DE.IT.PRESS
Notiziario Religioso della comunità italiana in
Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso, ottobre 2025
All’Assemblea Onu l’appello della Santa Sede. Mons. “Solo nella giustizia
nasce la vera pace”
All’Assemblea generale dell’Onu, mons. Gallagher ha
rilanciato l’impegno della Santa Sede per la pace, proponendo di destinare
parte delle spese militari globali a un fondo contro la povertà. Forte il
richiamo al disarmo, alla libertà religiosa, alla giustizia sociale e alla
responsabilità condivisa di fronte alle crisi internazionali – di Maddalena
Maltese, da New York
In un intervento di poco meno di quindici minuti,
significativamente più breve rispetto all’ora sfiorata dal presidente Donald
Trump, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli
Stati e le Organizzazioni internazionali della Santa Sede, ha preso la parola a
nome della Santa Sede all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni
Unite. Un discorso denso, articolato in 19 temi, dal disarmo all’intelligenza
artificiale, alla cura del Creato, dei migranti, dei lavoratori e delle
famiglie, dove ha richiamato con forza la comunità internazionale a un
rinnovato impegno sui pilastri fondamentali della pace, della giustizia e della
verità.
“La pace sia con tutti voi. […] Una pace disarmata e
disarmante, umile e perseverante”: con queste parole, pronunciate da Leone XIV
all’indomani della sua elezione, mons. Gallagher ha aperto il suo intervento,
ricordando anche l’omaggio reso a Papa Francesco dopo la sua scomparsa lo
scorso aprile. Un tributo che ha segnato il tono di un discorso improntato alla
responsabilità condivisa e alla cooperazione multilaterale.
Il tema scelto per il dibattito generale, “Meglio
insieme: ottant’anni e più per la pace, lo sviluppo e i diritti umani”, ha
offerto al rappresentante vaticano l’occasione per riaffermare i valori
fondanti dell’Onu, in un momento storico in cui l’isolazionismo rischia di
generare instabilità e frammentazione. “L’unità promuove una resilienza
responsabile e un progresso condiviso”, ha sottolineato Gallagher, invitando le
Nazioni Unite ad adattarsi alle sfide emergenti, dal degrado ambientale alla
rivoluzione tecnologica.
Tra i passaggi più incisivi, la proposta della Santa Sede
di destinare una frazione delle spese militari globali – che nel 2024 hanno
raggiunto i 2.720 miliardi di dollari – a un fondo internazionale per
combattere la povertà, promuovere lo sviluppo sostenibile e affrontare il
cambiamento climatico. Un appello che si accompagna alla preoccupazione per il
disimpegno di alcuni Stati dai trattati sul disarmo e alla denuncia della
proliferazione nucleare: “Il possesso e l’uso di armi nucleari sono immorali e
devono essere considerati mezzi di guerra illegali”, ha ribadito Gallagher,
citando stime che parlano di oltre 12.000 testate nucleari nel mondo.
Il discorso ha toccato anche il tema del dialogo
interreligioso, in occasione del 60° anniversario della dichiarazione Nostra
Aetate. Gallagher ha ricordato come il dialogo non sia un semplice scambio di
idee, ma un cammino condiviso verso la giustizia e la pace, da tutelare contro
ogni interferenza autoritaria. “Difendere la libertà religiosa significa
difendere il diritto alla vita di ogni persona”, ha affermato, sottolineando
che non può esistere un opposto a questo diritto, neppure se mascherato da libertà.
Ampio spazio è stato dedicato alla giustizia sociale e
alla necessità di riformare i sistemi alimentari e commerciali, superando la
logica dello sfruttamento e promuovendo una distribuzione equa delle risorse.
In questo Anno giubilare, la Santa Sede ha rinnovato l’appello alle nazioni più
ricche affinché condonino i debiti dei Paesi che non potranno mai ripagarli:
“Più che una questione di generosità, si tratta di giustizia”, ha detto
Gallagher, evocando anche il concetto di “debito ecologico” tra Nord e Sud del
mondo.
Infine, l’arcivescovo ha ricordato la sofferenza di 13
Stati e aree geografiche, dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Congo ai Balcani,
da Haiti ai Caraibi, dall’Asia meridionale al Caucaso. Ogni crisi è stata
citata con rispetto per la resilienza dei popoli coinvolti e con l’invito a
esplorare soluzioni condivise.
“Solo in un contesto di giustizia si può sviluppare una
cultura autentica di pace”, ha concluso Gallagher, richiamando tutti a essere
artigiani di fraternità anche dentro il complesso multilateralismo delle
Nazioni Unite. Sir 30
5 ottobre: il giubileo dei migranti
Il Giubileo dei migranti e del mondo missionario porta a
Roma tanti pellegrini, ma anche un’evento di festa per tutta la città.
Il 5 ottobre, a partire dalle ore 14.30 sino alle ore
19.00, presso i Giardini di Castel Sant’Angelo più di 20 gruppi etnici
proporranno momenti di musica, danza, canto. Alle performance artistiche si
alterneranno testimonianze da diversi Paesi del mondo. Una festa organizzata
dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano Integrale e dall’Ufficio
Migrantes della diocesi di Roma, con il sostegno e la collaborazione della
Fondazione Migrantes e di tante realtà del mondo della pastorale dei migranti e
del mondo missionario.
“Un evento di gioia condivisa e di conoscenza reciproca
al quale siete caldamente invitati – ha scritto in una lettera alla diocesi di
Roma, il cardinale vicario Reina -. Una Festa dei Popoli a cui non mancare,
insieme alle Vostre Comunità!”.
Tra gli eventi giubilari collegati da
segnalare “COME PONTI SUL MONDO. Scelte di vita, racconti di missione”,
una mostra immersiva realizzata da Fondazione Migrantes e Museo
dell’emigrazione italiana (Mei) per rendere omaggio ai tanti missionari e alle
tante missionarie che hanno scelto di essere accanto e di accompagnare gli
emigranti italiani nel mondo. La voce narrante è di Massimo Wertmuller.
L’inaugurazione sarà giovedì 2 ottobre p.v. alle ore 11.00, a Roma, presso il
Salone del Commendatore (Complesso di Santo Spirito in Sassia, Borgo Santo
Spirito, 3). La mostra sarà visitabile dal 3 ottobre al 16 novembre – dalle ore
10 alle ore 18. Migr. On 29
“Per una Chiesa dal volto e dalla prassi mariana”
All’importante assise svoltasi ad inizio settembre a Roma
hanno partecipato oltre 600 mariologi, docenti, esperti e cultori della
materia, provenienti da tutto il mondo. I lavori hanno dimostrato che, sulla
scia del Concilio Vaticano II, l’approccio alla mariologia è interdisciplinare,
in quanto il mistero di Maria viene studiato all’interno del mistero di Cristo
e della Chiesa – di sr. Daniela Del Gaudio
Il 26° Congresso mariologico mariano internazionale della
Pontificia Accademia Mariana Internationalis si è svolto a Roma, dal 3 al 6
settembre, presso l’Auditorium Antonianum. L’importante assise ha visto la
partecipazione di oltre 600 mariologi, docenti, esperti e cultori della
materia, provenienti da tutto il mondo. Il tema scelto: “Giubileo e sinodalità:
una Chiesa dal volto e dalla prassi mariana” ha permesso di riflettere sul
futuro della mariologia in maniera dinamica e vivace, partendo dall’ascolto di
conferenze, tenute da esperti, come il delegato del Papa, cardinale Rolandas
Makrickas, i relatori: card. Mario Grech, p. Stefano Cecchin, presidente della
Pami; don Antonio Escudero, sr. Valerija Nedjeljka Kova?, Gloria Falcão Dodd,
Lúcia Pedrosa de Pádua, mons. Antonio Staglianò, sr. Daniela Del Gaudio, ma
anche di testimonianze, condivisioni, che sono diventate occasione di dibattito
nelle sessioni pomeridiane, divise per lingua e tematiche.
La scelta metodologica di riflettere su Giubileo e
sinodalità nella prospettiva mariana ha ottenuto diversi guadagni, dal punto di
vista teologico e pratico. In primo luogo, si è potuto ribadire il valore della
mariologia, all’interno degli studi teologici e della vita stessa della Chiesa,
come ha detto anche Leone XIV nel discorso di chiusura del congresso: “In
questo 26° Congresso vi siete domandati se una Chiesa dal volto mariano sia un
residuo del passato oppure una profezia di futuro, capace di scuotere le menti
e i cuori dall’abitudine e dal rimpianto di una “società cristiana” che non
esiste più”.
I lavori del congresso hanno dimostrato che, sulla scia
del Concilio Vaticano II, l’approccio alla mariologia è interdisciplinare, in
quanto il mistero di Maria viene studiato all’interno del mistero di Cristo e
della Chiesa. In quest’ottica la mariologia ha un valore di disciplina di
sintesi e di raccordo, contro i tentativi di relegarla a disciplina di
periferia, riservata ai devoti, o all’ambito della spiritualità, in quanto,
mediante la conoscenza della persona e il ruolo della Vergine Maria nel progetto
salvifico divino, si riesce a comprendere, in maniera più interessante e
appropriata, non solo i dogmi, ma anche la prassi ecclesiale, offrendo
prospettive nuove, che proprio l’esperienza della Vergine Madre di Dio sono
capaci di proporre.
La Theotokos indica la via, indica il centro,
l’essenziale della Chiesa, ossia Cristo Gesù, Signore, maestro e capo della
Chiesa, come possiamo contemplare nella pericope biblica della Pentecoste, non
a caso icona scelta da questo congresso. La presenza di Maria nel cenacolo
mostra la fede della Chiesa in Maria, in quanto la prima comunità si trova
riunita con Lei, come affermano gli Atti, perché incarna la fede del popolo di
Dio, per il suo fiat, che non è un atto individuale ma pronunciato a nome della
Chiesa, come afferma H. U. Von Balthasar, per cui la Chiesa nasce nel momento
stesso dell’Incarnazione, quando Maria concepisce il Christus totus, secondo il
pensiero di Sant’Agostino, ossia Cristo come uomo e Cristo come corpo mistico.
Uniti a Lui allora siamo uniti anche a Maria, Madre di Dio e madre nostra, come
insegna San Paolo nella Lettera ai Galati 4, 4-7: Gesù è nato da donna perché
potessimo diventare figli di Dio per mezzo di questa donna e dello Spirito
Santo.
“Ecco perché la Chiesa ha bisogno della mariologia – ha
affermato Leone XIV – ha bisogno che venga pensata e proposta nei centri
accademici, nei santuari e nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e
nei movimenti, negli istituti di vita consacrata; come pure nei luoghi dove si
forgiano le culture contemporanee, valorizzando le innumerevoli suggestioni
offerte dall’arte, dalla musica, dalla letteratura”.
E ribadendo l’importanza del tema scelto dal congresso,
ha spiegato che nel Giubileo e nella sinodalità la Pami ha individuato due
categorie bibliche e teologiche per dire in maniera efficace la vocazione e la
missione della Madre del Signore: “Come donna ‘giubilare’, Maria ci appare
capace sempre di ricominciare a partire dall’ascolto della Parola, secondo
l’atteggiamento così descritto da Sant’Agostino: ‘Ognuno ti consulta su ciò che
vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello
che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te
ode’ (Confessioni, X, 26). Come donna ‘sinodale’, ella è pienamente e
maternamente coinvolta nell’azione dello Spirito Santo, che chiama a camminare
insieme, come fratelli e sorelle, coloro che prima ritenevano di avere ragioni
per rimanere separati nella loro reciproca diffidenza e persino inimicizia (cfr
Mt 5,43-48). Una Chiesa dal cuore mariano custodisce e comprende sempre meglio
la gerarchia delle verità di fede, integrando ragione e affetto, corpo e anima,
universale e locale, persona e comunità, umanità e cosmo. È una Chiesa che non
rinuncia a porre a sé stessa, agli altri e a Dio domande scomode – ‘come
avverrà questo?’ (Lc 1,34) – e a percorrere le vie esigenti della fede e
dell’amore – ‘ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola’
(Lc 1,38) –. Una pietas e una prassi mariane orientate al servizio della
speranza e della consolazione liberano dal fatalismo, dalla superficialità e
dal fondamentalismo; esse prendono sul serio tutte le realtà umane, a partire
dagli ultimi e dagli scartati; esse concorrono a dare voce e dignità a quanti
vengono sacrificati sugli altari degli idoli antichi e nuovi. Poiché poi nella
vocazione della Madre del Signore è possibile leggere la vocazione della
Chiesa, la teologia mariana ha il compito di coltivare in tutto il popolo di
Dio in primo luogo la disponibilità a ‘ricominciare’ a partire da Dio, dalla
sua Parola e dalle necessità del prossimo, con umiltà e coraggio (cfr Lc
1,38-39); e inoltre il desiderio di camminare verso l’unità che sgorga dalla
Trinità, per testimoniare al mondo la bellezza della fede, la fecondità
dell’amore e la profezia della speranza che non delude. Contemplare il mistero
di Dio e della storia con lo sguardo interiore di Maria ci mette al riparo
dalle mistificazioni della propaganda, dell’ideologia e dell’informazione
malata, che mai sapranno portare una parola disarmata e disarmante, e ci apre
alla gratuità divina, che sola rende possibile il camminare insieme delle
persone, dei popoli e delle culture nella pace (cfr Lc 24,36.46-48). Ecco
perché la Chiesa ha bisogno della mariologia; ha bisogno che venga pensata e
proposta nei centri accademici, nei santuari e nelle comunità parrocchiali,
nelle associazioni e nei movimenti, negli istituti di vita consacrata; come
pure nei luoghi dove si forgiano le culture contemporanee, valorizzando le
innumerevoli suggestioni offerte dall’arte, dalla musica, dalla letteratura”.
Il congresso si è concluso con un momento di festa,
mostrando la dimensione mariana della prassi ecclesiale, con la testimonianza
di esperienze, buone pratiche e attività che, da anni, l’Accademia Mariana
promuove nel mondo per proporre l’immagine e il messaggio della Madre di Gesù
come via di incontro e di dialogo tra le culture. Quest’anno, per la prima
volta, è stato istituito anche il “Premio mariano internazionale Maria via di
pace tra le culture”, destinato ad artisti visivi (pittori, scultori, fotografi
e altri creatori visivi che esplorino, attraverso le loro opere, la bellezza e
la profondità del messaggio mariano) e musicisti (compositori e interpreti che,
con composizioni o performance, esprimano la devozione mariana combinando
tradizione e innovazione).
Nei prossimi anni la Pami è chiamata, quindi, ad
approfondire una mariologia non solo a livello sistematico, intellettuale, ma
anche spirituale e pratico, per trovare nell’esperienza di fede di Maria di
Nazareth i motivi per una prassi ecclesiale che superi ogni forma di
spiritualismo o intimismo, ma sia orientata alla pienezza della vita cristiana,
e sul piano culturale, antropologico, per scoprire, attraverso la sua persona,
gli elementi imperituri dell’antropologia cristiana, in un mondo che ha perso
ogni riferimento culturale con tematiche come la vita, la morte, l’identità
sessuale, la relazione fra uomo e donna, la vocazione cristiana, perché, come
afferma il presidente, p. Stefano Cecchin: “Noi partiamo sempre dalla fede
cattolica che ci dice che Maria è la madre di Dio, prima di tutto. Lei che ha
concepito il figlio di Dio che è entrato in una relazione fondamentale con la
Trinità. Questo per noi è il principio fondamentale che rende Maria una donna
che ha aperto la strada a Dio e che è entrata in una relazione fondamentale con
lui”. Quella che viene proposta è una visione che parte dai principi dogmatici
della fede ma capace di “ripresentare però anche la vera umanità di Maria. È la
gloriosa madre di Dio, esaltata Regina del cielo e della terra. Ma per arrivare
a quella realtà è stata una vera donna e quindi un modello per l’umanità”,
precisa il religioso francescano. Un’umanità di Maria con la quale ognuno può
dialogare: trovare in lei, così, risposte a domande, interrogativi. E a tal
proposito, Cecchin aggiunge: “Dobbiamo riscoprire una Maria amica, una Maria
compagna, una Maria che ha vissuto veramente, pienamente, la sua vita umana,
una Maria amica che cammina con te perché desidera — alle nozze di Cana abbiamo
l’esempio favoloso — che tu abbia il buon vino, immagine dell’amore, immagine
della realizzazione della tua vita”. Sir 29
“Custodire voci e volti umani”: il tema per la 60esima Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali
Reso noto il tema scelto da papa Leone XIV
Città del Vaticano. “Custodire voci e volti umani”,
questo il tema scelto da papa Leone XIV per la 60.ma Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2026. Lo ha reso noto la Sala
Stampa della Santa Sede nella mattinata di oggi.
Nel comunicato si legge: “Negli ecosistemi comunicativi
odierni, la tecnologia influenza le interazioni in modo mai conosciuto prima –
dagli algoritmi che selezionano i contenuti nei feed di notizie fino
all’intelligenza artificiale che redige interi testi e conversazioni. Il genere
umano ha oggi possibilità impensabili solo pochi anni fa”. Ma - precisa sempre
il comunicato - “sebbene questi strumenti offrano efficienza e ampia
portata, non possono sostituire le capacità unicamente umane di empatia, etica e
responsabilità morale”.
E continua: “La comunicazione pubblica richiede giudizio
umano, non solo schemi di dati. La sfida è garantire che sia l’umanità a
restare l’agente guida. Il futuro della comunicazione deve assicurare che le
macchine siano strumenti al servizio e al collegamento della vita umana, e non
forze che erodono la voce umana”. Il mondo di oggi presenta grandi opportunità
ma allo stesso tempo, precisa il comunicato “i rischi sono reali” perché
“l’intelligenza artificiale può generare contenuti accattivanti ma fuorvianti,
manipolatori e dannosi, replicare pregiudizi e stereotipi presenti nei dati di
addestramento, e amplificare la disinformazione simulando voci e volti umani”.
Inoltre “può anche invadere la privacy e l’intimità delle persone senza il loro
consenso”.
Da ciò, il testo diffuso oggi mette in guardia da
“un’eccessiva dipendenza dall’IA” che può indebolire “il pensiero critico e le
capacità creative, mentre il controllo monopolistico di questi sistemi solleva
preoccupazioni circa la centralizzazione del potere e le disuguaglianze”. Aci
29
Il peccato di omissione. XXVI Domenica del Tempo Ordinario
Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons.
Francesco Cavina - Di S. E. Mons. Francesco Cavina, Vescovo emerito di Carpi
Carpi. Oggi la Parola di Dio ci interpella duramente. Da
un lato il profeta Amos denuncia il benessere egoista, la ricchezza che
anestetizza il cuore, l’indifferenza per la sofferenza dei poveri. Dall’altro
Gesù, nel Vangelo di Luca, ci narra la parabola del ricco e di Lazzaro, due
vite parallele sulla terra, due destini opposti nell’eternità: per il povero
Lazzaro la felicità eterna, per il ricco la dannazione eterna. Non perché Dio
sia vendicativo o crudele, ma perché la vita — le nostre scelte — costruisce
già da ora il nostro destino eterno.
Il Profeta parla ad un popolo che si sente al sicuro
perchè protetto dalla propria prosperità. Vive nel lusso, nel piacere, dedito
alle feste e ai divertimenti. Ma…non si accorge della rovina che avanza, della
decadenza morale e spirituale della comunità e dell’ingiustizia che dilaga. E’
un popolo che vive come se Dio non esistesse e, pertanto, affida la propria
salvezza alla ricchezza e al potere, che generano egoismo, chiusura del cuore,
imprigionano l’anima e rendono sordi alla voce di Dio e dei fratelli.
Nel Vangelo Gesù ci parla di un uomo ricco e di un povero
di nome Lazzaro. Il ricco vive benissimo, sfoggia abiti preziosi, banchetta
ogni giorno. Lazzaro vive alla sua porta, in condizioni miserabili, bramoso del
cibo che cade dalla tavola, coperto di piaghe, ignorato. Quando muoiono le
sorti si invertono: Lazzaro è accolto nel seno di Abramo, il ricco è nei
tormenti. Vale la pena sottolineare che il ricco non ha commesso chissà quale
azione malvagia. Il suo peccato è l’omissione. Ha fatto finta di non vedere,
non si è reso disponibile ad ascoltare, ha chiuso il cuore alla presenza del
povero, al grido della giustizia, al richiamo della misericordia.
Amos, dunque, denuncia la decadenza di una società che ha
scelto di voltare le spalle a Dio — fonte di vita, di amore e di giustizia — e
vive come se Lui non esistesse. È una civiltà che, dimenticando il proprio
fondamento spirituale, si abbandona all’egoismo, all’immoralità,
all’ingiustizia e alla superficialità perchè non più in grado di riconoscere la
verità riguardo all’uomo. Gesù, dal canto suo, ci svela la tragedia di un’anima
che si chiude all’amore di Dio e, così facendo, scivola lentamente nell’indifferenza,
nell’omissione e in una sordità interiore che la rende incapace di ascoltare e
accogliere il bene.
Questa Parola non appartiene a un passato lontano: parla
a noi, oggi. Anche noi, spesso, viviamo dentro una bolla di benessere,
circondati da comodità, ma distratti, assorbiti da ritmi frenetici. E, proprio
come nella parabola, anche davanti alle nostre porte ci sono tanti
"Lazzaro": volti segnati dalla povertà non solo economica, ma anche
spirituale, affettiva, umana. La differenza non sta solo nell’essere ricchi o
poveri, ma nel saper vedere, nell’imparare ad ascoltare, nel non restare indifferenti.
E questo sguardo nuovo non nasce dallo sforzo morale, ma dalla fede: dal
tornare a Dio, che è sorgente di giustizia, di vita e di verità.Non servono
segni straordinari, né miracoli spettacolari. Abbiamo già tutto ciò che ci
occorre: la Parola di Dio che illumina il cammino, i Sacramenti che ci nutrono
e ci guariscono, Cristo stesso che si fa vicino. E abbiamo il tempo — oggi —
per aprire gli occhi, per convertire il cuore, per costruire, insieme, una
società più giusta, più umana, più capace di riflettere il volto di Dio. Aci 28
Celebrazione internazionale alla Mci di Kempten
Il 21 Settembre 2025, con inizio alle ore 10:30, ha avuto
luogo nella sala parrocchiale di St. Anton un importante incontro di diverse
comunità, durante il quale alcuni rappresentanti degli intervenuti hanno avuto
modo di presentare le proprie realtà. Presenti, oltre al Decano Bernhard Hesse,
il Parroco Sebastian Bucher, diversi Sacerdoti, tra cui il Rettore della
nostra Missione, Padre Bruno Zuchowski insieme ad alcuni Membri del Consiglio
Pastorale, tra cui i Coniugi Trovato e Figli, la Segretaria Pina Baiano, il Dr.
Fernando Grasso, il Signor Romano, la Signora Mangano ed altri.
Alle 11:30, poi. ha avuto inizio la suggestiva
Celebrazione internazionale, durante la quale diverse Letture e il Brano
Evangelico del giorno sono stati letti in più lingue. Molto accurata e
coinvolgente l'Omelia del Decano a commento del Brano Evangelico del Giorno,
delle Letture e della particolare occasione dell'incontro delle varie Chiese
presenti, e bellissimi e intonati alla giornata i canti che hanno
accompagnato la Funzione, tra cui quelli proposti dai Coniugi Trovato.
Dopo la S. Messa è seguito un lieto e variegato convivio
internazionale in parte anche nel cortile del Monastero, dato che si è
grigliato e che il fraterno appuntamento si è protratto per alcune ore.
Incontro durante il quale i partecipanti hanno fatto a gara a
condividere generosamente tra di loro le proprie prelibatezze.
Un riconoscente ringraziamento vada infine al Decano
Hesse, al Parroco, al Consiglio Parrocchiale, e ai loro collaboratori per la
loro disponibilità.
Fernando A. Grasso
Papa Leone XIV: "La vita di tutti può cambiare, perché Cristo è
risorto dai morti"
Il Pontefice: "Il Catechismo è lo strumento di
viaggio che ci ripara dall’individualismo e dalle discordie, perché attesta la
fede di tutta la Chiesa cattolica" - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. Proseguono le celebrazioni giubilari
presiedute da Papa Leone XIV: stamane in Piazza San Pietro il Pontefice ha
celebrato la Messa per il Giubileo dei Catechisti.
Commentando il Vangelo odierno Leone osserva: “Lazzaro
viene dimenticato da chi gli sta di fronte, eppure Dio gli è vicino e ricorda
il suo nome. L’uomo che vive nell’abbondanza, invece, è senza nome, perché
perde sé stesso, dimenticandosi del prossimo. I suoi beni non lo rendono
buono”.
Questa storia – denuncia il Papa – “è, purtroppo, molto
attuale. Alle porte dell’opulenza sta oggi la miseria di interi popoli, piagati
dalla guerra e dallo sfruttamento. Attraverso i secoli, nulla sembra essere
cambiato: quanti Lazzaro muoiono davanti all’ingordigia che scorda la
giustizia, al profitto che calpesta la carità, alla ricchezza cieca davanti al
dolore dei miseri! Eppure il Vangelo assicura che le sofferenze di Lazzaro
hanno un termine. Finiscono i suoi dolori come finiscono i bagordi del ricco, e
Dio fa giustizia verso entrambi”.
Dopo aver ricordato il dialogo tra il ricco e Abramo,
Leone XIV aggiunge: “Ascoltare Mosè e i Profeti significa fare memoria dei
comandamenti e delle promesse di Dio, la cui provvidenza non abbandona mai
nessuno. Il Vangelo ci annuncia che la vita di tutti può cambiare, perché
Cristo è risorto dai morti. Questo evento è la verità che ci salva: perciò va
conosciuta e annunciata, ma non basta. Va amata: è quest’amore che ci porta a
comprendere il Vangelo, perché ci trasforma aprendo il cuore alla parola di Dio
e al volto del prossimo”.
Rivolgendosi poi ai catechisti il Papa rileva: “voi siete
quei discepoli di Gesù, che ne diventano testimoni: il nome del ministero che
svolgete viene dal verbo greco kat?chein, che significa istruire a viva voce,
far risuonare. Ciò vuol dire che il catechista è persona di parola, una parola
che pronuncia con la propria vita. Perciò i primi catechisti sono i nostri
genitori, coloro che ci hanno parlato per primi e ci hanno insegnato a parlare.
Come abbiamo imparato la nostra lingua madre, così l’annuncio della fede non
può essere delegato ad altri, ma accade lì dove viviamo. Anzitutto nelle nostre
case, attorno alla tavola: quando c’è una voce, un gesto, un volto che porta a
Cristo, la famiglia sperimenta la bellezza del Vangelo”.
“Tutti – prosegue Papa Leone - siamo stati educati a
credere mediante la testimonianza di chi ha creduto prima di noi. I catechisti
ci accompagnano nella fede condividendo un cammino costante, come avete fatto
voi oggi, nel pellegrinaggio giubilare. Questa dinamica coinvolge tutta la
Chiesa: il Catechismo è lo strumento di viaggio che ci ripara
dall’individualismo e dalle discordie, perché attesta la fede di tutta la
Chiesa cattolica. Ogni fedele collabora alla sua opera pastorale ascoltando le
domande, condividendo le prove, servendo il desiderio di giustizia e di verità
che abita la coscienza umana.
“Ricordiamoci – conclude Leone XIV - che nessuno dà
quello che non ha. Se il ricco del Vangelo avesse avuto carità per Lazzaro,
avrebbe fatto del bene, oltre che al povero, anche a sé stesso. Se quell’uomo
senza nome avesse avuto fede, Dio lo avrebbe salvato da ogni tormento: è stato
l’attaccamento alle ricchezze mondane a togliergli la speranza del bene vero ed
eterno. Quando anche noi siamo tentati dall’ingordigia e dall’indifferenza, i
molti Lazzaro di oggi ci ricordano la parola di Gesù, diventando per noi una
catechesi ancora più efficace in questo Giubileo, che è per tutti tempo di
conversione e di perdono, di impegno per la giustizia e di ricerca sincera
della pace”.
Il Papa ha poi conferito il ministero di catechista ad
alcuni uomini e donne provenienti da ogni angolo del pianeta. Aci 28
Leone XIV: ai catechisti, “intuire è il fiuto dei piccoli per il Regno che
viene”
“Intuire è il fiuto dei piccoli per il Regno che viene”.
Lo ha detto Papa Leone XIV nell’udienza giubilare in piazza San Pietro,
dedicando la sua catechesi al tema “Sperare è intuire. Ambrogio di Milano”.
Rievocando l’elezione del santo vescovo, il Pontefice ha spiegato come “una
voce di bambino si alzò a gridare: ‘Ambrogio vescovo!’” e tutto il popolo si
unì alla richiesta. “Ambrogio non era nemmeno battezzato – ha raccontato – ma
il popolo intuisce qualcosa di profondo di quest’uomo e lo elegge”. Dopo un primo
rifiuto, Ambrogio “comprende che quella è una chiamata di Dio”, riceve il
battesimo e diventa vescovo. “Vedete che grande regalo fatto dai piccoli alla
Chiesa?”, ha detto il Papa. “Anche oggi questa è una grazia da chiedere:
diventare cristiani mentre si vive la chiamata ricevuta”. Ai catechisti ha
ricordato che “il popolo ha questo fiuto: capisce se stiamo diventando
cristiani o no. E ci può correggere, ci può indicare la direzione di Gesù”.
Concludendo, Leone XIV ha esortato: “Che il Giubileo ci aiuti a diventare
piccoli secondo il Vangelo per intuire e servire i sogni di Dio”.
“Dio è semplice e si rivela ai semplici”. Lo ha detto
Papa Leone XIV durante l’udienza giubilare in piazza San Pietro, rivolgendosi
ai catechisti e ai pellegrini presenti. Commentando il Vangelo di Luca, il
Pontefice ha riflettuto sul “sensus fidei”, definendolo “un ‘sesto senso’ delle
persone semplici per le cose di Dio”. “Il Giubileo ci rende pellegrini di
speranza – ha spiegato – perché intuiamo un grande bisogno di rinnovamento che
riguarda noi e tutta la terra”. Intuire, ha aggiunto, è “un movimento dello
spirito, una intelligenza del cuore che Gesù ha riscontrato soprattutto nei
piccoli, cioè nelle persone di animo umile”. Spesso, ha osservato, “le persone
dotte intuiscono poco, perché presumono di conoscere”, mentre i piccoli “hanno
ancora spazio nella mente e nel cuore, perché Dio si possa rivelare”. “Gesù
esulta di questo – ha proseguito – è pieno di gioia, perché si accorge che i
piccoli intuiscono”. Richiamando il magistero del Concilio Vaticano II, Leone
XIV ha sottolineato che “c’è un’infallibilità del popolo di Dio nel credere,
della quale l’infallibilità del Papa è espressione e servizio”. E ha concluso:
“Il popolo capisce se stiamo diventando cristiani o no. E ci può correggere, ci
può indicare la direzione di Gesù”.
“Insegnate a coltivare una relazione con Gesù. Il suo
amore ravvivi in tutti noi la speranza che non delude”. È l’invito rivolto in
inglese da Papa Leone XIV ai catechisti di tutto il mondo, durante i saluti ai
fedeli presenti in piazza San Pietro per l’udienza giubilare. “God bless you
all!”, ha concluso il Pontefice in inglese, salutando i pellegrini provenienti
da Inghilterra, Australia, Indonesia, Kuwait, Thailandia e Stati Uniti. In
lingua tedesca, il Papa ha richiamato l’esempio di sant’Ambrogio di Milano,
“che vi incoraggi a rispondere, con semplicità e disponibilità, alla chiamata
che ciascuno riceve in modo personale e a preparare la strada al Regno di Dio”.
