahr ist ein
einjähriges, weltweites Pilgerevent der katholischen Kirche mit Rom als
Zentrum. Es findet regulär alle 25 Jahre statt. Papst Franziskus eröffnet das
Heilige Jahr 2025 voraussichtlich am 24. Dezember 2024. vn/kna 5
"Oster-Witz" während des Gottesdienstes ging viral
Ein Witz des Passauer Bischofs
Oster während des Ostergottesdienstes wurde in kurzer Zeit zum Internet-Hit mit
über einer Million Aufrufen bei YouTube. User freuten sich, dass die Kirche
Humor zeigt. Der Bischof selbst ist überrascht von dem Erfolg.
Über dieses Thema berichtet:
BR24 im Radio am 01.04.2024 um 19:30 Uhr.
Ein österlicher Witz des
katholischen Passauer Bischofs Stefan Oster entpuppt sich als Klick-Bringer.
Bis Ostermontagabend gab es rund 400.000 Aufrufe, mittlerweile sind es über
eine Million Klicks. Zudem gab es begeisterte Kommentare. Sie reichten von
"Einfach klasse", "Es tut der Kirche gut, ein Lachen
zuzulassen" bis "der Humor in diesen Kreisen der Kirche hat mich doch
angenehm überrascht".
Bischof Oster ist - ein paar
Tage später - selbst überrascht, dass das Video so viral ging. Schon in den
Vorjahren waren die "Oster-Witze" [externer link] gut
geklickt: 2023 gab es über 435.000 Klicks und 2021 über 437.000.
Bischof wird selbst von
Lachanfällen gebeutelt
Oster hatte im diesjährigen
Ostergottesdienst im Passauer Stephansdom erneut für große Heiterkeit gesorgt.
Grund war ein von ihm vorgetragener Witz am Ende der Feierlichkeiten in der
Tradition des Osterlachens "Risus Paschalis", den er aus dem Werk
"Das neue kleine Buch vom Osterlachen" vorlas.
Im Mitschnitt auf dem
Youtube-Kanal des Bistums ist nicht nur das Lachen der Gottesdienstbesucher zu
hören, sondern auch zu sehen, wie der Bischof selbst und sein Altardienst immer
wieder von Lachanfällen gebeutelt werden. Bevor Oster zu lesen begann, hatte er
entschuldigend gesagt: "Wenn der Witz vielleicht ein bisschen anstößig ist
- ich finde ihn echt witzig - dann bitte ich, mir zu verzeihen."
"Anstößiger"
WC-Witz
Die vorgetragene Anekdote
erzählt von einer Frau aus der Stadt, die in den 1920er-Jahren im Bayerischen Wald
Urlaub machen möchte. Weil dort der Tourismus gerade erst seinen Anfang nahm
und noch nicht überall fließend Wasser üblich war, erkundigte sie sich
vorsorglich in einem Schreiben an die Landgemeinde, ob dort auch ein
"WC" zur Verfügung stünde.
Da Bürgermeister und
Gemeinderat mit der eigenartigen Abkürzung nichts anzufangen wussten, fragten
sie den Dorfgeistlichen. Der vermutete, dass es sich um das Waldkapellchen
handeln dürfte, das die "neumodischen Städter" mittlerweile nicht
mehr mit "K", sondern mit "C" schrieben.
In einem Antwortschreiben
wurde die Dame dann unter anderem damit beruhigt, dass es in dem Ort seit über
300 Jahren ein WC gebe – mitten im idyllischen Wald gelegen und bequem in einer
Viertelstunde zu Fuß zu erreichen. Es habe etwa 30 Sitzplätze, sei tagsüber
ständig geöffnet. Meist werde das WC von den Menschen alleine aufgesucht, an
Fest und Feiertagen auch von mehreren – dann unter sachkundiger Anleitung des
"Herrn Pfarrer".
Den ganzen Witz mit weiteren
erheiternden Erläuterungen gibt es hier [externer Link] zum Nachschauen und
Nachhören.
Bischof Oster bekommt
Witz-Vorschläge für nächstes Jahr
Bischof Stefan Oster gibt
sich positiv überrascht, dass sein "Oster-Witz" im Internet zum
Klick-Hit wurde: "Über eine Million Klicks hätte ich nicht erwartet. Aber
dass es im Netz ganz gut laufen würde, das schon. Die Witze aus den
Ostergottesdiensten der letzten Jahre hatten ja zum Teil auch schon mehrere
Hunderttausend Aufrufe erzielt", so Oster auf BR-Anfrage.
Auf verschiedenen Kanälen
gehen bereits Vorschläge für das kommende Jahr ein, teilte der Bischof ein paar
Tage nach Ostern mit. Ein Glück für Bischof Oster – denn die Suche nach einem
guten Witz werde immer schwieriger, findet er. Er hatte schon mehrfach auf
Facebook zu einem Witzewettbewerb aufgerufen und Mitarbeitende nach Witzen
gefragt.
Der Klick-Hit aus diesem Jahr
kommt aber aus einem Buch des Benno-Verlags. "Ganz viele dieser
Kirchenwitze kenne ich ja inzwischen. Und sie müssen einfach geeignet und für
mich auch erzählbar sein für so einen Kontext. Zudem gibt es inzwischen eine
gewisse Erwartungshaltung. Dann habe ich diese Geschichte gelesen, die für mich
wirklich neu war, und eigentlich sofort gewusst, dass sie laufen würde",
sagte Oster.
Bischof Stefan Oster pflegt
seit zehn Jahren die alte kirchliche Tradition des Osterlachens und trägt am
Ende der Osterfeierlichkeiten einen Witz vor.
Osterwitze in der Kirche
haben lange Tradition
Auch das Bistum Bamberg
zeigte sich an Ostern von seiner heiteren Seite: Zum 1. April, an dem auch das
Cannabis-Gesetz in Kraft trat, bot es eine Weihrauchmischung der Marke
"Cannabistum" an – bestellbar allerdings ausschließlich am 1. April,
am Tag der Aprilscherze.
Osterwitze haben eine lange
Tradition: Sie sind seit dem 9. Jahrhundert in der Liturgie der katholischen
Kirche belegt. Aus Sicht der Kirche ist die Auferstehung Jesu als höchstes Fest
der Kirche ein Grund für überschwängliche Freude. Diese Freude sollen auch die
Osterwitze verbreiten.
In der Geschichte sind
Osterwitze oft ins Obszöne abgeglitten. Deshalb wurden sie von den Reformatoren
wie Martin Luther bekämpft. Auch im 19. Jahrhundert, der Zeit der Aufklärung,
gab es scharfe Kritik an Witzen in den Ostermessen. Prominenter Fürsprecher der
Osterwitze war dagegen der verstorbene Papst Benedikt XVI. Br.de 5
Franziskus lobt Benedikt – und rechnet mit Gänswein ab
In dem Buch "El
sucesor" kritisiert Papst Franziskus offen das Verhalten des ehemaligen
Privatsekretärs Georg Gänswein. Er habe Benedikt XVI. in seinen letzten
Lebensjahren instrumentalisiert und bewusst von der Außenwelt abgeschottet. Von
Jörg Seisselberg
Es ist eine Abrechnung, die
Papst Franziskus offensichtlich lange auf der Seele lag. Über ein Jahr, nachdem
er Georg Gänswein ohne neue Aufgabe zurück ins Erzbistum Freiburg versetzt hat,
sagt das Oberhaupt der katholischen Kirche erstmals offen, was er am Verhalten
des ehemaligen Privatsekretärs Benedikt XVI. unakzeptabel fand.
"Gänswein fehlt es an
Menschlichkeit"
Franziskus kritisiert unter anderem,
dem deutschen Erzbischof fehle es an Menschlichkeit. Und er erhebt den
schwerwiegenden Vorwurf, Gänswein habe Benedikt XVI. in dessen letzten
Lebensjahren instrumentalisiert, bewusst von der Außenwelt abgeschottet und
gegen den amtierenden Papst in Stellung bringen wollen.
Franziskus äußert sich
ausführlich über das Verhältnis zu seinem Vorgänger Benedikt und zu dessen
Privatsekretär Gänswein im am Mittwoch erscheinenden Interviewbuch "El
sucesor" (Der Nachfolger) des spanischen Vatikanjournalisten Javier
Martinez-Brocal, aus dem die Zeitung La Repubblica zahlreiche Stellen vorab
veröffentlicht. Unter anderem erinnert der Papst erneut daran, dass Benedikt
sich nicht von konservativen Kritikern vereinnahmen ließ, als diese Franziskus
2017 Häresie, also Ketzerei, vorwarfen wegen dessen Umgang mit Homosexuellen in
der katholischen Kirche. Mit Blick auf Benedikts Verhalten sagt Franziskus in
dem Buch: "Und wie er mich verteidigt hat!"
Namen der Verschwörer nennt
Franziskus nicht
Benedikt habe ihn auch unterstützt,
als Kurienmänner vor allem "aus der zweiten Reihe" eine Verschwörung
gegen den heutigen Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin angezettelt hätten.
Dieses Komplott sei aufgedeckt worden durch Dokumente, die Benedikt ihm,
Franziskus, 2013 überreicht habe. Namen der Verschwörer nennt Franziskus nicht.
So gut sich Franziskus in dem
Interviewbuch über Benedikt äußert, so harsch kritisiert er in "El
sucesor" dessen Privatsekretär. Als Beispiel nennt der Papst unter anderem
Gänsweins Verhalten rund um Benedikts Tod und Beerdigung. Bereits vor gut einem
Jahr hatte Franziskus bemängelt, allerdings noch ohne Namen zu nennen, Benedikt
sei damals von "Leuten ohne Ethik" instrumentalisiert worden. Jetzt
macht der Papst deutlich, dass Gänswein der Adressat seiner Kritik ist.
"Dass am Tag der Beerdigung ein Buch veröffentlicht wird, das schlecht
über mich redet, das Sachen erzählt, die nicht stimmen, ist sehr traurig",
sagt Franziskus.
Benedikt habe in der Nähe
Gänsweins nicht offen gesprochen
Gänswein hatte kurz nach
Benedikts Beerdigung das Buch "Nient‘altro che la verità"
("Nichts als die Wahrheit") veröffentlicht, in dem er angebliche
Differenzen zwischen Benedikt und Franziskus schildert. Einige Medien
veröffentlichten Auszüge aus dem Buch allerdings vorab. Franziskus macht jetzt
deutlich, dass ihn dieses Buch und speziell der Veröffentlichungszeitpunkt
schwer enttäuscht haben: "Natürlich berührt es mich nicht, im Sinne, dass
es mich nicht beeinflusst. Aber es tat mir leid, dass man Benedikt benutzt hat",
so die Kritik des Papstes an die Adresse Gänsweins. Er habe die
Buchveröffentlichung "erlebt als ein Mangel an Noblesse und
Menschlichkeit".
Nach Darstellung von
Franziskus habe Benedikt sogar Angst gehabt, sich offen zu äußern, wenn
Gänswein in seiner Nähe war. Der Papst nennt als Beispiel eine Episode, in der
Benedikt zu seinem früheren Privatsekretär, Josef Clemens, gesagt habe: Jetzt
könne er telefonieren, "weil Don Georg rausgegangen ist". Benedikt,
sagt Franziskus, "war ein Mann von großem Sanftmut. In einigen Fällen aber
haben dies einige Personen ausgenutzt, vielleicht ohne schlechte Absichten, und
haben seine Bewegungen eingeschränkt".
Ein Klima der Abschottung
Der Versuch, Benedikt zu
isolieren und zu instrumentalisieren, hat sich nach Franziskus‘ Darstellung bis
kurz vor dessen Tod fortgesetzt. Unter anderem erzählt der Papst von seinem
Besuch beim zu diesem Zeitpunkt bereits schwer kranken Benedikt. Ein
Krankenpfleger habe sich mit ihm, Franziskus, unterhalten. Daraufhin habe ein
Arzt, der sich um Benedikt kümmerte, dem Pfleger in abwertendem Ton
vorgeworfen, er sei "ein Spion". Es sei ein Klima der Abschottung
gewesen. Er habe verstanden, sagt der Papst, "dass sie Benedikt in Obhut
hielten. Verstehen Sie mich richtig, ich sage nicht eingesperrt oder
eingeschlossen, aber in Obhut".
Dafür, wie Benedikt von
seinem Umfeld, namentlich von Gänswein, in seinen letzten Lebensjahren
instrumentalisiert worden sein soll, nennt Franziskus ein weiteres Beispiel. Es
sei um die Absetzung eines Dikasteriumsleiters gegangen. Die von Franziskus
entschiedene Personalie habe kirchenintern für Diskussionen gesorgt. Mitten in
dieser Debatte habe dann Gänswein dafür gesorgt, so die Darstellung des
Papstes, dass ein Foto des bisherigen Dikasteriumsleiters mit Benedikt verbreitet
wird, "als wenn Benedikt gegen meine Entscheidung sein würde". Dies
habe nicht den Tatsachen entsprochen. "Benedikt war ein Kavalier",
urteilt der Papst, "dagegen, das sage ich Ihnen mit Bedauern, hat mir sein
Sekretär häufig Schwierigkeiten bereitet".
Franziskus wünscht sich eine
schlichtere Trauerfeier
Franziskus äußerte sich auch
zu den Umständen der Beerdigungsfeier für Benedikt. Die Planung der Zeremonien
nach dem Tod seines Vorgängers habe er "vollständig an Monsignor Georg
Gänswein delegiert". Zu allen Fragen rund um die Beerdigung habe er stets
geantwortet: "Der, der entscheidet, ist der Sekretär Benedikts".
Gleichzeitig macht Franziskus in "El sucesor" deutlich, dass er für
sich selbst sehr viel schlichtere Trauerfeierlichkeiten will.
Nach dem Tod Benedikts sei es
das letzte Mal gewesen, dass der Leichnam des Papstes aufgebahrt, also im
offenen Sarg ausgestellt wird. Er sei dabei, verriet Franziskus, mit dem
Zeremonienmeister des Vatikans die vorgeschriebenen Rituale nach dem Tod des
Papstes zu überarbeiten. Die Päpste, findet Franziskus, sollten eine Totenwache
und eine Beerdigung bekommen "wie jedes andere Kind der Kirche".
"Die Päpste haben die
Erlaubnis, es zu verraten"
Franziskus bestätigt in dem
am Mittwoch (3. April 2024) erschienenen Buch auch seit längerem bekannte
Hintergründe zur Wahl Benedikts im Konklave 2005. Demnach hätten einige
Kardinäle für ihn, Bergoglio, gestimmt, um eine Wahl Joseph Ratzingers zu
verhindern. Der heutige Papst Franziskus soll damals die zweitmeisten Stimmen erhalten
haben. Die Kardinäle müssen zwar vor dem Konklave schwören, nichts über die
Wahl zu verraten. Franziskus aber begründet seine Offenheit mit den Worten:
"Die Päpste haben die Erlaubnis, es zu verraten". Br.de 5
Kirchenstatistik: Insgesamt weniger Priester und Ordensleute, mehr Diakone
Die Gesamtzahl der Katholiken
steigt weltweit weiter, aber die Zahl der Priester sinkt, vor allem in Europa.
Rücklauf gibt es auch bei Ordensleuten, eine Zunahme hingegen bei ständigen
Diakonen – und zwar überall. Das geht aus Daten des Zentralamtes für kirchliche
Statistik hervor, das Daten für den Zweijahres-Zeitraum 2021-2022
veröffentlichte.
Dabei handelt es sich um
Statistiken aus dem kirchlichen Jahrbuch 2022 sowie dem Päpstlichen Jahrbuch
2024.
Mehr Katholiken vor allem in
Afrika
Die Gesamtzahl der getauften
Katholiken stieg laut der Daten weltweit weiter, von 1.376 Millionen im Jahr
2021 auf 1.390 Millionen im Jahr 2022, was einem relativen Anstieg von 1
Prozent entspricht. Vor allem in Afrika gab es einen Zuwachs, um 3 Prozent: die
Zahl der Katholiken stieg dort von 265 Millionen auf 273 Millionen. In Amerika
nahm die Katholikenzahl im Einklang mit der demografischen Entwicklung um 0,9
Prozent zu, in Asien um 0,6 Prozent. In Europa blieben die Zahlen hingegen
gleich, sowohl 2021 als auch 2022 lagen sie bei 286 Millionen. Auch in Ozeanien
blieben sie stabil.
Mehr Priester und Bischöfe in
Afrika und Asien
Abgenommen haben hingegen
weiter die weltweiten Priesterzahlen, womit sich der Abwärtstrend der letzten
zehn Jahre fortsetzt: 2022 gab es insgesamt 407.730 Priester, 142 weniger als
im Vorjahr 2021. Ihre Zahl nahm besonders in Europa (um 1,7 Prozent) und in
Ozeanien (um 1,5 Prozent) ab, in Amerika blieb die Statistik stabil. Dieser
weltweiten Entwicklung entgegen steht die Lage in Afrika und Asien, wo
Priesterzahlen zunehmen: im Vergleich zum Vorjahr stiegen sie 2022 in Afrika um
3,2 Prozent, in Asien um 1,6 Prozent.
In Afrika und Asien wurden
auch neue Bischöfe geweiht, es gab einen Zuwachs um 2,1 und 1,4 Prozent –
anders als bei stabilen Zahlen in Amerika und Ozeanien sowie einem leichten
Rückgang in Europa. Mit 5.353 Oberhirten weltweit gab es 2022 insgesamt mehr
Bischöfe als im Vorjahr, was im Zweijahreszeitraum 2021-22 einem Anstieg von
0,25 Prozent entspricht. Allein ein knappes Drittel residiert in Nord- und
Südamerika (2.000), in Europa sank die Zahl um 0,6 Prozent auf 1.666.
Weniger Ordensfrauen vor
allem in Ozeanien, Europa und Nordamerika
Ein differenziertes Bild zeigt
sich hinsichtlich von Ordensfrauen weltweit. Ihre Zahl ist weltweit insgesamt
rückläufig, vor allem in der westlichen Welt, in einigen Weltregionen gibt es
aber einen Zuwachs.
Afrika ist auch hier der
Kontinent mit einem Plus, entgegen dem weltweiten Trend: So stieg die Zahl der
Ordensfrauen von 81.832 im Jahr 2021 auf 83.190 im Jahr 2022, was einem
relativen Anstieg von 1,7 Prozent entspricht. Es folgt Südostasien, wo die Zahl
der Ordensfrauen 2022 allerdings nur leicht auf 171.930 anstieg (Zunahme von
0,1 Prozent). In Süd- und Mittelamerika war dagegen ein Rückgang zu
verzeichnen: die Zahl sank um 2,5 Prozent, nämlich von 98.081 im Jahr 2021 auf
95.590 im Jahr 2022. Schließlich gab es drei kontinentale Regionen, wo die
Zahlen stark sanken: Ozeanien (um 3,6 Prozent), Europa (um 3,5 Prozent) und
Nordamerika (um 3,0 Prozent).
