DE.IT.PRESS
Notiziario Religioso della comunità italiana in
Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso, dicembre 2025
Il Papa nella cattedrale armena di Istanbul: “Recuperare l’unità dei primi
secoli”
“Questa visita mi offre l’opportunità di ringraziare Dio
per la coraggiosa testimonianza cristiana del popolo armeno nel corso dei
secoli, spesso in circostanze tragiche”. Lo ha detto il Papa, nel saluto
pronunciato in inglese durante la visita di preghiera alla cattedrale armena
apostolica di Istanbul, all’inizio del suo quarto giorno di viaggio in Turchia.
Leone XIV ha espresso inoltre la sua “viva gratitudine per i legami fraterni
sempre più stretti che uniscono la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica”.
“Poco dopo il Concilio Vaticano II, nel maggio 1967, Sua Santità il Catholicos
Khoren I è stato il primo Primate di una Chiesa Ortodossa Orientale a visitare
il Vescovo di Roma e a scambiare con lui il bacio della pace”, ha detto il
Papa, ricordando inoltre che nel maggio 1970 il Catholicos Vasken I firmò con
Papa Paolo VI la prima dichiarazione congiunta tra un Papa e un Patriarca
Ortodosso Orientale, invitando i loro fedeli a riscoprirsi fratelli e sorelle
in Cristo in vista dell’unità. “Da allora, per grazia di Dio, il dialogo della
carità tra le nostre Chiese è fiorito”, il bilancio di Leone, che citando il
1700° anniversario del primo Concilio ecumenico ha sottolineato che “è da
questa fede apostolica comune che dobbiamo attingere per recuperare l’unità che
esisteva nei primi secoli tra la Chiesa di Roma e le antiche Chiese Orientali”.
“Dobbiamo anche trarre ispirazione dall’esperienza della Chiesa nascente per
ripristinare la piena comunione, una comunione che non implica assorbimento o
dominio, ma piuttosto uno scambio dei doni che le nostre Chiese hanno ricevuto
dallo Spirito Santo per la gloria di Dio Padre e l’edificazione del corpo di
Cristo”, l’auspicio del Pontefice, insieme a quello che “la Commissione mista
internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese
Ortodosse Orientali possa riprendere prontamente il suo fecondo lavoro, alla
ricerca di un modello di piena comunione, insieme, naturalmente, come auspicava
Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ut unum sint”. M.Michela Nicolais,
sir 30
Papa
Leone in Turchia: l’incontro con i capi delle chiese e comunità cristiane
Inizia un'altra giornata di Papa Leone in Turchia nel
segno del dialogo interreligioso - Di Veronica Giacometti
Istanbul. Un’altra giornata nel segno del dialogo
ecumenico e armonia interreligiosa quella di Papa Leone XIV in Turchia. Questa
mattina il Papa si è recato in visita alla Moschea Sultan Ahmed, la “Moschea
Blu”, una delle più importanti moschee di Istanbul. E presso la Chiesa
ortodossa siriaca di Mor Ephrem per un incontro a porte chiuse con i capi delle
chiese e delle comunità cristiane.
Il nome “Mosche blu” sta proprio nel fatto che pareti, colonne
e archi sono ricoperti dalle maioliche di Iznik, decorate in toni che vanno dal
blu al verde.
Papa Leone nel suo primo appuntamento della giornata è
accolto e accompagnato nella Moschea dal Capo della Diyanet, ovvero il
Presidente per gli Affari Religiosi della Türkiye. Prima di entrare si toglie
le scarpe, a Papa Leone vengono illustrate a lungo le bellezze di questa
moschea che ascolta con grande attenzione.
Successivamente un breve scambio di doni.
Nel 2006 ci fu Papa Benedetto e il 29 novembre 2014 fu
Papa Francesco ad entrare scalzo nella Moschea.
La Sala Stampa ha fatto sapere che "il Papa ha
vissuto la visita alla Moschea in silenzio, in spirito di raccoglimento e in
ascolto, con profondo rispetto del luogo e della fede di quanti si raccolgono
in preghiera".
Subito dopo la Moschea un’altra visita importante: quella
alla Chiesa ortodossa siriaca di Mor Ephrem, una chiesa siriaco-ortodossa
situata a Ye?ilköy, nella parte europea di Istanbul. È poco tempo che esiste
questa costruzione, infatti L’apertura è stata ritardata dalla pandemia di
Covid-19 e dal terremoto in Türkiye e Siria ed è avvenuta solo nel 2023.
Il capo della Chiesa è il Patriarca siro-ortodosso di
Antiochia, con sede a Damasco, capitale della Siria. Nel mondo i fedeli della
Chiesa ortodossa siriaca sono circa due milioni. Il Patriarca della Chiesa
ortodossa siriaca di Antiochia e di tutto l’Oriente è Ignazio Efrem II.
Il Papa incontra privatamente i capi delle chiese e delle
comunità cristiane. Viene accolto dal Patriarca Siro Ortodosso e dal
Metropolita della Chiesa ortodossa siriaca di Antiochia per le diocesi di
Istanbul, Ankara e Izmir. Tutti insieme scattano una foto di gruppo.
Successivamente il coro intona un canto di invocazione allo Spirito Santo e i
Leader prendono posto alla tavola rotonda. L’incontro prosegue a porte chiuse,
con brevi interventi di ciascun Leader, seguiti da un discorso del Pontefice.
Prima di lasciare la Chiesa, il Vicario Patriarcale della Chiesa ortodossa
siriaca di Antiochia guida la recita del Padre Nostro.
“In questa occasione storica in cui celebriamo i 1700
anni dal Concilio Ecumenico di Nicea, ci riuniamo per rinnovare la nostra fede
in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, celebrando la fede che condividiamo
insieme. Auguro ogni bene a tutti coloro che si sono riuniti qui e a tutte le
comunità che rappresentano”, questa la firma del Papa sul Libro d'onore firmato
presso la Chiesa Ortodossa Siriaca di Mor Ephrem.
"Nel suo intervento a conclusione dell’incontro di
questa mattina nella chiesa di Mor Ephrem, dopo aver ringraziato tutti i
presenti, Papa Leone XIV è tornato sul valore del Concilio di Nicea e della
celebrazione di ieri, il cui centro era il Vangelo dell’Incarnazione. Ha
chiesto e assicurato la preghiera perché si generino nuovi incontri e momenti
come quello vissuto, anche con quelle Chiese che non sono potute essere
presenti, ha richiamato il primato dell’evangelizzazione e dell’annuncio del
kerygma e ricordato come la divisione tra i cristiani sia un ostacolo alla loro
testimonianza.
Infine ha invitato a percorrere insieme il viaggio
spirituale che conduce al Giubileo della Redenzione, nel 2033, nella
prospettiva di un ritorno a Gerusalemme, nel cenacolo, luogo dell’Ultima Cena
di Gesù con i suoi discepoli, dove lavò loro i piedi, e luogo della Pentecoste,
un viaggio che porti alla piena unità, citando il suo motto episcopale: “In
Illo Uno Unum”, comunica successivamente la Sala Stampa della Santa Sede
sull'incontro.
Il pomeriggio continuerà con un evento importante: la
firma della dichiarazione congiunta con Bartolomeo e gli altri leader
cristiani. Aci 29
Diocesi
italiane: l'Avvento e la Fraternità
La Chiesa italiana è sempre più vicina alle persone più
bisognose - Di Cesare Bolla
Roma. La Chiesa italiana è sempre più vicina alle persone
più bisognose. In ogni diocesi sono tante le iniziative per aiutare giovani,
anziani, bambini, famiglie, etc. E in questi giorni, con il periodo
dell’Avvento – che inizia domani – sono tante le iniziative che rientrano nei
progetti dell’ “Avvento di Fraternità” di cui daremo spazio nelle prossime
settimane.
Intanto non si fermano i progetti in atto come il
progetto “Rut – Fondati sul lavoro” promosso da Genova dalla Caritas
diocesana e che vuole supportare persone e famiglie che, pur avendo
un’occupazione, non riescono a sostenere le spese ordinarie e straordinarie.
Il progetto si concentra su due fronti principali: lavoro povero e
povertà sanitaria. Lavoro povero con redditi insufficienti a coprire affitto,
bollette e spese quotidiane e povertà sanitaria che comporta difficoltà nell’affrontare
spese mediche urgenti, visto il reddito insufficiente. Il progetto si propone
di offrire prestiti a tasso ridotto o interventi a fondo
perduto, calibrati sul bisogno reale, accompagnamento personalizzato
e valutazione equa e riservata.
I dati che sono emersi in queste settimane, con la
presentazione dei report sulla povertà nei diversi territori italiani a cura
delle Caritas diocesane, evidenziano dati preoccupanti che coinvolgono sempre
più famiglie e persone fragili. Per far conoscere quello che la Chiesa italiana
fa in questo senso da domani parte una nuova campagna su vari organi di
informazione – stampa, tv, radio, social - per raccontare la presenza
quotidiana di una Chiesa che accompagna, sostiene e condivide la vita delle
persone con storie nelle diverse diocesi del nostro paese con gesti di
vicinanza, mani che si tendono, parole che consolano, segni che trasformano la
fatica in speranza. “Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno” –
lo slogan della campagna - intende mostrare i mille volti della “Chiesa in
uscita”: dai percorsi formativi rivolti ai ragazzi, per imparare a usare
intelligenza artificiale e nuove tecnologie, alle attività ricreative per
gli anziani che spesso devono affrontare una vita in solitudine, dal sostegno
alle persone lasciate sole, restituendo loro dignità e speranza, ai cammini di
fede per aiutare ogni individuo a incontrare Dio nella vita quotidiana.
“Nell’Italia di oggi, senza la presenza viva della Chiesa, con la sua rete di
solidarietà – spiega il responsabile del Servizio per
la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica,
Massimo Monzio Compagnoni – grazie all’impegno instancabile di migliaia
di sacerdoti e volontari, mancherebbe un punto di riferimento essenziale.
Attraverso questa campagna desideriamo rendere visibile quanto questa presenza
sia concreta e incisiva nella quotidianità di tante persone”.
La Chiesa italiana – nel giorno conclusivo della visita
di papa Leone XIV in Turchia e Libano e a sessant’anni dall’abolizione delle
scomuniche tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, insieme alla Sacra
Arcidiocesi Ortodossa d’Italia promuove una celebrazione ecumenica per
commemorare lo storico gesto che diede il via a un nuovo dialogo tra cattolici
e ortodossi. A Venezia, martedì 2 dicembre, un evento alla presenza, tra gli
altri, di Polykarpos, Metropolita d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, e
del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI. Nella
Chiesa di San Zaccaria, dopo un momento introduttivo, si terrà la celebrazione
che vedrà l’intervento del Metropolita. Successivamente ci si recherà nella
Cattedrale di San Giorgio dei Greci dove il card. Zuppi proporrà la sua
riflessione. Seguiranno la Professione di fede, la lettura della Dichiarazione
congiunta, lo scambio della pace e la benedizione.
La commemorazione, oltre a celebrare un importante
anniversario, rappresenta – spiega una nota della Cei - il segno concreto della
volontà di proseguire nel solco tracciato dalla Dichiarazione comune con cui
Papa Paolo VI e il Patriarca Athénagoras, nell’eliminare le sentenze di
scomunica dell’anno 1054, esprimevano il desiderio di “riconciliazione” e
invitavano a “perseguire, in uno spirito di fiducia, di stima e di carità
reciproche, il dialogo che li condurrà, con l’aiuto di Dio, a vivere
nuovamente, per il maggior bene delle anime e la venuta del Regno di Dio, nella
piena comunione di fede, di concordia fraterna e di vita sacramentale che
esisteva tra loro nel corso del primo millennio della vita della Chiesa”.
In questa settimana anche un incontro importante quello
del card. Zuppi che, insieme al segretario generale della Cei, l’arcivescovo di
Cagliari, Giuseppe Baturi, con alcune vittime di abusi compiuti in ambito
ecclesiale. Un incontro avvenuto nella sede della Conferenza episcopale
italiana e che si inserisce nella serie di incontri periodici promossi,
da tempo, con l’obiettivo di “dare continuità e ulteriore concretezza alle
linee di azione nel campo della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili
messe in atto con determinazione dalla CEI”. Il colloquio è stato
caratterizzato dalla condivisione e dal dialogo, in un clima di ascolto
“attento e costruttivo”.
“Sul versante della tutela e della prevenzione degli
abusi – ha detto il card. Zuppi - non abbassiamo la guardia: la voce delle
vittime è per noi fondamentale perché ci aiuta a riconoscere gli errori
compiuti e ci sprona a continuare nel nostro impegno. Vogliamo creare ambienti
sempre più sicuri perché non si ripetano i drammi del passato, perché si
diffonda una cultura della cura e perché, per quanto possibile, si possano
ricucire le ferite di chi ha sofferto e soffre a causa di crimini
inaccettabili”. Aci 29
Incoraggiati
a ripristinare la piena comunione tra i Cristiani
Le parole di papa Leone XIV durante il rito della
doxologia nella chiesa patriarcale di San Giorgio a Istanbul - Di Antonio
Tarallo
Istanbul. Un incontro che farà storia: sia per i
protagonisti, sia per il luogo scelto. E' la Chiesa Patriarcale di San Giorgio
a Istanbul, dove ha luogo la Doxologia, una preghiera breve ma assai intensa.
Piove, oggi, a Istanbul. Il termine doxologia deriva dal greco doxa (gloria,
lode) e logos (parola, discorso): letteralmente, “parola di gloria”. Nella
liturgia cristiana, indica una formula breve con cui si rende gloria a Dio,
riconoscendone la maestà e l'azione salvifica nella storia. Atto di adorazione,
solenne e richiama la grandezza di Dio. Preghiera e lode, assieme per papa
Leone XIV e il Patriarca Bartolomeo I, che insieme (parola cardine di questo
viaggio) procedono verso l'ingresso della Cattedrale e prima di entrare
accendono una candela: la luce, segno della Luce di Dio.
Il luogo, simbolico, e magnifico nel suo splendore: la
Chiesa Patriarcale di San Giorgio sorge proprio accanto al Patriarcato.
L'edificio sacro, risalente al 1720, è sprovvisto di cupola, secondo la regola
stabilita dagli Ottomani dopo la conquista della Città, essendo la cupola
ritenuta appannaggio esclusivo delle moschee e degli edifici legati alla
tradizione islamica. Oro, e lampadari luccicanti: tutto s'intreccia nella
chiesa patriarcale, arte e fede, così come il pregevole Trono del Patriarca
Ecumenico, intarsiato di avorio e riconducibile alla tarda epoca bizantina. Il
valore simbolico: la Chiesa Patriarcale custodisce le reliquie di alcune delle
più venerate sante dell'Antica Costantinopoli, come Eufemia di Calcedonia.
Nella Chiesa Patriarcale trovano posto anche, dalla festa di Sant'Andrea (30
novembre) del 2004, parte delle reliquie dei Santi Gregorio il Teologo e
Giovanni Crisostomo, consegnate il 27 novembre 2004 al Patriarca
Bartolomeo I.
Il luogo già di per sé riesce a far nascere riflessioni e
meditazioni sul tema del dialogo ecumenico. E proprio in questo luoco, ecco che
papa Leone XIV prende la parola per un saluto, breve, come la stessa preghiera,
ma intenso, dal grande valore storico.
Bartolomeo I, allora, rivolge a papa Leone XIV delle
parole di saluto: “Con profonda gioia e giubilo in questo giorno, nello stesso
spirito d'amore fraterno con cui sono stati accolti i suoi illustri
predecessori, i papi di venerata memoria Paolo VI, Giovanni Paolo II,
Benedetto XVI e Francesco, che hanno fortemente contribuito, ognuno a suo modo,
con il proprio carisma, al riavvicinamento delle nostre chiese
sorelle, attraverso il dialogo d'amore e di verità”. Nelle sue parole
Bartolomeo I sototlinea l’ “esortazione dell'Apostolo Pietro":
"mettere ogni impegno per raggiungere alla nostra fede la virtù. Alla
virtù, la conoscenza. Alla conoscenza, l'ottemperanza. All'ottemperanza, la
pazienza. Alla pazienza, la pietà. Alla pietà, l'amore fraterno. All'amore
fraterno, la carità”. Parole di unione in cui la parola che risuona più volte è
"fratellanza" e "fratello": il desiderio, vero, di poter
essere uniti. Chiese "sorelle" le chiama Bartolomeo I.
E a queste parole di frattelanza, risponde papa Leone XIV
con un saluto carico di altrettanto affetto fraterno: “Amato fratello in
Cristo - così comincia il pontefice, con quell' “amato fratello” denso di
significato - mi permetta di iniziare esprimendo la mia più profonda
gratitudine per la calorosa accoglienza e le gentili parole di saluto”. E così
passa a ringraziare, poi, i Membri del Santo Sinodo, assieme al clero e ai
fedeli.
“Entrando in
questa Chiesa, ho provato una grande emozione, consapevole di seguire le orme
di Papa Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco”:
un omaggio ai pontefici predecessori che hanno visitato questa terra. E, poi,
il passaggio più importante, forse: “Sono certo che questo incontro contribuirà
anche a rafforzare i legami della nostra amicizia, che hanno già iniziato ad
approfondirsi quando ci siamo visti, per la prima volta, all'inizio del mio
Ministero come Vescovo di Roma, specialmente durante la solenne celebrazione
della santa Eucaristia, alla quale Vostra Santità ha avuto la gentilezza di
essere presente”.
L'attenzione sul 1700° anniversario del Primo Concilio
Ecumenico di Nicea, “evento così significativo” (così lo definisce il
pontefice). L'invito è chiaro, forte: “Siamo incoraggiati nel nostro impegno a
ricercare il ripristino della piena comunione tra tutti i Cristiani, compito
che intraprendiamo con l'aiuto di Dio. Spinti da questo desiderio di unità, ci
prepariamo anche a celebrare la memoria dell'Apostolo Andrea, Patrono del
Patriarcato Ecumenico”.
Ricorda, poi, la preghiera da poco ascoltata declamata
dal diacono che ha rivolto a Dio la supplica “per la stabilità delle Sante
Chiese e per l'unità di tutti”. E precisa: "Questa stessa invocazione
risuonerà anche nella Divina Liturgia di domani. Che Dio, Padre del nostro
Signore Gesù Cristo, abbia misericordia di noi ed esaudisca codesta
orazione".
L'incontro si chiude con la recita del Padre Nostro: lo
recitano in latino, Pater Noster, la lingua universale della Chiesa. E un canto
in greco, intonato da tutta l'assemblea: il nome di Dio viene
acclamato. Aci 29
Leone
XIV e Bartolomeo I firmano la Dichiarazione congiunta
Nel Palazzo Patriarcale, la firma di una Dichiarazione
congiunta e lo scambio dei doni tra il papa e Bartolomeo I
Kabul. E dopo la preghiera della Doxologia nella chiesa
patriarcale di San Giorgio, Bartolomeo I e papa Leone XIV si sono
incontrati nel Palazzo del Patriarcato per la firma di una dichiarazione
congiunta. Un momento breve, ma significativo. E subito dopo la firma, lo
scambio dei doni: papa Leone XIV ha donato un mosaico del Cristo Pantocratore,
una riproduzione del mosaico che decora la volta dell'Oratorio di San Zenone,
situato nella basilica di Santa Prassede a Roma. Bartolomeo I una stola, raffinata,
dorata. E una croce pettorale d'oro. Il Cristo Pantocratore è raffigurato
come sovrano e giudice dell'universo, secondo l'iconografia tipica dell'epoca.
Il suo sguardo solenne e diretto verso l'osservatore esprime onniscienza e
presenza eterna. Il quadro musivo (cm 70 × 70) è stato realizzato dai
mosaicisti dello Studio del Mosaico Vaticano tra febbraio e giugno 2021: smalti
policromi e ori, applicazioni con stucco oleoso su base metallica.
La Dichiarazione congiunta ha come sottotitolo parole che
sono una sintesi di tutto: «Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché
il suo amore è per sempre», tratte dal salmo 106 . misericordioso, per il dono
di questo incontro fraterno. Seguendo l'esempio dei nostri Venerabili
Predecessori e in ascolto della volontà del nostro Signore Gesù Cristo,
continuiamo a camminare con ferma determinazione sulla via del dialogo,
nell'amore e nella verità, verso l'auspicato ripristino della piena comunione tra
le nostre sorelle Chiese”, questo l'incipit del testo firmato
congiuntamente.
Inoltre viene sottolineato che “l'unità dei cristiani non
è semplicemente risultato di sforzi umani, ma un dono che viene dall'alto”.
Viene definito “uno straordinario momento di grazia” la commemorazione del
1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Importante il
passaggio: "Dobbiamo anche riconoscere che ciò che ci unisce è la fede
espressa nel Credo di Nicea. Questa è la fede che salva nella persona del
Figlio di Dio, vero Dio da vero Dio, homoousios con il Padre, che per noi e per
la nostra salvezza si è incarnato e ha abitato in mezzo a noi, è stato
crocifisso, è morto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno, è asceso al
cielo e verrà di nuovo a giudicare i vivi ei morti". la Resurrezione è al
centro di tutto. E poi si parla - sempre nella stessa Dichiarazione - il
mistero della Santissima Trinità. C'è speranza nel documento: "Siamo
convinti che la commemorazione di questo significativo anniversario possa
ispirare nuovi e coraggiosi passi nel cammino verso l'unità. Tra le sue decisioni,
il Primo Concilio di Nicea fornì anche i criteri per determinare i dati della
Pasqua, comune a tutti i cristiani". Ricorda, infatti, il testo firmato
congiuntamente che “la divina Provvidenza” ha fatto in modo “che quest'anno
l'intero mondo cristiano abbia celebrato la Pasqua nello stesso giorno”.
E nelle parole, forte il desiderio di “proseguire il
processo di esplorazione di una possibile soluzione per celebrare insieme la
Festa delle Feste ogni anno”. Viene poi ricordato anche il 60° anniversario
della storica Dichiarazione congiunta di papa Paolo VI con il patriarca
ecumenico Atenagora. “Convinti dell'importanza del dialogo, esprimiamo il
nostro continuo sostegno al lavoro della Commissione mista internazionale per
il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che nella
fase attuale sta esaminando questioni storicamente considerate fonte di
divisione” continua il documento congiunto. C'è anche l'esortazione alle due
Chiese di “accogliere con gioia i frutti finora conseguiti ea impegnarsi per il
loro continuo incremento”.
Un'unità che contribuisce alla pace: "Insieme
alziamo fervidamente le nostre voci invocando il dono divino della pace sul
nostro mondo. Tragicamente, in molte sue regioni, conflitti e violenza
continuano a distruggere la vita di tante persone. Ci appelliamo a coloro che
hanno responsabilità civili e politiche affinché affrontino tutto il possibile
per garantire che la tragedia della guerra cessi immediatamente, e chiediamo a
tutte le persone di buona volontà di sostenere la nostra supplica".
Dopo la firma e lo scambio di doni, un momento privato
fra i due. Unione, fratellanza, e pace: queste le parole-chiave di
oggi. Aci 29
La
Chiesa in Turchia. L'importanza del viaggio di Papa Leone XIV
A colloquio con padre Paolo Pugliese, Paolo Pugliese, cappuccino,
che vive da più di dieci anni in Turchia. Oggi è delegato dei frati minori
cappuccini nel Paese. Di Antonio Tarallo
Roma. Per conoscere meglio la realtà della Chiesa in
Turchia, e per parlare del primo viaggio apostolico di papa Leone XIV,
AciStampa ha intervistato padre Paolo Pugliese, cappuccino, che vive da più di
dieci anni in Turchia. Oggi è delegato dei frati minori cappuccini nel Paese.
Turchia, terra che parla al nostro oggi. E tanto. Voi,
frati cappuccini, è da tempo che siete presenti in questa terra. Dove svolgete
il vostro servizio?
Una presenza, quella di noi frati cappuccini, che rimane
ancora importante. Sì, rimane importante anche se piccolina. Qui a Istanbul,
abbiamo il convento sulla parte europea, siamo l'ultima chiesa a ovest di
Istanbul. Come cappuccini siamo presenti in luoghi importanti: vi è la casa di
Maria ad Efeso, dove ci sono appunto dei frati che ricevono essenzialmente i
pellegrini sia di fede musulmana che cristiana. E poi, Efeso è il luogo dove
appunto Giovanni ha scritto il Vangelo, e vissuto fino alla morte. Noi stiamo
in questo piccolo santuario, Meryem Ana Evi, da una sessantina d'anni, è un
luogo in cui si sente molto il dialogo interreligioso. Poi abbiamo altre due
presenze nel sud. Uno di questi due siti è a Mersin, grande città portuale,
poco distante da Tarso, patria di Paolo, per intenderci. Qui, animiamo l'unica
chiesa cattolica della città. Infine abbiamo un'altra presenza, ai confini
della Turchia con la Siria, ad Antiochia. Città altrettanto importante per il
Cristianesimo: Antiochia è il luogo dove per la prima volta i discepoli di Gesù
sono stati chiamati “cristiani”. È posta a una cinquantina di chilometri al
confine con la Siria.
Cosa rappresenta per la Chiesa in Turchia questo viaggio
di papa Leone XIV?
Aspettavamo il pontefice. Un viaggio importante per
diversi motivi. Dobbiamo premere che la chiesa cattolica turca è un'area
piccola piccola. Assai piccola. E non ha personalità giuridica. Una piccola
chiesa che si potrebbe definire un fiorellino di campagna. Per questi motivi
ricevere la visita del Papa significa sentirsi parte di qualcosa di molto più
grande e rilevante, sia a livello diacronico (nel tempo) che sincronico (cioè
nello spazio). La presenza del Pontefice dà un senso di appartenenza, un po' di
respiro. Non è certo facile quando si vive da minoranza. Questo viaggio è
proprio questo: un respiro a questa piccola comunità di fedeli! Siamo pochi, ma
ecco che in questi giorni il papà ci ascolta, ci guarda: è bellissimo tutto
ciò!
Una minoranza che accoglie il papa. Una minoranza a cui
il pontefice presta attenzione. Come primo viaggio - seppur doveva essere papa
Francesco a compierlo - Leone XIV sceglie proprio un piccolo popolo. In fondo,
non pensa, che potrebbe essere anche un messaggio che va oltre ai luoghi di
questo viaggio? Un messaggio a una cristianità che, vista l'Europa
secolarizzata, è sempre più piccola?
È molto opportuna questa sua riflessione. In fondo,
potrebbe anche essere così. E questo si allaccia a un pensiero che spesso mi si
affaccia: la Chiesa della Turchia vive una condizione profetica rispetto alla
Chiesa d'Europa. Mi spiego meglio: la crisi che la chiesa sta vivendo in Europa
qui è stata vissuta secoli fa, e ora i fedeli sono pochi, così come i
sacerdoti, i mezzi… Pochi, piccoli, ma chiese vive. Il fatto che il papa venga
qui e che ponga il suo primo sguardo a una chiesa che è di minoranza, fa riflettere
anche su ciò che sta accadendo in Europa, e offre nuovi orizzonti anche
altrove.
Nicea, 1700 anni dopo. Quale possibilità di dialogo dopo
il viaggio di papa Leone XIV? Concretamente cosa potrebbe cambiare sia nella
chiesa locale sia a livello internazionale?
Cominciamo col dire che sicuramente le due sfere si
toccano. A livello ecumenico penso che papa Leone XIV il Papa sia stato molto
accorto nel senso che è stato invitato da Bartolomeo ma ha messo nel programma
delle visite sia al patriarcato armeno che alla Chiesa siriaca: queste sono le
due realtà importantissime, due realtà di una grande storia dietro alle spalle.
Due chiese antichissime: basterebbe pensare alla Chiesa siriaca, una chiesa che
prega la sua liturgia, le sue preghiere, che celebra le sue funzioni in siriaco
che sarebbe una variante dell'aramaico, la lingua parlata da Gesù. Quindi, è
una Chiesa importantissima che però è stata tendenzialmente al di fuori
dell'impero romano, dell'impero bizantino, e quindi non ha mai avuto un
imperatore che la tutelasse, per intenderci. Poi, abbiamo la Chiesa armena che
ha avuto al suo inizio un impero. L'Armenia nel 303 diventa tradizionalmente
per la prima volta l'impero cristiano, prima ancora dell'impero romano: in
sintesi, una Chiesa importantissima, orgogliosa di questo primato, anche se poi
la sua storia è stata travagliata come sappiamo fino ad arrivare al '900. Ecco,
queste due Chiese sono in realtà importantissime in Turchia, perché
numericamente sono molto più grandi della Chiesa cattolica. Il fatto che il
pontefice le vada a trovare credo che sia proprio un fatto importantissimo: una
scelta molto intelligente, una cosa anche molto sentita. Una scelta chiara che
spero porterà un cammino davvero assieme. E il pontefice mi sembra più che
determinato in questa direzione. Lo ha ripetuto più volte: ha parlato al
plurale. “Camminiamo insieme”. Ricorda molto quel “Noi crediamo” del Concilio
di Nicea, appunto.
E sotto l'aspetto politico potrebbe cambiare qualcosa
dopo questo viaggio?
Papa Leone XIV porta qui anche la sua presenza come
responsabile civile, come voce a tutela dei diritti civili dell'umano. Per
questi paesi islamici, la Turchia è infatti un paese islamico, sentire la voce
del pontefice che si è scagliato contro gli attacchi violenti a Gaza, ha
segnato anche una certa vicinanza, mi sembra. E poi, non possiamo dimenticare,
come dicevamo prima l'importanza di questo viaggio sotto l'aspetto
storico-biblico, spirituale: le radici con i discepoli.
Turchia, un territorio visitato da diversi pontefici:
Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e papa Francesco. Ora, papa Leone
XIV. Possiamo dire, allora, che è davvero una terra che “attira” la Santa Sede?
In fondo, a questa a lista, vogliamo aggiungere anche
Roncalli, non come pontefice ma come Nunzio apostolico sì. La lista, dunque, si
allarga ancora di più. Roncalli che ha vissuto diversi anni in questo
territorio: una presenza, la sua, tra l'altro particolarmente rilevante, perché
i suoi diari raccontano come lui abbia accolto di buon grado certe istanze,
come quella di non vestirsi da sacerdote, di non esporre simboli religiosi. Poi
mi sembra interessante anche che lui abbia un po' amato la realtà della Turchia.
Mi chiede: perché “attrae” così tanto la Santa Sede, questa terra? La Turchia è
prima di tutto una terra santa. Se la Palestina e Israele rappresentano la
Terra Santa perché c'è stato Gesù, perché su quelle terre è passato, abbiamo la
Turchia come luogo dove i suoi discepoli si sono intrattenuti, hanno fatto i
loro viaggi. Penso a Paolo, a Giovanni, a Filippo, alla stessa Vergine a Efeso.
In fondo, mi aspetto che lo stesso papa Leone XIV ritorni fra sei anni per
l'anniversario del concilio di Efeso. Aci 28
Scalabriniani,
28 novembre: un anniversario di memoria e di prospettiva
ROMA. Centotrentotto anni fa, il 28 novembre 1887,
Giovanni Battista Scalabrini, nato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco in provincia
di Como e Vescovo di Piacenza dal 1876, fonda la Congregazione dei Missionari
di San Carlo Borromeo per la cura pastorale, sociale e culturale degli
emigranti italiani soprattutto nelle Americhe.
Nel celebrare l’anniversario di nascita della
Congregazione scalabriniana non è fuori luogo chiedersi se la memoria dei primi
tempi continui ad ispirare e animare idee e iniziative odierne nell’opera di
accompagnamento e sostegno dei migranti.
QUANDO E PERCHÉ NASCE LA CONGREGAZIONE DI SCALABRINI?
Il tempo di Scalabrini è il tempo dell’abolizione della
schiavitù (1865 negli USA; 1888 in Brasile), dello sviluppo dell’industria e
dell’urbanizzazione negli USA, dello sfruttamento agricolo nelle Americhe,
delle crisi agricole e industriali in Europa, delle guerre d’indipendenza e
d’espansione degli imperi coloniali, della nascita del socialismo e del
movimento sindacale operaio, dell’espansione del commercio e degli squilibri
demografici, della contrapposizione in Italia, tra Chiesa e Stato.
Nell'Europa del XIX secolo la grande crescita demografica
porta la sua popolazione da 150 a 220 milioni. Dal 1830, molta gente lascia le
campagne, sempre più in crisi, per trasferirsi nelle città, in cerca di lavoro
e condizioni di vita accettabili. Dal 1815 al 1840, quasi 60 milioni di
persone, soprattutto agricoltori ed artigiani, lasciano l’Europa per le
Americhe. Tale movimento è anche una delle conseguenze della rivoluzione
industriale che crea masse di poveri nei porti e nelle città industriali.
Dal 1840 al 1914 circa 100 milioni di Europei lasciano
l’Europa. All’inizio erano numerosi gli Anglosassoni (Irlandesi, Inglesi,
Tedeschi). In seguito, sono stati raggiunti dagli Ucraini, dai Polacchi, dagli
ebrei di Russia e dagli Italiani, soprattutto lavoratori non qualificati e poco
pagati. Se dall’Unità d’Italia, nel 1861, ad oggi possiamo contare oltre 30
milioni di emigrati italiani, dal 1876 (anno in cui Scalabrini diventa vescovo
di Piacenza ed anche anno della prima rilevazione statistica in Italia) al 1905
(anno della morte di Scalabrini), 8 milioni di Italiani (di cui 1,5 milioni
sono donne) lasciano il Paese: 3,7 milioni emigrano verso i paesi europei e 4,2
milioni verso le Americhe (1,7 milioni negli USA e 1 milione in Brasile).
Questi emigrati provengono soprattutto dalle regioni del Nord Italia (4,5
milioni), seguite dalle regioni meridionali e insulari (2,8 milioni) e da
quelle centrali (700 mila persone).
Solo nel 1887, anno della fondazione della Congregazione
scalabriniana, emigrano complessivamente dall’Italia 215 mila persone, di cui
44 mila donne. Di questi espatriati 82 mila si dirigono nei paesi europei e 129
mila nelle Americhe (di cui 37 mila negli USA e 31 mila in Brasile). Sono 133
mila gli emigrati che lasciano le regioni settentrionali del Paese, contro 67
mila delle regioni meridionali e insulari e 15 mila di quelle centrali.
Scalabrini cerca, allora, di conciliare la conoscenza
scientifica dei fenomeni sociali e la ricerca di soluzioni adeguate. In
effetti, partendo dalla realtà della sua diocesi, dove durante le visite
pastorali constata l’assenza di 28 mila persone partite all’estero, organizza
del 1877 al 1878 un’inchiesta statistica e sociale sulle condizioni degli
emigrati che porterà alla nascita della Congregazione dei Missionari per gli
emigrati (Scalabriniani) che attraverso l’azione di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica, l’interlocuzione con governi e parlamenti al momento
dell’elaborazione delle leggi, la gestione dell’accoglienza dei migranti nei
porti di partenza e di arrivo, l’assistenza ai migranti durante il viaggio,
l’opera d’alfabetizzazione, d’informazione e d’assistenza medica nei paesi di
accoglienza, l’inserimento attivo nelle società di accoglienza senza perdere o
barattare l’originaria fede religiosa né il legame con tradizioni, lingua e
cultura del Paese di origine.
L’EREDITÀ DI SCALABRINI AGLI SCALABRINIANI: DUE
INTUIZIONI FONDAMENTALI
Nella comprensione del fenomeno migratorio Scalabrini
intuisce, innanzitutto, che il fenomeno migratorio è parte integrante e
costitutiva, a livello internazionale, della “questione sociale o operaia” e
incoraggia così il miglioramento delle condizioni di vita delle grandi masse
popolari. È quanto oggi dichiariamo dicendo che le migrazioni sono uno degli
elementi costitutivi (non congiunturali) delle nostre società e che vanno
gestite in accordo con azioni perequative di cooperazione internazionale aiutando
i Paesi di origine a uscire da retaggi neocoloniali.