Un’esortazione alla speranza anche nel saluto agli ispanofoni: “Chiediamo al
Signore di saper intuire la sua presenza nella nostra vita e, seguendo le sue
orme, di servire con generosità la Chiesa, irradiando speranza”. Ai pellegrini
di lingua portoghese, in particolare ai catechisti, Leone XIV ha augurato di
non perdere “il coraggio e la dedizione nell’annunciare la buona novella di
Gesù, in modo particolare ai bambini, affinché crescano intuendo che Dio li ama
e ha per loro grandi sogni”. Infine, salutando i polacchi giunti per il
Giubileo della Speranza, il Papa ha incoraggiato a “seminare il seme del
Vangelo nei cuori dei giovani”, affrontando con forza “le sfide difficili” e
“ascoltando il senso di fede del popolo di Dio”. Riccardo Benotti, sir 27
Giubileo dei catechisti, persone appassionate a Gesù”
“Persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, persone di
comunione e persone che sappiano accompagnare e davvero creare una relazione”,
l’identikit del catechista oggi secondo il responsabile del Servizio per la
catechesi dell’arcidiocesi di Milano – di Gigliola Alfaro
Mentre la Chiesa universale si appresta a vivere il
Giubileo dei catechisti, dal 26 al 28 settembre, la Chiesa di Milano ha già
vissuto questo momento a livello diocesano, il 13 settembre, con il titolo
“Battezzati, discepoli missionari”. Un incontro, presieduto dall’arcivescovo
Mario Delpini, molto partecipato. Di questo appuntamento, come delle sfide
della catechesi oggi parliamo con don Matteo Dal Santo, responsabile del
Servizio per la catechesi dell’arcidiocesi di Milano.
Com’è andato il Giubileo a livello diocesano?
È stato un incontro molto intenso. Alcuni gruppi
autonomamente parteciperanno al Giubileo dei catechisti a Roma, ma noi abbiamo
scelto anche di fare un momento diocesano per dare a più persone la possibilità
di vivere un’esperienza giubilare. Erano presenti circa 3.000 persone. Abbiamo
invitato tutti i catechisti: battesimali, di iniziazione cristiana, dei
cresimandi adulti, gli accompagnatori dei catecumeni e anche gli animatori dei
gruppi di ascolto della Parola di Dio. Si è creato un bel clima di preghiera.
Il nostro arcivescovo prima della celebrazione è passato a salutare tutti,
girando per il duomo, e mi ha colpito che diversi catechisti lo ringraziavano
per quel momento, che è stato vissuto proprio come esperienza di fede, di
Giubileo. Venivano un po’ da tutta la diocesi e la celebrazione è stata molto
sentita, molto partecipata. Dell’intervento dell’arcivescovo mi piace
sottolineare un passaggio nel quale ha detto che le parole di fiducia sono
quelle più necessarie: sono le parole di fiducia innanzitutto di Gesù nei
nostri confronti, per cui si è catechisti perché inviati, perché abbiamo
ricevuto una chiamata da parte del Signore. Oltre alle parole di fiducia del
Signore, ci sono anche le parole di fiducia che possiamo dirci tra di noi. Le
catechiste e i catechisti mi hanno anche dato questo ritorno di sentire la
fiducia dell’arcivescovo nei loro confronti. Questo tema della fiducia, delle
parole di fiducia che riceviamo dal Signore, ma anche che possiamo donarci tra
noi, è anche il tema del Giubileo: diventare pellegrini di speranza, portare
speranza e parole di fiducia.
Quanti catechisti ci sono in una diocesi grande come
Milano?
Non abbiamo un numero preciso, non abbiamo mai voluto
fare un censimento, posso darle una stima: potrebbero essere circa 10.000
catechisti e catechiste all’interno della nostra diocesi, che è grande: abbiamo
mille parrocchie, 5 milioni di abitanti. Mi piace notare soprattutto che sono
persone formate, molto generose e molto inserite nella comunità. Di solito la
presenza dei catechisti in una comunità è sempre molto preziosa, anche perché
la catechesi, l’iniziazione cristiana, con tutte le fatiche che ha in questo
tempo, genera comunità. È un luogo molto missionario: dove è vissuto bene,
permette di inserire nuove persone, di coinvolgere famiglie, di creare un
tessuto di comunità. A volte non ci accorgiamo che questo è un dono prezioso:
per il fatto che si fa un po’ fatica oggi nella catechesi c’è il rischio di
dire che chissà se serve, in realtà genera comunità.
Quali sono le difficoltà attuali per la catechesi? Come
si fa a parlare a bambini, adolescenti, adulti di Dio oggi?
Penso che la prima grossa difficoltà sia il
coinvolgimento delle famiglie, di conseguenza anche i bambini, i ragazzi sono
meno motivati, meno sostenuti, non perché le famiglie non siano interessate, ma
perché vivono nel nostro tempo che è un tempo molto pieno, molto faticoso,
abbiamo famiglie molto sotto pressione per il lavoro, per i tanti impegni,
quindi credo che ci sia questa fatica di fondo. A volte è difficile coinvolgere
le famiglie, anche se devo dire che laddove si trova una modalità a misura di
famiglia accogliente, bella, piacevole, che crea anche comunità e legami, le
famiglie ci stanno. Per quanto riguarda i ragazzi, ci sono molti altri stimoli,
tanti altri modi diversi di pensare, anche se devo dire che i bambini,
soprattutto nei primi anni di catechesi, sono curiosi. Il Vangelo interessa, è
una buona notizia, non per finta, quindi penso che anche qui la difficoltà è
trovare anche i modi con cui parlare del Vangelo. La terza difficoltà è più sul
nostro versante: a volte viviamo ancora una catechesi che è legata più alla
modalità della spiegazione, della lezione, mentre dobbiamo andare verso una
catechesi che sia una esperienza di vita cristiana, che è anche spiegazione,
contenuti, preghiere da imparare, ma è qualcosa di più ampio. Abbiamo vissuto
la formazione dei catechisti in questo periodo, di cui il Giubileo era il primo
appuntamento, sul tema della sensibilità e della corporeità nella catechesi.
L’idea è che una catechesi deve essere multisensoriale, anche un po’ più
esperienziale, perché la fede è un’esperienza e non perché è un modo per
catturare i bambini. L’altra difficoltà è che adesso le nostre comunità sono un
po’ più fragili, abbiamo meno catechisti, anche meno forze e meno proposte. Per
superare le difficoltà quando si è un po’ fragili, sia le famiglie sia le
comunità, possiamo camminare insieme e unire le forze e le risorse, non c’è uno
che deve dare e l’altro che deve ricevere. Si può far diventare questa
situazione un’occasione propizia per la diffusione del Vangelo.
Com’è organizzato il vostro Servizio di catechesi?
È organizzato in settori: c’è la sezione catechesi, che
si occupa appunto della catechesi di iniziazione cristiana, della catechesi
battesimale, della catechesi degli adulti; poi abbiamo la sezione del
catecumenato, quindi per i giovani adulti che chiedono di diventare cristiani;
infine, la sezione dell’apostolato biblico, quindi tutte le iniziative che
riguardano la lettura della Parola, la diffusione della conoscenza della
Bibbia, i gruppi di ascolto della Parola diffusi nelle parrocchie. Io sono il responsabile,
ci sono dei collaboratori e poi abbiamo tante équipe o tavoli di lavoro,
commissioni che ci aiutano, è un lavoro d’insieme, anche bello e molto ricco,
ovviamente coinvolgendo molto i laici.
Ci sono parecchi giovani che si avvicinano in età adulta
alla nostra fede? Penso anche ai molti stranieri che il vostro territorio
accoglie.
Numericamente sono leggermente in aumento, noi abbiamo
circa 100 persone in cammino ogni anno. Il catecumenato è un cammino di due
anni, quindi vuol dire che ogni anno ci sono circa 200 persone in cammino, con
il coinvolgimento di altrettante parrocchie. I catecumeni sono sempre più
giovani, il catecumenato tecnicamente è dai 18 anni in su, ma iniziamo ad avere
anche degli adolescenti e dei preadolescenti che chiedono di diventare
cristiani. Dei 100 catecumeni all’anno un terzo ha meno di 30 anni. L’altro dato
che ci colpisce è che metà di loro è nata in Italia, quindi c’è una presenza
ovviamente di stranieri abbastanza consistente, ma se negli anni passati la
maggior parte dei catecumeni era di origine straniera, in realtà adesso non è
più così: ci sono diverse persone che non hanno ricevuto il battesimo da
bambini perché i genitori hanno preferito che scegliessero da grandi, oppure
vengono da famiglie dove uno dei due genitori è di altra religione o di altra
cultura o magari è non credente, quindi a questo punto si è scelto di lasciare
la decisione a un’età più matura. È un cambiamento che non ci aspettavamo ed è
anche un segno, secondo me, che la Chiesa attrae, il Vangelo attrae.
Questi catecumeni iniziano ad affacciarsi nella comunità
cristiana prima ancora di iniziare il cammino, cioè esplorano, curiosano,
partecipano a delle messe, leggono il Vangelo, parlano con amici cristiani:
come diceva il nostro arcivescovo nel Giubileo, la nostra fiducia è sapere che
Dio attrae tutti a sé e questo è molto evidente nei catecumeni giovani e
adulti.
Avete un feedback di che cosa li avvicina, incuriosisce,
affascina?
Innanzitutto, ci sono delle domande di senso legate di
solito a esperienze di vita, che possono essere innanzitutto esperienze legate
all’amore. Alcune persone conoscono il cristianesimo perché vorrebbero sposarsi
o legarsi a una persona cristiana, quindi vengono a conoscenza del Vangelo e di
Gesù, questo non vuol dire che si battezzano per sposarsi, perché ci si può
sposare anche senza essere battezzati, con un rito di matrimonio tra un
battezzato e un non battezzato. La seconda dimensione è il dolore: tante
persone incontrano il Signore a partire da esperienze dolorose, da lutti. Il
terzo elemento che accende domande di senso è lo studio, soprattutto per gli
universitari, lo studio della filosofia, della scienza, della letteratura,
dell’arte. Importanti sono anche incontri con persone cristiane al momento
giusto, cioè quando si sono aperte delle domande di senso, che aprono un po’
alla ricerca. Questo ci dà una responsabilità: una luce si può accendere, ma
poi si può anche spegnere, se non c’è chi la raccoglie, chi l’ascolta, chi la
fa crescere.
Don Matteo, c’è un identikit del catechista del terzo
millennio, secondo lei?
Sicuramente persone appassionate a Gesù e alla Chiesa,
quindi che frequentano Gesù, attraverso la preghiera personale e la lettura
della Scrittura. Secondo, mi verrebbe da dire catechisti che lavorano insieme e
quindi che creano comunità attorno a sé, con i bambini, i ragazzi, le famiglie,
con la comunità in senso ampio, quindi persone di comunione. Il terzo elemento,
secondo me importante, persone che sappiano prendere il passo dell’altra
persona che accompagnano, perché quando accompagni una persona prendi il suo
ritmo, cerchi di entrare nel suo linguaggio, cerchi di capire il suo vissuto,
questo è ciò di cui la catechesi ha bisogno oggi, perché è esattamente il modo
con cui possiamo andare oltre la difficoltà dei linguaggi. A volte non troviamo
il linguaggio giusto perché non abbiamo la pazienza di imparare il linguaggio.
Un missionario che va in una terra di missione prima di tutto impara la lingua,
la cultura. Ecco,
noi abbiamo bisogno di persone appassionate a Gesù e alla
Chiesa, persone di comunione e persone che sappiano accompagnare e davvero
creare una reciprocità, una relazione.
La Quattro giorni comunità educanti, iniziata con il
Giubileo diocesano dei catechisti, che obiettivo ha avuto?
La scelta è stata proprio quella di sottolineare il tema
della corporeità e della sensibilità.
L’idea è stata di provare a esplorare come possa la
catechesi essere una catechesi più incarnata,
dentro il corpo ma anche dentro le esperienze di ragazzi,
come può essere quella dello sport, trovare linguaggi corporei espressivi che
fanno entrare nell’esperienza della fede. sir 27
Papa Leone: Il buon giornalismo è radicato nel Vangelo
Stamane, l'udienza con il Collegio degli Scrittori de
"La Civiltà Cattolica"- Di Antonio Tarallo
Città del Vaticano. Giornata particolare per il collegio
degli Scrittori della “La Civiltà Cattolica”, la storica rivista dei Gesuiti,
ricevuto in udienza stamane da papa Leone XIV. Il pontefice li ringrazia per il
“fedele e generoso servizio” alla Sede Apostolica. Parole di gratitudine e
stima per il loro lavoro che “ha contribuito – e continua a farlo – a rendere
la Chiesa presente nel mondo della cultura, in sintonia con gli insegnamenti
del Papa e con gli orientamenti della Santa Sede” così ha esordito nel suo
intervento.
Un incontro - come ha tenuto a precisare papa Leone XIV -
che “si svolge nel 175° anniversario di fondazione” della nota rivista.
“Qualcuno ha definito la vostra rivista “una finestra sul mondo”, apprezzandone
l’apertura, e davvero una sua caratteristica è quella di sapersi accostare
all’attualità senza temere di affrontarne le sfide e le contraddizioni” ha
continuato il papa. Poi, delinea “tre aree significative” dell’operato degli
scrittori de “La Civiltà Cattolica”: il primo, “educare le persone a un impegno
intelligente e fattivo nel mondo”; il secondo, “farsi voce degli ultimi” e,
infine, “essere annunciatori di speranza”.
Del primo aspetto - “educare le persone a un impegno
intelligente e fattivo nel mondo” - sottoliena che ciò che viene scritto
nella rivista “può aiutare i vostri lettori a comprendere meglio la società
complessa in cui viviamo, valutandone potenzialità e debolezze, nella ricerca
di quei “segni dei tempi” alla cui attenzione ci ha richiamato il Concilio
Vaticano II”. Questo metodo, sottolinea papa Leone XIV, mette in “grado di dare
apporti validi, anche a livello politico, su temi fondamentali come l’equità
sociale, la famiglia, l’istruzione, le nuove sfide tecnologiche, la
pace”.
Per il secondo punto - “farsi voce dei più poveri e degli
esclusi” - cita il predecessore, papa Francesco. Ricorda agli scrittori
della rivista le parole della Esortazione apostolica Evangelii gaudium del
pontefice argentino: “C’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli
ultimi, per quelli che la società scarta e getta via”. E per farsi portavoce
degli ultimi, papa Leone XIV sottolinea, allora, che bisogna avere “una grande
e umile capacità di ascoltare, di stare vicino a chi soffre, per riconoscere
nel suo grido silenzioso quello del Crocifisso che dice: «Ho sete»”.
Ultimo tema affrontato, essere messaggeri di speranza:
“Si tratta di opporsi all’indifferentismo di chi rimane insensibile agli altri
e al loro legittimo bisogno di futuro, come pure di vincere la delusione di chi
non crede più nella possibilità di intraprendere nuove vie, ma soprattutto di
ricordare e annunciare che per noi la speranza ultima è Cristo, nostra via. In
Lui e con Lui, sul nostro cammino non ci sono più vicoli ciechi, né realtà che,
per quanto dure e complicate, possano fermarci e impedirci di amare con fiducia
Dio e i fratelli” sottolinea papa Leone XIV nel suo discorso. E, ricordando
Benedetto XVI, “al di là di successi e fallimenti, io so che «la mia vita
personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile
dell’Amore», e perciò trovo ancora e sempre il coraggio di operare e di
proseguire”.
Infine, il pensiero ancora a papa Francesco che in
diverse occasioni aveva incoraggiato “a proseguire nel vostro lavoro con gioia,
mediante il buon giornalismo, che non aderisce ad altro schieramento se non a
quello del Vangelo, ascoltando tutte le voci e incarnando quella docile
mitezza che fa bene al cuore”. Delinea, in ultimo, la missione della rivista:
“Cogliere lo sguardo di Cristo sul mondo, coltivarlo, comunicarlo,
testimoniarlo”. Aci 25
Cei. Consiglio permanente: “Sia pace in Terra santa”
Il Consiglio permanente della Cei si è concluso a Gorizia
con una Nota per la pace in Terra Santa, firmata insieme ai vescovi di Slovenia
e Croazia. Il comunicato finale e la conferenza stampa di mons. Baturi. Di M.Michela Nicolais
“Da una terra di cicatrici, a cavallo e intorno ai due
conflitti mondiali, vogliamo pensare a tutti le cicatrici del mondo, pensando
che è possibile cambiare. Da questa linea di confine, abbiamo pensato a tutti i
confini, da questa realtà di incontro abbiamo pensato a tutte le possibilità di
incontro tra i popoli”. Così mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della
Cei ha sintetizzato sia il senso della “tre giorni” di lavoro a Gorizia, sia
quello della Nota diffusa oggi per invocare la pace in Terra Santa.
“Attraversare, ieri sera, quella piazza nel punto esatto dove passava un
confine tragico, che ha provocato 150 morti – il riferimento alla Veglia di
ieri sera in piazza Transalpina – ha significato che un mondo diverso è
possibile, perché la morte non può essere l’ultima parola”.
“Non possiamo restare in silenzio di fronte alla
drammatica escalation di violenza, al moltiplicarsi di atti di disumanità,
all’annientamento di città e di popoli”, l’appello lanciato dai vescovi
italiani nella Nota “Sia pace in Terra Santa”, diffusa a conclusione dei
lavori. In una terra di confine segnata da integrazione e dialogo, i presuli
hanno ribadito l’urgenza di promuovere la pace insieme ai vescovi di Slovenia e
Croazia, sottoscrivendo un documento congiunto che riafferma “la nonviolenza,
il dialogo, l’ascolto e l’incontro come metodo e stile di fraternità”.
“Chiediamo con forza che a Gaza cessi ogni forma di
violenza inaccettabile contro un intero popolo e che siano liberati gli
ostaggi”, l’appello, insieme a quello affinché “si rispetti il diritto
umanitario internazionale, ponendo fine all’esilio forzato della popolazione
palestinese, aggredita dall’offensiva dell’esercito israeliano e pressata da
Hamas”. Il documento ribadisce che “la prospettiva di ‘due popoli, due Stati’
resta la via per un futuro possibile” e invita il governo italiano e le
Istituzioni europee a fare tutto il possibile per il cessate il fuoco.
La Cei si unisce agli appelli della società civile e
accoglie l’invito di Papa Leone a “pregare, ogni giorno del prossimo mese, il
Rosario per la pace, personalmente, in famiglia e in comunità”. In particolare,
i vescovi esortano a partecipare, l’11 ottobre alle ore 18, alla Veglia del
Giubileo della spiritualità mariana in piazza San Pietro, occasione in cui si
ricorderà anche l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
“Rispetto ad un dramma di questo genere, nessuno può dire
di aver fatto il possibile”, ha detto Baturi rispondendo alle domande dei
giornalisti sull’appello al governo e all’Europa rivolto nella Nota a proposito
della situazione in Terra Santa. L’intenzione della Cei è “chiedere che si
faccia il possibile per ristabilire la legalità e dare una prospettiva di
stabilità, giustizia e libertà tra i due popoli, secondo la soluzione auspicata
dalla Santa Sede dei due popoli e due Stati. Che due popoli vivano in pace, in
due Stati è possibile, ma dentro un coinvolgimento della comunità
internazionale e all’interno del ripristino del diritto internazionale”. Quello
della Chiesa italiana, in altre parole, “è un atteggiamento per la pace
globale, non motivato da una situazione geopolitica: dove la gente soffre, deve
essere garantita una situazione di libertà. A Gaza ci sono sofferenze
ingiustificabili, intollerabili, inconcepibili: l’amore per l’uomo comporta la
denuncia di tutte quelle situazioni incompatibili con la dignità umana”. “La
mobilitazione della Chiesa italiana è già in atto”, ha aggiunto Baturi a
proposito del suo viaggio a Gerusalemme annunciato per prossimi giorni: “vado
per portare fraternità alla comunità cristiana che soffre, perché l’aiuto
possa essere per tutti, come fa la parrocchia di Gaza. Vado sapendo quanto
grande sia l’attenzione del popolo italiano per questa sofferenza e perché
questa sofferenza abbia termine”.
Il presule ha inoltre reso noto che i vescovi italiani
stanno preparando un documento “che in modo organico parli di educazione alla
pace”, con un’attenzione particolare ai giovani, e ha ricordato che il Cammino
sinodale della Chiesa italiana prosegue: il testo scaturito dal percorso delle
prime due assemblee “non è blindato e non c’è stata nessuna censura”, ha
precisato rispondendo alle domande dei giornalisti. Frutto di sei mesi di
lavoro condiviso tra la Presidenza della Cei, il Comitato del Cammino sinodale
e gli Organismi della Conferenza episcopale, raccoglie gli emendamenti emersi
nella seconda Assemblea sinodale e sarà consegnato nei prossimi giorni ai
delegati diocesani. “Il Cammino sinodale verrà chiuso dall’81ª Assemblea
generale (Assisi, 17-20 novembre 2025) con la ricezione del Documento di
sintesi. I vescovi hanno fissato le tappe successive fino alla 82ª Assemblea
(Roma, 25-28 maggio 2026), indicando la costituzione di un gruppo che elaborerà
delibere, priorità e prospettive pastorali.
“È sempre più evidente una frattura culturale e
antropologica profonda”. È quanto emerge dal comunicato finale del Cep. Tra i
segni di tale frattura, “la diffusione crescente della paura del diverso,
l’aumento dei suicidi tra gli adolescenti, la crisi dei legami sociali”, in un
quadro di “regressione spirituale globale” alimentata da consumismo
disumanizzante e comunicazione violenta. Per descrivere il degrado relazionale,
i vescovi parlano di “demenza digitale”, denunciando la perdita di memoria e di
relazioni autentiche. Il Consiglio permanente della Cei ha poi approvato il
programma dell’Assemblea generale straordinaria in programma ad Assisi dal 17
al 20 novembre e hanno dato il via libera al messaggio per la 48ª
Giornata per la vita (1° febbraio 2026), dal titolo “Prima i bambini!”.
Approvati anche i formulari liturgici per la memoria di Santa Teresa di
Calcutta e per la messa per la custodia della creazione, che saranno presentati
all’Assemblea di novembre, insieme all’indice tematico del documento sull’Insegnamento
della religione cattolica e allo schema del documento sull’educazione alla
pace. Ratificato infine l’aggiornamento della circolare sugli enti e beni Cei
del 2005.
Sir 24
Leone XIV: in ottobre il Rosario ogni giorno per la pace
Al termine dell'udienza di oggi, dedicata alla discesa di
Gesù agli inferi, il Papa ha lanciato un appello a pregare ogni giorno, nel
mese di ottobre, il Rosario per la pace e ha annunciato, a sorpresa, ai fedeli,
che lo presiederà insieme a loro l'11 ottobre in piazza San Pietro, alle 18 –
di M.Michela Nicolais
“Non c’è passato così rovinato, non c’è storia così
compromessa che non possa essere toccata dalla misericordia”. Perché gli inferi
“non sono soltanto la condizione di chi è morto, ma anche “l’ ’inferno
quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono, della fatica di
vivere”, da cui Gesù, con la sua discesa dopo la Pasqua, ci libera. Per lui,
non ci sono “anime prigioniere”, ma un popolo fatto “di persone rialzate, di
cuori perdonati, di lacrime asciugate”. Nella catechesi dell’udienza di oggi, Leone
XIV si è soffermato ancora una volta, come aveva fatto mercoledì scorso, sul
Sabato Santo, che nella concezione biblica “sono non tanto un luogo, quanto una
condizione esistenziale: quella condizione in cui la vita è depotenziata e
regnano il dolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli
altri”.
Al termine della catechesi, durante i saluti ai fedeli di
lingua italiana, l’appello a pregare ogni giorno il Rosario per la pace, nel
mese di ottobre, e l’annuncio a sorpresa ai fedeli: “La sera di sabato 11
ottobre, alle ore 18, lo faremo insieme qui in piazza San Pietro, nella Veglia
del Giubileo della spiritualità mariana, ricordando anche l’anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano “.
“Cristo ci raggiunge anche in questo abisso, varcando le
porte di questo regno di tenebra”, ha assicurato il Papa nella catechesi:
“Entra, per così dire, nella casa stessa della morte, per svuotarla, per
liberarne gli abitanti, prendendoli per mano ad uno ad uno”.
“Il Figlio di Dio si è addentrato nelle tenebre più fitte
per raggiungere anche l’ultimo dei suoi fratelli e sorelle, per portare anche
laggiù la sua luce”, ha spiegato Leone citando un testo apocrifo, il Vangelo di
Nicodemo, che manifesta “l’umiltà di un Dio che non si ferma davanti al nostro
peccato, che non si spaventa di fronte all’estremo rifiuto dell’essere umano”.
L’apostolo Pietro ci dice che Gesù, reso vivo nello Spirito Santo, andò a
portare l’annuncio di salvezza “anche alle anime prigioniere”. Per Leone, “è
una delle immagini più commoventi”: “In questo gesto ci sono tutta la forza e
la tenerezza dell’annuncio pasquale: la morte non è mai l’ultima parola”.
La discesa agli inferi “non riguarda solo il passato, ma
tocca la vitadi ciascuno di noi”, ha sintetizzato il Papa: Cristo entra nel
nostro inferno quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono,
della fatica di vivere, in tutte queste “realtà oscure”, per testimoniarci
l’amore del Padre: “Non per giudicare, ma per liberare. Non per colpevolizzare,
ma per salvare. Lo fa senza clamore, in punta di piedi, come chi entra in una
stanza d’ospedale per offrire conforto e aiuto”. “I Padri della Chiesa, in
pagine di straordinaria bellezza, hanno descritto questo momento come un
incontro: quello tra Cristo e Adamo”, ha ricordato il Pontefice: “Un incontro
che è simbolo di tutti gli incontri possibili tra Dio e l’uomo.
Il Signore scende là dove l’uomo si è nascosto per paura,
e lo chiama per nome, lo prende per mano, lo rialza, lo riporta alla luce. Lo
fa con piena autorità, ma anche con infinita dolcezza, come un padre con il
figlio che teme di non essere più amato”.
Nelle icone orientali della Risurrezione, Cristo è
raffigurato mentre sfonda le porte degli inferi e, tendendo le sue braccia,
afferra i polsi di Adamo ed Eva: “Non salva solo sé stesso, non torna alla vita
da solo, ma trascina con sé tutta l’umanità”, ha commentato: “Questa è la vera
gloria del Risorto: è potenza d’amore, è solidarietà di un Dio che non vuole
salvarsi senza di noi, ma solo con noi. Un Dio che non risorge se non
abbracciando le nostre miserie e rialzandoci in vista di una vita nuova”. Il Sabato
Santo è, allora, per il Papa, “il giorno in cui il cielo visita la terra più in
profondità”: “È il tempo in cui ogni angolo della storia umana viene toccato
dalla luce della Pasqua”.
“E se Cristo ha potuto scendere fino a lì, nulla può
essere escluso dalla sua redenzione”, ha garantito Leone: “Nemmeno le nostre
notti, nemmeno le nostre colpe più antiche, nemmeno i nostri legami spezzati”.
Tutto ciò perché, ha osservato Leone, “scendere, per Dio, non è una sconfitta,
ma il compimento del suo amore”: “Non è un fallimento, ma la via attraverso cui
egli mostra che nessun luogo è troppo lontano, nessun cuore troppo chiuso,
nessuna tomba troppo sigillata per il suo amore.
Questo ci consola, questo ci sostiene”. “E se a volte ci
sembra di toccare il fondo, ricordiamo: quello è il luogo da cui Dio è capace
di cominciare una nuova creazione”, ha concluso Leone XIV: “Una creazione fatta
di persone rialzate, di cuori perdonati, di lacrime asciugate. Il Sabato Santo
è l’abbraccio silenzioso con cui Cristo presenta tutta la creazione al Padre
per ricollocarla nel suo disegno di salvezza”. Sir 24
Recensione. "Sacre ossa. Storie di reliquie, santi e pellegrini"
Un saggio che si legge come un romanzo - Di Caterina
Maniaci
Roma. L’anno è l’828, anno sepolto nei secoli del
primo medioevo. Venezia è agli albori della sua storia millenaria, la grandezza
della Serenissima è ancora di là da venire. Ma l’ambizione di farla diventare
forte e potente nei suoi abitanti, discendenti di quei popoli in fuga al tempo
delle grandi invasioni barbariche dall’est e dal Nord, è molto forte. Bisogna
che la città nata sulle acque abbia un grande protettore, un santo sotto
il cui nome mettersi al riparo, e per farlo occorre avere le reliquie. Ossia
quel che rimane del corpo o di oggetti appartenuti a l futuro protettore. Ormai
tutti i luoghi che vogliono diventare conosciuti, a cominciare da chiese,
santuari, abbazie, mete di pellegrinaggi, di culto, possiedono
reliquie. Per averle si fa qualunque cosa si possono persino scatenare
guerre.
Bono da Malamocco e Rustico da Torcello, mercanti
temerari di Venezia, si trovano ad Alessandria d’Egitto, vengono a
conoscenza che i resti del corpo dell’evangelista Marco si trovano in
città. Desiderano assolutamente sottrarle ai musulmani, che governano
Alessandria. Sono pronti a tutto e così per sottrarre il corpo dell’evangelista
ricorrono ad un astuto stratagemma; per passare i controlli a cui sono
sottoposte le navi in partenza nascondono le reliquie sotto carne di maiali. I
controllori si ritraggono inorriditi da quelle carni immonde. E quel viaggio
verso la glorificazione di Venezia.
Che li accoglie a bracca aperte, come degli eroi. Il doge
Partecipazio dispone subito che venga eretta una chiesa, degna
dimora delle ossa del Santo. Con lo scorrere degli anni l'edifico di culto
diverrà la basilica di San Marco, conosciuta in tutto il mondo.
Una storia che si muove tra realtà e leggenda e che è una
delle vicende più conosciute che simboleggia l’importanza delle reliquie ,
soprattutto nel Medioevo, ma ancora oggi, infondo. Viaggio avventuroso, del
resto, anche per le spoglie di San Nicola. Nel 1087 sessantadue marinai
baresi riescono a portare via dalla Turchia le ossa del vescovo di
Mira per fare in modo che il culto di questo santo già allora molto
popolare possa fiorire proprio in terra barese. In questi 930 anni la reliquia
è stata a Bari e non è mai stata spostata; fino a qualche giorno fa quando una
costola del santo è stata invece trasportata per la venerazione a Mosca; gesto,
questo, frutto dello storico incontro tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco.
Reliquie trafugate, vendute, rubate, scambiate. A causa
della religiosità popolare, in primo luogo, ma anche per la
richiesta di riscatti. E così nei secoli, accanto alla distribuzione legale, e
assolutamente gratuita, di reliquie da parte della Chiesa, quando per esempio
si inaugura un santuario o una parrocchia, si è alimentato un mercato illegale
parallelo. Consapevole dell'importanza della pietà popolare, ma allo stesso
tempo preoccupata per i rischi di 'superstizione', la Chiesa cattolica
autorizza il culto delle reliquie regolamentando però nei dettagli questa
pratica.