Fast doppelt so wiele
Ordensfrauen wie Priester weltweit
Insgesamt gab es auch 2022
weitaus mehr Ordensfrauen als Priester, ihre Zahl überstieg die der Priester um
fast 47 Prozent. Global gesehen sank die Zahl der Ordensfrauen im Zeitraum
2021-22 aber weiter, nämlich von 608.958 auf 599.228, was einem relativen
Rückgang von 1,6 Prozent entspricht. Auch die Gruppe der nichtpriesterlichen
Ordensmänner geht weltweit zurück: sie sank von 49.774 in 2021 auf 49.414 in
2022, vor allem in Europa, gefolgt von Afrika und Ozeanien. In Asien zeigte
sich ein anderer Trend: Dort nahmen sie zu, ebenso geringfügig auch in Amerika.
Mehr ständige Diakone -
überall
Während die weltweiten Zahlen
der Priester und Ordensleute abnehmen, zeigt die Zahl der ständigen Diakone
weltweit hingegen eine gewisse Dynamik, und zwar auf allen Kontinenten. Ihre
Zahl nahm im Jahr 2022 im Vergleich zum Vorjahr um 2 Prozent zu und stieg von
49.176 auf 50.150. In Afrika, Asien und Ozeanien, wo ihr Anteil an der
Gesamtzahl der Diakone immer noch unter 3 Prozent liegt, stiegen die Zahlen um
1,1 Prozent auf 1.380 im Jahr 2022. Auch in den Gebieten, in denen Ständige
Diakone zahlreich sind, nimmt ihre Zahl zu. In Amerika und Europa, wo 97,3
Prozent der Gesamtbevölkerung leben, ist die Zahl der Diakone in den letzten
zwei Jahren um 2,1 Prozent bzw. 1,7 Prozent gestiegen.
Priesterliche Berufungen
gehen zurück
Von den weltweit 108.481
Seminaristen im Jahr 2022 ist Afrika mit 34.541 auch der Kontinent mit der
größten Zahl an Priesteramtskandidaten. Es folgen Asien mit 31.767, Amerika mit
27.738, Europa mit 14.461 und schließlich Ozeanien mit 974 Seminaristen.
Priesterliche Berufungen
gehen allerdings weltweit - außer in Afrika und Ozeanien – zurück. 2022
betrug die Zahl der Priesteramtskandidaten nur noch 108.481, was einem Rückgang
von 1,3 Prozent gegenüber dem Vorjahr entspricht. Vor allem Europa ist seit
2008 von einer Berufungskrise betroffen, die sich bis in die jüngste Zeit
fortsetzt: so ging allein im Zweijahreszeitraum 2021-2022 die Zahl der
Seminaristen in dieser Weltregion um 6 Prozent zurück. Auch in Amerika sind
Rückgänge (um 3,2 Prozent) zu verzeichnen, ebenso in Asien (um 1,2 Prozent). In
Afrika nahm die Zahl der Priesteramtskandidaten hingegen um 2,1 Prozent zu.
Auch Ozeanien steht mit einem Zuwachs um 1,3 Prozent nicht schlecht da.
Hintergrund. Das vom
Zentralamt für kirchliche Statistik verfasste Jahrbuch 2022 enthält die
aktualisierten Daten zur Kirche weltweit. Anhand der Daten des Päpstlichen
Jahrbuchs 2024 kann man sich hingegen über das Leben der katholischen Kirche in
der Welt vom 1. Dezember 2022 bis zum 31. Dezember 2023 informieren. Beide
Statistiken werden vom Vatikanverlag veröffentlicht und sind im Buchhandel erhältlich.
(vn 4)
Berlin. Im Schatten sich
verstärkender und überlappender Krisen und Konflikte unserer Zeit wachsen
friedens- und sicherheitspolitische Risiken, die leicht aus dem Blick geraten
können. Eine dieser Herausforderungen stellt die organisierte Kriminalität dar,
die – je nach Kontext – mehr oder weniger offensichtlich zutage tritt.
Aus diesem Grund legt der
Vorstand der Deutschen Kommission Justitia et Pax ein Orientierungspapier zur
organisierten Kriminalität als Herausforderung für Gesellschaft und Kirche vor.
Im Hintergrund steht die Überzeugung, dass diese Thematik sowohl in Deutschland
als auch international im friedensethischen Diskurs zu wenig Beachtung findet.
Auch wenn das Orientierungspapier eine in-
ternationale Perspektive
einnimmt, ist es dem Vorstand der Deutschen Kommission Justitia et Pax wichtig,
dass von der organisierten Kriminalität auch in Deutschland eine nicht zu
unterschätzende Gefahr ausgeht. Daher braucht es nicht nur eine
gesamtgesellschaftliche Auseinandersetzung mit
diesem Phänomen, sondern auch
ein breites Engagement gegen alle Formen der organisierten Kriminalität. Das
Orientierungspapier will hierfür Impulse setzen, aufklären und sensibilisieren.
Zusammenfassend erklärt der
Vorsitzende der Deutschen Kommission Justitia et Pax, Bischof Dr. Heiner Wilmer
SCJ: „Der Kampf gegen die organisierte Kriminalität erfordert nicht allein ein
länderübergreifendes politisches und polizeiliches Engagement. Wenn wir der
toxischen Wirkung der
organisierten Kriminalität,
die sich aus Gewalt, Gier und Gleichgültigkeit nährt, entgegenwirken wollen,
dann braucht es ein breites Bündnis verschiedener gesellschaftlicher Kräfte.
Daher schlagen wir als ersten Schritt der Bundesregierung und den
Landesregierungen die Einrichtung von „runden
Tischen“ vor, die aus
unterschiedlichen Perspektiven über notwendige Maßnahmen und Initiativen gegen
die organisierte Kriminalität beraten.“
Das Orientierungspapier ist
unter www.justitia-et-pax.de abrufbar. JeP 4
Neues Format für „Woche für das Leben“ angekündigt
Bereits zum 30. Mal findet
dieses Jahr die Aktionswoche der beiden christlichen Kirchen statt. Die
Veranstalter kündigten zugleich an, dass bereits Gespräche über „ein neues
Format zu Fragen der Bioethik und einem gemeinsamen Einsatz für das Leben“
begonnen hätten.
Die diesjährige Aktionswoche
werde „in dieser Form“ „die letzte Woche für das Leben der beiden Kirchen
sein“, heißt es in einer Pressemitteilung der Deutschen Bischofskonferenz von
diesem Mittwoch. Eine Evaluation habe gezeigt, dass das Format angepasst werden
müsse, um auch in Zukunft die Menschen zu erreichen, ist einer Pressemitteilung
auf der Website der Aktionswoche weiter zu entnehmen: „Die katholische und die
evangelische Kirche in Deutschland arbeiten bereits gemeinsam an einer neuen
Struktur“. Auch künftig wolle man sich gemeinsam den Fragen der Bioethik widmen
und für den Schutz menschlichen Lebens eintreten.
Wie ein neues Format
aussieht, dazu gebe es noch keine Details, erklärten der Sprecher der
Bischofskonferenz und eine Sprecherin der Evangelische Kirche gleichlautend auf
Anfrage. Es solle aber möglichst „öffentlichkeitswirksam“ weitergehen.
Aktionswoche vom 13. bis 20.
April
Die Woche für das Leben
findet vom 13. bis zum 20. April statt. Die offizielle Eröffnung wird mit einem
ökumenischen Festgottesdienst im Sankt Vincenzstift im hessischen Rüdesheim am
Rhein gefeiert. Das Motto der diesjährigen Aktionswoche lautet: „Generation
Z(ukunft): Gemeinsam. Verschieden. Gut.“ Im Mittelpunkt sollen die
Lebenswirklichkeiten Jugendlicher und junger Erwachsener mit Behinderungen
stehen. (pm/kna 3)
Der Theologe Gerhard Lohfink
ist tot. Er starb, wie der Herder Verlag mitteilt, am Dienstag im Alter von 89
Jahren.
Der Priester und
Neutestamentler Lohfink war einer der bekanntesten theologischen Autoren
Deutschlands. Der Verlag würdigt „seine direkte und zugängliche Sprache, seine
Kunst, auch komplexe theologische Zusammenhänge luzide darzustellen, und sein
Ernstnehmen der Glaubensnöte seiner Mitchristen“.
Promotion bei Schnackenburg
Lohfink, geboren am 29.
August 1934 in Frankfurt am Main, entstammt einem katholischen Elternhaus. Nach
dem Abitur studierte er ab 1955 Philosophie und Theologie an der
Philosophisch-Theologischen Hochschule Sankt Georgen und an der
Ludwig-Maximilians-Universität München. 1960 empfing er vom Bischof seiner
Heimatdiözese, Wilhelm Kempf, die Priesterweihe; es folgte 1961–63 eine Zeit
als Kaplan in Oberursel. 1964 schickte ihn sein Bischof zum Promotionsstudium
an die Universität Würzburg; wo Gerhard Lohfink 1971 bei Rudolf Schnackenburg
zum Dr. theol. promovierte. 1973 folgte die Habilitation.
1973 wurde Lohfink zum
Wissenschaftlichen Rat für das Fach Neues Testament an der
Eberhard-Karls-Universität Tübingen ernannt, 1976 folgte ebenda der Ruf als
Ordinarius für Neues Testament. 1987 schied er auf eigenen Wunsch aus dem
Universitätsdienst aus, um in der Katholischen Integrierten Gemeinde (KIG)
leben und arbeiten zu können (2020 in der Erzdiözese München aufgelöst). Neben
seinem Engagement in der Gemeinde widmete er sich einer intensiven
Vortragstätigkeit und erwarb sich dadurch eine treue Hörer- und auch
Leserschaft.
(herder verlag 3)
„Ohne Gerechtigkeit kein Friede“
Gerechtigkeit ist „von
grundlegender Bedeutung für das friedliche Zusammenleben in der Gesellschaft“.
Darauf hat Papst Franziskus an diesem Mittwoch bei seiner Generalaudienz
hingewiesen.
„Eine Welt ohne Gesetze, die das Recht regeln,
wäre eine Welt, in der es unmöglich ist zu leben, sie würde einem Dschungel
ähneln“, sagte ein aufgeräumt wirkender Papst vor mehreren tausend Pilgern und
Besuchern auf dem Petersplatz. „Ohne Gerechtigkeit gibt es keinen Frieden! Denn
wenn das Recht nicht geachtet wird, entstehen Konflikte. Ohne Gerechtigkeit
herrscht das Recht des Stärkeren über den Schwächeren, und das ist nicht gerecht.“
„Die soziale Tugend
schlechthin“
Der Zyklus von
Papst-Ansprachen bei seinen Mittwochsaudienzen hat derzeit Laster und Tugenden
zum Thema, und Franziskus nahm die Gerechtigkeit als zweite der sogenannten
Kardinaltugenden in den Fokus. Sie sei „die soziale Tugend schlechthin“, eine
Kunst des Ausgleichs, deren letztes Ziel darin bestehe, jeden Menschen seiner
Würde entsprechend zu behandeln. Das gelte im Großen wie im Kleinen, also im
Gerichtssaal wie im Alltag.
Ohne Maske
„Sie schafft aufrichtige Beziehungen
zu den anderen; sie verwirklicht das Gebot des Evangeliums, wonach die
christliche Rede sein muss: ‚Ja ja, nein nein; was darüber hinausgeht, stammt
vom Bösen‘ (Mt 5,37). Halbwahrheiten, raffinierte Reden, die darauf abzielen,
den Nächsten zu täuschen, Zurückhaltung, die die wahren Absichten verschleiert,
sind keine Haltungen, die der Gerechtigkeit entsprechen. Der Gerechte ist
aufrecht, einfach und geradlinig, er trägt keine Maske, er zeigt sich so, wie
er ist, er sagt die Wahrheit.“
Und er kümmere sich nicht nur
um sein eigenes Fortkommen und Wohlergehen, sondern arbeite für das Wohl der
ganzen Gesellschaft. „In manchen Situationen geht er so weit, sein persönliches
Wohl zu opfern, um es der Gemeinschaft zur Verfügung zu stellen. Er wünscht
sich eine geordnete Gesellschaft, in der die Menschen den Ämtern Glanz
verleihen und nicht die Ämter den Menschen.“
„Die Gerechten sind keine
Moralisten“
Wer Arbeitern keinen
gerechten Lohn zahle, der sei sicher kein Gerechter, fuhr Franziskus fort.
Zugleich gelte: „Die Gerechten sind keine Moralisten, die das Gewand des
Zensors tragen, sondern Menschen, die ‚nach Gerechtigkeit hungern und dürsten‘
(vgl. Mt 5,6), Träumer, die in ihrem Herzen den Wunsch nach universaler
Geschwisterlichkeit hegen“. Das war nicht weit von Martin Luther Kings „I had a
dream“ entfernt.
Leichtfüßige Überlegungen
Franziskus‘ Überlegungen
kamen einigermaßen leichtfüßig daher, verzichteten weitgehend auf biblische
Schlenker. So hätte der Papst beispielsweise ausführen können, was das Alte und
Neue Testament unter einem „Gerechten“ verstehen. Dass sich sein Satz „Ohne
Gerechtigkeit kein Friede“ auf Jesaja bezieht (32,17), wurde nicht eigens
markiert.
Wer nach profunderen
Überlegungen dieses Papstes zum Thema Gerechtigkeit sucht, der wird in der
letzten Enzyklika „Fratelli tutti“ aus dem Covid-Jahr 2020 fündig. Dort lotet
Franziskus vor allem im siebten Kapitel das Spannungsfeld von Gerechtigkeit,
Vergebung, Strafe und Barmherzigkeit aus. (vn 3)
Erzbischof Bentz in Israel. „Was gibt den Menschen im Angesicht des Krieges Hoffnung?“
Heute Morgen (3. April 2024)
ist der Vorsitzende der Arbeitsgruppe Naher und Mittlerer Osten der Deutschen
Bischofskonferenz, Erzbischof Dr. Udo Markus Bentz (Paderborn), im Heiligen
Land eingetroffen. Anlass der Reise sind die Feierlichkeiten zum 50-jährigen
Jubiläum des Theologischen Studienjahres am 5. April 2024 in Jerusalem.
Angesichts des Krieges im Gazastreifen wird Erzbischof Bentz die Tage in
Jerusalem auch nutzen, um Gespräche mit kirchlichen und politischen
Repräsentanten zu führen. Darüber hinaus sind Begegnungen mit jungen Menschen
sowie Vertretern der palästinensischen und israelischen Zivilgesellschaft
geplant.
„Dass seit 50 Jahren junge
Menschen aus Deutschland zum Theologiestudium nach Jerusalem kommen, um für ein
Jahr in einen Ort einzutauchen, der Juden, Christen und Muslimen gleichermaßen
heilig ist, ist für mich Grund zur Freude und gerade jetzt von großer Strahlkraft“,
so der neue Erzbischof von Paderborn mit Blick auf die anstehenden
Jubiläumsfeierlichkeiten zum Studienjahr.
Zugleich zeigt sich der
Vorsitzende der Arbeitsgruppe Naher und Mittlerer Osten besorgt angesichts der
Lage in der Region: „Terror, Krieg und die humanitäre Katastrophe im
Gazastreifen überschatten den freudigen Anlass. Noch immer befinden sich
israelische Geiseln in den Händen der Hamas und bangen täglich um ihr Leben.
Der palästinensischen Zivilbevölkerung im Gazastreifen fehlt mittlerweile das
Nötigste zum Überleben. Vor diesem Hintergrund reise ich nicht nur als
Teilnehmer der Jubiläumsfeierlichkeiten nach Jerusalem. Ich komme vor allem als
jemand, dem die derzeitige Situation im Heiligen Land nahegeht und dem das
Schicksal der hier lebenden Menschen – Israelis wie Palästinensern – am Herzen
liegt.“
Im Austausch mit kirchlichen
Repräsentanten und Vertretern der Zivilgesellschaft möchte Erzbischof Bentz
erfahren, wie sie die aktuelle Lage vor Ort erleben und welche Perspektiven sie
für das Zusammenleben von Israelis und Palästinensern sehen: „Ich möchte
versuchen, die Lage vor Ort noch besser zu verstehen: Was bedeutet der Krieg
für die Zukunft der Christen im Heiligen Land? Was braucht es für einen
gerechten Frieden zwischen Israelis und Palästinensern? Was gibt den Menschen
im Angesicht des Krieges Hoffnung?“
Zum Auftakt heute steht
zunächst ein Gespräch mit dem Leiter des Vertretungsbüros der Bundesrepublik
Deutschland in Ramallah, Oliver Owcza, an. Danach besucht Erzbischof Bentz das
„Rossing Center for Education and Dialogue“. Die von einem
israelisch-palästinensischen Team geleitete Einrichtung setzt sich für
Verständigung und Begegnung zwischen Juden, Christen und Muslimen im Heiligen
Land ein. Gegen Mittag trifft Erzbischof Bentz mit dem Lateinischen Patriarchen
von Jerusalem, Kardinal Pierbattista Pizzaballa zusammen, bevor am Nachmittag
ein Besuch des armenischen Viertels in Jerusalem und eine Begegnung mit
Studentinnen und Studenten des Theologischen Studienjahres ansteht.
Am Donnerstag (4. April 2024)
wird Erzbischof Bentz neben Vertretern der palästinensischen Zivilgesellschaft
auch den Apostolischen Nuntius, Erzbischof Adolfo Tito Yllana, und den
Botschafter der Bundesrepublik Deutschland in Israel, Steffen Seibert, treffen.
Vor Beginn des eigentlichen Festaktes des Theologischen Studienjahres am
Vormittag ist eine Kranzniederlegung in Yad Vashem geplant, um der jüdischen
Opfer des Nationalsozialismus zu gedenken. Mit dabei sein werden der Präsident
des Bundesverfassungsgerichtes, Prof. Dr. Stephan Harbarth, sowie der
Präsident des Deutschen Akademischen Austauschdienstes (DAAD), Prof. Dr.
Joybrato Mukherjee. Dbk 3
Aachener Bischof verteidigt Strukturreform
Im Jahr 2028 sollen acht
Großpfarreien das Bistum Aachen bilden. Dagegen hat eine Initiative aus dem
Bistum eine Beschwerde in Rom eingelegt. Bischof Helmut Dieser weist die Kritik
der Initiative zurück und verteidigt das vorgesehene Modell.
Er sei verwundert über die
Behauptung der Initiative „Kirche bleibt hier“, das geplante Modell sei ohne
Beteiligung entwickelt worden, sagte Dieser der Katholischen
Nachrichten-Agentur (KNA). „Das Gegenteil ist der Fall: Die Regionen sowie die
Kirchengemeinden waren im vergangenen Jahr intensiv in die Diskussion
einbezogen, und sie haben am Ende mit großer Mehrheit votiert“, so der Bischof.
Acht statt wie bisher 326
Pfarreien
Im Jahr 2028 soll es in der
Diözese anstatt der bisherigen 326 Pfarreien nur noch acht Großpfarreien geben.