In secondo luogo, Scalabrini capisce che il futuro della
Chiesa si gioca più sul terreno della mobilità umana (incontro e coabitazione
di popoli) che su quello delle frontiere missionarie della propagazione della
fede tra i non credenti, come descrive nel documento Pro emigratis catholicis
inviato alcuni mesi prima di morire alla Santa Sede preconizzando la creazione
di una congregazione pontificia in favore dei migranti, capace di superare
gelosie e sentimenti nazionalisti condivisi dagli stessi uomini di Chiesa.
L’originalità della visione scalabriniana è la globalità
che coinvolge tutti gli aspetti del fenomeno (economici, sociali, morali,
religiosi e ecclesiali), l’intero arco del percorso migratorio (la partenza, il
viaggio, l’arrivo e l’insediamento nel paese di immigrazione) e l’implicazione
di tutti gli attori pubblici e privati. Si tratta allora di cogliere
l’alterità, la differenza come relazione/incontro e non come
barriera/frontiera. E per far questo bisogna saper sviluppare la comunicazione,
lo scambio, il dialogo con tutti gli uomini, senza erigere frontiere
(culturali, nazionali o religiose), ma in condizioni di libertà e di
uguaglianza. Il rispetto della differenza implica come condizione essenziale la
lotta conto le disuguaglianze e le discriminazioni.
Oggi, nelle società plurietniche e pluriculturali, gli
stranieri vanno visti non come problemi ma come risorse da valorizzare. É
questa la sfida della comunicazione vissuta da Scalabrini. Là dove c’era
rottura di comunicazione, indipendentemente dalle cause, che potevano essere
politiche (come per la rottura tra Chiesa e Stato italiano), fisiche (come per
i sordo-muti), culturali o linguistiche (nelle migrazioni), sociali
(sfruttamento dei poveri, soprattutto contadini e operai), educative
(analfabetismo), religiose (ignoranza religiosa), là Scalabrini ha lasciato le
tracce della sua visione profetica e della sua testimonianza di vita.
COSA CELEBRANO ALLORA GLI SCALABRINIANI OGNI 28 NOVEMBRE?
Non tanto la ricorrenza di un momento, ma l’impegno di
una vita in continua evoluzione perché ristabilire la comunicazione interrotta
e ristabilirla in ogni campo è l’eredità che Scalabrini lascia ai suoi “figli”
oggi. E gli scalabriniani sono continuamente e nuovamente chiamati a farsi
migranti con i migranti, lenire le ferite materiali e spirituali di tanti
fratelli costretti a vivere lontani dalla loro patria, sostenerli nella difesa
dei diritti fondamentali della persona umana, sensibilizzare le comunità ad una
accoglienza rispettosa, aperta e solidale e cogliere nelle migrazioni un segno
della vocazione eterna dell’uomo (Regole di Vita, 2 della Congregazione dei
Missionari di S. Carlo).
Come Scalabrini voleva che la fede degli emigranti fosse
preservata così i suoi missionari sono chiamati a dare il giusto posto alla
cultura d’origine dei migranti perché, tenendo in vita le tradizioni e la
lingua, anche la loro fede cristiana possa esprimersi nella maniera più
familiare, senza comunque sottovalutare l’impegno di creare nuovi vincoli di
comunicazione e incontro tra le diverse culture che le migrazioni veicolano.
Inoltre, i missionari scalabriniani operano con e in favore dei migranti per superare
le situazioni di sfruttamento e d’emarginazione e favorire l’inclusione attiva
e propositiva nella comunione ecclesiale e civile.
Quando negli anni Sessanta del XX secolo la Congregazione
scalabriniana capisce che era il momento di piantare le sue tende non solo
fuori dall’Italia, ma anche fuori dalla propria cultura, viene modificato lo
scopo iniziale dell’Istituto (“in favore degli emigrati italiani”) superando la
barriera / distinzione etnica. Dal 1966 la nuova finalità dei missionari di
Scalabrini diventa l'assistenza pastorale dei migranti più bisognosi,
indipendentemente dalla nazionalità. Da questa data la congregazione scalabriniana
s'internazionalizza: i suoi missionari si preoccupano dei migranti di ogni
origine e, allo stesso tempo, i giovani di ogni origine cominciano a far parte
delle comunità scalabriniane. Altre posizioni pastorali sono aperte in 32 Paesi
del mondo: Portogallo, Paraguay, Porto Rico, Colombia, Messico, Filippine,
Guatemala, Haiti, Repubblica Dominicana, Sud Africa, Taiwan, Bolivia, Perù,
Indonesia, Giappone, Vietnam, Mozambico, Spagna, Ecuador, San Salvador, Uganda,
Dubai.
L’allargamento del fine istituzionale comporta alcuni
cambiamenti radicali nella maniera di considerare l’emigrazione. Fino agli anni
1970-1980, l’emigrato s’identificava con italiano, portoghese, spagnolo, cioè
un europeo, di cultura e religione cristiana. D’ora in poi l’emigrato è sempre
più latino-americano, asiatico, africano o d’Europa dell’est, e sempre più
spesso di cultura e religione non cristiana (spesso musulmana, ma non solo).
La stessa Italia da serbatoio di mano d'opera per
l'emigrazione mondiale diventa paese di accoglienza per numerosi immigrati
comunitari e non. La reazione immediata è quella di dimenticare il proprio
passato di emigrazione e di esigere che gli immigrati di oggi paghino lo stesso
prezzo (compresi gli interessi) pagato dagli italiani di un tempo nel difficile
processo di inserimento nei Paesi di accoglienza...
Ancor’oggi, pochi si rendono conto, come nel 1901
scriveva Scalabrini al Papa Leone XIII, “…che l’immigrazione è una risorsa
straordinaria, un grande regalo per un paese…”.
Durante 138 anni di esistenza quella congregazione, nata
dall’intuizione profetica di Scalabrini, continua ad estendere i confini della
sua azione e nelle diverse società e chiese di accoglienza dei migranti non
opera per costruire “spazi paralleli”, solo per i migranti, ma per invitare
tutti, autoctoni e migranti, cristiani e non-cristiani, a vivere lo spirito
dell’accoglienza e della solidarietà di modo che ognuno possa dare il suo
contributo alla costruzione di una società umana, degna e rispettosa di tutti e
di ognuno.
La Congregazione scalabriniana – tramite le sue opere
pastorali (parrocchie, missioni, case del migrante, centri di animazione e
servizio, mezzi di comunicazione, centri di studio) - si prefigge infatti, di
servire la Chiesa e la società civile affinché l'una e l'altra prendano
coscienza delle proprie responsabilità verso i migranti, non in quanto “oggetto
di attenzione”, ma come fattore di trasformazione e ricomposizione del
paesaggio sociale, culturale e religioso delle diverse società e chiese nazionali
e internazionali. Sono le migrazioni, infatti, ad offrire i contenuti e le
modalità con cui la Chiesa (e gli Scalabriniani in essa) pensa e attua la sua
presenza nei differenti contesti sociali, culturali, economici, religiosi. A
partire dalla non transitorietà del fenomeno migratorio, si può considerare le
migrazioni come un fenomeno sociale “naturale” che, pur presentandosi come
frutto di ingiustizia strutturale (contro cui lottare), può veicolare elementi
positivi, soprattutto nell'ambito dell'incontro dei popoli.
Infatti, le migrazioni non sono solo il terreno
privilegiato di sfruttamento, ignoranza, discriminazione, solitudine,
isolamento, povertà (aspetti oggi ancor più violenti di ieri e contro cui non
ci si può esimere di prendere posizione), ma sono anche concrete possibilità di
relazioni e mediazioni tra persone, gruppi regionali, origini, nazioni, culture
diverse, non certo per mettere in evidenza (in maniera quasi esclusiva e
ossessiva) l'altro (l'etnicità nel suo aspetto distintivo o di sostituzione prevaricatrice)
ma per dare priorità alla mediazione, al rapporto interattivo tra i differenti
soggetti, attori e partners sociali e ecclesiali.
In realtà i 3 elementi necessari per costruire una
società umana capace d’assumere la propria composizione pluriculturale sono: la
solidarietà, la coesione e l'interdipendenza. É sull’apertura (accoglienza,
rispetto) all’altro (il diverso, l'immigrato, lo straniero) che una società può
fondare la sua coesione interna, accettando così la dinamica relazionale dello
scambio, dell’interdipendenza, come cammino per risolvere i conflitti
inevitabili in ogni incontro con l’altro. Vivere insieme e divenire insieme (società
e chiesa) è possibile e necessario perché “l’immigrazione non è un problema
astratto, ma sono bambini, donne, uomini di carne e sangue, che hanno cuore e
spirito, corpo e anima; sono nostri fratelli e nostre sorelle, sono il corpo di
Cristo”, come ricordava spesso papa Francesco.
Possiamo, quindi, qualificare l’azione della Chiesa, come
“compagna di viaggio” dei migranti, nella sua dimensione “religiosa”
(conservazione e approfondimento della fede), “socioassistenziale” (ricerca di
risposte ai bisogni essenziali dei migranti: casa, lavoro, salute), “culturale”
(identità linguistica di appartenenza) “aperta all’interculturale” (capacità di
incontro, dialogo, mediazione, accettazione e valorizzazione positiva
dell’altro) per favorire quella risorsa “integrazione” capace di arricchire le
società di accoglienza. E, in tale impegno, il CSER, e gli altri centri studi
scalabriniani, quali istituzioni culturali integrali aperte all’incontro e al
dialogo, possono continuare ad essere credibili solo corrispondendo alle
esigenze di analisi scientifica che non disgiunge i fatti dal fondamento etico
e spirituale, e operando in collaborazione con quanti si riconoscono nei
medesimi ideali di rigore scientifico e di impegno civile a favore dei
migranti.
Auguri, allora, e buon lavoro, Congregazione
scalabriniana. Ad multos annos!
P. Lorenzo Prencipe, Cser 28
Le
comunità cristiane in Turchia tra storia e attualità
La Turchia ospita comunità cristiane piccole ma radicate,
dall’ortodossia del Fanar alla tradizione siriaca del Tur Abdin, fino alla
Chiesa cattolica latina. Tra migrazioni, restauri, tensioni politiche e
testimonianze di fede, queste realtà mantengono viva una presenza antica in un
Paese a maggioranza musulmana.
La Turchia è un Paese a maggioranza musulmana con circa
90 milioni di abitanti. Nel Novecento ha sviluppato uno Stato nazionale e laico
sotto la guida di Atatürk; nel XXI secolo. Con Erdo?an, al potere da circa 20
anni, l’Islam ha assunto un ruolo centrale nella società. Tuttavia, essa è
anche una regione con una lunga storia cristiana, che risale ai primi secoli e
include figure bibliche, Padri della Chiesa, ma anche tradizioni monastiche e
una presenza cristiana continuata anche durante l’epoca dell’impero ottomano.
La presenza cristiana, oggi, è numericamente ridotta, ma conserva un enorme
valore storico e religioso significativo. Il patriarcato ecumenico di
Costantinopoli, situato nel quartiere del Fanar a Istanbul, resta un punto di
riferimento. Malgrado il numero di fedeli ortodossi sia esiguo, esso continua a
mantenere un ruolo importante. E questo grazie soprattutto alla continua
presenza dei suoi patriarchi, tra cui Atenagora fino all’attuale Bartolomeo.
Dal Concilio vaticano II tutti i papi hanno visitato questa terra. A Istanbul è
presente anche la Chiesa armena, la più numerosa comunità cristiana della
Turchia, segnata dalle vicende della Prima guerra mondiale. Ai confini con la
Siria continua a vivere la tradizione siriaca, concentrata nell’area del Tur
Abdin.
La Chiesa siriaca, un tempo più diffusa, oggi opera in un
contesto islamico complesso e influenzato dal conflitto tra lo Stato turco e la
popolazione curda. A causa dell’emigrazione si è molto ridotta, ma rimane
attiva. A Mardin, un parroco siriaco guida una comunità di poco più di cento
fedeli, sia ortodossi sia cattolici, celebrando nelle diverse chiese per
mantenerle attive. Ad Adiyaman, nel 2011, è stata riaperta l’unica chiesa
siriaca con autorizzazione governativa, facendo riemergere la presenza cristiana.
Nel Tur Abdin diverse chiese sono state restaurate e aperte ai visitatori, e
nei due monasteri rimangono alcuni monaci. Uno di essi, padre Gabriel, racconta
di essere rimasto nel monastero mentre la sua famiglia emigrava, spiegando che
la scelta è tra la vita religiosa e il benessere materiale.
La Chiesa cattolica in Turchia fa parte della Chiesa
cattolica universale ed è in comunione con il papa. I cattolici presenti nel
Paese sono circa 60.000, equivalenti allo 0,07% della popolazione, composta
prevalentemente da musulmani. La Chiesa cattolica di rito latino è articolata
nell’arcidiocesi di Smirne e nei vicariati apostolici dell’Anatolia e di
Istanbul. Vi è inoltre collaborazione con le Chiese cattoliche armene, caldee,
greche e sire, che seguono riti propri. Accanto a esse sono presenti altre comunità
cristiane, tra cui gli ortodossi legati al patriarcato di Costantinopoli, di
rilevante importanza storica. La Chiesa cattolica latina mantiene un rapporto
particolare sia con i cittadini turchi sia con gli immigrati. Dalle parrocchie
di Istanbul fino alle comunità più piccole dell’Anatolia, i missionari
continuano a sostenere gruppi ridotti ma considerati significativi. Mantenere
aperte le chiese è un gesto di attenzione verso chi vive sul posto e un segno
di speranza per il futuro. In questo contesto è ricordata la figura del
sacerdote romano Andrea Santoro, ucciso mentre pregava nella sua chiesa di
Trebisonda, così come quella del vescovo Padovese, anch’egli ucciso. Santoro
vedeva la sua presenza come un modo per ridurre la distanza tra mondi diversi.
Le piccole comunità cristiane in Turchia richiamano
l’attenzione sulla fragilità della presenza cristiana nel mondo, anche in
Occidente. Tanto in Oriente quanto in Occidente, in Italia come in Turchia, la
responsabilità del cammino della Chiesa rimane nelle mani di chi la vive. Sir
27
Leone
XIV in Turchia. “Lavoriamo per modificare la traiettoria dello sviluppo”
Il Papa arrivato in Turchia per la prima tappa del suo
primo viaggio apostolico. Il passaggio al Mausoleo di Atatürk. L’incontro con
il presidente. Il discorso al corpo diplomatico - Di Andrea Gagliarducci
Ankara. L’appello a lavorare insieme per modificare la
traiettoria dello sviluppo. La centralità di Cristo, perché un uomo che mette
Dio al centro è sicuramente più orientato verso il bene comune. L’idea di
famiglia umana, alla base della famiglia delle nazioni, perché l’ordine
internazionale sia orientato a favore dell’uomo. Leone XIV parla al corpo
diplomatico e alla società civile di Turchia, nel primo discorso del suo primo
viaggio apostolico. Ed è un discorso in cui leggere in controluce anche i temi
che saranno del pontificato e, forse, proprio della sua prima enciclica.
Nel discorso, Leone XIV cita Papa Francesco per parlare
di "cultura dell'incontro" e di "terza guerra mondiale a
pezzi". Si sofferma sulla straordinaria esperienza di Giovanni XXIII come
delegato apostolico in Turchia, e in particolare negli scritti di quello che a
Istanbul e dintorni viene chiamato “il Papa turco”, per ricordare come la
ricerca di unità non debba essere soltanto esteriore, per superare quella che
Roncalli definiva “una logica falsa” e, invece, diventare ponte di dialogo.
Rilancia il senso dell’essere umano, in un mondo sempre più dominato dalla
logica dei dati. Rimette al centro il concetto di famiglia, perché è da lì che
si parte per costruire una società.
Come è normale che sia, la prima tappa del viaggio è
Ankara, la capitale, per un viaggio che porterà il Papa a Istanbul, Iznik e poi
in Libano. La visita di cortesia al presidente Recep Tayyip Erdogan, e
l’omaggio, con corona di fiori e molta solennità – tappa obbligata – al
mausoleo di Atatürk, che contiene le spoglie del “padre dei turchi” (questo
significa Atatürk) Mustafa Kemal, il fondatore della Turchia moderna. Una
Turchia secolarizzata, dove le religioni venivano marginalizzate, almeno fino a
quello che è oggi l’attuale governo, dove il dato religioso è tornato
profondamente a caratterizzare la politica e persino la basilica di Santa
Sofia, l’antica cattedrale di Costantinopoli, è stata trasformata in moschea –
mentre lo Stato turco la aveva resa un museo, togliendole sì il carattere
sacro, ma allo stesso tempo permettendo a tutte le fedi di riconoscervisi.
Ed Erdo?an, nel suo discorso di benvenuto, ha ricordato
che nel bilaterale con il Papa si è parlato di “sfide che colpiscono
l’umanità”, dalle migrazioni alle questioni di giustizia e pace, e della
necessità di affrontarle insieme. Il presidente turco ha sottolineato che “la
Turchia si trova al crocevia di tre culture”, è un ponte, un “Paese che prende
posizione guardando ad Oriente e ad Occidente,” in una posizione “unica” dove
“hanno sempre coesistito e convissuto senza alcuna discriminazione”, e che ci sono
“tanti luoghi di culto che testimoniano la nostra convivenza”, affermando che
dal 2022 ha restaurato 122 luoghi di culto, e altri cinque saranno inaugurati.
Erdo?an ricorda alla fine che la Turchia è “Paese di
convivenza e pace” e che i turchi “hanno questa pace nel cuore”, cosa che
“contribuisce alla stabilità del Paese”, e ricorda l’iniziativa della Alleanza
delle Civiltà, iniziativa delle Nazioni Unite avviata da Turchia e Spagna.
Il presidente turco mette in luce che la Turchia si vuole
“dare da fare per mettere fine” alle tensioni del mondo, tanto che “la Turchia
ha dato come aiuto umanitario quasi più di tutti i Paesi” e ha aperto le porte
“ai profughi siriani e a tutti i profughi scappati dalla guerra”.
Erdogan ribadisce la crisi palestinese, e punta il dito
contro Israele che “sta ancora bombardando luoghi di culto, ospedali e scuole”,
e persino “un luogo di culto cattolico” come la parrocchia della Sacra Famiglia
a Gaza, e chiede una soluzione internazionale alla crisi, con i confini
riconosciuti dalle Nazioni Unite, e ribadisce che Gerusalemme Est dovrebbe
avere uno status internazionale.
Il discorso del presidente turco mette in luce una
volontà di protagonismo della Turchia. Ed è anche qui la tensione in cui il
Papa si deve muovere, in uno Stato turco che prende sempre più forza
nell’impianto geopolitico del Medio Oriente e del Caucaso, e anche ricordando
che ancora più sullo sfondo resta la questione della parte di Cipro occupata
dove le chiese cattoliche sono state trasformate in moschee o sconsacrate, o
della situazione in Caucaso dove i cristiani armeni sentono forte il rischio
del “genocidio culturale”.
Insomma, Leone XIV non è chiamato a tenere un
discorso facile, specialmente dopo l'ampio bilaterale che lo ha preceduto. Il
Papa si muove tra le caratteristiche dell’amicizia (tutti i suoi predecessori
sono stati in Turchia da pontefici, Giovanni XXIII da delegato apostolico, e
hanno anche avuto un ruolo cruciale nel salvataggio degli ebrei durante la
Seconda Guerra Mondiale), della fraternità e della necessità di costruire
ponti. E si muove sull’idea di una tradizione cristiana nel territorio turco,
perché “questa terra è legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo e
oggi richiama i figli di Abramo e l’umanità intera ad una fraternità che
riconosca e apprezzi le differenze”.
Nel suo discorso al corpo diplomatico, Leone XIV parte
dall’immagine del Ponte sullo Stretto del Dardanelli, che è anche l’emblema del
viaggio papale. Riconosce alla Turchia “un posto importante nel presente e nel
futuro del Mediterraneo e del mondo intero”, ma sottolinea che questo avviene
soprattutto “valorizzando le vostre interne diversità”, perché, prima di
collegare Asia ed Europa, Oriente e Occidente, il ponte è un collegamento tra
la Turchia asiatica e quella europea. E “sarebbe un impoverimento”, sottolinea
il Papa, omologare un “crocevia di sensibilità come quello turco”, perché “una
società è viva se è plurale”, mentre “oggi le comunità umane sono sempre più
polarizzate e lacerate da posizioni estreme, che le frantumano”.
Leone XIV mette anche al centro il contributo dei
cristiani, che vogliono essere attori positivi e “si sentono parte dell’unità
turca, tanto apprezzata da San Giovanni XXIII, da voi ricordato come il ‘Papa
turco’ per la profonda amicizia che lo legò sempre al vostro popolo”, il quale
“si adoperò intensamente affinché i cattolici non si estraniassero dalla
costruzione della vostra nuova Repubblica”.
Ma Leone XIV usa l’immagine del ponte anche per
descrivere Dio, il quale “rivelandosi, ha stabilito un ponte fra cielo e terra:
lo ha fatto perché il nostro cuore cambiasse, diventando simile al suo”. E
questo ponte tra cielo e terra è “un ponte sospeso, grandioso, che quasi sfida
le leggi della fisica: così è l’amore, che, oltre alla dimensione intima e
privata, ha anche quella visibile e pubblica”.
Il Papa sottolinea che nella società turca “la religione
ha un ruolo visibile” e che allora è “fondamentale onorare la dignità e la
libertà di tutti i figli di Dio”, che siano “uomini e donne, connazionali e
stranieri, poveri e ricchi”, perché “tutti siamo figli di Dio, e questo ha
conseguenze personali, sociali e politiche”.
Nota Leone XIV: “Chi ha un cuore docile al volere di Dio
promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti”. Ed è questa la
grande sfida, “specialmente davanti a un’evoluzione tecnologica che potrebbe
altrimenti accentuare le ingiustizie, invece di contribuire a dissolverle”,
dato che “persino le intelligenze artificiali, infatti, riproducono le nostre
preferenze e accelerano i processi che, a ben vedere, non sono le macchine, ma
è l’umanità ad avere intrapreso”.
Il Papa invita a lavorare insieme “per modificare la
traiettoria dello sviluppo e per riparare i danni già inferti all’unità della
famiglia umana”, un concetto che il Papa sottolinea con forza perché “invita a
stabilire un collegamento”, un ponte, dato che “la famiglia è stata” per tutti
“il primo nucleo della vita sociale, in cui sperimentare che senza l’altro non
c’è io”.
Leone XIV ricorda quanto la famiglia abbia una grande
importanza nella vita turca, apprezza le iniziative che la sostengono
considerandola il luogo in cui si crea anche “la fondamentale sensibilità per
il bene comune”, non negando comunque che “ogni famiglia può anche chiudersi in
sé stessa, coltivare inimicizie, o impedire a qualcuno dei suoi membri di
esprimersi, fino a ostacolare lo sviluppo dei suoi talenti”, ma ribadendo allo
stesso tempo che “non è da una cultura individualistica, né dal disprezzo del
matrimonio e della fecondità, che le persone possono ottenere maggiori
opportunità di vita e di felicità”.
Leone XIV ricorda che "solo insieme diventiamo
autenticamente noi stessi. Solo nell’amore diventa profonda la nostra
interiorità e forte la nostra identità. Chi disprezza i legami fondamentali e
non impara a sostenerne persino i limiti e le fragilità, più facilmente diventa
intollerante e incapace di interagire con un mondo complesso".
E aggiunge che "nella vita familiare infatti
emergono in modo del tutto specifico il valore dell’amore coniugale e l’apporto
femminile". Il Papa loda in particolare le iniziative a “sostegno
della famiglia e del contributo femminile alla piena fioritura della vita
sociale”, con un accento particolare proprio sul ruolo della donna.
Leone XIV chiede anche che la Turchia sia “un fattore di
stabilità e di avvicinamento tra i popoli, al servizio di una pace giusta e
duratura”. La Turchia, in fondo, è stata luogo di dialogo, nei suoi territori
si sono svolti i primi otto Concili ecumenici, e “oggi più che mai c’è bisogno
di personalità che favoriscano il dialogo e lo pratichino con ferma volontà e
paziente tenacia”.
Leone XIV sottolinea che “dopo la stagione della
costruzione delle grandi organizzazioni internazionali, seguita alle tragedie
delle due guerre mondiali, stiamo attraversando una fase fortemente
conflittuale a livello globale, in cui prevalgono strategie di potere economico
e militare, alimentando quella che Papa Francesco chiamava ‘terza guerra
mondiale a pezzi’”.
Ammonisce il Papa: “Non bisogna cedere in alcun modo a
questa deriva. Ne va del futuro dell’umanità. Perché le energie e le risorse
assorbite da questa dinamica distruttiva sono sottratte alle vere sfide che la
famiglia umana, oggi, dovrebbe affrontare invece unita: la pace, la lotta
contro la fame e la miseria, per la salute e l’educazione e per la salvaguardia
del creato”.
In conclusione, Leone XIV sottolinea che “la Santa Sede,
con la sua sola forza, che è quella spirituale e morale, desidera cooperare con
tutte le Nazioni che hanno a cuore lo sviluppo integrale di ogni uomo e di
tutti gli uomini e le donne. Camminiamo insieme, allora, nella verità e
nell’amicizia, confidando umilmente nell’aiuto di Dio”. Aci 27
Un
missionario in Turchia racconta l'attualità del Concilio di Nicea
Un colloquio padre Claudio Monge, missionario domenicano
ad Istanbul - Di Simone Baroncia
Roma. La Turchia, terra del Concilio di Nicea del quale
si celebrano i 1700 anni: papa Leone XIV raccoglie l’eredità di papa Francesco
e sceglie per il suo primo viaggio apostolico in Turchia e Libano dal 27
novembre al 2 dicembre per celebrare l’importante anniversario del primo
Concilio della storia, convocato dall'imperatore romano Costantino I, insieme a
vescovi e patriarchi a Nicea, oggi ?znik, a 130 km da Istanbul, con il motto
‘Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo’. L’annuncio del viaggio è
stato reso noto nello scorso ottobre, dalla Sala Stampa della Santa Sede:
“Accogliendo l’invito del Capo di Stato e delle Autorità ecclesiastiche del
Paese, il Santo Padre Leone XIV compirà un Viaggio Apostolico in Türkiye dal 27
al 30 novembre prossimo, recandosi in pellegrinaggio a ?znik in occasione del
1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea. Successivamente, rispondendo
all’invito del Capo di Stato e delle Autorità ecclesiastiche del Libano, il
Santo Padre si recherà in Viaggio Apostolico nel Paese dal 30 novembre al 2
dicembre”.
A padre Claudio Monge, missionario domenicano ad
Istanbul, direttore del Centro Studi DoSt-I (Dominican Study Institute),
professore associato alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna (Fter) e
all’Istituto di Studi Ecumenici ‘S. Bernardino’ (ISE) di Venezia: il motto
del viaggio in Turchia del papa. Un messaggio per riprendere un cammino
insieme?
“Il motto correda il logo del Viaggio Apostolico di papa
Leone XIV in Turchia, al centro del quale campeggia il ponte, gettato tra due
continenti, che attraversa lo Stretto dei Dardanelli. E’ un simbolo potente,
perché un ponte avvicina e unisce, senza eliminare la distinzione tra sponde,
ma facilitando il passaggio da una all’altra. Incarna un’unità che non è
uniformità, un paradigma alternativo alla logica emersa con il primo concilio
ecumenico. Nel IV secolo era difficile distinguere tra l’espressione della fede
e il suo contenuto essenziale.
Ma una formulazione conforme alla verità, non esclude
automaticamente tutte le altre. Tuttavia, per l’imperatore Costantino, l’unità
dell’Impero doveva coincidere con un’uniformità della fede. Papa Leone XIV si
reca in Turchia per affermare una comunione di tipo sinodale, intesa, non come
una struttura, ma come uno stile che ci aiuta a essere Chiesa, promuovendo
partecipazione e comunione. Lo ribadirà in paesi come Turchia e Libano, che
hanno una lunga tradizione di dialogo inter-rituale e interconfessionale e di
prassi sinodale di matrice ortodossa”.
Quanto è importante questo viaggio per i credenti?
“Guardando alla partecipazione sincera e agli auspici che
riscontriamo tra i nostri amici turchi musulmani e credenti, vorrei rispondere
‘moltissimo!’ A volte ho l’impressione che loro colgano meglio di molti
cristiani l'importanza di questo momento: ritrovarci, nelle terre del primo
annuncio evangelico, con colui che ha ereditato il compito petrino di
confermare i suoi fratelli. Tuttavia, nella realtà dei fatti, le comunità
cristiane sembra, talvolta, più concentrate sul riaffermare in modo un po’ identitario
la specificità o l’eccezionalità del proprio gruppo rituale-liturgico,
piuttosto che ricercare un autentico rinnovamento del legame con l’unico
mistero pasquale, centro e il cuore della fede”.
Concilio di Nicea dopo 1700 anni potrebbe essere ancora
un ponte che unisce?
“Papa Leone ha ricordato ai partecipanti al Convegno
ecumenico dedicato al 1.700^ anniversario del Concilio di Nicea che celebrare
Nicea è: ‘un’occasione inestimabile per sottolineare che ciò che abbiamo in
comune è molto più forte, quantitativamente e qualitativamente, di ciò che ci
divide’. All’epoca come oggi, il senso che diamo alle parole è cruciale. Là
dove si considera l’unità più perfetta della diversità e la diversità come una
corruzione dell’unità, inevitabilmente si finirà per esprimere anche la propria
fede in questi termini. Noi spesso temiamo la diversità, la viviamo come un
rischio per l’unità; invece, nella prospettiva trinitaria, affermata fin da
Nicea, la diversità è una ricchezza, non una minaccia. Nicea ci ricorda che Dio
non ‘fa’ il Padre: è Padre, perché il Figlio esiste da sempre. Ed il Figlio è
Dio perché riceve tutto dal Padre. Questo significa che anche il ricevere è
divino! Vivere questa verità trasformerebbe completamente i rapporti
ecumenici”.
Però sarà anche un incontro ecumenico: quanto sono
importanti le fedi per la pace in Medio Oriente?
“Le fedi semplicemente proclamate, non bastano per la
costruzione della pace: la pace è costruzione quotidiana di credenti che
iniziano col ‘disarmare i loro cuori’, ci ricorda papa Leone XIV. Il dialogo al
quotidiano è di credenti concreti: uomini e donne di buona volontà, che
ispirati dalle loro fedi, indipendentemente dalle loro appartenenze
costruiscono il Regno che inizia qui, su questa terra e non può essere solo
rimandato al futuro escatologico”. Aci 25
Gesù
guida la storia verso il compimento. Solennità di Cristo Re
Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons.
Francesco Cavina
Roma. La Chiesa, nell’ultima domenica dell’anno
liturgico, celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo. Cristo è Re perché,
insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «con la sua morte e risurrezione
è diventato Signore dell’universo e della storia» (CCC 668-671). Questa festa è
stata istituita nel 1925 dal Papa Pio XI e nell’enciclica Quas Primas ne spiega
il senso: la regalità di Cristo non è finalizzata a dominare, ma a
portare pace ad un mondo lacerato e diviso. Cristo è Re perchè tutto ciò che esiste
è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui (cf. Col 1,16). È Re perché
con la croce e la resurrezione ha vinto il peccato e annientato il potere della
morte. È Re perché guida la storia verso il compimento.
Il Vangelo della santa Messa ci porta sul Calvario.
Cristo è inchiodato sulla Croce e la gente che assiste al suo supplizio lo
deride, lo insulta, lo sfida: Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!».
Queste parole esprimono la logica del mondo: un re, per essere tale, deve
mostrare forza, imporsi, dominare. Ma Gesù non scende dalla croce. E questo è
il cuore del suo mistero: il Suo regno non poggia sul potere o sulla violenza,
ma sull’amore che si dona e salva.
Accanto a Lui, mentre soffre, c’è il cosiddetto buon
ladrone. Questi, dopo avere riconosciuti il proprio peccato e l’innocenza di
Gesù, Gli rivolge una preghiera semplice, ma piena di fiducia: «Gesù, ricordati
di me quando entrerai nel tuo regno». Riconosce in quel volto sfigurato dalla
sofferenza e dagli sputi il suo Re. E Gesù gli risponde con parole che
attraversano i secoli: «Oggi sarai con me nel Paradiso». Questo episodio ci
racconta che il modo di regnare di Cristo è unico. Egli non estende il suo Regno
conquistando territori, ma raggiungendo i cuori. Sul Calvario c’erano due
uomini. Uno ha scelto di chiudersi nella rabbia, l’altro di affidarsi. Il buon
ladrone ci ricorda che non è mai troppo tardi per aprire il cuore a Cristo. E
ogni volta che anche noi sussurriamo: «Gesù, ricordati di me», la sua risposta
non cambia: «Oggi sarai con me». Il suo, è davvero un Regno che «non è di
questo mondo» (Gv 18,36), perchè capace di cambiare profondamente la
nostra vita qui e ora.
Pio XI nell’enciclica citata, ci ricorda che «il regno di
Cristo si estende anche a tutto il genere umano» e che la sua autorità
«non diminuisce, ma nobilita» l’autonomia delle realtà terrene. Accettare la
regalità di Cristo non significa, quindi confondere la fede con il potere
politico, né trasformare il Vangelo in un sistema di governo. Significa
piuttosto riconoscere che la Verità annunciata da Cristo possiede una forza
capace di orientare le culture, ispirare leggi giuste e purificare le strutture
della convivenza umana.
Affermare che Cristo è Re vuol dire anche ricordare che
nessun potere terreno può considerarsi assoluto, perché sopra ogni autorità c’è
una Verità più grande, una Giustizia più alta, una legge d’amore che illumina
la storia, la guida e la giudica. E quando una società accoglie questa luce,
che è Cristo, tutto cambia: la politica diventa servizio e non dominio;
l’economia mette al primo posto la giustizia e non il profitto; le relazioni
sociali si fondano sulla dignità di ogni persona; e i più deboli non vengono
lasciati ai margini, ma riconosciuti come il cuore stesso della comunità.
In definitiva, la festa di Cristo Re ci ricorda che se
accogliamo la sua regalità l’ultima parola sulla nostra vita non è il
fallimento, non è il peccato, non è neppure la morte. L’ultima parola è
una promessa che risuona da duemila anni e che nessuno potrà mai cancellare:
“Oggi sarai con me in Paradiso”. Aci 23
Le
iniziative delle diocesi italiane per l'inizio dell'Avvento
Con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re
dell’Universo, termina l’anno liturgico e domenica prossima inizia il periodo
dell’Avvento che prepara al Natale. Di Cesare Bolla
Roma. Con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re
dell’Universo, termina l’anno liturgico e domenica prossima inizia il periodo
dell’Avvento che prepara al Natale.
“La memoria degli eventi che riguardano il Cristo, morto
e risorto, ha inizio con l’Avvento, nel quale la liturgia ci educa a riscoprire
l’attesa, vivere la speranza e coltivare l’esultanza per la venuta di Cristo
nella storia e per il suo ritorno nella Parusia: nel primo Avvento Egli ha
portato a compimento le antiche promesse e salvato ciò che era perduto, in
quello finale ci prenderà con sé e ci chiamerà a possedere il regno promesso”,
scrive il segretario generale della Cei, l’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe
Baturi, nel sussidio preparato dall’Ufficio Liturgico nazionale insieme ad
altri uffici. Quattro settimane che “ci incoraggiano anche a riconoscere la
misteriosa presenza del Signore che squarcia i cieli per visitare il nostro
presente e colmarlo del chiarore della sua luce e della fragranza del suo
profumo”, evidenzia il presule sottolineando che “fare memoria grata
dell’Avvento storico, scoprire con gioia quello intermedio e attendere
vigilanti quello escatologico è un esercizio spirituale attraverso il quale
possiamo prepararci a celebrare con stupore e commozione il Natale del Signore
che, svuotando sé stesso e assumendo la condizione di servo si ‘abbrevia’ per
abitare in mezzo a noi”.