La reliquia, che una volta riconosciuta come autentica
può essere venerata, esposta e trasportata in processione, può essere di prima,
seconda o terza classe. Reliquie di prima classe sono gli oggetti direttamente
associati ad eventi della vita di Cristo (parti della croce, chiodi della
crocifissione, frammenti della mangiatoia, ecc.) o resti sacri di santi. Di
seconda classe sono invece gli oggetti che il santo ha indossato e quelli che
abitualmente usava in vita. E' reliquia di terza classe infine qualsiasi
oggetto che sia entrato in contatto con le reliquie di prima classe. La
compravendita delle reliquie è considerata simonia, il furto è invece un
sacrilegio. Entrambi peccati gravissimi per la Chiesa.
Un saggio di recente pubblicazione, Ossa sacre,
di ci introduce in questo mondo straordinario, in cui è possibile
imbattersi nella polvere del mantello di san Martino, il dentino da latte di
Gesù Bambino, migliaia e migliaia di frammenti della Vera Croce recuperata da
sant’Elena.
L’autore, che è uno storico, descrive con perizia la
presenza di questi “oggetti” sacri, autentici, presunti, a volte chiaramente
falsi, un elenco quasi infinito di quanto nei secoli si
è conservato nei nostri santuari e nelle nostre chiese,
ci fa anche pensare alle altre innumerevoli storie a loro legate, in
un mondo fatto di viaggi avventurosi, raggiri, contese teologiche,
battaglie campali e rapporti di potere secolari. Protagonisti non solo
santi e uomini di Chiesa, ma anche sovrani, condottieri, donne straordinarie,
nobili e personaggi minori come pirati, ladri, abili millantatori e tanta
povera gente in buona fede. Dai palazzi imperiali, come quello di
Costantinopoli, alle rovine di Gerusalemme, dall’Italia alla Franca alla
Germania e in tutta Europa, da Oriente a Occidente, sarà affascinante ritrovare
le vie delle reliquie, fino ai nostri giorni, con i pellegrinaggi presso i più
grandi santuari del mondo (ricordiamo le file viste anche di recente
per vedere e pregare davanti ai resti di san Antonio nella basilica
di Padova), seguendo il bisogno di essere vicino ai santi, in qualche modo di
“toccarli”, di capire la loro umanità concreta e insieme la loro forza nella
fede, e sentirsi così di riflesso, più forti e saldi, nella speranza di un loro
aiuto, della loro intercessione e supplica verso l’Alto.
Federico Canaccini, Sacre ossa. Storie di reliquie, santi
e pellegrini, Laterza editore, pp.312, euro 19. aci 24
Oltre 300 esorcisti a convegno. Il Papa li incoraggia nel ministero di
liberazione
A Sacrofano si è svolto il XV Convegno internazionale
degli esorcisti, con oltre 300 partecipanti da tutti i continenti. Papa Leone
XIV ha inviato un messaggio di incoraggiamento, definendo il loro ministero
“opera di liberazione e consolazione”. Tra i temi affrontati: discernimento,
fenomeni occulti, dialogo con la scienza e nuove sfide spirituali legate alla
tecnologia – di Riccardo Benotti
“Apprezzamento per i sacerdoti che si dedicano al
delicato e quanto mai necessario ministero dell’esorcista, incoraggiandoli a
viverlo sia come ministero di liberazione che di consolazione, accompagnando i
fedeli realmente posseduti dal maligno con la preghiera e l’invocazione della
presenza efficace di Cristo, affinché mediante il sacramentale dell’esorcismo
il Signore conceda la vittoria su Satana”. Con queste parole Papa Leone XIV ha
aperto, con un messaggio augurale e la benedizione apostolica, il XV Convegno
internazionale dell’Associazione internazionale esorcisti (Aie), svoltosi dal
15 al 20 settembre a Sacrofano, presso la Casa di spiritualità “Fraterna
Domus”. Ai lavori hanno preso parte circa 300 sacerdoti esorcisti e ausiliari
provenienti da tutti i continenti. Mons. Karel Orlita, presidente dell’Aie ed
esorcista della diocesi di Brno in Repubblica Ceca, ha richiamato “la bellezza
della comunione ecclesiale in cui si colloca il ministero dell’esorcista,
vissuto saldamente radicato nel Vangelo” e ha ricordato l’approvazione
ufficiale il 25 marzo 2025 del nuovo Statuto dell’Aie da parte del Dicastero
per il clero come “segno di conferma e incoraggiamento alla missione
dell’Associazione che ha recentemente superato il migliaio di iscritti”.
Approfondimenti e relazioni
Le giornate di lavoro sono state scandite da celebrazioni
eucaristiche – presiedute dal card. Arthur Roche, dal card. Pietro Parolin e da
mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira – e da relazioni di approfondimento. Mons.
Aurelio García Macías, sottosegretario del Dicastero per il culto divino, ha
presentato il Rituale degli esorcismi, vissuto “nella consapevolezza della
centralità di Cristo, giacché nel rito è Lui la Chiesa e l’esorcismo è antica
celebrazione liturgica ‘in persona Christi’”. P. John Szada, psicologo e
psicoterapeuta, ha richiamato l’importanza di un discernimento che sappia unire
fede e criteri scientifici, “avvalendosi anche dei moderni criteri
diagnostici”. Mons. Rubens Miraglia Zani ha messo
in guardia dalle cosiddette “anime erranti”, “illusione
demoniaca che si avvale di manifestazioni spettrali il cui scopo è impedire un
corretto discernimento circa l’azione straordinaria del diavolo”.
P. Jean-Baptiste Vian ha analizzato i risvolti del vudù,
che culminano “in pratiche magiche, di adorcismo, di sottomissione e
consacrazione agli spiriti, cioè ai demoni, anche di minorenni e bambini”. Fra
Benigno Palilla ha affrontato “il tema del dialogo fra scienza e fede
nell’esorcismo”, mentre nella sua omelia il card. Parolin ha ricordato che
“servire nella Chiesa è ricevere un dono che va custodito e rinnovato
nell’umiltà”. Ai lavori pomeridiani ha preso parte anche mons. Renato
Tarantelli, vescovo ausiliare e vicegerente della diocesi di Roma, che ha
manifestato la sua attenzione verso il ministero e ha portato il saluto del
card. Baldo Reina, vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma.
Denunce e conclusioni
Negli interventi conclusivi p. Francesco Bamonte,
vicepresidente Aie e moderatore del convegno, ha denunciato i rischi pastorali
derivanti dall’affidarsi alla parapsicologia: “Dando credito alle infondatezze
della parapsicologia, è così accaduto che diversi sacerdoti hanno lasciato
irrisolte molte situazioni gravi, abbandonando nella sofferenza persone che
necessitavano dell’intervento dell’esorcista”. P. Andrés Esteban López Ruiz ha
analizzato la New Age, “movimento spirituale sincretico che propone un sistema
di credenze aperto dove l’uomo e il cosmo sono compresi all’interno di una
visione olistica e relativista”. Fra Mauro Billetta ha evidenziato l’utilità
dell’analisi differenziale per distinguere patologie e ossessione diabolica. La
criminologa Beatrice Ugolini ha spiegato come
l’intelligenza artificiale favorisca “la nascita di nuovi
strumenti magico-operativi, lo sviluppo di inedite tecniche di divinazione
grazie agli algoritmi che permettono la raccolta di dati personali, e persino
nuove forme di necromanzia e comunicazione coi defunti”.
Nella celebrazione conclusiva mons. Ferrada Moreira ha
espresso la gratitudine del Dicastero per il clero verso l’Aie “per il servizio
reso quotidianamente nella condivisione fraterna a beneficio di quanti sono
tribolati per opera del Maligno”. A nove anni dalla morte di don Gabriele
Amorth, fondatore e primo presidente, il convegno ha confermato l’attualità di
un ministero che la Chiesa considera necessario per sostenere i fedeli
tribolati dal maligno. Sir 23
Papa Leone XIV: “C’è bisogno di donne generose”
L'udienza stamane con le suore di Santa Caterina Vergine
e Martire, le salesiane missionarie di Maria Immacolata, delle suore di San
Paolo di Chartres e le carmelitane scalze di Terra Santa - Di Antonio Tarallo
Città del Vaticano. "Un tratto comune agli Istituti
a cui appartenete è il coraggio che ne ha caratterizzato gli inizi. Vorrei
perciò prendere spunto, per una breve riflessione, dal passo del libro dei
Proverbi che dice: «Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle
perle è il suo valore». Penso che le vostre storie offrano una risposta a tale
domanda: in esse, infatti, Dio ha trovato non una, ma molte donne forti e
coraggiose, che non esitato a correre rischi e ad affrontare problemi per
abbracciare i suoi progetti e rispondere “sì” alla sua chiamata”. Con queste
parole, papa Leone XIV ha salutato le Monache Carmelitane Scalze di Terra
Santa, le partecipanti ai Capitoli Generali delle Suore di Santa Caterina
Vergine e Martire, delle Salesiane Missionarie di Maria Immacolata e delle
Suore di San Paolo di Chartres, ricevute in udienza stamane.
Il papa si sofferma sulle fondatrici degli istituti
religiosi coinvolti nell'udienza di stamane. Le definisce “donne straordinarie
che sono partite in missione in tempi difficili; che si sono chinate sulle
miserie morali e materiali negli ambienti più abbandonati della società; che,
per stare vicino a chi era nel bisogno, hanno accettato di rischiare la vita,
fino a perderla, vittime di brutali violenze in tempi di guerra”.
Fa riferimento alla Liturgia delle ore, papa Leone XIV,
citando le parole dell' Hymnus Fortem virili pectore: Commune Sanctarum
Mulierum : “Hanno domato la carne con il digiuno, hanno nutrito la mente con il
dolce cibo della preghiera, si sono dissetate alle gioie del cielo”. Il
pontefice, allora, commenta questi versi che definisce "parole sapienti e
profonde, che richiamano le radici della vostra vita di consacrate, sia nella
contemplazione che nell'impegno apostolico. La forza della fedeltà, infatti, ad
ambo i livelli, viene dalla stessa sorgente, Cristo, ei mezzi per attingerne la
ricchezza sono, come insegna l'esperienza millenaria della Chiesa, quelli
nominati: l'ascesi, l'orazione, i Sacramenti, l'intimità con Dio, con la sua
Parola, con le cose del Cielo”.
E continua: "Il nostro lavoro è nelle mani del
Signore, e noi siamo solo strumenti piccoli e inadeguati, "servi
inutili", come dice il Vangelo. Eppure, se ci affidiamo a Lui, se restiamo
uniti a Lui, grandi cose succedono, proprio attraverso la nostra povertà".
Cita, a proposito, sant'Agostino che raccomandava alle vergini: "Avviatevi
alle altezze col piede dell'umiltà. Egli [Dio] porta in alto chi lo segue con
umiltà [...]. Affidate a Lui i doni che vi ha elargito, perché ve li conservi;
deponete presso di Lui la vostra forza". Cita anche san Giovanni Paolo II
che sempre sulla vita religiosa meditava sull' “ascendere al monte” e sul
“discendere dal monte” nella sua Esortazione Apostolica Vita consecrata del
1996.
Cita gli esempi di Regina Protmann, Maria Gertrude del
Prezioso Sangue, Marie-Anne de Tilly – col Padre Louis Chauvet – Santa Teresa
d'Avila, gli eremiti del Monte Carmelo: per papa Leone XIV sono queste tutte
persone “intimamente unite a Dio e perciò consacrate al suo servizio e al bene
di tutta la Chiesa, impegnate a radicare e consolidare negli animi dei fratelli
quel regno di Cristo che hanno sentito prima di tutto vivo in loro, ea
dilatarlo in ogni parte della terra”.
Infine, lo sguardo al presente: "Anche ai nostri
giorni, infatti, c'è bisogno di donne generose. In proposito, permettetemi di
rivolgere un particolare saluto alle sorelle Carmelitane Scalze di Terra Santa,
qui presenti: è importante ciò che state facendo, con la vostra presenza vigile
e silenziosa in luoghi purtroppo dilaniati dall'odio e dalla violenza, con la
vostra testimonianza di abbandono fiducioso in Dio, con la vostra costante
invocazione per la pace". aci 22
Missioni cattoliche di lingua italiana: “Essere chiesa oggi in Svizzera”
Il seminario vescovile di Bergamo ospiterà dal 20 al 23
ottobre 2025 un convegno di aggiornamento promosso dalle Missioni cattoliche di
lingua italiana in Svizzera, pensato per i missionari e gli operatori
pastorali, intorno al tema “Essere Chiesa oggi in Svizzera alla luce del nuovo
fenomeno migratorio. Opportunità e sfide per una pastorale di comunione e di
interculturalità”. Le iscrizioni devono pervenire entro lunedì 13 ottobre 2025.
In Svizzera attualmente vivono 650 mila italiani e circa
il 40% della popolazione cattolica proviene dalla migrazione. Questa
molteplicità di provenienza, di culture, di lingue, di tradizioni e di riti
liturgici apporta un colore tipico che è l’identità propria della Chiesa che è
in Svizzera. Con il documento “In cammino verso una pastorale
interculturale” la Conferenza dei Vescovi svizzeri (CVS) e la Conferenza
centrale cattolica romana (RKZ) hanno creato le basi per orientare questo
progetto.
Il convegno intende dare un contributo di riflessioni e
proposte per il futuro della Chiesa svizzera e delle comunità affidate alle
Missioni, sulla scia di quello che ha lasciato scritto papa Francesco
nell’enciclica Fratelli tutti: “C’è bisogno di una comunità che ci sostenga,
che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Come è
importante sognare insieme! … Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui
vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica
umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa
stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o
delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce”. (FT 8)
Dalle 16.30 di lunedì 20 ottobre prenderanno il via i
lavori, con gli interventi di mons. Pierpaolo Felicolo (direttore generale
della Fondazione Migrantes) e Isabel Vasquez (Migratio CES – Friburgo). Giovedì
23 chiusura del convegno, con la sintesi del moderatore e del coordinatore don
Egidio Todeschini. Mci ch 22
Il Giubileo dei migranti e la trappola del debito
Anticipazione | Il 4 e 5 ottobre la Giornata mondiale del
migrante e del rifugiato si celebra in concomitanza con il Giubileo dei
migranti. Una scelta di papa Leone, che incentra il suo messaggio sulle
disuguaglianze globali. Sulle quali grava sempre di più il “macigno del debito”
(1,8 trilioni in totale), come scrive p. Giulio Albanese nel Dossier
Immigrazione 2025
di Antonio Ricci, Vicepresidente di IDOS
Il 4 e 5 ottobre prossimi, per volontà del papa, la
Giornata mondiale del migrante e del rifugiato si celebra in via eccezionale in
concomitanza con il Giubileo dei migranti. Esprimendosi anche in relazione a
questo tema Leone XIV, fin dall’inizio del suo pontificato, ha già messo il
dito sulla piaga denunciando le disuguaglianze globali. Il papa ha invitato a
riflettere “su una possibile remissione del debito pubblico e del debito
ecologico”, rilanciando un tema già al centro del suo messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace. L’appello è diretto e senza giri di parole: costruire
ponti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, e farlo mettendo al centro giustizia
sociale, ecologica e ambientale.
È un richiamo che non nasce dal nulla, ma si innesta in
una riflessione critica maturata nel corso dei decenni. Come ricorda padre
Giulio Albanese nel suo contributo (Dal sogno dello sviluppo alla trappola del
debito: l’Africa nell’era della finanza speculativa) al Dossier statistico
immigrazione 2025, che sarà presentato a Roma il 4 novembre prossimo, alcune
intuizioni restano sorprendentemente attuali anche a distanza di decenni. Già
nel 1962, Raymond Aron avvertiva in Pace e guerra tra le nazioni che “l’ineguaglianza
tra le nazioni assumerà il ruolo della lotta di classe”. Oggi, guardando
all’Africa, agli sbarchi e ai muri eretti alle frontiere dell’Europa, quelle
parole suonano più profetiche che mai.
I dati lo confermano. Secondo le elaborazioni IDOS per il
Dossier 2025, i migranti nel mondo hanno raggiunto quota 304 milioni. Non
fuggono soltanto da guerre e catastrofi – che pure, solo nel 2024, hanno
costretto 65 milioni di persone alla fuga – ma anche da un divario economico e
simbolico reso ancora più insostenibile dalla globalizzazione. Il Nord del
pianeta, con appena 1,4 miliardi di abitanti (un sesto della popolazione
mondiale), concentra quasi la metà del Pil globale; il Sud, con 6,8 miliardi di
abitanti, deve spartirsi il restante 56%, con un Pil pro capite quattro volte
più basso (15.800 dollari contro i 62.800 del Nord).
Ecco perché, come sottolinea ancora padre Albanese, i
modelli di consumo planetari amplificano la percezione della distanza tra chi
ha e chi non ha. Non sorprende allora che – al di fuori delle migrazioni
forzate – molti migranti provengano non dai Paesi più poveri, ma da quelli
intrappolati in una “terra di mezzo” dello sviluppo.
Su questo scenario pesa come un macigno il nodo del
debito. I condoni promessi negli anni ’90 sono stati presto rimpiazzati da
nuovi prestiti privati, spesso più onerosi e speculativi. Risultato: solo
l’Africa paga oggi interessi fino a quattro volte superiori rispetto ai Paesi
ricchi, per un debito che sfiora i 1,8 trilioni di dollari. Un fardello che
soffoca welfare, infrastrutture e prospettive di futuro.
Dietro queste cifre si nasconde una realtà durissima:
economie fragili, schiacciate dalla finanza speculativa, costrette a svendere
risorse e a rinunciare a investimenti essenziali. Un meccanismo che alimenta
disuguaglianze, instabilità e, inevitabilmente, nuove migrazioni.
La Santa Sede lo ha detto chiaramente già nel 2018, nel
documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones: servono regole per fermare la
speculazione e riportare etica nella finanza globale. Una raccomandazione
semplice ma potente, che attraversa come un filo rosso l’intero Dossier: se non
affrontiamo le radici strutturali delle disuguaglianze, continueremo a
rincorrerne gli effetti senza mai toccarne le cause. È un monito che ritorna
pagina dopo pagina, che pervade analisi e testimonianze, e che ci costringe a
guardare in faccia la realtà: senza giustizia globale, non ci sarà mai pace
duratura. Idos 22
.
Papa Leone XIV: Non siamo padroni della nostra vita né dei beni di cui
godiamo
L'Angelus di oggi di papa Leone XIV. L'appello per la
pace a Gaza - Di Antonio Tarallo
Città del Vaticano. Una piazza festante accoglie papa
Leone XIV che dopo aver celebrato la Santa Messa di oggi nella parrocchia di
Sant'Anna in Vaticano , recita la preghiera mariana dell'Angelus con i
fedeli che sono giunti nella piazza del Bernini.
Papa Leone XIV per la sua meditazione comincia con il
Vangelo di oggi “che ci fa riflettere sull'uso dei beni materiali e, più in
generale, su come stiamo amministrando il bene più prezioso di tutti, che è la
nostra stessa vita”, così il pontefice.
E sulla figura dell'amministratore menzionato nella
parabola nel Vangelo spiega che si “tratta di un'immagine che ci comunica
qualcosa di importante: noi non siamo padroni della nostra vita né dei beni di
cui godiamo; tutto ci è stato dato in dono dal Signore e Lui ha affidato questo
patrimonio alla nostra cura, alla nostra libertà e responsabilità”. E ammonisce
che “un giorno saremo chiamati a rendere conto di come abbiamo amministrato noi
stessi, i nostri beni e le risorse della terra, sia davanti a Dio sia davanti
agli uomini, alla società e soprattutto a chi verrà dopo di noi”. Tratteggia,
allora, ancora meglio la figura sempre dell'amministratore che - per papa Leone
XIV - “ha cercato semplicemente il proprio guadagno” e, quando arriva il giorno
in cui deve rendere conto e l'amministrazione gli viene tolta, “deve pensare a
che cosa fare per il suo futuro”. Ed è in questo caso - in questa “situazione
difficile”, così la definisce il pontefice - che “egli comprende che non è
l'accumulo dei beni materiali il valore più importante, perché le ricchezze di
questo mondo passano”. E cosa fa, allora? Il pontefice continua nel suo
racconto: "Chiama i debitori e “taglia” i loro debiti, rinunciando quindi
alla parte che sarebbe spettata proprio a lui. In questo modo, perde la
ricchezza materiale ma guadagna degli amici, che saranno pronti ad aiutarlo e a
sostenerlo".
L'insegnamento di tutto ciò è che bisogna uscire dalla
“del proprio egoismo”. La parabola ci invita a porci una domanda che papa Leone
XIV condivide con i fedeli: “Come stiamo amministrando i beni materiali,
le risorse della terra e la nostra stessa vita che Dio ci ha affidato?”. E a
questo quesito, sempre il pontefice prospetta due alternative: o “possiamo
seguire il criterio dell'egoismo, mettendo la ricchezza al primo posto e
pensando solo a noi stessi”, oppure “possiamo riconoscere tutto ciò che abbiamo
come dono di Dio da amministrare, e utilizzare come strumento di condivisione,
per creare reti di amicizia e solidarietà, per edificare il bene, per costruire
un mondo più giusto, più equo e più fraterno” conclude il pontefice.
E dopo la recita dell'Angelus, il pensiero del papa è per
le associazioni che sostengono con aiuti umanitari il popolo di Gaza. In
merito, dice: "Apprezzo la vostra iniziativa e molte altre che in tutta la
Chiesa esprimono vicinanza ai fratelli e alle sorelle che soffrono in quella
terra martoriata. Con voi e con i pastori delle chiese in Terra Santa ripeto:
non c'è futuro basato sulla violenza, sull'esilio forzato, sulla vendetta. I
popoli hanno bisogno di pace chi li ama veramente lavora per la pace". aci
21
Papa Leone XIV: "Tanti Paesi e popoli hanno fame e sete di giustizia”
L'udienza in piazza San Pietro per il Giubileo degli
operatori di giustizia - Di Antonio Tarallo
Città del Vaticano. Piazza San Pietro è assolata. Sopra
la cupola michelangiolesca, un cielo terso. Risplende in tutta la sua bellezza.
Il colonnato del Bernini diviene così, ancora una volta, suggestiva cornice a
un evento che prima di oggi non è stato mai celebrato nella storia dei
Giubilei. La giornata di oggi è dedicata, infatti, agli Operatori di giustizia:
tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nel mondo della giustizia
laica, canonica, ecclesiastica, dello Stato della Città del Vaticano, della
Curia romana. Presenti giudici, pubblici ministeri, magistrati, avvocati,
operatori del diritto, personale amministrativo, con i loro famigliari. 100 le
nazioni conivolte. Una giornata che è iniziata alle 10,30 di stamane con il
saluto istituzionale di monsignor Fisichella, Pro-prefetto del Dicastero per
l’Evangelizzazione, che ha introdotto una Lectio di monsignor Juan Ignacio
Arrieta, Segretario del Dicastero per i Testi Legislativi, sul tema «Iustitia
Imago Dei: l’operatore di giustizia, strumento di speranza».
E il papa vuole essere presente a questo così particolare
Giubileo. E lo fa con un’udienza dedicata a loro, agli operatori di giustizia,
nella piazza berniniana: un’udienza giubilare che ha come tema fondamentale
proprio la giustizia nella sua applicazione. Arriva in piazza con un inconsueto
ritardo. L’udienza era prevista per le 12,00 mentre solo alle 12,22 entra la
papa-mobile in piazza: il papa è accolto da un accorato applauso. Saluta la
folla con in volto un grande sorriso che si apre ancora di più nel salutare
alcuni bambini che la gendarmeria vaticana gli presenta mentre l’automobile
papale fa il suo giro tra i corridoi della piazza.
“Il Giubileo ci rende tutti pellegrini che, nel
riscoprire i segni della speranza che non delude, vogliono «ritrovare la
fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni
interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di
ogni persona e nel rispetto del creato»”. Papa Leone XIV ricorda così le parole
della Bolla di indizione del Giubileo nell’introduzione al suo intervento. E
continua: “La giustizia, infatti, è chiamata a svolgere una funzione superiore
nell’umana convivenza, che non può essere ridotta alla nuda applicazione della
legge o all’operato dei giudici, né limitarsi agli aspetti procedurali”.
«Ami la giustizia e la malvagità detesti» cita il salmo
45. Un salmo che - secondo papa Leone XIV - ci ricorda “ciascuno di noi a fare
il bene ed evitare il male”. Parla di sete di giustizia che “è lo
strumento-cardine per edificare il bene comune in ogni società umana”: poiché
nella giustizia, infatti, “si coniugano la dignità della persona, il suo
rapporto con l’altro e la dimensione della comunità fatta di convivenza,
strutture e regole comuni. Una circolarità della relazione sociale che pone al
centro il valore di ogni essere umano, da preservare mediante la giustizia di
fronte alle diverse forme di conflitto che possono sorgere nell’agire
individuale, o nella perdita di senso comune che può coinvolgere anche gli
apparati e le strutture”, così continua il pontefice.
Va alla radice del termine, papa Leone XIV: “La giustizia
è, anzitutto, una virtù, vale a dire, un atteggiamento fermo e stabile che
ordina la nostra condotta secondo la ragione e la fede” ricorda il papa. E
aggiunge che “la virtù della giustizia, in particolare, consiste nella costante
e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto”. In questo
contesto, allora, per il credente - secondo papa Leone XIV - “la giustizia
dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane
l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune”,
ricordando il Catechismo della Chiesa cattolica ai presenti. Papa Leone XIV
ricorda, allora, che uno dei più importanti obiettivi della giustizia è quello
di essere “garante di un ordine a tutela del debole, di colui che chiede
giustizia perché vittima di oppressione, escluso o ignorato”.
Il pontefice elenca, allora, alcuni episodi evangelici:
si alternano nelle sue parole il Vangelo di Luca (l’insistenza della vedova che
induce il giudice a ritrovare il senso del giusto); cita il Vangelo di Matteo
(per la giusta paga dell’operaio). E ancora, sempre il Vangelo di Matteo
nel perdonare “non sette volte, ma settanta volte sette”.
Continua, poi, il pontefice: “La giustizia evangelica,
quindi, non distoglie da quella umana, ma la interroga e ridisegna: la provoca
ad andare sempre oltre, perché la spinge verso la ricerca della
riconciliazione”. E sottolinea che “il male, infatti, non va soltanto
sanzionato, ma riparato, e a tale scopo è necessario uno sguardo profondo verso
il bene delle persone e il bene comune”. Un compito che papa Leone XIV
definisce “arduo”, ma “non impossibile per chi, cosciente di svolgere un
servizio più esigente di altri, si impegna a tenere una condotta di vita
irreprensibile”.
La giustizia, quindi, per il pontefice deve tendere
“verso gli altri, quando a ciascuno è reso quanto gli è dovuto”. Deve
raggiungere “l’uguaglianza nella dignità e nelle opportunità fra gli esseri
umani”. Allo stesso tempo, papa Leone XIV è consapevole tuttavia “che
l’effettiva uguaglianza non è quella formale di fronte alla legge. Questa
uguaglianza, pur essendo una condizione indispensabile per il corretto
esercizio della giustizia, non elimina il fatto che vi sono crescenti
discriminazioni che hanno come primo effetto proprio il mancato accesso alla
giustizia”. Ma qual è, allora, la “vera uguaglianza”? Il pontefice
risponde: “La possibilità data a tutti di realizzare le proprie
aspirazioni e di vedere i diritti inerenti alla propria dignità garantiti da un
sistema di valori comuni e condivisi, capaci di ispirare norme e leggi su cui
fondare il funzionamento delle istituzioni”.
Agli operatori di giustizia spetta il compito della
“ricerca o il recupero dei valori dimenticati nella convivenza”. Una ricerca,
un recupero che implica un “processo utile e doveroso”, soprattutto davanti
“all’affermarsi di comportamenti e strategie che mostrano disprezzo per la vita
umana sin dal suo primo manifestarsi” e che “negano diritti basilari per
l’esistenza personale e non rispettano la coscienza da cui scaturiscono le
libertà. Proprio attraverso i valori posti alla base del vivere sociale, la giustizia
assume il suo ruolo centrale per la convivenza delle persone e delle comunità
umane” tiene a precisare il papa. Aci 20
“Dio è nell’algoritmo”, così i giovani riscoprono la chiesa sui social
media
La Chiesa Cattolica, spesso percepita come un’istituzione
in declino e segnata dagli scandali di abusi sessuali, sta vivendo una
rinascita inattesa. E, questa nuova linfa arriva dalla Generazione Z. Per
questi giovani, la cui vita online è ormai parte integrata di quella offline,
il rinnovato interesse per la fede è in parte merito del crescente numero di
personalità cattoliche sui social media: sacerdoti e laici predicano, creano
meme e trasmettono in live streaming, influenzando adolescenti e giovani adulti.
La Francia epicentro della “nuova fede”
La Francia ha visto la partecipazione ai riti religiosi
scendere tra il 2 e il 5% della popolazione. Ma negli ultimi anni è diventata
un vero e proprio “hotspot” per questa svolta giovanile verso Dio. I dati della
Chiesa Cattolica francese rivelano che i battesimi tra i 18 e i 25 anni sono
più che quadruplicati negli ultimi quattro anni, mentre i battesimi di adulti
nel complesso sono aumentati di oltre il 160% nell’ultimo decennio. La Pasqua
del 2025 ha segnato un record con 17.800 battesimi di adulti, un aumento del
45% rispetto all’anno precedente.
Suor Albertine Debacker, una “influencer” cattolica di 29
anni, intervistata dalla Cnn, si è detta sorpresa da questo cambiamento,
ricordando: “A un certo punto, pensavo che fosse davvero una cosa da nonne”.
Ora, con 334.000 follower su Instagram e 202.000 su TikTok , è diventata una
delle figure più importanti nel mondo cattolico online in Francia.
Suore e sacerdoti “digitali”: la fede a portata di click
“Quello che sta succedendo tra i giovani è che hanno
iniziato a parlarne tra loro. La religione non è un argomento tabù,” ha
affermato Suor Albertine. I suoi canali social sono un punto di riferimento per
chi vuole approfondire la fede cattolica, offrendo preghiere (il suo video di
preghiere per gli esami ha raggiunto 2,3 milioni di visualizzazioni), consigli
di vita, indicazioni su come diventare suora o battezzarsi, e spiegazioni degli
insegnamenti chiave cattolici. Tra i suoi contenuti, si trovano video su “Come
perdonare”, “Il denaro nella Chiesa” e “3 consigli per iniziare a leggere la
Bibbia”.
Ma il fenomeno non si limita solo alla Francia.
L’entusiasmo giovanile per la religione si riflette anche altrove in Europa: in
Belgio, i battesimi di adolescenti e adulti sono quasi triplicati in dieci
anni. A Dublino, quasi il doppio degli adulti è stato battezzato a Pasqua
rispetto all’anno precedente, molti dei quali giovani immigrati. Anche negli
Stati Uniti, dove i numeri dei praticanti sono tradizionalmente più alti, uno
studio del Pew Research Center ha indicato che il declino della religione si è
arrestato, e una ricerca di Harvard del 2023 ha mostrato che un numero maggiore
di americani della Generazione Z si identifica come cattolico, con i giovani
uomini in testa a questa tendenza.
Perché i giovani tornano alla fede?
Ma cosa spiega questo rinnovato interesse da parte dei
giovani per la chiesa? Anche se l’idea di un “influencer cattolico” possa
sembrare un paradosso, la Chiesa sta abbracciando questa tendenza. Nell’estate
del 2025, Papa Leone XIV ha incontrato 1.000 influencer cattolici, inclusa Suor
Albertine, in Vaticano, sottolineando l’importanza di quelli che la leadership
della Chiesa considera i “missionari digitali”. “Gesù ci chiede di tessere
altre reti: reti di relazioni, di amore,” ha detto il Pontefice. Papa Leone
XIV, il primo papa americano, ha dimostrato il suo appeal sulla Generazione Z
attraverso il suo carisma discreto e la sua autenticità, parlando in diverse
lingue e interagendo giocosamente con la folla durante il Giubileo dei Giovani
che ha visto oltre un milione di ragazzi riunirsi a Roma.