Dieser erklärte, dies sei jedoch nur der Zielpunkt einer länger angelegten
Entwicklung. „Zunächst geht es erst mal nur darum, 44 pastorale Räume als
soziale Einheit für die Seelsorge zu bilden“, so Dieser. Auf der Ebene der
Vermögensverwaltung seien es hingegen zwei und teils drei Kirchengemeinden pro
pastoralem Raum.
Bistum ist in engem Kontakt
mit Rom
Aus Sicht der Initiative
„Kirche bleibt hier“ dient die geplante Strukturreform nur dazu, die
Wirtschaftlichkeit des Bistums zu stabilisieren. „Reformen im Sinne der
Glaubensvermittlung und dessen Weitergabe an zukünftige Generationen sind sie
aber gewiss nicht“, so die Kritiker. Deshalb haben sie in Rom eine Beschwerde
eingelegt. Laut dem Bischof ist das Bistum jedoch mit Rom in engem Kontakt:
„Bereits im vergangenen Jahr haben wir im Vatikan unsere Vorschläge
vorgestellt“. Der Vatikan habe mitgeteilt, dass die Strukturreform schrittweise
umzusetzen sei und nichts vom grünen Tisch aus umgesetzt werden solle. Dazu
sagte Dieser: „Das haben wir getan. Und werden das weiterhin tun. So auch in
weiteren Gesprächen mit der Initiative“.
„Wir werden unterschiedlich
starke vitale Orte haben. Es wird weiße Flächen, und es wird Hotspots geben“
Die Kirche sei am Ende einer
Ära, in der sich das Bisherige nicht einfach mehr verlängern lässt, erklärte
der Bischof. „Die klassische Pfarrei - mit eigenem Pfarrer, Pfarrkirche,
Pfarrheim oder Kirchenchor und so weiter - ist in der jungen Generation nur
noch eingeschränkt anschlussfähig“. Die Pfarrei, die entsprechend dem
Kirchenrecht von einem Priester geleitet werden müsse, solle künftig die
übergeordnete Verwaltungseinheit für vielfältige Seelsorgeangebote sein, die
noch weiter zu entwickeln seien. „Klar ist: Wir werden unterschiedlich starke
vitale Orte haben. Es wird weiße Flächen, und es wird Hotspots geben.“
(kna 2)
Franziskus über Benedikt XVI.: „Er war wie ein Vater für mich“
„Er hat mich immer
verteidigt, er hat sich nie eingemischt“. So äußert sich Franziskus über seinen
Vorgänger Benedikt XVI. in einem neuen Interview-Buch mit dem Titel „El
Sucesor“, das diesen Mittwoch erscheint. Der spanische Journalist Javier
Martínez-Brocal hat mit dem amtierenden Papst gesprochen.
„Benedikt war ein Mann von großer Sanftmut. In
einigen Fällen haben einige Leute ihn ausgenutzt, vielleicht ohne
Böswilligkeit, und seine Bewegungsfreiheit eingeschränkt. Leider haben sie ihn
in gewisser Weise eingekreist. Er war ein sehr feinfühliger Mann, aber er war
nicht schwach, er war stark. Aber mit sich selbst war er bescheiden und zog es
vor, sich nicht aufzudrängen. So hat er viel gelitten.“
Mit diesen Worten erinnert
sich Papst Franziskus an seinen Vorgänger Benedikt XVI. in einem Interview mit
dem Journalisten Javier Martínez-Brocal. Das Buch mit dem Titel „El Sucesor“,
das beim Verlag Editorial Planeta herauskommt, erscheint diese Woche Mittwoch,
am 3. April.
Freiheit zum Wachsen
„Er ließ mich wachsen und gab
mir die Freiheit, Entscheidungen zu treffen“
„Er ließ mich wachsen",
erklärt darin Franziskus, „er war geduldig. Und wenn er etwas nicht gut fand,
dachte er drei oder vier Mal nach, bevor er es mir sagte. Er ließ mich wachsen
und gab mir die Freiheit, Entscheidungen zu treffen“. Der argentinische Papst
erzählt von der Beziehung, die ihn mit dem Emeritus verband – während einer
fast zehnjährigen Koexistenz im Vatikan. „Er ließ mir Freiheit, er hat sich nie
eingemischt. Einmal, als es eine Entscheidung gab, die er nicht verstand, bat
er mich auf sehr natürliche Weise um eine Erklärung. Er sagte mir: ,Schau, ich
verstehe das nicht, aber die Entscheidung liegt in deinen Händen‘. Ich erklärte
ihm die Gründe, und er war zufrieden.“
Franziskus erklärt in dem
Buch, dass sein Vorgänger nie gegen eine seiner Entscheidungen opponiert habe:
„Er hat mir nie seine Unterstützung entzogen. Vielleicht gab es etwas, das er
nicht teilte, aber das hat er nie gesagt“.
Der Papst erinnert auch an
die Umstände seines Abschieds von Benedikt am Mittwoch, den 28. Dezember 2022,
als er ihn zum letzten Mal lebend sah: „Benedikt lag im Bett. Er war noch bei
Bewusstsein, aber er konnte nicht sprechen. Er sah mich an, schüttelte meine
Hand, verstand, was ich sagte, konnte aber kein Wort sprechen. Ich blieb noch
eine Weile bei ihm, sah ihn an und hielt seine Hand. Ich erinnere mich lebhaft
an seine klaren Augen... Ich sagte ein paar liebevolle Worte zu ihm und segnete
ihn. So haben wir uns verabschiedet.“
Benedikt XVI. verteidigte
Franziskus
Franziskus erzählt in dem
Interview zudem von einem konkreten Fall, in dem er von Benedikt XVI.
verteidigt wurde.
„Ich hatte ein sehr nettes
Gespräch mit ihm, als einige Kardinäle zu ihm kamen, die von meinen Worten zur
Ehe überrascht waren, und er war sehr deutlich zu ihnen. Eines Tages sind sie
zu ihm nach Hause gekommen, um mir praktisch den Prozess zu machen, und sie
beschuldigten mich vor ihm, die homosexuelle Ehe zu fördern. Benedikt regte
sich nicht auf, denn er wusste sehr wohl, was ich denke. Er hörte ihnen allen
zu, einem nach dem anderen, beruhigte sie und erklärte ihnen alles“, so
Franziskus. Und er fuhr fort:
„Einmal habe ich gesagt, dass
die Ehe ein Sakrament ist, das homosexuellen Paaren nicht gespendet werden
kann, aber dass es irgendwie notwendig ist, die Situation dieser Menschen zu
sichern oder zivil zu schützen. Ich sagte, dass es in Frankreich die Formel der
zivilen Lebensgemeinschaften gibt, die auf den ersten Blick eine gute Option
sein kann, weil sie nicht auf die Ehe bezogen ist. Ich dachte, dass man zum
Beispiel drei Rentnerinnen (in ein Register) aufnehmen kann, die sich die
medizinische Versorgung, das Erbe, die Wohnung usw. teilen können. Ich wollte
damit sagen, dass mir dies eine interessante Lösung zu sein schien“, so der
amtierende Papst über den Kontext seiner Äußerung.
„Er hörte ihnen zu und half
ihnen mit sehr viel Größe, die Dinge zu unterscheiden.“
„Einige Kardinäle gingen zu
Benedikt und sagten, ich würde Ketzerei betreiben. Er hörte ihnen zu und half
ihnen mit sehr viel Größe, die Dinge zu unterscheiden... Er sagte ihnen: ,Das
ist keine Ketzerei‘. Wie er mich verteidigt hat!... Er hat mich immer
verteidigt.“
Franziskus kritisiert
Buchpublikation
„Es hat mich verletzt, dass
Benedikt benutzt wurde.“
Papst Franziskus antwortete
auch auf die Frage eines Journalisten nach den Büchern, die im Zusammenhang mit
dem Tod des emeritierten Papstes veröffentlicht wurden.
Franziskus antwortete: „Sie
haben mir großen Schmerz bereitet: dass am Tag der Beerdigung ein Buch
veröffentlicht wird, das mich (meine Worte, Anm.) auf den Kopf stellt und Dinge
erzählt, die nicht wahr sind, ist sehr traurig. Natürlich berührt mich das
nicht - in dem Sinne, dass es mich nicht beeinflusst. Aber es hat mich
verletzt, dass Benedikt benutzt wurde. Das Buch wurde am Tag der Beerdigung
veröffentlicht, und ich empfand es als einen Mangel an Edelmut und
Menschlichkeit.“
Änderungen am päpstlichen
Begräbnis
Schließlich verrät der Papst
dem Journalisten Javier Martínez-Brocal, dass er bereits eine Überprüfung des
päpstlichen Begräbnisses angeordnet hat. Die Totenwache für Benedikt XVI. sei
die letzte gewesen, bei der der Körper des Papstes außerhalb des Sarges auf
einem Katafalk aufbewahrt worden sei, erklärt Franziskus. Päpste „sollten wie
jedes andere Kind der Kirche bewacht und beerdigt werden. Mit Würde, wie jeder
Christ“, so Franziskus. (vn 2)
Papst am Ostermontag: Geteilte Freude ist doppelte Freude
Papst Franziskus hat am
Ostermontag die Gläubigen dazu aufgerufen, die Freude von Ostern zu teilen.
Dies lasse die Angst verschwinden und die Osterfreude zunehmen, erklärte
Franziskus mit immer noch etwas heiserer Stimme bei seinem Mittagsgebet auf dem
Petersplatz in Rom. Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt
Franziskus leidet seit
etlichen Wochen an einer Atemwegsinfektion und ließ sich beim Verlesen seiner
Ansprachen zuletzt häufiger von Mitarbeitern vertreten. Die Teilnahme am
Karfreitags-Kreuzweg am Kolosseum sagte er ab, doch sein übriges Osterprogramm
einschließlich großer Auferstehungsmesse und Urbi et Orbi-Segen fand wie
vorgesehen statt.
Beim Regina Coeli - so heißt
das Mittagsgebet der Kirche in der Osterzeit - ging der Papst von dem Bericht
im Matthäus-Evangelium (28,8-15) aus, der die Reaktion der Frauen nach der
Erscheinung des Engels am Grab beschreibt. Die Verkündung von der Auferstehung
Jesu und den Auftrag, dies den Jüngern mitzuteilen, nehmen sie zunächst mit
Furcht wahr, die dann aber einer großen Freude weicht: Der Freude über die
Wende vom grausamen Kreuzestod zur Auferstehung des Gekreuzigten. Und
unterstrichen wird dies noch durch die Eile der Frauen, die es gar nicht
erwarten können, den Jüngern die Botschaft zu verkünden.
Die Freude über die
Auferstehung
„Heute, am Montag der
Osteroktav, hören wir im Evangelium von der Freude der Frauen über die
Auferstehung Jesu. So heißt es im Text, dass sie, nachdem sie das Grab
verlassen hatten, mit „großer Freude zu seinen Jüngern eilten, um ihnen die
Botschaft zu verkünden“. Diese Freude, die aus der lebendigen Begegnung mit dem
Auferstandenen erwächst, ist ein überwältigendes Gefühl, das sie dazu antreibt,
das, was sie gesehen haben, weiterzugeben und zu erzählen,“ leitete der Papst
seine Auslegung des Tagesevangeliums ein.
Jeder von uns habe wohl schon
einmal die Erfahrung gemacht, dass geteilte Freude doppelte Freude ist, betonte
Franziskus und forderte seine Zuhörer auf, sich an ein Glücksgefühl zu
erinnern, von dem man den anderen sofort habe erzählen wollen.
„Genau das erleben die Frauen
am Ostermorgen, nur in einem viel größeren Ausmaß. Warum?,“ fragte der Papst.
„Weil die Auferstehung Jesu nicht nur eine wunderbare Nachricht oder das
glückliche Ende einer Geschichte ist, sondern etwas, das unser Leben vollkommen
und für immer verändert! Es ist der Sieg des Lebens über den Tod, der Hoffnung
über die Verzagtheit. Jesus hat die Dunkelheit des Grabes durchbrochen und lebt
für immer: Seine Gegenwart kann alles mit Licht erfüllen. Mit ihm wird jeder
Tag zur Etappe einer ewigen Reise, jedes "Heute" kann auf ein
"Morgen" hoffen, jedes Ende auf einen neuen Anfang, jeder Augenblick
wird über die Grenzen der Zeit hinaus auf die Ewigkeit projiziert.“
Vergebung, Gebet und tätige
Nächstenliebe
Die Freude der Auferstehung
sei uns am Tag unserer Taufe geschenkt worden, so das Kirchenoberhaupt. Mit der
Osterfreude im Herzen könnten wir auch in dunklen Zeiten ein Licht sehen.
„Wie aber kann man diese
Freude nähren? Wie es die Frauen getan haben: durch die Begegnung mit dem
Auferstandenen, denn er ist die Quelle einer Freude, die nie versiegt.
Verlieren wir also keine Zeit und beeilen wir uns, ihm in der Eucharistie zu
begegnen, in seiner Vergebung, im Gebet und in der tätigen Nächstenliebe! Die
Freude wächst, wenn sie geteilt wird. Teilen wir die Freude des
Auferstandenen.“ (vn 1)
Kirchen zu Ostern: Sehnsucht nach Gerechtigkeit
Die christlichen Kirchen in
Deutschland sehen in der Osterbotschaft ein starkes Signal dafür, dass die
Sehnsucht nach einer Welt der Gerechtigkeit und des Friedens wachbleibt. Mitten
in einer Welt voller Krieg und Not halte die Osternacht die große Erzählung von
der Freiheit einer kommenden gerechten Welt wach, sagte der Vorsitzende der
Deutschen Bischofskonferenz, Georg Bätzing, im Limburger Dom.
„Und damit hält sie uns wach in unserem
Einsatz für diese künftige Welt, wie Gott sie will." Die „unfassbare
Botschaft" von der Auferstehung Jesu sei nicht mehr aus der Welt zu
schaffen. "Auch mit Gewalt und Verfolgung ist sie nicht mehr kleinzuhalten
bis auf den heutigen Tag", sagte der Limburger Bischof.Die kommissarische
Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Bischöfin
Kirsten Fehrs, rief die Christen auf, Zeichen der Hoffnung zu sein. Sie müssten
aufstehen und dabei klar und deutlich Haltung zeigen für ein Leben in Würde,
das ausnahmslos jedem Menschen zustehe. Hass und Gewalt müsse die Stirn geboten
werden. Die Auferstehung zeige, „dass nicht die Aussichtslosigkeit die Macht
über uns gewinnt, sondern Zuversicht sich durchsetzt", so die Hamburger
Bischöfin.
Der Münchner Kardinal
Reinhard Marx rief Christinnen und Christen dazu auf, sich dem Wiederaufflammen
überwunden geglaubter Konflikte, Hass und Gewalt entgegenzustellen. Angesichts
einer Wiederkehr von Gewalt und Krieg, von Hass, Polarisierung und Verschwörungstheorien
könne leicht das Gefühl aufkommen, dass sich die „Geister der
Vergangenheit" niemals abschütteln ließen, räumte der Erzbischof von
München und Freising ein: „Der Lauf der Weltgeschichte ist nicht immer nur ein
Fortschritt zum Besseren hin." Die österliche Botschaft sei eine der
Hoffnung: Durch den Tod und die Auferweckung Jesu von Nazareth sei „eine
Dynamik in die Geschichte eingetragen, die nie wieder zurückgenommen werden
kann", sagte Marx im Münchner Liebfrauendom. Auch der Kölner Kardinal
Rainer Maria Woelki rief zum Einsatz für Frieden auf. Ostern fordere die
Christen heraus, die Welt besser, gerechter und friedlicher zu machen, so der
Erzbischof in seiner Osterpredigt. Der Friede, der an Ostern vom Auferstandenen
ausgehe, könne Konflikte lösen, neues Leben schaffen und die Menschen glücklich
machen - nicht Kriege, Terror und Gewalt. „So tragen wir die Botschaft von der
Auferstehung in unsere Welt, die von Angst und Resignation, von Krieg, Terror
und brutaler Gewalt gezeichnet ist", so Woelki. Auch der neue Paderborner
Erzbischof Udo Markus Bentz betonte, dass von Ostern eine Botschaft von Mut und
Kraft ausgehe.
„Der Blick auf den weiten
Horizont, den uns der Auferstandene eröffnet, lässt uns aufrecht, mit Hoffnung
und Entschiedenheit durch diese Welt gehen", sagte Bentz im Paderborner
Dom. Das Fest bringe eine veränderte Perspektive. Trotz des Elends, das „uns in
unsrer Welt niederdrückt", feierten Christen Auferstehung und glaubten:
„Die Macht der Liebe lässt Jesus nicht im Tod, sondern ruft ihn zu neuem
Leben."
Der christliche Glaube an die
Auferstehung wird nach Aussage von Münsters Bischof Felix Genn angesichts der
Bilder von Terror, Gewalt und Leid auf eine harte Probe gestellt. Noch
schwieriger sei offenbar der Glaube an einen persönlichen Gott, sagte Genn. Die
Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung vom Herbst etwa habe gezeigt, dass viele
Christen sich allenfalls eine unpersönliche höhere Macht vorstellen könnten.
Das aber sei „der Knackpunkt von Ostern: an einen persönlichen Gott zu glauben".
„Ostern ist das Fest, das Grenzen überwindet", schreibt der Essener
Bischof Franz-Josef Overbeck in seiner Osterbotschaft. Aus der Feier der
Auferstehung Jesu könne eine Kraft erwachsen, die helfe, das Böse zu überwinden
und Kriege zu beenden. Overbeck, der auch Militärbischof der Bundeswehr ist,
ergänzte: „Friede ist niemals das Ergebnis von Konventionen, sondern immer von
der inneren Überzeugung, dass das Gute in den Menschen und unter den Menschen
leben soll." (kna 31.3.)
Papst erneuert zu Ostern Appell für Frieden weltweit
Papst Franziskus hat in
seiner Osterbotschaft zu Frieden, Solidarität und Geschwisterlichkeit weltweit
aufgerufen und militärische Aufrüstung kritisiert. „Frieden wird niemals mit
Waffen geschaffen, sondern indem man die Hände ausstreckt und die Herzen
öffnet“, mahnte der Papst in seiner feierlichen Osterbotschaft an diesem
Sonntag in Rom. Stefanie Stahlhofen -
Vatikanstadt
Rund 60.000 Menschen hatten
sich auf dem mit Blumen festlich geschmückten Petersplatz versammelt, um die
Ostermesse mit dem Papst zu feiern, seine Osterbotschaft zu hören und den Segen
„Urbi et Orbi", der Stadt und dem Erdkreis, zu empfangen. Unzählige
Menschen waren zudem bei Liveübertragungen weltweit zugeschaltet. Den ganzen
Erdkreis umspannte der Papst auch in seiner Osterbotschaft 2024, die er wie
üblich von der Mittelloggia des Petersdoms verlas. Das katholische
Kirchenoberhaupt verwies darin auf die christliche Hoffnung und lobte
Friedensbemühungen, prangerte aber auch viele aktuelle Missstände an. Der
auferstandene Christus schenke den Menschen die Vergebung der Sünden und mache
den Weg frei für eine erneuerte Welt, betonte Franziskus, die Menschen
schlössen die von Jesus geöffneten Türen aber „mit den in der Welt aufkommenden
Kriegen ständig". Konkret führte der Papst dazu in seiner Osterbotschaft
weiter aus:
„Meine Gedanken sind vor
allem bei den Opfern der vielen aktuellen Konflikte in der Welt, angefangen bei
denen in Israel und Palästina und in der Ukraine. Der auferstandene Christus
eröffne den leidtragenden Bevölkerungsgruppen in diesen Regionen einen Weg des
Friedens. Ich rufe zur Achtung der Grundsätze des Völkerrechts auf und hoffe
auf einen umfassenden Austausch aller Gefangenen zwischen Russland und der
Ukraine: alle für alle!"