Un modo nuovo di vivere l’Avvento lo propone quest’anno
il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica che,
nell’ambito di Uniti nel dono, lancia “Attendere è #andareverso”, un
percorso quotidiano fatto di personaggi, parole, storie e condivisione per
accompagnare i fedeli fino al 25 dicembre. Attraverso due strumenti
complementari, uno cartaceo e uno digitale, l’iniziativa invita a “riscoprire
l’attesa come cammino concreto e attivo verso il Natale”. Il calendario cartaceo,
quest’anno in modalità del tutto inedita, riprende la tradizione del calendario
dell’Avvento per trasformarla in racconto: un villaggio illustrato che prende
vita giorno dopo giorno, popolato da persone e storie di oggi. Ogni personaggio
rivela un volto, un gesto, una parola, collegandosi attraverso QR code alle
testimonianze reali di sacerdoti e comunità, segni vivi della Chiesa che
cammina nel mondo. Accanto alla versione cartacea, il calendario digitale
propone ogni giorno una nuova pagina da scoprire: un personaggio del presepe,
la storia di un sacerdote, il Vangelo del giorno e, ogni domenica, un dono
speciale per rilanciare il cammino di attesa condividendo un particolare
momento di riflessione. Un appuntamento quotidiano che accompagna il credente
nel ritmo dell’Avvento, ricordando che “attendere è andare verso”. E’ possibile
iscriversi alla piattaforma dedicata
– unitineldono.it/calendarioavvento – per accedere al calendario e
ricevere, a partire dal 30 novembre, una newsletter che guiderà giorno dopo giorno
nel cammino di attesa. Sulla pagina sarà inoltre possibile seguire il percorso,
scaricare i materiali (mappa e personaggi da stampare) e condividere
l’esperienza con l’hashtag #andareverso. “Il Calendario dell’Avvento –
sottolinea Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la
promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica – fa ormai parte della
tradizione di molte famiglie, ma noi abbiamo voluto proporlo in una veste nuova
per invitare i fedeli a interrogarsi sul significato più profondo dell’attesa”.
Sono molte le diocesi che hanno predisposto percorsi
biblici, sussidi e altri materiali per questo periodo che prepara al Natale
come la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, in Calabria che ha predisposto un
Sussidio di Avvento per famiglie e comunità. Nel suo messaggio introduttivo, il
vescovo, Giuseppe Alberti, richiama il valore spirituale di questo periodo:
“Per noi cristiani nessun tempo è debole, nessuna esperienza è inutile, nessun
momento da affrontare con superficialità. Ma ci sono pure dei tempi che
liturgicamente noi chiamiamo ‘forti’ perché cresce l’intensità con cui noi
siamo chiamati a viverli”. L’Avvento, sottolinea il vescovo, è uno di questi:
“un periodo che, pur nella sua brevità, può aiutarci a entrare nel cuore del
mistero che celebriamo”. Il sussidio – spiega la diocesi sul sito - nasce dal
lavoro condiviso delle diverse pastorali diocesane - catechesi, liturgia,
missione, famiglia, giovani, Caritas, ecumenismo e comunicazioni - che il
presule ringrazia per l’impegno sinodale. Per il cammino di quest’anno è stata
scelta “la tonalità della gioia, che unisce il clima dell’Avvento (in
particolare la Domenica Gaudete) e l’Anno Giubilare in corso: la gioia
dell’attesa e della vigilanza, la gioia della conversione, la gioia della
carità e la gioia della nascita di Gesù”.
“Facciamo in modo - scrive il vescovo - che questo
cammino si possa condividere anche in famiglia, così che l’Avvento e il Natale
vedano protagonista la nostra casa”.
Nelle varie diocesi anche alcuni appuntamenti particolari
come a Brescia dove l’Ufficio per la Scuola e il Servizio per l’Università e la
Fondazione Comunità e Scuola organizzano un incontro di spiritualità in
preparazione al Natale rivolto al mondo della scuola e dell’università dal
titolo “Santi e testimoni dell’educazione a Brescia”. L'incontro -
incentrato su Santa Maddalena di Canossa - si terrà lunedì 15 dicembre
2025 dalle ore 17.30 alle 19.00 presso la chiesa (interna) dell'Istituto Maddalena
di Canossa a Brescia. Nei prossimi giorni anche i vescovi scriveranno alle
proprie comunità messaggi per questo tempo che apre il nuovo anno liturgico.
Aci 22
Riparare
la rete sociale, gli influencers cattolici
A colloquio con Michale Mattarucco - Di Simone Baroncia
Roma. “All’inizio di questo mio primo messaggio rivolto a
voi, desidero anzitutto dirvi grazie! Grazie per la gioia che avete trasmesso
quando siete venuti a Roma per il vostro Giubileo e grazie anche a tutti i
giovani che si sono uniti a noi nella preghiera da ogni parte del mondo. E’
stato un evento prezioso per rinnovare l’entusiasmo della fede e condividere la
speranza che arde nei nostri cuori! Perciò facciamo in modo che l’incontro
giubilare non rimanga un momento isolato, ma segni, per ognuno di voi, un passo
avanti nella vita cristiana e un forte incoraggiamento a perseverare nella
testimonianza della fede”: con questo ringraziamento papa Leone XIV inizia il
messaggio indirizzato ai giovani in occasione della Giornata Mondiale dei
Giovani, che domenica 23 novembre si svolge nelle diocesi, intitolato ‘Anche
voi date testimonianza, perché siete con me’, versetto tratto dal Vangelo di
san Giovanni.
Partendo dall’incipit del messaggio papale abbiamo
chiesto al giovane influencer Michael Mattarucco, missionario digitale, che
attraverso i social cerca di creare un ponte tra il mondo e la Chiesa: in quale
modo dare testimonianza di Gesù nel mondo giovanile?
“Innanzitutto credo sia fondamentale chiedersi dove sta
il mondo giovanile perché senza questa consapevolezza rischiamo di operare dove
non c’è nessuno, soprattutto i ragazzi. Poi credo sia importante riuscire ad
intercettare il loro linguaggio, ascoltarli, comprendere cosa cercano veramente
in profondità e in superficialità e tramite questo ascolto lo spirito santo
suggerisce, nel cuore dei cristiani che si mettono in gioco, delle modalità con
cui si può comunicare il vangelo oggi. Credo sia fondamentale però partire
dalla vita, dall’esempio. Questo è il primo canale. Perché un ragazzö si
incuriosisce solo se ti vede più felice di Lui, allora può prendere in
considerazione la strada che tu stai percorrere, se vede che gli è indifferente
non si pone neanche la domanda sulla felicità”.
‘Lo sguardo di Gesù, che vuole sempre e solo il nostro
bene, ci precede. Non ci vuole come servi, né come ‘attivisti’ di un partito:
ci chiama a stare con Lui come amici, perché la nostra vita venga rinnovata’:
cosa significa per un giovane stare con Lui?
“Stare con Lui significa stare alla sua presenza, in
silenzio… e nella frequentazione dei sacramenti. Ogni volta che andiamo
all’incontro con L’eucarestia ci abbronziamo dell’amore senza Misura del
Signore Gesù e questo ci plasma e ci cambia oltre ad essere persone più solari
e con la pace nel cuore. Prendersi del tempo per stare solo con il Signore e
dialogare con Lui nel segreto con pensieri o verbalmente fa la differenza a
lungo termine”.
In quale modo si può diventare testimoni di Cristo?
“Diventi testimone di Cristo quando hai avuto un incontro
personale con Lui, in cui hai acquisito consapevolezza che c’è qualcosa di
eterno dentro di te che va al di là del limite materiale. Quando lo Spirito
Santo si fa vivo dentro di te e ne hai consapevolezza la vita cambia e diventi
testimone perché non puoi farne a meno, non si riesce a tenere per se ciò che
si scopre. Desideri raccontare la gioia di quell’incontro a quante più persone
possibili”.
‘Carissimi giovani, davanti alle sofferenze e alle
speranze del mondo, fissiamo lo sguardo su Gesù!’: perché fissare lo sguardo su
Gesù?
“Fissare lo sguardo su Gesù perché ti distacca dalle cose
del mondo e ti aiuta a desiderare l’infinito, le cose eterne, il Regno di Dio,
la santità. I desideri più grandi per la vita di un uomo. Anzi questi desideri
aiutano a vivere pienamente la vita qui indipendentemente da ciò che si fa come
lavoro/professione”.
Allora, cosa significa essere un influencer cattolico?
“Per me essere influencer cattolico significa creare un
ponte tra i giovani che sono nel digitale e il messaggio del Vangelo di Gesù
per incuriosire i ragazzi a riscoprire la bellezza di vivere la vita quotidiana
con Fede. Questa curiosità si può creare facendo dei contenuti sui social e per
esperienza posso dire che diversi passi nel mondo della fede e della
spiritualità li ho fatti grazie a delle testimonianze ricevute e condivise
proprio dai social”.
Come è nata la tua vocazione ‘digitale’?
“La mia vocazione per comunicare la fede sui social è
nata nel 2022 quando, dopo un percorso di ricerca di successo, mi sono reso
conto che non ero davvero felice. Tramite un momento buio vissuto anche in
pandemia, mi sono interrogato sul senso della vita e della ricerca della
felicità. Ho iniziato a leggere il Vangelo ed ho scoperto che Gesù mi riempiva
il cuore, scoprendo nel presente una gioia mai provata prima. Così ho iniziato
a raccontarlo a tutti sui social”.
A fine luglio hai partecipato al Giubileo degli
influencer cattolici: cosa è stato?
“La Chiesa sta facendo passi in avanti. Il Dicastero
della comunicazione, anche tramite il Giubileo, vuole fare in modo che anche i
missionari digitali possano vivere un’esperienza di Chiesa in un ambiente di
testimonianza di fede con autenticità. Sono stato colpito dalle parole di papa
Leone XIV, che ci ha chiesto di aiutare a riparare la rete sociale. Ho
percepito di essere nella direzione giusta, e mi ha fatto bene anche a livello
spirituale, per alimentare il rapporto con Gesù e continuare in questa missione.
Ho incontrato il papa e gli ho stretto la mano. Mi sono sentito parte di una
grande famiglia che vuole vivere insieme”.
Ad inizio settembre hai partecipato anche alla
canonizzazione di Frassati e Acutis: quale significato hanno per la tua vita?
“Sono stati giorni fortissimi. Ho un affetto speciale per
Carlo, perché abbraccia appieno l’attività di missionario digitale. E’ stato il
primo che ha usato internet e l’informatica per testimoniare fede ed
evangelizzare, e ha preparato la strada dove ora camminiamo. Un ragazzo di 15
anni che ha messo a disposizione talento e vita cristiana nella tecnologia
appena nata. Di Pier Giorgio mi colpisce l’impegno come laico in politica e
verso la carità ai poveri: un grande esempio di azione e di amore per conto di
Dio”.
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Quale è il loro messaggio per i giovani?
“Il loro messaggio è che la santità non è lontana da noi,
ma è un modo di vivere a cui tutti possiamo ambire; l’importante è avere il
coraggio di mettersi in gioco nella vita dentro l’amore del Signore e della
Chiesa. In più: l’amore di Gesù si incontra quotidianamente soprattutto nelle
piccole cose”. Aci 22
Cause
dei Santi, pubblicati alcuni Decreti. Ci sono quattro italiani
Il Pontefice ha autorizzato il Dicastero a promulgare
alcuni Decreti
Città del Vaticano. Durante l’Udienza al Cardinale
Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il Pontefice
ha autorizzato il Dicastero a promulgare i Decreti per riconoscere il martirio
e le virtù eroiche di diversi Servi di Dio.
In particolare oggi dal Papa è stato riconosciuto: il
martirio del Servo di Dio Ubaldo Marchioni, sacerdote diocesano, nato il 19
maggio 1918 a Vimignano di Grizzana Morandi (Italia) e ucciso in odio alla fede
il 29 settembre 1944 a Casaglia/Marzabotto (Italia).
Poi riconosciuto il martirio del Servo di Dio Martino
Capelli (al secolo: Nicola), sacerdote professo della Congregazione dei
Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, nato il 20 settembre 1912 a Nembro (Italia)
e ucciso in odio alla fede il 1° ottobre 1944 a Pioppe di Salvaro (Italia).
E ancora riconosciute le virtù eroiche del Servo di Dio
Enrico Bartoletti, Arcivescovo di Lucca, nato il 7 ottobre 1916 a Calenzano
(Italia) e morto il 5 marzo 1976 a Roma (Italia).
Riconosciute le virtù eroiche del Servo di Dio Gaspare
Goggi, sacerdote professo della Congregazione della Divina Provvidenza, nato il
6 gennaio 1877 a Pozzolo Formigaro (Italia) e morto il 4 agosto 1908 ad
Alessandria (Italia);
Infine le virtù eroiche della Serva di Dio Maria del
Sacro Cuore (al secolo: Maria Glowrey), religiosa professa della Società di
Gesù, Maria, Giuseppe, nata il 23 giugno 1887 a Birregurra (Australia) e morta
il 5 maggio 1957 a Bangalore (India). Infine le virtù eroiche della Serva di
Dio Maria de Lourdes Guarda, fedele laica, nata il 22 novembre 1926 a Salto
(Brasile) e morta il 5 maggio 1996 a San Paolo (Brasile). Aci 22
La
guerra demografica. Il Rapporto 2025 sulla Dottrina Sociale della Chiesa
Il magistero della Chiesa si è espresso con chiarezza sul
tema della “guerra demografica”? Se lo chiede l’Osservatorio Van Thuan, nel suo
rapporto annuale sulla Dottrina Sociale della Chiesa - Di Andrea Gagliarducci
Trieste. Sui temi della vita e della famiglia la Chiesa
sembra aver perso la sua spinta profetica, la sua volontà di ingaggiare una
battaglia con il mondo. Lo denuncia l’Osservatorio Van Thuan per la Dottrina
Sociale nella Chiesa, nel suo rapporto annuale che quest’anno ha un tema
specifico e quasi inquietante: “La guerra demografica. Ci vogliono estinti?”
L’approccio dell’Osservatorio Van Thuan è scientifico,
come di consueto, e i saggi del rapporto accompagnano in un percorso tutto da
scoprire, che mostra non solo come le lobby anti-nataliste siano entrate
prepotentemente sulla scena, ma anche come la Chiesa ne sia uscita, in qualche
modo, un po’ affascinata, un po’ portata ad un dibattito che sembra non voler
andare in contrapposizione.
Dalla storia del diritto all’aborto – con l’Unione
Sovietica come prima nazione a legalizzarlo – a quella dell’eugenetica, termine
di uso comune prima della Seconda Guerra Mondiale e bandito solo per via degli
orrori del nazismo, ma ritornato prepotentemente in altre forme, fino alle
derive dell’eutanasia.
Il saggio introduttivo di Riccardo Cascioli e Stefano
Fontana è una sintesi piuttosto completa di quanto contiene il saggio. Cascioli
denuncia che prima la Chiesa era pronta a denunciare tutte le violazioni del
diritto alla vita, ma poi, negli ultimi anni, “si è verificato un
raffreddamento della volontà di lotta della Chiesa su questi fronti”, al punto
che “l’insistenza sulla negatività della contraccezione è molto diminuita di
tono e si sta diffondendo la tesi della riformabilità della condanna di Paolo VI
nella Humanae Vitae, revisione del resto già avvenuta di fatto”.
Cascioli e Fontana notano anche che, sebbene l’aborto
venga ancora condannato con forza, “l’attenzione al tristissimo fenomeno ha
perso di concentrazione e tutta la questione è stata collocata sullo sfondo”,
mentre si fanno largo altri interessi come “la povertà e la cura
dell’ambiente”, mentre mancano le denunce forti sulle questioni della vita
risuonate dai tempi di Giovanni Paolo II.
Ma Cascioli e Fontana sottolineano anche i “gravi
cedimenti” nei confronti dell’omosessualismo e del transessualismo, in cui “un
problematico pastoralismo ha messo la sordina all’annuncio della dottrina e in
molti casi si è anche assistito ad una revisione della medesima”, mentre la
voce della Chiesa “si è frammentata, indebolita e confusa” quando si parla di
eutanasia e suicidio assistito.
Il tema del rapporto è, prima di tutto, politico. In
fondo, le politiche della popolazione si connettono con le politiche di
natalità, superando la visione della procreazione come fatto individuale, ma
inserendola in una cornice più ampia che riguarda il bene comune.
Il rapporto mette in luce come i fenomeni della
popolazione non hanno carattere spontaneo, ma una “pianificazione politica di
ordine al potere”, con vari soggetti, anche non politici (come ONG varie), che
fanno politica.
Scrivono Cascioli e Fontana: “Se il Belgio legifera per
permettere l’eutanasia dei neonati, se il parlamento britannico estende il
diritto all’aborto fino all’ultimo mese di gravidanza, se in tutte le scuole
francesi si intende imporre il progetto “EVARS” (Éduquer à la Vie Affective et
Relationnelle et à la Sexualité), che intende educare fin dall’infanzia alla
normalità di ogni tipo di relazione sessuale in tutte le forme possibili…
significa che la cultura della morte ha fatto passi da gigante, mentre quella
della vita è in grave recessione”.
Il rapporto teorizza anche che, dal rapporto Kissinger
del 1974, “lo scopo della pianificazione globalista della natalità e delle
migrazioni è stato di impedire lo sviluppo di alcuni Paesi e garantire gli
equilibri esistenti in quanto vantaggiosi per i detentori del potere mondiale”,
mentre “sulla politica della popolazione hanno fatto blocco tra loro
l’economia, la medicina e la cultura intesa soprattutto come organizzazione
della mentalità diffusa e degli stili di vita. C’è stata a lungo una saldatura
tra interessi economici e ideologia politica liberal progressista, gestita e
pianificata politicamente”.
E il dato principale è che “tutte le grandi ideologie
perverse della modernità hanno fatto la guerra alla natalità. Gli insegnamenti
della Chiesa si incentravano sulla natalità come fine primario della sessualità
umana, sul matrimonio come ‘luogo’ naturale del suo esercizio, sulla naturalità
non artificiale della procreazione e sui figli come ‘Dono di Dio’ e non delle
tecnologie umane, della illiceità delle pianificazioni demografiche condotte
dal potere politico”.
Cosa fare allora? L’opinione dell’Osservatorio Van Thuan,
che va al di là del mainstream, è quella che la Chiesa e il suo magistero
debbano riprendere la loro opera educativa, e spiegare con chiarezza dottrinale
una “serie di tematiche collegate tra loro”, dalla “dalla morale sessuale al
matrimonio, dalla presenza di principi non negoziabili al ruolo sussidiario
della comunità politica nei confronti della famiglia e della vita, dalla
necessità di governare i processi migratori a quella di preservare gli ultimi
residui di civiltà cristiana”.
In fondo, “nella Chiesa di oggi si constata una notevole difficoltà
a tenere conto dell’intero quadro sistemico della problematica, ad essere
soggetto educativo su questi temi, a svolgere un chiaro ruolo sociale e
politico di orientamento e di speranza”. Aci 20
Leone
XIV ai vescovi italiani: “una Chiesa sinodale ha bisogno di rinnovarsi
costantemente”
La preghiera sulla tomba di San Francesco, l'incontro a
porte chiuse con i vescovi italiani, la messa e il pranzo con le monache
agostiniane a Montefalco. Sono le tappe della visita privata del Papa ad
Assisi, con una promessa: il ritorno nella città del Santo nel 2026, per
l'ottocentesimo anniversario della morte – di M. Michela Nicolais
“È una benedizione potere venire qui oggi in questo luogo
sacro”. Sono le parole pronunciate a braccio da Leone XIV, dopo la preghiera
silenziosa, in ginocchio, davanti alla tomba di San Francesco nella basilica
inferiore di Assisi. “Siamo vicini agli 800 anni dalla morte di san Francesco,
questo ci dà modo di prepararci per celebrare questo grande umile e povero
santo mentre il mondo cerca segni di speranza”, ha detto ancora il Papa
all’inizio della sua visita privata ad Assisi – meno di due ore in tutto –
mentre le sue parole venivano diffuse dagli altoparlanti. Poi l’incontro con i
vescovi italiani, durato circa mezz’ora, nella basilica di Santa Maria degli
Angeli. All’esterno i fedeli muniti di ombrelli, per la pioggia battente che ha
caratterizzato la mattinata, lo hanno atteso, accolto e salutato quando è
uscito in auto percorrendo il viale che costeggia la Domus Pacis. Prima di
congedarsi, Leone XIV ha incontrato la comunità dei frati minori della
Porziuncola. “Ci ha salutati uno ad uno e ci ha detto che tornerà a trovarci ad
Assisi, nel 2026, per l’ottavo centenario della morte di san Francesco”, ha
reso noto fra Luca Di Pasquale conversando con alcuni giornalisti: “Il Papa ci
ha confidato che non era la prima volta che veniva ad Assisi, e che veniva qui
per trovare pace. Ha detto che era contento di tornare qui vestito di bianco”.
“Mi ha colpito il fatto che Papa Leone, pur in un incontro breve, ha prestato
attenzione a ciascuno di noi”, ha riferito infine il religioso. Al termine
dell’incontro con i vescovi della Cei, Papa Leone XIV ha raggiunto lo stadio di
Santa Maria degli Angeli, da cui è decollato per Montefalco, dove ha celebrato
la messa nel Monastero delle monache agostiniane, per poi pranzare con loro
prima del ritorno, in elicottero, in Vaticano.
“Sono contento di questa mia prima sosta, seppur
brevissima, ad Assisi, luogo altamente significativo per il messaggio di fede,
fraternità e pace che trasmette, di cui il mondo ha urgente bisogno”, il saluto
del Papa nel discorso rivolto ai vescovi, a porte chiuse. “Viviamo un tempo
segnato da fratture, nei contesti nazionali e internazionali”, l’analisi di
Leone XIV: “si diffondono spesso messaggi e linguaggi intonati a ostilità e
violenza; la corsa all’efficienza lascia indietro i più fragili; l’onnipotenza
tecnologica comprime la libertà; la solitudine consuma la speranza, mentre
numerose incertezze pesano come incognite sul nostro futuro”. “L’annuncio del
Messaggio di salvezza, la costruzione della pace, la promozione della dignità
umana, la cultura del dialogo, la visione antropologica cristiana”, le
“coordinate” affidate dalla Chiesa italiana, “affinché cresca e maturi uno
spirito veramente sinodale nelle Chiese e tra le Chiese del nostro Paese”.
Tra le raccomandazioni papali, nel quadro di una Chiesa
collegiale “che condivide passi e scelte comuni”, quella di “non tornare
indietro sul tema degli accorpamenti delle diocesi”, tramite però “un attento
discernimento” che suggerisca “proposte realistiche su alcune delle piccole
diocesi che hanno poche risorse umane, per valutare se e come potrebbero
continuare a offrire il loro servizio”. “Ciò che conta è che, in questo stile
sinodale, impariamo a lavorare insieme e che nelle Chiese particolari ci impegniamo
tutti a edificare comunità cristiane aperte, ospitali e accoglienti, nelle
quali le relazioni si traducono in mutua corresponsabilità a favore
dell’annuncio del Vangelo”, l’identikit tracciato dal Papa, per il quale
occorre “promuovere una maggiore partecipazione di persone nella consultazione
per la nomina dei nuovi vescovi”. Non sono mancate indicazioni sull’”imparare a
congedarsi”: “È bene che si rispetti la norma dei 75 anni per la conclusione
del servizio degli Ordinari nelle diocesi e, solo nel caso dei cardinali, si
potrà valutare una continuazione del ministero, eventualmente per altri due
anni”.
La Chiesa in Italia, per Leone, “può e deve continuare a
promuovere un umanesimo integrale, che aiuta e sostiene i percorsi esistenziali
dei singoli e della società; un senso dell’umano che esalta il valore della
vita e la cura di ogni creatura, che interviene profeticamente nel dibattito
pubblico per diffondere una cultura della legalità e della solidarietà”.
“Non si dimentichi in tale contesto la sfida che ci viene
posta dall’universo digitale”, l’altra raccomandazione papale: “La pastorale
non può limitarsi a ‘usare’ i media, ma deve educare ad abitare il
digitale in modo umano,
senza che la verità si perda dietro la moltiplicazione
delle connessioni, perché la rete possa essere davvero uno spazio di libertà,
di responsabilità e di fraternità”. “Camminare insieme, camminare con tutti,
significa anche essere una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le
domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze”, l’immagine finale
scelta da Leone. “Continuate a stare vicini alle famiglie, ai giovani, agli
anziani, a chi vive nella solitudine”, ha spiegato il Papa, esortando la Chiesa
italiana a continuare a spendersi nella cura dei poveri e a prestare attenzione
“ai più piccoli e vulnerabili, perché si sviluppi anche una cultura della
prevenzione di ogni forma di abuso”. Sir 20
Papa
Leone alla CEI: "Evitare che l’inerzia rallenti i necessari
cambiamenti"
Dopo la visita alla tomba di San Francesco, Papa Leone
XIV ha raggiunto Santa Maria degli Angeli per concludere i lavori dell'Assemblea
Generale della Conferenza Episcopale Italiana - Di Marco Mancini
Assisi. Dopo la visita alla tomba di San Francesco, Papa
Leone XIV ha raggiunto Santa Maria degli Angeli per concludere i lavori
dell'Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana.
"Guardare a Gesù - ha detto il Papa nel suo discorso
- è la prima cosa a cui anche noi siamo chiamati. La ragione del nostro essere
qui, infatti, è la fede in Lui, crocifisso e risorto". Dobbiamo
"ripartire dall’atto di fede che ci fa riconoscere in Cristo il Salvatore
e che si declina in tutti gli ambiti della vita quotidiana".
"Tenere lo sguardo sul Volto di Gesù - ha aggiunto -
ci rende capaci di guardare i volti dei fratelli. È il suo amore che ci spinge
verso di loro. E la fede in Lui, nostra pace, ci chiede di offrire a tutti il
dono della sua pace. Viviamo un tempo segnato da fratture, nei contesti
nazionali e internazionali: si diffondono spesso messaggi e linguaggi intonati
a ostilità e violenza; la corsa all’efficienza lascia indietro i più fragili;
l’onnipotenza tecnologica comprime la libertà; la solitudine consuma la speranza,
mentre numerose incertezze pesano come incognite sul nostro futuro. La Parola e
lo Spirito ci esortano ancora ad essere artigiani di amicizia, di fraternità,
di relazioni autentiche nelle nostre comunità, dove, senza reticenze e timori,
dobbiamo ascoltare e armonizzare le tensioni, sviluppando una cultura
dell’incontro e diventando, così, profezia di pace per il mondo. Quando il
Risorto appare ai discepoli, le sue prime parole sono: Pace a voi. E subito li
manda: il dono pasquale è per loro, ma perché sia per tutti!".
Ricordando i punti cardine elencati nel giugno scorso in
Vaticano ovvero "l’annuncio del Messaggio di salvezza, la costruzione
della pace, la promozione della dignità umana, la cultura del dialogo, la
visione antropologica cristiana", il Papa ad Assisi ha sottolineato
"che queste istanze corrispondono alle prospettive emerse nel Cammino
sinodale della Chiesa in Italia".
Leone XIV ha offerto alcuni suggerimenti: "Dal
Signore riceviamo la grazia della comunione che anima e dà forma alle nostre
relazioni umane ed ecclesiali. Sulla sfida di una comunione effettiva desidero
che ci sia l’impegno di tutti, perché prenda forma il volto di una Chiesa
collegiale, che condivide passi e scelte comuni. In questo senso, le sfide
dell’evangelizzazione e i cambiamenti degli ultimi decenni, che interessano
l’ambito demografico, culturale ed ecclesiale, ci chiedono di non tornare indietro
sul tema degli accorpamenti delle diocesi, soprattutto laddove le esigenze
dell’annuncio cristiano ci invitano a superare certi confini territoriali e a
rendere le nostre identità religiose ed ecclesiali più aperte, imparando a
lavorare insieme e a ripensare l’agire pastorale unendo le forze. Al contempo,
guardando la fisionomia della Chiesa in Italia, incarnata nei diversi
territori, e considerando la fatica e talvolta il disorientamento che tali
scelte possono provocare, auspico che i Vescovi di ogni Regione compiano un
attento discernimento e, magari, riescano a suggerire proposte realistiche su
alcune delle piccole diocesi che hanno poche risorse umane, per valutare se e
come potrebbero continuare a offrire il loro servizio".
"La sinodalità, che implica un esercizio effettivo
di collegialità, richiede non solamente la comunione tra di voi e con me, ma
anche un ascolto attento e un serio discernimento delle istanze che provengono
dal popolo di Dio. In questo senso - ha precisato - il coordinamento tra il
Dicastero per i Vescovi e la Nunziatura Apostolica, ai fini di una comune
corresponsabilità, deve poter promuovere una maggiore partecipazione di persone
nella consultazione per la nomina di nuovi Vescovi, oltre all’ascolto degli
Ordinari in carica presso le Chiese locali e di coloro che si apprestano a
terminare il loro servizio".
"Bisogna evitare che, pur con buone intenzioni - è
stato il monito del Papa - l’inerzia rallenti i necessari cambiamenti. È bene
che si rispetti la norma dei 75 anni per la conclusione del servizio degli
Ordinari nelle diocesi e, solo nel caso dei Cardinali, si potrà valutare una
continuazione del ministero, eventualmente per altri due anni".
"La Chiesa in Italia - ha spiegato ancora - può e deve
continuare a promuovere un umanesimo integrale, che aiuta e sostiene i percorsi
esistenziali dei singoli e della società; un senso dell’umano che esalta il
valore della vita e la cura di ogni creatura, che interviene profeticamente nel
dibattito pubblico per diffondere una cultura della legalità e della
solidarietà. Non si dimentichi in tale contesto la sfida che ci viene posta
dall’universo digitale".
Secondo il Papa "camminare con tutti, significa
anche essere una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne
lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze. Continuate a stare vicini alle
famiglie, ai giovani, agli anziani, a chi vive nella solitudine. Continuate a
spendervi nella cura dei poveri: le comunità cristiane radicate in modo
capillare nel territorio, i tanti operatori pastorali e volontari, le Caritas
diocesane e parrocchiali fanno già un grande lavoro in questo senso e ve ne
sono grato".
Infine l'invito del Papa a mantenere alta la guardia nei
confronti dei piccoli e dei vulnerabili "perché si sviluppi anche una
cultura della prevenzione di ogni forma di abuso. L’accoglienza e l’ascolto
delle vittime sono il tratto autentico di una Chiesa che, nella conversione
comunitaria, sa riconoscere le ferite e si impegna per lenirle". Aci 20
Conoscere
l'ebraismo per combattere l'antisemitismo
Un volume scaricabile on line in italiano ed inglese con
16 schede utili per le scuole - Di Angela Ambrogetti
Roma. Sedici capitoli, sedici schede, per conoscere e
capire l'ebraismo e sconfiggere così l'antisemitismo strisciante che si
confonde troppo spesso con la critica politica allo Stato di Israele.
Un libro in italiano e in inglese frutto di un lavoro
congiunta tra Conferenza Episcopale Italiane e la Unione delle Comunità
ebraiche italiane. L'occasione è nata dal 60 anni della Dichiarazione del
Concilio Vaticano II “Nostra Aetate”.
Le Schede sono il frutto di anni di lavoro comune e sono
nate dall’esigenza di assicurare alla scuola italiana testi di
qualità, promuovendo la conoscenza come vero antidoto a ogni forma di
antisemitismo. Oggi il lavoro congiunto di CEI e UCEI continua, l’ambito
di impiego delle Schede è più ampio di quello scolastico e il metodo
individuato rappresenta una buona prassi, replicabile anche in altri contesti.
Nella presentazione del volume presso Palazzo Borromeo
sede dell' Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede il cardinale Matteo
Zuppi, ha detto che "l’intenzione della Chiesa non è solo volta a un
corretto rapporto col popolo ebraico ma al rispetto che porta il peso di
duemila anni di storia di sofferenza e anche di falsificazione".
Noemi Di Segni presidente dell' UCEI ha aggiunto anche
una "sfida delicata" che, ha detto " credo con sincerità vada
esplicitata – ben consapevole che semplice non è – di capire come invece nelle
scuole ebraiche va data informazione conoscenza della fede cristiana e le
diverse chiese e correnti. C’è un pregiudizio e poca conoscenza e questa è una
sfida dentro al mondo ebraico che con onestà dobbiamo affrontare".
Il cardinale Zuppi aggiunge che è necessario "non
abbassare minimamente la guardia sull’antisemitismo che si nutre di ignoranza e
pregiudizio"
Per Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della
Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo "la frequentazione di
queste schede può aiutare gli studenti ad allargare gli orizzonti, a fare un
pezzo di strada guardando altri orizzonti. Per giungere a un arricchimento
della propria identità, nel pieno rispetto dell’identità altrui".
Le schede sono il frutto di un lavoro tra gli Uffici
della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale italiana (Ufficio
Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; Ufficio Nazionale
per l’educazione, la scuola e l’università; Servizio Nazionale per
l’insegnamento della religione cattolica) e l'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane – UCEI.
Queste schede testimoniano come il processo avviato dalla
svolta conciliare con “Nostra Aetate” n.4, sia attivo, efficace e
hanno lo scopo di assicurare alla scuola italiana testi IRC di
qualità promuovendo cultura e conoscenza come vero antidoto a ogni forma
di antisemitismo. Questa pubblicazione è la testimonianza che ciò che è
possibile fare deve essere fatto e fatto bene, con competenza, per la crescita
delle nostre comunità e della società intera. Aci 20
“Dalla
valle di lacrime alla Gerusalemme nuova”
Udienza generale di Papa Leone XIV - Di Veronica
Giacometti
Città del Vaticano. Il Papa, per questa udienza in Piazza
San Pietro, riprende il ciclo di catechesi che si è svolto lungo l’intero Anno
Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza” e incentra la sua meditazione sul tema
“La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. Spiritualità pasquale
ed ecologia integrale”. “Le sfide non si possono affrontare da soli e le
lacrime sono un dono di vita quando purificano i nostri occhi e liberano il
nostro sguardo”, dice subito il Papa.
“L’evangelista Giovanni suggerisce alla nostra attenzione
un dettaglio che non troviamo negli altri Vangeli: piangendo vicino alla tomba
vuota, la Maddalena non riconobbe subito Gesù risorto, ma pensò che fosse il
custode del giardino”, il Papa pone l’attenzione su questo.
“Termina così, nella pace del sabato e nella bellezza di
un giardino, la drammatica lotta fra tenebre e luce scatenatasi col tradimento,
l’arresto, l’abbandono, la condanna, l’umiliazione e l’uccisione del Figlio,
che «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Coltivare
e custodire il giardino è il compito originario che Gesù ha portato a
compimento”, continua il Pontefice spiegando questo passaggio nella catechesi.
“Cari fratelli e sorelle, Maria Maddalena, allora, non
sbagliò del tutto, credendo di incontrare il custode del giardino! Doveva, in
effetti, riascoltare il proprio nome e comprendere il proprio compito dall’Uomo
nuovo, quello che in un altro testo giovanneo dice: «Ecco, io faccio nuove
tutte le cose». Papa Francesco, con l’Enciclica Laudato si’, ci ha indicato
l’estrema necessità di uno sguardo contemplativo: se non è custode del
giardino, l’essere umano ne diventa devastatore. La speranza cristiana, dunque,
risponde alle sfide cui oggi l’intera umanità è esposta sostando nel giardino
in cui il Crocifisso è stato deposto come un seme, per risorgere e portare
molto frutto”, continua il Papa.
“Il Paradiso non è perduto, ma ritrovato. La morte e la
risurrezione di Gesù, così, sono fondamento di una spiritualità dell’ecologia
integrale, fuori dalla quale le parole della fede restano senza presa sulla
realtà e le parole delle scienze rimangono fuori dal cuore”, continua Papa
Francesco.