Diversi sono gli esempi di “preti digitali”: Heriberto
Garcia Arias, sacerdote della diocesi di San Juan de Los Lagos, in Messico,
conta oltre 2 milioni di follower su TikTok. Don Alberto Ravagnani, prete
italiano “in missione per conto di Dio sui social”, vanta 300 mila follower. O
ancora, l’inquadratura su Padre Jefferson Merighetti al funerale di Papa
Francesco gli è costata una visibilità enorme, frutto del bell’aspetto che ha
attirato migliaia di utenti online su i suoi profili social. O, infine, Don Roberto
Fiscer, sacerdote genovose che usa Instagram e TikTok, come “luoghi di
missione”. Adnkronos 19
Tv2000 e InBlu2000, identità e innovazione nei palinsesti
2025-2026
Novità tra informazione, fiction, cinema, documentari e
digitale. Morgante: “Una comunicazione sobria, rispettosa, profonda”. Porfiri:
“Investimenti significativi nel digitale e contenuti per tutte le generazioni”.
Mons. Baturi: “Abbiamo bisogno di voi, così come voi avete bisogno di noi”
Una programmazione solida, riconoscibile e al tempo
stesso aperta a nuove sfide. Sono questi i tratti principali dei palinsesti
2025-2026 di Tv2000 e Radio InBlu2000, così come sono stati presentati questa
mattina nello studio 1 di via Aurelia. Una proposta che unisce la
valorizzazione dei punti di forza delle emittenti della Conferenza episcopale
italiana a importanti novità editoriali, con un’attenzione costante alla
qualità e al radicamento ecclesiale. L’Amministratore delegato, Massimo
Porfiri, ha parlato di un percorso di consolidamento e di rilancio: “Questa
nuova stagione rappresenta un momento di consolidamento e innovazione per le
nostre emittenti. Abbiamo investito in contenuti che parlano dell’attualità
avendo a cuore la nostra identità valoriale. La crescita esponenziale di
Play2000, nata 20 mesi fa, ci dimostra che la strada intrapresa è quella
giusta: offrire contenuti di qualità su tutte le piattaforme, raggiungendo
anche un pubblico più giovane senza mai perdere di vista la nostra missione”.
Le novità principali: “Chiesa viva”, “Canonico 3” e
“Tutta l’Italia”
Il nuovo palinsesto si arricchisce di un appuntamento
quotidiano, Chiesa viva (dal lunedì al venerdì alle ore 17,30), condotto da
Gennaro Ferrara, che accompagnerà il pubblico in un percorso di riflessione sul
papato di Leone XIV, il Giubileo e il cammino sinodale. “Un programma che nasce
dall’ascolto – ha sottolineato Vincenzo Morgante, direttore di rete e
dell’informazione – e che vuole raccontare una Chiesa viva, che non ha paura di
misurarsi con le sfide del presente”. Debutta inoltre il magazine settimanale
di Tg2000 Tutta l’Italia (il sabato alle ore 17,30), dedicato a un racconto
autentico del Paese, con uno sguardo che privilegia la profondità rispetto alla
superficie. L’obiettivo è dar voce a quelle storie e a quei protagonisti che
raramente trovano spazio nei grandi circuiti mediatici. Sul fronte della
fiction, arriva la terza stagione di Canonico 3, con Michele La Ginestra nei
panni di don Michele e la new entry Debora Villa come suor Betta. Ambientata
tra Roma e la Liguria, la serie conferma il suo stile leggero ma capace di
affrontare anche i nodi esistenziali, in un intreccio di umanità e Vangelo.
Accanto a queste novità, Tv2000 proporrà in chiaro la terza, quarta e quinta
stagione di The Chosen, la serie internazionale sul Vangelo che ha conquistato
milioni di spettatori nel mondo.
Cinema, documentari e informazione
Il palinsesto 2025-2026 prevede 200 film e documentari di
qualità, frutto di accordi con major internazionali e produttori indipendenti.
In arrivo pellicole di registi come Spielberg, Zemeckis, Malick, i fratelli
Dardenne, Olmi, Kurosawa, Kore’eda, senza dimenticare i grandi classici del
cinema americano ed europeo. Sul fronte documentaristico, tra i titoli in
evidenza Orfani invisibili di Valeria D’Angelo, sugli “orfani speciali” delle
vittime di femminicidio, e Gli anni felici di Padre Pio di Giuseppe Feyles, con
immagini restaurate e inedite del frate di Pietrelcina. Tra le produzioni
originali di Tv2000 figurano L’ottavo giorno, dedicato ai senzatetto in tempo
di Giubileo, e Scintille, che esplora l’incontro tra ordini religiosi e
giovani. L’informazione resta uno dei pilastri della proposta editoriale:
cinque edizioni quotidiane di Tg2000, due domenicali e il Giornale Radio di
InBlu2000, accanto a rubriche e approfondimenti, in un equilibrio tra sobrietà
e prossimità. “Il nostro lavoro ha un’anima artigianale – ha spiegato Morgante
–. Non ci muove la fretta del consumo, ma la pazienza della semina. Crediamo
che i contenuti di qualità siano come semi che, coltivati con coerenza,
porteranno frutti duraturi nel tempo. Innoviamo senza snaturarci, custodendo il
nostro stile riconoscibile e credibile”.
Play2000 e la sfida digitale
Grande attenzione è riservata all’espansione digitale. La
piattaforma Play2000, lanciata meno di due anni fa, ha registrato un incremento
del +800% di tempo di visione negli ultimi sei mesi, con oltre 18 milioni di
visualizzazioni e 150 milioni di minuti di streaming. Oggi conta 11mila
contenuti on demand, podcast originali, cortometraggi e una sezione dedicata al
racconto dei borghi italiani. “Abbiamo costruito un ecosistema digitale che
dialoga con tv e radio – ha aggiunto Porfiri – I numeri ci incoraggiano a
proseguire su questa strada, perché il digitale non è un’aggiunta, ma parte
integrante della nostra missione di comunicazione”.
Radio InBlu2000: consolidamento e prossimità
Anche Radio InBlu2000 conferma il suo ruolo di emittente
cattolica nazionale, con musica, approfondimenti, informazione e dirette
ecclesiali. Un’offerta che si rafforza nella sinergia con Tg2000, in una logica
di complementarità e servizio.
Il saluto della Chiesa
Alla presentazione è intervenuto anche mons. Giuseppe
Baturi, segretario generale della Cei, che ha espresso riconoscenza per il
lavoro svolto: “Abbiamo bisogno di occhi per guardare lontano, di orecchi per
ascoltare i gridi dell’umanità sofferente, di mani per incontrare gli altri.
Abbiamo bisogno di voi, come Chiesa, così come voi avete bisogno di noi”.
Un richiamo che restituisce il senso più profondo di un
progetto editoriale che intreccia missione ecclesiale, racconto del Paese e
linguaggi contemporanei, senza perdere di vista sobrietà, prossimità e
credibilità. Marco Calvarese, sir 17
Napoli, si ripete il prodigio del sangue di San Gennaro
Battaglia chiede la pace: "Non sia slogan, ma
pratica". Nell'omelia le parole per Gaza, per l'Ucraina, per i "Sud
del mondo" - Di Antonio Tarallo
Napoli. Atteso da tutto il popolo napoletano che si è
riunito stamane nel suo Duomo, alle 10.08 finalmente l'annuncio del prodigio
della liquefazione del sangue di San Gennaro. “Abbiamo la gioia di annunciare
che la reliquia è stata trovata completamente liquida”, ha detto l'abate della
Cappella del Tesoro, monsignor Vincenzo De Gregorio. Come da tradizione, ad
accompagnare l'annuncio, lo sventolìo del fazzoletto bianco da parte di uno dei
componenti della Deputazione del Tesoro di San Gennaro. Atteso, sospirato, il
prodigio è segno di vicinanza e benevolenza del santo patrono per la sua città.
E la città risponde a questo amore con altrettanto amore: applausi, lacrime, e
gioia nel vedere quel sangue rubino liquefarsi davanti al popolo di Dio. Fede e
tradizione vivono in quel momento tanto atteso dal popolo partenopeo.
Il cardinale Battaglia, arcivescovo di Napoli, che ha
presieduto la Santa Messa nella mattinata, ha esposto poi, durante la
celebrazione, l'ampolla contenente il sangue del santo patrono, davanti a tutti
i presenti. Dall'altare maggiore, dopo aver fatto visionare l'ampolla ai
concelebranti, l'arcivescovo di Napoli è sceso tra i fedeli: canti liturgici
hanno accompagnato questa sorta di pellegrinaggio verso la città partenopea.
Grande commozione per tutti i presenti.
Così come la commozione ha colto lo stesso cardinale ad
inizio della celebrazione. Le sue parole, prima di iniziare la Santa Messa,
sono state incentrate sulle guerre che il mondo sta vivendo in questo momento e
- in particolar modo - si sono concentrate sulla situazione a Gaza tanto che al
momento dell'atto penitenziale ad inizio celebrazione c'è stato anche un video
messaggio di padre Gabriel Romanelli che ha ringraziato il cardinale e la
popolazione partenopea per la vicinanza spirituale e materiale che sta
offrendo.
E anche nell'omelia dell'arcivescovo, al centro di tutto,
nuovamente il tema della guerra, di tutte le guerre che il mondo contemporaneo
sta vivendo, sempre con una particolare attenzione alla situazione di Gaza:
"È il sangue di ogni bambino di Gaza che espone in questa cattedrale"
così l'arcivescovo di Napoli che ha continuato: "Oggi Napoli si ferma come
il mare quando il vento si placa. È un placarsi interiore, la sensazione di una
giornata di festa, di fede, di identità. Le strade si fanno navate, i balconi
cantorie, la città una cattedrale intera. Al centro, non un oggetto, ma un
segno: un'ampolla, un sangue, un nome — Gennaro Qui celebriamo non un trofeo,
ma una memoria viva: quella dei martiri che l'Amore non ha lasciato soli.
Cita poi il Vangelo di Marco: «Chi perderà la propria
vita per causa mia e del Vangelo la salverà». E in merito dice: "Non è un
motto per poster, è un ponte tra due rive. Su quel ponte Gennaro passò intero:
la carne consegnata, la paura vinta, la libertà restituita al suo Autore. Non
scelse di salvarsi: scelse di donarsi. E il sangue, che i violenti credettero
sigillo d'oblio, divenne voce: voce che ancora predica alla città e la chiama a
fidarsi del Vangelo più di ogni calcolo, più di ogni prudenza. Guardiamo quel
segno non con superstizione, ma come invito a scommettere tutto
sull'Affidamento”.
Concentra poi l'attenzione sul sangue, sul suo
significato in questo particolare momento storico che stiamo vivendo: "Il
sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato. Se potessi,
raccoglierei in un'ampolla il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini
di ogni popolo — e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun rito ci
assolva dalla responsabilità, perché la preghiera sente il peso di ogni ferita
e non scivoli via. E oggi, con pudore e con fuoco, dico: è il sangue di ogni bambino
di Gaza che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all'ampolla del
santo Perché non esistono “altre” lacrime: tutta la terra è un unico altare”.
Lo sguardo si amplia, diviene universale per ogni guerra:
“Cessino gli assedi che tolgono pane e acqua; cessino i colpi che sbriciolano
case e infanzie; cessino le rappresaglie che scambiano la sicurezza con lo
schiacciamento, cessi l'invasione che soffoca ogni speranza di pace”. E sempre
sullo stesso tema, quello del sangue, il pensiero del cardinale Battaglia è
assai chiaro: "Guardatelo. Non come curiosità, ma come specchio. Il sangue
di Gennaro non è un talismano: è un appello. Ogni goccia dice: non tradire. Non
tradire il Vangelo con un culto senza conversione. Non tradire il povero con
un'elemosina senza scelte. Non tradire la pace con parole senza progetto. Non
tradire i bambini con scuole senza maestri e città senza cortili".
Infine, l'appello: "Guarda la Palestina, guarda
l'Ucraina, guarda i Sud del mondo: quanti non hanno più lacrime e ci prestano i
loro occhi. Fa' che la pace non sia uno slogan, ma una pratica. Fa' che ogni
comunità diventi sala d'attesa di resurrezioni: mensa per chi ha fame, porta
per chi non ha casa, lingua per chi non sa parlare, compagnia per chi non regge
da solo. E qui, nella nostra città, fa' che sotto ogni balcone si veda un
ragazzo con un libro e non con un'arma che ogni cortile sia un campo di gioco e
non di spaccio che ogni impresa pulita valga più di qualunque denaro
sporco".
Nel cuore, nella mente dei fedeli, san Gennaro è sempre
rimasto l'amico sincero a cui poter confidare tutto: le delusioni, le speranze,
i problemi di ogni sorta (da quelli materiali a quelli spirituali) per poi
poter chiedere la sua intercessione. San Gennaro e il miracolo del sangue, san
Gennaro e il famoso tesoro: Napoli vive la sua fede popolare, ormai da diversi
decenni, di questi due “capisaldi” che formano il cuore pulsante dell'amore che
la città partenopea porta al santo.
Il miracolo del sangue è “stabilito” nei giorni: 16
dicembre, il sabato precedente la prima domenica di maggio (ricorrenza del
trasferimento del corpo del santo da Pozzuoli a Napoli) e 19 settembre, giorno
della festa del santo. Bisogna però precisare che il termine “miracolo” —
seppur così viene da tutti conosciuto — è improprio perché secondo i canoni
giuridici della Chiesa si tratterebbe di “prodigio”, un evento inspiegabile
dalla “ragione”. È il “prodigio” della liquefazione. Il sangue, che secondo la
tradizione fu raccolto dal corpo del patrono della città dopo il suo martirio,
da “solido” passa a “liquido”: è il segno di protezione da parte di san
Gennaro.
Ma non si può dimenticare nelle memorie popolari di
Napoli, la famosa “Cappella del tesoro” che si trova all'interno del duomo. Fu
edificata nel 1601, a seguito di un voto formulato dalla città dopo la grazia
ricevuta da san Gennaro per lo scampato pericolo della pestilenza e di altre
gravi malattie, nel terribile biennio 1526-1527, anni oscuri per la storia
della città partenopea. Solo nel 1646 la cappella fu portata a termine e
finalmente consacrata.
All'interno è custodita una parte del tesoro, ma già la
struttura stessa risulta di per sé un vero capolavoro: vi hanno lavorato alcuni
degli artisti più importanti del Seicento napoletano, tra i quali Caracciolo,
Corenzio e De Ribera, che hanno lasciato opere di inestimabile valore. La
cappella conserva oggetti, gioielli preziosi, tessuti che raccontano ognuno una
storia. È il caso, ad esempio, della cosiddetta “Collana del Tesoro di San
Gennaro”, realizzata dal 1679 al 1929: rappresenta la storia di 250 anni
d'Europa, il risultato della devozione di re e regine, nobili e gente comune.
Nel 1679, la Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro —
l'organismo laico che da più di cinquecento anni ha il compito e la
responsabilità di promuovere e custodire le reliquie del santo — diede
l'incarico all'orafo napoletano Michele Dato di realizzare un ornamento per il
busto di san Gennaro, costituito da 13 grosse maglie d'oro con diamanti,
smeraldi e rubini, donati dalla Deputazione.
Una volta realizzata la collana, l'istituzione partenopea
ritenne che fosse poco preziosa per il busto e così in epoche successive si è
arricchita, aggiungendo altri gioielli donati da re e regine passati per
Napoli. Nomi illustri parteciparono alla donazione: la regina Maria Amalia di
Sassonia, Carlo III di Borbone, la regina Maria Carolina d'Asburgo, Francesco i
d'Austria, Giuseppe Bonaparte, Maria Cristina di Savoia, Vittorio Emanuele ii
di Savoia. Ma non mancarono, certamente, le donazioni da parte del popolo.
Anche un'anziana signora anonima, per ringraziare di essere scampata alla
peste, offrì il patrimonio più grande che avesse: due semplici orecchini,
tramandati dalla bisnonna che sarebbero poi stati lasciati in eredità alle sue
figlie. La Deputazione, ritenendolo un gesto nobilissimo, fece inserire i due
orecchini nella parte superiore della collana. Un episodio curioso risale al
1929. La regina Maria José del Belgio, moglie di Umberto II di Savoia, decise
di visitare la “Cappella del santo”, ma si presentò senza alcun omaggio. Era
tradizione consolidata tra i potenti europei, infatti, offrono un dono al santo
patrono quando si recavano in visita a Napoli. Silenzio nella sala, qualche
attimo di naturale imbarazzo. Quando poi, la regina Maria Josè si sfilò dal
dito un anello d'oro con diamante. Era il suo dono, che ora si trova al centro
del collare, proprio tra i due orecchini della sconosciuta popolana. Il santo
compie miracoli anche di questo genere: unisce tutti, senza distinzione di
ceto, perché la Chiesa è comunità. Aci 19
Papa Leone XIV: “Le istituzioni pubbliche e la Chiesa promuovano il
dialogo”
Udienza ai partecipanti all’Incontro giubilare promosso
dal CELAM
Città del Vaticano. Papa Leone XIV riceve questa mattina
in Udienza i partecipanti all’incontro giubilare promosso dal CELAM (Consiglio
Episcopale Latino Americano e Caraibico) per il futuro della famiglia. Ai
presenti rivolge un saluto in lingua spagnola.
C’è stato un incontro giubilare e sinodale per il
Discernimento di Speranza sul Futuro della Vita e della Famiglia, tra
rappresentanti dei centri di formazione in Dottrina Sociale della Chiesa
dell’America Latina e dei Caraibi. Il tutto presso la sede del Pontificio
Istituto Teologico Giovanni Paolo II, in Piazza San Giovanni in Laterano,
4.
"Il Giubileo ci invita anche a pensare alle nostre
radici: alla fede ricevuta dai nostri genitori, alla preghiera perseverante
delle nostre nonne che sgranavano il rosario, alla loro vita semplice, umile e
onesta che, come lievito, ha sostenuto tante famiglie e comunità", dice il
Papa.
“Siamo coscienti che oggi ogni giorno ci sono autentiche
minacce alla dignità della famiglia, come ad esempio, i problemi relativi alla
povertà, la mancanza di lavoro, l’accesso ai sistemi sanitari, gli abusi ai più
vulnerabili, le migrazioni, le guerre”, dice il Papa ai partecipanti.
Per il Pontefice quindi “le istituzioni pubbliche e la
Chiesa hanno la responsabilità di cercare come promuovere il dialogo e
rafforzare gli elementi che nella società favoriscono la vita in famiglia e
l’educazione dei suoi membri”.
In tutto ciò la famiglia è “un dono e un compito”. “È
fondamentale promuovere la corresponsabilità e il protagonismo delle famiglie
nella vita sociale, politica e culturale, promuovendo il suo valido contributo
nella comunità”, conclude Papa Leone XIV. Aci 19
Intervista all’ex missionario in Germania don Giovanni Ferro
Ritornare straniero a casa propria
Don Giovanni Ferro: dopo 44 anni in Germania il ritorno
in Italia, tra memoria, sfide e nuove consapevolezze
Don Giovanni Ferro, sacerdote e giornalista, ha trascorso
44 anni in Germania come missionario al fianco delle comunità italiane,
ricoprendo anche il ruolo di direttore del Corriere d’Italia. Dalla fine del
2022 è rientrato definitivamente in patria e oggi ci racconta la sua
esperienza, condividendo impressioni e riflessioni su come ha ritrovato
l’Italia dopo tanti anni vissuti all’estero.
Quando hai varcato la frontiera per
tornare definitivamente in Italia, quali emozioni e pensieri ti hanno
accompagnato?
Da quel viaggio ho il ricordo di aver avuto di me la
sensazione come di uno che fa il tragitto di sempre, ma stavolta per non
ritornarci più. Finis. Niente più Germania, ma anche niente l’Italia che era
stata la mia. Varcavo la frontiera verso l’ultimo quarto della mia vita. Ero
carico di robe da trasloco nel trambusto di quanto mi portavo o regalavo. Solo
dopo cominciai a sentire meglio che della mia terra avrei ignorato moltissimo.
Dopo tanti anni all’estero, come hai
vissuto il ritorno: ti sei sentito subito “a casa” o è stato un processo più
complesso?
Il tornare in patria non l’ho trovato difficile, dato che
furono le difficoltà stesse a ritrovarmi e alle quali mi ci ero preparato. Sui
ritorni in terra d’origine conoscevo tutta una raccolta di esperienze e tanto
giornalismo ben ragionato su delusioni, stress emotivo e tempi lunghi di
adattamento con imprevisti. Lo sapevo da esperienze in cui io stesso avevo data
una mano ad altri in situazioni del partire all’estero e poi nel ritornare.
Sapevo che l’Italia mia, quella che lasciai, avrebbe continuato a mutare in mia
assenza. Ora, se guardo indietro ai 44 anni di servizio all’estero nella realtà
dell’emigrare, ci aggiungo il precedente di cinque anni prima, di quando cioè
praticavo sovente una Germania che in realtà era fatta di due: la
Bundesrepublik e la DDR ad Est. Le novità che mi aspettavano da oriundo dal
Nord Est italiano, il Friuli, mia piccola patria con due lingue madri e altro
ai confini con Austria e allora Jugoslavia, da secoli terra di migranti, mi
avevano allenato alle complessità del vivere fra diversi. Il Paese che lasciavo
nei primi anni settanta non si sarebbe di certo fermato a recuperarmi per il
mio ritorno. Insomma restai ancora un po‘ straniero, stavolta a casa mia.
Quali sono stati gli ostacoli più
duri da affrontare, grandi o piccoli, nel reinserirti nella vita quotidiana
italiana?
Certamente mi confrontai con differenze in cose di
sostanza o in piccolezze, anche con inedito disagio, nel pubblico
amministrativo e in regole italianamente ignote per me, venute col tempo a mia
insaputa. Arrivando per restarci, scoprivo dettagli di regolamenti e procedure
che sentivo anche strane. Tuttavia decisi di non indignarmi, un po‘ per
rispetto d’amor patrio, un po‘ per non dar fastidio ad altri che già vivevano
dei loro disagi nazionali. Ero consapevole che anche noi italiani stando
all’estero, soffriamo di disamore e rabbie per dei servizi in madrepatria che
sovente ci scoraggiano. Un aspetto emblematico lo notai subito per la lingua
italiana che ancora io parlavo, o scrivevo, con abitudini che mi ero portata
dietro congelate in tono e vocabolario dal mio liceo classico in anni sessanta,
quando il parlar bello era un’eleganza dell’anima, un prestigio d’arte e
cultura che da millenni ci qualifica davanti al mondo intero. Notavo invece che
l’italiano aggiornato da benessere di massa, da radiotelevisioni, fatto di
anglicismi e modernità ovunque, anche in gente colta e di alto rango mi
infastidiva, anche per le sgrammaticature. Per non dire dei termini
sfacciatissimi, assai volgari, che mi scandalizzavano. Dico di quel parlar
violento ormai diffusissimo, che mi arrivava come un sintomo di nevrosi del
sesso, un’ossessione da eros degradato a schifezza. Ben altro che nel pudore di
qualche decennio fa. Non ero abituato a questo in altre lingue d’Europa. Le
baruffe da battaglia poi in TV con urla incrociate fra sordi mi scandalizzarono
non poco. Non ero addomesticato alle TV imperanti, a decine di radio
schiamazzanti, per non parlare dei “socials”,
Tornando, hai trovato una mentalità
cambiata: quali aspetti della società italiana ti hanno sorpreso di più, in
positivo o in negativo?
Vengo ai fatti. Affrontai nuove procedure nel civico, nel
burocratico telefonico ovunque. Cercai di tener duro, superando tappe di
settimane e mesi per aggiornarmi sul procedere. E devo dire che me la spuntai.
Fu scoraggiante soprattutto la cosa con il medico di base e il sistema
sanitario nazionale, di cui ho bisogno per sopravvivenza. Una maratona durata
un anno fu poi la trasformazione della mia patente di guida tedesca in
italiana. Ricordo costi che sapevo sarebbero stati assurdi fuori d’Italia, come
le comparse davanti a ripetute commissioni mediche della motorizzazione civile,
dal sapore da tribunale clinico. Difficile fu il recupero della mia
cittadinanza italiana andata dispersa dall’Aire dalla quale del resto mi ero
congedato. Neanche la residenza nel mio piccolo appartamento di proprietà era
sopravvissuta negli anni, e fu stress con il Catasto per recuperarmela. Un
tormento fiscale fu la mia nuova collocazione nella dichiarazione dei redditi,
dopo che la Germania mi era stata paradiso fiscale grazie a residenza di
pensionato all’estero e al bonus dal Finanzamt germanico che conosceva bene che
poveri e sciagurati d’ogni genere erano la grande famiglia a mio carico. Anche
la buona classe di merito per la mia indenne assicurazione auto, non mi fu riconosciuta,
e fui retrocesso alla classe 14, che significò la mia ricaduta a diciottenne
principiante – altro che Unione Europea. Conobbi altre fiscalità che tralascio
per non scoraggiare qualche interessato alla cosa.
Guardando al passato, quali
trasformazioni ti hanno colpito maggiormente nello stile di vita e nelle
abitudini del Paese?
Certo l’Italia di decenni andati, non era più quella che
mi salutava. Quando l’avevo lasciata, la parola “computer”, per fare un
esempio, era ancora cosa di élites professionali, di ditte e centri di
avanguardia, non roba di gente qualsiasi. Il “telefonino” poi era un aggeggio
di persone rare piuttosto ignoto, ingombrante, di commessi viaggiatori e
tecnici: Si sarebbe divulgato dagli anni novanta. Nel mio Friuli Venezia
Giulia, regione Autonomia, nel frattempo la viabilità si era perfino
rivoluzionata e rispetto ad altre zone era divenuta di eccellenza anche grazie
a progetti di ricostruzione dopo il terremoto che stravolse paesi e centri
urbani. La nostra terra un tempo di migranti si era internazionalizzata. Al
punto che all’inizio io viaggiai spaesandomi continuamente. La gente era altra
e l’anarchia intollerante su strada lo testimoniava. All’occhio di un
antropologo, io pensai, i modi e linguaggi erano diventati qualcos’altro a suon
di smart e internet universali.
Cosa ti è mancato della Germania e,
allo stesso tempo, quali aspetti dell’Italia ti hanno confortato al ritorno?
Chiaramente cose buone tedesche mi sarebbero mancate, e
mi imposi la pazienza. Altre bontà italiane, del resto, mi confortarono. Ma per
me, figlio di guerra e subito dopo, notai che cominciava a finire un resto di
romanticismo nel mondo della grande e piccola musica anche popolare e nel
canto, una eccellenza di cose importanti per la mia anima, che in terra tedesca
si era ritrovata in un paradiso terrestre per queste cose. Quindi mi sono
sentito orfano del mio umus culturale che avevo goduto in una Germania capitale
del mondo come mecca per gente musicale da ovunque. Ancora vedo e sento
l’ignoranza – o dimenticanza – nel costume di massa di un’Italia che dal
Rinascimento fino all’Ottocento era stata maestra per musica e canto in Europa.
E ora qui penso che ciò sia una cifra indicativa di impoverimento estetico che
è presagio di altre decadenze nel nostro paese: ce lo dice gente che indovina
un cattivo futuro indagando in certe modernità che sono barbariche.
Parlando di servizi pubblici, come
metteresti a confronto l’Italia di oggi con la Germania che hai conosciuto?
Quello di servizi è un termine che dice di tante
situazioni della vita pubblica. Posso spiegare così: già il Regno d’Italia
fattosi Repubblica, si era strutturato a modo suo con altre tradizioni di
governo e questo l’ho capito in tanti momenti di Germania, passata per ben
altra storia. Mi sentii come fra due mondi cresciuti diversi sulle stesse cose.
Così che poi rimpatriandomi imparai a rassegnarmi dicendo anch’io: “Che ci puoi
fare, questa è l’Italia, fatta così”. Alla burocrazia tedesca mi ero adeguato. A
quella italiana non mi sono ancora rassegnato e accetto di tener duro fino al
termine dei miei giorni. Nel mondo tedesco ebbi a che fare normalmente con
personale competente e gentile in tante procedure, ma spesso in stile solo
formale. Anche in Italia continuo a trovare gente competente che magari fa il
meglio possibile fra assurdità burocratiche infinite. Ma qui ora incontro
personale che è gentile e di cordialità autentica, ma non per professione ma
per natura: qui il ”bel paese” Italia ha una umanità per cuore aperto e
fantasia che ci salva da certi inghippi. Non sono io a dire che il
sistema sanitario italiano non è quello tedesco, o svizzero, o… Dietro la
situazione si intuisce che la politica del paese ha lavorato sia bene che assai
male fra pubblico e privato. Il cosiddetto servizio privato è stato anche per
me una sciagura e perfino anche un salvataggio. Ho capito che ci sarebbe molto
da rivoluzionare, ma l’arte dell’improvvisazione e l’arrangiarsi in qualche
modo è un recupero che qui aiuta la gente nei guai a sopravvivere. Qui il
popolo non ricco di soldi, di contatti, di raccomandazioni, anche di mafie… se
la cava come può. Parlando invece di “sistema tedesco”, una persona può dire
solo di sé: in Germania io ho fatto esperienze tristi, come ho potuto anche
godere di risurrezione clinica da buona Bundesrepublik di eccellenza.
D’altronde in un paio d’anni sono mutate le cose in tutta Europa, in sicurezza
pubblica in crisi, senza pace dentro le città, con masse migratorie
destabilizzanti. I miei anni tedeschi dal 1974 fino 2000 sono quelli che
ricordo con pace. Gli anni di dopo li sentivo già diventare diversi e non li ho
in nostalgia. Anche la gioventù italiana che punta ora verso mete in Europa
vive di considerazioni diverse di quelle che furono mie decenni or sono.
Anche la dimensione religiosa e
spirituale l’hai vissuta in modi diversi tra i due Paesi: cosa hai portato con
te di quella esperienza?
Per ciò che mi tocca come cristiano cattolico, sento ora
che mi manca la vicinanza col mondo protestante centro-nordeuropeo e delle
chiese Ortodosse là presenti, prossimità queste che hanno dato respiro al mio
essere come sono. In tante realtà di Chiesa italiane che ho ritrovate in
patria, ora vedo un diffuso senso del proprio campanile, una provincialità di
costumi chiusi al resto del mondo e davanti al futuro. Qui si dorme spesso su
vecchi allori. Anche gente di cultura è ferma a vecchie glorie, mentre la
religiosità d’un tempo in Europa evapora con velocità che non era prevista. Ho
vissuto in diverse Comunità di Missioni Cattoliche Italiane in Germania, da
giovane sacerdote in Ruhr Gebiet, Essen e Bochum, in tempi di tanta frequenza e
un’italianità di iniziative che eccelleva di associazionismo. Poi vissi in area
Francoforte, ben altra realtà, nell’anonimità urbana fatta di distanze, poi fui
in Niedersachsen, mondo quasi “scandinavo” e protestante, nella dispersione di
connazionali.
Hai ancora legami vivi con la
Germania, con persone o comunità a cui sei rimasto legato?