„Ich rufe zur Achtung der
Grundsätze des Völkerrechts auf“
Sofortiger Waffenstillstand
in Gaza
Darüber hinaus forderte der
Papst unter Applaus der Menge auch erneut einen sofortigen
Waffenstillstand im Gaza-Streifen, garantierten Zugang für humanitäre Hilfe
nach Gaza sowie die sofortige Freilassung der am 7. Oktober von der Hamas in
Israel entführten Geiseln. Die Lage verschärfe zudem noch zusätzlich die Not im
benachbarten Libanon. Mit Blick auf Syrien forderte der Papst „Antworten
vonseiten aller, auch von der internationalen Gemeinschaft". Er verwies in
seiner Osterbotschaft konkret auch auf Gewalt und Konflikte in Haiti und
Myanmar sowie in Afrika, das zusätzlich auch unter Dürre und Hunger
leide.
„Der auferstandene Christus
eröffne einen Weg der Hoffnung für die Menschen in den übrigen Teilen der Welt,
die unter Gewalt, Konflikten, Ernährungsunsicherheit und den Auswirkungen des
Klimawandels leiden“
Trost für Terror-Opfer
„Der auferstandene
Christus eröffne einen Weg der Hoffnung für die Menschen in den übrigen Teilen
der Welt, die unter Gewalt, Konflikten, Ernährungsunsicherheit und den
Auswirkungen des Klimawandels leiden. Er schenke den Opfern aller Formen des
Terrorismus Trost. Wir beten für alle, die ihr Leben verloren haben, und beten um
Reue und Umkehr der Täter", weitete der Papst dann den Blick. Seine
Osterbotschaft nutzte Franziskus auch, um an die Heiligkeit des Lebens und die
Menschenwürde aller zu erinnern, auch der Ungeborenen und der Sklaven von
heute:
„Wie oft wird das
kostbare Geschenk des Lebens missachtet. Wie viele Kinder dürfen nicht einmal
das Licht der Welt erblicken? Wie viele verhungern oder erhalten keine
lebensnotwendige Versorgung oder werden Opfer von Missbrauch und Gewalt? Wie
viele Leben werden durch den zunehmenden Menschenhandel zur Ware? Liebe
Schwestern und Brüder, an dem Tag, an dem Christus uns aus der Knechtschaft des
Todes befreit hat, fordere ich die politisch Verantwortlichen auf, keine Mühen
zu scheuen, um die Geißel des Menschenhandels zu bekämpfen, und sich
unermüdlich dafür einzusetzen, ausbeuterische Strukturen zu zerschlagen und die
Opfer zu befreien", nahm Papst Franziskus hier auch Politiker in die
Pflicht.
„Keine Mühen scheuen, um die
Geißel des Menschenhandels zu bekämpfen, und sich unermüdlich dafür
einzusetzen, ausbeuterische Strukturen zu zerschlagen und die Opfer zu
befreien“
Solidarität mit Armen und
Flüchtlingen
Der Papst rief ebenso zu
Solidarität und Hilfe für Flüchtlinge und Migranten sowie arme Menschen auf:
„Möge der auferstandene Herr
den Migranten und denjenigen, die in wirtschaftlicher Not sind, sein Licht
leuchten lassen und ihnen in der Zeit ihrer Not Trost und Hoffnung spenden.
Möge Christus alle Menschen guten Willens dazu bewegen, sich solidarisch zu
vereinen, um gemeinsam die vielen Herausforderungen zu bewältigen, denen sich
die ärmsten Familien auf ihrer Suche nach einem besseren Leben und Glück
gegenübersehen."
„Sich solidarisch vereinen,
um gemeinsam die vielen Herausforderungen zu bewältigen“
Hoffnungsschimmer
In seiner Osterbotschaft ging
Franziskus aber auch auf einige positive Entwicklungen ein. Im westlichen
Balkan gebe es „bedeutende Schritte zur Integration in das europäische
Projekt" mit denen der Papst die hoffnung verband, dass ethnische,
kulturelle und konfessionellen Unterschiede nicht Ursache für Spaltung seien,
sondern „zu einer Quelle der Bereicherung für ganz Europa und die Welt
werden". Konkret würdigte der Papst auch die Gespräche im Konflikt
zwischen Armenien und Aserbaidschan. Er wünsche sich, dass beide Länder
„ mit Unterstützung der internationalen Gemeinschaft den Dialog
fortsetzen, den Flüchtlingen helfen, die Kultstätten der verschiedenen
Konfessionen respektieren und so bald wie möglich zu einem endgültigen
Friedensabkommen gelangen können."
Video: Highlights der
Ostermesse mit Papst Franziskus am Ostersonntag 2024
Seine Osterbotschaft 2024
beschloss Papst Franziskus mit den Worten: „Möge das Licht der
Auferstehung unseren Geist erleuchten und unser Herz bekehren, damit wir uns
des Wertes eines jeden Menschenlebens bewusstwerden, das stets angenommen,
geschützt und geliebt werden muss. Ich wünsche allen ein gesegnetes
Osterfest". Anschließend spendete der Papst, wie zu Ostern und Weihnachten
üblich, den Segen „Urbi et Orbi", mit dem auch ein Nachlass aller Sünden
verbunden ist. Mit Papst Franziskus auf dem Mittelbalkon des Petersdoms waren
der Erzpriester der Patriarchalbasilika St. Paul vor den Mauern,
Kardinal James Michael Harvey, und der emeritierte italienische
Kurienkardinal Lorenzo Baldisseri, ehemaliger Generalsekretär der
Bischofssynode.
Ostermesse mit Papst
Franziskus
Bei der großen, feierlichen
Ostermesse mit Papst Franziskus am Sonntagvormittag war der Dekan des
Kardinalskollegiums, Giovanni Battista Re, Hauptzelebrant. Unter den mehr als
350 Konzelebranten befanden sich weitere Kardinäle, Bischöfe und Priester. Eine
Predigt hielt Papst Franziskus hier - wie üblich - nicht. Auch in der
Ostermesse mit Papst Franziskus kam das Thema Friede auf. In einer Fürbitte
hieß es:
„Lasst uns beten um das
Geschenk des Friedens: Vater des Erlösers, du hast uns in Christus mit dir
versöhnt. Mache uns zu Boten deines Friedens und gib, dass in allen Familien
Eintracht und Harmonie herrschen und dass alle Konflikte und Ungerechtigkeiten
in der Welt enden mögen."
Am Ostermontag wird Papst
Franziskus um 12 Uhr das Mittagsgebet Regina Caeli sprechen. (vatican
news 31.3.)
Kreuzweg am Kolosseum ohne Franziskus, aber mit seinen Texten
Papst Franziskus hat an
diesem Karfreitagabend kurzfristig seine Teilnahme am traditionellen Kreuzweg
vor dem Kolosseum im Rom abgesagt. Um sich für die Feier der Osternacht zu
schonen, verfolgte er die Andacht von seiner Residenz aus, teilte der Vatikan
mit. Im Gegenzug stammten die Kreuzwegs-Meditationen zum ersten Mal von ihm
selbst.
Sie waren über weite Strecken
in der „Ich“-Form gehalten und enthielten leitmotivisch Danksagungen an Jesus.
Auf Zeitbezüge wie Gewalt und Krieg verzichtete der Papst in den Kreuzwegtexten
weitgehend, sie klangen aber in den Litaneien am Schluss jeder Station an.
Hauptsächlich zog Franziskus aus der Betrachtung des Leidens und Sterbens
Jesu Anregungen zur Gewissenserforschung.
Bei der ersten Station –
Jesus wird zum Tod verurteilt – hob er das Schweigen Jesu als eine kraftvolle
und radikale Antwort auf das Böse hervor. Dieses Schweigen sei verblüffend,
aber fruchtbar, ein Weg der Befreiung vom Bösen. „Jesus, dein Schweigen
rüttelt mich auf: es lehrt mich, dass das Gebet nicht aus der Bewegung der Lippen
kommt, sondern aus einem Herzen, das fähig ist, zuzuhören“, so die Meditation.
Der Papst forderte die Gläubigen auf, von dieser Demut und Stille zu lernen, um
in der Hektik des Lebens einen Raum für echtes Gebet und innere Einkehr zu
finden.
Fackeln und Tausende kleine
Kerzen in den Händen der etwa 25.000 Gläubigen am Kolosseum erleuchteten die
„Via Crucis“, die die Päpste seit Paul VI. an dieser Stelle am Karfreitag
leiten. Als Kreuzträger waren unter anderem Klausurnonnen, Migranten, eine
Familie, Menschen mit Handicap, stadtrömische Pfarrer und Caritas-Leute im
Einsatz.
Der Kreuzweg von Franziskus
hatte wie üblich 14 Stationen, allerdings fehlte die sonst geläufige Station
„Jesus fällt zum dritten Mal unter dem Kreuz“. Stattdessen fügte Papst
Franziskus eine neue elfte Station ein: „Jesus schreit seine Verlassenheit
heraus“. Jesus, der Gott der Gemeinschaft, habe am eigenen Leib die
Verlassenheit gefühlt, um die Gläubigen aus der Einsamkeit zu befreien, so die
Meditation von Franziskus. „Und in dem Schreien so vieler Einsamer und
Ausgeschlossener, Unterdrückter und Verlassener sehe ich dich wieder, mein
Gott: Lass mich dich erkennen und dich lieben.”
Veronika, die der Tradition
zufolge Jesus das Schweißtuch reichte, zeichnete Franziskus in seiner
Meditation als starke, mutige und tatkräftige Frau. Anders als die Vielen, die
verachten, schmähen und Urteile fällen - und heutzutage genüge dazu „eine
Tastatur“, so der Papst in einer der ganz wenigen aktuellen Bezüge seiner
Betrachtung – bahne sich diese Frau ihren Weg durch die Menge. „Sie spricht
nicht. Sie handelt. Sie schimpft nicht. Sie erbarmt sich. Sie schwimmt gegen
den Strom: allein, mit dem Mut des Mitleids. Sie begibt sich aus Liebe in
Gefahr, sie findet einen Weg, um zwischen den Soldaten hindurchzukommen, nur um
deinem Antlitz den Trost einer Liebkosung zuteilwerden zu lassen.“ Veronika
erinnere ihn daran, so der Papst, dass auch Jesus Trost brauche. „Du, der nahe
Gott, bittest um meine Nähe; du, mein Tröster, willst von mir getröstet werden…
Jesus, entfache in mir das Verlangen, bei dir zu bleiben, dich anzubeten und
dich zu trösten. Und mache, dass ich in deinem Namen für andere zum Trost
werde.“
An mehreren Stellen der
Kreuzwegmeditation flocht Franziskus Danksagungen an Jesus ein, eher
ungewöhnliche Formulierungen für diese traditionsreiche Andachtsform. „Ich
danke dir, weil du auf mich wartest; danke, weil ich viele Male hinfalle und du
mir unzählige Male vergibst: immer“, heißt es in der Station „Jesus fällt zum
zweiten Mal unter dem Kreuz“. Der Papst beschloss seine Meditationen mit einer
Serie von 14 Schlussanrufungen an Jesus, die letzten beiden ebenfalls als
Danksagungen angelegt:
„Jesus, bevor du stirbst,
sagst du: ,Es ist vollbracht´. In meiner Unvollkommenheit werde ich das nicht
sagen können; doch ich vertraue auf dich, denn du bist meine Hoffnung, die
Hoffnung der Kirche und der Welt“, so der Papst in seiner Betrachtung. „Jesus,
ein Wort möchte ich dir noch sagen und es immerzu wiederholen: Danke! Ich danke
dir, mein Herr und mein Gott.“
Anstelle des Papstes sprach
sein Vikar für Rom, Kardinal Angelo de Donatis, den Schlussegen. Bereits
letztes Jahr war Franziskus im Kolosseum nicht anwesend gewesen, den Kreuzweg
leitete damals ebenfalls Kardinal de Donatis. 2023 war das erste Mal seit Beginn
des Pontifikats, dass ein Kreuzweg ohne Franziskus stattfand. Ein Präzedenzfall
ereignete sich 2005 mit dem schwer erkrankten Johannes Paul II. Ihn vertrat
damals Kardinal Joseph Ratzinger, der wenig später, nach dem Tod Johannes
Pauls, seinerseits zum Papst gewählt wurde. (vn 29.3.)
Gründonnerstag: Papst feiert Abendmahlsmesse im römischen Frauengefängnis Rebibbia
Auch dieses Jahr hat
Franziskus den Gottesdienst, in dem die Kirche in besonderer Weise der
Einsetzung der Eucharistie gedenkt, mit Gefängnisinsassen gefeiert, dieses Jahr
ausschließlich Frauen. Zum ersten Tag des österlichen Triduums besuchte der
Papst das Frauengefängnis Rebibbia und nahm dort den Ritus der Fußwaschung vor.
Silvia Kritzenberger - Vatikanstadt
Die Abendmahlsmesse ist vom
Gedächtnis des Letzten Abendmahls Jesu und von der Einsetzung der Eucharistie
geprägt. Eine Besonderheit dieses Tages ist der Ritus der Fußwaschung, der auf
die innerste Haltung Jesu hinweist: Zeichen seiner hingebenden Liebe.
Den Gründonnerstag 2024
wollte der Papst mit den Insassinnen und dem Gefängnispersonal der
Frauenhaftanstalt Rebibbia begehen, die er bereits 2015 besucht hat. Dabei hat
er 12 Frauen zwischen 40 und 50 Jahren verschiedener Nationalitäten die Füße
gewaschen.
Rebibbia: Eines der größten Frauengefängnisse
Europas
Das in den 1950er Jahren
gegründete Frauengefängnis ist derzeit das größte der vier Frauengefängnisse
Italiens und auch eines der größten in Europa, mit einer starken Präsenz
ausländischer Frauen. Trotz der vorgeschriebenen Kapazität von 260 Plätzen
sind derzeit 370 Personen dort untergebracht. Auch im Bereich der
Gesundheitsfürsorge gibt es Schwierigkeiten bei der Versorgung der Patienten.
In der Gefängnispastoral sind
dort die Armen-Schwestern vom heiligen Franziskus tätig. Frauen, die anderen
Frauen zur Seite stehen und berichten, dass das Leid der Frauen oft größer ist
als das der Männer. Wie eine der dort tätigen Ordensfrauen betonte, empfänden
Frauen meist großes Schuldgefühl für das Leid, das ihre Haftstrafe für andere
bedeutet – vor allem, wenn sie kleine Kinder hätten, die sie nicht aufwachsen
sehen, denen sie in Zeiten von Schmerz oder Krankheit nicht zur Seite stehen
könnten.
"Existentielle
Peripherien": Ein Herzensanliegen von Franziskus
Mit dem Besuch in Rebibbia
setzte Franziskus die zu Beginn seines Pontifikats 2013 begonnene Tradition
fort, die Abendmahlsmesse nicht mehr in der Kathedrale des Bistums Rom, der
Lateranbasilika, zu feiern, sondern sich an einen symbolischen Ort zu begeben:
einen Kreuzweg des Schmerzes, aber auch der Wiedergeburt. Eine Tradition, die
Jorge Mario Bergoglio aus Buenos Aires nach Rom „importiert“ hatte, wo es ihm
schon als Erzbischof immer ein Anliegen war, die "existenziellen
Peripherien" aufzusuchen.
Die Predigt von Papst
Franziskus
In seiner kurzen, aus dem
Stegreif gehaltenen Predigt erinnerte Franziskus an zwei Episoden, die mit der
Erinnerung an das Letzte Abendmahl zu tun haben. Zunächst die Fußwaschung.
„Jesus demütigt sich selbst, Jesus verdeutlicht mit dieser Geste, was er gesagt
hatte: Ich bin nicht gekommen, um mir dienen zu lassen, sondern um zu dienen.
Er lehrt uns den Weg des Dienens,“ so der Papst. Die andere Episode sei eine
traurige gewesen: der Verrat des Judas, der nicht fähig gewesen sei zu lieben
und sich von Geld und Egoismus zu dieser hässlichen Geste habe verführen
lassen.
„Eine einfache alte Frau -
eine weise alte Frau, eine Großmutter aus dem Volk - habe ich einmal sagen
hören: "Jesus wird nie müde zu vergeben: wir sind es, die müde werden, um
Vergebung zu bitten",“ erinnerte sich Franziskus. „Bitten wir den Herrn
heute um die Gnade, nicht müde zu werden. Wir alle haben immer wieder kleine
und große Fehler - jeder hat seine Geschichte… Bitten wir den Herrn, dass er
uns alle in der Berufung zum Dienen wachsen lässt.“
Papst Franziskus feierte
seine Gründonnerstagsmessen meist mit Häftlingen in römischen Gefängnissen, war
aber auch schon in einer Behinderteneinrichtung und einem Flüchtlingsheim.
Dabei hat er den Insassen, Männern wie auch Frauen, Christen wie Muslimen oder
anderen Religionsangehörigen, die Füße gewaschen und den Ritus der Fußwaschung
als dienende und liebende Geste Jesu an den anderen erklärt. (vn 28.3.)
Unzumutbare Abschiebungen. Zahl der Kirchenasyle deutlich gestiegen
Mit der Zahl der Asylanträge
steigt auch die Zahl der Kirchenasyle in Deutschland wieder. 2023 gab es laut
Bundesinnenministerium mehr als 1.500 Fälle - deutlich mehr als in den
Vorjahren. Nur wenige Fälle führen aber zum Umdenken bei den Behörden.
Die Zahl der Kirchenasyle ist
2023 weiter gestiegen. Dem Bundesamt für Migration und Flüchtlinge wurden im
vergangenen Jahr 1.514 Fälle gemeldet, wie aus einer Antwort des
Bundesinnenministeriums auf eine Anfrage der Linken-Abgeordneten Clara Bünger
hervorgeht, die dem „Evangelischen Pressedienst“ vorliegt. Im Jahr davor lag
die Zahl der gemeldeten Kirchenasyle bei 1.243, 2021 gab es 822 Fälle.
Wie aus den Zahlen weiter
hervorgeht, führen die Fälle nur selten zu Erfolg auf offiziellem Weg. Nur in
neun Fällen machte demnach das Bundesamt im vergangenen Jahr vom sogenannten
Selbsteintrittsrecht Gebrauch, das heißt, es übernahm die Zuständigkeit für die
schutzsuchende Person, für deren Asylverfahren eigentlich ein anderes EU-Land
zuständig gewesen wäre. Bei der überwiegenden Mehrheit der Fälle im Kirchasyl
geht es darum, eine Überstellung in einen anderen EU-Staat zu verhindern. Auch
in den Jahren zuvor war die Zahl der Selbsteintritte gering.