“Per questo, parliamo di una conversione ecologica, che i
cristiani non possono separare da quell’inversione di rotta che seguire Gesù
richiede loro. Ne è segno il voltarsi di Maria, in quel mattino di Pasqua: solo
di conversione in conversione passiamo da questa valle di lacrime alla
Gerusalemme nuova. Tale passaggio, che inizia nel cuore ed è spirituale,
modifica la storia, ci impegna pubblicamente, attiva solidarietà che fin d’ora
proteggono persone e creature dalle brame dei lupi, nel nome e in forza dell’Agnello
Pastore”, dice Papa Leone XIV in Piazza San Pietro.
“Così, i figli e le figlie della Chiesa possono oggi
incontrare milioni di giovani e di altri uomini e donne di buona volontà che
hanno ascoltato il grido dei poveri e della terra lasciandosene toccare il
cuore. Sono molte anche le persone che desiderano, attraverso un più diretto
rapporto col creato, una nuova armonia che le porti oltre tante lacerazioni”,
conclude il Papa. Aci 19
Aiuto
alla Chiesa che Soffre, Montecitorio rosso in ricordo dei cristiani
perseguitati
Nella “Red Week”, anche Montecitorio si illumina di
rosso. Una conferenza di Aiuto alla Chiesa che Soffre alla Camera getta luce
sulla situazione dei cristiani perseguitati. E intanto in Nigeria - Di Andrea
Gagliarducci
Roma. Anche Montecitorio si illuminerà di rosso, stasera,
per il mercoledì in cui Aiuto alla Chiesa che Soffre in tutto il mondo lancia
il suo allarme e chiede consapevolezza sul fatto che c’è una persecuzione in
corso contro i cristiani, la quale – dati del suo ultimo rapporto alla mano –
cresce in maniera inesorabile, mentre due terzi dell’umanità vivono in contesti
in cui la libertà religiosa è compromessa.
Le violazioni della libertà religiosa e delle
persecuzioni ai danni dei cristiani nel mondo sono state dettagliate in una
conferenza stampa che si è tenuta alla Camera dei Deputati italiana lo scorso
18 novembre, nell’ambito appunto della Red Week, la settimana rossa di Aiuto
alla Chiesa che Soffre, un appuntamento internazionale che la fondazione di
diritto pontificio dedica alla sensibilizzazione sul dramma delle persecuzioni
anti-cristiane.
“L’illuminazione di Montecitorio per la ‘Red Week’ è un
invito a unirci in una battaglia comune – dice il presidente della Camera dei
deputati, Lorenzo Fontana –: difendere i cristiani che, in tante parti del
mondo, subiscono massacri e persecuzioni, e affermare il diritto universale
alla libertà religiosa. Ringrazio Papa Leone XIV per i suoi appelli e per il
richiamo continuo a questi temi. I dati delle violenze sono drammatici e
fotografano situazioni che troppo spesso si consumano nel silenzio: richiamare
l’urgenza di un’azione comune a livello internazionale è condizione
imprescindibile per salvare vite e garantire diritti fondamentali”.
La conferenza del 18- novembre, frutto di un’iniziativa
di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia, della Consulta Italiana per la Libertà
Religiosa o di Credo e dell’Onorevole Paolo Formentini, aveva l’obiettivo di
promuovere e difendere il diritto alla libertà religiosa a livello
internazionale, mentre per la prima volta ACS ha lanciato una petizione
internazionale per la libertà religiosa.
L’ultimo rapporto ACS sottolinea che ci sono 413 milioni
di cristiani che vivono in Paesi in cui la libertà religiosa è gravemente
violata, e 220 milioni di essi risiedono in aeree in cui sono direttamente
esposti a persecuzioni.
Con la conferenza, si è cercato di sviluppare un
dibattito che si spera coinvolga il Parlamento italiano in un impegno duraturo
e trasversale in difesa della libertà religiosa. Sandra Sarti, presidente di
Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia, ha infatti messo in luce che è
necessaria una collaborazione tra organizzazioni impegnate nel settore e
istituzioni.
L’impegno per la coscientizzazione della politica sul
tema della libertà religiosa va di pari passo con il monitoraggio delle
persecuzioni cristiane nel mondo. Ancora il 18 novembre, ACS Italia denunciava
che venticinque studentesse della Government Girls’ Comprehensive Secondary
School di Maga, nello Stato nord-occidentale di Kebbi (Nigeria) sono state
rapite nella notte tra domenica e lunedì da una banda di criminali.
È successo in un momento – sostengono fonti ACS – in cui
“la violenza si sembrava attenuata”, e anche per questo i banditi, che hanno
fatto irruzione nella scuola verso le 3 del mattino, hanno potuto agire per
molte ore senza incontrare alcuna resistenza.
Il vicepreside della scuola, Mallam Hassan Yakubu Makuku,
è stato ucciso mentre cercava, impotente, di proteggere le sue studentesse”, ha
aggiunto la fonte. La comunità ha chiesto un intervento immediato del governo.
La fonte ha inoltre spiegato che il distretto di
Danko/Wasagu, dove si trova la scuola, è uno degli insediamenti religiosamente
più diversificati dello Stato di Kebbi, che tra l’altro ha già registrato
attacchi contro istituti scolastici. Diverse comunità locali sono a maggioranza
cristiana, rendendo l’area una rara zona a prevalenza cristiana nel nord-ovest,
a maggioranza musulmana. Per questo motivo, molte delle ragazze rapite sono
cristiane, così come il vicepreside ucciso. Nessuna rivendicazione è giunta
fino ad ora.
Torna così l’incubo rapimenti dopo quelli di massa di
Chibok (2014) e Dapchi (2018), eventi che hanno lasciato un profondo trauma
nella coscienza nazionale e sono diventati simbolo della grave crisi di
sicurezza che colpisce la Nigeria. Anche il Papa ne ha parlato incontrando i
giornalisti fuori da Castel Gandolfo il 18 novembre, con parole comunque
piuttosto generiche. Aci 19
Leone
XIV: “la conversione ecologica modifica la storia”
Il Papa ha dedicato la catechesi dell'udienza di oggi al rapporto
tra la Risurrezione di Cristo e l'ecologia integrale. Sullo sfondo, la Laudato
si' di Papa Francesco – di M. Michela Nicolais
“Se non è custode del giardino, l’essere umano ne diventa
devastatore”. A lanciare il grido d’allarme è stato Leone XIV, nella catechesi
dell’udienza di oggi, dedicata al rapporto tra la Risurrezione di Cristo e
l’ecologia integrale. “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di
risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado
ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento”, il
monito prendendo a prestito le parole di Papa Francesco nella Laudato si’:
“Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma
educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una
resistenza”. Di qui l’urgenza di rilanciare una “conversione ecologica, che i
cristiani non possono separare da quell’inversione di rotta che seguire Gesù
richiede loro”.
“Coltivare e custodire il giardino è il compito
originario che Gesù ha portato a compimento”, ha esordito il Papa citando la
Maddalena, che “piangendo vicino alla tomba vuota, non riconobbe subito Gesù
risorto, ma pensò che fosse il custode del giardino”. Maria Maddalena, ha
commentato, “non sbagliò del tutto, credendo di incontrare il custode del
giardino! Doveva, in effetti, riascoltare il proprio nome e comprendere il
proprio compito dall’Uomo nuovo, quello che in un altro testo giovanneo dice:
‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’ (Ap 21,5)”.
“La speranza cristiana risponde alle sfide cui oggi
l’intera umanità è esposta sostando nel giardino in cui il Crocifisso è stato
deposto come un seme, per risorgere e portare molto frutto”, ha spiegato il
Pontefice: “Il Paradiso non è perduto, ma ritrovato. La morte e la risurrezione
di Gesù sono fondamento di una spiritualità dell’ecologia integrale, fuori
dalla quale le parole della fede restano senza presa sulla realtà e le parole
delle scienze rimangono fuori dal cuore”.
La conversione ecologica, infatti, “inizia nel cuore ed è
spirituale, modifica la storia, ci impegna pubblicamente, attiva solidarietà
che fin d’ora proteggono persone e creature dalle brame dei lupi, nel nome e in
forza dell’Agnello Pastore. Così, i figli e le figlie della Chiesa possono oggi
incontrare milioni di giovani e di altri uomini e donne di buona volontà che
hanno ascoltato il grido dei poveri e della terra lasciandosene toccare il
cuore”. “Sono molte anche le persone che desiderano, attraverso un più diretto
rapporto col creato, una nuova armonia che le porti oltre tante lacerazioni”,
ha osservato il Papa: “Lo Spirito ci dia la capacità di ascoltare la voce di
chi non ha voce. Vedremo, allora, ciò che ancora gli occhi non vedono: quel
giardino, o Paradiso, cui andiamo incontro soltanto accogliendo e portando a
compimento ciascuno il proprio compito”. Sir 19
Cambiamento
climatico, Papa Leone XIV: "Manca la volontà politica di alcuni"
Il Papa: "Come custodi del creato di Dio siamo
chiamati ad agire rapidamente, con fede e profezia, per proteggere il dono che
Lui ci ha affidato"
Città del Vaticano. “Mi unisco alla voce profetica dei
miei fratelli cardinali che hanno partecipato alla COP30, dicendo al mondo con
parole e con gesti che la regione amazzonica continua a essere un simbolo
vivente della creazione con un bisogno urgente di cure”. Sono le parole del
Papa, pronunciato nel videomessaggio inviato alle Chiese Particolari del Sud
del Mondo riunite al Museo Amazzonico di Bélem.
“Voi – ha detto Leone XIV - avete preferito la speranza e
l’azione alla disperazione, costruendo una comunità globale che lavora insieme.
Ciò ha prodotto progressi, ma non abbastanza. La speranza e la determinazione
devono essere rinnovate, non solo con le parole e le aspirazioni, ma anche
attraverso azioni concrete”.
“Il creato – ha denunciato il Papa - sta gridando
attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo implacabile. Una persona su
tre vive in situazione di grande vulnerabilità a causa di questi cambiamenti
climatici. Per loro, il cambiamento climatico non è una minaccia lontana, e
ignorare queste persone significa negare la nostra comune umanità”.
“Come custodi del creato di Dio – ha spronato il
Pontefice - siamo chiamati ad agire rapidamente, con fede e profezia, per
proteggere il dono che Lui ci ha affidato. L’Accordo di Parigi ha portato
progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per
proteggere le persone e il pianeta. Ma dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo
che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta. Quel
che manca è la volontà politica di alcuni”.
“Vera leadership – ha concluso - significa servizio e
sostegno in una misura che faccia davvero la differenza. Azioni climatiche più
forti creeranno sistemi economici più forti e più equi. Azioni e politiche
climatiche più forti sono entrambe un investimento in un mondo più giusto e
stabile. Camminiamo al fianco di scienziati, leader e pastori di ogni nazione e
credo. Siamo custodi del creato, non rivali per le sue spoglie. Inviamo insieme
un segnale globale chiaro: nazioni che sostengono con incrollabile solidarietà
l’Accordo di Parigi e la cooperazione climatica. Che questo Museo Amazzonico
sia ricordato come il luogo in cui l’umanità ha preferito la cooperazione alla
divisione e alla negazione”. Aci 18
Card.
Zuppi: “Vogliamo aiutare gli italiani a sentirsi meno soli”
Il presidente della Cei ha aperto l'Assemblea di Assisi
annunciando la preghiera corale di domani per la pace e il momento di preghiera
nella Giornata dedicata alle vittime degli abusi. "Nessuna ambizione
politica o di potere, ci anima solo l'amore per il bene del popolo italiano e
della nostra gente". Grazie a Papa Leone per l'incontro con i vescovi – di
M. Michela Nicolais
“Mercoledì sera ci riuniremo in preghiera per invocare,
ancora una volta, tutti insieme, il dono della riconciliazione e rivolgere il
nostro accorato appello per la pace”. Lo ha annunciato il card. Matteo Zuppi,
arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, aprendo ad Assisi l’Assemblea
generale dei vescovi italiani che si concluderà con la presenza, il 20
novembre, di Papa Leone XIV.
“Possa la Chiesa aiutare gli italiani a sentirsi
meno polarizzati, meno isolati e soli, insomma più popolo”, l’auspicio del
presidente della Cei, che ha iniziato con un “pensiero di gratitudine” al Santo
Padre e ha proseguito riassumendone gli “assi portanti” dei primi sei mesi di
pontificato, che si caratterizza come “un magistero di unità e di pace”. In una
società in cui “i vicini sono meno numerosi di un tempo” e i lontani sono
cresciuti, con una lontananza che non è più ostilità ma “indifferenza”, occorre
prendere coscienza che “la fine della cristianità non segna affatto la
scomparsa della fede”.
“Se la cristianità è finita, non lo è affatto il
cristianesimo”: “Non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a
essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri,
spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più
evangelici e cristiani. Il credente di oggi non è più il custode di un mondo
cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei
cuori”.
È in questa situazione di “vulnerabilità” che la Chiesa riscopre
la sua forza, la tesi di Zuppi: “Non quella del potere, peraltro spesso
presunto come le ricostruzioni sulla rilevanza della Chiesa, ma quella
dell’amore che si dona senza paura”.
“Non abbiamo alcuna ambizione politica o di guadagnare
posizioni di potere”, ha precisato sgombrando da ogni equivoco: “Non dobbiamo
compiacere alcuno né alcuna forza politica, né abbiamo alcun consenso da
guadagnare”. “Possiamo solo chiedere tanto amore politico, specialmente a chi,
si ispira alla bellissima e umanissima dottrina sociale della Chiesa”, ha
proseguito il cardinale: “Ci anima solo, con tutti i nostri limiti personali,
l’amore per il bene del popolo italiano, per il mondo tutto, per la nostra gente”.
“In una società che si atomizza la Chiesa non cessi mai di essere popolo”,
l’indicazione di rotta, perché “anche in una piccola comunità c’è una grande
forza”.
Quella da incarnare, sulla scorta di Papa Francesco e
Papa Leone, è una Chiesa che cammina con i poveri, e che porta anche a
“rivisitare le nostre istituzioni, opere, strutture, associazioni per evitare
un appiattimento su moduli umanitaristici o aziendali”, il monito, unito a
quello a tornare all’essenziale. Nella città di San Francesco, occorre imparare
a vivere, come ha fatto lui, il Vangelo “sine glossa”, perché è solo così che
la fede diventa contagiosa. Come contagioso, ci insegna il Concilio, è
anche lo stile che almeno 500mila persone hanno sperimentato nei quattro
anni del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, fatto di ascolto,
discernimento e profezia. Tra le proposte per il futuro, quella di
“avviare una riflessione sull’eventuale revisione dello stesso Statuto della
Cei”.
Sinodalità e collegialità, inoltre, implicano il primato
di una Chiesa del “noi”: “Una comunità viva è sempre una profezia in questo
nostro tempo individualista”, e oggi “una delle più profonde povertà che l’uomo
può sperimentare è la solitudine”.
Le parrocchie, in particolare, “devono sempre restare
aperte a qualunque tipo di fedeli e a qualunque ricerca di Dio: sono come la
piazza della Chiesa, dove non ci devono essere accessi limitati o condizionati,
perché spesso qui approdano tante persone da storie diverse particolari”, come
i tanti “senzatetto spirituali”. “In una società che si atomizza la Chiesa
non cessi mai di essere popolo”, la raccomandazione, perché “anche in una
piccola comunità c’è una grande forza”: “È stata fatta molta strada in questi
anni, e non abbiamo avuto paura né di iniziarla né di continuare a
percorrerla”.
È il bilancio della Chiesa italiana sul fronte della
prevenzione degli abusi. “Domani, 18 novembre, ricorre la V Giornata nazionale
di preghiera, convintamente istituita dall’Episcopato italiano per riconoscere
gli errori compiuti e impegnarsi per ricucire le ferite di chi ha sofferto e
soffre, a causa di abusi, e anche noi, insieme, celebreremo questa preghiera
durante i Vespri”, l’annuncio. Sulla tutela dei minori, ha reso noto inoltre il
cardinale, “la formazione resta un impegno rigoroso e costante: nel biennio
2023-2024 sono state raggiunte e formate circa 43mila persone.
Certo, non mancano le zone d’ombra e le resistenze, ma
abbiamo la concreta consapevolezza di un movimento costante, teso a rinsaldare
la fiducia, ad amplificare il rispetto, ad accogliere e ascoltare le vittime, a
custodire la dignità di ciascun membro del popolo di Dio”.
“Rilanciare un progetto di incontro, di collaborazione
nel segno della solidarietà, tra l’Europa e il Mediterraneo, seguendo la felice
intuizione del card. Gualtiero Bassetti”, l’omaggio del presidente della Cei:
“Accogliendo l’invito di Papa Leone XIV durante l’udienza al Consiglio dei
giovani del Mediterraneo (5 settembre 2025), vorremmo continuare questo
percorso”, ha assicurato Zuppi parlando del contributo fondamentale che
l’Europa, memorie della sua storia, può dare all’architettura della pace.
“Non deve venire meno l’attenzione sulla martoriata
Ucraina”, l’appello finale. “In un mondo che si sta rimescolando, l’Europa
delle Chiese cristiane esiste e vive”, ha garantito il cardinale: “Abbiamo da
dire che la persona umana, anche se fragile, debole, morente, nascituro, è
centrale nel nostro umanesimo”. “Pensiamo a un prossimo momento di incontro
sull’Europa”, a partire dal pensiero di Romano Guardini, ha concluso il
presidente della Cei. Sir 17
Pubblicati
i Rapporti Intermedi dei Gruppi di Studio del Sinodo
Città del Vaticano. La Segreteria Generale del Sinodo ha
pubblica oggi i Rapporti Intermedi dei dieci Gruppi di Studio, insieme a quelli
della Commissione canonistica e della Commissione SECAM sulla Poligamia.
Tanti i temi trattati: i poveri, la missione digitale, il ruolo delle
donne, la poligamia, il ministero dei nunzi…tutto in chiave missionaria e
sinodale.
“La diffusione di questi Rapporti Intermedi, dopo quelli
pubblicati all’inizio della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2 ottobre 2024), si rende opportuna” scrive
il Cardinale Mario Grech nella nota di accompagnamento, “perché il lavoro dei
Gruppi, data la ricchezza e la complessità di molte delle tematiche loro
affidate, sta richiedendo un tempo superiore a quello originariamente
preventivato. Ad ogni modo, alcuni Gruppi sono in procinto di concludere il loro
lavoro, gli altri proseguiranno ancora nei prossimi mesi”.
Una nota ufficiale ha accompagnato la stesura di questi
rapporti e ha specificato insieme al Cardinale Grech, Segretario Generale, che
“i documenti presentati — redatti tra l’estate e l’autunno di quest’anno —
restituiscono lo stato di avanzamento dei lavori, mettendo in luce sia il
metodo sinodale che li anima, sia i passi concreti per attuarlo: ascolto
reciproco, analisi dei numerosi contributi pervenuti, dialogo con gli
Episcopati locali, confronto tra competenze diverse e ricerca condivisa dei
passi da compiere nella docilità allo Spirito Santo. La loro diffusione intende
favorire una più ampia conoscenza di questa parte del processo di attuazione
del Sinodo”.
“Ad essi si aggiunge una breve presentazione (contenente
il mandato e i nominativi) del Gruppo sulla Liturgia, recentemente istituito, e
che ha iniziato i suoi lavori a fine luglio 2025. Invece, nessun rapporto è
pubblicato per il Gruppo sulle Conferenze episcopali, Assemblee ecclesiali e
Concili particolari la cui costituzione è in fase di avvio”, si legge ancora
nella presentazione.
I Rapporti Intermedi sono pubblicati in Italiano e in
Inglese.
Ricordiamo che ultimamente, seguendo le richieste
presenti nel Documento Finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi, “Papa Leone XIV ha aggiunto altri due nuovi gruppi: quello su “La
liturgia in prospettiva sinodale” e quello su “Lo statuto delle Conferenze
episcopali, delle Assemblee ecclesiali e dei Concili particolari”.
Papa Leone XIV, nel luglio scorso, ha deciso di
prolungare la data di consegna, chiedendo che i rapporti finali gli fossero
consegnati, nella misura del possibile, il prossimo 31 dicembre 2025.
Il rapporto del Gruppo 1 è stato presentato da Sua Em.
Card. Claudio Gugerotti e riguarda alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese
orientali cattoliche e Chiesa latina.
Il Gruppo di Studio 2 è composto da quattro donne e tre
uomini, includendo religiosi, laici e membri del clero provenienti da cinque
continenti e operanti in sei e il titolo è “L’ascolto del grido dei poveri e
della terra”. “Dal luglio 2024 ci siamo riuniti diciannove volte tramite la
piattaforma Zoom”, si legge nel rapporto.
I membri del Gruppo continuano a cogliere ogni
opportunità per ascoltare le esperienze di vita di persone povere o emarginate.
“Ciascun membro del Gruppo si impegnerà a entrare in contatto con persone o
comunità povere o emarginate nel proprio continente di origine o di residenza,
direttamente o attraverso intermediari che abbiano relazioni autentiche e
continuative di fiducia con tali realtà. Allo stesso modo, ci si sforzerà di
avere un confronto con alcune parrocchie, seminari, teologi, enti di formazione,
reti ecclesiali, movimenti sociali e realtà impegnate nella cura della casa
comune. Tutti i vescovi con incarichi di responsabilità sui temi della
giustizia, la pace e l’ecologia nelle rispettive Conferenze Episcopali saranno
invitati a fornire un loro parere”, si legge nello stesso Rapporto.
Il gruppo 3 si occupa di “La missione nell’ambiente
digitale”. “La cultura digitale è un ambiente vissuto e in continua
trasformazione, che, a seconda delle forme che assume, modella a sua volta il
modo in cui le persone instaurano e vivono relazioni, esprimono le proprie
convinzioni e ricercano la verità. Spetta a noi contribuire a plasmarla. In
risposta all'appello el Sinodo sulla sinodalità e al mandato affidatoci dalla
Segreteria Generale del Sinodo, il Gruppo di Studio 3 ha approfondito la
questione della missione della Chiesa nell’ambiente digitale attraverso un
processo sinodale di ascolto, discernimento e dialogo, vissuto in spirito di
preghiera”, si legge nel Rapporto.
Il Gruppo 4 si è riunito per “La revisione della Ratio
Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria”.
Completando il proprio compito, il Gruppo elaborerà la bozza di un sintetico
documento (non più di 10-12 pagine) per l’implementazione della Ratio
Fundamentalis / delle Ratio Nationalis in chiave sinodale e missionaria.
“In ottemperanza alle indicazioni ricevute dalla Segreteria
Generale del Sinodo ed in linea con il lavoro preparatorio già svolto lo scorso
anno, il Dicastero per la Dottrina della Fede (che con tutte le sue istanze
coincide con il Gruppo 5, previsto dal Processo sinodale sulla sinodalità) sta
procedendo alla stesura del resoconto finale sullo specifico argomento della
partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa. Questa fase di
lavoro succede ad un tempo di raccolta e valutazione dell’enorme materiale
giunto al Dicastero sul tema sopradetto. Inoltre, il Dicastero ha sollecitato
l’intervento sull’argomento di numerose donne già particolarmente coinvolte
nella missione e nella guida della Chiesa”, questo riguarda il Gruppo 5.
Il suddetto resoconto finale sarà composto da tre parti:
- una breve ricostruzione della storia del Gruppo 5, del suo metodo di lavoro e
delle intuizioni avute durante il lavoro stesso; - una sintesi argomentata
delle principali risultanze e convergenze circa il tema in oggetto derivanti
dall’ascolto delle diverse componenti del Dicastero (Consultori, Ufficio
Dottrinale, Congresso, Feria IV), dalla lettura dei testi ricevuti e dalle
testimonianze sollecitate dallo stesso Dicastero. - un’ampia appendice di catalogazione
dell’ingente materiale che il Dicastero ha ricevuto e raccolto nei mesi scorsi,
che si prevede al momento di organizzare in sette parti:
1) Figure femminili rilevanti nella storia della Chiesa.
2) Testimonianze attuali di donne che partecipano alla
guida della Chiesa.
3) Testimonianze di donne che lavorano nella Curia
Romana.
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disiscrivervi in qualsiasi momento.
4) Principio Mariano e Principio Petrino. Attualità e
limiti.
5) La potestas ecclesiale. Natura ed esercizio.
6) Tensioni critiche nei confronti del clericalismo e del
maschilismo.
7) Il contributo di Papa Francesco e di Papa Leone XIV
circa il ruolo delle donne nella
Chiesa.
Il lavoro del Gruppo di Studio 6 ha dato vita, in stile
sinodale, a tre sottogruppi tematici: I. Rapporti tra Vescovi e Consacrati/e
II. Collaborazione tra Conferenze Episcopali e Conferenze dei Superiori/e
Maggiori III. Relazioni tra Aggregazioni Ecclesiali e Chiese locali.
“Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo
(in particolare: criteri di selezione dei candidati all’episcopato, funzione
giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina
Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria è ciò di cui si occupa il
Gruppo 7. Per facilitare la regolare partecipazione dei membri non residenti a
Roma, le riunioni si sono svolte in modalità mista, cioè in forma sia
presenziale sia distanziale. Inoltre, all’interno del Gruppo è stato costituito
un comitato di redazione, composto di cinque membri, che si è riunito anch’esso
a cadenza generalmente mensile. Sul tema della selezione dei candidati
all’episcopato, il Gruppo ha ottenuto dal Santo Padre Francesco, per mezzo
dell’allora Cardinale Robert Francis Prevost, O.S.A., Prefetto del Dicastero
per i Vescovi, la facoltà di esaminare le Istruzioni riservate inviate ai
Rappresentanti Pontifici circa la procedura per le nomine episcopali nei
territori di competenza del Dicastero per i Vescovi e del Dicastero per
l’Evangelizzazione.
“Successivamente il Gruppo ha promosso una riunione
congiunta con il Gruppo di Studio 8 (che si occupa de «Il ruolo dei
Rappresentanti Pontifici in prospettiva sinodale missionaria»), allo scopo di
ascoltare i suoi membri, in buona parte Nunzi Apostolici. In una successiva
occasione un’esperta nella selezione del personale dirigente di società
internazionali è stata invitata a presentare una relazione, con l’obiettivo di
trarre informazioni utili dalle procedure in uso nella società civile”, si
legge ancora nel Rapporto.
Al Gruppo di Studio 8 è stato affidato il compito di
esaminare come il ministero dei Rappresentanti Pontifici, esercitato in varie
parti del mondo, possa svilupparsi in una prospettiva più missionaria e
sinodale. Erano previsti un approfondimento sull’esercizio di tale ministero e
la formulazione di opportune raccomandazioni. Lo studio principale e la
raccolta del materiale sono ormai completati; si entra ora nella fase di
elaborazione, analisi e condivisione dei contenuti con i membri del Gruppo di
Studio. Considerando le distanze geografiche, sarà necessario del tempo, ma si
prevede di poter giungere a una sintesi conclusiva entro la fine del 2025.
“Questioni dottrinali, pastorali ed etiche “controverse”
sono al centro del Gruppo 9. E anche sulle questioni che è sembrato adeguato
definire “emergenti”. L’orizzonte è il “principio di pastoralità”. “Con tale
principio intendiamo, in estrema sintesi, la logica per cui non c’è annuncio
del Vangelo di Dio senza riconoscimento e promozione della soggettività
dell’altro, ospitalità e responsabilità nei confronti dell’interlocutore a cui
ci si rivolge”, continua il Rapporto.
“Alcune questioni emergenti (come ci sembra più adeguato
designarle, piuttosto che “controverse”) saranno affrontate in modo da dare una
declinazione operativa alle proposte avanzate. Si vedranno qui anche il ruolo e
le articolazioni dei diversi saperi convocati per un concreto esercizio di
dialogo transdisciplinare”, si legge nel Gruppo. Questi i temi: Omosessualità,
Conflitti e pratica non violenta del Vangelo, Violenza sulle donne in
situazione di conflitto armato, una situazione emblematica impostasi all’attenzione
del gruppo nel corso dei lavori.
Il 10, ha trattato “La recezione dei frutti del cammino
ecumenico nelle prassi ecclesiali”. L’ecumenismo dunque è al centro del gruppo.
“Al Gruppo di Studio 10 è stato affidato il compito di approfondire la
recezionr dei frutti del cammino ecumenico nelle pratiche ecclesiali, in
riferimento a tre questioni specifiche. A seguito dell’incoraggiamento di Papa
Leone XIV a proseguire il lavoro dei Gruppi di Studio con rinnovato entusiasmo,
accogliamo con gratitudine la nuova scadenza di dicembre 2025 come un’opportunità
per approfondire la riflessione all’inizio di questo nuovo Pontificato. La
nostra metodologia privilegia l’ascolto sinodale, l’attenzione al sensus fidei
e l’impegno per un’attuazione pastorale fedele alla Tradizione cattolica”,
riporta il Rapporto.
L’undicesimo gruppo è stato aggiunto da Papa Leone.
Coordinato dal Dicastero per il Culto divino, in collaborazione con la
Segreteria Generale del Sinodo, il gruppo espleterà il proprio mandato a
partire dalla riflessione sul legame tra celebrazione eucaristica e vita
sinodale missionaria della Chiesa.
Poi c’è nel Rapporto la “Commissione Canonistica”.
“La Commissione Canonistica è stata istituita in occasione della Prima
Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
nell’ottobre del 2023, con l’intento iniziale di ascoltare “lo spirito del
Sinodo”, verificare il modo di procedere, comprendere quello che i membri
dell’Assemblea sinodale proponevano e ponevano alla riflessione di tutta la
Chiesa. Da quel momento la Commissione si è riunita sia in presenza che online
otto volte, cercando di mettere a frutto il cammino sinodale e di lavorare
sulle tematiche emerse nel corso delle Sessioni di ottobre 2023 e ottobre
2024”, si legge ancora nel Rapporto. I temi sono laicato/ donna; Conferenze
Episcopali/ Concili particolari; organismi di partecipazione.
Infine le “Sfide Pastorali sulla poligamia”. “In risposta
a quanto richiesto dalla Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023), che ha invitato il SECAM (Simposio delle
Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar) a promuovere un discernimento
teologico e pastorale sulla poligamia e sull’accompagnamento delle persone in
unioni poligamiche che si avvicinano alla fede (cf. Relazione di Sintesi, n.
16q), la Chiesa in Africa, per mezzo del proprio organismo continentale, il
SECAM, ha istituito un apposito gruppo di esperti. Questo gruppo di esperti,
composto da 12 specialisti provenienti da diverse regioni dell’Africa e delle
sue isole, e rappresentanti di ambiti differenti, quali la teologia dogmatica e
fondamentale, gli studi biblici, la cura pastorale, il diritto canonico e
l’antropologia, si è riunito due volte in presenza, integrando il lavoro con
numerosi incontri online, portando così a compimento il proprio mandato”, si
legge nel Rapporto.
La metodologia adottata dal gruppo di esperti si è
sviluppata in tre fasi fondamentali: “ascoltare” (listening), “valorizzare”
(appreciating) e “impegnarsi” (engaging). Aci 17
Il
Papa: “La gioia di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore”
L'Angelus di Papa Leone XIV - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. In occasione del Giubileo dei Poveri,
Papa Leone XIV presiede la Santa Messa nella Basilica Vaticana. Il Giubileo
dedicato ai poveri si è unito alla IX Giornata Mondiale dei Poveri, istituita
da Papa Francesco nel 2017 al termine del Giubileo della Misericordia. “Nelle
persecuzioni, nelle sofferenze, nelle fatiche e nelle oppressioni della vita e
della società, Dio non ci lascia soli. Egli si manifesta come Colui che prende
posizione per noi”, dice il Pontefice nell’omelia.
Questa mattina Papa Leone è andato in Piazza San Pietro a
salutare la folla già radunata all’esterno per seguire la celebrazione (circa
12.000 fedeli), fa sapere un telegram della Sala Stampa della Santa Sede.
"Quando leggiamo il Vangelo, una delle frasi che
tutti conosciamo è «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei
cieli» (Mt 5,3). Noi tutti vogliamo essere fra i poveri del Signore, perché la
nostra vita è un dono di Dio e lo riceviamo con tanta gratitudine. Io vi
ringrazio per la vostra presenza. La Basilica diventa un po’ piccola… Voi fate
parte della Chiesa e potete seguire la Santa Messa anche dagli schermi.
Partecipate con molto amore, con molta fede e sappiate che siamo tutti uniti in
Cristo. Allora, celebriamo l’Eucaristia e dopo ci vediamo per l’Angelus, qui in
Piazza", ha detto questa mattina il Papa in piazza.
“Tutta la Scrittura è attraversata da questo filo rosso
che narra un Dio che è sempre dalla parte del più piccolo, dalla parte
dell’orfano, dello straniero e della vedova. E in Gesù, suo Figlio, la
vicinanza di Dio raggiunge il vertice dell’amore: per questo la presenza e la
parola di Cristo diventa giubilo e giubileo per i più poveri, essendo Egli
venuto per annunciare ai poveri il lieto annuncio e predicare l’anno di grazia
del Signore. Di tale anno di grazia partecipiamo in modo speciale ancora noi, proprio
oggi, mentre celebriamo, con questa Giornata mondiale, il Giubileo dei
poveri.”, continua il Papa.
Al Giubileo dei poveri, secondo il Dicastero per
l'Evangelizzazione, stanno partecipando 10 mila pellegrini da tutto il mondo da
venerdì 14 novembre, soprattutto persone in condizioni di fragilità e povertà,
assistiti dalle associazioni caritative delle diocesi, volontari e operatori.
“Quante povertà opprimono il nostro mondo! Sono anzitutto
povertà materiali, ma vi sono anche tante situazioni morali e spirituali, che
spesso riguardano soprattutto i più giovani. E il dramma che in modo
trasversale le attraversa tutte è la solitudine. Essa ci sfida a guardare alla
povertà in modo integrale, perché certamente occorre a volte rispondere ai
bisogni urgenti, ma più in generale è una cultura dell’attenzione quella che
dobbiamo sviluppare, proprio per rompere il muro della solitudine. Perciò vogliamo
essere attenti all’altro, a ciascuno, lì dove siamo, lì dove viviamo,
trasmettendo questo atteggiamento già in famiglia, per viverlo concretamente
nei luoghi di lavoro e di studio, nelle diverse comunità, nel mondo digitale,
dovunque, spingendoci fino ai margini e diventando testimoni della tenerezza di
Dio”, sottolinea Papa Leone XIV.
“Oggi, soprattutto gli scenari di guerra, presenti
purtroppo in diverse regioni nel mondo, sembrano confermarci in uno stato di
impotenza. Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal
credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il
Vangelo, invece, ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il
Signore viene a salvarci. E noi, comunità cristiana, dobbiamo essere oggi, in
mezzo ai poveri, segno vivo di questa salvezza”, continua il Pontefice.
“La povertà interpella i cristiani, ma interpella anche
tutti coloro che nella società hanno ruoli di responsabilità. Esorto perciò i
Capi degli Stati e i Responsabili delle Nazioni ad ascoltare il grido dei più
poveri. Non ci potrà essere pace senza giustizia e i poveri ce lo ricordano in
tanti modi, con il loro migrare come pure con il loro grido tante volte
soffocato dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti,
e anzi dimentica molte creature lasciandole al loro destino”, commenta Papa
Leone XIV.
Poi un pensiero “agli operatori della carità, ai tanti
volontari, a quanti si occupano di alleviare le condizioni dei più poveri
esprimo la mia gratitudine, e nel contempo il mio incoraggiamento ad essere
sempre più coscienza critica nella società”, dice il Papa.
“Cercare il Regno Dio implica il desiderio di trasformare
la convivenza umana in uno spazio di fraternità e di dignità per tutti, nessuno
escluso. È sempre dietro l’angolo il pericolo di vivere come dei viaggiatori
distratti, noncuranti della meta finale e disinteressati verso quanti
condividono con noi il cammino. In questo Giubileo dei poveri lasciamoci
ispirare dalla testimonianza dei Santi e delle Sante che hanno servito Cristo
nei più bisognosi e lo hanno seguito nella via della piccolezza e della spogliazione.
In particolare, vorrei riproporre la figura di San Benedetto Giuseppe Labre,
che con la sua vita di “vagabondo di Dio” ha le caratteristiche per essere
patrono di tutti i poveri senzatetto”, conclude infine Papa Leone XIV.