Il massimo dei rapporti che al momento conservo vivi fu
in Arcidiocesi di Colonia, la metropoli italiana più Nord delle Alpi, come
qualcuno sorride dicendo. In qualche modo là sono ancora legato per emergenze
che ho sostenuto e dalle quali non mi sono ancora congedato. Qui in Italia,
vedendo insieme le varie esperienze, penso e vivo perplesso su tante dimensioni
di Chiesa costruitesi nei secoli e che rispetto, ma personalmente io punto su
una spiritualità colta in diretta dal Vangelo che è ancora più antico. Lo
imparai in emigrazione, perdendo cose di tradizione per andare alla sostanza
Con la tua esperienza, quale
consiglio daresti a chi oggi sceglie di emigrare o a chi pensa di rientrare in
patria?
A chi si è arricchito o ben sistemato in Germania,
all’estero ovunque, consiglierei di dimenticare i disagi degli inizi, e di non
farsene un monumento di se stessi da mostrare a chi non c’entra. E invece di
saper dire grazie a persone e momenti che ha dato loro la provvidenza tedesca.
Riconoscenza non è molto in uso, ovunque, ma in questo caso è d’obbligo. A chi
invece torna in patria senza aver raccolto grande fortuna, consiglierei di
perdonare a sé stesso, o a sé stessa, l’impulso a partire magari senza buona
preparazione per il mondo tedesco, senza dimenticare che il detto “chi cerca
trova”, non vale sempre. Per chi poi in questi ultimissimi tempi, anche per
esperienze brevi di studio tipo Erasmus, va detto che la propria terra lasciata
non resterà più la stessa. Anche le storie del cuore, ad esempio, possono
preparare destini mai programmati. Allora non si darà fastidio ad altri con
eventuali lamentele e nostalgia del perduto.
In conclusione, se ripensi al tuo
cammino tra Germania e Italia, come si sono intrecciati nella tua vita
spiritualità e servizio?
In situazioni le più diverse in Germania in spazi
religiosi o di nessuna religiosità, ho allargato a distanza le mie scarne
conoscenze sulle Italie fra Nord, Centro, Sud e Isole con dati che io, da
“polentone” del norditaliano, ignoravo. Ho vissuto da sacerdote, un tempo anche
da giornalista, da assistente sociale e psicologo assai coinvolto fra desolati
e poveri di ogni genere. In questo ultimo tempo di transito fra Deutschland e
Italia un’idea di sintesi mi insegue: la nostra Europa, pure nelle diversità,
sta insieme finendo di essere ciò che noi giovani negli anni Sessanta
immaginavamo in epoca “sessantotto” Essere di Italia o di Germania, ora fa
sempre meno differenza fra adolescenti e giovani. Siccome viviamo da cittadini
dello stesso villaggio globale di informazione, che non ha pause giorno e
notte. Anche il parlare di Emigrazione ed emigranti ora è diverso anche dal
punto di vita religioso, dimensione che finora ha fatto molto da connettivo di
comunità italiane di Germania – come io ho vissuto nel servizio all’Italianità
fuori patria. Ora tante cose stanno evolvendo ad alta velocità. Licia Linardi,
CdI on 12.9.
Laien fordern Fortsetzung des
synodalen Kurses
Die katholische Kirche bleibt
weiterhin auf Synodalitäts-Kurs: So lautete die Botschaft, die zum Ende des
Dritten Welttreffens der hauptamtlichen Laienvertreterinnen und -vertreter in
Rom verbreitet wurde.
Das Treffen, in dem es u.a.
um den Stand der unterschiedlichen nationalen Implementierungen von Synodalität
ging, fand vom 24. bis 28. September statt und versammelte Teilnehmende aus
fünf Kontinenten. Am 26. September stellte sich u.a. die Untersekretärin des
Generalsekretariats der Bischofssynode, Schwester Nathalie Becquart, dem
Gespräch.
„Für mich war es besonders
inspirierend, die Länderberichte über Gelungenes und Herausforderungen der
Umsetzung der Synodenergebnisse zu hören“, berichtete Gabriele Eder-Cakl, die
Leiterin des Österreichischen Pastoralinstituts (ÖPI), im Anschluss über ihre
Erfahrungen bei dem Treffen „Ich habe mir ganz konkrete Beispiele für die
Unterstützung der Diözesen bei uns in Österreich von Seiten der nationalen
Ebene mitgenommen.“
Unterschiedliche nationale
Geschwindigkeiten
Auch in Österreich werde
schließlich sowohl auf diözesaner wie auf nationaler Ebene an der Umsetzung und
Implementierung synodaler Elemente gearbeitet. „Zudem ist es immer sehr
bereichernd, wenn ein Austausch über die Grenzen des eigenen Landes und Kontinents
hinausgeht“, so Eder-Cakl gegenüber der Nachrichtenagentur Kathpress.
Der Abschlussbericht zum
Welttreffen bietet Schlaglichter auf die unterschiedlichen nationalen
Geschwindigkeiten, in denen synodale Elemente in die Vollzüge von Kirche
implementiert werden. Zudem bestärkten sich die Teilnehmenden darin, dass
Synodalität in der Taufwürde jedes Einzelnen wurzle und zu einem bewussteren
Aufeinander-Hören in der Kirche führe.
„Um das synodale Bewusstsein
der Gläubigen weiter zu schärfen, wäre ein Mehr an theologischer Bildung
wünschenswert“
Um das synodale Bewusstsein
der Gläubigen weiter zu schärfen, sei ein Mehr an theologischer Bildung
wünschenswert, heißt es in dem Bericht. Insgesamt hänge das Gelingen von
Synodalität angesichts der unterschiedlichen Geschwindigkeiten maßgeblich vom
Engagement der Laien vor Ort ab, die in ihrer spezifischen Rolle begleitet und
gestärkt werden sollten. Die hauptamtlichen Laienvertreterinnen und Vertreter
müssten sich daher immer mehr als „Moderatoren“ der Synodalität verstehen,
heißt es in dem Bericht abschließend. (kap 29)
Fester Rahmen für Katholische
Theologie in Berlin
Das Land Berlin und der
Heilige Stuhl haben erstmals einen Staatsvertrag geschlossen. Damit erhält das
Institut für Katholische Theologie an der Humboldt-Universität ein rechtlich
verbindliches Fundament.
In einem Staatsvertrag haben
das Land Berlin und der Heilige Stuhl ihre Beziehungen gefestigt und die
Grundlage für eine engere Zusammenarbeit im Bereich der universitär verankerten
Katholischen Theologie geschaffen. Das seit 2019 an der Humboldt-Universität zu
Berlin angesiedelte Institut für Katholische Theologie erhält damit ein
rechtlich bindendes Fundament, heißt es in einer Presseerklärung des Landes
Berlin vom 29. September.
Erster Staatsvertrag zwischen
Heiligem Stuhl und Land Berlin
Berlins Regierender
Bürgermeister Kai Wegner und der Apostolische Nuntius, Nikola Eterovi?,
unterzeichneten am 29. September den ersten Staatsvertrag zwischen dem Heiligen
Stuhl und dem Land Berlin. Mit diesem Vertrag werde die Beziehung zwischen
Berlin und der Katholischen Kirche gestärkt, erklärte Kai Wegner und
unterstrich die bedeutende Rolle der Kirche in der Bundeshauptstadt: „In den
Bereichen der Seelsorge, des Religionsunterrichts und der Erwachsenenbildung
ist die Arbeit der kirchlichen Träger für viele Berlinerinnen und Berliner
unverzichtbar. Nun bekommt die Zusammenarbeit im Bereich der universitär
verankerten Katholischen Theologie ein festes Fundament.“
„Nun bekommt die
Zusammenarbeit im Bereich der universitär verankerten Katholischen Theologie
ein festes Fundament“
Zeichen der Zeit
Nikola Eterovi?,
Apostolischer Nuntius beim Heiligen Stuhl, äußerte seine Freude über das
Abkommen. In herausfordernden Zeiten seien die Theologinnen und Theologen am
Institut der Humboldt-Universität mit ihrer wissenschaftlichen Kompetenz
wichtige Gesprächspartner, so der Nuntius: „Die Herausforderungen unserer Zeit
erfordern Aufmerksamkeit auf die Zeichen der Zeit.“ Mit Blick auf Papst Leo
XIV., dem das Thema am Herzen liege, stellte er die Frage nach der Rolle von
Künstlicher Intelligenz. „Deren außergewöhnliches Potenzial braucht eine neue
geistige Auseinandersetzung über das, was der Mensch ist, was ihn ausmacht, was
ihn bedroht, worauf er hofft, was er soll oder um seiner selbst lassen muss.“
„Die Herausforderungen
unserer Zeit erfordern Aufmerksamkeit auf die Zeichen der Zeit“
Zusammenarbeit stärken
Auch der Erzbischof von
Berlin, Heiner Koch, begrüßte das Abkommen. Das Institut leiste seit Jahren
einen integralen Beitrag „zu Bildung, Wissensvermittlung und Integration“. Ein
gedeihliches Miteinander setze voraus, „dass wir unterschiedliche Perspektiven
und Motive austauschen und die Ernsthaftigkeit unseres Bemühens nicht von
vornherein in Zweifel ziehen. Katholische Theologie bringt in dieses Gespräch
das christliche Bild vom Menschen als Ebenbild Gottes und die Erfahrungen von
Befreiungs-Geschichten aus aller Welt ein.“ (pm 29)
Motto für katholischen Welttag der
sozialen Kommunikationsmittel
Papst Leo XIV. hat das Motto
für den 60. katholischen Welttag der sozialen Kommunikationsmittel gewählt: Es
lautet „Menschliche Stimmen und Gesichter bewahren" (Arbeitsübersetzung),
wie der Vatikan diesen Montag bekanntgab. In Deutschland wird der Mediensonntag
am 2. Sonntag im September begangen; weltweit ist der Sonntag vor Pfingsten,
17. Mai 2026, Datum des Welttags. Die Botschaft dazu wird erst im Januar
veröffentlicht.
In einer Mitteilung zur
Bekanntgabe des Themas auf Englisch erklärt das Dikasterium für Kommunikation,
das für den Welttag zuständig ist: „In den heutigen Kommunikationsökosystemen
beeinflusst die Technologie die Interaktionen mehr denn je – von Algorithmen,
die Nachrichtenfeeds kuratieren, bis hin zu KI, die ganze Texte und Gespräche
verfasst.“ Technologische Fortschritte böten zwar „Möglichkeiten, die vor
wenigen Jahren noch unvorstellbar waren“, solche Werkzeuge könnten jedoch
„die einzigartigen menschlichen Fähigkeiten wie Empathie, Ethik und moralische
Verantwortung nicht ersetzen“.
KI klug und angemessen nutzen
Öffentliche Kommunikation,
heißt es in dem Statement weiter, „erfordert menschliches Urteilsvermögen,
nicht nur Datenmuster“. Daher „besteht die Herausforderung darin,
sicherzustellen, dass der Mensch die Leitrolle behält. Die Zukunft der
Kommunikation muss eine sein, in der Maschinen als Werkzeuge dienen, die das
Leben der Menschen verbinden und erleichtern, anstatt die menschliche Stimme zu
untergraben.“
„Die Zukunft der
Kommunikation muss eine sein, in der Maschinen als Werkzeuge dienen, die das
Leben der Menschen verbinden und erleichtern, anstatt die menschliche Stimme zu
untergraben“
Risiken
Es gebe reale Risiken, die
mit moderner Technologie verbunden sind: „KI kann ansprechende, aber
irreführende, manipulative und schädliche Informationen generieren, Vorurteile
und Stereotypen aus ihren Trainingsdaten reproduzieren und Desinformation durch
die Simulation menschlicher Stimmen und Gesichter verstärken. Sie kann auch
ohne Zustimmung der Betroffenen in deren Privatsphäre und Intimität
eindringen.“
„KI kann ansprechende, aber
irreführende, manipulative und schädliche Informationen generieren, Vorurteile
und Stereotypen aus ihren Trainingsdaten reproduzieren und Desinformation durch
die Simulation menschlicher Stimmen und Gesichter verstärken“
Es braucht Medien und
KI-Kompetenz
Diese Bedenken unterstreichen
die Dringlichkeit, „Medienkompetenz“ oder sogar „Medien- und KI-Kompetenz
(MAIL)“ in formale Bildungssysteme einzuführen. Für Katholiken sei der Wandel
eine große Chance; gleichzeitig gebe es reale Risiken. Eine übermäßige Abhängigkeit
von KI „schwäche das kritische Denken und die kreativen
Fähigkeiten."
Der katholische Welttag der
sozialen Kommunkationsmittel wurde im Jahr 1967 von Papst Paul VI. eingeführt.
Der in Deutschland auch als „Mediensonntag" bezeichnete Tag stellt die
Bedeutung und Verantwortung der Massenmedien und der bei ihnen Beschäftigten in
den Mittelpunkt. Die Botschaft des Papstes zum Welttag wird traditionell am 24.
Januar, dem Gedenktag des hl. Franz von Sales (Patron der Journalisten),
veröffentlicht.
Das Motto des Welttages 2026
auf Englisch lautet: Preserving human voices and faces. (vn 29)
Kardinal Marx mahnt zu Einheit und
Respekt
Der Erzbischof von
München-Freising, Kardinal Reinhard Marx, hat anlässlich der 50.
„Interkulturellen Woche“ beim „Gottesdienst der Nationen“ zur Einheit
untereinander und gegenseitigem Respekt aufgerufen. Er verurteilte die Sprache
des Krieges und warb für eine Kultur der Gastfreundschaft.
Im Rahmen der
Interkulturellen Woche, die seit dem Jahr 1975 immer Ende September
stattfindet, sprach Kardinal Marx zur Feier des „Gottesdienstes der Nationen“
über die Notwendigkeit der Kirche im alltäglichen Diskurs. Die Stimme der
Kirche werde im Kleinen wie im Großen gebraucht, betonte Marx. „Wenn wir im
Miteinander, zunächst als katholische Kirche, mit den verschiedenen
muttersprachlichen Gemeinden, Kulturen und Traditionen, auch deutlich machen
können, dass wir gut zusammenleben und Zeugnis ablegen können für die Einheit
und Gleichheit aller Menschen, dann ist das ein Zeichen und ein wichtiges
Element für die Botschaft: Alle Menschen sind Brüder und Schwestern, sie
gehören zusammen!“, sagte der Erzbischof am Sonntag im Liebfrauendom.
„Der Krieg löst niemals ein
Problem“
Spirale der Gewalt
durchbrechen
Vor dem Hintergrund der
vielen Konflikte weltweit warnte Marx vor der Logik des Aufrüstens und des
Krieges. „Das führt zu einer unendlichen Spirale der Gewalt, die irgendwann
auch einsetzt und zur Ungleichheit der Menschen führt, weil die ökonomischen Ressourcen
dem Militär vorbehalten sind“. Er zeigte sich besorgt über die „Sprache der
Politik. Sie bringt uns nicht weiter. Der Krieg löst niemals ein Problem,
sondern nur die Verständigung und die Erinnerung daran, dass wir gleiche
Interessen haben, dass wir Menschen sind, dass wir einander respektieren
sollten und dass wir einen Ausgleich finden müssen, einen Kompromiss.”
„In diesem Land seid ihr
willkommen! Wir gehören zusammen – in einem Erzbistum und in einer Kirche. You
are all welcome“
Hoffnung statt Resignation
Trotz der angespannten
Weltlage, so Marx, dürfe man nicht in Resignation und Zynismus verfallen. „Wenn
wir das aufgeben, sind wir nicht mehr Zeuginnen und Zeugen der Hoffnung.“ Er
verwies auf die Worte von Papst Leo XIV., dass eine andere Welt möglich sei.
„Daher rufe ich euch zu wie im vergangenen Jahr: In diesem Land seid ihr
willkommen! Wir gehören zusammen – in einem Erzbistum und in einer Kirche. You
are all welcome!“ (pm 29)
Papst Leo wirbt für „gesunden
Säkularismus“
Papst Leo XIV. ruft Christen,
die politisch aktiv sind, dazu auf, „Männer und Frauen des Dialogs“ zu sein.
Das sagte er an diesem Montag
zu den Mitgliedern einer Arbeitsgruppe zu interkulturellem und interreligiösem
Dialog des Europäischen Parlaments im Vatikan. „Den Dialog zwischen Kulturen
und Religionen voranzubringen, ist ein Schlüsselziel für christliche
Politiker“, so der Papst.
Menschenwürde und
Gemeinschaftsnatur im Mittelpunkt
„Ein Mann oder eine Frau des
Dialogs zu sein bedeutet, tief im Evangelium und den daraus resultierenden
Werten verwurzelt zu bleiben und gleichzeitig Offenheit, Zuhören und Dialog mit
Menschen anderer Herkunft zu pflegen, wobei stets der Mensch, die Menschenwürde
und unsere Beziehungs- und Gemeinschaftsnatur im Mittelpunkt stehen.“
„Religion hilft den Menschen,
in Gemeinschaft und Gesellschaft zu leben“
Leo äußerte sich auch
pointiert zum interreligiösen Dialog. Wer sich darin engagiere, erkenne damit
an, dass Religion sowohl auf persönlicher Ebene als auch im sozialen Bereich
einen Wert habe.
„Das Wort Religion selbst
bezieht sich auf den Begriff der Verbindung als ursprüngliches Element der
Menschheit. Wenn sie authentisch und gut gepflegt ist, kann die religiöse
Dimension daher die zwischenmenschlichen Beziehungen erheblich verbessern und den
Menschen helfen, in Gemeinschaft und Gesellschaft zu leben. Und wie wichtig ist
es heute, den Wert und die Bedeutung menschlicher Beziehungen zu betonen!“
Papst Leo XIV. zu
interreligiösem Dialog - Ein Bericht von Radio Vatikan
Wie Franziskus
Wie seine Vorgänger Benedikt
XVI. und Franziskus brach der Papst mit US- und peruanischer Staatsbürgerschaft
eine Lanze für einen „gesunden Säkularismus“. Franziskus war zuletzt bei einer
Reise nach Korsika im vergangenen Dezember für eine „gesunde Säkularität“
eingetreten.
„Die europäischen
Institutionen brauchen Menschen, die wissen, wie man einen gesunden
Säkularismus lebt, das heißt eine Denk- und Handlungsweise, die den Wert der
Religion bekräftigt und gleichzeitig die Unterscheidung – nicht die Trennung
oder Verwirrung – vom politischen Bereich bewahrt. Besonders erwähnenswert sind
hier die Beispiele von Robert Schuman, Konrad Adenauer und Alcide De Gasperi.“
Die Arbeitsgruppe zu
interkulturellem und interreligiösem Dialog wird von der „Europäischen
Volkspartei“ getragen. Sie ist die einzige ihrer Art im Europäischen Parlament.
Auf Konferenzen bringt sie regelmäßig Politiker, NGOs und Religionsvertreter
miteinander ins Gespräch. (vn 29)
Christliche Patientenvorsorge
erscheint in aktualisierter Neuauflage
Handreichung bietet
Orientierung und Unterstützung für die letzte Phase des Lebens
Orientierung und
Unterstützung bei der Vorsorge für den letzten Lebensabschnitt bietet die
Christliche Patientenvorsorge, die heute (29. September 2025) von den
christlichen Kirchen in einer aktualisierten Neuauflage veröffentlicht worden
ist. Herausgegeben wird die Handreichung von der Deutschen Bischofskonferenz,
der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) und der Arbeitsgemeinschaft
Christlicher Kirchen in Deutschland (ACK).
Wie soll die letzte Phase des
Lebens gestaltet werden? Niemand kann voraussehen, wann und auf welche Weise
das Leben zu Ende geht. Möglich ist aber eine Vorsorge im Hinblick auf die
eigenen Vorstellungen und Wünsche für die Behandlung in schwerster Krankheit
und im Sterben. Dafür ist es erforderlich, sich rechtzeitig mit möglichen
Handlungsoptionen auseinanderzusetzen. Vor allem sollte sichergestellt sein,
dass diejenigen, die einen Menschen begleiten und behandeln, dessen
Vorstellungen, Behandlungswünsche und Verfügungen kennen. Nicht zuletzt muss
klar sein, wer die Vollmacht hat, die eigenen Interessen zu vertreten, wenn man
dazu selbst nicht mehr in der Lage ist. Die Handreichung zur Christlichen
Patientenvorsorge bietet christlich-ethische Orientierung und stellt Formulare
zur Verfügung, um eine Vorsorgevollmacht, eine Betreuungsverfügung und eine
Patientenverfügung auszufertigen sowie Behandlungswünsche zu dokumentieren.
Erforderlich wurde die
Neufassung vor allem aufgrund von Veränderungen im Bereich der Gesetzgebung.
Formulare aus älteren Auflagen, die schon zu einem früheren Zeitpunkt verwendet
wurden, verlieren aber nicht ihre Rechtsgültigkeit. Es wird allerdings empfohlen,
die eigenen Festlegungen in regelmäßigen Abständen zu überprüfen und
gegebenenfalls an veränderte Wünsche anzupassen.
Im Geleitwort zur
Christlichen Patientenvorsorge schreiben der Vorsitzende der Deutschen
Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, die Ratsvorsitzende der EKD,
Bischöfin Kirsten Fehrs, und der Vorsitzende der ACK, Reverend Christopher
Easthill: „Der tragende Grund für die Überlegungen dieser Handreichung
Christliche Patientenvorsorge ist der christliche Glaube, der sich mit der
Hoffnung verbindet, dass Gottes Liebe größer ist – größer auch als alles Leiden
und Sterben – und dass Gott in Christus neues Leben schenkt.“Hinweis. Die
Christliche Patientenvorsorge kann unter www.dbk.de in der Rubrik Publikationen
als Broschüre bestellt oder als PDF-Datei heruntergeladen werden. dbk 29
Katholischer Monat der Weltmission
eröffnet
Der Essener Bischof
Franz-Josef Overbeck hat mit einem Gottesdienst den katholischen Monat der
Weltmission in Deutschland eingeläutet. Dabei rief er am Sonntag zur
Verteidigung von Menschenwürde und Demokratie weltweit auf. Der Monat der
Weltmission ist nach Angaben seiner Organisatoren von missio Aachen und missio
München die weltweit größte katholische Solidaritätsaktion.
Die vom katholischen
Hilfswerk missio organisierte Solidaritätsaktion soll in diesem Jahr besonders
zwei Ländern in Asien zugutekommen: dem von Krieg und Erdbeben erschütterten
Myanmar und den Philippinen. Der Monat endet mit einer Kollekte am Weltmissionssonntag
(26. Oktober).
Christen hätten die Aufgabe,
Hoffnung zu vermitteln in einer Welt von Krisen und Konflikten, betonte der
Essener Bischof. Eindringlich rief er dazu auf, Demokratie und
Rechtsstaatlichkeit zu schützen: „Es ist ein hohes Gut." Die Gäste aus
Myanmar wüssten, was ein Fehlen von Gerechtigkeit und Rechtsstaatlichkeit
bedeute. Die Menschheit lebe in gefährlichen Zeiten, in denen die Möglichkeit
groß sei, falsch abzubiegen. In Deutschland sei das schon einmal geschehen –
„mit horrenden Folgen", fügte Overbeck unter Anspielung auf die Zeit des
Nationalsozialismus' und des Zweiten Weltkriegs hervor.
Die Solidaritätsaktion steht
in diesem Jahr unter dem Leitwort „Hoffnung lässt nicht zugrunde gehen".
Am finalen Weltmissionssonntag am 26. Oktober sammeln mehr als 100 päpstliche
Missionswerke auf allen Kontinenten für die soziale und pastorale Arbeit der
Kirche in den 1.100 ärmsten Bistümern der Welt. Die Spenden kommen unter
anderem den dort arbeitenden Seelsorgerinnen und Seelsorgern zugute. In
Deutschland weiten die internationalen katholischen Hilfswerke missio Aachen
und missio München die Aktion zu einem Monat der Weltmission aus. (kna 28)
Leo an Katecheten: Wort Gottes so
verkünden, dass es beim Leben hilft
Papst Leo hat Katecheten und
Katechetinnen aus aller Welt daran erinnert, dass sie nicht einfach Lehrstoff
vermitteln, sondern das Wort Gottes so verkünden sollen, dass es Gläubigen im
Leben hilft. Das sagte Leo XIV. in der Predigt bei der Jubiläumsmesse für die
Katecheten an diesem Sonntag in Rom.
„Wenn wir im Glauben erziehen, vermitteln wir
nicht einfach eine Lektion, sondern legen das Wort des Lebens in die Herzen der
Menschen, damit es in einem guten Leben Frucht bringen kann“, erklärte das
Kirchenoberhaupt in seiner Predigt auf dem Petersplatz. Leo erinnerte an den
heiligen Augustinus, der einem Katecheten geraten habe: „Erkläre alles so, dass
die, die dir zuhören, glauben, im Glauben hoffen und in der Hoffnung lieben
können.“
„Menschen des Wortes, eines
Wortes, das sie mit ihrem Leben aussprechen“
Katecheten seien „Menschen
des Wortes, eines Wortes, das sie mit ihrem Leben aussprechen“, hob der Papst
hervor. Der Begriff gehe auf das griechische „kat?chein“ zurück und bedeute
„durch das Wort belehren“. Erste Katecheten seien die Eltern, die ihre Kinder
ins Sprechen einführten. Glaube werde zunächst wie eine Muttersprache zu Hause
gelernt, nicht durch Delegation an andere. Zugleich hätten Katecheten und
Katechetinnen die bedeutende Aufgabe, Menschen jeden Alters zu begleiten. Als
Stütze empfahl Leo den Katechismus: Er sei das „Reiseinstrument“, das „vor
Individualismus und Zwietracht schützt, weil er den Glauben der gesamten
katholischen Kirche bezeugt“.
Als die zentrale
Glaubenswahrheit, die es zu verkünden gelte, bezeichnete der Papst die
Auferstehung Jesu. „Das Evangelium sagt uns, dass sich das Leben eines jeden
Menschen ändern kann, weil Christus von den Toten auferstanden ist“, so der
Papst. Dieses Ereignis sei die rettende Wahrheit und müsse deshalb nicht nur
erkannt und verkündet, sondern auch geliebt werden: „Es ist diese Liebe, die
uns das Evangelium verstehen lässt, weil sie uns verwandelt, indem sie unsere
Herzen für das Wort Gottes und das Antlitz unseres Nächsten öffnet.“
Feierliche Beauftragung durch
den Papst
Nach der Predigt traten 39
Katecheten und Katechetinnen aus verschiedenen Erdteilen vor, die in dieser
Feier vom Papst ihre Beauftragung erhielten. Einige trugen die traditionelle
Festkleidung ihrer Länder, darunter Korea, Mexiko und Mosambik; auch eine Frau
als den Vereinigten Arabischen Emiraten war unter den Kandidaten. Leo
überreichte jedem ein Kruzifix, das sie an ihren Verkündigungsauftrag erinnern
soll.
Neues Dienstamt 2021
eingeführt
Leos Vorgänger Papst
Franziskus hatte das Amt des Katecheten 2021 eingeführt. Er verfügte, dass die
Kandidaten und Kandidatinnen eine biblische, theologische, pastorale und
pädagogische Ausbildung erhalten und als treue Mitarbeiter der Priester und
Diakone wirken sollen. Für das Dienstamt in Frage kommen Männer und Frauen mit
tiefem Glauben und menschlicher Reife, die bereits Erfahrung in der Katechese
gesammelt haben und am Leben der Gemeinde aktiv teilnehmen.
Als Konzelebranten für die
Heilig-Jahr-Messe der Katecheten wirkten Erzbischof Rino Fisichella,
Pro-Präfekt am Dikasterium für die Evangelisierung, sowie der deutsche Bischof
Franz-Peter Tebartz-van Elst, der an derselben Behörde als Delegat für Katechese
wirkt. Etwa 45.000 Menschen feierten den Gottesdienst auf dem Petersplatz mit.
(vn 28)
Jahrestagung der
Görres-Gesellschaft in Mannheim. „Kanon und Diskurs“
Die Jahrestagung der Görres-Gesellschaft
ist heute (28. September 2025) zu Ende gegangen. Sie fand seit Freitag auf
Einladung der Universität Mannheim unter dem Thema „Kanon und Diskurs“ statt.
Dabei ging es vor allem um die aktuelle gesellschaftliche Debatte angesichts
der Verengung von Diskursräumen und die Frage, ob es überhaupt (noch)
möglich ist, sich auf wissenschaftliche Standards wie die Bildung eines
„Kanons“ zu verständigen. An der Tagung nahmen rund 300 Wissenschaftlerinnen
und Wissenschaftler aus 20 verschiedenen Disziplinen unter einem Angebot von 80
Vorträgen teil.
Beim heutigen Festakt in der
Aula der Universität sprach der Soziologe Prof. Dr. Heinz Bude zum Thema „Kanon
und Diskurs in der multipolaren Welt“. Er warf die Frage auf, welche Rolle
Europa angesichts des Hegemoniekonflikts zwischen den USA und China spielen
könnte. Seine Antwort lautete: „Im Herkommen Europas wird dem Rätsel des
Individuums ein Sinn gegeben. Darauf gründet der Kanon dieses imaginären
Kontinents und das hält seine Diskurse in Bewegung.“
Dem Festakt vorausgegangen
war ein Gottesdienst in der Mannheimer Jesuitenkirche, den Weihbischof DDr.
Christian Würtz (Freiburg) feierte. Er betonte, dass das Thema der
Görres-Jahrestagung auch die Theologie herausfordere: „Was gehört zum Kanon,
was ist Maßstab, Richtschnur, unveränderliches Dogma? Und wie gelingt es uns
darüber innerhalb der Theologie zu einem fruchtbaren Dialog zu kommen, der uns
das, was im Kanon festgelegt ist, besser verstehen lässt, der uns tiefer in ihn
hineinführt. Und wie gelingt es uns, auch in die Gesellschaft, außerhalb des
kirchlichen Binnenraums in einen Diskurs zu kommen über die Fragen der Religion
und unseres Glaubens?“, so Weihbischof Würtz. Er fügte hinzu: „Weder der
Diskurs noch der Kanon können den ganzen Raum der Wirklichkeit füllen. Es
braucht beides, die Tiefe und die Weite, die sich gegenseitig ergänzen und
befruchten, um so zur Fülle, zur Gänze zu kommen. Was uns Bischöfe bei allem
Ringen um den richtigen Weg für die Kirche in Deutschland, was uns bei allen
Meinungsverschiedenheiten, bei allem Diskurs eint, ist der Glaube an einen
personalen Gott, der mit uns Menschen in Beziehung getreten ist. Unüberbietbar
ist das geschehen in der Menschwerdung seines Sohnes Jesus Christus, der uns am
Kreuz erlöst hat. Das ist der Kanon, der ja auch vor genau 1700 Jahren im
Glaubensbekenntnis von Nizäa formuliert und dogmatisiert worden ist.“
Der Präsident der
Görres-Gesellschaft, Professor Dr. Bernd Engler, erläuterte: „Mit dem Thema
‚Kanon und Diskurs“ adressiert die Görres-Gesellschaft eine Perspektive, die
zunächst im binnenwissenschaftlichen Diskurs von großer Relevanz ist, letztlich
aber wissenschaftsgeschichtlich eine bedeutende Rolle spielt, da Wissenschaft
immer auch von der wechselnden Kanonisierung bestimmter Theorien und als
jeweils gültiger ‚Standard‘ definierter Werke oder Personen bestimmt ist. Gibt
es aber angesichts einer zunehmenden Unübersichtlichkeit wissenschaftlicher
Disziplinen überhaupt noch Standardwerke oder bedeutende Wissenschaftlerinnen
und Wissenschaftler, auf die sich die Disziplinen als maßgeblich für ihr Fach
einigen können?“ Eine wesentliche Frage sei, was es für die Wissenschaft
bedeute, wenn eine Kanonbildung ausbleibe oder unmöglich gemacht werde.