Kirchenasyl – Hilfe in
Härtefällen
In 313 Fällen wurde 2023 die
mit dem Kirchenasyl verbundene Bitte, eine Person nicht abzuschieben, negativ
beschieden. Mehr als 1.100 Fälle erledigten sich auf andere Weise, „maßgeblich
durch Ablauf der Überstellungsfrist“, wie es in der Antwort heißt. Läuft diese
Frist ab, ist automatisch Deutschland für das Asylverfahren zuständig. Sie
liegt regulär bei sechs Monaten. Wenn die betreffende Person als „flüchtig“
angesehen wird, kann die Frist auf 18 Monate verlängert wurden. Ein politischer
Versuch, dies auch auf Kirchenasyle anzuwenden, wurde gerichtlich gerügt. Das
Bundesverwaltungsgericht wies dabei darauf hin, dass der Aufenthaltsort der
Personen im Kirchenasyl bekannt ist.
Die Kirchen sehen das Angebot
für Asyl in ihren Räumlichkeiten als Hilfe in Härtefällen. Kirchengemeinden
stellen dafür Gemeindegebäude oder kircheneigene Wohnungen zur Verfügung.
Mitarbeitende und vor allem Ehrenamtliche übernehmen auch die Versorgung der
Schutzsuchenden, die das Gelände für die Zeit des Kirchasyls nicht verlassen
können. Die Gemeinden erstellen Falldossiers und bitten damit das Bundesamt für
Migration und Flüchtlinge um erneute Prüfung der Fälle.
Bünger: Viele geplante
Abschiebungen unzumutbar
Bünger sagte, der deutliche
Anstieg von Kirchenasyl-Fällen zeige, dass eine zunehmende Zahl geplanter Abschiebungen
in andere EU-Länder als unzumutbar angesehen wird. Dass nur so wenige dieser
Fälle vom Bundesamt akzeptiert würden, sei „beschämend“. „Die Erfolgsquote beim
Kirchenasyl soll offenbar unter allen Umständen niedrig gehalten werden“,
kritisierte die Abgeordnete und ergänzte: „Wichtige humanitäre Erwägungen
finden beim Bundesamt nur in extremen Ausnahmefällen Gehör, das muss sich
ändern.“
Bünger erkundigte sich in
ihrer Frage auch nach der Zahl der sogenannten Dublin-Überstellungen. Nach der
Dublin-Regelung ist das EU-Land für Aufnahme und Asylverfahren zuständig, über
das Schutzsuchende eingereist sind – oder dort zuerst registriert wurden. Nach
den Zahlen des Bundesinnenministeriums stellte Deutschland im vergangenen Jahr
fast 75.000 Übernahmeersuchen an andere Mitgliedstaaten, während es gut 15.500
Flüchtlinge aus anderen Ländern übernehmen sollte. Tatsächlich erfolgt sind den
Angaben zufolge nur 5.053 Überstellungen aus Deutschland, während wiederum
4.275 Flüchtlinge aus anderen Ländern übernommen wurden. (epd/mig 28.3.)
Synodaler Weg der Kirche in Deutschland. Arbeitsgruppen für den Synodalen Weg
In fünf Synodalversammlungen
waren bis zum März 2023 Beschlüsse mit Handlungsoptionen auf dem Synodalen Weg
verabschiedet worden. Vier Arbeitsgruppen sind aktuell eingerichtet, um
theologische Fragen des Synodalen Weges der katholischen Kirche in Deutschland
zu vertiefen. Eine weitere Arbeitsgruppe ist im Aufbau, eine sechste hat ihren
Auftrag abgeschlossen.
Die Arbeitsgruppen sind von
der Gemeinsamen Konferenz aus Mitgliedern der Deutschen Bischofskonferenz und
des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) beauftragt, Vorschläge für
die Aufgaben zu erarbeiten, die aus den Beschlüssen des Synodalen Weges
resultieren. Sie greifen jene Aufgaben auf, deren Umsetzung auf der
überdiözesanen Ebene angesiedelt ist.
In der Arbeitsgruppe „Umgang
mit geschlechtlicher Vielfalt“ sind Dr. Hans-Gerd Angel, Michael Brinkschröder,
Prof. Dr. Stephan Goertz, Prof. Dr. Marianne Heimbach-Steins, Ruth Huber, Mara
Klein, Prof. Dr. Andreas Lob-Hüdepohl und Weihbischof Ludger Schepers tätig.
Die Geschäftsführung hat Dr. Andreas Heek, Leiter der Arbeitsstelle
Männerseelsorge der Deutschen Bischofskonferenz.
Für die Priester, die
aufgrund einer Partnerschaft aus dem Amt scheiden, ist entsprechend dem
Handlungstext „Der Zölibat der Priester – Bestärkung und Öffnung“ eine
Arbeitsgruppe unter dem Titel „Priester/Umgang mit suspendierten Priestern“
eingesetzt worden. Ihr gehören Stephan Buttgereit, Martin Gebhardt, Dr. Markus
Güttler, P. Simon Hacker OP, Michaela Labudda, Dr. Matthias Leineweber, Monika
Rohfleisch und Pfarrer Jochen Thull an. Die Geschäftsführung hat Charlotte
Dietrich, Referentin im ZdK.
In der Arbeitsgruppe „Frauen
in Diensten und Ämtern in der Kirche“ wirken Dr. Katrin Brockmöller, Prof. Dr.
Margit Eckholt, Zuzanna Flisowska-Caridi, Lisa Holzer, Bischof Dr. Peter
Kohlgraf, Prof. Dr. Dorothea Sattler, Sr. Prof. Dr. Birgit Weiler MMS und Prof.
Dr. Agnes Wuckelt mit. Die Geschäftsführung hat Marie Raßmann, Referentin im
ZdK.
In der Arbeitsgruppe
„Segnungen für Paare, die sich lieben“ arbeiten Bischof Dr. Stephan Ackermann,
Stefan Diefenbach, Dr. Andreas Heek, Ulrich Hoffmann, Prof. Dr. Benedikt
Kranemann, Dr. Martina Kreidler-Kos, Ulrike Laux, Birgit Mock und Dr. Nicole
Stockhoff. Die Geschäftsführung hat Claudia Abmeier, Referentin im ZdK.
Personell noch nicht
vollständig besetzt ist die Arbeitsgruppe „Einbeziehung der Gläubigen in die
Bestellung des Diözesanbischofs“. Bereits im September 2023 hatte die sechste
Arbeitsgruppe ihren Auftrag erfüllt, Entwürfe für die Satzung und die
Geschäftsordnung des Synodalen Ausschusses zu erarbeiten.
Hinweise: Informationen zum
Synodalen Weg – darunter auch Materialen für den Religionsunterricht und die
Gemeindearbeit – sind unter www.synodalerweg.de verfügbar. Dbk 28.3.
„Wer liebt, wird nicht müde, ist nicht reizbar, stellt keine Ultimaten"
Bei seiner Generalaudienz an
diesem Mittwoch hat Papst Franziskus über die Tugend der Geduld gesprochen.
Gerade im Alltag mangele es den Menschen oft an Geduld, sagte Franziskus, der
diesmal wieder seine vorbereitete Ansprache selbst vortrug. Wegen des
regnerischen Wetters war die Audienz kurzfristig vom Petersplatz in die
Audienzhalle verlegt worden. Valerie Nusser - Vatikanstadt
Es sei kein Zufall, so Papst
Franziskus, dass die „Pazienza“, die Geduld, die gleiche Wurzel wie die Passion
habe. Gerade in der Leidensgeschichte zeige sich die Geduld Christi, „der es
mit Sanftmut und Milde hinnimmt, verhaftet, geschlagen und zu Unrecht
verurteilt zu werden; vor Pilatus macht er keine Vorwürfe; er erträgt die
Beleidigungen, das Bespucken und die Geißelung durch die Soldaten; er trägt die
Last des Kreuzes; er vergibt denen, die ihn ans Holz nageln, und am Kreuz
reagiert er nicht auf Provokationen, sondern bietet Barmherzigkeit“, erklärte
Franziskus. Die Geduld, so der Papst, sei nicht nur eine Notwendigkeit, sondern
ein Appell. Er forderte die Gläubigen auf, besonders in der Karwoche den
gekreuzigten Jesus zu betrachten und seine Geduld zu verinnerlichen.
Liebe und Geduld im Hohelied
der Liebe
Franziskus zitierte dann das
Hohelied der Liebe des Apostels Paulus, das eine enge Verbindung zwischen der
Geduld und der Liebe aufzeige. Paulus beschreibt darin die Liebe als großmütig
und geduldig. Die Wurzel der Geduld sei demnach also die Liebe. „Es ist das
erste Merkmal jeder großen Liebe, die auf das Böse mit dem Guten zu antworten
weiß, die sich nicht in Zorn und Entmutigung verschließt, sondern ausharrt und
neu beginnt. Eine Geduld, die neu beginnt“, erklärte der Papst. „Gott ist
Liebe, und wer liebt, wird nicht müde, ist nicht reizbar, stellt keine
Ultimaten. Gott ist geduldig, Gott weiß zu warten.“
„Es kommt immer sofort unsere
Reaktion, und wir sind nicht fähig, geduldig zu bleiben“
„Man könnte also sagen, dass
es kein besseres Zeugnis für die Liebe Jesu gibt, als einem geduldigen Christen
zu begegnen“, so das Kirchenoberhaupt, aber oft mangele es den Menschen im
Alltag an Geduld. „Es ist schwierig, ruhig zu bleiben, unsere Instinkte zu
kontrollieren, schlechte Reaktionen zurückzuhalten, und Streit und Konflikte in
der Familie, am Arbeitsplatz oder in der christlichen Gemeinschaft zu
entschärfen. Es kommt immer sofort unsere Reaktion, und wir sind nicht fähig,
geduldig zu bleiben“, sagte Franziskus.
Den Blick weiten und sich in
Geduld üben
Um sich in Geduld zu üben,
empfahl der Papst, den Blick zu weiten und sich nicht auf die eigenen Sorgen zu
fixieren. Franziskus nannte zwei Väter, die an der Generalaudienz teilnahmen,
ein Israeli und ein Palästinenser: „Beide haben ihre Töchter in diesem Krieg
verloren, und beide sind Freunde; sie schauen nicht auf die Feindschaft des
Krieges, sondern sie schauen auf die Freundschaft zweier Männer, die sich
lieben und die dasselbe durchgemacht haben. Denken wir an dieses sehr schöne
Zeugnis dieser beiden Menschen, die in ihren Töchtern den Krieg im Heiligen
Land erlitten haben“. Franziskus dankte beiden Vätern für ihr Zeugnis und
sprach mit ihnen nach dem Ende der Generalaudienz. (vn 27.3.)
Papst schreibt Brief an Katholiken im Heiligen Land
Zur Karwoche hat Papst
Franziskus einen Brief an die Katholiken der verschiedenen Riten im Heiligen
Land geschrieben. Darin versichert er ihnen angesichts von Krieg und Konflikten
in der Heimat Jesu: „Ihr seid nicht allein“. Stefan von Kempis – Vatikanstadt
Die Epistel aus Rom gilt vor
allem „denen, die derzeit am schmerzlichsten unter der absurden Tragödie des
Krieges leiden“, schreibt der Papst. Sein Aufruf: „Hoffen gegen alle Hoffnung“.
Das Wort Gaza fällt zwar
nicht, doch beklagt Franziskus mit einem fünfzig Jahre alten Zitat seines
Vorgängers Paul VI.‘ (1963-78) die fortgesetzten Spannungen in Nahost, „ohne
entscheidende Schritte in Richtung Frieden“. Das sei eine „ernste und ständige
Gefahr“ für den Weltfrieden. In dieser Hinsicht hat sich seit Paul VI. nicht
viel geändert.
„Fackeln, die in der Nacht
leuchten“
Die Christen im Heiligen Land
sieht der Papst nicht nur als Hüter der Heiligen Stätten, sondern auch als
„Samen des Guten“ inmitten von Konflikten. „In diesen dunklen Zeiten, in denen
es scheint, als ob die Finsternis des Karfreitags euer Land und zu viele
Gegenden in der Welt bedeckt, die vom sinnlosen Wahnsinn des Krieges entstellt
sind, (...) seid ihr Fackeln, die in der Nacht leuchten.“
Die Hoffnung auf die Rückkehr
der Pilger
Er bete um Frieden, Hoffnung
und den Respekt der Würde eines jeden Menschen im Heiligen Land, schreibt
Franziskus. „Brüder und Schwestern, ich möchte euch sagen: Ihr seid nicht
allein und und wir werden euch nicht allein lassen, sondern wir werden (…) mit
euch solidarisch bleiben in der Hoffnung, bald wieder als Pilger zu euch
zurückkehren zu können.“
En passant zeigt der Petrusnachfolger,
dass er auch orientalisch-poetisch zu formulieren versteht: „Möge im
Schmelztiegel des Leidens das Gold der Einheit zunehmen und erstrahlen“.
(vn 27.3.)
Sachsen-Anhalt. Pfarrer verliert Stelle wegen AfD-Kandidatur
AfD-Kandidatur kostet Pfarrer
seine Beauftragung: Kirche in Mitteldeutschland reagiert auf politisches
Engagement. Eine AfD-Kandidatur sei mit dem Amt des Pfarrers nicht vereinbar.
Weil er als Parteiloser für
die AfD bei der Stadtratswahl im sachsen-anhaltischen Quedlinburg kandidiert,
hat der evangelische Kirchenkreis Egeln einem Pfarrer die Beauftragung
entzogen. Wie die Evangelische Kirche in Mitteldeutschland (EKM) am Montag in
Magdeburg mitteilte, hat Pfarrer Martin Michaelis, der bisher für den
Pfarrbereich Gatersleben (Salzlandkreis) zuständig war, die Landeskirche am 9.
März über seine Kandidatur informiert. Daraufhin sei ihm die Verantwortung für
den Pfarrbereich am 15. März entzogen worden.
Zur Begründung sagte
EKM-Personaldezernent Michael Lehmann, es sei zwar im Interesse der Kirche,
dass sich Pfarrer auch politisch engagieren. Dies gelte jedoch nicht für das
Engagement in Parteien, die verfassungsrechtlich fragwürdige Positionen
einnehmen. „Mit der Kandidatur für die AfD unterstützt Herr Michaelis das
Gedankengut der AfD“, sagte Lehmann: „Dies ist auch angesichts der jüngsten
Verlautbarungen des Landeskirchenrates der EKM und der Bischofskonferenz der
Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands nicht mit dem Amt als
Pfarrer vereinbar.“
Michaelis hatte sich in der
Corona-Zeit öffentlich gegen staatliche Lockdown-Maßnahmen ausgesprochen und
sich gegen einen Beschluss der Landessynode gestellt, in dem die
Corona-Impfungen als „aktive christliche Nächstenliebe“ bezeichnet wurden.
Insbesondere der Auftritt bei einer Anti-Corona-Demonstration im Dezember 2021
war bei Landesbischof Friedrich Kramer und anderen Kirchenvertretern auf
heftige Kritik gestoßen.
Update: 26.03.2024, 13:26 Uhr
Wie EKM-Personaldezernent
Michael Lehmann am Dienstag in Magdeburg mitteilte, sei man auf der Suche nach
einem neuen Einsatzbereich für den Pfarrer. Er könne sich auf eine der
ausgeschriebenen Pfarrstellen in der Landeskirche bewerben. Seine Kandidatur
für die AfD mache es aber nicht leichter, „vor Ort Akzeptanz für seinen Einsatz
im Pfarrdienst zu finden“. (epd/mig 27.3.)
Interview. Vor zehn Jahren: Die Causa Limburg
Es ist genau zehn Jahre her:
Nach einem monatelangen Skandal um Bistumsfinanzen nahm Papst Franziskus am 26.
März 2014 das Rücktrittsgesuch des Limburger Bischofs Tebartz-van Elst an. Wie
blickt das Bistum Limburg heute auf diese Zeit zurück? Was hat es daraus
gelernt? Das fragte das Kölner Domradio den Bistumssprecher Stephan Schnelle.
Im Kern ging es vor zehn
Jahren um den kostspieligen Umbau des Bischofshauses. In den Schlagzeilen war
zugespitzt immer von der „goldenen Badewanne“ die Rede. Die Badewanne war nicht
wirklich golden, oder?
„Nein, nein. Die Badewanne
ist nicht wirklich golden, sondern sieht schlicht aus und ist weiß. Aber
natürlich hochwertig. Die gibt es auch heute noch. Die ist heute Teil des
Museums. Das Museum lagert Kunstgegenstände im Bad und in der unteren Etage der
Wohnung, die es gerade nicht ausstellt.“
„Das war eine sehr
herausfordernde Zeit für das Bistum“
Vor genau zehn Jahren kam die
Annahme des Rücktrittsgesuchs von Franz-Peter Tebartz-van Elst. Dem
vorausgegangen war ein Strafbefehl und eine interne Ermittlung der
Bischofskonferenz. Was war das denn damals für eine Zeit für das Bistum
Limburg? Sie waren ja quasi im Auge des Sturms.
„Das war eine sehr
herausfordernde Zeit für das Bistum. Das war auch eine große Zeit der
Unsicherheit, die dann mit der Entscheidung des Papstes, den Amtsverzicht von
Bischof Tebartz-van Elst anzunehmen, beendet wurde. Damit begann dann die Zeit
der Apostolischen Administration. Weihbischof Manfred Grothe kam ins Bistum
Limburg, der auch die interne Untersuchung der Bischofskonferenz zum Bau des
Bischofshauses geleitet hat. Mit ihm wurde die Aufarbeitung fortgesetzt.
Es gab eine Zeit, in der
Tebartz-van Elst Bischof von Limburg, aber außerhalb seiner Diözese war. Der
Generalvikar, den er designiert hatte, war vom Vatikan aus eingesetzt und schon
damit betraut, Dinge zu klären und Aufarbeitung zu betreiben. Das ist natürlich
ein spannungsreiches Verhältnis, wenn Sie wissen, dass es da noch Anfragen und
Herausforderungen gibt. Man muss schon die Weichen stellen und Entscheidungen
treffen, die Auswirkungen auf die Zukunft haben - aber es gibt noch keine klare
Entscheidung. Diese Zeit der Unsicherheit ist mit der Entscheidung des Papstes
beendet worden.“
„Eine Entscheidung, die aber
auch viele Unsicherheiten mit sich gebracht hat“
Wie ist das abgelaufen? Haben
Sie den Brief aus Rom schon vorher bekommen, oder war das für Sie in Limburg
auch eine Überraschung?