Papa Leone XIV subito dopo aver celebrato la Messa per il
Giubileo dei poveri si affaccia alla finestra dello studio, nel Palazzo
Apostolico Vaticano, per recitare l’Angelus con i fedeli in Piazza San Pietro.
Questa mattina le autorità competenti hanno contato 20.000 pellegrini. Prima
della preghiera mariana il Papa riflette sul Vangelo odierno.
“Il Vangelo di oggi ci fa riflettere sul travaglio della
storia e sulla fine delle cose. “Il suo appello è molto attuale: purtroppo,
infatti, riceviamo quotidianamente notizie di conflitti, calamità e
persecuzioni che tormentano milioni di uomini e donne. Sia davanti a queste
afflizioni, sia davanti all’indifferenza che le vuole ignorare, le parole di
Gesù annunciano però che l’aggressione del male non può distruggere la speranza
di chi confida in Lui. Più l’ora è buia come la notte, più la fede brilla come
il sole”, dice il Pontefice.
“Per due volte, infatti, Cristo afferma che “a causa del
suo nome” molti subiranno violenze e tradimenti, ma proprio allora avranno
l’occasione di dare testimonianza. Sull’esempio del Maestro, che sulla croce
rivelò l’immensità del suo amore, tale incoraggiamento ci riguarda tutti. La
persecuzione dei cristiani, infatti, non accade solo con le armi e i
maltrattamenti, ma anche con le parole, cioè attraverso la menzogna e la
manipolazione ideologica. Soprattutto quando siamo oppressi da questi mali,
fisici e morali, siamo chiamati a dare testimonianza alla verità che salva il
mondo, alla giustizia che riscatta i popoli dall’oppressione, alla speranza che
indica per tutti la via della pace”, dice Papa Leone XIV.
“Le parole di Gesù attestano che i disastri e i dolori
della storia hanno un termine, mentre è destinata a durare per sempre la gioia
di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore”, continua il Papa prima della
preghiera mariana.
“Carissimi, lungo tutta la storia della Chiesa, sono
soprattutto i martiri a ricordarci che la grazia di Dio è capace di
trasfigurare perfino la violenza in segno di redenzione. Perciò, unendoci ai
nostri fratelli e sorelle che soffrono per il nome di Gesù, cerchiamo con
fiducia l’intercessione di Maria, aiuto dei cristiani. In ogni prova e
difficoltà, la Vergine Santa ci consoli e ci sostenga”, conclude infine il
Papa.
Subito dopo la preghiera mariana il Papa passa ai
consueti saluti e appelli. “Cari fratelli e sorelle come dicevo poco fa
commentando il Vangelo di oggi in diverse parti del mondo i cristiani subiscono
discriminazione e persecuzione penso al Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e
altri paesi dove giungono spesso attacchi a comunità e luoghi di culto”, “il
Padre vuole la pace per i tutti i suoi figli”, dice il Papa.
Poi un pensiero alla Repubblica Democratica del Congo.
Qui il Papa condanna la violenza, infatti è avvenuto pochi giorni fa un
massacro di civili, almeno 20, “preghiamo che cessi ogni violenza”, dice Papa
Leone.
“Seguo con dolore le notizie degli attacchi che
colpiscono numerose città ucraine, esse causano vittime e feriti tra cui
bambini e ingenti danni, lasciano le famiglie senza casa mentre il freddo
avanza, assicuro la mia vicinanza, non possiamo abituarci alla guerra e alla
distruzione, preghiamo per la pace”, continua il Papa nel suo appello.
“Desidero assicurare la mia preghiera anche per le
vittime del grave incidente stradale avvenuto nel Sud del Perù, il Signore
conforti le famiglie in lutto”, un altro appello del Papa.
Poi Leone ricorda la beatificazione di Carmelo de Palma,
beatificato ieri a Bari. “La sua testimonianza sproni i sacerdoti a donarsi
senza riserve al servizio del popolo santo di Dio”, chiede il Pontefice.
Per la Giornata Mondiale dei poveri il Papa ringrazia chi
ha promosso iniziative di solidarietà. In questo giorno ricordiamo anche chi è
morto a causa incidenti stradale, “ognuno faccia su questo un esame di
coscienza”, dice il Papa. Infine un pensiero anche alle vittime e ai
sopravvissuti agli abusi. Sono state pubblicate successivamente le parole del
Papa durante il pranzo dei poveri organizzato in occasione del Giubileo dei
poveri.
"Con grande gioia ci raduniamo in questo pomeriggio
per il pranzo, nella Giornata [dei Poveri] che tanto ha voluto il nostro amato,
mio predecessore, Papa Francesco. Un forte applauso per Papa Francesco.
Questo pranzo che adesso riceviamo è offerto, dalla Provvidenza e dalla grande
generosità della Comunità di San Vincenzo, i Vincenziani che vogliamo
ringraziare. E poi è un anniversario: sono 400 anni dalla nascita del loro
fondatore. Loro ci accompagneranno servendo al tavolo. Tanti auguri a tutti
voi, i sacerdoti, le religiose, i laici volontari che lavorano in tutto il
mondo aiutando tante persone povere e persone che vivono diverse necessità.
Siamo davvero, davvero pieni di questo spirito di ringraziamento, di
gratitudine in questa giornata.
Adesso, allora, chiediamo che il Signore benedica i doni
che riceveremo, che benedica la vita di ognuno di noi qui presente, i nostri
cari, i familiari, le persone che tanto hanno fatto per accompagnarci. Diamo
anche la benedizione del Signore a tante persone che soffrono a causa della
violenza e della guerra, della fame; e che noi oggi possiamo celebrare questa
festa in spirito di fraternità.
Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen
Benedici Signore noi e questi doni che riceviamo dalla
tua provvidenza. Benedici la nostra vita, la nostra fraternità. Aiuta, tutti
noi, a camminare sempre uniti nel tuo amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù
Cristo, nostro Signore. Amen
Tanti auguri e buon appetito!", ha concluso il Papa.
Aci 16
La
Giornata Mondiale dei Poveri nelle diocesi italiane
Il tema, da un versetto del salmo 71: “Sei tu, mio
Signore, la mia speranza”. Di Cesare Bolla
Roma. Anche in tutte le diocesi italiane domani si
celebra la Giornata Mondiale dei Poveri accompagnata, come tema, da un
versetto del salmo 71: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza”. Un
appuntamento che cade nel cuore dell’anno giubilare, come un invito a “gettare
di nuovo le ancore della nostra fede nelle profondità della vita reale, dove
abitano le fragilità e germoglia la speranza”, si legge in una nota pubblicata
sul sito della Caritas Italiana, organismo pastorale della Chiesa del nostro
Paese impegnata con i più fragili. Quest’anno la Giornata coincide con il
Giubileo dei Poveri e diventa per ogni comunità un “tempo di grazia” per
“cercare, conoscere, animare e promuovere i segni di speranza” già presenti nei
territori: luoghi e relazioni dove la carità si fa annuncio, educazione,
giustizia e possibilità di vera trasformazione sociale.
Per questa giornata Caritas Italiana ha messo a
disposizione un sussidio di animazione pastorale, i testi per una veglia di
preghiera e la locandina ufficiale per accompagnare parrocchie, gruppi e
comunità a vivere in modo unitario questo appuntamento, con spunti di
riflessione, meditazioni e proposte per “ancorarci al territorio”, alle “azioni
di speranza”, al “mondo” e alle “storie di speranza” che ogni giorno
“incontriamo nei nostri cammini”. L’immagine scelta raffigura l’altare della
Chiesa di Santa Maria Maddalena ai Cristallini, nel cuore del Rione Sanità di
Napoli: una barca di migranti trasformata in altare da alcuni detenuti del
carcere di Secondigliano. Un “segno potente che dice come la povertà non sia un
destino immutabile, ma un mare che si può attraversare insieme, se la comunità
diventa compagna di viaggio”, spiega Caritas Italiana.
Dalle varie diocesi italiane saranno in tanti a
partecipare a Roma alla celebrazione di domani presieduta da papa Leone XIV ma
non mancheranno le celebrazioni e le iniziative nei territori.
A Bologna l’arcivescovo, il card. Matteo Zuppi,
presidente della Cei, presiederà una celebrazione eucaristica nella Cattedrale.
“Oggi è importante per me ricordare a tutti noi
che il povero non è solo colui che manca del necessario, ma colui che vive
l’esperienza del limite, della precarietà, della dipendenza da altri”, scrive
in un messaggio per la giornata l’arcivescovo di Napoli, il card. Mimmo
Battaglia aggiungendo che in questo senso “siamo tutti poveri. Tutti,
prima o poi, scopriamo di non bastarci. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che
ci prenda per mano. Ed è da questa consapevolezza che possono nascere miracoli
inattesi: perché il bisogno può diventare incontro, e la mancanza si può
trasformare in comunione”. Per il porporato “i poveri sono i veri maestri di
questa speranza. Loro, più di chiunque altro, ci insegnano che la vita non
è mai solo ciò che possediamo. Che la dignità non si misura con la ricchezza,
ma con la capacità di amare. Che la forza non consiste nel dominare, ma nel
continuare a credere in nuove possibilità di vita anche quando ci si sente
avvolti da ferite dolorose. Chi vive ogni giorno nella precarietà e tuttavia
non perde il sorriso, chi continua a fidarsi della vita anche quando ha poco,
chi prega senza nulla chiedere per sé: ecco i veri testimoni del Vangelo”.
“Non possiamo dimenticare – aggiunge - che la più grande povertà è
non conoscere Dio, non sentire più il bisogno di Lui, illudersi di bastare a sé
stessi. È la povertà dei cuori indifferenti, dei pensieri chiusi, delle
mani che non si aprono mai. E tuttavia, proprio dentro questa povertà, Dio
si lascia trovare: perché la nostra miseria diventa il suo luogo di incontro,
la nostra mancanza diventa il suo spazio di grazia”.
A Genova tre giorni dedicati alla riflessione, alla
preghiera e all’impegno che questa ricorrenza “ci invita a mettere in atto”,
come spiega la diocesi. Ieri nell’Abbazia di San Matteo la preghiera dei Vespri
presieduta dall’arcivescovo Marco Tasca e la catechesi di mons. Marino Poggi,
penitenziere della Cattedrale, sull’Esortazione apostolica di Papa Leone XIV
“Dilexi te” sull’amore verso i poveri. Inoltre, sempre ieri, la diffusione di
alcuni dati del Rapporto diocesano sulla povertà rilevata dai Centri di Ascolto
Vicariali e la presentazione alla città due progetti di solidarietà che
prenderanno avvio proprio a partire dalla Giornata Mondiale dei Poveri. Si
tratta del progetto “Rut – Fondati sul lavoro” che intende accompagnare persone
e famiglie che, intrappolate in situazioni di lavoro povero, con redditi
derivanti da impieghi mal retribuiti, non riescono a garantirsi una vita
dignitosa e il progetto “L’ascolto che libera” che vedrà l’avvio di un Centro
di Ascolto diocesano alla Veneranda Compagnia della Misericordia dedicato ad
accogliere e sostenere le famiglie dei detenuti/e, offrendo ascolto,
accompagnamento e supporto umano e spirituale. Il secondo appuntamento nella
diocesi ligure questa mattina al Monastero dei Ss. Giacomo e Filippo con
l’inaugurazione, da parte dell’arcivescovo, della “Casa della Pace Don Piero
Tubino”, che nasce dal “legame vitale tra la cura dei poveri e la costruzione
di una società di pace”. Domani diverse realtà di carità operanti in diocesi
hanno previsto iniziative dedicate.
A Verona oggi Giubileo diocesano della speranza e povertà
promosso dai Centri e Servizi dell’Ambito della Prossimità diocesani. L’inizio
è previsto per le 12 nella basilica di San Zeno, dove ci saranno testimonianze
e riflessioni che offriranno spunti di speranza e di impegno concreto verso chi
vive situazioni di fragilità. Seguirà il pranzo condiviso in
Basilica, un momento di fraternità con la presenza di numerose
associazioni mentre nel pomeriggio al Convento di San Bernardino,
sarà celebrata la Messa presieduta dal vescovo Domenico Pompili.
“La povertà è più vicina di quanto pensi” è il titolo di
una campagna promossa dalla Caritas di Bolzano-Bressanone con l’obiettivo di
richiamare l’attenzione sulla “crescente emergenza abitativa, rendendo visibili
le storie di chi la vive e invitando la popolazione alla solidarietà e alle
donazioni”. Ieri una giornata di porte aperte nelle case e nelle strutture per
senzatetto della Caritas per far conoscere questa emergenza che tocca molte
persone. “L’emergenza abitativa – dice Beatrix Mairhofer, direttrice della
Caritas - non riguarda più soltanto le persone che vivono per strada” ma anche
tante persone “che non trovano un alloggio accessibile o faticano a mantenere
quello che hanno” e le cause sono molteplici.
Quest’anno la Giornata Mondiale dei Poveri “la possiamo
vivere illuminati, oltre che dal messaggio di Papa Leone, anche
dall’esortazione apostolica ‘Dilexi te’”, sottolinea il vescovo di San Miniato,
Giovanni Paccosi, in una riflessione diffusa alla vigilia della Giornata di
domani. Il “richiamo alla povertà – aggiunge - come luogo di incontro con il
Signore, rende questo momento un’occasione vera di crescita nella fede, oltre
che di esperienza della carità, cioè dell’amore che Dio ci dona perché scopriamo
che amare è il vero modo di vivere tutto”. “Nel vivere questo amore ricevuto e
donato – sottolinea il presule – diventiamo costruttori di quella pace che
tutti chiediamo, ma che solo può nascere da cuori che si fanno piccoli nel
servizio e nell’accoglienza dell’altro”. E poi l’invito alla colletta
alimentare che si svolge oggi nei supermercati del territorio diocesano. È un
“grande gesto di popolo, che ognuno può sostenere con il dono di alimenti e con
la propria presenza come volontario”.
Nella diocesi di Sulmona-Valva domenica scorsa il
convegno “Le mani invisibili della carità” dedicato a Santa Giovanna Antida
Thouret, con testimonianze e mostra fotografica sulla presenza delle Suore
della Carità in diocesi mentre oggi è prevista la Colletta alimentare in
collaborazione con il Banco alimentare e domani la celebrazione
eucaristica nella chiesa di San Francesco a Popoli Terme. Aci 15
Il
cinema secondo Papa Leone XIV
Il mondo del cinema in Vaticano. Ecco le parole del Papa
agli artisti - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Il mondo del cinema oggi è in
Vaticano. Infatti questa mattina Papa Leone XIV, presso la Sala Clementina in
Vaticano, ha incontrato tanti rappresentanti del mondo del Cinema. “Il cinema è
un’arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta, anche se ormai centenaria.
Proprio in questi giorni compie centotrent’anni, a far conto da quella prima
proiezione pubblica, realizzata dai fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 a
Parigi. Inizialmente, il cinema appariva come un gioco di luci e di ombre, per
divertire e impressionare. Ma ben presto, quegli effetti visivi hanno saputo
manifestare realtà ben più profonde, fino a diventare espressione della volontà
di contemplare e di comprendere la vita, di raccontarne la grandezza e la
fragilità, d’interpretarne la nostalgia d’infinito”, dice subito il Pontefice
ai tanti presenti.
Per citarne alcuni presenti in Vaticano: Monica Bellucci,
Wang Bing, Kate Blanchett, Stéphane Brizé, Sergio Castellitto, Liliana Cavani,
Maria Grazia Cucinotta, Abel Ferrara, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo,
Matteo Garrone. “Con gioia vi saluto, cari amici e amiche, e saluto con
gratitudine quello che il cinema rappresenta: un’arte popolare nel senso più
nobile, che nasce per tutti e parla a tutti”, commenta il Pontefice.
“È bello riconoscere che, quando la lanterna magica del
cinema si accende nel buio, s’infiamma in simultanea lo sguardo dell’anima,
perché il cinema sa associare quello che sembra essere soltanto intrattenimento
con la narrazione dell’avventura spirituale dell’essere umano”, continua Papa
Leone XIV.
In vista dell'incontro di oggi, nei giorni scorsi il Papa
ha fatto sapere in un videomessaggio quali sono i suoi film preferiti: “La vita
è meravigliosa” (1946) di Frank Capra; “Tutti insieme appassionatamente” (1965)
di Robert Wise; “Gente Comune” (1980) di Robert Redford; “La vita è bella”
(1997) di Roberto Benigni.
“Uno dei contributi più preziosi del cinema è
precisamente quello di aiutare lo spettatore a tornare in sé stesso, a guardare
con occhi nuovi la complessità della propria esperienza, a rivedere il mondo
come se fosse la prima volta e a riscoprire, in questo esercizio, una porzione
di quella speranza senza la quale la nostra esistenza non è piena. Mi conforta
pensare che il cinema non è soltanto moving pictures: è mettere in movimento la
speranza!”, continua il Papa nel suo discorso in Clementina.
“Con le vostre opere, voi dialogate con chi cerca
leggerezza, ma anche con chi porta dentro il cuore un’inquietudine, una domanda
di senso, di giustizia, di bellezza. Oggi, viviamo con gli schermi digitali
sempre accesi. Il flusso delle informazioni è costante. Ma il cinema è molto
più di un semplice schermo: è un crocevia di desideri, memorie e
interrogazioni. È una ricerca sensibile dove la luce perfora il buio e la
parola incontra il silenzio. Nella trama che si dispiega, lo sguardo si educa,
l’immaginazione si dilata e perfino il dolore può trovare un senso. Strutture
culturali come i cinema e i teatri sono dei cuori pulsanti dei nostri
territori, perché contribuiscono alla loro umanizzazione. Se una città è viva è
anche grazie ai suoi spazi culturali: dobbiamo abitarli, costruirci relazioni,
giorno dopo giorno”, ne è convinto il Papa.
“L’arte del cinema e l’esperienza cinematografica sono in
pericolo. Invito le istituzioni a non rassegnarsi e a cooperare per affermare
il valore sociale e culturale di questa attività”, dopo queste parole è partito
un applauso per il Papa da parte dei presenti.
“La nostra epoca ha bisogno di testimoni di speranza, di
bellezza, di verità: voi con il vostro lavoro artistico potete esserlo.
Recuperare l’autenticità dell’immagine per salvaguardare e promuovere la
dignità umana è nel potere del buon cinema e di chi ne è autore e protagonista.
Non abbiate paura del confronto con la ferite del mondo. La violenza, la
povertà, l’esilio, la solitudine, le dipendenze, le guerre dimenticate sono
ferite che chiedono di essere viste e raccontate. Il grande cinema non sfrutta
il dolore: lo accompagna, lo indaga. Questo hanno fatto tutti i grandi
registi”, continua il Papa.
“Per concludere, la realizzazione di un film è un atto
comunitario, un’opera corale in cui nessuno basta a sé stesso. In un’epoca di
personalismi esasperati e contrapposti, ci mostrate come per fare un buon film
è necessario impegnare i propri talenti. Ma ciascuno può far brillare il suo
particolare carisma grazie ai doni e alle qualità di chi lavora accanto, in un
clima collaborativo e fraterno. Che il vostro cinema resti sempre un luogo
d’incontro, una casa per chi cerca senso, un linguaggio di pace”, conclude Papa
Leone XIV.
L’incontro è promosso dal Dicastero per la Cultura e
l’Educazione in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione ed i
Musei Vaticani, sulla scia degli incontri di Papa Francesco con i
rappresentanti delle arti figurative, nel giugno 2023, dell’umorismo, nel giugno
2024 ed in continuità con il recente Giubileo degli Artisti e del Mondo della
Cultura, celebrato nel febbraio scorso. Aci 15
Le
chiese in Germania si illuminano di rosso per i cristiani perseguitati
Mercoledì 19 novembre iniziative in tutto il mondo in
nome della libertà di religione - Di Giacomo König
Francoforte. La Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa
che Sofffre (ACS) li chiama “segni contro la persecuzione dei Cristiani”.
Mercoledì 19 novembre le facciate esterne o le navate interne delle chiese di
tutto il mondo si illumineranno di rosso come segno di solidarietà verso tutti
quei cristiani che nei loro paesi non sono liberi di professare la propria
fede, poiché vengono perseguitati o discriminati. Sarà il Mercoledì Rosso, il
Red Wednesday, ma in realtà eventi e iniziative di sensibilizzazione si svolgeranno
lungo tutto l’arco della settimana (Red Week).
«Centinaia di milioni di cristiani in tutto il mondo
vivono in un contesto in cui sono violentmente perseguitati, discriminati od
ostacolati nel praticare liberamente la loro fede», spiega Florian Ripka,
direttore della sezione tedesca di ACS, illustrando il contesto dell'iniziativa
internazionale Red Wednesday.
Intenso in Germania è il calendario degli appuntamenti
organizzato da ACS in occasione della “Settimana Rossa”. Sabato 15 novembre
incontro nel monastero di Waghäusel, dove si svolgeranno conferenze e colloqui
con padre Hermann-Josef Hubka, assistente spirituale di ACS di Germania e il
direttore Florian Ripka. Alle ore 18:30 verrà celebrata una Santa Messa nella
chiesa del monastero per le intenzioni dei cristiani perseguitati.
Lunedì, 17 novembre, gli amici e i sostenitori di ACS
Germania vivranno una serata di preghiera a Berlino con il vescovo di Makurdi,
monsignor Wilfred Chikpa Anagbe che riferirà sulla persecuzione dei cristiani
nella sua Diocesi in Nigeria e il direttore Florian Ripka. A seguire recita del
Rosario, presentazione dell'iniziativa “Red Wednesday”, l’ascolto di una
testimonianza, Santa Messa e adorazione eucaristica nella chiesa di San
Clemente a Berlino.
Martedì 18 novembre celebrazione della Santa Messa e
“Serata dei testimoni” nella chiesa parrocchiale di Sant'Antonio a
Balderschwang. La Messa sarà celebrata da padre Richard Kocher. I fedeli
partecipanti potranno ascoltare la testimonianza del vescovo di Makurdi, in
Nigeria, monsignor Wilfred Chikpa Anagbe.
Mercoledì 19 novembre la cattedrale di Ratisbona sarà
illuminata di rosso. Per l’occasione l'Università di musica sacra cattolica e
pedagogia musicale ha organizzato la recita della preghiera del Rosario per le
intenzioni dei cristiani perseguitati in tutto il mondo. A seguire, Messa
pontificale con il vescovo ausiliare, monsignor Josef Graf.
Giovedì 20 novembre a Düsseldorf, in programma una serata
ecumenica dei testimoni con l'arcivescovo di Colonia, il cardinale Rainer Maria
Woelki, e il vescovo Wilfred Chikpa Anagbe nella basilica di St. Suitbertus.
L’evento sarà trasmisso in diretta dall'emittente televisiva EWTN
(www.ewtn.de).
Domenica 23 novembre verrà celebrata una Santa Messa
nella Cattedrale di Paderborn. A seguire, l’incontro con il vescovo ausiliare
monsignor Matthias König nel Forum St. Liborius.
L’azione Mercoledì Rosso inizia nel 2015, quando per la
prima volta, con un’iniziativa di questo tipo, Aiuto alla Chiesa che Soffre
chiede l’attenzione della comunità internazionale e dei media sulle condizioni
dei cristiani nel mondo, svantaggiati o discriminati a motivo della loro fede,
se non addirittura perseguitati. Negli anni scorsi l’iniziativa è diventata un
segno del diritto umano fondamentale a professare la propria fede. Tra gli
edifici che negli ultimi anni sono stati illuminati di rosso figurano il
Colosseo e la Fontana di Trevi a Roma, la statua del Cristo Redentore a Rio de
Janeiro, il Palazzo del Parlamento austriaco e, in Germania, le cattedrali di
Augusta, Dresda, Friburgo in Brisgovia, Fulda, Paderborn, Passau e Ratisbona.
Il Mercoledì Rosso affronta anche temi specifici
all’interno del più vasto dramma della persecuzione o discriminazione dei
cristiani. Per esempio nel 2021, la Settimana Rossa (Red Week) si è occupata
delle violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze cristiane e di altre
minoranze religiose. ACS ha lanciato una petizione chiedendo all’ONU e alle
autorità britanniche di adottare misure più efficaci per affrontare la piaga
della violenza sessuale ai danni delle donne. Nel 2022, più di 600 edifici in
almeno 17 Paesi hanno partecipato all’iniziativa.
Aci 14
Mons.
Crociata: “Europa sotto assedio, il possibile contributo dei cristiani”
La crisi dell’Europa? Pressioni esterne, incompiutezza e
precarietà del disegno istituzionale. Mons. Mariano Crociata, presidente della
Comece, torna sui temi affrontati al recente convegno di Camaldoli
“Cristianesimo coscienza dell’Europa”. Il vescovo segnala il possibile
contributo della Chiesa e sottolinea il ruolo della presenza ecclesiale a
Bruxelles – di Gianni Borsa
Un contesto internazionale gravido di drammi e di sfide,
una situazione interna segnata da divisioni fra gli Stati e da populismi: si
parla spesso di “crisi dell’Europa”. Diverse chiavi di lettura per una
comprensione di tali problemi sono giunte dal convegno “Cristianesimo coscienza
dell’Europa”, tenutosi al monastero di Camaldoli dal 6 al 9 novembre,
organizzato dalla rivista “Il Regno”, dalla Comunità monastica e dalla
Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea. Al convegno ha
partecipato, e portato il suo contributo, mons. Mariano Crociata, vescovi di
Latina e presidente della Comece.
Più volte al convegno di Camaldoli, è tornato il tema
della “crisi dell’Europa”. Quali sono, a suo avviso, i caratteri principali di
questa crisi? Quali i punti deboli sul piano culturale e sociale?
La crisi è innanzitutto determinata dal mutato scenario
internazionale: prima l’esplosione della guerra in Russia, poi il cambiamento
dell’amministrazione statunitense e l’emergere di potenze globali con disegni
egemonici che cancellano ogni forma di multilateralismo e comprimono
l’autonomia e la libertà dei Paesi più deboli. Tutto questo pone la stessa
Unione europea in una condizione di debolezza e di marginalità nelle dinamiche
internazionali regolate dai rapporti di forza tra le grandi potenze. Ma ci sono
aspetti interni di una crisi che sono riconducibili a due fattori.
Quali sono?
L’incompiutezza e la precarietà del disegno
istituzionale, strutturalmente legato al consenso tra gli Stati membri, e i
mutamenti culturali e sociali intervenuti da anni con il sorgere di populismi e
nazionalismi che portano alcuni Paesi a porsi esplicitamente contro l’Unione
europea e comunque producono in tutti lacerazioni e contrapposizioni che danno
alle stesse politiche nazionali interne ed europee una nota di incertezza e di
indecisione.
Si insiste spesso sulla irrilevanza politica e
diplomatica dell’Europa – in questo caso s’intende l’Unione europea – negli
scenari globali. Concorda con questa tesi? Di quali eventuali riforme
necessiterebbe l’Ue per uscire dall’impasse?
Che la posizione geopolitica dell’Unione europea sia di
estrema debolezza sul piano politico è sotto gli occhi di tutti. Sono
evidentemente vari i fattori, ma non manca chi vede delle possibilità di
iniziativa che andrebbero valorizzate meglio anche sul piano diplomatico e nei
rapporti internazionali. È vero però che qualsiasi iniziativa è condizionata
dalle vistose divisioni interne tra i Paesi membri che in alcuni casi
letteralmente paralizzano ogni iniziativa. Per un verso c’è bisogno di far
progredire l’evoluzione dell’Ue nella direzione di una più compiuta
democraticità istituzionale, per altro verso bisognerebbe trovare nuove forme
nei processi decisionali che consentano all’Ue di essere tempestiva e incisiva
in alcuni passaggi politici e diplomatici che, come abbiamo vista in vari casi,
la vedono rimanere assente e marginale.
Tornando alla crisi del vecchio continente, di quale
cristianesimo avrebbe bisogno oggi l’Europa?
Il cristianesimo in Europa, nonostante tutte le
difficoltà segnalate ormai da anni, mantiene una sua vitalità, tuttavia le
carenze in ottica sociale e politica, e non ultimo in riferimento all’Europa,
sono vistose. Questo evidenzia una difficoltà della pastorale ecclesiale di
passare da una pratica e da una impostazione rivolta alla spiritualità
individuale e alla devozione a una che la riequilibri con un’attenzione alle
implicazioni morali, sociali e politiche dello stare da credenti in questo
mondo e in questa nostra società. Poi vanno considerati gli aspetti
istituzionali della presenza sociale della Chiesa, ma in primo luogo viene la
coscienza dei singoli e delle comunità in riferimento al cammino umano comune.
Chiese in Europa. Alla Comece, che ha sede a Bruxelles,
confluiscono i vescovi delegati delle Conferenze episcopali dei Paesi Ue. Quale
il possibile contributo sulla via del rilancio di un’Europa di pace, della
democrazia, dei diritti, attenta agli ultimi e aperta al mondo?
La Comece è una delle espressioni dell’iniziativa
istituzionale della Chiesa in riferimento all’Europa e in particolare
all’Unione europea. Il contributo che possiamo dare è quello definito dal suo
Statuto, e cioè di accompagnare il processo politico dell’Unione europea nelle
aree di interesse per gli episcopati, monitorare le attività dell’Unione e
informarne gli episcopati, comunicare alle istituzioni e autorità europee le
opinioni e le visioni degli episcopati relativi all’integrazione europea. Tutto
questo naturalmente in costante coordinamento e collaborazione con la Santa
Sede, direttamente o attraverso il Nunzio presso l’Unione europea. Studi,
documenti, lettere, appelli, incontri ufficiali e contatti personali, eventi
culturali e quant’altro sono i mezzi di cui ci serviamo. Gli effetti non sono
sempre visibili, ma i segni del significato della nostra presenza sono
ampiamente riconosciuti. E tuttavia anche questa azione presuppone una vitalità
della coscienza ecclesiale che rimane il compito di base e il presupposto di
ogni servizio ecclesiale in ambito sociale e istituzionale pubblico, nazionale
o europeo che sia. Sir 14
Cop30:
le Chiese dei cinque continenti chiedono giustizia climatica
Alla Cop30 di Belém, voci dalle Chiese di tutto il mondo,
insieme a scienziati e leader indigeni, denunciano sfruttamento ambientale ed
estrattivismo e propongono un modello di ecologia integrale. Dal Sud globale
all’Oceania, dall’Europa all’Amazzonia, cresce l’appello a politiche climatiche
più giuste, efficaci e rispettose delle comunità locali – di Bruno Desidera
La voce delle Chiese di tutti i continenti risuona alla
Cop 30 di Belém. Si è tenuto ieri, nel collegio di Santa Caterina da Siena, un
simposio con i rappresentanti ecclesiastici dei cinque continenti, scienziati,
leader indigeni e attori sociali, che hanno tracciato i contorni di una nuova
“giustizia climatica”, attuabile senza scorciatoie o “false soluzioni”, nella
prospettiva dell’ecologia integrale. Una proposta non isolata, sia perché il
simposio ha ripreso il documento elaborato dalle Chiese del “sud globale”,
presentato lo scorso luglio dagli episcopati di America Latina e Caraibi, Asia
e Africa, sia perché, in questi giorni, la Chiesa, in dialogo con i
rappresentanti delle altre religioni e con gli organismi delle popolazioni
indigene, sta promuovendo numerosi eventi e dibattiti nei quattro “poli” della
città allestiti dall’arcidiocesi di Belém. Il simposio “La Chiesa cattolica
alla Cop 30: percorsi verso l’ecologia integrale – Riflessioni sulla giustizia
climatica e la conversione ecologica” ha riunito voci che hanno chiesto misure
politiche chiare, un’attenzione scientifica rigorosa e il protagonismo delle
comunità locali. Già nelle parole di benvenuto di dom Júlio Endi Akamine,
arcivescovo metropolita di Belém do Pará, e del nunzio apostolico in Brasile,
mons. Giambattista Diquattro, è arrivato il messaggio che la Conferenza sui
cambiamenti climatici, in corso in questi giorni, è “un invito alla
conversione”, ad ascoltare “il grido della terra e il grido dei poveri”.
Le voci del Sud del mondo
“Dobbiamo mettere la cura della vita al centro delle
nostre decisioni. Non possiamo scendere a compromessi con quella che viene
definita la cultura della morte. Siamo tutti chiamati a essere semi di
speranza, per un futuro nuovo”, ha affermato il card. Jaime Spengler,
arcivescovo di Porto Alegre, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi
del Brasile (Cnbb) e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano e
caraibico (Celam). “Se si vuole veramente promuovere la comprensione tra i
popoli e si desidera la pace, è necessario prendersi cura della terra, del
creato ed educare a questo”, ha aggiunto, citando Papa Leone XIV. Il card.
Filipe Neri António Sebastião do Rosário Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão
(India) e presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia
(Fabc), ha presentato la dichiarazione congiunta delle Chiese del Sud del mondo
come “un quadro etico e spirituale per la crisi climatica”. Dall’Asia si è
insistito sul fatto che fenomeni come l’innalzamento del livello del mare, la
scomparsa dei ghiacciai e l’aumento delle ondate di calore rendono milioni di
persone vittime dirette di ingiustizie climatiche che richiedono una risposta
urgente. Sulla stessa linea, il card. Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa
(Repubblica democratica del Congo) e presidente del Simposio delle Conferenze
episcopali dell’Africa e del Madagascar (Secam), ha denunciato: “L’Africa non è
una miniera d’oro da saccheggiare”, avvertendo che l’attuale modello economico,
basato sull’estrazione e l’appropriazione di minerali strategici, aggrava la
povertà, genera conflitti e spinge i giovani alla migrazione forzata. Gli
interventi del Sud del mondo hanno concordato sulla necessità di un cambiamento
di sistema che metta al centro l’essere umano e il bene comune.
Le sfide dell’Oceania, dell’Europa e dell’Amazzonia
Isole che “stanno affondando” e comunità che perdono il
loro modo di vivere: è questa l’allarmante realtà delle isole del Pacifico,
appartenenti prevalentemente all’Oceania. Lo ha denunciato mons. Ryan Jiménez,
arcivescovo di Hag?tña (isola di Guam) e presidente della Conferenza dei
vescovi del Pacifico, oltre che vicepresidente della Federazione delle
conferenze dei vescovi dell’Oceania. “Stiamo affondando”, il grido di allarme,
di fronte all’insufficienza delle risposte internazionali. Il card. Ladislav Nemet,
arcivescovo di Belgrado e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze
episcopali d’Europa (Ccee), ha affermato che il continente “affronta anche
sfide ecologiche e sociali” aggravate dalla guerra in Ucraina, che “ha
provocato un aumento assurdo del costo dell’energia e una crescita della
povertà”. Nella successiva conferenza stampa, tenuta congiuntamente dal card.
Spengler e dal card. Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus e presidente della
regione Nord 1 della Cnbb, corrispondente alla maggior parte del territorio
amazzonico, si è fatto riferimento alla drammatica situazione che si vive in
un’Amazzonia continuamente depredata: “È un momento cruciale per la storia del
Brasile e dell’Amazzonia. La terra sta morendo dissanguata”. “La Chiesa non rimarrà
in silenzio”, ha aggiunto il card. Steiner, in riferimento ai ripetuti progetti
di legge per rendere l’enorme foresta sempre più sfruttabile dal punto di vista
economico. Sir 13
Chiesa
cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno.
On air su TV, radio, web, social e stampa, la nuova
campagna della CEI racconta la presenza quotidiana di una Chiesa che
accompagna, sostiene e condivide la vita delle persone.
Che importanza dai a chi fa sentire gli anziani meno
soli? A chi aiuta i ragazzi a prepararsi al futuro? A chi ti aiuta a pregare?
Sono alcune delle domande al centro della nuova campagna istituzionale della
Conferenza Episcopale Italiana: un racconto corale che mostra come la Chiesa
abiti le storie di ogni giorno, con gesti di vicinanza, mani che si tendono,
parole che consolano, segni che trasformano la fatica in speranza.