Professor Engler: „Gefährdet dies nicht letztlich die Diskursfähigkeit von
Wissenschaft, wenn sie ihre eigenen Grundlagen gar grundsätzlich in Frage
stellt? Im Hinblick auf die gesellschaftliche Relevanz von Wissenschaft stellt
sich damit aber auch eine viel weitergehende Frage: Was bedeutet es für
gesellschaftliche Debatten, wenn ihre Diskursräume immer weiter verengt werden?
Geht damit nicht wissenschaftliche – und in Konsequenz gesellschaftliche –
Orientierung verloren?“
Einige Beispiele aus dem
Tagungsprogramm illustrieren dies: Die philosophische Sektion befasste sich mit
der Frage, „wie die Philosophie exklusiv „europäisch“ wurde“. In der Pädagogik
wurde unter dem Titel „Rauschen im Blätterwald?“ nach den Bildungskanon-Debatten
in Geschichte und Gegenwart gefragt. Die Geschichtswissenschaften warfen einen
kritischen Blick auf die Agenda der „kanonischen Themen des Postkolonialismus“.
Spannend war die Sektionsveranstaltung der Altertumswissenschaften, wo z.B.
über „Büchervernichtung, Kanon und Diskurs als spätantike Formen der Zensur“
diskutiert wurde, während die Neuphilologien ihre Sitzung unter das Thema
„Kanon MACHT Diskurs“ stellen. Die Religionswissenschaften schließlich
untersuchten u.a. „Kanonbildung“ in den Weltreligionen, und in der
Kunstgeschichte wurde die Kanonisierung an Beispielen aus dem Mannheimer
Schloss untersucht. Darüber hinaus beschäftigte sich die rechts- und
staatswissenschaftliche Sektion mit der „Verfassungsordnung im
Verteidigungsfall", die Politikwissenschaft zusammen mit den
Wirtschaftswissenschaften mit den Herausforderungen für die Demokratie.
Auch bei dieser Jahrestagung
galt das besondere Augenmerk den zahlreichen Nachwuchswissenschaftlerinnen und
-wissenschaftlern, die in Mannheim teilnahmen. Das eigens für diese Gruppe ins
Leben gerufene „Junge Forum der Görres-Gesellschaft“ bot die Möglichkeit, sich
zu vernetzen und eigene Akzente zu setzen.Hinweise. Die Predigt von Weihbischof
DDr. Christian Würtz finden Sie zum Download unter dem untenstehenden Link. Die
Zitate dieser Pressemitteilung sind seiner Einführung entnommen. Weitere
Informationen zur Görres-Gesellschaft finden Sie unter
www.goerres-gesellschaft.de db 28
Papst: Unfehlbarkeit des
Gottesvolkes findet Ausdruck im Papstamt
Papst Leo XIV. hat die
Gläubigen an die enge Verbindung von Glaubenssinn des Volkes und Lehramt
erinnert. Die „Unfehlbarkeit des Gottesvolkes in Glaubensdingen“ finde ihren
Ausdruck in der Unfehlbarkeit des Papstes, erklärte der Papst
Heilig-Jahr-Pilgern bei der Generalaudienz an diesem Samstag in Rom. Damit
knüpfte Leo an Aussagen seines Vorgängers Franziskus zum „sensus fidei“ an, hob
jedoch stärker die Rückbindung an das Papstamt hervor.
Glaubenssinn ist dem Papst
zufolge ein „sechster Sinn“ einfacher Menschen für die Dinge Gottes. Dieses
„Spüren“ sei „eine Bewegung des Geistes, eine Weisheit des Herzens, die Jesus
vor allem in den ,Kleinen´ erkannt habe, also in „den Menschen mit demütigem
Herzen“, so Leo. „Gelehrte Menschen hören meist nicht auf ihr Gespür, weil sie
glauben, ohnehin schon alles zu wissen. Dabei ist es so schön, im Kopf und im
Herzen noch Raum zu haben, damit Gott sich offenbaren kann. Wie viel Hoffnung
entsteht, wenn neue Intuitionen im Volk Gottes aufkommen!“ In dieser Intuition
liege die „Unfehlbarkeit des Gottesvolkes in Glaubensdingen, deren Ausdruck und
Dienst die Unfehlbarkeit des Papstes ist“, erklärte Leo unter Verweis auf das
Zweite Vatikanische Konzil.
Als Beispiel für den
„Spürsinn“ des Gottesvolkes verwies der Papst an die Wahl des heiligen
Ambrosius zum Bischof von Mailand im vierten Jahrhundert. Damals sei die Kirche
Mailands gespalten gewesen. Der Gouverneur Ambrosius habe durch Vermittlung den
Tumult besänftigt. Ein Kind habe dann ausgerufen: „Ambrosius Bischof!“ und das
Volk habe den Ruf sofort aufgegriffen. Obwohl Ambrosius noch nicht einmal
getauft, sondern erst Katechumene war, habe ihn die Gemeinde gewählt. „So bekam
die Kirche einen ihrer größten Bischöfe, und einen Kirchenlehrer“, erklärte
Leo.
„Bist du eine Mutter, ein
Vater? Werde Christ als Mutter und Vater“
Ambrosius habe sich zunächst
verweigert und sei geflohen, doch schließlich den Ruf Gottes erkannt. „So wurde
er Christ, indem er Bischof wurde“, betonte Leo XIV. Der Papst erklärte weiter:
„Seht ihr, welch großes Geschenk die ‚Kleinen‘ der Kirche gemacht haben?“ Auch
heute müsse jeder Christ seinen Glauben in der eigenen Berufung leben: „Bist du
eine Mutter, ein Vater? Werde Christ als Mutter und Vater. Bist du ein
Unternehmer, Arbeiter, Lehrer, ein Priester oder eine Ordensfrau? Werde Christ
auf deinem Weg.“
Der Papst verwies auf die
bleibende Wirkung des heiligen Ambrosius. Dieser habe neue Formen des
Psalmengesangs, der Liturgie und der Predigt entwickelt. So sei auch Augustinus
bekehrt und von Ambrosius getauft worden. „Intuition ist eine Form der Hoffnung,
das dürfen wir nicht vergessen“, sagte Leo XIV.
Zum Abschluss betonte der
Papst, Gott lasse die Kirche durch Intuition und das Gespür der „Kleinen“
voranschreiten. „Möge uns das Heilige Jahr helfen, im Sinne des Evangeliums
‚klein‘ zu werden, damit wir die Träume Gottes erkennen und ihnen dienen.“
Zur Generalaudienz waren
35.000 Pilger und Pilgerinnen gekommen. Viele von ihnen sind an diesem
Wochenende zum Jubiläum für die Katechisten in Rom. Papst Leo feiert am
Sonntagmorgen mit ihnen die Heilige Messe. (vn 27)
Jesuit sieht Judentum als Schlüssel
des Christseins
Für den Schweizer Jesuiten
und Judaisten Christian Rutishauser ist das Judentum ein essentieller Teil des
Christseins. Dies anzuerkennen reiche jedoch nicht, es brauche eine viel
tiefere Auseinandersetzung mit dem Fundament des christlichen Glaubens, meint
er. Forschung kann ein erster Schritt zum tieferen Verständnis sein.
Das Judentum ist untrennbar
mit dem christlichen Glauben verbunden, dennoch wäre es falsch zu denken, es
verstehen zu können, nur weil man das Alte Testament gelesen hat, sagt der
Schweizer Jesuit und Judaist Christian Rutishauser. Im Interview mit der Wiener
Kirchenzeitung „Der Sonntag“ unterstreicht er, dass für das Christsein die
Auseinandersetzung mit dem Judentum heute unerlässlich sei.
„Juden wollen in ihrem
Selbstverständnis wahrgenommen werden“
Das Judentum habe eine tiefe
und lange Tradition, „Juden wollen in ihrem Selbstverständnis wahrgenommen
werden“, betont der Jesuit und schlussfolgert, dass ein Verständnis des
Judentums und die Erneuerung des christlichen Glaubens Hand in Hand gingen. Oft
werde im kirchlichen Alltag die Beziehung zum Judentum vernachlässigt. „Es ist
nicht angekommen, dass das Judentum ein Querschnittsthema für das Christsein
darstellt“, dabei begegne man in jedem Evangelium und jedem Gottesdienst Juden,
so Rutishauser. „Jesus kommt aus einer jüdischen Familie; Maria war eine
jüdische Mutter, Mirjam; alle Jünger und auch Paulus sind Juden.“ Die
neutestamentlichen Schriften sind laut Rutishauser jüdisch-messianische Texte
ihrer Zeit. Christlich geworden seien sie erst im zweiten Jahrhundert, als
diese Texte zur christlichen Bibel zusammengestellt wurden.
„Jesus kommt aus einer
jüdischen Familie; Maria war eine jüdische Mutter, Mirjam; alle Jünger und auch
Paulus sind Juden“
Prozess muss weitergehen -
Lob für Nostra aetate
Die Forschung habe Enormes
geleistet, „sodass wir heute sehen, wie sich Judentum und Christentum erst in
einem jahrhundertelangen Prozess ausdifferenziert haben.“ Als ersten Schritt zu
einem tieferen Verständnis des Judentums nennt der Judaist das vierte Kapitel
der Konzilserklärung „Nostra aetate“, die vor 60 Jahren veröffentlicht wurde.
„Jeder Gläubige sollte diese Zeilen kennen. Sie sind die Magna Charta des
jüdisch-katholischen Dialogs“, so der Jesuit. Dort stehen bleiben dürfe man
trotzdem nicht, gerade in der Ausbildung von Seelsorgenden, Religionslehrern
und Religionslehrerinnen, Priestern und kirchlichen Mitarbeitern dürfe
Judaistik als Studienfach keine Randnotiz bleiben, schließlich sei die
Theologie in der Exegese und in der Gottesfrage nicht mehr wegzudenken.
„Jeder Gläubige sollte diese
Zeilen kennen. Sie sind die Magna Charta des jüdisch-katholischen Dialogs“
Ein Symposium zu dem Dokument
will mit Missverständnissen, problematischen Deutungen und negativen
Stereotypen in der katholischen Liturgie aufräumen. Unter dem Titel „Gepriesen
sei der G'tt Israels“ findet das zweitägige Treffen am 29. und 30. September in
Salzburg statt.
Schritt zur Erneuerung
Die Erklärung „Nostra aetate“
aus dem Jahr 1965 gilt als eine der wichtigsten Erklärungen des Zweiten
Vatikanischen Konzils. Sie ist Richtschnur im interreligiösen Dialog und bleibt
wegweisend für die Anerkennung anderer Religionen und deren Wahrheitsanspruch.
Vor allem der Islam und das Judentum spielen darin eine herausgehobene
Rolle. Die katholische Kirche sagt in dem Dokument zu, dass auch in
anderen Kirchen Wahrheit und Heil zu finden sind. (kap 26)
Bischöfe fordern sofortiges Ende
der Gewalt im Heiligen Land
Die Deutsche
Bischofskonferenz hat in einer Erklärung an diesem Donnerstag zum Gaza-Krieg
ein sofortiges Ende der Gewalt im Heiligen Land gefordert und zu einem
friedlichen Miteinander von Israelis und Palästinensern aufgerufen. Die
Erklärung trägt den Titel „Die Gewalt muss sofort enden! Friede für Israel und
Palästina!“. Die Bischöfe betonten darin ihre besondere Verantwortung zur
Solidarität mit dem jüdischen Volk und dem Staat Israel. Mario Galgano
Die Bischöfe verurteilten den
Terrorangriff der Hamas vom 7. Oktober 2023, der als „Anschlag auf das Leben
und die Würde des jüdischen Volkes und das Existenzrecht des Staates Israel“
gewertet wurde. Sie stellten klar: „Die Hamas, die sich der Auslöschung Israels
und der Tötung jüdischen Lebens verschrieben hat, setzte an diesem Tag ihre
menschenverachtende Ideologie in beispielloser Weise in die Tat um“.
Gleichzeitig wurde die palästinensische Zivilbevölkerung von der Verantwortung
für die Verbrechen der Hamas-Führung freigesprochen.
Völkerrechtliche Grenzen und
humanitäre Katastrophe
Während das Recht Israels auf
Selbstverteidigung „außer Frage“ stehe , unterliege es den „limitierenden
Vorgaben des Völkerrechts“. Die Bischöfe kritisierten die „ausschließlich auf
militärische Maßnahmen“ setzende Strategie der israelischen Regierung, die im
Gazastreifen „katastrophale Folgen“ habe. Laut der Erklärung sind über 60.000
Menschen ums Leben gekommen, und „ganze Gebiete des Küstenstreifens liegen in
Trümmern“. Besonders besorgniserregend sei die Blockade humanitärer Hilfe, die
die Not verschärfe und mehr als zwei Millionen Menschen von akutem Hunger
bedrohe. Die Bischöfe forderten daher „den ungehinderten Zugang zu wirksamer
humanitärer Hilfe im Gazastreifen. Jede Verzögerung kostet Menschenleben“.
Kritik an Fundamentalismus
und Antisemitismus
Die Erklärung wies
entschieden religiöse Ideologien in der Politik zurück, die den Konflikt um
Land und Sicherheit unlösbar machen. Die Hamas verknüpfe den palästinensischen
Befreiungskampf mit einer islamistischen Agenda, während jüdische
Fundamentalisten in Israel das Konzept eines „Großisraels“ verfolgten und einem
souveränen palästinensischen Staat das Existenzrecht absprächen. Die Bischöfe
verurteilten auch die Gewalt radikaler Siedler gegen palästinensische Dörfer im
Westjordanland „nachdrücklich“.
Gleichzeitig verurteilten sie
den weltweit zunehmenden israelbezogenen Antisemitismus, bei dem Juden pauschal
für die israelische Regierungspolitik verantwortlich gemacht würden. Aus Sicht
der Kirche stehe fest: „Antisemitismus und Judenhass… sind in jeglicher Form
und in jedem Kontext strikt zu verurteilen“. Das Wachstum der Feindseligkeit
gegen Juden in Deutschland sei „eine Schande für unser Land“.
Aufruf zu Frieden und
Versöhnung
Die Bischofskonferenz
bekräftigte, dass Waffengewalt niemals zu Frieden führe. Vielmehr müsse eine
politische Lösung gefunden werden, die die Interessen beider Völker
gleichermaßen achtet. „Dauerhafter Friede kann vielmehr nur dort entstehen, wo
beide Völker Sicherheit, Würde und eine Zukunftsperspektive finden“. Die
Bischöfe appellierten an die internationale Gemeinschaft, eine friedliche
Koexistenz zu fördern.
„Hoffnung auf Frieden in
Israel und Palästina mutet derzeit fast illusionär an“, heißt es in der
Erklärung. Dennoch dürfe man sich die Hoffnung nicht nehmen lassen, so die
Bischöfe und verwiesen auf die deutsch-polnische Erfahrung der Versöhnung. Sie
nannten auch die Hoffnungsträger, „dass sich die Kirchen in Gaza... weiterhin
um die Opfer kümmern und gemeinsame Gruppen von Israelis und Palästinensern
nicht davon ablassen, sich für Aussöhnung zu engagieren“. (dbk 25)
Deutsche Bischofskonferenz:
Säkularität, Missbrauch und Sicherheit im Fokus
Die Deutsche
Bischofskonferenz hat am Mittwoch ihre Herbst-Vollversammlung in Fulda
abgeschlossen. Im Pressebericht des Vorsitzenden, Bischof Georg Bätzing,
standen die Reflexion über das neue Pontifikat von Papst Leo XIV., die
Aufarbeitung von sexuellem Missbrauch und die Auseinandersetzung mit den
Herausforderungen einer säkularen Gesellschaft im Mittelpunkt. Bei der
Abschlusspressekonferenz am Donnerstag wurden die wichtigsten Themen erläutert.
Von Mario Galgano
Ein zentrales Thema war die
Wahl des neuen Papstes Leo XIV.. Bischof Bätzing berichtete von einem Brief der
Vollversammlung an den neuen Papst, in dem die Dankbarkeit für die Annahme des
Amtes ausgedrückt wurde. In seinem Grußwort hob der päpstliche Nuntius in
Deutschland die friedenspolitischen Aussagen und die ökumenischen Impulse des
neuen Papstes hervor. Besonders betonte er ein Zitat des heiligen Irenäus, das
Leo XIV. verwendet habe: Intelligenz sei nicht dort, wo man trenne, sondern wo
man verbinde.
„Synodale Kirche sein“ und
die Aufarbeitung von Missbrauch
Die Bischöfe befassten sich
auch intensiv mit dem Reformprojekt Synodaler Weg. Sie diskutierten über die
Arbeit am Handlungstext „Gemeinsam beraten und entscheiden“ und den Entwurf
einer Satzung für die „Synodalkonferenz“. Bischof Bätzing wies dabei die Unterstellung
von „bischöflichem Ungehorsam“ gegenüber Rom im Zusammenhang mit dem
Dokument Fiducia supplicans zurück. Er stellte klar: „Aus den Aussagen von
Papst Leo XIV. zu Fiducia supplicans den Sachverhalt eines ‚bischöflichen
Ungehorsams‘ seitens der deutschen Bischöfe konstruieren zu wollen, ist
schlichtweg absurd“. Er betonte, dass die in Deutschland erstellte Handreichung
„Segen gibt der Liebe Kraft“ eine pastorale Konkretisierung in Rücksprache mit
Rom sei und die Bischöfe bewusst keine liturgischen Formulare veröffentlicht
hätten.
Im Bereich der
Missbrauchsaufarbeitung wurde die Verlängerung der Interventionsordnung und der
Rahmenordnung Prävention bis Ende 2026 beschlossen, um eine umfassende
Evaluation auf belastbarer Datengrundlage zu gewährleisten. Die Bischöfe
erkennen die Arbeit der Unabhängigen Kommission für Anerkennungsleistungen
(UKA) an. Seit dem Start der UKA am 1. Januar 2021 wurden bis Ende 2024
insgesamt 76.665.300 Euro an Anerkennungsleistungen ausgezahlt.
Herausforderungen in einer
säkularen Welt
Ein Studientag widmete sich
der „Sendung der Kirche inmitten einer säkularen Gesellschaft“. Basierend auf
der Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung (KMU) wurde festgestellt, dass der
christliche Glaube „spürbaren Erosionsprozessen“ unterworfen ist. Die Bischöfe
reflektierten, wie die Kirche ihren Sendungsauftrag in einer mehrheitlich
säkularen Gesellschaft neu definieren kann. Professor Tomáš Halík aus Prag
bezeichnete die Säkularisierung als „Prozess, der zur Reinigung und Läuterung
führen kann“ und als „Gabe und Aufgabe, die Gott der Kirche aufgibt“.
Die Vollversammlung
reflektierte auch über das pastorale Handeln in der Corona-Pandemie. Die Studie
„CONTOC“ (Churches Online in Times of Corona) zeigte, dass die Pandemie die
Digitalkompetenz in der Pastoral beschleunigt hat. Drei Viertel der befragten Seelsorgenden
sehen in der Digitalisierung „eher Chancen als Risiken“.
Gedenken an deutsch-polnische
Versöhnung und aktuelle Krisen
Anlässlich des 60. Jubiläums
des historischen Briefwechsels zwischen den polnischen und deutschen Bischöfen
im Jahr 1965 wurde über die Bedeutung der Versöhnung diskutiert. Der Brief der
polnischen Bischöfe enthielt das unvergessliche Wort „Wir vergeben und bitten
um Vergebung“. Am 18. November 2025 ist eine Begegnung von polnischen und
deutschen Bischöfen in Breslau geplant, um dieses Ereignis zu würdigen und eine
gemeinsame Erklärung zu verabschieden.
Die Bischofskonferenz
befasste sich auch mit der Sicherheitslage in Deutschland. Sie sehen die
Stärkung der Verteidigungsfähigkeit als notwendig an, stehen aber der
Wiedereinführung der allgemeinen Wehrpflicht skeptisch gegenüber. Sie betonen
das Prinzip: „Freiwilligkeit geht vor Pflicht“. Statt einer Dienstpflicht
bevorzugen die Bischöfe eine umfassende Stärkung der Freiwilligendienste.
In einer Erklärung zur
Situation im Nahen Osten verurteilten die Bischöfe den „Anschlag auf das Leben
und die Würde des jüdischen Volkes und das Existenzrecht des Staates Israel“ am
7. Oktober 2023. Gleichzeitig forderten sie, gemeinsam mit Papst Leo XIV., ein
„sofortiges Ende der militärischen Auseinandersetzungen im Heiligen Land“. Der
Titel der Erklärung fasst die Haltung zusammen: „Die Gewalt muss sofort enden!
Friede für Israel und Palästina!“. Weiterhin heißt es: „Antisemitismus und
Judenhass… sind in jeglicher Form und in jedem Kontext strikt zu verurteilen“.
(vn 25)
10 Jahre nach „Wir schaffen das“:
Kirche zieht Bilanz der Flüchtlingshilfe
Zehn Jahre nach Angela
Merkels historischem Satz „Wir schaffen das“ hat die katholische Kirche in
Deutschland bei ihrer Herbst-Vollversammlung in Fulda eine umfassende Bilanz
ihrer Flüchtlingshilfe gezogen. Wie Erzbischof Stefan Heße, Sonderbeauftragter
der Deutschen Bischofskonferenz, in einem Pressegespräch erklärte, hat die
Kirche seit 2015 mindestens 1,1 Milliarden Euro für Schutzsuchende aufgewendet.
Mario Galgano - Vatikanstadt
Das Engagement sei getragen
von der christlichen Botschaft. Erzbischof Stefan Heße erinnerte an ein Zitat
von Papst Franziskus aus dem Jahr 2015: „Die christliche Hoffnung ist
kämpferisch.“ Und er betonte: „Angesichts der Tragödie zehntausender Flüchtlinge,
die vor dem Tod durch Krieg und Hunger fliehen (...) ruft uns das Evangelium
auf, ja es verlangt geradezu von uns, ‚Nächste‘ der Geringsten und Verlassenen
zu sein.“
Globale Realität und
europäische Politik
Andreas Frick,
Hauptgeschäftsführer des Hilfswerks Misereor, betonte, dass 2015 zwar für
Deutschland eine Zäsur gewesen sei, für die meisten Regionen der Welt jedoch
„ein Jahr wie viele andere“. Er kritisierte, dass die internationale
Gemeinschaft in den Jahren zuvor weggeschaut habe, als die Krisen in Syrien und
im Irak eskalierten. „Wir sehen noch zu wenig, dass die Nachbarländer in den
Krisenregionen Großes geleistet haben und immer noch leisten“, so Frick. Er
wies darauf hin, dass zwei von drei Vertriebenen in ihren Heimat- oder
Nachbarländern Zuflucht fänden.
Misereor unterstütze dort
Hunderte von Projekten. Frick nannte konkrete Beispiele der Flüchtlingshilfe
auch in anderen Weltregionen: Im Libanon finanziere Misereor
Bildungseinrichtungen für Flüchtlingskinder, in Bangladesch gebe es
Berufsbildungsmaßnahmen und im Kongo sorge man für psychosoziale Versorgung von
Vertriebenen.
„Die europäischen Grenzen
sind bis heute mit die tödlichsten weltweit.“
Gleichzeitig verurteilte
Frick die zunehmende Abschottung Europas: „Die europäischen Grenzen sind bis
heute mit die tödlichsten weltweit.“ Er kritisierte, dass die EU mit
Millionenbeträgen Autokraten zu „Türstehern Europas“ mache. Anstatt sich für
Menschenrechte und humanitäres Recht einzusetzen, werde sogar darüber
nachgedacht, Migranten in Kriegsregionen wie Ruanda auszufliegen. Frick warnte
zudem, dass das individuelle Recht auf Asyl infrage gestellt werde, das ein
Kernprinzip der deutschen Demokratie sei.
„Wir schaffen das“ als
Auftrag an Staat und Gesellschaft
Auch Hannes Schammann,
Professor für Politikwissenschaft und Mitglied im Sachverständigenrat für
Integration und Migration, ordnete Merkels Satz aus der Sicht der
Migrationspolitik ein. Er betonte, dass der Ausdruck weniger eine Feststellung
als vielmehr „ein Wunsch und eine Aufforderung“ gewesen sei. „‚Wir schaffen
das‘ bezog sich vor allem auf die unmittelbare Herausforderung der Aufnahme,
das heißt der Unterbringung und Versorgung“, so Schammann. Eine nachhaltige
Integration erfordere jedoch „einen langen Atem“.
Schammann sieht in der
Flüchtlingshilfe der Kirchen eine doppelte Rolle. Zum einen seien sie „ein
Faktor für gesellschaftliche Resilienz“, da sie in Krisenzeiten Orte und
professionelle Begleitung für Freiwillige zur Verfügung stellen. Er warnte
davor, dass der Staat aus Angst vor Legitimitätsverlust die Zivilgesellschaft
ausbremsen könnte. Zum anderen seien die Kirchen ein „moralischer Fixstern in
der Debatte“. In von „Panik getriebenen Migrationsdebatten“ sei es ihre
Aufgabe, beharrlich die Frage nach dem moralischen Kompass zu stellen und das
Wertefundament des Handelns zu verteidigen.
Einblicke aus der Praxis:
„Wir haben trotz aller Kritik etwas erreicht“
Die Perspektive aus der
Praxis lieferte Monika Schwenke, Migrationsbeauftragte im Bistum Magdeburg. Sie
gab zu, dass sie den Satz von Angela Merkel 2015 „auch so gesagt“ hätte, da sie
„mit Vertrauen in unsere Sozialsysteme, in die Zivilgesellschaft und in die
Kraft der kirchlichen Gemeinden und Institutionen“ davon ausgegangen sei, dass
die Aufgabe zu bewältigen sei. Sie sei jedoch überrascht gewesen von den
tatsächlichen Herausforderungen, wie dem Mangel an Unterkünften und Personal in
den Behörden.
„Wir haben trotz aller auch
angemessener Kritik etwas erreicht.“
Trotzdem zieht Schwenke eine
positive Bilanz: „Wir haben trotz aller auch angemessener Kritik etwas
erreicht.“ Sie verwies auf unzählige Ehrenamtliche, die sich in
Kirchengemeinden engagiert haben. Als Beispiele aus dem Bistum Magdeburg nannte
sie die Malteser, die als Schulbegleiter fungieren, die Familienbildungsstätte
Naumburg mit einem festen Treffpunkt für Migrantinnen und die Caritas, die in
Erstaufnahmeeinrichtungen Lernwerkstätten für Kinder eingerichtet hat. Sie
betonte, dass Integration einen „langen Atem“ brauche und oft vier bis sieben
Jahre dauere, da die Menschen traumatische Erfahrungen verarbeitet hätten.
Bedeutendes Engagement im In-
und Ausland
Erzbischof Heße hob hervor,
dass etwa 60 Prozent der finanziellen Mittel für die internationale
Flüchtlingshilfe verwendet wurden, da die Mehrheit der weltweit über 120
Millionen Geflüchteten in den Ländern des Globalen Südens Zuflucht finde. Er
bezeichnete die Solidarität der Kirche als grenzenlos und forderte, nicht die
Verhinderung von Migration, sondern die Bewältigung der Fluchtursachen in den
Fokus zu rücken.
Auch im Inland sei das
Engagement der Kirche vielfältig. Es reiche von materieller Hilfe und
psychosozialem Beistand bis hin zu Rechtsberatung, Integrationsförderung und
Seelsorge in den Muttersprachen. Allein im Jahr 2024 konnten rund 500.000
Geflüchtete in Deutschland durch die Dienste der katholischen Kirche erreicht
werden. Heße würdigte dabei das unverzichtbare Engagement der Ehrenamtlichen,
deren Zahl sich auf etwa 35.000 eingependelt habe.
Obwohl das kirchliche Handeln
bei 80 Prozent der Katholiken und 73 Prozent der Konfessionslosen Zuspruch
finde, beklagte Heße das rauer gewordene gesellschaftliche Klima. Er
kritisierte „polemische Debatten und flüchtlingspolitische
Unterbietungswettbewerbe“ und forderte, die Erfolge der Integration nicht
kleinzureden. Als Beleg dafür nannte er, dass ein beträchtlicher Teil der
syrischen Geflüchteten von 2015 mittlerweile erwerbstätig sei und über 200.000
die deutsche Staatsbürgerschaft erworben hätten.
Die Deutsche
Bischofskonferenz wolle das Engagement der vergangenen zehn Jahre besser
sichtbar machen. Dazu wurde eine Videodokumentation veröffentlicht. Darüber
hinaus findet im Vorfeld des Heiligen Jahres im Oktober eine „Woche der
katholischen Flüchtlingshilfe“ statt. Der Leitspruch der Kirche bleibe
unverändert: „An der Seite der Schutzsuchenden“. (dbk 24)
Bischöfe aus Italien, Slowenien und
Kroatien mit Appell für Frieden im Heiligen Land
Von der aktuellen
Kulturhauptstadt Europas Görz (Gorizia) aus haben Kirchenvertreter aus Italien,
Slowenien und Kroatien einen gemeinsamen Appell zu Frieden und Versöhnung
veröffentlicht. Der von den Vorsitzenden der Bischofskonferenzen, Kardinal
Matteo Zuppi (Italien), Bischof Andrej Saje (Slowenien) und Erzbischof Drazen
Kutlesa (Kroatien), unterzeichnete Aufruf wurde am Dienstagabend bei einer
Gebetsfeier mit jungen Menschen aus Italien und Slowenien von den Bischöfen
verlesen.
„80 Jahre nach dem Ende des
Zweiten Weltkriegs und in einer zunehmend von gewalttätigen Konflikten
zerrissenen Zeit erheben wir gemeinsam lautstark unseren Ruf nach
Frieden", heißt es in dem Appell. Ausdrücklich wird die Bedeutung
christlicher Gemeinschaften als Hoffnungsträger und Förderer der Versöhnung
betont. „Lasst uns gemeinsam Kraft, Mut und Entschlossenheit suchen, um jede
Spirale von Ressentiments und Gewalt zu durchbrechen." Die
Gebetsfeier bildete den Abschluss der dieswöchigen Tagung des Ständigen Rats
der Italienischen Bischofskonferenz (CEI), der auf Einladung des Görzer
Erzbischofs Carlo Redaelli in Gorizia und Nova Gorica stattfand. Die
Doppelstadt an der italienisch-slowenischen Grenze ist die erste
grenzüberschreitende Kulturhauptstadt Europas.
In der Botschaft erinnern die
Kirchen an die tragischen Kriegserfahrungen in der Region und heben die Rolle
des interkulturellen, ökumenischen und interreligiösen Dialogs hervor. Papst
Johannes Paul II. (1978-2005) habe Gorizia als „das Tor Italiens, das die
lateinische Welt mit der slawischen verbindet" bezeichnet. „Unser Gebet
geht von diesem Gebiet aus, erstreckt sich über den gesamten Balkan und weitet
sich aus, bis es das Heilige Land, die Ukraine und alle anderen vom Krieg
heimgesuchten Gebiete in einer einzigen Umarmung vereint", so der Appell
abschließend.
„Aus Gorizia, mit
seinen Wunden, aber auch mit seiner Geschichte und seiner Erfahrung, die
Grenzen zu Scharnieren und Mauern zu Brücken gemacht hat, rufen wir nach
Frieden", sagte Kardinal Zuppi bei der Feier. Frieden sei die
Voraussetzung und die Synthese menschlichen Zusammenlebens, so der Erzbischof
von Bologna: „Frieden ist möglich und er beginnt bei mir. Wir müssen den Mut
haben, Frieden zu schließen."