„Das war eine Überraschung,
wenn ich mich recht erinnere. Viel Vorlauf gab es da nicht. Das war dann wie
ein Paukenschlag, der sich auch sehr schnell verbreitet hat. Erleichterung ist
vielleicht das falsche Wort, aber sehr schnell wurde gewürdigt, dass es jetzt
eine klare Entscheidung gibt. Eine Entscheidung, die aber auch viele
Unsicherheiten mit sich gebracht hat. Was wird aus Bischof Tebartz-van Elst? Er
hat ja noch keine neue Aufgabe. Wo wird er wohnen? Er hatte ja keine Wohnung
mehr. Er wohnte ja damals im Bischofshaus und hatte sich auch nicht irgendwo
anders eingemietet. Das waren alles ungeklärte Fragen, die uns gestellt wurden
und auf die wir selbst noch keine Antwort wussten.“
Wie war das denn auf der
emotionalen Ebene? Es war für die Mitarbeiter des Bistums wahrscheinlich auch
nicht einfach, wenn sich das ganze Land monatelang über den Arbeitgeber lustig
macht.
„Das war für die
Mitarbeitenden und auch für die vielen Ehrenamtlichen herausfordernd. Wir sind
ein synodales Bistum, wir haben starke synodale Gremien. Da haben viele mit dem
Bistum und mit dem Bischof gelitten. Insofern war diese Erleichterung - ja, ich
nenne es doch mal so - wirklich spürbar. Man hatte die Zeit unter Generalvikar
Rösch, in der klar war, dass der Bischof erst mal außerhalb der Diözese ist und
Aufarbeitung angegangen wird. Wir haben dann einen Prozess gestartet. Wir haben
die Dinge herausgearbeitet, von denen wir wussten, dass sie an den Problemen im
Bistum Limburg schuld gewesen sind. Also wie ist unsere Vermögensverwaltung
aufgestellt, wie sind unsere Gremien aufgestellt, wie läuft hier Beratung und
Entscheidung im Bistum ab? Da haben wir schon angefangen Dinge zu verändern.
Das ging in der Tat dann weiter.“
„Da haben viele mit dem
Bistum und mit dem Bischof gelitten“
Das Bistum hat auch aus
dieser Situation gelernt? Sie gehen mit Finanzen heute anders um als damals?
„Genau. Wir haben unsere
Lehren gezogen. Beratung und Entscheidung läuft bei uns heute anders. Wir haben
Amt und Aufsicht sowie Vermögensangelegenheiten weitestgehend voneinander
getrennt. Wir haben genau geschaut, welches Gremium was machen kann. Wir haben
mehr externe Kontrolle eingebaut und unsere Finanzen komplett offengelegt. Das
sind Dinge, die wir ganz unmittelbar gelernt haben. Das ist auch ein Prozess,
der noch nicht abgeschlossen ist. Aber da hat es den Anfang genommen. Ich
glaube nicht nur, dass wir im Bistum Limburg daraus gelernt haben, sondern dass
auch andere Diözesen daraus gelernt haben, also dass auch große Bistümer wie das
Erzbistum Köln seine Finanzen offengelegt haben. Das wäre so schnell nicht
gekommen, wenn es nicht die Geschichte in Limburg gegeben hätte.“
Franz-Peter Tebartz-van Elst
sitzt heute als sogenannter Delegat in Rom, also als Bischof abgestellt für
Sonderaufgaben. Gab es oder gibt es noch Kontakt zwischen ihm und dem Bistum?
War er noch mal da?
„Nein, er war noch nicht da.
Es gab hin und wieder Begegnungen der Bischöfe. Wenn Bischof Bätzing in Rom
ist, dann trifft er ihn natürlich auch schon mal…“
(domradio 26.3.)
„Synodaler Ausschuss kann weiterarbeiten“
Nach dem jüngsten Gespräch
deutscher Bischöfe mit römischen Kurienvertretern hat die Doppelspitze des
Synodalen Weges die Fortsetzung der Arbeit des Synodalen Ausschusses
angekündigt, der an einer Konzeption des Synodalen Rates arbeitet. Auch eine
Finanzierung sei in Arbeit.
Das schreiben Bischof Georg
Bätzing, Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz (DBK), und Irme
Stetter-Karp, Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK),
in einem Brief vom 25. März an den Synodalen Ausschuss. Bei den Gesprächen in
Rom sei es wesentlich auch um den Synodalen Ausschuss gegangen, informieren
sie. Ihm hatte der Vatikan im Februar noch, kurz vor der
Frühjahrsvollversammlung der deutschen Bischöfe, eine Absage erteilt. Dem Brief
der Doppelspitze des Synodalen Weges ist nun zu entnehmen, dass das Gremium
grünes Licht erhalten hat und in enger Rücksprache mit dem Vatikan an der
Vorbereitung eines Synodalen Rates arbeiten kann.
Im Gespräch mit den Kurienvertretern
am vergangenen Freitag sei der „strukturelle Unterschied zwischen dem Synodalen
Ausschuss als Arbeitsinstrument und dem Synodalen Rat bzw. dem Planungsstand zu
beidem“ erörtert worden, schreiben Bätzing und Stetter-Karp, die selbst nicht
persönlich bei den Gesprächen im Vatikan dabei war. Die Kurie habe „sehr
deutlich ihre Sorge zum Ausdruck gebracht, dass es sich beim avisierten
Synodalen Rat um ein Gremium handeln könnte, dass nicht vom Kirchenrecht
gedeckt ist“.
Kurie will mitgestalten
Die Bischöfe hätten den
Vertretern der Kurie zugesichert, „dass sie dafür Sorge tragen werden, dass der
Vorschlag den kirchlichen Vorgaben entspricht“. Diese seien das Kirchenrecht,
aber auch die Theologie des Zweiten Vatikanums. Außerdem würden die weiteren
Entwicklungen der Weltsynode einbezogen. Mit dem Vatikan sei vereinbart worden,
dass es bei der Konzeption des Synodalen Rates „Rückkopplungen mit der Kurie“
geben soll, zudem sollen die direkten „Gespräche zur Vertiefung des Dialogs“
weitergehen.
Satzung und Finanzierung
Vor Hintergrund der
Übereinkunft in Rom stehe „der Beschlussfassung der Satzung (des Synodalen
Ausschusses, Anm.) durch den Ständigen Rat am 22. April 2024 nichts mehr im
Wege, und der Synodale Ausschuss kann auf dieser Grundlage weiterarbeiten“,
heißt es weiter. In dem Vatikanschreiben vom Februar war die Approbation der
Satzung noch in Frage gestellt worden; diese Zweifel sind laut Bätzing und
Stetter-Karp offenbar nun ausgeräumt.
Im Vatikan sei auch die
Notwendigkeit der Finanzierung der Arbeit erläutert worden, informiert der
Brief der beiden Vorsitzenden weiter. Endlich könnten nun „entsprechende
Ressourcen bereitgestellt“ werden, heißt es, zu einer Gründungsversammlung des
Vereins sei bereits in der Karwoche eingeladen.
„Sehr erfreulich“
Als „sehr erfreulich“ wertet
es die Doppelspitze des Synodalen Weges, dass bei dem Treffen im Vatikan Texte
des Synodalen Weges „sehr genau wahrgenommen“ und damit auch die Arbeit des
Synodalen Ausschusses „wertgeschätzt“ worden sei. In dem Austausch konnten
gleichwohl noch nicht alle Fragen der Kurie bearbeitet werden, schreiben
Bischof Bätzing und ZdK-Präsidentin Stetter-Karp weiter.
Die Deutsche Bischofsdelegation
hatte sich am 22. März 2024 im Vatikan mit Kurienvertretern über den Synodalen
Weg ausgetauscht. In einer gemeinsamen Presseerklärung vom Freitagabend war von
einer „positiven und konstruktiven Atmosphäre“ die Rede, Differenzen und Übereinstimmungen
seien benannt und ein regelmäßiger Austausch vereinbart worden, hieß es. Das
nächste Treffen soll demnach vor der Sommerpause 2024 stattfinden. (vn 26.3.)
Papst-Brief an Jugend: Trotz schwieriger Weltlage Hoffnung haben
„Ich wünsche mir vor allem,
dass meine Worte in euch die Hoffnung neu entfachen", schreibt Papst
Franziskus in einem Brief an junge Leute, den der Vatikan diesen Montag
veröffentlichte. Er könne sich vorstellen, dass viele „sich angesichts der
aktuellen internationalen Lage, die von so vielen Konflikten und so viel Leid
geprägt ist, entmutigt fühlen", so das katholische Kirchenoberhaupt.
Jesus liebe jeden einzelnen
unermesslich, betont Franziskus. Er rät: „Brich mit ihm wie mit einem Freund
auf, nimm ihn in dein Leben auf und lass ihn teilhaben an deinen Freuden und
Hoffnungen, den Leiden und Ängsten deiner Jugend. Du wirst sehen, dass dein Weg
sich erhellen wird und dass auch die größten Lasten weniger schwer sein werden,
weil er da sein wird, um sie mit dir zu tragen."
Anlass für das Papstschreiben
an junge Leute auf der ganzen Welt ist der 5. Jahrestag von Franziskus`
Schreiben an die Jugend „Christus vivit", das der Papst nach der
Weltbischofssynode zum Thema Jugend 2018 im Vatikan veröffentlichte.
„Du wirst sehen, dass dein
Weg sich erhellen wird und dass auch die größten Lasten weniger schwer sein
werden, weil er da sein wird, um sie mit dir zu tragen“
Jugend auch wichtig für
aktuelle Synode
Auch junge Menschen waren an
dem großen Bischofstreffen beteiligt und konnten sich einbringen. Der Papst
betont in seinem aktuellen Brief an die Jugend: „Dank ihrer Arbeit konnten
die Bischöfe eine umfassendere und tiefgehende Sicht der Welt und der Kirche
kennenlernen und erörtern. Es war ein echtes ,synodales Experiment`, das viele
Früchte getragen und den Weg auch für eine neue Synode bereitet hat, nämlich
diejenige, die wir jetzt in diesen Jahren gerade zum Thema Synodalität
erleben."
„Weg auch für eine neue
Synode bereitet - diejenige zum Thema Synodalität“
Der Papst baut auf die Jugend
auch für die aktuelle Weltsynode: „In dieser neuen Etappe unseres
kirchlichen Weges brauchen wir eure Kreativität mehr denn je, um neue Wege zu
gehen, immer in Treue zu unseren Wurzeln", ist so im Papst-Brief an die
Jugend zu lesen. Explizit erwähnt Franziskus auch den Schwung und Input der
Jugend, den „Lärm", wie er selbst immer wieder sagt - und
apelliert: „Ich bitte euch: Lasst es uns niemals an eurem guten Lärm
fehlen, an eurem Antrieb – wie bei einem sauberen und agilen Motor – an eurer
originellen Art zu leben und die Freude des auferstandenen Jesus zu verkünden!
Dafür bete ich. Und bitte, betet auch ihr für mich."
„Lasst es uns niemals an
eurem guten Lärm fehlen, an eurem Antrieb (...) an eurer originellen Art zu
leben und die Freude des auferstandenen Jesus zu verkünden!“
Mission für alle jungen Leute
Dass sie Hoffnung haben und
den christlichen Glauben durch ihr Leben weiter verbreiten, wünscht Papst
Franziskus sich außerdem von der Jugend: „Wie sehr wünsche ich mir, dass
diese Verkündigung jeden von euch erreicht und dass ein jeder von euch sie in
seinem eigenen Leben als lebendig und wahr empfindet und die Sehnsucht
verspürt, sie mit seinen Freunden zu teilen! Ja, denn ihr habt diesen großen
Auftrag: allen die Freude zu bezeugen, die aus der Freundschaft mit Christus
kommt."
„Ihr habt diesen großen
Auftrag: allen die Freude zu bezeugen, die aus der Freundschaft mit Christus
kommt“
Hintergrund
Das nachsynodale apostolische
Schreiben „Christus vivit“ vom 25.3.2019 hat Papst Franziskus nach der katholischen
Weltbischofssynode zur Jugend im Jahr 2018 veröffentlicht. Es ist ein mehr als
70-seitiges Dokument, das Ergebnisse der Synode zusammenfasst und ein breites
Bild der Situation junger Menschen weltweit bietet, sich aber auch direkt an
junge Menschen weltweit wendet und sie duzt. Für die Jugend-Synode 2018 hatte
Papst Franziskus die Vorgehensweise der Bischofssynoden geändert und junge
Menschen einbezogen, sowohl durch eine Vorbereitungsphase (Vorsynode) als auch
durch Umfragen, zudem konnten sie teilweise auch vor der Synode sprechen und
waren in den Arbeitsgruppen der Synode präsent. Ein Stimmrecht hatten sie aber
nicht. Für die aktuelle Synode zum Thema Synodalität hat der Papst das damals
begonnene neue Vorgehen noch weiter ausgebaut. Nun haben auch einige Laien
Stimmrecht. (vn 25.3.)
Bistum Augsburg. Laien können Begräbnis leiten
Im Bistum
Augsburg können künftig auch ungeweihte Theologen und Religionspädagogen
kirchliche Begräbnisfeiern leiten. Das aktuelle Amtsblatt der Diözese enthält
dazu eine Rahmenordnung.
Tote zu begraben und
Trauernde zu trösten sei eine Kernaufgabe der Seelsorge, heißt es darin.
Bischof Bertram Meier ermutigt alle Pfarrgemeinden, ihr besonderes Augenmerk
auf Sterbende und Trauernde zu legen.
Mit der Neuregelung reagiert
das Bistum auf die sinkende Zahl von Priestern und Diakonen. Es bestehe die
berechtigte Sorge, dass sie angesichts der vielen Beerdigungen nicht mehr
genügend Zeit und Kraft für einen würdigen Gottesdienst und nachgehende
Trauerseelsorge hätten.
Die Entscheidung, ob
ungeweihte hauptamtliche Kirchenmitarbeiterinnen und -mitarbeiter Begräbnisse
leiten sollen, bleibt den Pastoralteams um den Pfarrer und dem Pfarrgemeinderat
überlassen. Die entsprechend Beauftragten sollen für diesen Dienst noch einmal
eigens qualifiziert werden.
Ausweitung auf Ehrenamtliche
eventuell möglich
Die Rahmenordnung spricht von
bestimmten Situationen, in denen eine solche Beauftragung als notwendig anzusehen
ist. Sie nennt unter anderem eine sehr große Anzahl von Beerdigungen in einem
Seelsorgebezirk, Einschränkungen durch Alter und Krankheit beim zuständigen
Seelsorger sowie fehlende Sprachkenntnisse. Außerdem soll berücksichtigt
werden, wenn etwa Pastoral- und Gemeindereferenten als Klinik- und
Seniorenheimseelsorger Gemeindemitglieder im Sterbeprozess begleitet haben.
Das Bistum stellt außerdem
„für einen späteren Zeitpunkt“ eine Ausweitung des Dienstes auf Ehrenamtliche
in Aussicht, falls sich die neue Rahmenordnung in der Praxis bewährt und bei
den Gemeinden akzeptiert wird. In anderen deutschen Diözesen werden schon
länger auch ehrenamtliche Katholiken mit der Leitung von Begräbnisfeiern
beauftragt. (kna 24.3.)
Gemeinsame Presseerklärung des Heiligen Stuhls und der Deutschen Bischofskonferenz
Vertreter der Römischen Kurie
und der Deutschen Bischofskonferenz sind heute (22. März 2024) im Vatikan
zusammengetroffen, um den beim Ad-limina-Besuch der deutschen Bischöfe im
November 2022 begonnenen Dialog fortzusetzen, zu dem schon ein erster Austausch
am 26. Juli 2023 stattgefunden hat.
Die heutige Begegnung, die
sich über den gesamten Tag erstreckte, war von einer positiven und
konstruktiven Atmosphäre geprägt. Es konnten einige der in den Dokumenten des
Synodalen Weges der katholischen Kirche in Deutschland aufgeworfenen offenen
theologischen Fragen erörtert werden. Dabei wurden wie im Synthesebericht der
Weltsynode im Oktober 2023 Differenzen und Übereinstimmungen benannt. Es wurde
ein regelmäßiger Austausch zwischen den Vertretern der Deutschen
Bischofskonferenz und dem Heiligen Stuhl über die weitere Arbeit des Synodalen
Weges und des Synodalen Ausschusses vereinbart. Die deutschen Bischöfe haben
zugesagt, dass diese Arbeit dazu dient, konkrete Formen der Synodalität in der
Kirche in Deutschland zu entwickeln, die in Übereinstimmung mit der
Ekklesiologie des Zweiten Vatikanischen Konzils, den Vorgaben des Kirchenrechts
und den Ergebnissen der Weltsynode stehen und anschließend dem Heiligen Stuhl zur
Approbation vorgelegt werden. Beide Seiten haben sich für ein nächstes Treffen
vor der Sommerpause 2024 vereinbart.
Von Seiten der Römischen
Kurie nahmen die Kardinäle Victor Fernandéz, Kurt Koch, Pietro Parolin, Robert
F. Prevost OSA und Arthur Roche, sowie Erzbischof Filippo Iannone O.Carm. teil.
Seitens der Deutschen Bischofskonferenz waren die Bischöfe Georg Bätzing,
Stephan Ackermann, Michael Gerber, Peter Kohlgraf, Bertram Meier und
Franz-Josef Overbeck – als Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz und als
Vorsitzende der Bischöflichen Kommissionen für Liturgie, für Geistliche Berufe
und Kirchliche Dienste, für die Pastoral, für die Weltkirche und für den
Glauben – sowie die Generalsekretärin, Dr. Beate Gilles, und der Pressesprecher
der Deutschen Bischofskonferenz, Matthias Kopp, anwesend. Dbk 22.3.
Kirchenzeitungen kooperieren für neues Medienprojekt
Ab Ostern 2024 treten 14
katholische Kirchenzeitungen in eine redaktionelle Kooperation für
überregionale Berichterstattung ein. Die deutlich rückläufigen Auflagen der
Zeitungen sowie die steigenden Druck- und Personalkosten bilden die Motivation
für diesen Zusammenschluss.
In einem historischen Schritt
haben sich 14 katholische Verlage auf das bisher größte Kooperationsprojekt
kirchlicher Medien in Deutschland eingelassen. Ab Ostern 2024 wird ein neues
Magazin herausgebracht, das alle zwei Wochen erscheinen und die bisherigen
wöchentlichen Bistumszeitungen ersetzen soll. Diese Zusammenarbeit, die von den
Erzbistümern und Bistümern Berlin, Dresden-Meißen, Erfurt, Fulda, Görlitz,
Hamburg, Hildesheim, Limburg, Magdeburg, Mainz, München und Freising,
Osnabrück, Paderborn und Würzburg getragen wird, soll dazu beitragen, Kosten zu
senken und gleichzeitig ein hochwertiges Produkt für die rund 85.000 Lesern zu
liefern.
Förderung der regionalen und
digitalen Berichterstattung
Die Kooperation sieht vor,
dass ein gemeinsames Redaktionssystem eingesetzt wird, um die Produktion von
überregionalen Inhalten zu organisieren und bereitzustellen sowie den Druck des
Magazins zu koordinieren. Eine Zentralredaktion in Osnabrück wird die
Verwaltung aller drei Bereiche übernehmen. Da keine Einigung über einen
einheitlichen Titel erzielt wurde, sollen die bisherigen Namen der
Bistumszeitungen weitgehend beibehalten werden. Nur der überregionale Teil
innerhalb der jeweiligen Zeitungen soll unter einem gemeinsamen Titel
veröffentlicht werden.