La campagna, dal claim incisivo “Chiesa cattolica. Nelle
nostre vite, ogni giorno” intende mostrare i mille volti della “Chiesa in
uscita”, una comunità che si fa prossima ai più fragili e accompagna famiglie,
giovani e anziani con azioni concrete. Dai percorsi formativi rivolti ai
ragazzi, per imparare a usare
intelligenza artificiale e nuove tecnologie,
alle attività ricreative per gli anziani che spesso devono affrontare una
vita in solitudine, dal sostegno alle persone lasciate sole, restituendo loro dignità
e speranza, ai cammini di fede per aiutare ogni individuo a incontrare Dio
nella vita quotidiana.
“Nell’Italia di oggi, senza la presenza viva della
Chiesa, con la sua rete di solidarietà, - spiega il responsabile del
Servizio per la promozione del sostegno economico alla
Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni -
grazie all’impegno instancabile di migliaia di sacerdoti e volontari,
mancherebbe un punto di riferimento essenziale. Attraverso questa campagna
desideriamo rendere visibile quanto questa presenza sia concreta e incisiva
nella quotidianità di tante persone”.
Ideata e prodotta da Casta Diva Group la campagna della
Conferenza Episcopale Italiana è on air dal 30 novembre fino al 31 dicembre
2025. Gli spot, da 15” e da 30”, raccontano una Chiesa vicina, ogni giorno,
attraverso cinque esempi concreti: l’attenzione agli anziani, che diventa
cura per chi affronta la solitudine;
l’impegno verso le nuove generazioni, che si traduce in percorsi formativi per
l’utilizzo delle nuove tecnologie; il dono delle seconde possibilità, che si
concretizza in una mano tesa a chi si sente escluso o emarginato; la forza
della preghiera, che illumina il cammino di chi è in ricerca; la salvaguardia
del creato, che passa anche dall’esplorazione scientifica per scoprire la
bellezza nascosta nel mondo. Un invito a riconoscere nella vita di tutti i
giorni il volto di una Chiesa che c’è, serve e ascolta, testimoniando la
concretezza del Vangelo vissuto.
Non solo tv, ma anche radio, digital e carta stampata,
con uscite pianificate su testate cattoliche e generaliste, pensate per
invitare a riflettere sui valori dell’ascolto, della vicinanza e della
fraternità. Perché “la Chiesa cattolica è casa, è famiglia, è comunità di fede.
Per te, con te”.
Per maggiori informazioni: www.8xmille.it,
www.unitineldono.it
de.it.press 13
Comunicato
della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Tedesca
I Rappresentanti della Curia romana e della Conferenza
Episcopale Tedesca (CET) si sono riuniti nuovamente oggi (12 novembre 2025) per
proseguire il dialogo concordato durante la visita ad limina dei vescovi
tedeschi nel novembre 2022. I precedenti incontri si erano svolti il 26 luglio
2023, il 22 marzo 2024 e il 28 giugno 2024.
Il dialogo è stato ancora una volta caratterizzato da
un’atmosfera sincera, aperta e costruttiva. Sono stati esaminati vari punti del
futuro statuto di un organismo sinodale della Chiesa in Germania (denominato
“Conferenza sinodale”) quali la sua natura, la composizione e le competenze.
Per la Curia Romana erano presenti i Cardinali Victor
Fernández, Kurt Koch, Pietro Parolin e Arthur Roche e l’Arcivescovo Filippo
Iannone O.Carm. Per la CET sono intervenuti i Vescovi Stephan Ackermann, Georg
Bätzing, Bertram Meier, Franz-Josef Overbeck, nonché la Segretaria Generale,
dott.ssa Beate Gilles, e il Portavoce della CET, Dott. Matthias Kopp. S. E.
Mons. Stefan Oster SDB era presente in qualità di ospite. Dbk 12
Padre
Roggio: Bisogna partire dalla Parola di Dio per "definire" Maria
Un approfondimento sul recente documento del Dicastero
della Dottrina della Fede. L'intervista a padre Gian Matteo Roggio della
Pontificia Accademia Mariana - Di Antonio Tarallo
Roma. Per poter comprendere meglio e per poter
approfondire il recente documento del Dicastero della Dottrina della
Fede, "Mater populi fidelis", proponiamo un'intervista a
padre Gian Matteo Roggio, Missionario di Nostra Signora de La Salette,
direttore del dipartimento della Pontificia Accademia Mariana Internazionale
che ha nome “Liberare Maria dalle mafie”. Roggio, inoltre, è docente di telogia
presso l'Università cattolica del Sacro Cuore, mariologo, e autore di diversi
volumi telogici sulla figura della Vergine Maria.
Padre Roggio, può spiegarci in poche parole ciò che
questo documento dice al popolo di Dio?
Prima di tutto, questo documento vuole attestare, come
dice il Cardinale Prefetto nella presentazione del Documento, una certa
preoccupazione degli ultimi papi. Preoccupazione per che cosa? Preoccupazione
per una esperienza mariana - e nella parola esperienza mariana noi mettiamo sia
la teologia che tutta la questione del culto, quindi la venerazione alla
Vergine Maria - affinché sia ??esente da alcuni rischi, esente da alcuni
eccessi. Il Documento nasce da questa preoccupazione dei papi e vuole quindi indicare
quella che attualmente sembra essere la direzione presa, diciamo, in maniera
indiretta dai papi stessi, attraverso il Dicastero per la fede, in modo tale
che l'esperienza mariana, teologia e devozione mariana, possono andare su un
binario corretto che non abbia estremismi.
Leggendo il documento si fa riferimento più volte alla
Sacra Scrittura e all'insegnamento della Chiesa. E allora la domanda è questa:
il documento, alla fine, in estrema sintesi, sembra attestare ciò che la Chiesa
già aveva in una certa maniera espresso. Giusto?
Sì, ha ragione. In effetti, il documento non dice nulla
di nuovo da questo punto di vista, perché si limita semplicemente a dire che,
tenuta presente la dottrina tradizionale della Chiesa (quindi tenuta presente
la dottrina di sempre, vale a dire quella dottrina che si fonda sulla parola di
Dio), se noi vogliamo accogliere Maria nella vita della Chiesa, la dobbiamo
accogliere in modo tale che questa dottrina non venga mai alterata, o
quantomeno la dobbiamo accogliere in modo tale che questa dottrina non venga
mai messa in una situazione di non chiarezza. Preciso: non è solo questione di
alterazione, è anche questione di non chiarezza, il non capire.
Veniamo alla questione “calda”. Anzi, alle “questioni
calde”. Perché non possiamo dire che Maria è Corredentrice? Perché non possiamo
dire che Maria è “Mediatrice di tutte le grazie”?
Non possiamo dire “Maria Corredentrice” perché quel
“Corredentrice” sembra mettere Maria allo stesso livello di Cristo: e questo è
impossibile, Maria non è una salvatrice, Maria è una salvata come noi. Nello
stesso tempo, dire “Mediatrice di tutte le grazie” significa dire che ci
sarebbe un obbligo da parte di Dio di passare attraverso Maria ogni volta che
si deve realizzare l'opera della salvezza. Noi sappiamo che Dio realizza
l'opera della salvezza per le vie che lui conosce, non ha obblighi verso nessuno,
non ha obblighi verso le creature, Dio non ha obblighi. Invece, voler obbligare
Dio a passare per una creatura umana, questo sembra un pochino strano. Se
volessimo parlare di “obbligo” (termine che non è il più appropriato, sia
chiaro, ma che spero possa rendere l’idea) di Dio nei nostri confronti, questo
obbligo è l'umanità di Gesù. Dio non si allontanerà mai dall'umanità di Gesù
nel rivolgersi a noi: Dio si rivolge a noi nel suo Figlio e nel suo Figlio
incarnato. Questo obbligo non può essere esteso ad altre creature, ad altre
realtà. Maria entra certamente in questo mistero del Figlio e del Figlio
incarnato, ma come “conseguenza”, non come “causa”. Maria diventa Madre del
Figlio di Dio incarnato in conseguenza della volontà del Figlio, del suo sì al
Padre che lo vuole salvatore universale.
Eppure, durante la recita della preghiera mariana per
eccellenza, il Santo Rosario, nelle litanie lauretane, noi diamo alcuni titoli
alla Vergine Maria ben precisi. Quei titoli, allora, un senso lo hanno o no?
Facendo l'esempio del Rosario, chiaramente questi titoli
“Maria Corredentrice” e “Mediatrice di tutte le grazie” non potranno mai
entrare nelle litanie del Rosario. Questo documento segna una specie di
spartiacque: lo spartiacque tra il passato e, potremmo dire, il futuro. Noi non
dobbiamo cancellare i titoli del passato, sia ben inteso, ma la Nota chiede che
per il futuro tali titoli non siano utilizzati oggi. Chiede di usare oggi altre
formulazioni. Quindi, ciò vuol dire che noi non dobbiamo cancellare il passato,
ma dobbiamo trovare adesso altre formulazioni, e soprattutto, siccome noi il
passato non lo cancelliamo, dobbiamo fare in modo che il passato sia ben
capito. E allora forse proprio per questo servono le nuove formulazioni.
Visto che il documento ha creato un po’ di fibrillazioni
all’interno della Chiesa. Un po’ di divisioni, o comunque di punti di vista che
si sono avvicendati e addirittura scontrati, pensa che sarebbe utile - in una
certa misura - sentire “la base” (mi sia permesso il termine) della
Chiesa?
“Sentire la base”, direi di no, perché per la teologia e
la dottrina è un concetto equivoco: sentire la base equivale nel nostro
linguaggio quotidiano a fare i sondaggi e quindi a vedere dove si posiziona la
maggioranza. Questo nella Chiesa non avviene: quando la Chiesa pensa alla sua
fede e alle realtà di fede, non segue un criterio di maggioranza così come le
scienze sociali di oggi ce lo descrivono. Quindi dire che il papa potrebbe
sentire la base è equivoco.
Sembra invece più corretto dire che il papa vuole sentire
l'esperienza mariana dei fedeli così come i fedeli la vivono. E questo il
pontefice lo sente attraverso quello che i fedeli fanno. I fedeli fanno sentire
la loro esperienza mariana recandosi nella parrocchia per partecipare alle
celebrazioni liturgiche e ai sacramenti, vivendo la fede cristiana in maniera
autentica, vivendo la fede cristiana come servizio ai poveri, vivendo la fede
cristiana come esercizio delle opere di misericordia, sia corporali che
intellettuali. I cristiani vivono la loro esperienza mariana recandosi in
pellegrinaggio ai santuari mariani. I cristiani, poi, vivono la loro esperienza
mariana quando nella preghiera a Dio, si rivolgono anche alla Vergine Maria
perché sostenga quello che Dio vuole darci. E perché ci insegni a chiedere a
Dio secondo il suo progetto di salvezza (“sia fatta la tua volontà”),
sostenendo con il suo materno esempio di fedele discepola la nostra volontà:
infatti, si parla di “collaborazione” nel documento, di “collaborazione
partecipata”.
Ma questa esperienza mariana da dove parte?
Parte prima di tutto da quella che è la Scrittura, cioè
parte dalla Parola di Dio. Non parte dai titoli mariani che noi utilizziamo,
anche se sono quelli i primi che arrivano alla mente, al cuore, alla
conoscenza. Però poi dopo dietro quei titoli mariani che cosa c'è? Dietro quei
titoli mariani o ci dovrebbe essere - quando sono titoli mariani belli, pieni,
corretti - la Parola di Dio. Basterebbe pansare al titolo “Madre di Dio”,
Theotokos: dietro questo titolo c’è tutto il mistero dell’Incarnazione. Onestamente,
in questo momento tale ritorno alla Parola di Dio come sorgente dell’esperienza
mariana mi sembra più che opportuno. Mi sembra che il vero tema reale di oggi
nell'esperienza mariana non sia il fatto che ella collabori all'opera della
salvezza, perché è un dato scontato, pacifico: è la Parola di Dio ad
attestarcelo. Quello che veramente dovrebbe risvegliare un po' la coscienza dei
fedeli è il modo con cui Maria ha servito la Persona e l’opera del suo Figlio:
la sua testimonianza di credente.
A quali aspetti si riferisce?
Chi, per esempio, oggi parla più della verginità di
Maria? Quanti sono quelli che veramente ritengono che Maria abbia concepito
verginalmente? Quanti sono i credenti che realmente pensano che all'origine di
Gesù ci sia un concepimento verginale? Quanti credenti oggi pensano che il
fatto che Maria sia rimasta vergine per tutta la vita in fondo non significa
assolutamente niente? Eppure tale verginità è il segno della sua fede e della
sua testimonianza relative al Figlio di Dio. L'intento del mio discorso è questo:
dobbiamo tornare a una pietà mariana imbevuta della Parola di Dio! E in tale
Parola ritrovare lo spessore unico, umano e teologale, di questa donna che è il
modello della Chiesa e in cui la Chiesa legge la sua vocazione a servizio
dell’Incarnazione che salva. Nessun cristiano esclude la cooperazione di Maria,
che è un dato di fatto. Chiediamoci allora come ella ha servito e continua a
servire dal Cielo il mistero del suo Figlio: vero Dio e vero uomo.
Quindi, in una certa maniera, sarebbe anche auspicabile
un documento successivo alla Nota che possa rispondere alla domanda: chi è
Maria? Che magari possa parlare di questi temi che lei ha elencato?
No, non ne abbiamo bisogno. Il Concilio Vaticano II con
il capitolo VIII della Lumen gentium, san Paolo VI con le esortazioni
apostoliche Signum magnum e Marialis cultus, san Giovanni Paolo II con
l'enciclica Redemptoris Mater , Papa Benedetto e Papa Francesco con le loro
omelie, le loro catechesi, i loro messaggi e discorsi, ci hanno lasciato un
patrimonio inestimabile. È piuttosto una questione di prendere coscienza di
tutto questo, di farlo conoscere, di rendere accessibile a tutti i cristiani e
non solo ad alcuni. E di unire questa coscienza/consapevolezza alla preghiera.
Nel caso della verginità come caratteristica fondamentale della testimonianza
che Maria rende al mistero del suo Figlio, la ricordiamo sempre nel Credo (“per
noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito
Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”) e
nell'Ave Maria con il titolo Madre di Dio (“Santa Maria, Madre di Dio”). La
testimonianza di Maria come Madre Vergine è sconvolgente, perché questa donna
ci dice che è avvenuto l'impossibile. E che solo Dio ha potuto agire in questo
modo. Un Dio che realizza l'impossibile non imponendo, ma chiedendo : vuoi
collaborare con me a quest'opera? E lei ha detto sì. Ha detto “fiat”. Ha accolto
nel grembo Gesù, il Salvatore. L'unico Salvatore! E Maria è lì per farti
parlare non di lei, ma per farti parlare di lui. Aci 13
La
Comunità Cattolica di Kempten ricorda i suoi morti
Kempten. Sabato, 8 novembre, nella chiesta di St. Anton, di
Kempten, durante la S. Messa prefestiva delle ore 17:00, celebrata da Padre
Bruno Zuchowski, Rettore delle Missioni di Kempten e Augsburg, oltre alle
letture e al brano evangelico della domenica, sono stati ricordati i Defunti
della nostra Comunità, in particolar modo il compianto Signor Alfio Gennaro,
passato a miglior vita qualche giorno prima.
Nella sua Omelia Padre Bruno, dopo aver ricordato che
domenica, 9 Novembre, la Chiesa avrebbe celebrato la Dedicazione alla Basilica
di S. Giovanni in Laterano: "La Madre di tutte le Chiese" (edificata
nel IV secolo d.C.), è passato al commento del brano evangelico in cui
Gesù scacciò dal tempio i venditori e i cambiavalute.
Io –a quel punto– non ho potuto non ricordare ciò che
scrissi tanti anni fa nel preambolo della nella mia Tesi di Laurea Magistrale
redatta in tedesco sul ruolo giocato dalla religione nell'opera e nella vita
dello scrittore tedesco del secondo dopoguerra del secolo scorso, il cattolico
"protestante" Heinrich Böll: „Er machte eine Geißel aus Stricken
und trieb sie alle aus dem Tempel hinaus,
dazu die Schafe und die Rinder; das Geld den
Wechsler schüttete er aus, und ihre Tische stieß
er um“. (Johannes, II., 15.). "Allora egli fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, (Giovanni 2, II,15).
Il Celebrante –come sempre in questi casi– non ha mancato
di fare azzeccati paralleli con alcune deplorevoli prassi nella nostra odierna
società: mercimonio, ecc... anche, ahimé, in luoghi di culto!
Alla fine del sacro Rito sono stati dati anche alcuni
avvisi sulle prossime attività della Missione da parte della Segretaria,
Signora Giuseppina Baiano. Tra i quali: la data e il luogo del Funerale di
Gennaro e le date: dello spettacolo del Gruppo Teatrale Gli Amici di Eva, e
della Cena Comunitaria Natalizia del prossimo Dicembre. I canti – come di
consueto– sono stati diretti e accompagnati alla chitarra dal Presidente del
Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, coadiuvato dalla Signora Gisella
e dal figlio Ruben. Molto suggestivo il momento della recita del Padre Nostro
con il Celebrante che si teneva per mano con le chierichette.
Subito dopo la S. Messa Padre Bruno, i Coniugi Ursula e
il Comm. Carmine Macaluso (Presidente delle ACLI Baviera), Silvana e il
Comm. Antonino Tortorici (Corrispondente Consolare per Memmingen e
dintorni) e il Collega Dr. Fernando A. Grasso e la cara Amica Maria
Mangano, dopo essersi recati al cimitero per recitare una preghiera davanti
alle tombe del Cav. Corrado Mangano, della Signora Enza Grasso e del Signor
Salvatore Zammataro (cognato dei Coniugi Grasso), hanno terminato serenamente
la serata nel noto ristorante La Bruschetta, insieme ai componenti del Gruppo
Teatrale di cui sopra.
Veramente una piacevolissima serata offerta da Macaluso
come ringraziamento agli "Amici di Eva" per lo spettacolo
recentemente dato in occasione delle celebrazioni a Kaufbeuren per ricordare il
70° dei Patti Bilatrali tra Germania e Italia per il reclutamento di
manodopera. Piacevolissimo incontro conviviale in cui –tra le decine di altri
avventori– il nostro gruppo, –nella maggior parte dei casi– ha gustato delle
enormi e saporitissime pizze, professionalmente personalizzate dagli addetti al
servizio e dai cuochi, che hanno ricevuto –a cominciare da chi scrive– sentite
congratulazioni, e per la qualità delle vivande e per l'impeccabile servizio.
Al termine della cena la nostra Comunità si è data
appuntamento, infine, ai prossimi incontri settimanali.
Fernando A. Grasso, de.it.press
San
Martino di Tours, il vescovo dei poveri
Oggi, la sua memoria liturgica - Di Antonio Tarallo
Roma. "Gemmea l’aria, il sole così chiaro che tu
ricerchi gli albicocchi in fiore”, così Carducci nella sua famosa poesia dal
titolo “L’estate di San Martino”. E, forse, non ci sono parole migliori
di quelle di un poeta per descrivere quello strano sole di novembre, quella
luce che stride con il freddo inverno che si avvicina. Il giorno degli
“albicocchi in fiore” è quello dedicato alla festa di San Martino di
Tours.
Carducci nella sua “San Martino” con amorevoli versi
descrive come «dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a
rallegrar». Il vino, immancabile bevanda, per la festa. Il vino,
accompagnato inesorabilmente dalle castagne. Queste erano il pane dei poveri,
simbolo della stagione, ed - economicamente - erano alla portata di tutti.
L'associazione - castagne e vino - in questa festa di San Martino di Tours era
molto legata ai cicli dell'agricoltura. In novembre, terminata la raccolta
dell'uva e delle olive, l'attività degli agricoltori scemava naturalmente per
qualche tempo. Era il tempo del "trasloco" dei mezzadri: per
tutta l'estate avevano abitato le campagne, sotto contratto con il padrone ed
era questo il momento di un po' di "ferie" in attesa di un rinnovo di
contratto oppure di un nuovo incarico presso un nuovo fondo. Prima di andare
via si riceveva una sorta di "buonuscita" piena di prodotti di
stagione: vino e castagne.
Ma chi era Martino di Tours? Nacque nel 316 in
Sibaria, città della Pannonia, l'odierna Ungheria, da genitori nobili ma
pagani. Da bambino si trasferì a Pavia. Fu in questa città che conobbe la
religione cristiana. All'insaputa dei genitori si fece catecumeno, a soli dieci
anni. e prese a frequentare le assemblee cristiane.
Martino era umile e caritatevole: basti pensare che aveva
abitudine di pulire i calzari al suo attendente. Certamente, uno degli episodi
più famosi rimane quello del mantello: in un giorno d’inverno, Martino era in
marcia per Amiens. In questa località incontrò un povero seminudo, sprovvisto
di denaro. Tagliò colla spada metà del suo mantello e lo coprì. La notte
seguente, Gesù, in sembianza di povero, gli apparve e mostrandogli il mantello
disse: “Martino ancor catecumeno m'ha coperto con questo mantello”. E’
l’incontro decisivo della sua vita. E’ l’incontro che gli fece cambiare Andò a
Poitiers presso il vescovo S. Ilario da cui fu istruito, battezzato e in
seguito ordinato sacerdote. Eresse, anni avanti, addirittura la celebre e
tuttora esistente abbazia di Marmontier (la più antica della Francia) ove fu
per parecchi anni padre di oltre 80 monaci. "Soldato per forza, vescovo
per dovere, monaco per scelta", in estrema sintesi fu questa la vita di
San Martino.
Per questa sua vicinanza verso i poveri, fu disprezzato
dai nobili e malvisto anche da una parte del clero. Divenne vescovo di Tours:
per ben 27 anni condusse la diocesi francese, in mezzo a contrasti e
persecuzioni. Nell'anno 397 venne a conoscenza che a Candate
(Candes-Saint-Martin) era sorto un grave scisma. Andò subito a portare pace. E
fu proprio al ritorno da questo luogo che fu assalito da febbri mortali. Volle
essere adagiato sulla nuda terra e cosparso di cenere, per morire, come sempre
aveva vissuto, da penitente. Fu così sepolto a Tours, dove gli fu dedicata una
cattedrale. Aci 11
Ogni
anno 100 mila pellegrini a Walldürn per venerare il Sangue di Cristo
Nel 1330 un calice di vino consacrato si versò sul
corporale formando un’immagine di Cristo - Di Giacomo König
Francoforte. La basilica di San Giorgio a Walldürn, nel
Land del Baden-Württemberg, conserva la reliquia del più importante miracolo
eucaristico accaduto in Germania.
Era il 1330 (forse il 1331) e il sacerdote Heinrich Otto,
un semplice prete di campagna, stava celebrando la Messa. Durante la
consacrazione dell’eucaristia, fece cadere accidentalmente il calice del vino
consacrato sul corporale, una piccola tovaglietta di lino che il celebrante
stende sull’altare prima di benedire pane e vino. Proprio su questo telo il
vino consacrato andò a formare un’immagine miracolosa: al centro compariva
infatti il Crocifisso, e ai lati undici “Veronicae”, ossia undici immagini del
volto di Cristo coronato di spine.
Il fatto, mentre accadeva, aveva avuto diversi testimoni
oculari, nonostante questo il sacerdote, spaventato, non raccontò a nessuno
dell’accaduto e rimuovendo una pietra dall’altare, vi nascose il corporale e vi
“mise una pietra sopra”. Anni dopo, in punto di morte, il sacerdote, più che
dalla malattia, si sentiva però tormentato dal rimorso di coscienza di aver
nascosto questo miracolo. Allora confessò, parlò del corporale macchiato,
rivelò dove era nascosto e chiese perdono per averlo taciuto per così lunghi
anni. Solo allora morì in pace.
Il corporale fu ritrovato e subito si sparse la notizia
del miracolo. Dopo la morte di don Heinrich Otto, il corporale con l’immagine
del Cristo fu custodito a Walldürn e venerato localmente. Iniziò un culto
popolare, fatto di pellegrinaggi spontanei: cominciarono ad affluire pellegrini
a Walldürn, proprio per venerare il Preziosissimo Sangue di Cristo.
Molti decenni dopo, si decise di portare l’accaduto
all’attenzione del Papa. Il telo fu così portato a Roma a Papa Eugenio IV nel
1445: la figura sacra formatasi sul corporale dal versamento accidentale del
vino consacrato era ancora visibile a quell’epoca, e il Pontefice confermò il
miracolo concedendo l’indulgenza e dando ufficialmente inizio ai pellegrinaggi.
Questo fu il momento in cui Walldürn divenne una meta di pellegrinaggio
eucaristico per l’intera Germania cattolica.
Tutta questa storia, fino all’esame della reliquia
miracolosa da parte del Papa, è narrata, episodio per episodio, dai dipinti
sulle ante esterne e dai rilievi dell'altare del Santo Sangue. Quello di Papa
Eugenio IV è il primo atto in cui la Chiesa riconobbe pubblicamente il culto di
Walldürn. Ma ne seguirono altri. Successivamente Papa Pio II, nel 1461 circa,
confermò e rinnovò le indulgenze, mentre Papa Sisto IV e Papa Giulio II
aggiunsero ulteriori concessioni ai pellegrini.
A causa dell’afflusso dei pellegrini, nel 1497 fu
necessario ingrandire la chiesa. Durante il periodo della Riforma, che non
riuscì a fare breccia nella città di Walldürn, la partecipazione al
pellegrinaggio diminuì notevolmente per riaumentare poi intorno al 1600. Papa
Urbano VIII nel 1626 riconobbe solennemente il santuario e autorizzò
ufficialmente il pellegrinaggio annuale, favorendo la costruzione della grande
chiesa di San Giorgio, che fu dotata di tre nuovi altari. Dopo la Guerra dei
Trent'anni (1618–1648), il pellegrinaggio continuò ad aumentare di fama e di
importanza, tanto che la chiesa divenne nuovamente troppo piccola.
Così, il funzionario Johann Franz Sebastian von Ostein
decise di rivolgersi a suo zio, l'arcivescovo Lothar Franz von Schönborn, per
chiedere la costruzione di un nuovo edificio, che fu realizzato tra il 1698 e
il 1714. Il 16 febbraio 1962 Papa Giovanni XXIII elevò la chiesa al rango di
“Basilica minore”.
Oggi l’altare del Preziosissimo Sangue di Cristo attira
mediamente circa 100 mila pellegrini all’anno. Il periodo più intenso di
presenze di fedeli è tra fine maggio e fine giugno, il periodo di Pentecoste e
Corpus Domini. L’evento più importante è la grande processione del Corpus
Domini, durante la quale la reliquia con il corporale miracoloso viene portata
per le vie della città. Alla processione partecipano gruppi di pellegrini a
piedi da diversi Land della Germania e nonché numerosi pellegrini dall’estero.
Aci 10
Verso
il primo concistoro straordinario di Papa Leone: un cambio di rotta?
La riunione del concistoro straordinario – che dovrebbe
tenersi il 7 e 8 gennaio 2026 - fa immaginare che Papa Leone XIV voglia
imprimere un cambio di metodo, e anche di rotta, rispetto al recente passato -
Di Marco Mancini
Città del Vaticano. Anche se non vi è ancora una
comunicazione ufficiale e formale, all’indomani della chiusura della Porta
Santa – in calendario il prossimo 6 gennaio – e la conclusione dell’Anno Santo,
Papa Leone XIV terrà un concistoro straordinario con l’intero collegio
cardinalizio.
Il canone 353 al paragrafo 3 recita che “nel Concistoro
straordinario, che si celebra quando lo suggeriscono peculiari necessità della
Chiesa o la trattazione di questioni particolarmente gravi, vengono convocati
tutti i Cardinali”.
La tradizione della convocazione dei concistori
straordinari, che servono anche agli stessi cardinali per conoscersi meglio,
confrontarsi e soprattutto – come recita il Codice di Diritto Canonico –
assistere il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono
convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come
singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella
cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale”, era andata perdendosi
durante il pontificato di Papa Francesco.
Papa Francesco infatti aveva preferito circondarsi di un
ristretto numero di cardinali per consultarsi e soprattutto riformare la Curia
Romana: Aveva creato il Consiglio dei Cardinali, o noto ai più come C9. Una
sorta di microcollegio all’interno dello stesso Sacro Collegio. Un organismo
che era nato nel Settembre 2013 ed istituito con un chirografo dello stesso
Pontefice.
Del Consiglio dei Cardinali hanno fatto parte tra il 2013
e il 2025 il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato; il Cardinale
Fridolin Ambongo Besungu, O.F.M.Cap., arcivescovo metropolita di Kinshasa; il
Cardinale Juan José Omella, arcivescovo metropolita di Barcellona; il Cardinale
Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo metropolita di Québec; il Cardinale
Jean-Claude Hollerich, S.I., arcivescovo di Lussemburgo; il Cardinale
Sérgio da Rocha, arcivescovo metropolita di San Salvador de Bahia; il Cardinale
Francisco Javier Errázuriz Ossa, P. di Schönstatt, arcivescovo emerito di
Santiago del Cile ; il Cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo
metropolita di Kinshasa; il Cardinale George Pell, prefetto della Segreteria
per l'economia; il Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, S.D.B., arcivescovo
metropolita di Tegucigalpa ; il Cardinale Giuseppe Bertello, presidente del
Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e della Pontificia
commissione per lo Stato della Città del Vaticano; il Cardinale Reinhard Marx,
arcivescovo metropolita di Monaco e Frisinga; il Cardinale Sean Patrick
O'Malley, O.F.M.Cap., arcivescovo metropolita di Boston, presidente della
Pontificia commissione per la tutela dei minori ; il Cardinale Oswald Gracias,
arcivescovo metropolita di Bombay; il Cardinale Fernando Vérgez Alzaga, L.C.,
presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e della
Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Segretario del
Consiglio è stato il Vescovo Marco Mellino e prima di lui il futuro Cardinale
Marcello Semeraro, oggi Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.
La riunione del concistoro straordinario – che dovrebbe
tenersi il 7 e 8 gennaio 2026, dopo 8 mesi dalla sua elezione – fa
immaginare che Papa Leone XIV voglia imprimere un cambio di metodo, e anche di
rotta, rispetto al recente passato, servendosi collegialmente dell’ausilio e
del consiglio dei Cardinali di Santa Romana Chiesa. Non per nulla nelle
congregazioni generali che hanno preceduto il conclave del maggio scorso, i
cardinali avevano sottolineato in diversi interventi l’importanza dell’osservanza
del codice di diritto canonico nella futura gestione e nel futuro governo della
Chiesa.
Nei pontificati che hanno preceduto quello di Papa
Francesco, era comunque prassi prima del concistoro ordinario per la creazione
di nuovi cardinali, convocare l’intero Collegio cardinalizio per una giornata
di confronto e dialogo che solitamente si teneva il giorno prima della
celebrazione del concistoro stesso. Aci 10
Brunelli
(Il Regno): cristianesimo ed Europa
Una riflessione a caldo, da Camaldoli, sul tema del convegno
“Cristianesimo coscienza dell’Europa”, promosso assieme alla Comunità monastica
e alla Comece. Secondo Gianfranco Brunelli, giornalista e politologo, “in
questo momento di crisi profonda dell’Europa emerge una responsabilità delle
Chiese quanto al profilo e al ruolo dell’Europa stessa”. E aggiunge: “Se le
riviste mantengono ancora un valore, e io credo che sia così, devono essere
luoghi di memoria, di documentazione, di analisi, di confronto” – di Gianni Borsa
A Camaldoli si svolge una riflessione approfondita,
accompagnata da un dibattito vivace, sull’Europa e sul quadro politico,
culturale e sociale a livello internazionale, in relazione al cristianesimo.
Più precisamente quattro giorni di confronto – a partire da una quindicina di
contributi dall’Italia e dall’estero – sul tema “Cristianesimo coscienza
dell’Europa”. Il convegno è promosso dalla rivista Il Regno, che “compie” 70
anni, assieme alla Comunità monastica di Camaldoli e alla Comece (Commissione degli
episcopati dell’Unione europea). Sul titolo generale dell’appuntamento ci
soffermiamo con Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno.
Direttore, di quale Europa e di quale cristianesimo ci
sarebbe bisogno in questa fase storica?
L’analisi del contesto internazionale, segnatamente del
ruolo dell’Europa, è fondamentale per capire il quadro storico nel quale noi
viviamo, come cittadini, come cristiani, come Chiese. Una volta sviluppata
questa analisi è necessario domandarsi che cos’è il cristianesimo oggi; quale
cristianesimo è, per così dire, possibile, o addirittura necessario in questo
momento, qual è il ruolo che le Chiese possono assumere per contribuire a
mantenere viva l’ispirazione cristiana in Europa e lo spirito di una civiltà a
cui il cristianesimo storicamente ha contribuito in maniera fondamentale anche
nelle stagioni di contrapposizione. Questa è una delle domande: naturalmente un
convegno non può immaginare di fornire tutte le risposte a interrogativi tanto
complessi, ma certamente può avviare un cammino di comprensione, di
riflessione, già promosso in anni recenti da Giovanni Paolo II in particolare,
proseguito in parte con Benedetto XVI e poi con Papa Francesco. Ritengo che in
questo momento di crisi profonda dell’Europa ci sia una responsabilità delle
Chiese quanto al profilo e al ruolo dell’Europa stessa, perché senza di essa il
tema della civiltà rischia di andare in crisi, non solo per noi che abitiamo in
Europa, ma per il mondo intero. E il compito attiene a come coniugare il
linguaggio della fede alle emergenze umane, culturali, istituzionali.
In che senso?
Vede, l’Europa conserva la memoria dei valori profondi
della civiltà: pensiamo ai principi democratici, ai diritti umani, al diritto
internazionale, ai grandi temi della solidarietà, dell’accoglienza, della
giustizia. Sono valori che oggi in Europa hanno ancora un riverbero
significativo nel cuore degli uomini e delle donne, e non è così in altre parti
del mondo. Il cristianesimo può essere davvero coscienza critica, fonte
ispirativa delle coscienze personali.
Ma di quale Chiesa, di quale comunità credente ha bisogno
questa Europa di oggi?
Certamente una Chiesa della solidarietà e
dell’accoglienza, una Chiesa della libertà individuale, ma non come
individualismo, bensì come possibilità di trovare Dio nella coscienza
personale. Ritrovare e alimentare la “nostalgia di Dio” può diventare di nuovo
l’elemento con cui Dio viene riaffermato nelle società e nella cultura europea.
Qui c’è tutto il tema, sviluppato in questi anni, della sinodalità, del
rapporto fede-libertà, va ripresa la riflessione sul contributo dei cristiani
laici… Poi c’è un tema che riguarda la democrazia, nel senso che la costruzione
della comunità cristiana ha a che fare con la costruzione della comunità
civile, della democrazia. Più che interrogarsi sulla democrazia dentro la
Chiesa, tema che rimane aperto, oggi forse bisogna interrogarsi su come
costruire la comunità cristiana e come la costruzione della comunità cristiana
sia prodroma della costruzione della comunità civile.
In un’epoca di individualismi spinti, che alimentano a
loro volta timori e chiusure, la necessità di costruire la comunità – il senso
della comunità – non sembra sia sufficientemente avvertito. Eppure, questo
potrebbe essere un grande tema dell’oggi. Nella Chiesa italiana, nella Chiesa
europea che lei conosce, si avverte questa urgenza? Si sente il richiamo
all’impegno per edificare una comunità cristiana e una comunità civile
accoglienti, aperte, solidali?
Se noi diamo spazio ai sentimenti diffusi, che sono
sentimenti di sfiducia, di paura, noi difficilmente ci mettiamo nella posizione
di poter accogliere l’altro, gli altri, di vivere assieme, di costruire una
comunità. Se invece noi, pur rendendoci conto delle difficoltà poste dalla
realtà, scommettiamo di nuovo sullo spirito cristiano, che è spirito di
speranza, di fiducia verso il futuro, allora noi troviamo nuovi punti di
equilibrio e possiamo sentire il legame tra la costruzione della comunità dei
credenti e la costruzione della comunità umana, della comunità civile.