Zum Abschluss des Treffens
des Ständigen Rats kündigte Italiens Bischofskonferenz (CEI) diesen Mittwoch
an, Generalsekretär Giuseppe Baturi, Erzbischof von Cagliari, werde nach
Jerusalem reisen. Unter dem Titel „Friede sei im Heiligen Land“ wurde die
Abschlusserklärung veröffentlicht. Die Bischöfe fordern darin nachdrücklich,
dass „in Gaza jede Form von inakzeptabler Gewalt gegen ein ganzes Volk
eingestellt und die Geiseln freigelassen werden” und dass „das humanitäre
Völkerrecht respektiert wird, indem das erzwungene Exil der palästinensischen
Bevölkerung, die von der Offensive der israelischen Armee angegriffen und von
der Hamas bedrängt wird, beendet wird”.
2-Staaten-Lösung
In der Erklärung, die
Generalsekretär Baturi bei einer Online-Pressekonferenz verlas, wird erneut
bekräftigt, dass „die Perspektive von zwei Völkern, zwei Staaten der Weg zu
einer möglichen Zukunft bleibt”. Auch der Heilige Stuhl wirbt immer wieder für
eine 2-Staaten-Lösung. Darüber hinaus fordern die Bischöfe die italienische
Regierung und die europäischen Institutionen zu „konkreten Anstrengungen zur
Beendigung der Feindseligkeiten” auf.
Während der Pressekonferenz
kündigte Erzbischof Baturi außerdem an, dass die italienischen Bischöfe derzeit
ein Dokument zum Thema Friedenserziehung ausarbeiten: „Für uns bedeutet dies,
auf die Zeichen der Zeit und die Dynamik der Gegenwart zu achten, um sie
interpretieren und leben zu können, das Erbe unseres Glaubens wiederzugewinnen
und einige prophetische Zeugen des Friedens aufzuzeigen. Wir werden konkrete
Hinweise für ein Engagement des gesamten Episkopats geben.“
Italiens Bischöfe laden auch
alle ein, am von Papst Leo XIV. diesen Mittwoch für den 11. Oktober
angekündigten Rosenkranz für den Frieden teilzunehmen.
Synodalität
Mit Blick auf die
Bischofssynode zur Synodalität erinnerte Erzbischof Baturi daran, dass „nun ein
Synodendokument vorliegt, das am 25. Oktober zur Abstimmung vorgelegt werden
muss". Der nächste Schritt werde eine Diskussion im Hinblick auf den
Termin am 25. Oktober sein, „der nicht der letzte ist" , wie Erzbischof
Baturi präzisierte. Das Dokument werde gemäß der Vorschriften dann den
Bischöfen übergeben, damit sie ihm seine endgültige Form geben und die
gesammelten Vorschläge und Anregungen in Beschlüsse, Entscheidungen und
pastorale Vorschläge umsetzen können. Dies sei Aufgabe der Versammlung im
November 2025. (pm/kap/vn 24)
„Kirche muss ihren Platz in einer
säkularen Gesellschaft neu bestimmen“
Im Rahmen ihrer
Herbst-Vollversammlung hat die Deutsche Bischofskonferenz am Dienstag, 23.
September 2025, einen Studientag unter dem Titel „Die Sendung der Kirche
inmitten einer säkularen Gesellschaft“ abgehalten. Im Mittelpunkt stand die
Frage, wie die Kirche angesichts tiefgreifender gesellschaftlicher
Veränderungen ihre Rolle neu definieren kann. Mario Galgano
Grundlage der Beratungen
bildeten die Ergebnisse der sechsten Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung (KMU),
die 2023 veröffentlicht wurde und an der sich erstmals auch die katholische
Kirche beteiligt hat.
An dem Pressegespräch nahmen
Bischof Peter Kohlgraf (Mainz), Vorsitzender der Pastoralkommission der
Bischofskonferenz, sowie die Theologen Tomáš Halík (Prag), Jan Loffeld
(Utrecht) und Thomas Schärtl-Trendel (München) teil.
Zum Nachhören - über was die
deutschen Bischöfe beraten haben
Reformen allein reichen nicht
aus
Bischof Kohlgraf erinnerte
daran, dass die Untersuchung deutlich gemacht habe, „dass Reformen allein nicht
ausreichen“. Selbst wenn die Kirche alle Reformforderungen erfülle, würde das
„nicht automatisch dazu führen, dass sich die Kirchenbänke füllen, die
Taufzahlen steigen und die Kirchenaustritte zurückgehen“. Die Herausforderungen
reichten tiefer, betonte der Mainzer Bischof: „Auch die Religiosität im
Allgemeinen wie der christliche Glaube im Besonderen sind deutlichen
Erosionsprozessen unterworfen.“
Die KMU zeige, dass nur 13
Prozent der Bevölkerung – bei 46 Prozent Kirchenmitgliedern – noch eine
klassisch kirchlich geprägte Religiosität aufwiesen. Das sei, so Kohlgraf,
„eine deutliche Ansage an die Kirchen“. Deshalb dürfe man nicht in
„institutioneller Selbstbeschäftigung“ verharren, sondern müsse das Verhältnis
einer kleiner werdenden Kirche zur säkularen Gesellschaft neu bestimmen.
Kohlgraf nannte konkrete
Beispiele: Die hohe Akzeptanz des kirchlichen Engagements für Geflüchtete oder
die anhaltende Faszination für den Jakobsweg seien Chancen, um ins Gespräch zu
kommen. Entscheidend sei jedoch, ob in diesen Bereichen der „Spirit“ des
Glaubens erkennbar bleibe: „Lässt unser Einsatz für den Nächsten etwas
Tieferes, Höheres durchscheinen – oder laufen wir Gefahr, irgendwann
austauschbar zu werden?“
„Trauen wir uns, unsere
Botschaft ins Wort zu bringen?“
Auch die Spannung zwischen
Anpassung und Eigenprofil müsse die Kirche aushalten: „Trauen wir uns, unsere
Botschaft ins Wort zu bringen – und wenn es sein muss, auch in Gestalt des
Widerspruchs? Oder schwimmen wir angepasst im Mainstream mit?“
Die Diskussion sei, so der
Bischof, nicht nur für die Kirche, sondern auch für die Gesellschaft von
Bedeutung. Angesichts der Entkirchlichung stelle sich die Frage, inwieweit die
Kirchen weiterhin ihren Beitrag zur sozialen Infrastruktur und zur
Zivilgesellschaft leisten könnten. „Unsere Botschaft kann eine frohe und
tragende Botschaft sein. Wir möchten Anwälte für universale Werte der
Menschlichkeit sein in einer Zeit, in der gesellschaftliche und nationale
Partikularismen den Ton angeben“, erklärte Kohlgraf.
Die Reflexion knüpft auch an
historische Vorbilder an: Vor 50 Jahren veröffentlichte die Würzburger Synode
ihren Grundlagentext „Unsere Hoffnung“. Eine neue Standortbestimmung sei heute
notwendig, um in Krisen- und Umbruchszeiten Orientierung zu bieten.
Abwanderung ist ungebrochen
Einen grundlegenden
pastoraltheologischen Akzent setzte Professor Jan Loffeld von der Universität
Tilburg. Er erinnerte an die Pastoralkonstitution Gaudium et spes des Zweiten
Vatikanischen Konzils, die in diesem Jahr 60 Jahre alt wird, sowie an das Apostolische
Schreiben Evangelii nuntiandi von Paul VI. und das Synodendokument Unsere
Hoffnung von 1975. Schon damals sei vom „Bruch zwischen Evangelium und Kultur“
die Rede gewesen, so Loffeld. Heute zeigten die Daten der KMU, „dass beinahe
alle Methoden, Initiativen und Kampagnen der vergangenen Jahrzehnte den
Gesamttrend wenig beeinflusst haben“. Zwar hätten Reformen und pastorale
Aufbrüche das Abgleiten in sektiererische Formen verhindert, doch die
Abwanderung aus der Kirche sei ungebrochen.
Loffeld konstatierte
nüchtern: „Kirchenreformen – gerade im Hinblick auf die Betroffenen
sexualisierter Gewalt – sind absolut notwendig, aber allein nicht hinreichend.“
Eine besondere Herausforderung sei, dass eine theologische Grundannahme nicht
mehr selbstverständlich gelte: dass in jedem Menschen die Frage nach Gott
schlummere und es lediglich geeigneter Methoden bedürfe, sie zu wecken. „Von
dieser Annahme kann heute mit Blick auf die empirischen Daten nicht mehr
ausgegangen werden“, betonte Loffeld. Vielleicht sei zwar jeder Mensch religiös
disponiert, doch für das individuelle Lebensglück müsse dieses Potenzial nicht
aktiviert werden.
Daraus folge für die Kirche
eine zentrale Konsequenz: „Als Sakrament hat die Kirche zwei Dimensionen: die
vertikale, das Leben der Gemeinschaft mit Gott, und die horizontale, die
Einheit mit der Menschenfamilie. Wenn eine Dimension ausfällt, helfen keine
Marketingstrategien.“ Vielmehr müsse es darum gehen, beide Dimensionen neu in
den Mittelpunkt zu stellen: die Frage nach Gott intellektuell redlich und
lebensnah zu artikulieren und zugleich konkrete Hilfe zum Leben und zum Frieden
zu leisten – gerade für jene, die in einer neoliberalen Leistungsgesellschaft
unter Druck geraten. „Eine Kirche, die Sakrament ist, indem sie beide
Dimensionen auf synodale Weise lebt, wird ihren Platz inmitten der säkularen
Gesellschaft zum Wohl aller behalten und sich künftig als Minderheit inmitten
pluraler Lebensdeutungen verorten können“, sagte Loffeld.
Relevanz der Religion
Thomas Schärtl-Trendel,
Fundamentaltheologe an der Ludwig-Maximilians-Universität München, knüpfte
daran an und verwies auf die jüngst erschienene Studie des
US-Religionssoziologen Christian Smith (Why Religion Went Obsolete, Oxford
2025). Diese belege, dass die schwindende Relevanz von Religion in westlichen
Ländern Teil einer viel größeren Entwicklung sei. Kirchen würden aus ihren
„ökologischen Nischen“ verdrängt, da säkulare oder posthumanistische
Weltanschauungen vergleichbare Sinnangebote oft „kostengünstiger“
bereitstellten. Schärtl sprach von einem „Referenzproblem“ der Theologie: „Kann
ich Menschen ein implizites Ausgerichtetsein auf Gott überhaupt noch
unterstellen?“ Klassische transzendentaltheologische Ansätze stießen hier an
ihre Grenzen. Mit einem Bild aus der Phänomenologie erläuterte er: „Vielleicht
hat Gott immer schon angerufen – und es liegt an uns, die Manifestationen
dieses Angerufenhabens zu erkennen.“
Hintergrund
Der Studientag wurde von der
Bischofskonferenz als Teil einer vertieften Auseinandersetzung mit der KMU
organisiert. Neben Kohlgraf brachten auch die internationalen Experten Halík,
Loffeld und Schärtl-Trendel ihre Perspektiven ein. Ziel sei es, die pastorale
Sendung der Kirche in einer Gesellschaft neu zu bedenken, die mehrheitlich
säkular geprägt sei, aber dennoch von christlichen Traditionen durchzogen
bleibe. (dbk 23)
Laien weltweit vernetzt: Was die
deutsche Seelsorge beschäftigt
Im Schatten der Weltsynode
und im Geist einer zunehmend synodalen Kirche haben sich in diesen Tagen
Seelsorgerinnen und Seelsorger aus aller Welt in Rom versammelt. Beim „World
Meeting of Lay Ministers“ trafen sich rund 25 Teilnehmerinnen und Teilnehmer vor
Ort sowie über 30 digital zugeschaltete Kolleginnen und Kollegen, um die Rolle
Laien in der katholischen Kirche weltweit zu stärken. Zwei Gäste aus
Deutschland erläuterten gegenüber Radio Vatikan, was besprochen wurde. Mario
Galgano – Vatikanstadt
„Wir haben festgestellt, dass
es diese Vereinigung längerfristig und dauerhaft braucht“, erklärt Konstantin
Bischoff, Pastoralreferent im Erzbistum München und Freising und einer der
Initiatoren des Treffens. Bereits 2023, beim ersten Meeting parallel zur
Bischofssynode in Rom, sei der Grundstein gelegt worden: „Damals ist es uns
gelungen, Menschen aus vier Kontinenten und elf Nationen zusammenzubringen, von
Korea und den Philippinen bis nach Lateinamerika und die USA.“
Auch die Freiburger
Pastoralreferentin Isabelle Molz, die ebenfalls zum Vorbereitungsteam gehört,
betont den doppelten Schwerpunkt des Treffens: „Einerseits geht es darum, sich
inhaltlich einzubringen, etwa in die Dokumente der Synode. Andererseits ist es
entscheidend, sich international zu vernetzen, unterschiedliche Berufsbilder
wahrzunehmen und gemeinsam die Rolle der Laien in der Kirche
weiterzuentwickeln.“
Internationale Vielfalt –
gemeinsame Anliegen
Heute gehören zur Bewegung
mehrere tausend professionelle Laien in der Seelsorge weltweit. Die meisten
arbeiten in Nordamerika und im deutschsprachigen Raum, doch auch aus Ländern
wie Korea, Ghana, Nicaragua oder Chile gibt es Beteiligung. „Gerade in dem
Moment, wo Synodalität das große Stichwort wird, wollen wir bewusst zeigen,
dass gut ausgebildete Laien diese Haltung in der Kirche stärken können“, so
Bischoff.
Der Wechsel an der Spitze der
Kirche – von Papst Franziskus zu Papst Leo XIV. – hat dabei eher bestärkend
gewirkt. „Unsere Kolleginnen aus Asien haben mit Begeisterung aufgenommen, dass
ein international geprägter Papst die Synodalität weiterführt“, berichtet Molz.
Lernen im internationalen
Kontext
Für die deutschen
Teilnehmerinnen und Teilnehmer spielt der Vergleich zwischen dem Synodalen Weg
in Deutschland und den weltkirchlichen Prozessen eine zentrale Rolle.
„Synodalität ist vor allem eine Haltung, die die Kirche verändern muss. Wir
haben gerade aus dem asiatischen Raum methodisch viel gelernt, etwa durch die
‚Conversation in the Holy Spirit‘, die dort längst etabliert ist“, sagt
Bischoff.
Gleichzeitig gebe es auch ein
starkes Interesse anderer Länder am deutschen Weg – und viele Fragen. „Die
mediale Berichterstattung in Nordamerika zeichnet oft das Bild, dass der
deutsche Synodale Weg nicht katholisch sei. Umso wichtiger ist der persönliche
Austausch, denn da spüren wir ein großes Vertrauen in die Theologie aus
Deutschland“, betont Molz.
Wünsche für die Kirche der
Zukunft
Auf die Frage nach ihren
Hoffnungen für die Zukunft der Kirche antwortet Molz ohne Zögern: „Ich wünsche
mir Gerechtigkeit. Es darf keinen Unterschied mehr geben, der aufgrund des
Geschlechts gemacht wird, wenn die Ausbildung dieselbe ist – weder beim Zugang
zu Ämtern noch bei Leitungspositionen.“ Papst Leo XIV. hat erst jüngst in einem
Interview die Lehre der Kirche in dieser Frage insofern bekräftigt, dass er in
der Frage der Frauenweihe keinen Handlungsbedarf sehe. In seinem Schreiben
Ordinatio Sacerdotalis hatte Johannes Paul II. 1994 lehramtlich konkret
festgehalten, dass die Weihe nur Männern vorbehalten sei. Seit einigen Jahren
ringen Theologen aber verstärkt um die Frage nach dem Diakonat der Frau, die
nach wie vor untersucht wird.
Bischoff ergänzt: „Wir müssen
neu lernen, was auf der ganzen Welt gleich sein muss – und was unterschiedlich
sein darf. Gerade diese Vielfalt kann die Kirche bereichern.“
Gemeinsames Ringen statt
Gegeneinander
Beide betonen, wie sehr die
internationalen Begegnungen ihre Sicht auf die Kirche verändert haben. „Die
großen Fragen – Macht, Klerikalismus, die Rolle der Jugend – sind weltweit
dieselben“, sagt Bischoff. Molz fügt hinzu: „Entscheidend ist, dass wir diese
Themen gemeinsam angehen. Das stärkt nicht nur die Kirche, sondern kann auch
für die Welt insgesamt ein Lernprozess sein.“
So wurde das „World Meeting
of Lay Ministers“ in Rom zu einem Ort, an dem Laien aus fünf Kontinenten nicht
nur ihre Erfahrungen teilten, sondern auch eine Vision für die Zukunft der
Kirche entwickelten – eine Kirche, die synodaler, gerechter und internationaler
sein will, so die beiden Gäste aus Deutschland gegenüber Radio Vatikan. (vn 23)
Schöpfungszeit: Treffen der
Bischofskonferenzen Europas
Bischöfe und nationale
Direktoren trafen am Wochenende vom 19. bis 21. September in Castel Gandolfo
zusammen. Vor dem Hintergrund der „Zeit der Schöpfung“ war die Bewahrung der
Schöpfung das zentrale Thema der Gespräche.
Unter dem Motto: „Laudato
si’: Umkehr und Engagement“ fand vom 19. bis 21. September in Castel Gandolfo
das Treffen der Bischöfe und nationalen Direktoren für die Bewahrung der
Schöpfung der Bischofskonferenzen Europas statt. Anlass für das Treffen war die
von Papst Franziskus hervorgehobene „Schöpfungszeit“, eine ökumenische
Initiative, die jährlich vom 1. September bis 4. Oktober stattfindet.
Anwesend waren neben den
bischöflichen Delegierten auch Vertreter der wichtigsten europäischen
Organisationen, die in der sozialen Mission der Kirche engagiert sind. Bei der
Eröffnung sprach Schwester Alessandra Smerilli über den prophetischen Wert von Laudato
si’. Sie hob die noch offenen Herausforderungen hervor und ermutigte dazu, „vom
Wort zur Tat überzugehen“, um so das Herz zu bekehren. Nur so, sagte sie,
„könne man wirklich auf den Schrei der Erde und der Armen antworten.“
Mustergut: Borgo Laudato Si
Am Samstag besuchten die
Teilnehmer das Borgo Laudato si’. Das neu errichtete Mustergut auf den
Ländereien um die päpstliche Sommerresidenz Castel Gandolfo soll ein konkretes
Beispiel für nachhaltiges Leben und die praktische Umsetzung der von Papst Franziskus
vorgeschlagenen ganzheitlichen Ökologie darstellen. Eine theologische Sicht der
Schöpfung, die kirchliche Mitverantwortung und die Herausforderung der Bildung
sind laut Erzbischof Gintaras Grušas, Präsident des CCEE, und Bohdan Dzjurach,
Exarch für die Gläubigen des ukrainischen byzantinischen Ritus in Deutschland
und der Ukraine, der Schlüssel für ein tieferes Verständnis.
Das Treffen endete am Sonntag
mit einer Podiumsdiskussion über die Perspektiven des kirchlichen Engagements,
moderiert von Luis Okulik, unter Teilnahme von Einrichtungen wie Caritas
Europa, JRS, ELSiA und der Bewegung Laudato si’. (sir 23)
Großkundgebungen für Lebensschutz
in Berlin und Köln
In Berlin und Köln haben am
Wochenende Tausende Abtreibungsgegner am „Marsch für das Leben“ teilgenommen.
Veranstalter war der Bundesverband Lebensrecht (BVL), ein Zusammenschluss von
15 Organisationen.
Ziel der Aktion sei es laut
Veranstaltern, öffentlich für den Schutz menschlichen Lebens „von der
Empfängnis bis zum natürlichen Tod“ einzutreten. Nach offiziellen Angaben
nahmen in Berlin rund 2.200 Menschen an der Demonstration teil, in Köln rund
1.200. Der Veranstalter selbst sprach von insgesamt rund 7.000 Teilnehmerinnen
und Teilnehmern: etwa 4.000 in Berlin und 3.000 in Köln.
In beiden Städten verliefen
die Veranstaltungen weitgehend friedlich, wurden jedoch von
Gegendemonstrationen begleitet. In Berlin kam es zu einer Sitzblockade von etwa
80 bis 100 Personen, die von der Polizei aufgelöst wurde. Insgesamt wurden dort
etwa 220 Gegendemonstranten gezählt. In Köln begleitete ein großes
Polizeiaufgebot den Protestzug; der WDR schätzte die Zahl der
Gegendemonstranten auf 1.500.
„Lebensrecht geht alle an“
Kirchliche Präsenz
Die Veranstaltungen in beiden
Städten hätten gezeigt, dass Lebensrecht alle angehe, sagte die Vorsitzende des
Bundesverbands, Alexandra Linder. Sie bezeichnete die Kundgebungen als
„friedlich, sachlich und menschenzugewandt“. Man sei nicht nur gegen Abtreibung
und assistierten Suizid aufgetreten, sondern auch für politische Maßnahmen zur
Stärkung von Alternativen. Der Verband fordert unter anderem ein vollständiges
Werbeverbot für Abtreibungen, die Einführung einer umfassenden
Abtreibungsstatistik, eine stärkere Qualitätskontrolle von
Schwangerschaftskonfliktberatungsstellen sowie die uneingeschränkte
Gewissensfreiheit für medizinisches Personal.
Zentrale Unterstützung
erhielt der Marsch auch in diesem Jahr von kirchlicher Seite. In Berlin sprach
der Regensburger Bischof Rudolf Voderholzer, der regelmäßig an der
Veranstaltung teilnimmt. Er bezeichnete das Lebensrecht als „Grundwert unserer
Gesellschaft“, der insbesondere im Lichte der Erfahrungen totalitärer Systeme
des 20. Jahrhunderts unverzichtbar sei. Es gehe darum, so der Bischof, „eine
Stimme zu erheben - für jene, die noch keine Stimme haben, und für jene, deren
Stimme langsam versagt“. Der Schutz der Menschenwürde gelte von Anfang an und
bis zum Lebensende. Der Marsch sei daher auch ein Appell an die
freiheitlich-demokratische Gesellschaft, ihre ethischen Grundlagen nicht
preiszugeben.
Neben Voderholzer trat von
kirchlicher Seite auch der Berliner Weihbischof Matthias Heinrich auf, während
der Vorsitzende der katholischen Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg
Bätzing, Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln) und Bischof Stefan Oster (Passau)
Grußworte an die Teilnehmenden richteten.
Grußworte von Bischöfen und
Berichte von Fachleuten
Darüber hinaus berichteten
Fachleute aus verschiedenen Bereichen aus ihrer beruflichen oder persönlichen
Erfahrung. Der Mediziner Prof. Holm Schneider schilderte in Berlin die
Begleitung einer Vierlingsschwangerschaft, bei der ursprünglich eine Teilabtreibung
empfohlen worden war. Alle Kinder seien gesund zur Welt gekommen. Schneider
sprach von einer „bewegenden Zeugenschaft für das Leben“.
Auch international war der
Lebensschutz im Fokus: Die aus Indien stammende Johanna Durairaj berichtete in
Berlin von ihrer Arbeit mit Schwangeren in prekären Lebenslagen. In Indien
fänden jährlich rund 16 Millionen Abtreibungen statt. Viele Frauen, so Durairaj,
erlebten Abtreibung nicht als Hilfe, sondern als Folge von Gewalt oder
gesellschaftlichem Druck.
In Köln sprach der Jurist
Felix Böllmann über die Bedeutung der Gewissensfreiheit in medizinischen
Berufen. Diese sei nicht nur ein persönliches Anliegen, sondern auch ein durch
Grundrechte geschützter Raum, der zunehmend unter Druck gerate.
Teils Proteste
In Berlin wurde der Marsch
rund um den Hauptbahnhof von Rufen vereinzelter Gegendemonstranten begleitet -
sie skandierten etwa „My body, my choice“ (Mein Körper, meine Entscheidung).
Zudem wurde der Protestzug in Höhe der Charité von einer spontanen Sitzblockade
gestoppt, die die Polizei nach kurzer Zeit auflöste. Laut den Beamten bildeten
80 bis 100 Menschen die Sperre. Die Zahl der Gegendemonstranten gab sie mit
rund 220 an, angemeldet waren 2.000. Auch in Köln wurde der Protestzug, der am
Neumarkt begann, von einem großen Polizeiaufgebot begleitet. Der WDR schätzte
die Zahl der Gegendemonstranten auf 1.500. (kap/kna 22)
Bätzing bei Herbst-Vollversammlung:
„Der Papst ist doch kein Zauberer“
Papst Leo XIV. kann ein
bedeutender Vermittler in Konflikten sein. Das sagte Bischof Georg Bätzing,
Vorsitzender der deutschen Bischofskonferenz DBK, beim Auftakt-Statement für
die aktuelle Vollversammlung der katholischen Bischöfe in Fulda. Allerdings wunderten
ihn teils geäußerte Erwartungen an das Kirchenoberhaupt, so Bätzing. Themen der
Beratungen werden unter anderem der Umgang mit Mitgliederschwund, die Weltlage
und die fortwährende Aufarbeitung von Missbrauch in der Kirche sein.
„Wir sind sehr, sehr dankbar
dafür, dass Papst Leo die Verantwortung für die Weltkirche übernommen hat“,
sagte Bischof Bätzing vor den Medienleuten. Er habe vor einigen Wochen
selbst die Gelegenheit gehabt, mit dem Papst zu sprechen. Dieser sei erstaunt
gewesen, dass mit 20 Millionen Zuschauern ein Viertel der Deutschen seinen
ersten Auftritt auf der Loggia des Petersdoms mitverfolgt habe: Ein Zeichen der
Sympathie, so Bätzing. „Und ich konnte im Gespräch auch wirklich wahrnehmen,
dass der Papst eine große Sympathie für unser Land hegt; möglich machen will,
dass wir mit ihm einen guten Gesprächsfaden aufnehmen können.“
Auch der Besuch von
Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier im Vatikan an diesem Montag habe
deutlich gemacht, dass der Papst eine bedeutende Rolle als Vermittler in
Konflikten und Krisensituationen in der Weltpolitik spielen könne: „Das ist
eine Erwartung“, unterstrich Bätzing in Fulda.
Keine Kopie von Franziskus
Dabei sei Leo keine Kopie von
Franziskus, doch stelle er sich in seine Kontinuität, was an wichtigen Punkten
wie der Friedensbotschaft und seinem Eintreten für Synodalität deutlich werde,
so Bätzing. Die Aufregung um das jüngste Interview des Papstes könne er nicht
vollständig nachvollziehen, ließ der Limburger Bischof weiter durchblicken:
„Manchmal frage ich mich, was
ist eigentlich die Erwartung, die Menschen haben an einen solchen neuen Papst,
dass der jetzt wie ein Zauberer alle Dinge auf die eine Seite oder die andere
Seite löst. Der Papst sieht, dass es Spannungen in der Kirche gibt, dass es
Polaritäten gibt, und er will verbinden“
„Manchmal frage ich mich, was
ist eigentlich die Erwartung, die Menschen haben an einen solchen neuen Papst,
dass der jetzt wie ein Zauberer alle Dinge auf die eine Seite oder die andere
Seite löst. Der Papst sieht, dass es Spannungen in der Kirche gibt, dass es
Polaritäten gibt, und er will verbinden. Das ist die ganz klare Botschaft, die
er setzt. Und das ist auch sein Auftrag, bei dem wir ihn unterstützen wollen.“
Der Papst müsse die Weltkirche im Blick behalten, erinnerte Bischof Bätzing.
Rom soll Positionen
zusammenführen
Zwar habe das
Kirchenoberhaupt bislang keine größeren Änderungen angestoßen, doch gelte dies
beispielsweise auch für das Dokument „Fiducia Supplicans" von Franzikus -
es ermöglicht katholischen Priestern, Paare zu segnen, die gemäß der
kirchlichen Lehre nicht verheiratet sind, einschließlich gleichgeschlechtlicher
Paare - das Papst Leo er unangetastet gelassen habe. Es gebe also keinen
Grund, die in Deutschland erarbeitete Handreichung „Segen gibt der Liebe
Kraft" zurückzunehmen, betonte der Limburger Bischof. Das Papier, das sich
als Orientierungshilfe zu Segnungen unter anderem von gleichgeschlechtlichen
Paaren versteht, sei in enger Abstimmung mit der vatikanischen Behörde für die
Glaubenslehre erarbeitet worden: „Wir haben keine Rituale veröffentlicht für
irgendwelche Segnungen, sondern legen die Verantwortung für die Gestalt eines
solchen Segens in die Hand der Seelsorgerinnen und Seelsorger“, so der
Vorsitzende der deutschen Bischofskonferenz weiter. Rom habe die Aufgabe, bei
auseinanderdriftenden Positionen in der Weltkirche Lösungen anzubahnen.
Die Wahrnehmung für
verschiedene Geschwindigkeiten in der Weltkirche schlage sich jedenfalls auch
im deutschen Diskurs nieder. So seien Erwartungshorizonte beispielsweise in der
Frage nach einer Regelung für die Segnung homosexueller Paare zurechtgerückt
worden, „mit Respekt vor der Weltkirche und dem Willen, auch die Einheit stark
zu machen“, sagte die Generalsekretärin der Deutschen Bischofskonferenz, Beate
Gilles, auf Nachfrage von Journalisten.
Pläne für Synodalkonferenz
Wie Bischof Bätzing in seinem
Statement weiter betonte, halte man auch an den Plänen für eine künftige
nationale Synodalkonferenz nach wie vor fest. Zunächst gelte es, eine Satzung
für das Gremium zu erarbeiten, dessen Vorhaben „ganz in der Linie der Synode“
liege und auch in enger Abstimmung mit Rom erarbeitet werden solle. „Der Papst
unterstützt das“, so Bätzing. Des Weiteren sei ein Dokument in Arbeit, mit dem
synodale Entscheidungswege auch auf Ebene der einzelnen Diözesen und Pfarreien
verankert werden könnten.
Katastrophale Situation in
Gaza
Die Weltlage bereite den
Bischöfen Sorgen, so der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz
insbesondere mit Blick auf die Konflikte in der Ukraine und in Gaza. Unter
anderem wollen die Bischöfe im Rahmen ihrer Vollversammlung auch eine Erklärung
zur Nahost-Krise vorlegen. In Gaza herrsche derzeit ein unendliches Elend: „Es
ist menschenverachtend, was im Moment im Gazastreifen geschieht. Zehntausende
Unschuldige haben ihr Leben gelassen. Viele erleiden Hunger. Jetzt sind
Hunderttausende auf der Flucht und wissen nicht, wohin.”, unterstrich der
Bischof. Die Zweistaatenlösung sei die einzige Lösung dafür, dem
palästinensischen Volk eine Zukunft zu geben, plädierte Bätzing am Montag.
„Es ist menschenverachtend,
was im Moment im Gazastreifen geschieht. Zehntausende Unschuldige haben ihr
Leben gelassen. Viele erleiden Hunger“
Demokratie in Deutschland
wahren
Gleichzeitig mahnte er, sich
dem zunehmenden Antisemitismus in Deutschland entgegenzustellen. In diesem
Zusammenhang kritisierte er die AfD als „Spalter“ scharf und rief dazu auf, ihr
keine Stimme zu geben. Zwar sei es wichtig, dass die Kirche mit potenziellen
AfD-Wählern im Dialog bleibe, allerdings sei der völkische Nationalismus der
AfD mit dem christlichen Gottes- und Menschenbild nicht vereinbar.