Wie das Bistum Würzburg in
einer Mitteilung erklärt wird „der inhaltliche Schwerpunkt der Magazine
weiterhin der Blick auf das Geschehen in den jeweiligen (Erz-)Bistümern sein“.
Die Kooperation mit der Zentralredaktion zielt darauf ab, dass die
Regionalredaktionen sich stärker auf die regionale Berichterstattung
konzentrieren und ihr digitales Angebot ausbauen sollen.
Langfristige Perspektive
Stefan Eß, Direktor des
Münchner Medienhauses Sankt Michaelsbund, sagte der Katholischen
Nachrichten-Agentur (KNA), dass die Zusammenarbeit zunächst für drei Jahre
vereinbart wurde, aber mit der klaren Vision, dass sie darüber hinaus
fortgesetzt wird und weitere Partner hinzukommen könnten. „Inhaltlich soll das
neue Magazin einen konstruktiven Qualitäts-Journalismus bieten, der
lösungsorientiert die Fragen der heutigen Zeit behandelt und Brücken baut. Es
soll Impulse für ein Leben aus dem Glauben geben und Mut machen, aktiv die
Zukunft zu gestalten“, so der Direktor des Münchner Medienhauses.
(cna/kna/pm 22.3.)
EU-Bischöfe: Viele Krisen zu bewältigen - Wählen gehen!
Mehrere EU- Kirchenverbände haben
die Parteien vor der Europawahl aufgerufen, „in politischen Programmen und
Wahlkampagnen die christlichen Werte zu fördern" sowie gegen eine
„Instrumentalisierung von christlichen Werten zu politischen Zwecken und mit
dem Ziel ethno-rassistischer Erzählungen anzukämpfen." Stefanie Stahlhofen
- Vatikanstadt
Außerdem zeigen sich die
EU-Bischöfe besorgt angesichts der Auswirkungen von „Wirtschafts-,
Einwanderungs-, Gesundheits- und Energiekrisen in Europa und der Welt sowie der
„verheerenden Kriege." Das haben die Kommission der Bischofskonferenzen
der Europäischen Union (COMECE), die Konferenz Europäischer Kirchen (KEK) ,
die Interparlamentarische Versammlung für Orthodoxie (IAO) und die
christliche Initiative „Together for Europe" in einer diese Woche veröffentlichten
gemeinsamen Erklärung vor der Europawahl betont.
In einer begleitenden
Videobotschaft ruft der Präsident der COMECE, der italienische Bischof
Mariano Crociata, gerade auch angesichts der zahlreichen Krisen und Kriege
in Europa, eindringlich alle zur Wahlbeteiligung auf.
Hier Hören: Der Präsident der
COMECE, der italienische Bischof Mariano Crociata, ruft vor der Europawahl
eindringlich zur Stimmabgabe auf (Audio-Beitrag von Radio Vatikan)
„Die Europawahlen am 6. und
9. Juni sind für die Europäische Union und ihre Bürgerinnen und Bürger ein
wichtiger, vielleicht sogar entscheidender Moment des Übergangs. (...) Wir
haben diese gemeinsame Erklärung abgegeben, um unsere Sorgen angesichts dieses
Übergangsmoments der Europäischen Union und für die Zukunft der Europäischen
Union auszudrücken. Dies ist verbunden mit dem eindringlichen Aufruf, zur Wahl
zu gehen - nach dem eigenen Gewissen zu wählen - und vor allem jene Werte zu
suchen und zu verfolgen, die die Grundlage der Union bilden und die die Christen
als ihre eigenen und als die Wurzeln der Union selbst anerkennen", so der
COMECE-Präsident.
„Eindringlicher Aufruf, zur
Wahl zu gehen“
Instrumentalisierung von
Religion nicht dulden
Der italienische Bischof ruft
zudem alle auf, einer Instrumentalisierung der Religion und Fake-News die
Wahrheit entgegenzusetzen. Auch in ihrer Erklärung sind die EU-Kirchen hier
deutlich: „Einige werden von Angst getrieben und suchen in einer
objektivierten und instrumentalisierten Version der Tradition, die manchmal als
Ruf nach ,traditionellen Werten` getarnt ist, nach Lösungswegen und
spiritueller Unterstützung. Dabei werden die Konzepte von ,Heimat` und
,Religion` als Waffen missbraucht und bedenkliche historische Figuren zu Helden
hochstilisiert", heißt es im Text.
„Konzepte von ,Heimat` und
,Religion` als Waffen missbraucht“
Es gelte hingegen,
demokratische Werte sowie christliche Werte zu stärken. Alle Christen
mahnt Bischof Crociata dementsprechend auch in der Videobotschaft, sich
nicht nur bei der Wahl durch ihre Stimmabgabe für Europa einzusetzen:
Christen müssen über
Stimmabgabe hinaus für Europa aktiv sein
„Sie sollen sich nicht nur
bei den Wahlen engagieren, sondern vor allem als Bürger, sowie als Vertreter
verschiedener Institutionen, den größtmöglichen Dialog fördern. Es geht dabei
nicht nur darum, die eigenen Werte einzubringen, sondern das Wohl von ganz
Europa mit der Kraft dieser gemeinsamen Werte zu fördern," betont Bischof
Crociata.
Die Europwahlen im Juni
müssten genutzt werden, um ein geeinteres Europa zu schaffen, das sich
auch auf die christlichen Werte besinne. So werde es dann auch möglich sein,
Probleme zu überwinden, so der Präsident der COMECE, der italienische Bischof
Mariano Crociata in der Videobotschaft. (vn 22.3.)
Vatikan: Gespräch mit deutschen Bischöfen über Synodalen Weg
„Positive und konstruktive
Atmosphäre“: So sind an diesem Freitag lange Gespräche zwischen
Spitzenvertretern des Vatikans und der Deutschen Bischofskonferenz verlaufen.
Hier finden Sie die Erklärung, die beide Seiten am Freitagabend veröffentlicht
haben, im vollen Wortlaut.
„Vertreter der Römischen Kurie und der
Deutschen Bischofskonferenz sind heute (22. März 2024) im Vatikan
zusammengetroffen, um den beim Ad-limina-Besuch der deutschen Bischöfe im
November 2022 begonnenen Dialog fortzusetzen, zu dem schon ein erster Austausch
am 26. Juli 2023 stattgefunden hat.
Die heutige Begegnung, die
sich über den gesamten Tag erstreckte, war von einer positiven und
konstruktiven Atmosphäre geprägt. Es konnten einige der in den Dokumenten des
Synodalen Weges der katholischen Kirche in Deutschland aufgeworfenen offenen
theologischen Fragen erörtert werden. Dabei wurden wie im Synthesebericht der
Weltsynode im Oktober 2023 Differenzen und Übereinstimmungen benannt. Es wurde ein
regelmäßiger Austausch zwischen den Vertretern der Deutschen Bischofskonferenz
und dem Heiligen Stuhl über die weitere Arbeit des Synodalen Weges und des
Synodalen Ausschusses vereinbart. Die deutschen Bischöfe haben zugesagt, dass
diese Arbeit dazu dient, konkrete Formen der Synodalität in der Kirche in
Deutschland zu entwickeln, die in Übereinstimmung mit der Ekklesiologie des
Zweiten Vatikanischen Konzils, den Vorgaben des Kirchenrechts und den
Ergebnissen der Weltsynode stehen und anschließend dem Heiligen Stuhl zur
Approbation vorgelegt werden. Beide Seiten haben sich für ein nächstes Treffen
vor der Sommerpause 2024 vereinbart.
Regelmäßiger Austausch
vereinbart
Von Seiten der Römischen
Kurie nahmen die Kardinäle Victor Fernandéz, Kurt Koch, Pietro Parolin, Robert
F. Prevost OSA und Arthur Roche, sowie Erzbischof Filippo Iannone O.Carm. teil.
Seitens der Deutschen Bischofskonferenz waren die Bischöfe Georg Bätzing,
Stephan Ackermann, Michael Gerber, Peter Kohlgraf, Bertram Meier und
Franz-Josef Overbeck – als Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz und als
Vorsitzende der Bischöflichen Kommissionen für Liturgie, für Geistliche Berufe
und Kirchliche Dienste, für die Pastoral, für die Weltkirche und für den
Glauben – sowie die Generalsekretärin, Dr. Beate Gilles, und der Pressesprecher
der Deutschen Bischofskonferenz, Matthias Kopp, anwesend.“ (dbk 22.3.)
Kommission zu Priesterausbildung: Sexualität darf kein Tabu sein
Die unabhängige
Missbrauchs-Aufarbeitungskommission des Erzbistums Freiburg hat in einem neuen
Bericht Empfehlungen zur Prävention von sexueller Gewalt in der katholischen
Kirche vorgelegt. In dem Bericht wird betont, dass die Ausbildung katholischer
Priester dringend reformiert werden müsse. Auch ein offenes Reden über
Sexualität sei wichtig, um eine effektive Missbrauchsprävention zu ermöglichen.
Die Aufarbeitungskommission
kritisiert, dass Sexualität nach wie vor ein Tabu in der Priesterausbildung sei
und die aktuellen Ausbildungspraktiken nicht zeitgemäß seien. Insbesondere
würden die Themen Zölibat und Homosexualität nicht ausreichend
behandelt, heißt es in den „Empfehlungen zur Aufarbeitung sexuellen
Missbrauchs in der Erzdiözese Freiburg“, die am Mittwoch veröffentlicht wurden.
Der Freiburger Erzbischof Stephan Burger wird aufgefordert, das Thema
Homosexualität zu enttabuisieren und sicherzustellen, dass
Priesteramtskandidaten nicht gezwungen sind, ihre sexuelle Orientierung zu
verbergen. Generalvikar Christoph Neubrand erklärte in einem Statement zum
Bericht am Donnerstag: „Gemeinsam mit dem Erzbischof werde ich den Bericht
durcharbeiten und hoffe, dass er uns hilft, noch besser bei Aufarbeitung,
Prävention und Intervention zu werden". Er betonte zudem: Betroffene
müssten im Fokus stehen: „Kirche muss ein sicherer Ort für alle sein. Dafür
arbeiten wir.“
„Kirche muss ein sicherer Ort
für alle sein. Dafür arbeiten wir“
Die Aufarbeitungskommission
kritisiert in ihren Empfehlungen, Priester erhielten aktuell nicht die nötige
Unterstützung, um ihre eigenen Fragen und Probleme im Zusammenhang mit
Sexualität und Zölibat zu klären. Die mangelnde Offenheit beim Thema Sexualität
behindert laut den Empfehlungen nicht nur die Identifizierung problematischer
Präferenzkonstellationen, wie z.B. pädosexuellen Präferenzen bei angehenden
Priestern, sondern erschwert auch die Unterstützung von
Missbrauchsopfern. In monatelanger Arbeit haben die Expertinnen und
Experten unter Leitung des Freiburger Theologen Magnus Striet eine Liste von
Empfehlungen und Forderungen erarbeitet.
Kommission fordert umfassende
Reformen
Konkrete Maßnahmen, die die
Kommission vorschlägt, sind unter anderem die Einbeziehung erfahrener leitender
Pfarrer in die Auswahl und Ausbildung der Priesterkandidaten sowie die
Festlegung eines höheren Alters für die Priesterweihe, um eine reife
Entscheidung zu gewährleisten. Die Kommission aus Freiburg fordert eine
Neuausrichtung der Ausbildung angehender Priester. Konkret nennt die Kommission
hier eine offene Diskussion über Sexualität, die nicht nur theoretische
Aspekte, sondern auch die persönliche Entwicklung und Reflexion der
Priesterkandidaten einschließt. Zudem wird eine externe Kontrolle der
Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs gefordert, um sicherzustellen, dass die
Kirche transparent und verantwortungsvoll mit den Vorwürfen von Missbrauch
umgeht.
Zur Kommission
Die unabhängige
Aufarbeitungskommission zur Aufarbeitung sexuellen Missbrauchs in der
Erzdiözese Freiburg gibt es seit 2021. Grundlage ist eine entsprechende
Vereinbarung zwischen der Deutschen Bischofskonferenz und der Unabhängigen
Bundesbeauftragten für Fragen des sexuellen Kindesmissbrauchs (UBSKM). Die
Gruppe arbeitet unabhängig vom Erzbistum und setzt sich aus einem
multidisziplinären Team zusammen. Die Experten kommen aus den Bereichen
Medizin, Recht und Psychotherapie; auch Betroffenenvertreter gibt es. Das
Gremium besteht aus fünf Mitgliedern. Den Vorsitz hat der Freiburger
Fundamentaltheologe Magnus Striet. Ziel der Kommission ist es, die Aufarbeitung,
Prävention und Intervention in Fällen von sexuellem Missbrauch in der
katholischen Kirche zu verbessern und sicherzustellen, dass Fehler der
Vergangenheit nicht wiederholt werden. (kna/ faz/pm 21.3.)
Arbeitshilfe und Plakat zum Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreis 2024 veröffentlicht
Die Deutsche
Bischofskonferenz hat heute (21. März 2024) die Arbeitshilfe zum Preisbuch des
Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreises 2024 veröffentlicht. Darin
aufgeführt sind das Preisbuch sowie alle Titel der Empfehlungsliste, rezensiert
und mit hilfreichen Hinweisen für die Lektüre mit Kindern, Jugendlichen und
jungen Erwachsenen versehen. Themen wie Antisemitismus, Flucht,
Auseinandersetzung mit Tod und Krankheit sowie Freundschaft und Familie, Schöpfungsverantwortung
und Empowerment von Kindern und jungen Menschen werden in Formen von Bilder-
und Sachbuch oder als Roman altersgerecht vermittelt. Das Plakat zur
Empfehlungsliste ist im Format DIN A2 erhältlich.
Die Jury des Katholischen
Kinder- und Jugendbuchpreises zeichnet in diesem Jahr die österreichische
Illustratorin Linda Wolfsgruber für ihr Buch sieben. die schöpfung aus, das im
Tyrolia Verlag (Innsbruck) erschienen ist. Die Preisverleihung findet am 16.
Mai 2024 im Erbacher Hof in Mainz statt.
Hinweise: Die Arbeitshilfe
Katholischer Kinder- und Jugendbuchpreis 2024. Preisbuch 2024 und empfohlene
Bücher und das Plakat zur Empfehlungsliste (DIN A2) sind als PDF-Dateien zum
Herunterladen unter www.dbk.de in der Rubrik Publikationen verfügbar. Dort können
die Broschüre (Arbeitshilfen Nr. 341) und das Plakat auch bestellt werden. dbk
21.3.
Erzbischof Bentz: Reformen gemeinsam und geduldig angehen
Der neue Paderborner
Erzbischof ist zuversichtlich, dass Reformprojekte im gegenseitigen Dialog
weitergeführt werden können – wenn die dazu unternommenen Schritte teils auch
wie Verschleppungen erscheinen mögen. Bischof Bentz sprach im Interview mit dem
Podcast „Himmelklar“, das an diesem Mittwoch veröffentlicht wurde.
„Schleifen“ zu gehen, gehöre
zu guten Synodalen Prozessen dazu, seien sie doch ein Beweis dafür, dass man
zusammenbleiben wolle. „Das führt uns weiter“, so Erzbischof Bentz.
Generell sehe er seinen
Dienst als Erzbischof als den eines Brückenbauers auf lokaler wie
weltkirchlicher Ebene, zu vermitteln und zu verbinden: „Die erste Aufgabe eines
Bischofs ist es, zusammenzuhalten und zusammenzuführen, aber auch in einer
Weise, dass in dieser Einheit eine plurale Dynamik möglich ist“, meint Bentz,
der vor seiner Ernennung als Erzbischof von Paderborn fast neun Jahre lang
Weihbischof in Mainz war. Dazu wolle er durch Gespräch, Überzeugung und
konkrete Schritte beitragen, es gelte aber auch, „durch die Art, wie man diese
Schritte geht, zu vermitteln und zu verbinden“.
Hier das gesamte Interview im
Podcast Himmelklar zum Nachhören
Mit Blick auf die synodale
Dynamik in Orts- wie Weltkirche zeigt Erzbischof Bentz sich überzeugt, dass es
das brauche, was auch Papst Franziskus anmahne: Aufeinander zu hören, im
Gespräch zu bleiben und daraus Schritte zu gehen: „Wenn es dann Schritte gibt,
die nach außen zunächst einmal wie eine Schleife oder wie eine Verschleppung
wirken, dann gehört zu guten synodalen Prozessen mit dazu, dass man diese
Schleifen geht, weil man der Überzeugung ist, dass man zusammenbleiben will und
gemeinsam gehen will. Das führt uns weiter.“
Am Freitag wird eine Gruppe
von deutschen Bischöfen im Vatikan erwartet, um mit Vatikanvertretern über den
Synodalen Weg in Deutschland und daraus erwachsende, im Vatikan kritisch
beäugte, Reformprojekte wie den geplanten Synodalen Rat zu sprechen.
Synodaler Prozess braucht
manchmal länger
Es gehe darum, die
unterschiedlichen Dynamiken derart miteinander zu verbinden, dass man wisse,
dass man „gemeinsam unterwegs“ sei. Gleichzeitig für Reformen und als Verbindungsglied
zwischen Ortskirche und Vatikan für gegenseitiges Verständnis einzutreten, sehe
er nicht als „Gewissenskonflikt“, bekräftigt Erzbischof Bentz.
Positiver Schwung
Er freue sich über die positiven
Reaktionen nach seiner Ernennung zum Erzbischof von Paderborn am vergangenen 9.
Dezember, wisse aus seiner Zeit als Generalvikar und Weihbischof von Mainz
jedoch auch, wie schwer es manchmal sei, die Kirche in der Öffentlichkeit zu
repräsentieren: „Ich weiß, was es heißt, damit konfrontiert zu sein, wie Kirche
gesellschaftlich wahrgenommen wird.“
Er hoffe jedoch, bei seinem
Dienst von dem positiven anfänglichen Schwung zehren und damit auch
unausweichlich eintretende schwierige Phasen überwinden zu können. Im
Erzbistum, an dessen Spitze er letztlich berufen wurde, habe man sich im
Vorfeld „sehr genau“ Gedanken darüber gemacht, „was die Situation des
Erzbistums ist, was es braucht, wohin der Weg führt und wer derjenige sein
könnte, der es auf diesen Weg führt, mitgeht und begleitet.“
Auch er selbst habe sich
damit auseinandergesetzt, was das Erzbistum sich von ihm erwarte. Zu diesem Weg
geselle er sich nun mit seinem Erfahrungshorizont dazu. Bentz war am 10. März
in sein Amt als Erzbischof von Paderborn eingeführt worden. (himmelklar 20.3.)