Personalmente ritengo che l’insegnamento del Sinodo porti la Chiesa italiana,
la Chiesa più ampia, le Chiese europee, a sviluppare il tema della costruzione
della comunità, che nelle Chiese europee significa anche la ripresa di un
dialogo ecumenico, non solo come coabitazione in un condominio, ma come spirito
cristiano, come accoglienza del cristianesimo dell’altro. Rendiamoci conto che
ci sono tante forme ed espressioni del cristianesimo, starei per dire “tanti
cristianesimi” in Europa, e forse ora abbiamo bisogno di una contaminazione fra
le diverse esperienze di Chiesa, fra le diverse Chiese. L’ecumenismo è un
criterio ermeneutico di come si sta assieme, non è solo trovare un punto di
convivenza come fossimo, appunto, in un condominio.
Ancora una domanda, a partire dalla rivista che lei
dirige. In questo tempo, di cui abbiamo brevemente parlato, si dovrebbe
avvertire il bisogno di capire, di informarsi, di pensare, di dialogare, per
affrontare un’era tanto complessa. Quale può essere il ruolo de Il Regno, così
come di altri strumenti, per conoscere il mondo che ci circonda?
Oggi, lo sappiamo, è tutto più complicato. Anche sul
versante comunicativo e della conoscenza. Pensiamo alla presenza dei social e
delle nuove tecnologie, che forniscono strumenti e linguaggi e chiavi di
lettura molto diversificati l’uno dall’altro ed è complicato frequentarli tutti
contemporaneamente. Se le riviste mantengono ancora un valore, e io credo che
sia così, devono essere luoghi di memoria, di documentazione, di analisi, di
confronto. Noi abbiamo bisogno della storia delle parole: le parole hanno una
storia, le parole hanno una memoria, hanno un dolore, portano una speranza. Noi
abbiamo bisogno di trovare un linguaggio che sia di nuovo ascoltabile,
condivisibile. Quindi memoria, lettura e interpretazione della realtà sono
elementi fondamentali nella formazione delle persone, soprattutto dei giovani,
in particolare nell’educazione, per stare dentro una realtà che è diventata –
come si diceva – assai articolata. Tornando alle riviste, riconosciamo che in
alcune stagioni della nostra storia hanno avuto un ruolo importante, persino
militante e ideologico, oggi non è più così, ed è bene che non sia più così. Il
ruolo attuale è semmai educativo, formativo, analitico: questo può essere il
compito di una rivista e credo che Il Regno da questo punto di vista possa
sviluppare ulteriormente la propria storia. Sir 8
Missioni
di lingua italiana in Svizzera: la teologia e la pastorale dell’ospitalità
“Essere Chiesa oggi in Svizzera alla luce del nuovo
fenomeno migratorio. Opportunità e sfide per una pastorale di comunione e di
interculturalità”. Questo il tema del corso di aggiornamento promosso dalle
Missioni cattoliche di lingua italiana (Mcli) tenutosi al Seminario vescovile
di Bergamo dal 20 al 23 ottobre. In Svizzera vivono 650 mila italiani e circa
il 40% della popolazione cattolica elvetica proviene dall’immigrazione, le
missioni di lingua italiana sono 42 e vi operano 53 sacerdoti di cui 17 non italiani.
Il corso di aggiornamento 2025 segue quello del 2023 dal
titolo “Per un noi sempre più grande. In cammino verso una pastorale
interculturale” che stilò il documento finale la “Carta di Capiago” (dalla
località vicina a Como dove si svolse) con il quale si volle esprimere un
ulteriore segno della disponibilità delle Mcli per un condiviso percorso
ecclesiale a partire dal documento “Verso una pastorale interculturale” della
Conferenza dei Vescovi svizzeri (Cvs) e della Conferenza centrale cattolica
svizzera (Rkz).
Nel soffermarsi su questo percorso il Coordinatore
nazionale delle Mcli in Svizzera, don Egidio Todeschini, ha tra l’altro posto
alcune domande tra le quali: “Quale sviluppo stanno vivendo le Mcli? Di quale
tipo di presenza c’è bisogno? Quale equilibrio tra unità e diversità ovvero tra
pastorale separata e pastorale d’insieme?”
Gli interrogativi sono stati ripresi nelle sessioni del
convegno e sono stati al centro dei tre gruppi di confronto che hanno concluso
i lavori.
Don Pierpaolo Felicolo, direttore generale della
Fondazione Migrantes, ha parlato delle Mcli in Svizzera come “laboratori di
interculturalità” aggiungendo che oggi esse sono chiamate ad essere “segno
visibile di una comunione che non è uniformità ma sinfonia”.
Isabel Vazquez, direttrice nazionale di Migratio, ha
fatto pervenire un contributo su situazione prospettive della pastorale della
migrazione in Svizzera illustrando la pubblicazione del “documento strategico”
elaborato e approvato da Cvs e Rkz fondato su 14 principi fondamentali e dove
si prevedono “nuove forme di pastorale più adatte alle realtà attuali”.
Hanno fatto seguito gli interventi di Urs Brosi,
segretario generale Rkz, e Urs Corradini, diacono della diocesi di Basilea e
“responsabile personale per preti altre nazioni e culture”. Il primo ha
proposta una riflessione su due sfide di fronte alle quali si trova la Chiesa
elvetica: gli abusi sessuali e la secolarizzazione. Il secondo ha condiviso la
sua esperienza mettendo in rilievo l’impegno per una Chiesa aperta,
accogliente, missionaria e ha aggiunto: “Quando soffia il vento del cambiamento
alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”.
Sul tema “Chiesa comunione nel contesto sociale ed ecclesiale
di oggi” si è soffermato mons. Giancarlo Perego arcivescovo di
Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes. “Comunione e
corresponsabilità non sono due realtà che chiudono, ma aprono alla missione.
Per questa ragione il Sinodo della Chiesa universale ha tenuto insieme
‘Comunione, partecipazione e missione’”. L’arcivescovo ha quindi richiamato la
centralità delle relazioni per un’autentica sinodalità.
A offrire ulteriori elementi di riflessione e di
confronto sono state tre testimonianze: la prima della diocesi di Bergamo che,
per voce di don Massimo Rizzi, ha presentato diverse iniziative di accoglienza;
la seconda di don Gregorio Milone coordinatore di Mcli Germania che ha tra
l’altro presentato il documento dei vescovi tedeschi “In cammino verso una
Communio interculturale. Linee guida per la cura pastorale in altre lingue e
riti” frutto di un ampio coinvolgimento; la terza di don Antonio Serra coordinatore
Mcli Gran Bretagna che ha coniato il termine “ecotono” per indicare lo spazio
di incontro, di dialogo, di condivisione tra due ecosistemi diversi.
Un’immagine che si addice anche alla realtà elvetica.
A raccogliere il senso dei lavori del corso di
aggiornamento è stato Salvatore Loiero, teologo, docente all’Università di
Salisburgo che si è soffermato sulla teologia dell’ospitalità, una teologia che
promuove e valorizza una reciprocità tra l’ospitante e l’ospite. Colui che
ospita e colui che è ospitato si incontrano e camminano insieme nella pari
dignità battesimale.
I tre gruppi di studio al termine del corso hanno
sottolineato che nell’attuale contesto ecclesiale, culturale e sociale svizzero
è importante che la dimensione spirituale promuova e sostenga ogni iniziativa
pastorale; che l’integrazione non sia assimilazione ma valorizzazione piena
delle diversità, che la corresponsabilità ecclesiale sia all’origine ogni
processo ecclesiale così che fin dal suo nascere preveda il coinvolgimento di
tutti e non solo di alcuni soggetti ecclesiali.
Particolarmente apprezzato il messaggio che del vescovo
di Bergamo, mons. Francesco Beschi, che al termine della messa di chiusura del
corso ha tra l’altro affermato che anche in un tempo di calo numerico dei
sacerdoti ha personalmente deciso di inviare alcuni di loro come missionari in
tutto il mondo, Europa compresa. Un messaggio che è stato accolto come
incoraggiamento.
Il corso si è posto i sintonia con il cammino sinodale
delle Chiese in Italia e con il cammino sinodale della Chiesa tutta e in questo
contesto ecclesiale caratterizzato dalla comunione e dalla missione le Mcli
hanno compiuto ulteriori passi avanti in due direzioni: essere presenze
vive e pastoralmente attive che si pongono con coraggio e profezia di fronte
alle sfide del tempo; essere espressioni di una Chiesa sinodale, missionaria,
fondata sulle relazioni profonde tra persone e comunità con sensibilità, storie
e culture diverse.
In questa prospettiva, fatta di pensieri, discernimento e
scelte si colloca per le Mcli in Svizzera l’appello sinodale alla “profezia”.
Paolo Bustaffa) Migr. on 8
Leone
XIV: la riforma silenziosa
In sei mesi di pontificato Leone XIV ha disegnato una
Chiesa che si riforma attraverso il metodo: nomine coordinate, magistero
unitario, dialogo costante. Dalla scelta del carmelitano Filippo Iannone alla
guida del Dicastero per i vescovi all’attenzione per pace, educazione e
intelligenza artificiale, emerge una riforma silenziosa ma profondamente
strutturale – di Riccardo Benotti
In pochi mesi, Leone XIV ha delineato una guida sobria e
coerente, segnata da attenzione ai processi e cura delle persone. Ogni parola,
ogni gesto, ogni scelta risponde a un disegno chiaro, dove la visione non
domina ma orienta. È un magistero che parla senza clamore, che genera fiducia e
rafforza l’unità della Chiesa.
Il primo asse è il governo. Oltre novanta provviste
episcopali in sei mesi non raccontano una corsa, ma un disegno. Le nomine
arrivano a blocchi territoriali: l’Asia come cantiere di crescita, con quattro
Province siro-malabaresi e la nuova diocesi cinese di Zhangjiakou; le Americhe
come fascia pastorale e sociale, con nuove coperture in Messico e Brasile;
l’Europa come laboratorio di governance, con unioni in persona Episcopi e
traslazioni in Francia, Polonia e Belgio; l’Africa come terreno di crescita, dal
Madagascar al Mozambico, dal Kenya alla Costa d’Avorio. È lo stesso principio
dappertutto: non riempire sedi, ma accompagnare comunità. Prevalgono i vescovi
diocesani, segno di una Chiesa che affida la guida pastorale a uomini radicati
nella vita concreta, formati all’ascolto e alla corresponsabilità. In questo
quadro assume particolare rilievo la nomina di mons. Filippo Iannone,
carmelitano, a prefetto del Dicastero per i vescovi: un religioso alla guida di
un organismo chiave della Curia romana, segno della volontà di unire
discernimento spirituale e rigore pastorale, contemplazione e governo. È una
scelta che mette al centro il metodo, la qualità delle nomine e il valore della
struttura.
Ma dietro questa apparente armonia si intravedono anche
le sfide. La Chiesa vive un tempo attraversato da tensioni interne ed esterne:
la fatica di coniugare tradizione e innovazione, sinodalità e collegialità,
missione e prudenza istituzionale si intreccia con le ferite del mondo. Dai
conflitti in Ucraina e in Medio Oriente alla crisi del Sahel, dal dramma di
Haiti alla violenza che lacera il Congo, Leone XIV richiama a non cedere al
disincanto: “La pace è un desiderio di tutti i popoli, ed è il grido doloroso
di quelli straziati dalla guerra”. Anche le dinamiche ecclesiali restano
complesse: la ricezione della sinodalità, i rapporti con le Chiese orientali,
la diplomazia del dialogo in contesti dove il riconoscimento civile non è
scontato. Il Papa non rimuove queste difficoltà: le riconosce come parte del
realismo evangelico, che non cerca una Chiesa senza contraddizioni ma capace di
abitarle senza paura.
Il secondo asse è il magistero. Tutto il pontificato di
Leone XIV mostra una parola che guida, ordina e accompagna: una trama di
significati che si richiamano. In Dilexi te, l’amore verso i poveri diventa
principio di riforma e chiave di lettura del Vangelo. È un magistero che scende
nella carne del mondo, dove “sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la
sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo”. Nella
lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, l’educazione diventa la
via concreta della carità: “Educare è un atto di speranza e una passione che si
rinnova perché manifesta la promessa che vediamo nel futuro dell’umanità”. È
una visione che unisce misericordia e cultura, pastorale e pensiero, e che
restituisce al magistero la sua funzione più alta: formare coscienze e
orientare la storia. La riflessione sull’intelligenza artificiale si colloca in
questa stessa prospettiva: “Il punto decisivo non è la tecnologia, ma l’uso che
ne facciamo”. Non una condanna, ma un discernimento: la ricerca di un uso etico
e umano dell’innovazione come nuova frontiera spirituale.
Le udienze generali confermano questa coerenza. Il ciclo
“Gesù Cristo nostra speranza” prosegue e approfondisce il cammino catecumenale,
con un linguaggio concreto e simbolico. La speranza, per Leone XIV, non è
emozione ma architettura spirituale. E la costruzione quotidiana della Chiesa –
attraverso decisioni, incontri e segni di comunione – diventa la forma visibile
di questa teologia in atto. Tra i più ricevuti da Leone XIV spiccano il
cardinale Baldassare Reina, per Roma, e i cardinali prefetti Víctor Manuel
Fernández, Michael Czerny, Luis Antonio Tagle e Giordano Piccinotti. Sono volti
che tornano con regolarità nel calendario delle udienze, a conferma di un
modello di governo che privilegia la continuità del dialogo più che la rapidità
delle decisioni.
Il pontificato di Leone XIV è dinamico. Tra riforme e
resistenze, visioni e tensioni, mostra una Chiesa che cresce nel confronto.
Dopo i primi sei mesi, la direzione sembra tracciata: una Chiesa sobria,
pensata, dialogante, capace di abitare la complessità senza paura. Una teologia
della speranza istituzionalizzata, in cui Cristo resta al centro, i poveri il
criterio, l’educazione la via, la pace lo stile e la comunione la struttura.
Leone XIV non cambia la Chiesa: la aiuta a camminare. Sir 8
A
colloquio con Mons. Ettore Balestrero, Nunzio Apostolico presso l’Onu
In un tempo segnato da conflitti, crisi globali e rapide
trasformazioni, la presenza della Santa Sede nel contesto multilaterale
rappresenta una voce di dialogo, di pace e di speranza. Abbiamo incontrato Sua
Eccellenza Monsignor Ettore Balestrero, Nunzio Apostolico della Santa Sede
presso l’ONU e le Organizzazioni internazionali a Ginevra, con cui abbiamo
parlato del ruolo della diplomazia vaticana, della difesa della dignità umana e
delle sfide che attendono la comunità internazionale.
D. Eccellenza, partiamo dal suo ruolo: La Santa Sede è
presente all’ONU come Osservatore Permanente, ma con una voce che spesso ispira
riflessione e dialogo. Come descriverebbe la missione della Santa Sede in
questo contesto internazionale così complesso?
R. Esattamente 60 anni fa San Paolo VI definì la Santa
Sede "esperta in umanità". Essa preferisce lo status di Osservatore
all’ONU (pur essendo Stato Membro di organizzazioni cruciali come l'OIM,
l’OMPI, l'UNCTAD, il Comitato esecutivo dell’ACR e di varie Convenzioni sul
disarmo), ma ciò non implica affatto un atteggiamento passivo. Al contrario, lo
status di Osservatore è strategicamente privilegiato per mantenere la
specificità della Santa Sede e affinché essa continui ad offrire una prospettiva
super partes, libera dal pur legittimo calcolo politico.
È una sorta di “soft power", perché non si basa
sulla potenza militare o economica, ma sulla capacità di persuadere attraverso
argomenti etici e morali. Si sforza, cioè, di parlare e di dare voce alle
coscienze, a servizio del bene comune e focalizzandosi sulla dimensione etica
delle questioni globali. Vuole promuovere la dignità di ogni persona, dal
concepimento alla morte naturale, e sostenere la voce dei "vivi" – in
particolare i vulnerabili e i poveri – ma anche quella dei "morti",
come le vittime innocenti di guerre, persecuzioni e naufragi. Al centro di
tutto vi è la visione cristiana della persona, creata a immagine e somiglianza
di Dio.
D. In un’arena dove prevalgono interessi geopolitici,
come riesce la Santa Sede a mantenere viva una voce morale e spirituale capace
di incidere nelle decisioni globali?
R. Attraverso la sua dottrina, che contribuisce a che ciò
che è giusto e buono possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche
realizzato. In un mondo in rapido cambiamento e sempre più teso, dove le
domande sul senso della vita e sui limiti della convivenza sociale si fanno
incalzanti, le risposte offerte sono spesso egoistiche e poco convincenti. Il
vuoto si fa sempre più evidente. Per questo, a Ginevra la dottrina sociale
della Chiesa interessa anche coloro che non credono. È comune guardare al Papa come
all'istanza etica più autorevole, credibile e compassionevole, cercando lumi
per salvaguardare l'umanità e dare un senso al suo futuro.
Il messaggio della Santa Sede si fonda su principi
universali – dignità, solidarietà, bene comune - che in ultima istanza
provengono da Dio e, proprio per questo, trascendono culture e religioni.
D. Papa Francesco parlava spesso del “dialogo come unica
via per la pace”. Come si traduce, concretamente, questo principio nel lavoro
diplomatico che la Santa Sede svolge a Ginevra e nel mondo?
R. Qui a Ginevra il principio del dialogo si concretizza
nella promozione della vita umana, dello sviluppo, della pace e delle persone
vulnerabili. In situazioni di crisi o di tensioni, la Santa Sede agisce come
facilitatrice del dialogo, spesso in modo discreto. Di recente, per esempio,
durante il negoziato della Conferenza Ministeriale dell’UNCTAD, la Santa Sede
ha svolto un ruolo di facilitatore tra Paesi con visioni completamente
differenti in merito all’approccio allo sviluppo economico e alle sanzioni.
Così facendo, è stato possibile raggiungere un risultato importante in questo
periodo storico: una dichiarazione finale consensuale fra i 195 Stati membri.
D. La Santa Sede partecipa attivamente ai dibattiti sui
diritti umani. Come si concilia la visione cristiana della persona con le
diverse sensibilità culturali e ideologiche che emergono nel contesto delle
Nazioni Unite?
R. Il punto di conciliazione e di collaborazione è il
rispetto della dignità umana, intesa come espressione della natura comune a
tutti, aldilà di ogni cultura o ideologia. Tuttavia, affinché questa dignità
possa essere un vero punto d’incontro, deve essere concepita in "senso
forte". Non come un "fatto" interpretabile a piacimento, ma
quale impronta della dignità di Dio stesso, che ha reso la natura umana
portatrice di una norma morale implicita da rispettare anche a livello legislativo.
Fuori da questa concezione - che non separa ciò che è buono e vero da ciò che è
profondamente radicato nella natura umana - l'universalità, l'inviolabilità e
l'inalienabilità dei diritti umani sono messe in crisi, poiché dipenderebbero
dal più forte e dagli interessi divergenti.
D. Molti osservano con preoccupazione la crisi delle
istituzioni internazionali e del dialogo tra Stati. Dal punto di vista della
Santa Sede, come si può ridare fiducia e slancio al multilateralismo?
R. La “ricetta” sarebbe semplice: restituire il primato
assoluto alla dignità umana e al bene comune. Lo si ripete come un mantra, ma
solo a fatica e raramente lo si riesce a realizzare, in un mondo dove gli Stati
spesso lottano strenuamente per conservare le proprie posizioni o per
rafforzarle a qualsiasi prezzo. Tuttavia, siamo tutti connessi e i problemi
globali esigono la cooperazione di tutti. Quindi, è necessario lavorare
affinché questa “ricetta” si faccia strada, portando a soluzioni condivise. Ginevra
è una città privilegiata per alimentare tali processi, in quanto il lavoro
internazionale è più tecnico che altrove, e ciò consente di raggiungere
risultati concreti, superando la dimensione meramente politica dei problemi.
Carmelo Vaccaro, Saig 8
Gli
oratori oggi più che mai luogo necessario
Un saggio di Alessia Ardesi sugli oratori in Italia -Di
Caterina Maniaci
Roma. Ci aveva pensato già san Filippo Neri, nella
tumultuosa Roma del Cinquecento, a prendersi cura dei bambini e ragazzi vaganti
per la giungla cittadina, orfani, abbandonati, cresciuti per strada, destinati
ad una vita marchiata. Poi, nell’Ottocento, san Giovanni Bosco concepisce la
forma “moderna” dell’oratorio, luogo di crescita, di amicizia, di
valorizzazione. Così è stato e continua ad essere. A questo punto
arrivano i ricordi a delineare quelli dell’oratorio come tra gli anni più
felici, sereni…Giorni fatti di giochi, di film visti insieme ad una platea di
ragazzini rumoreggianti, corse nei cortili, le preghiere, i libri presi in
prestito, e persino colori e profumi: quelli dei rotoli di liquirizia che si
compravano con dieci, venti lire nel minuscolo negozietto ricavato nell’atrio
dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le salesiane della grande
famiglia creata da Don Bosco, e le collanine fatte di piccole caramelline
colorate di zucchero che si infilavano al collo e poi piano piano si sgranocchiavano
finché rimaneva solo il filo elastico… Ricordi teneri e grati, perché quelle
gioie, quella fiducia e speranza sono nate in quei pomeriggi infiniti, e sono
stai, e saranno ancora piccole luci nel buio di stagioni dolorose della vita.
Ci sono stati anni in cui gli oratori, come le parrocchie
e altri luoghi di “formazione” per intere generazioni sembravano eclissarsi,
quasi sull’orlo dell’estinzione. Non è accaduto, anzi ci sono segnali di un
rinnovato interesse e di vitalità. Lo testimonia un libro appena uscito, che
accogliamo con grande interesse. “L’oratorio è un luogo dove non c’è
solitudine, ma una moltitudine, dove c’è gioia, divertimento, dinamismo, non
c’è spazio per la tristezza", scrive il cardinale segretario di Stato
Pietro Parolin nella sua prefazione al saggio Oratorio Italia. Viaggio
nel paese del bene di Alessia Ardesi. Dal saggio emerge il
ritratto di una realtà vitale, capace, come sempre, di accogliere
moltissimi giovani, di offrire loro valori e relazioni, salvandoli dalla
solitudine, dalle devianze, dalla disperazione. L'autrice racconta un’Italia
molto diversa da quella della cronaca nera, composta di piccole, grandi
storie di coraggio e di speranza. Nello stesso tempo propone una accurata
storia di un'istituzione che, con l'apporto di grandi figure, come quella di
San Filippo Neri e di San Giovanni Bosco, non ha smesso di evolversi e di
operare per la crescita umana e cristiana dei giovani. "Non è vero -
scrive Ardesi- che gli oratori non esistono più. Ce ne sono meno come luoghi
fisici. Eppure la fabbrica del bene comune non ha mai chiuso". In effetti,
le ultime ricerche (per la verità un po’ datate) circa 6.000 oratori
censiti nel 2013, la metà in Lombardia). Ma bisogna tener conto di molte altre
realtà dell’associazionismo, che per fortuna è davvero una grande rete
salvifica che attraversa il nostro Paese.
“Questa realtà – si legge ancora nella prefazione del
cardinale Parolin - ha una particolarità unica e fondamentale: al centro c’è
Cristo, mediato dalla parrocchia e da quanti vi prestano servizio, a cominciare
dai parroci e dai loro collaboratori". E con questo fulcro che è Gesù,
anche i luoghi più semplici, le strutture più disadorne, i campetti più
essenziali sanno diventare quella che il segretario di Stato definisce
"una palestra privilegiata per l'educazione delle nuove generazioni, per aprirsi
alla vita, alla socialità".
Troviamo poi una ricca sezione dedicate alle
testimonianze di molte persone che all'oratorio hanno iniziato a formare la
propria personalità, a vivere grandi amicizie e a comprendere quale sarebbe
stata la strada da intraprendere nel futuro. Tra questi anche alcuni noti
calciatori, come Gianni Rivera, cresciuto in un oratorio salesiano: "Era
l’unico posto dove potevamo giocare senza che i vigili ci portassero via il
pallone". O di Sandro Mazzola, e poi politici, stilisti e imprenditori che
negli oratori hanno compiuti i primi passi e hanno un debito di riconoscenza
per quelle esperienze che, come sottolinea Aldo Cazzullo nella sua postfazione,
del grande lavoro che i sacerdoti e la Chiesa svolgono per i giovani e per la
società, spesso sopperendo all’assenza dello Stato, in silenzio, nell’interesse
comune, non solo dei fedeli, rivelando “un’Italia pudica, che non si esibisce,
non parla, non grida. (…) abituata a credere, a lavorare, a pregare, a
prendersi cura degli altri, non solo dei propri figli e dei propri nonni ma di
tutti i bambini, di tutti gli anziani, di ogni persona della comunità".
Il saggio della Ardesi mette in evidenza anche
l'evoluzione che l'oratorio sta sperimentando nell'Italia di oggi:
"Interculturalità e immigrazione; nativi digitali; emarginazione: sono tra
le sfide decisive " con le quali anche l’oratorio deve fare i conti. Per
continuare a giocare, studiare, fare amicizia, senza pregiudizi e con spirito
di vera condivisione. Per provare quella felicità che, chiunque abbia passato
del tempo in oratorio, capisce di cos’è fatta e che non passerà mai CI (
Cei:
“le vite dei bambini troppo spesso asservite agli interessi dei grandi”
“Le vite dei
bambini vengono molto spesso asservite agli interessi dei grandi”. È la
denuncia contenuta nel Messaggio per la 48ª Giornata nazionale per la Vita, che
si celebrerà il 1° febbraio 2026 sul tema “Prima i bambini!”. I vescovi
italiani richiamano l’attenzione sulle molteplici forme di violenza e
sfruttamento che colpiscono i piccoli: “uccisi, mutilati, resi orfani, privati
della casa e della scuola, ridotti alla fame” come effetto di bombardamenti
indiscriminati; “rapiti e utilizzati come ‘carne da cannone’” nei conflitti
dimenticati; “fabbricati in laboratorio per soddisfare i desideri degli
adulti”, a cui “viene negato di poter mai conoscere uno dei genitori biologici
o la madre che li ha portati in grembo”. Nel testo si ricordano anche i bambini
cui “viene sottratto il fondamentale diritto di nascere”, quelli coinvolti in
separazioni e divorzi, le vittime di abusi, lavoro minorile e tratta, fino ai
minori “costretti a migrazioni faticose e pericolose”. “In questi e altri casi
– scrive la Cei – l’interesse che prevale è quello dell’adulto, cioè del più
forte, del più ricco, del più istruito, capace di mascherare il proprio egoismo
dietro parole politicamente corrette e falsamente altruiste”. “La pace, la
libertà, la democrazia, la solidarietà – aggiungono i vescovi – non possono che
iniziare dai più piccoli”.
“Ogni persona che mette al mondo dei bambini o si occupa
dei piccoli – genitori, nonni, insegnanti, catechisti, persone consacrate,
famiglie affidatarie – dovrebbe sentire la simpatia e la stima degli altri
adulti, perché il servizio al sorgere della vita è garanzia di bene e di futuro
per tutti”. È quanto ancora afferma il Consiglio episcopale permanente della
Cei nel Messaggio per la 48ª Giornata nazionale per la Vita, diffuso oggi sul
tema “Prima i bambini!”. I vescovi invitano a una “vera conversione, nel
duplice senso di ‘ritorno’ e di ‘cambiamento’”: riscoprire la cultura della
generatività e abbandonare “le cattive inclinazioni di una società narcisista e
indifferente”, in cui “gli adulti sono troppo occupati da loro stessi per fare
davvero spazio ai bambini”. Per la Cei, “dove una società smarrisce il senso
della generatività, servendosi dei figli invece di servirli, si imbarbariscono
esponenzialmente anche le relazioni tra gli adulti – persone e comunità – dando
spazio alla ricerca egoistica e violenta dei propri interessi”. Il Messaggio
invita a un “serio esame di coscienza, basato sul punto di vista dei piccoli
nelle questioni che li riguardano”, e a chiedere loro “come vorrebbero che
andassero le cose”. Riccardo Benotti, Sir 7
Firmata
la nuova Charta Œcumenica: “Un passo storico verso l’unità”
Presentata a Roma la nuova Charta Œcumenica, firmata da
Cec e Ccee. Frutto di un ampio processo di revisione, il documento rinnova
l’impegno delle Chiese europee per l’unità, la pace, la giustizia, il dialogo
interreligioso e la cura del creato. Al centro, la testimonianza cristiana
condivisa e l’ascolto delle nuove generazioni - M. Chiara Biagioni
Con “un passo storico verso l’unità dei Cristiani”, la
versione aggiornata della Charta Œcumenica è stata presentata il 5 novembre a
Roma nella Chiesa del martirio di San Paolo presso l’Abbazia delle Tre Fontane
a Roma, dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dalla
Conferenza delle Chiese europee (Cec). Frutto di “un lungo e meticoloso
processo di revisione iniziato nel 2022”, “questo documento congiunto –
scrivono i due organismi europei in un comunicato – segna una tappa fondamentale
nel cammino ecumenico delle Chiese europee, rinnovando il loro impegno a
camminare insieme nel dialogo, nella comprensione reciproca e nella
testimonianza condivisa in risposta alle sfide del nostro tempo”. La Charta
aggiornata è stata firmata dall’Arcivescovo Nikitas di Thyateira e Gran
Bretagna, presidente del Cec, e da mons. Gintaras Grušas, Arcivescovo di
Vilnius e presidente del Ccee. Insieme, hanno rinnovato “il loro impegno a
costruire ponti tra le Chiese in Europa”.
“Questa Charta Œcumenica è una chiamata alla coscienza e
alla cooperazione”, ha affermato l’arcivescovo Nikitas. “Il nostro impegno
reciproco come Chiese non è astratto, ma si fonda su una fede condivisa,
vissuta nel dolore, nella divisione e nella speranza. In un’Europa frammentata
e secolarizzata, la Charta ci spinge a riscoprire la forza della nostra
comunione e l’urgenza della nostra missione”.
“Dobbiamo proclamare insieme il Vangelo, sostenere la
dignità umana e lavorare fianco a fianco per la giustizia, la pace e la cura
del creato. Questa è la nostra vocazione ecumenica: non solo parlare di unità,
ma viverla”.
L’arcivescovo Grušas ha sottolineato che l’aggiornamento
della Charta arriva in un momento cruciale per il cammino dell’Europa. “Le
nostre Chiese sono chiamate a essere segni di unità e di speranza, non solo a
parole ma anche nei fatti. Questa Charta ci permette di rispondere insieme alle
ferite della guerra, agli sfollamenti e alle sfide etiche poste dalle nuove
tecnologie. Ci esorta a camminare con umiltà, ad affrontare i fallimenti del
passato ed a creare spazi di guarigione e riconciliazione. Ci invita, inoltre,
ad ascoltare le voci dei giovani e a coinvolgerli nell’ideazione del percorso
futuro. Siamo più forti quando siamo uniti”.
Il documento affronta le urgenze del mondo di oggi, tra
cui la ricerca di pace e della riconciliazione, l’accoglienza dei migranti e
dei rifugiati, la salvaguardia urgente del creato e il rafforzamento delle
relazioni con le comunità ebraiche e musulmane. Firmata per la prima volta nel
2001, a Strasburgo, questa versione della Charta è stata sviluppata attraverso
un ampio e inclusivo processo di consultazione che ha coinvolto Chiese,
conferenze episcopali e organizzazioni ecumeniche in tutta Europa e oltre.
“Sebbene non abbia alcuna autorità legale o dottrinale –
precisano Cec e Ccee -, la sua forza risiede nell’impegno morale e spirituale
delle Chiese a riceverla e ad applicarla liberamente e in modo congiunto”.
Il testo si divide in 4 paragrafi: il primo è dedicato al
tema “Crediamo nella “una santa chiesa cattolica e apostolica” – “Chiamati
insieme all’unità nella fede”. Il secondo ha per titolo “In cammino verso
l’unità visibile delle chiese”, in cui i cristiani di tutte le Chiese sono
invitati a “muoversi gli uni verso gli altri”; “Testimoniare insieme”,
“Proseguire nel dialogo e agire insieme” e soprattutto a dare spazio ai
“giovani nelle Chiese e nell’ecumenismo”. Il terzo paragrafo affronta i diversi
“Ambiti di incontro in Europa”, esortando le Chiese a “partecipare alla
costruzione dell’Europa in un mondo che cambia”, a “rafforzare le relazioni con
gli ebrei e l’ebraismo”, “i musulmani e l’Islam” e a “interagire con altre
religioni e visioni del mondo”. Nel quarto paragrafo vengono indicati i diversi
“Ambiti di responsabilità e impegno condivisi in Europa”: impegno per la pace e
la riconciliazione; salvaguardia del creato; migranti, rifugiati e sfollati;
impegno con le nuove tecnologie.
“Al centro di tutto – spiegano Cec e Ccee – c’è l’impegno
a offrire una voce cristiana unita nella sfera pubblica, basata sulla
compassione, sulla giustizia e sulla responsabilità condivisa per il futuro
dell’Europa”. “Con uno spirito di umiltà e speranza – scrivono ancora i due
organismi ecumenici europei -, la Charta aggiornata non esita ad affrontare le
ferite del passato e i fallimenti istituzionali. Al contrario, offre una
rinnovata chiamata alla guarigione, alla responsabilità e alla trasformazione,
esortando i Cristiani a vivere la loro unità attraverso azioni e testimonianze
concrete”. Sir 6
“La
Risurrezione di Cristo fondamento della fede”
“L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e
sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia" - Di Veronica
Giacometti
Città del Vaticano. Tornano le catechesi dell’Anno
Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza” e questo mercoledì Papa Leone XIV
parla in particolare della “Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo
attuale. La Pasqua dà speranza alla vita quotidiana”.
In Piazza San Pietro il Pontefice incontra i tanti
pellegrini e dice loro che ogni giorno è Pasqua: “La Pasqua di Gesù è un evento
che non appartiene a un lontano passato, ormai sedimentato nella tradizione
come tanti altri episodi della storia umana. La Chiesa ci insegna a fare
memoria attualizzante della Risurrezione ogni anno nella domenica di Pasqua e
ogni giorno nella celebrazione eucaristica”.
“Sperimentiamo ora per ora tante esperienze diverse:
dolore, sofferenza, tristezza, intrecciate con gioia, stupore, serenità. Ma
attraverso ogni situazione il cuore umano brama la pienezza, una felicità
profonda”, commenta il Papa.
“L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e
sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia. Essa è il “Vangelo”
per eccellenza, che attesta la vittoria dell’amore sul peccato e della vita
sulla morte, e per questo è l’unica in grado di saziare la domanda di senso che
inquieta la nostra mente e il nostro cuore. L’essere umano è animato da un
movimento interiore, proteso verso un oltre che costantemente lo attrae.
Nessuna realtà contingente lo soddisfa”, dice Leone.
“E in Lui noi abbiamo la sicurezza di poter trovare sempre
la stella polare verso cui indirizzare la nostra vita di apparente caos,
segnata da fatti che spesso ci appaiono confusi, inaccettabili,
incomprensibili: il male, nelle sue molteplici sfaccettature, la sofferenza, la
morte, eventi che riguardano tutti e ciascuno. Meditando il mistero della
Risurrezione, troviamo risposta alla nostra sete di significato. Davanti alla
nostra umanità fragile, l’annuncio pasquale si fa cura e guarigione, alimenta
la speranza di fronte alle sfide spaventose che la vita ci mette davanti ogni
giorno a livello personale e planetario”, commenta il Pontefice.