„Es ist entscheidend, dass
die demokratische Mitte zusammensteht und sich nicht auseinandertreiben lässt“
„Es ist entscheidend, dass
die demokratische Mitte zusammensteht und sich nicht auseinandertreiben
lässt", betonte Bätzing. Die katholische Kirche wolle zur Stärkung von
Dialog und Demokratie beitragen. Dies habe er zuletzt auch im Gespräch mit Bundeskanzler
Friedrich Merz (CDU) zugesagt.
„Wir brauchen eine wehrhafte
Demokratie und wir wollen einen Sozialstaat“
Unter den Schwierigkeiten und
Herausforderungen, mit denen es umzugehen gelte, zählte Bischof Bätzing auch
die aktuelle wirtschaftliche Lage, die Zollpolitik und ihre Auswirkungen sowie
die globalen Fragen um Sicherheit, Krieg und Frieden auf. Ebenso wollten die
Bischöfe über einen Text zum Wehr- und Freiwilligendienst beraten: „Wir
brauchen eine wehrhafte Demokratie und wir wollen einen Sozialstaat“, plädierte
er. Dessen Last müsse jedoch gerecht unter den Generationen verteilt werden.
Viele Themen auf dem Tisch
Weitere Themen der Beratungen
sollen unter anderem eine Auswertung von Seelsorge und kirchlichem Handeln in
der Corona-Zeit sein, aber auch ein tiefergehender Austausch über die
Aufarbeitung von sexualisierter Gewalt durch Priester und Kirchenmitarbeitende,
der Umgang mit Migration und Überlegungen über die Sendung der Kirche inmitten
einer säkularen Gesellschaft. Am Dienstag will die Konferenz über Konsequenzen
einer Studie zu Religion und Kirche in Deutschland beraten, der zufolge es
immer weniger Kirchenmitglieder geben wird. Außerdem berät die
Vollversammlung eine Stellungnahme der deutschen Bischöfe zum Wehr- und
Freiwilligendienst.
Offiziell eröffnet wurde die
bis Donnerstag laufende Tagung der 58 Orts- und Weihbischöfe am Abend mit einem
Festgottesdienst im Fuldaer Dom.
(vn/kna 22)
Nicht an Paragraph 218 rühren“
In der Debatte über die
rechtliche Bewertung von Abtreibung betont der Bischof von Mainz die Würde des
Menschen. „Für die katholische Kirche gilt ein Mensch als Mensch ab dem
Zeitpunkt der Verschmelzung von Ei- und Samenzelle.“
Das sagte Bischof Peter
Kohlgraf an diesem Sonntag der Katholischen Nachrichten-Agentur in Mainz. Ab
diesem Zeitpunkt, an dem sich ein Mensch entwickelt, gelte es, die Würde des
Menschen zu wahren.
„Wir haben gesehen, dass
gesellschaftliche Fronten aufbrechen, wenn wir den gefundenen Kompromiss
auflösen wollten, der aktuell in Bezug auf Abtreibungen zum Tragen
kommt"“, sagte Kohlgraf. Dies würde die gefundene Befriedung gefährden.
Als Kompromiss gilt der
Paragraf 218 des Strafgesetzbuches, der die Abtreibungsgesetzgebung umfasst. Er
regelt derzeit, dass ein Abbruch der Schwangerschaft zwar rechtswidrig ist; er
bleibt aber bis zur zwölften Woche straffrei, wenn vor dem Eingriff eine
Beratung stattgefunden hat und ein Beratungsschein ausgestellt wurde. Dieser
Kompromiss wurde nach der deutschen Wiedervereinigung 1990 getroffen. In
Ostdeutschland hatte zu DDR-Zeiten eine liberalere Regelung gegolten.
Rehlinger: Abtreibung aus
Strafrecht
„Jede Abtreibung ist eine
Abtreibung zuviel“, sagte Kohlgraf. Der Bischof äußerte sich im Vorfeld des
Aktionstags „Welttag für sichere Abtreibung“ am kommenden Sonntag (28.
September). Er warnte zudem vor einer zu einseitigen Debatte. Es gelte
vielmehr, das „hohe Rechtsgut“ der Selbstbestimmung der Frau ebenso wie den
Schutz des ungeborenen Lebens zu beachten. Die darin liegende Spannung sei
durch die geltende Rechtslage aushaltbar gemacht worden - auch für die
katholische Kirche, so Kohlgraf.
Zuletzt hatte sich Saarlands
Ministerpräsidentin Anke Rehlinger (SPD) im September im KNA-Gespräch dafür
ausgesprochen, das Thema Abtreibung aus dem Strafrecht zu nehmen. Kohlgraf
hielt dem entgegen, das Strafrecht zeige, dass der ungeborene Mensch ein eigenes
Rechtsgut sei und nicht Verfügungsgegenstand einer anderen Person.
Marsch für das Leben
Derweil haben am Samstag in
Berlin und Köln tausende Abtreibungsgegner am sogenannten Marsch für das Leben
teilgenommen. Nach Polizeiangaben sind in Berlin 2.200 Demonstranten beim
Marsch mitgelaufen, in Köln haben sich laut WDR 1.200 der Kundgebung angeschlossen.
Veranstalter war der Bundesverband Lebensrecht, ein Zusammenschluss von 15
Organisationen. Nach Polizeiangaben hatten die Veranstalter in beiden Städten
im Vorfeld jeweils 5.000 Teilnehmer angemeldet. (kna 21)
Italien will Feiertag des hl.
Franziskus wieder einführen
Das italienische Parlament
stimmt demnächst über die Wiedereinführung des 4. Oktobers als landesweiten
gesetzlichen Feiertag ab.
Laut Medienberichten wurde
die bereits für die abgelaufene Woche angesetzte Abstimmung auf die kommende
Woche verschoben. Beantragt wurde die Wiedereinführung von der stärksten
Regierungspartei, Fratelli d'Italia, sowie von kleineren Parteien. Gefeiert wird
an diesem Datum der heilige Franz von Assisi, der als Nationalpatron Italiens
verehrt wird.
Der 4. Oktober war 1977
zusammen mit weiteren kirchlichen Festen aus der Liste der gesetzlichen
Feiertage gestrichen worden, um die nach der Ölkrise und infolge hoher
Inflation notleidende italienische Wirtschaft anzukurbeln. Auch der
Dreikönigstag, Fronleichnam und Christi Himmelfahrt wurden damals als nationale
Feiertage abgeschafft.
Feiertag ab 2026
Bis dahin hatte Italien mehr
gesetzliche Feiertage als die meisten europäischen Länder. Derzeit liegt das
Land mit zwölf gesetzlichen Feiertagen im internationalen Mittelfeld. Einige
katholisch geprägte Länder wie Polen, Portugal und Österreich haben mehr
Feiertage.
Der Wiedereinführung des
nationalen gesetzlichen Feiertags müssen beide Kammern des italienischen
Parlaments zustimmen. Er soll laut dem Gesetzentwurf erstmals anlässlich des
800. Todestags des umbrischen Heiligen im Jahr 2026 begangen werden. Als Todesdatum
gilt der 3. Oktober, gefeiert wird er jedoch am Tag danach. Ausgerechnet im
Franziskus-Jubiläumsjahr 2026 fällt der 4. Oktober allerdings auf einen
Sonntag. (kna 20)
Vatikan/USA: Migration, positiv
Hoffnung statt Angst,
Solidarität statt Ablehnung: mit der „Nationalen Migrationswoche“ setzt die
US-amerikanische Bischofskonferenz in der kommenden Woche ein Zeichen der
Solidarität und Willkommenskultur für Flüchtlinge und Migranten – inmitten
eines aufgeheizten Klimas im Land.
„Migranten, Missionare der Hoffnung“ ist das –
noch unter Papst Franziskus – gesetzte Thema der diesjährigen Papstbotschaft
zum Weltflüchtlingstag 2025. Die „National Migration Week“ (22.-29. September)
ist dem Welttag der Migranten und Flüchtlinge vorgeschaltet. Dieser wird auch
im Vatikan gefeiert und in diesem Jahr parallel zum Heilig Jahr-Jubiläums der
Migranten am 4. und 5. Oktober begangen.
In den USA will die
Bischofskonferenz mit der „Nationalen Migrationswoche“ Solidarität mit
Migranten zeigen und sich für die Menschenwürde einsetzen, wie sie in einer
Presseerklärung verdeutlicht. Dabei wolle man auch an die eigene Geschichte als
Einwanderungskirche und die Bereicherung des Landes durch Generationen von
Einwanderern erinnern.
Wenig Solidarität mit
Schutzsuchenden
Außerdem soll ein konkretes
Zeichen der Solidarität in einem politischen Klima gesetzt werden, das
feindlich gegenüber Flüchtlingen und Einwanderern ist. Die US-Bischöfe sprechen
von „Herausforderungen“ für Einwanderer in den USA und drücken ihre „Angst und
Sorge“ angesichts der aktuellen Einwanderungspolitik der US-Administration
unter Donald Trump aus. Die Bischöfe „fordern und drängen weiterhin auf ein
humaneres Einwanderungssystem, das unsere Gemeinschaften schützt und
gleichzeitig die Würde aller Menschen wahrt“, wird betont. Dazu gehöre auch die
Förderung der parteiübergreifenden Zusammenarbeit zwischen politischen
Entscheidungsträgern.
„Ein humaneres
Einwanderungssystem, das unsere Gemeinschaften schützt und gleichzeitig die
Würde aller Menschen wahrt.“
An jedem Tag
der „National Migration Week“ richten die Bischöfen einen anderen Fokus
auf das Thema: die gleiche Würde jeder Person, die Rolle des humanitären
Schutzes und der Lebensrettung, die Heiligkeit von Familien, die Sünde des
Menschenhandels, die lebendige Rolle eingewanderter Glaubender in der Kirche
der USA, die Bedeutung langfristiger Integration und einer sinnvollen Reform
der Immigration. Die katholische Soziallehre unterstreicht drei
Grundprinzipien: das Recht eines Menschen, aus Gründen des Überlebens zu
migrieren; das Recht eines Landes, seine Grenzen zu kontrollieren - und die
Pflicht, diese Kontrolle gerecht und barmherzig auszuüben.
Papst Leos Botschaft zum
Weltflüchtlingstag
In seiner Botschaft zum
Weltflüchtlingstag hat Papst Leo die Würde der Migranten und Flüchtlingen
hervorgehoben: „In einer Welt, die von Kriegen und Ungerechtigkeiten verdunkelt
ist, erheben sich die Migranten und Flüchtlinge selbst dort, wo alles verloren
scheint, als Botschafter der Hoffnung. Ihr Mut und ihre Beharrlichkeit sind ein
heldenhaftes Zeugnis für einen Glauben, der über das hinausgeht, was unsere
Augen sehen können, und der ihnen die Kraft gibt, auf den unterschiedlichen
Migrationsrouten unserer Zeit dem Tod zu trotzen“, heißt es in dem Text.
„Ihr Mut und ihre
Beharrlichkeit sind ein heldenhaftes Zeugnis für einen Glauben, der über das
hinausgeht, was unsere Augen sehen können, und der ihnen die Kraft gibt, auf
den unterschiedlichen Migrationsrouten unserer Zeit dem Tod zu trotzen.“
Restriktive
Einwanderungspolitik
Die US-amerikanische
Bischofskonferenz des Landes sah sich zuletzt wegen der restriktiven
Einwanderungspolitik von US-Präsident Donald Trump und finanzieller Kürzungen
dazu gezwungen, eigene Wege bei der Unterstützung von Flüchtlingen zu suchen.
So wurde eine kirchliche Vereinbarung mit der Regierung zur Flüchtlingshilfe im
April nicht verlängert.
Der Vatikan hat mit Blick auf
die restriktive Linie unter Trump Sorge geäußert. Papst Leos Vorgänger
Franziskus sprach sich im Februar angesichts geplanter Massenabschiebungen von
Migranten aus den USA in einem Brief an die Bischöfe des Landes deutlich für
den Schutz von Migranten und den Respekt gegenüber der Menschenwürde aus.
Weltweit immer mehr
Klimaflüchtlinge
Laut Angaben der
UNO-Flüchtlingshilfe leben inzwischen fast 75 Prozent der Flüchtlinge und
Vertriebenen in Staaten, die am stärksten von der Klimakrise bedroht sind. Dazu
zählten Krisenländer wie Syrien, Venezuela, Afghanistan, Südsudan und Myanmar.
Erschwert wird die Lage derzeit durch eine Unterfinanzierung der humanitären
Hilfe. (vn/usccb 19)
Erzbischof Koch: „Versuchen, auf
neuen Wegen Kirche zu leben“
Die katholische Kirche in
Deutschland verliert Jahr für Jahr Hunderttausende Mitglieder durch
Kirchenaustritt. Wie der Trend zu stoppen wäre, darüber beraten die deutschen
Bischöfe ab Montag in ihrer Herbst-Vollversammlung in Fulda. Der Berliner
Erzbischof Heiner Koch sagte uns vorab, er orte beim Thema Hoffnung über den
Tod hinaus viel Sensibilität bei Fernstehenden.
Zunächst werden sich die
Bischöfe die gesammelten Fakten zum Thema Kirchenaustritt darlegen lassen, wie
sie die 6. Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung 2023 erhoben hatte, sagte Koch.
Danach wollen sie sich über die unterschiedlichen Situationen in den Diözesen
austauschen: „Sie ist eben in Bayern anders als im Rheinland und anders als im
Osten Deutschlands“, so Koch. „Wir werden aber vor allen Dingen versuchen, das
Ganze auch geistlich zu deuten. Was bedeutet das für unser Verständnis als
Kirche, für unseren Auftrag jetzt? Warum hat uns Gott diese Zeit als Aufgabe
gegeben und diese Menschen, mit denen wir zusammenleben? Und es wird auch einen
Austausch über Versuche geben, in dieser säkularen Gesellschaft vielleicht auf
neuen Wegen die Kirche zu leben und zu gestalten, den Verkündungsauftrag zu
erfüllen.“
Jene stützen, die dabei sind
- und alle andere ansprechen
Der Erzbischof sprach von
zwei Grunddimensionen zum Thema Kirchenmitgliedschaft: Die Gläubigen stützen,
die dabei sind - und für alle anderen ansprechend werden. „Das eine ist, wir
müssen versuchen, die Menschen, die da sind, zu stärken, zu halten. Das ist
heute nicht selbstverständlich“, so Koch, der mit Berlin ein stark
säkularisiertes Erzbistum leitet, in dem Katholiken in der Minderheit sind.
„Wenn in solch einer Diaspora-Situation Jugendliche leben, wo sie absolute
Außenseiter sind, ist es nicht selbstverständlich zu bleiben. Wenn eine
gesellschaftliche Tendenz, manchmal sogar ein Strom da ist, wie in vielen
christlich geprägten Ländern Deutschlands, aus der Kirche auszutreten oder die
Religion und Gottesfrage beiseite zu schieben, müssen wir uns fragen, wie
halten wir die zusammen, die in dieser Frage entschieden sind, die ihre
Herkunft darüber definieren und die den Weg weiter gehen.“
Die zweite Grundfrage laut
Koch: „Wie sprechen wir Menschen an, die bisher keine oder nur wenig Beziehung
haben?“ Der Erzbischof unterschied zwischen sogenannten Fernstehenden
einerseits und andererseits jenen, die nie zuvor mit Kirche in Berührung gekommen
sind. „Die Zahl derer steigt ja, die nicht eine Neuevangelisierung erleben,
sondern eine Erstevangelisierung brauchen. Und dies würde ich nochmal gerade
von dem Hintergrund hier von uns im Osten verstärken, die überhaupt erstmal in
Berührung kommen müssen mit der Frage, gibt es Gott oder nicht? Und wo ist
Gott? Und wer ist Gott? Und wie kann ich mit ihm in Berührung kommen?“
„Die Frage der Hoffnung ist
im Moment das zentrale Thema“
Unter den Punkten, die
Menschen heute am Christentum ansprechen, ragt für Koch eines als hoch
bedeutsam heraus. „Die Frage der Hoffnung ist im Moment das zentrale Thema“, so
der Berliner Erzbischof. Er verwies auf die Komplexität der Welt, die Kriege
und Unsicherheiten. „Was gibt es für diese Welt und was gibt es für den
einzelnen Menschen in der Zukunft? Gibt es überhaupt eine Zukunft? Oder ist das
Leben Geburt bis Tod und Schluss? Das wird von, glaube ich, den meisten hier in
Berlin vertreten, diese letzte Auffassung.“
Die entscheidende Frage sei,
„wie entdecke ich mit den Menschen nicht nur, dass es Hoffnung und Zukunft über
den Tod hinaus vielleicht geben kann - das sage ich mal vorsichtig, vielleicht
geben kann; wie verunsichere ich sie in ihrem Glauben, dass mit dem Tod alles
aus ist. Und die zweite Frage dann: Wie führe ich sie hin an eine Erfahrung, an
eine Überlegung, dass es ein größeres Leben gibt - mehr gibt als das Leben
dieser irdischen Dimension, der erfassbaren, der erforschbaren, der irdischen
Dimension.“
Kirchenaustritte nicht zum
ersten Mal Thema bei Bischofs-Beratung
Allein 2024 verzeichnete die
katholische Kirche in Deutschland etwa 320.000 Austritte. Vor zwei Jahren
hatte die 6. Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung, eine groß angelegte
soziologische Erhebung, ergeben, dass nur noch knapp die Hälfte der Deutschen
in einer christlichen Kirche Mitglied ist und dass viele sich Reformen
wünschen. Die Bischöfe beraten in Fulda - von 22. bis 25. September - nicht zum
ersten Mal über das Thema Kirchenaustritte, Neu- und Erstevangelisierung, sagte
Koch. „Wir sind darüber schon länger im Gespräch, obwohl wir es etwas
systematischer diesmal angehen und auch mit Fachreferenten, die von außen
kommend, uns vielleicht Neuigkeiten mitteilen können.“ (vn 19)
Leo XIV. ermutigt zu mehr
Beteiligung von Laien in der Kirche Roms
Papst Leo XIV. hat am
Freitagabend die Kirche von Rom dazu aufgerufen, ein „Laboratorium der
Synodalität“ zu werden. Bei der Diözesanversammlung in seiner Bischofskirche,
der Lateranbasilika, forderte er mehr Beteiligung aller Gläubigen, breite
Ausbildungsangebote und neue Wege in der Katechese.
Der Papst betonte, die Kirche
in Rom müsse „mit der Gnade Gottes ‚Taten des Evangeliums‘ verwirklichen“. Er
verwies auf die wachsenden sozialen und existenziellen Nöte in der Stadt, die
Orientierungslosigkeit vieler junger Menschen und die Belastung der Familien.
Eine synodale Kirche in Mission brauche „einen Stil, der die Gaben jedes
Einzelnen wertschätzt“ und Leitungsaufgaben als „friedvolles und harmonisches
Tun“ verstehe. Nur so könnten Dialog und Beziehung helfen, „die zahlreichen
Tendenzen zum Konflikt oder zur defensiven Abschottung“ zu überwinden.
Ein zentrales Instrument für
eine synodale Kirche sind laut Leo XIV. die Beteiligungsorgane in den
Gemeinden. Diese stärkten die Taufberufung aller, vertieften den Zusammenhang
zwischen Priestern und Gemeinden und führten „vom gemeinschaftlichen Unterscheiden
zu pastoralen Entscheidungen“. Er rief dazu auf, die Ausbildung dieser Organe
zu verstärken, ihre Arbeit zu überprüfen und dort, wo sie fehlen, Widerstände
zu überwinden.
„Heute sind wir gefordert,
gemeinsam zu denken und zu planen“
Der Papst warnte davor, dass
diözesane Strukturen und Zusammenschlüsse von Pfarreien ihre Funktion als Orte
der Gemeinschaft verlieren könnten. Sie dürften nicht zu bloßen Sitzungen
verkommen. „Heute sind wir gefordert, gemeinsam zu denken und zu planen, über
festgelegte Grenzen hinauszugehen und pastorale Initiativen gemeinsam
auszuprobieren“, sagte er.
Als erstes Feld für
gemeinsames Unterscheiden benannte der Papst die Verbindung von
Glaubensweitergabe und Evangelisierung. Die Nachfrage nach Sakramenten gehe
zurück, daher sei ein neuer Zugang nötig. „Das Hineinwachsen in das christliche
Leben ist ein Prozess, der die Existenz in ihren verschiedenen Aspekten
integriert“, erklärte er. Ziel sei es, die Menschen mit dem Wort Gottes
vertraut zu machen, sie für Gebet und Nächstenliebe zu öffnen und neue Methoden
einzusetzen. Familien müssten stärker einbezogen werden, die schulische Form
von Katechese solle überwunden werden. Besondere Aufmerksamkeit gelte
Jugendlichen und Erwachsenen, die die Taufe erbitten.
Eine Pastoral, die nicht
wertet und alle willkommen heißt
Als zweites Ziel hob Leo XIV.
die Pastoral für Familien und Jugendliche hervor. Er mahnte eine „solidarische,
empathische, diskrete, nicht wertende Pastoral“ an, „die alle Menschen
willkommen heißt und möglichst individuelle Wege vorschlägt, die den unterschiedlichen
Lebenssituationen der Adressaten gerecht werden.“ Familien, die Mühe hätten,
den Glauben an ihre Kinder weiterzugeben, dürften nicht allein gelassen werden.
„Es handelt sich – das müssen wir ehrlich sagen – um eine Seelsorge, die nicht
immer das Gleiche wiederholt, sondern eine neue Lehrzeit anbietet; eine
Seelsorge, die selbst wie eine Schule wird, die in das christliche Leben
einführt, die Lebensphasen begleitet, bedeutungsvolle menschliche Beziehungen
knüpft und so auch das soziale Gefüge prägt, insbesondere im Dienst der Ärmsten
und Schwächsten.“
Drittens forderte Leo XIV.
eine umfassende Ausbildung. Die Gemeinden dürften sich nicht mit traditionellen
Angeboten zufriedengeben. Bibel- und Liturgiekurse seien ebenso nötig wie die
Auseinandersetzung mit Themen, die besonders junge Menschen bewegten: soziale
Gerechtigkeit, Frieden, Migration, Umweltschutz, verantwortliche Bürgerschaft,
Partnerschaft, psychische Not und Abhängigkeiten. „Wir können sicher nicht
Spezialisten in allem sein, aber wir müssen über diese Themen nachdenken,
vielleicht im Hören auf die vielen Kompetenzen, die unsere Stadt bieten kann“,
sagte Leo XIV.
Er freue sich sehr, mit ihnen
in der Kathedrale von Rom zusammenzukommen, sagte Leo eingangs bei seiner
ersten Begegnung mit dem Diözesanrat des Bistums. „Der Papst ist Papst als
Bischof von Rom, und ich bin mit Ihnen als Christ und für Sie als Bischof hier“,
erklärte er. Leo dankte den Angehörigen des Bischofsrates, den Priestern,
Diakonen, Ordensleuten und allen Pfarrei-Delegierten „für die Freude Ihrer
Jüngerschaft, für Ihre pastorale Arbeit, für die Lasten, die Sie tragen und von
den Schultern der vielen nehmen, die an die Türen eurer Gemeinden klopfen.“ (vn
19)
Wofür steht Papst Leo? Sein erstes
Interview gibt Aufschluss
Nach wenigen Monaten im Amt
hat Papst Leo XIV. ein umfassendes Interview gegeben, das nun in einem neuen
Buch auf Spanisch veröffentlicht wurde. In „Leo XIV.: Bürger der Welt,
Missionar des 21. Jahrhunderts“ äußert sich das Kirchenoberhaupt zu drängenden
Fragen unserer Zeit: von den tragischen Ereignissen in Gaza über die
Beziehungen zu China bis hin zu innerkatholischen Debatten um die Rolle der
Frauen und den Umgang mit LGBTQ+-Personen. Salvatore Cernuzio – Vatikanstadt
Als Papst wolle er „Brücken
bauen“ und „die Polarisierungen, die es in der Welt und in der Kirche gibt,
nicht noch weiter anheizen“. Mit diesen Worten umschreibt Leo XIV. seine
Mission. Er beklagt die „schreckliche“ Situation in Gaza, gegenüber der „wir nicht
abstumpfen dürfen“, und betont, der Heilige Stuhl sei derzeit nicht der
Ansicht, „dass man eine Erklärung zur Definition von Genozid abgeben könne“.
Der Papst versichert
außerdem, sich nicht in die Politik seines Heimatlandes USA einzumischen – doch
„keine Angst“ zu haben, auch Präsident Trump gegenüber dringende Fragen
anzusprechen. Zur China-Politik kündigt er Kontinuität an und erklärt, den Weg
seiner Vorgänger fortsetzen zu wollen. In der Spur von Papst Franziskus will er
Frauen in Leitungspositionen berufen, hält aber fest, dass sich die Lehre über
die Priesterweihe von Frauen nicht ändern werde. Auch zur LGBTQ+-Frage äußert
er sich: Es gebe eine „Aufnahme für alle, alle, alle“, aber „die Lehre der
Kirche wird so bleiben, wie sie ist“.
Hier hören Sie ein
Kollegengespräch zu dem Thema mit Mario Galgano und Stefanie Stahlhofen
Die Missbrauchsfälle
bezeichnet Leo XIV. als „echte Krise“. Er fordert größtmögliche Nähe zu den
Opfern, erinnert aber daran, dass es vereinzelt auch falsche Anschuldigungen
gegeben habe. Bei der finanziellen Krise des Vatikans mahnt er zu Pragmatismus:
Man solle nicht „jammern“, sondern weiter Pläne entwickeln. „Aber ich verliere
deswegen nicht den Schlaf“, sagt er.
Das Gespräch mit Elise Ann
Allen, die erste große Interviewäußerung seit seiner Wahl, ist im heute (18.
September) erscheinenden Band „Leo XIV: ciudadano del mundo, misionero del
siglo XXI“ in spanischer Sprache (Penguin Perú) veröffentlicht. Am 14. September,
seinem 70. Geburtstag, waren erste Auszüge daraus vorgestellt worden.
Das Drama von Gaza
Gleich zu Beginn äußert sich
der Papst zur Lage im Nahen Osten. „Obwohl die USA Druck auf Israel ausgeübt
haben und Präsident Trump Erklärungen abgegeben hat, gab es keine klare
Antwort, um das Leiden der Bevölkerung zu lindern“, sagt Leo XIV. Besonders
Kinder litten Hunger und bräuchten künftig medizinische Hilfe und humanitäre
Unterstützung. „Es ist schrecklich, diese Bilder im Fernsehen zu sehen… so viel
Leid kann man kaum ertragen“, fügt er hinzu.
Zum häufigen Gebrauch des
Begriffs „Genozid“ in Bezug auf Gaza erklärt der Papst: „Die Definition ist
sehr technisch, und offiziell sieht der Heilige Stuhl derzeit keinen Grund für
eine Stellungnahme.“ Dass die Debatte wächst, räumt er ein, auch weil israelische
Menschenrechtsgruppen die Frage aufwerfen.
Beziehungen zu China
Mit Blick auf China betont
der Papst, die langjährige Politik der vatikanischen Diplomatie fortzuführen.
Er stehe im „ständigen Dialog mit verschiedenen chinesischen
Gesprächspartnern“, um besser zu verstehen, wie die Kirche dort ihre Mission
fortsetzen könne, „im Respekt vor Kultur und politischer Situation“. Besonders
denke er an Katholiken, die „lange Jahre unter Schwierigkeiten litten, ihren
Glauben frei zu leben“.
Die USA und Präsident Trump
Als erster Papst aus den
Vereinigten Staaten glaubt Leo XIV. nicht, dass seine Herkunft die globale
Politik maßgeblich beeinflusst. Aber sie könne die Beziehung zum US-Episkopat
verbessern: „Man kann mir nicht vorwerfen, wie Franziskus, dass ich die USA nicht
verstehe.“ Parteipolitik sei jedoch nicht seine Aufgabe: „Es ist Aufgabe der
Kirchenleitung in den USA, mit dem Präsidenten im Gespräch zu sein. Aber wenn
es spezifische Themen gibt, hätte ich kein Problem, sie selbst anzusprechen.“
Zu Donald Trump merkt der
Papst an, dieser habe kürzlich erklärt, er wolle ihn nicht treffen. Der
US-Präsident habe aber den mittleren der drei leiblichen Prevost-Brüder, Louis,
als „guten Kerl“ bezeichnet, den er im Oval Office empfing. „Wir Brüder sind
uns trotz politischer Unterschiede sehr nah“, sagt Leo XIV.
Missbrauchskrise in der
Kirche
Zur Missbrauchsproblematik
erklärt Leo XIV., über 90 Prozent der Vorwürfe stammten erwiesenermaßen von
echten Opfern. „Aber es gab auch nachweislich falsche Anschuldigungen, die
Leben zerstört haben“, so der Papst. Wichtig sei, die Rechte der Opfer wie auch
der Beschuldigten zu achten. „Doch das zu sagen, verursacht manchmal noch mehr
Leid.“
Er warnt davor, dass
Missbrauch „zum einzigen Brennpunkt der Kirche“ werde: „Die große Mehrheit der
Priester und Ordensleute hat nie jemanden missbraucht. Die Kirche darf nicht
auf dieses eine Thema reduziert werden.“
LGBTQ+ und Frauen
Mit Blick auf LGBTQ+-Personen
bekräftigt der Papst: „Alle sind eingeladen, nicht wegen einer spezifischen
Identität, sondern weil alle Kinder Gottes sind.“ Das ändere jedoch nichts an
der Lehre über Ehe und Sexualität: „Eine Familie besteht aus Mann und Frau, die
im Sakrament der Ehe gesegnet sind.“
Auch zur Frage der
Frauenordination äußerte sich der Papst klar: „Ich beabsichtige nicht, die
Lehre zu ändern.“ Frauen sollen aber abseits der Priesterweihe weiterhin
Führungsrollen in der Kirche übernehmen können.
Finanzen und Reformen
Zur wirtschaftlichen
Situation der Kirche verweist der Papst auf Fortschritte, etwa ein positives
Ergebnis von 60 Millionen Euro im Haushaltsbericht 2024. Probleme blieben, wie
der Pensionsfonds oder die Rückschläge durch die Covid-Krise bei den Vatikanischen
Museen. „Wir müssen falsche Entscheidungen wie im Fall des Londoner
Immobiliengeschäfts vermeiden“, mahnt er. Doch trotz aller Herausforderungen:
„Ich verliere darüber nicht den Schlaf.“
Reformen in der Kurie seien
nötig, erklärt er, um „Abschottungen zwischen den Dikasterien“ aufzubrechen,
die den Dialog behinderten.
Liturgie, Fake News und KI
Die Debatte um die
tridentinische Messe bezeichnet Leo XIV. als „Problem“, weil die Liturgie
politisch instrumentalisiert werde. Er kündigt Gespräche mit Anhängern des
alten Ritus an – „mit synodaler Methode“.
Auch zur Flut falscher
Nachrichten im Netz und zu Künstlicher Intelligenz bezieht er Position. „Fake
News sind zerstörerisch“, sagt er und warnt vor den Gefahren einer digitalen
Welt, die sich verselbstständige. Ein besonders drastisches Beispiel: Jemand
habe ihn gefragt, ob er einen „künstlichen Papst“ als Avatar erlaube. Seine
Antwort: „Das werde ich niemals genehmigen. Wenn es jemanden gibt, der nicht
als Avatar dargestellt werden sollte, dann steht der Papst ganz oben auf der
Liste.“ (vn 18)