Unter dem Motto „Generation
Z(ukunft): Gemeinsam. Verschieden. Gut.“ stellt die kommende Woche für das
Leben die Lebenswirklichkeiten Jugendlicher und junger Erwachsener mit
Behinderungen in den Mittelpunkt. Die Deutsche Bischofskonferenz hat dazu heute
(20. März 2024) in Verbindung mit dem Kirchenamt der Evangelischen Kirche in
Deutschland eine digitale Themenbroschüre veröffentlicht. Sie führt mit
Fachbeiträgen, Interviews und interaktiven Möglichkeiten in das Motto der Woche
für das Leben ein.
In der digitalen Broschüre,
die zusätzlich als barrierefreies PDF verfügbar ist, erzählt beispielsweise der
Vorsitzende des Bundesverbandes Caritas Behindertenhilfe und Psychiatrie,
Wolfgang Tyrychter, von den Wünschen und Hoffnungen von Kindern und
Jugendlichen mit Behinderungen und beschreibt Lösungen, mit denen Hürden auf
dem Weg zur Inklusion abgebaut werden können. Sebastian Müller von der
Katholischen Jugendfürsorge Regensburg gibt Einblicke, wie Leichte Sprache dazu
beitragen kann, Menschen mit Behinderungen eine bessere Teilhabe zu
ermöglichen. Außerdem berichten Teilnehmende eines Exerzitienprojekts für
Jugendliche mit und ohne Behinderungen in einem Videointerview von ihren
Erlebnissen und ihren daraus gewonnenen Erkenntnissen für eine inklusive
Zukunft.
Im Vorwort zur Broschüre
bekräftigen der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg
Bätzing, und die amtierende Ratsvorsitzende der Evangelischen Kirche in
Deutschland, Bischöfin Kirsten Fehrs: „Der Mensch als Ebenbild Gottes und eine
Kirche, die alle Glieder umfasst, die sich in dem einen Leib Christi vereinen,
bilden die Grundlage unseres Glaubens. So ist es unsere Aufgabe, jedem und
jeder eine umfassende gesellschaftliche Teilhabe zu ermöglichen. Und wenn die
Bedürfnisse, Sorgen und Wünsche junger Menschen mit Behinderungen in unserer
Gesellschaft nicht gesehen und berücksichtigt werden, ist es an uns, diese
sichtbar zu machen und mit all unserer Kraft für weniger Barrieren zu sorgen.“
Die ökumenische Woche für das
Leben findet vom 13. bis 20. April 2024 statt und beginnt mit einer
Auftaktveranstaltung am 13. April 2024 im Sankt Vincenzstift (Aulhausen) in
Rüdesheim am Rhein. Die katholische Einrichtung bietet Menschen mit
Behinderungen unter anderem verschiedene Wohnformen, Schulen, Werkstätten und
vieles mehr. In der Marien Kirche des Sankt Vincenzstifts, die bekannt ist für
ihre inklusive Kunst, werden Bischof Bätzing und Bischöfin Fehrs einen
ökumenischen Gottesdienst feiern. Im Rahmen der Auftaktveranstaltung wird es im
Anschluss ein Begegnungsfest auf dem Gelände des Stifts geben.
Hinweise: Über die
Internetseite www.woche-fuer-das-leben.de können Informationen und Materialien
zur Woche für das Leben kostenfrei bestellt werden. Verfügbar sind dort die
digitale Broschüre sowie ein barrierefreies PDF, ein Motivplakat in DIN A3
sowie verschiedene Sharepics, die für die Bewerbung der Veranstaltung in den
verschiedenen sozialen Medien verwendet werden können. Alle Materialien stehen
zum Herunterladen bereit. Eine Presseeinladung zur Medienakkreditierung für die
Eröffnung am 13. April 2024 folgt unmittelbar nach Ostern. Dbk 20.3.
Studie der Bertelsmann Stiftung: Religiöse Menschen sind solidarischer
Hamburg. Hilfsbereitschaft
wird in unserer Gesellschaft besonders von religiösen Menschen vorgelebt. Das
belegt der neue Religionsmonitor der Bertelsmann Stiftung, der der ZEIT exklusiv
vorab vorliegt. Überraschend ist vor allem die sehr hohe Gesamtzahl der
spendenbereiten Bürger - insgesamt 66 Prozent. Bei den religiös Gebundenen
liegt der Anteil derer, die im Jahr 2022 gespendet haben, mit rund 70 Prozent
jedoch deutlich über dem Anteil bei den Nichtreligiösen, von denen 59 Prozent
im gleichen Zeitraum spendeten. Dieser Unterschied ist bei anderen Themen noch
größer: So engagieren sich fast doppelt so viele Religiöse in einem Ehrenamt
wie Nichtreligiöse.
Die Leiterin des Religionsmonitors,
Yasemin El-Menouar, schreibt dazu in der aktuellen Ausgabe der Wochenzeitung
DIE ZEIT: „Wir sind solidarischer, als wir denken!“ Insgesamt sei die
Gesellschaft weit hilfsbereiter, als es aktuelle Debatten glauben machen.
„Dabei wirkt Religion als einer der wichtigsten positiven Faktoren. Man kann
sagen: Der Glaube fördert solidarisches Verhalten“, so El-Menouar.
Die neue Studie, die am
morgigen Donnerstag erscheint, basiert auf einer repräsentativen Befragung von
knapp 11.000 Menschen in Deutschland – sowie dem Vergleich mit sechs anderen
Ländern. Unter dem Titel „Ressourcen für Solidarität“ wird untersucht, wie
solidarisch die Deutschen sind – und welchen Unterschied Religion hierbei
macht. Weiter schreibt El-Menouar: „Für die meisten Menschen in Deutschland ist
es selbstverständlich, zu helfen, wenn andere in Not sind. Dabei machen sie
keinen großen Unterschied, ob es sich um Opfer einer Flutkatastrophe im eigenen
Land handelt oder um Opfer eines Erdbebens in weiter Ferne. Im Falle einer
Flutkatastrophe in Deutschland würden 73 Prozent der Bevölkerung spenden, im
Falle eines Erdbebens in einem Entwicklungsland immerhin 63 Prozent.“ Den
vollständigen Text finden Sie unter: ZEIT_2024_13_Studie Bertelsmann
Stiftung.pdf. Zeit 20.3. Hamburg, 20. März 2024 Bitte beachten Sie,
dass die Inhalte zur redaktionellen Berichterstattung bei Quellen-Nennungen
frei gegeben sind. Die Verwendung der Bilder ist ausgeschlossen. Der Artikel
ist zudem nur für Ihren persönlichen Gebrauch bestimmt und darf weder weiter
verbreitet noch zu öffentlichen Wiedergaben benutzt werden. Bei Rückfragen
wenden Sie sich bitte an DIE ZEIT Unternehmenskommunikation und Veranstaltungen
(Tel. 040/3280-237, E-Mail: presse@zeit.de). BS/dip 20.3.
Katholisches Auslandssekretariat digitalisiert historische Fotosammlung
Bilddatenbank gibt Einblicke
in eine mehr als 100jährige Geschichte
Das Katholische Auslandssekretariat
der Deutschen Bischofskonferenz (KAS) hat sein historisches Fotoarchiv
digitalisiert, das ab sofort als Online-Datenbank zur Verfügung steht. Seit
mehr als 100 Jahren koordiniert das KAS die deutschsprachige Seelsorge überall
auf der Welt. Das KAS unterstützt deutschsprachige Gemeinden und Pfarreien
zwischen Kapstadt und Kopenhagen, Sydney und Mexiko-Stadt bis heute finanziell,
personell und mit deutschsprachiger Literatur und pastoralen Impulsen.
Von Anfang an wurde in den
Auslandsgemeinden fotografiert. Der Bau von Kirchen, das Gemeindeleben, Feste
und der Alltag wurden auf Fotopapier festgehalten und die Ergebnisse zur
Dokumentation nach Bonn gesandt. Einige der Fotos wurden in der Zeitschrift der
Auslandsseelsorge veröffentlicht. Beginnend mit dem ältesten Foto aus dem Jahr
1873 ist so bis in die Gegenwart ein großes Fotoarchiv entstanden. Unzählige
Geschichten lassen sich anhand dieser Fotos erzählen: Geschichten über das
Leben der deutschen Minderheiten in Mittel- und Osteuropa vor dem Zweiten
Weltkrieg, Geschichten über die Auswanderung kompletter Dorfgemeinschaften,
Geschichten über das Ankommen und Heimischwerden in der neuen Umgebung, über
religiöse Bräuche und Traditionen und die Urbarmachung unwirtlicher Gegenden.
Die Fotos dokumentieren Feste wie Hochzeiten und Taufen, auch einige
Beerdigungen und den Bau neuer Kirchen für die deutschsprachigen
Gemeinschaften. Die Fotos im Archiv des KAS zeigen so die Geschichte der
Auswanderung aus deutschsprachigen Regionen seit dem 19. Jahrhundert bis heute,
sie sind Fenster in die Geschichte der deutschsprachigen Auslandsseelsorge.
Die Bildsammlung besteht
aktuell aus 12.931 Verzeichnungseinheiten (Einzelfotos und Fotoalben) aus der
Zeit zwischen 1873 und 1995, wobei die Fotos hauptsächlich aus den 1920er- bis
1960er-Jahren stammen. Dieser für die Kirchengeschichte einmalige Bestand hat
einen besonderen Wert, sodass das Historische Archiv des Erzbistums Köln die
Sammlung übernahm, die jetzt durch die Unterstützung der „Irene und Sigurd Greven
Stiftung“ vollständig digitalisiert werden konnte. Gleichzeitig bleiben die
wertvollen Bildoriginale mit den Beschriftungen der damaligen Zeit im Archiv
gesichert.
Zur heutigen
Online-Bereitstellung der Bilddatenbank erklärt der Leiter des KAS, Msgr. Peter
Lang: „Wir sind froh, dass dieser große Fotoschatz im Historischen Archiv des
Erzbistums Köln eine dauerhafte neue Heimat gefunden hat. Das Archiv
gewährleistet eine sichere Verwahrung und den dauerhaften Zugang für
Forscherinnen und Forscher. Der ‚Irene und Sigurd Greven Stiftung‘ sind wir
sehr dankbar, dass sie unsere Fotos mittels Digitalisierung einer breiten
Öffentlichkeit zugänglich gemacht hat. Für die Nachfahren der Auswanderer ist
nun der weltweite Zugriff auf die Fotos ihrer Vorfahren ohne großen Aufwand
digital möglich.“ Der Stiftungsvorstand der „Irene und Sigurd Greven Stiftung“,
Dr. Damian van Melis, betont: „Unser Online-Portal ‚Greven Archiv Digital‘
macht bedeutende Bildbestände für die Wissenschaft und die Öffentlichkeit
zugänglich. Wir freuen uns sehr über diese Sammlung, denn sie ist eine
hochinteressante Quelle für postkoloniale Studien. Weil sie auch Schattenseiten
zeigt, kann sie die notwendige kritische Aufarbeitung unterstützen.”
Die Entscheidung zur
Vollveröffentlichung als geschlossene, in der Form gewachsene Sammlung wurde
aus historischen Gründen für alle Objekte festgelegt, auch wenn dies den
Beteiligten – angesichts der heute im Vergleich zur damaligen Zeit teilweise
schwierigen Inhalte – nicht leicht fiel. Diese Aufarbeitung gehört inzwischen
zum festen Kanon aktueller wissenschaftlicher Forschung. Vor allem auch für
diese wichtigen Fragen stellen das Archiv als Einrichtung der
Forschungsförderung ebenso wie der Eigentümer, das KAS, die entsprechenden
Quellen verstärkt für die Forschung bereit.
Hinweise: Das Bildarchiv ist
auf www.grevenarchivdigital.de unter dem Suchbegriff „Katholisches
Auslandssekretariat“
(https://greven-archiv-digital.de/suche?q=Katholisches+Auslandssekretariat)
abrufbar oder unter diesem Kurzlink: https://bit.ly/3v13Rpi.
Dbk 19.3.
Autobiografie von Papst Franziskus nun offiziell im Handel
Die autobiografischen
Ausführungen von Papst Franziskus in Buchform sind an diesem Josefstag
offiziell im Handel. An diesem Dienstag feiert Franziskus auch den 11.
Jahrestag seiner Amtseinführung. Das Buch mit dem Titel „Leben - Meine
Geschichte in der Geschichte“ ist an diesem Dienstag in zunächst sieben
Sprachen weltweit im Verlag HarperCollins erschienen.
Es sei spannend zu sehen,
„wie Jorge Mario Bergoglio weltgeschichtliche Ereignisse mit der eigenen
Lebensgeschichte verknüpft“. So Jesuitenpater Andreas Batlogg gegenüber dem
Kölner Domradio. Batlogg hat das Buch gelesen.
Zum Nachhören - was
Jesuitenpater Andreas Batlogg sagt
Das rund 270 Seiten
umfassende Buch besteht im Kern aus der Aufzeichnung mehrerer Gespräche, die
der italienische Fernsehjournalist Fabio Marchese Ragona in den vergangenen
Monaten mit dem Papst führte. Zur Einführung der jeweiligen Antworten beschreibt
der Autor historische und private Begebenheiten aus dem Leben und rings um das
Leben des Papstes.
Aus dem Buch waren in der
vergangenen Woche bereits mehrere Passagen bekannt geworden, darunter
Ausführungen des Papstes zum Thema Krieg und Frieden, zum Antisemitismus sowie
Präzisierungen zu seinem Verhältnis zum zurückgetretenen Vorgänger Benedikt
XVI.
Viel Bekanntes, aber auch
neue Details
Daneben enthält es viel
bereits Bekanntes, aber auch neue Details; etwa zu seiner Unterstützung für
Menschen im Widerstand gegen die argentinische Militärdiktatur (1976 - 1983)
oder zu seiner „internen Verbannung“ durch die Jesuiten nach Cordoba (1990 -
1992), deren Gründe allerdings im Dunkeln bleiben.
Auch aus der Zeit der
„Kohabitation“ mit dem zurückgetretenen deutschen Papst Benedikt XVI. im
Vatikan berichtet der Papst in dem Buch und erwähnt, dass er Schriften und
Reden seines Vorgängers genau gelesen hat und ihm in vielem zustimmt. Zur Frage
nach einem möglichen Rücktritt betont er, dass er diesen nur in einer äußersten
gesundheitlichen Notlage für angebracht hielte. Zum Verhältnis zwischen dem
Papst und seinem emeritierten Vorgänger sagte Batlogg: „Ich glaube, es war von
Hochachtung und Respekt getragen. Ich glaube trotzdem, dass diese Kohabitation
in Weiß nicht so gelungen war, wie man meinte. Das ist eine starke Stelle im
Buch, als er sagt, sie wurden von Personen um Benedikt herum
instrumentalisiert. Sie wollten die beiden Päpste, den aktiven Papst und den
zurückgetretenen, gegeneinander in Stellung bringen.“
Zu der Einladung in sein
Heimatland Argentinien durch Präsident Javier Milei erklärt Franziskus in dem
Buch: „Ich hoffe, dass ich reisen kann, auch wenn mir das Reisen nicht mehr so
leichtfällt wie früher, vor allem wegen der großen Entfernungen. Wir werden
sehen, was der Herr für mich entscheidet.“
Zum Ukraine-Krieg sagt der
Papst in dem Buch: „So viel Schmerz, so viel Leid. Und wofür? Alles aus
imperialistischen Interessen oder einem mörderischen Zynismus heraus. Das ist
ungeheuerlich!“
Mitbruder Batlogg fügt noch
an: „Franziskus wird nach wie vor politisch, aber auch theologisch durchaus
unterschätzt. Er schätzt das Bild der Maria Knotenlöserin aus Augsburg. Ich
denke, er hat sich in vielen Krisen und auch Personalien als Knotenlöser
erwiesen. Er ist ein ganz anderer Typus als Benedikt XVI.“ (kna/domradio 19.3.)
Deutsche Bischofskonferenz veröffentlicht Rahmenordnung für Exerzitien
Bischof Gerber: Exerzitien
helfen, den Glauben zu vertiefen
Die Deutsche Bischofskonferenz
hat heute (18. März 2024) eine Rahmenordnung für Exerzitien unter dem Titel
„Suchet mein Angesicht“ (Ps 27,8). veröffentlicht. Die Kirche kennt seit
Jahrhunderten die geistliche Übung der Exerzitien. Sie stellen eine bewährte
Form des geistlichen Lebens zur Vertiefung der Beziehung zu Christus dar und
sind nach wie vor gefragt. In diesem sensiblen Feld seelsorgerlichen Handelns
bedarf es verbindlicher Standards für die Durchführung von öffentlichen
Exerzitien sowie für die Ausbildung von Exerzitienbegleiterinnen und
-begleitern.
Die Kommission für Geistliche
Berufe und Kirchliche Dienste der Deutschen Bischofskonferenz legt jetzt
erstmals eine Rahmenordnung vor, die die inhaltliche Qualität und fachliche
Zuverlässigkeit von Exerzitien gewährleisten und fördern soll. Sie ermöglicht
allen, die Exerzitien anbieten, die sie seitens der zuständigen kirchlichen
Aufsicht mitverantworten und die sich als Teilnehmende auf sie einlassen, einen
Orientierungsrahmen. Damit will sie nicht zuletzt dem Missbrauch geistlicher
Autorität, der in jüngster Zeit verstärkt ins Bewusstsein tritt, vorbeugen. Der
Vorsitzende der Kommission, Bischof Dr. Michael Gerber (Fulda), schreibt
dazu im Vorwort: „Exerzitien bieten günstige Rahmenbedingungen, um den Glauben
zu vertiefen und in der Kraft des Heiligen Geistes zu einer Erneuerung des
Lebens zu finden. Ihr Ziel ist es, geistlich zu reifen und in die Vertrautheit
mit Jesus Christus hineinzuwachsen. Sie stellen aber auch eine Intensivzeit
dar, die Gefährdungen ausgesetzt sein kann.“ Seelsorgende und Gläubige sind
eingeladen, sich mit den Haltungen, Kriterien und Erfordernissen zu
beschäftigen, die in dem Dokument beschrieben sind, nicht aus einer Hermeneutik
des Verdachts heraus, sondern in dem Anliegen, geistliches Wachstum zu fördern.
Bischof Dr. Gerber dankt der
„Arbeitsgemeinschaft der deutschen Diözesen für Exerzitien und Spiritualität“,
mit deren Unterstützung die Rahmenordnung erstellt wurde. „Ich wünsche allen
Menschen, die in diözesanen Einrichtungen, Orden oder geistlichen
Gemeinschaften Exerzitien machen, eine sie stärkende und ermutigende Zeit.
Allen Seelsorgerinnen und Seelsorgern, die Exerzitien anbieten, danke ich
herzlich für ihren wertvollen Dienst.“
Hinweis:
Das Dokument „Suchet mein
Angesicht“ (Ps 27,8). Rahmenordnung des kirchlichen Angebots von Exerzitien ist
unter www.dbk.de als PDF-Datei zum Herunterladen in der Rubrik Publikationen
verfügbar. Dort kann das Dokument auch als Broschüre (Die deutschen Bischöfe –
Kommission für Geistliche Berufe und Kirchliche Dienste Nr. 54) bestellt
werden. DBK 18.3