“La Risurrezione di Cristo non è un’idea, una teoria, ma
l’Avvenimento che sta a fondamento della fede”, conclude il Papa questa
catechesi. Aci 5
“Inappropriato
usare il titolo di Corredentrice” per Maria
Presentato con una conferenza stampa il Documento
dottrinale su alcuni titoli mariani riferiti alla cooperazione di Maria
all’opera della salvezza: il titolo “Mater Populi fidelis” - Di Antonio Tarallo
Città del Vaticano. Una conferenza stampa necessaria,
quella di oggi, presso la Curia Generalizia dei Gesuti. Ad organizzarla, il
Dicastero della Dottrina della fede che ha diffuso oggi la Nota dottrinale su
alcuni titoli mariani riferiti alla cooperazione di Maria all'opera della
salvezza: il titolo “Mater Populi fidelis”, “Madre del popolo fedele”,
approvata e firmata da papa Leone XIV, il 7 ottobre 2025, nella “Memoria
Liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario”, e firmata dal cardinal Víctor
Manuel Fernández, prefetto dello stesso dicastero vaticano. Il documento
presenta anche la firma di monsignor Armando Matteo, Segretario per la Sezione
Dottrinale.
“Madre del popolo fedele”: e proprio al centro del
documento e dell'intervento del cardinale Fernández nella conferenza stampa è
la maternità di Maria. L'intervento del prefetto si è concentrato, infatti,
soprattutto sulla maternità di Maria. E sulla devozione mariana. Parla di
popolo di Dio, il porporato, evidenziando la fede e devozione “dei semplici”. E
in questa devozione è da trovarsi anche la Vergine Maria sotto l'aspetto
storico. Un altro punto evidenziato in conferenza: la devozione non è “esperienza
individualistica” perché vive dell'esperienza “comunitaria” sottolinea
Fernández. Poi, si concentra sul documento e, in particolare, su quella che può
essere considerata la vexata quaestio del termine “Corredentrice” riferito a
Maria. Un termine che non rispetta l'“armonia del messaggio cristiano”. Due, i
fondamentali testi della Scrittura che evidenziano l'inappropriatezza del
termine. Il primo, Atti degli Apostoli al capitolo 4,12: “In nessun altro c'è
salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale
è stabilito che possiamo essere salvati”. Il secondo testo, la Lettera di san
Paolo a Timoteo (5,6) : “Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo è il mediatore
tra Dio e gli uomini: l'uomo Gesù Cristo che ha dato sé stesso in riscatto per
tutti”. Questa, la Scittura. Dunque, non è possibile parlare di
“Corredentrice”. Semmai si può parlare di una “mediazione partecipata”
sottolinea il prefetto.
Presente alla conferenza anche don Maurizio Gronchi,
professore ordinario alla Pontificia Università Urbaniana, oltre che consultore
del dicastero. Gronchi ha esposto, nel particolare, i punti salienti del
documento. Fa riferimento al documento del Dicastero: "Nella Feria IV del
21 febbraio 1996, il Prefetto dell'allora Congregazione per la Dottrina della
Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, alla domanda se fosse accettabile la
richiesta del movimento Vox Populi Mariae Mediatrici, in vista di una definizione
del dogma di Maria come Corredentrice o Mediatrice di tutte le grazie, così
rispose nel suo votum particolare: «Negativo. Il significato preciso dei titoli
non è chiaro e la dottrina ivi contenuta non è maturazione Una dottrina
definita de fide divina appartiene al depositum fidei, cioè alla rivelazione
divina veicolata nella Scrittura e nella tradizione apostolica”. Dunque, in
sintesi: "Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di
Maria a Cristo nell'opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il
titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo
rischia di oscurare l'unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto,
può generare e squilibrio nell'armonia delle verità della fede cristiana,
perché «in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro
nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Ancora una
volta si fa riferimento agli Atti degli apostoli, al capitolo 4.
In ultimo, altro titolo approfondito: “Mediatrice”. E in
merito a questo, Gronchi - ancora una volta - cita il documento del Dicastero:
"Nel Concilio Vaticano II, il termine di mediazione si riferisce
soprattutto a Cristo e, talvolta, anche a Maria, sebbene in maniera chiaramente
subordinata. Di fatto, in riferimento a Lei si preferì usare una terminologia
differente, incentrata sulla cooperazione o sul soccorso materno". E
ancora: "La partecipazione di Maria all'opera di Cristo risulta evidente
se si parte da questa convinzione che il Signore risorto promuove, trasforma e
abilita i credenti affinché collaborino con Lui nella Sua opera. Ciò non
avviene per una debolezza, incapacità o necessità di Cristo stesso, ma proprio
per la sua gloriosa potenza, che è capace di coinvolgerci, con generosità e
gratuità, come collaboratori della sua opera".
In estrema sintesi, la "Nota" non fa altro che
ribadire ciò che la dottrina cattolica già insegna e che ha sempre messo bene
in luce: come tutto in Maria sia indirizzato alla centralità di Cristo e alla
sua azione salvifica. Aci 4
A
perenne ricordo di tutti i nostri defunti
Kempten. Sabato, 1° novembre 2025, nella chiesa di St.
Anton di Kempten, dalle 16:30 alle 18:00 sono stati onorati Tutti i Santi e
ricordati tutti i Defunti, in particolar modo tutti i nostri cari Congiunti e
Amici della nostra Comunità Cattolica Italiana di Kempten e dintorni. La
Celebrazione ha avuto inizio con la recita del S. Rosario, diretto dalla
Signora Leanza.
La S. Messa è stata celebrata dal Rettore delle Missioni
di Augsburg e Kempten, Padre Bruno Zuchowski, che, nella sua Omelia –a braccio–
ricordando tutti i Santi e spiegandone la loro pecularietà, non ha mancato di
ricordare –in particolar modo–tutti in nostri cari che ci hanno preceduto nella
vita eterna; i ritratti dei quali erano stati disposti davanti all'altare
precedentemente. Fotografie che rimarranno in chiesa per tutto il
mese di Novembre.
"I Santi", ha chiarito Padre Bruno, "Santi
non sono soltanto coloro che sono stati riconosciuti e proclamati nel corso dei
secoli dalla Chiesa; Santi sono anche tutti coloro che, avendo vissuto
rettamente la propria vita, avendo amato, goduto di momenti lieti, ma anche di
tristi situazioni –confidando costantemente nell'aiuto del Signore–,
(confidando nella Divina Provvidenza, come ricordava nel suo celebre romanzo I
Promessi Sposi il Manzoni), adesso godono della Sua ineffabile visione e ci
attendono –nell'ora in cui Egli vorrà – per raggiungerli ed essere per sempre
con tutti loro, in un modo che, noi, su questa terra, non possiamo, nemmeno
lontanamente, immaginare, ma solo fermamente sperare, in base alla nostra fede.
Al termine della Celebrazione sono stati dati anche
alcuni avvisi sulle prossime attività della Missione da parte della Segretaria
della Missione, Signora Giuseppina Baiano, che ha letto anche un saluto di Don
Giampiero Fantastico, il Missionario che –per sette anni– ha supportato
Padre Bruno, celebrando spesso la S. Messa per la nostra Comunità. La
Segretaria ha inoltre comunicato che il 2 Novembre ci ritroveremo alle 16:00,
per la recita del S. Rosario e per le preghiere per i nostri morti, nella
Cappella del Cimitero Cattolico della nostra città, dato che è prevista
pioggia. Padre Bruno ha aggiunto anche che è sua intenzione, poi, visitare
tutte le tombe dei nostri cari, anche nell'adiacente Cimitero Centrale.
I canti sono stati diretti –come sempre– dal
Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, coadiuvato dal
figlio Ruben e dalla Signora Gisella, che ha curato amorevolmente la
sistemazione delle fotografie dei nostri defunti.
Nella mattinata del 2 Novembre, io, non ho mancato di
assistere alla Celebrazione della S. Messa nella Basilica di St. Lorenz in
ricordo dei Defunti. Anche il Parroco, il Capitolare, Padre Thomas Rauch, ha
ripreso con tanti azzeccati paralleli l'argomento riguardante i nostri cari
scomparsi, che –come già affermato sopra– ci attendono, nel momento in cui il
Signore vorrà, per godere insieme con essi –in eterno– la Sua visione. Nel
corso del sacro Rito la Sacrista Antonia Kunze e uno dei chierichetti hanno acceso
un lumino ad ogni nome di defunto nominato dal Celebrante. Lumini, che molti
dei presenti ci siamo portati a casa a ricordo della Commemorazione.
Il pomeriggio dello stesso 2 novembre infine –come detto
precedentemente– la nostra Comunità si è incontrata nella Cappella del
Cimitero Cattolico, dove insieme ad altre preghiere dedicate, specificatamente
a ricordo dei Defunti, è stato recitato il S. Rosario, al termine del quale il
gruppo dei presenti abbiamo visitato alcune decine di tombe nei due cimiteri
cittadini. Tombe davanti alle quali abbiamo recitato il Padre Nostro e l'Eterno
Riposo conclusi con la Benedizione da parte di Padre Bruno.
Al termine il Rettore, la Signora Mangano e io ci siamo
accomiatati dal resto del gruppo e abbiamo continuato la serata con una
piacevole e gustosa cena nel ristorante Lagune delle nostre Amiche Angela e
Cettina Leocata. Titolari ricordate nel recente Opuscolo pubblicato dalle ACLI
BAVIERA in collaborazione con l'Amministrazione Comunale di Kaufbeuren e in
concomitanza con le Celebrazioni del 70° dei Patti Bilaterali tra Germania e
Italia per l'invio di manodopera da parte di ques'ultima. Poi, siamo ritornati
ognuno a casa nostra, un po' stanchi, ma contenti per aver pensato ai nostri
cari scomparsi, ma non per sempre! Defunti sempre vivi nei nostri pensieri.
Fernando A. Grasso, membro del Consiglio Pastorale
Note
storiche, le Grotte Vaticane dove sono sepolti i Pontefici
Storia, arte, devozione, in un complesso intreccio tra
antico e moderno accanto al sepolcro di Pietro. Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. Papa Leone XIV ieri pomeriggio si è
recato nella Grotte Vaticane per un omaggio ai Pontefici defunto che sono
seppelliti in quel luogo e ovviamente alla tomba del primo Pontefice, San
Pietro.
Ma cosa sono esattamente le Grotte? Quando la Basilica
Vaticana venne riedificata a partire dal 1506 Antonio da Sangallo il giovane
ebbe l'idea di rialzare il pavimento di tre metri, ma si deve arrivare alla
fine del secolo per vedere creato questo spazio che però era una cripta chiusa.
É dal 1600 che le Grotte iniziano a diventare quello che sono ora. Nascono le
cappelle e gli oratori con opere d'arte e antiche vestigia recuperate tutto
intorno alla tomba di Pietro. In tempi più moderni inizia anche l'uso delle
Cappelle Nazionali. Per i Pontefici era significativo farsi seppellire
"acconto" a San Pietro. E così per la sepoltura di Pio XI si
iniziarono anche degli scavi che diedero nuova luce alla tomba dell' Apostolo.
Così le Grotte vennero restaurate per diventare come le vediamo oggi. Ma sotto
alle Cappelle c'è anche la Necropoli romana. Quella dove era appunto la tomba
di Pietro. Oggi si visitano sia le Grotte con l'arte barocca e contemporanea,
sia la zona della Necropoli romana con un percorso quindi sia devozionale sia
archeologico di grande significato.
La basilica vaticana sorge sul luogo della tomba di
Pietro, in una necropoli lungo la via Trionfale bene lontana da quello che al
tempo era il centro della città. Il Vaticano era un luogo malsano e nella zona
c'erano solo alcune ville e molte tombe.
La cristianità ha cambiato tutto e, secondo le abitudini
dei primi cristiani, era molto importante essere sepolti vicino un martire. Da
qui l'interesse per rendere le Grotte un luogo speciale.
Oggi, nell'itinerario di visita, si arriva anche a delle
sale museo che spiegano e raccontano la storia di questi luoghi e che
permettono una devozione continua. Ogni giorno si celebrano messe in tutte le
Cappelle e gli oratori, ogni giorno si prega davanti alla tomba di qualche
pontefice, ogni giorno si rivolge il pensiero al Pescatore di Galilea. Rilievi,
iscrizioni, sarcofagi, statue, mosaici, affreschi, sono al di sotto della
grande basilica, in due livelli. Il primo quello delle Grotte, e più in basso quello
della Necropoli. La storia di Roma e della Chiesa scorre tra queste pietre. Aci
4
Avvento:
un cammino di volti, per scoprire il significato dell’attesa
Il Servizio per la promozione del sostegno economico alla
Chiesa cattolica, nell’ambito di Uniti nel dono, propone quest’anno un modo
nuovo di vivere l’Avvento.
Un villaggio contemporaneo per attendere il Natale, un
percorso quotidiano fatto di personaggi, parole, storie e condivisione che
accompagna i fedeli fino al 25 dicembre.
Attraverso due strumenti complementari, uno cartaceo e
uno digitale, l’iniziativa invita a riscoprire l’attesa come cammino concreto e
attivo verso il Natale.
Il calendario cartaceo, proposto quest’anno in una
modalità del tutto inedita, riprende la tradizione del calendario dell’Avvento
per trasformarla in un racconto contemporaneo: un villaggio illustrato che
prende vita giorno dopo giorno, popolato da persone e storie di oggi.
Ogni personaggio rivela un volto, un gesto, una parola,
collegandosi attraverso QR code alle testimonianze reali di sacerdoti e
comunità, segni vivi della Chiesa che cammina nel mondo.
Accanto alla versione cartacea, il calendario digitale
propone ogni giorno una nuova pagina da scoprire: un personaggio del presepe
contemporaneo, la storia di un sacerdote, il Vangelo del giorno e, ogni
domenica, un dono speciale per rilanciare il cammino di attesa condividendo un
particolare momento di riflessione. Un appuntamento quotidiano che accompagna
il credente nel ritmo dell’Avvento, ricordando che “attendere è andare verso”.
Sin dal 1° novembre è possibile iscriversi alla
piattaforma dedicata - unitineldono.it/calendarioavvento - per accedere al
calendario e ricevere, a partire dal 30 novembre, una newsletter che guiderà
giorno dopo giorno nel cammino di attesa.
Sulla pagina sarà inoltre possibile seguire il percorso, scaricare
i materiali (mappa e personaggi da stampare) e condividere l’esperienza con
l’hashtag #andareverso.
Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per
la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, sottolinea: “Il
Calendario dell’Avvento fa ormai parte della tradizione di molte famiglie, ma
noi abbiamo voluto proporlo in una veste nuova per invitare i fedeli a
interrogarsi sul significato più profondo dell’attesa. Il nostro Calendario
propone la riscoperta di un cammino, quel volgere l’animo verso ‘Colui che
viene ad abitare in mezzo a noi’. Un’esperienza che unisce fede, creatività e partecipazione.
In cui ogni giorno, nell’attendere, possiamo scoprire che il Natale accade
proprio lì dove l’incontro diventa dono.”
Il progetto, concepito e realizzato con Bea – Be a Media
Company, agenzia specializzata in progetti di comunicazione strategica e
narrazione d’impresa, nasce all’interno di Uniti nel dono, che promuove la
vicinanza e il sostegno ai sacerdoti. Sostenere il calendario significa
contribuire alla missione di coloro che ogni giorno animano la vita delle
comunità: l’attesa del Natale diventa un cammino di corresponsabilità, fatto di
piccoli gesti, preghiera e attenzione agli altri. Dip 4
I
giovani di origine straniera protagonisti silenziosi della trasformazione
dell’Italia
Il commento al XXXIV Rapporto Caritas Migrantes - Di
Simone Baroncia
Roma. I giovani di origine straniera, nati o cresciuti in
Italia, sono i protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia; quindi
non solo destinatari di interventi, ma generatori di speranza, portatori di
identità plurali e di un futuro da costruire insieme, come ha sintetizzato il
messaggio della XXXIV edizione del ‘Rapporto Immigrazione’, realizzato da
Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, intitolato ‘Giovani, testimoni di
speranza’.
Ad uno dei coordinatori di questo rapporto, Simone
Varisco, abbiamo chiesto il motivo per cui il rapporto sull’immigrazione
di quest’anno è intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza'.
“Il titolo dell’edizione 2025 del Rapporto Immigrazione
di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes vuole richiamare il fatto che i
giovani con background migratorio, di origine straniera, rappresentano
generazioni ‘ponte’: nascono o crescono in Italia, praticano la lingua e la
cultura italiane, frequentano la scuola, fanno sport e attivismo politico e
contribuiscono a costruire il futuro del Paese. Sono ‘testimoni di speranza’
perché mostrano che la partecipazione non è un’utopia, ma una realtà già in atto
da tempo, fatta di amicizie, studio, lavoro e cittadinanza. E poi è l’anno del
Giubileo dedicato alla speranza, che non delude”.
Ma gli immigranti sono veramente una ‘risorsa’ per
l’Italia?
“Se anche volessimo limitarci al solo piano economico,
l’apporto dei contribuenti stranieri alle casse pubbliche nel 2023 è di €
41.100.000.000 di entrate (contributi sociali netti, tasse, IVA, consumi, spese
burocratiche), contro € 39.900.000.000 di uscite: vale a dire un saldo positivo
di € 1.200.000.000. Gli occupati stranieri generano € 177.200.000.000 di valore
aggiunto, pari al 9% del Pil nazionale. Sono fondamentali in settori quali
l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza familiare e la sanità. Inoltre,
l’imprenditoria straniera è in crescita. Ci sono poi i contributi che vengono
sul piano demografico e strutturale: nascite, giovani, la presenza nelle
scuole. Non dimentichiamo, però, che accanto agli apporti più ‘materiali’ è
importante ricordare il valore immateriale – ma concreto – della presenza di
persone di origine straniera in Italia sul piano umano, culturale, non da
ultimo anche spirituale: sono quasi un milione gli stranieri che stimiamo
essere cattolici, che ridanno linfa a comunità locali spesso svigorite; insieme
a ortodossi, evangelici, copti e appartenenti ad altre confessioni, i cristiani
nel loro complesso sono ancora la maggioranza assoluta fra gli stranieri
(51,7%)”.
Quali sono le strade da percorrere per
l’integrazione?
“La prima è chiarire, intanto, cosa si intenda per
‘integrazione’: se una semplice assimilazione oppure un’autentica
partecipazione alla vita del Paese, con diritti e doveri. Solo quest’ultima è
in grado di cogliere il valore aggiunto dell’immigrazione. Le strade per
arrivarci sono molte: dall’istruzione, anche linguistica, al lavoro dignitoso,
contrastando le forme di sfruttamento e valorizzando le competenze; dalla
partecipazione civica e culturale, con percorsi di cittadinanza e il
coinvolgimento nelle comunità locali, al dialogo interculturale e
interreligioso”.
In quale modo è possibile sconfiggere l’immigrazione
irregolare?
“Alla prova dei fatti, muri e respingimenti si sono
rivelati inefficaci. Gran parte dell’immigrazione irregolare è creata da iter
burocratici complessi e talvolta schizofrenici, innescati da una legge quadro
incongruente. Serve una politica lungimirante che garantisca canali legali di
ingresso in Italia, accordi di cooperazione con i Paesi di origine e corridoi
umanitari per chi fugge da guerre e persecuzioni. Così si toglierà spazio ai
trafficanti e si offrirà sicurezza sia alle persone migranti sia alla società
accogliente”.
Papa Leone XIV al giubileo dei rom, sinti e camminanti ha
lanciato l’invito ad essere protagonisti del cambiamento d’epoca: hanno il
coraggio?
“Il coraggio c’è, e si vede nelle tante storie di
famiglie rom, sinti e camminanti che scelgono di investire nell’istruzione dei
figli, nel lavoro regolare, nella partecipazione sociale. Non mancano,
naturalmente, ombre, questioni irrisolte, devianza, prodotte anche dalla
marginalità. Essere protagonisti del cambiamento significa uscire dai margini e
contribuire al bene comune. Molti già lo stanno facendo, spesso in silenzio, e
molto resta ancora da fare.
La Chiesa e la società civile hanno il compito di
accompagnarli, e laddove necessario sostenerli, in questo cammino. Rimane una
consapevolezza, che si fa auspicio: ‘Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma,
sotto certi aspetti, voi siete al cento, voi siete nel cuore. Voi siete nel
cuore della Chiesa, perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa’, come ebbe
a dire nel 1965 Paolo VI al raduno internazionale dei popoli romaní a Pomezia”.
La
preghiera per i defunti. La morte non è la fine
L'omelia della Liturgia del giorno di S.E. Monsignor
Francesco Cavina
Oggi la Chiesa si raccoglie in preghiera per ricordare
con amore e con speranza tutti i fedeli defunti. Dopo la gioia della festa di Tutti
i Santi, il 2 novembre ci invita a volgere lo sguardo a coloro che ci hanno
preceduti nella Casa del Padre, affidandosi totalmente alla misericordia di
Dio. Non è, dunque, un giorno di tristezza, ma di speranza. La fede ci insegna
che la morte non è la fine, ma il passaggio verso la vita piena in Dio. Lo
proclama con efficacia uno dei Prefazi dei defunti: “Ai tuoi fedeli, Signore,
la vita non è tolta, ma trasformata.”
Questa celebrazione nasce nel cuore della vita monastica,
attorno all'anno 1000. Fu l'abate sant' Odilone di Cluny a stabilire che, dopo
la festa di Tutti i Santi, i monaci offrissero preghiere e Messe per tutte le
anime dei defunti. L'efficacia della preghiera per i defunti nasce da un grande
e gioioso mistero: la comunione dei santi. I cristiani costituiscono il Corpo
di Cristo che è la Chiesa, la quale non è formata solo dai battezzati qui in
terra (chiesa pellegrinante), ma anche da coloro che già godono della felicità
eterna (Chiesa trionfante) e da coloro che si trovano nel Purgatorio dove -
come dice Dante nella Divina Commedia - le anime vanno " a farsi belle
" (Purgatorio II, 75 e 123) perché come scrive il Libro dell'Apocalisse,
nella Gerusalemme celeste “ non entrerà nulla d ' impuro” (Ap 21,27).
La Chiesa prega per i defunti perché crede nella
misericordia di Dio e nel bisogno di purificazione di chi, pur morte nella
grazia di Dio, porta con sè le ferite causate dal peccato e dall'imperfezione
del nostro pentimento. I l Purgatorio, dunque, non è castigo, ma luogo di
speranza, dove l'anima si lascia purificare dall'amore di Dio per poterlo
contemplare nella sua pienezza. E le nostre preghiere, le Messe che facciamo
celebrare, i sacrifici offerti per loro con amore possono davvero aiutare
queste anime nel loro cammino verso la luce eterna. Lo afferma la Scrittura: “È
cosa santa e salutare pregare per i defunti, perché siano assolti dai loro
peccati” (2 Mac 12,45).
E non preghiamo solo per quelli che abbiamo conosciuto:
la Chiesa ci invita a pregare per tutte le anime, anche quelle dimenticate,
quelle che non hanno nessuno che le ricordi. Pregare per i defunti è, in fondo,
un atto di amore che non si ferma davanti alla tomba, ma continua a operare
anche oltre la morte. Quando preghiamo per i nostri cari, diciamo loro:
"Non ti ho dimenticato. Ti porto ancora nel cuore e ti affido alla
misericordia di Dio".
Ma la comunione dei santi non è un senso unico. E qui
comprendiamo quanto sia grande e bella la nostra fede. Non siamo noi soli a
pregare per i nostri fratelli defunti: anche loro pregano per noi, ci
accompagnano e ci aiutano con la loro preghiera. Come insegna il Catechismo
della Chiesa Cattolica (n. 958): “La nostra preghiera per loro può non solo
aiutarli, ma rendere efficace la loro intercessione per noi ”. Mentre noi
offriamo preghiere e sacrifici per la loro purificazione, essi ricambiano
pregando per la nostra fedeltà, per la nostra conversione, per la nostra
salvezza. È questa la Chiesa: una grande famiglia unita dal Sangue di Cristo,
dove nessuno è dimenticato e nessuno pensa a se stesso. Portiamo dunque davanti
all'altare i volti ei nomi di coloro che amiamo per affidarli alla misericordia
di Dio e affidarci, a nostra volta, alla loro preghiera discreta e
potente.
E' stato detto che il silenzio dei morti pesa sui vivi,
ma dopo Cristo la morte è cristiana, cioè è sottomessa alla Vita. Commemorare
ii defunti, allora, significa anche rinnovare la nostra fede nella risurrezione
e nella vita eterna . Gesù ci ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25). I santi vivono la morte con
serenità, nella letizia di rinascere nel mondo vero. Scrive san Cipriano: Che
felicità, che gioia…chiudere in un istante gli occhi che prima vedevano gli
uomini e il mondo, e riaprirli subito per vedere Dio, il Cristo! Come appare
rapido questo passaggio alla felicità (Memoria di san Callisto, Ufficio di
Letture).
Preghiamo la Vergine Maria, Madre della Speranza, perché
accompagni i nostri cari verso la gioia del Paradiso, e ci insegni a vivere con
lo sguardo rivolto al Cielo, certi che in Cristo la morte è solo una porta che
si apre sulla vita. Aci
2
Weihbischof
Christoph Hegge greift den Grundtenor des Evangeliums auf: Seid wachsam, kehrt
um. Das Evangelium sollte das Drehbuch für unser Leben sein, da steht drin, wie
Christsein geht. Weihbischof Dr. Christoph Hegge
Mt
24,37-44
1.
Advent (A)
„Seid
wachsam!“ Dieser Aufruf zu Beginn der Adventszeit bildet den Grundakkord der
Schilderung Jesu von der gewaltigen kosmischen Vision vom Ende der Welt. Mond,
Sonne und Sterne werden erschüttert, die Menschen leben in großer Not und
Angst, der Menschensohn erscheint auf den Wolken des Himmels in Macht und
Herrlichkeit bei lautem Posaunenschall. Die Wiederkunft des Erlösers steht
unter der definitiven Heilszusage Jesu: „Himmel und Erde werden vergehen, aber
meine Worte werden nicht vergehen.“ (Mt 24, 35)
Im
Weltgericht wird der Menschensohn mit seinem Leben und seinem Zeugnis der Liebe
und Barmherzigkeit zum Richter der Welt. Seine selbstlose Liebe, seine
Lebenshingabe wird zum Maßstab jeglicher Geschichte. Daher ist die Aufforderung
Jesu: „Seid wachsam!“, „Haltet auch ihr euch bereit!“ ein Aufruf zur Umkehr
unserer Herzen, zum entschiedenen Eintritt in die Haltung der Liebe und des
Dienstes Jesu Christi für den Frieden, für die Einheit des Menschengeschlechts,
für die Gerechtigkeit, die allen Menschen widerfahren soll. Mit dem Tod und der
Auferstehung Jesu Christi und seiner Geistsendung am Pfingstfest hat die
Endzeit begonnen und die gesamte Menschheit geht der Fülle des Lebens in Jesus
Christus entgegen, der im Kommen ist.
„Leben
aus dem Geist Jesu Christi können wir nicht terminieren oder delegieren. Leben
in der Nachfolge Christi meint das „Hier und Jetzt“ meines Lebens“
„Seid
also wachsam! Denn ihr wisst nicht, an welchem Tag euer Herr kommt.“ (Mt 24,
42). Leben aus dem Geist Jesu Christi können wir nicht terminieren oder
delegieren. Leben in der Nachfolge Christi meint das „Hier und Jetzt“ meines
Lebens, meint den heutigen Tag, meine aktuelle Lebensstunde. Diese Dramatik
spricht aus den Worten der Mystikerin Chiara Lubich, wenn sie schreibt: „Wenn
du wüsstest, wen du in dir trägst! Wenn du für Ihn alles lassen würdest! Wenn
du doch dieses kurze Leben, das jeden Augenblick vergehen kann, Gott zuwenden
würdest. …Also, dich verlieben würdest in Gott… Lebe für Ihn. Gott wird binnen
weniger Jahre alles für dich sein, sobald dieses kurze Leben vorbei ist. Wirf
dich in Ihn hinein!“
Bedürftige
in Liebe aufrichten
„Seid
wachsam“ bezeichnet daher die Haltung derjenigen Jüngerinnen und Jünger, die
Jesus nachfolgen und an seinem Wort festhalten, das nicht vergehen wird. Und
seine Worte kennen wir: Den Nächsten lieben, einander dienen, wie Jesus es uns
vorgemacht hat, miteinander teilen, die Armen, die Notleidenden an unseren
Tisch einladen, Trauernde trösten und die Bedürftigen in Liebe aufrichten.
Wachsamkeit,
Bereitschaft im Sinne Jesu bedeutet: Leben aus seinem Wort, aus seiner
Botschaft; bedeutet: mit unserem Herzen, unserem Denken und Handeln für unsere
Mitmenschen ein „anderer Jesus sein“, also geradezu SEINE Lebenshaltung
annehmen und bezeugen,
bedeutet
schließlich: unsere Mitmenschen gewissermaßen mit den „Augen Jesu“ anschauen
und – wie der barmherzige Samariter – dem Notleidenden zum Nächsten werden,
sodass er in uns die Liebe Jesu Christi wiederentdecken kann.
Eintauchen
in das Leid der noch Unerlösten
Gerade
im Advent wird uns bewusst, dass sich viele Völker der Erde im Elend befinden
und viele Nationen miteinander im Krieg liegen. Mehr noch: Wir können
wahrnehmen, wie in unserer Gesellschaft, in unserer konkreten Umgebung, Gewalt,
Ausgrenzung und Egoismus zunehmen. Hier liegt die Herausforderung, dass wir als
getaufte und erlöste Christen in das Leid und die Sehnsucht der noch unerlösten
Menschen eintauchen, dass wir nicht nur Zuschauer sind, sondern selbst helfen
und teilen, wo es möglich ist und darin Christus, unserem Messias und Erlöser
nacheifern, der gekommen ist, nicht um sich bedienen zu lassen, sondern um zu
dienen und sein Leben hinzugeben als Lösegeld für viele.
„Wo
sind wir heute diese Christinnen und Christen, diese Gemeinschaften und
Gemeinden, die aus der Kraft des Geistes Jesu Christi die Wunden der Welt zu
heilen helfen?“
Wo
sind wir heute diese Christinnen und Christen, diese Gemeinschaften und
Gemeinden, die aus der Kraft des Geistes Jesu Christi die Wunden der Welt zu
heilen helfen? Als Getaufte und Gefirmte leben wir bereits im Licht und in der
Wahrheit der Botschaft Jesu Christi, so dass uns sein „Tag der Wiederkunft“
nicht mehr überraschen kann. Im Licht seiner Worte, die nicht vergehen,
bereiten wir uns im Glauben und in der Liebe auf seine Ankunft vor.
Das
Evangelium als Drehbuch für unser Leben
Denn
die Worte Jesu sind gelebte Erfahrung der Liebe Gottes zu uns Menschen und der
Liebe der Menschen untereinander. Darum ist das gesamte Evangelium Jesu wie
eine Art „Drehbuch“ für unser Leben. Wir selbst sollen mit unserem Leben noch
einmal wiederholen, was Jesus für uns Menschen getan hat und welche unendliche
Liebe Gottes unter uns lebendig ist, wenn wir einander begegnen, wie er es uns
vorgemacht hat. Daher kann keiner und keine unter den Christen heute sagen, er
oder sie wüsste nicht, wie Christsein geht.
Denn
Gott selbst hat es uns in Jesus Christus vorgemacht, mit beiden Beinen auf der
Erde und mit einem unendlich großen Herzen für alle Menschen.
Was
tue ich heute aus der Kraft der Liebe Christi?
Leben
aus den Worten Jesu, „die nicht vergehen“ stellt uns Christen vor die konkrete
Frage: Was tue ich heute aus der feurigen und in mir brennenden Kraft der Liebe
Christi, um das Reich Gottes in dieser Welt, in meiner konkreten Umgebung
sichtbar, erfahrbar und berührbar werden zu lassen?
Christen,
die miteinander aus den Worten Jesu leben, Gemeinden und Gemeinschaften, die
Jesu Gerechtigkeit, seine Barmherzigkeit und seinen Frieden in den Mittelpunkt
ihrer Beziehungen stellen, stoßen vielleicht auf Widerstand, aber sie sind
zugleich Zeuginnen und Zeugen des anbrechenden Gottesreiches. Sie haben es
nicht nötig, sich mit den Waffen dieser Welt zu verteidigen, denn sie leben mit
einem „abgerüsteten Herzen“ und lieben ihre Nächsten mit entwaffneten und
entwaffnenden Worten und Gesten.
Aus
der Hoffnung leben, die nicht trügt
Wer
so lebt, braucht keine Sorge zu haben vor der Wiederkunft des Herrn, denn er
weiß sich in jedem Augenblick seines Lebens angeschaut vom Blick der
überwältigenden Liebe Jesu Christi, der ihn umarmt. Wer so in den Advent des
eigenen Lebens hineingeht, der spürt die innere Kraft, nicht in Wunden und
Verletzungen unterzugehen, sondern bereits heute - „jenseits der Wunden“ – aus
einer Hoffnung zu leben, die nicht trügt.
„Seid
wachsam!“, „Haltet euch bereit!“ Mit diesem Aufruf Jesu zu Beginn der
Adventszeit soll uns im Herzen aufgehen: Jesus Christus ist immer neu der
Kommende: Im Wort, das er zu uns spricht; in den Sakramenten, die wir
empfangen; in der Schwester und im Bruder, denen wir dienen. Darum lasst uns,
wie es im Tagesgebet zum 1. Advent heißt, „dem kommenden Christus entgegengehen
und uns durch Taten der Liebe auf seine Ankunft vorbereiten“.
(Radio
Vatikan - Redaktion Claudia Kaminski 29)
Leo XIV. in Istanbul: Eindringliche Predigt über die 3 Brücken der Einheit
Papst
Leo XIV. hat seine erste Apostolische Reise an diesem Samstag mit einer
Heiligen Messe in der Volkswagen Arena in Istanbul fortgesetzt. Der
Gottesdienst zum Ersten Advent, am Vorabend des Andreas-Tages (Schutzpatron der
Türkei/Türkiye), stand im Zeichen des 1.700-jährigen Jubiläums des Konzils von
Nizäa. In seiner Predigt rief der Papst die Gläubigen dazu auf, Zeugen der
Einheit und Friedensstifter in der Welt zu sein. Mario Galgano - Vatikanstadt
Der
Papst erinnerte daran, dass das Konzil von Nizäa einst feierlich verkündet
hatte, dass Jesus „gezeugt, nicht geschaffen, eines Wesens mit dem Vater“ sei,
und nutzte die biblischen Lesungen des ersten Adventssonntags als Basis für
seine Predigt.
Der
Aufruf zur inneren Erneuerung
Zunächst
lud Papst Leo XIV. zur Erneuerung der persönlichen Glaubenskraft ein. Das Bild
vom Berg Zion, der „höchste der Berge“, stehe als Ort des Lichtes und des
Friedens und symbolisiere eine Gemeinschaft, deren Freude am Guten ansteckend
sei.
„Wenn
wir den Menschen, denen wir begegnen, wirklich helfen wollen, dann sollten wir
auf uns selbst achtgeben“, mahnte der Papst. Er rief dazu auf, die „Werke der
Finsternis abzulegen“ und „die Waffen des Lichts anzulegen“, um bereit zu sein
für den Herrn, der jeden Tag an unsere Tür klopfe.
„Wenn
wir den Menschen, denen wir begegnen, wirklich helfen wollen, dann sollten wir
auf uns selbst achtgeben“
Die
drei Brücken über den Bosporus als ökumenisches Symbol
Das
zentrale Bild der Predigt war das der Brücken, das der Papst von Istanbul
ableitete - die Stadt steht auf zwei Kontinenten. Die drei großen Brücken über
den Bosporus seien zwar beeindruckend, aber „doch so klein und zerbrechlich“,
wenn man sie mit den riesigen Gebieten vergleiche, die sie verbinden.
Diese
dreifache Überbrückung des Meeres sei ein Sinnbild für das gemeinsame Streben
nach Einheit, das auf drei wesentlichen Ebenen erfolgen müsse, so Leo.
Highlights
der Messe
Erstens
innerhalb der katholischen Gemeinschaft: In der Türkei vereine die Kirche vier
verschiedene liturgische Traditionen - lateinisch, armenisch, chaldäisch und
syrisch. Die Einheit, die sich um den Altar festige, sei ein Geschenk Gottes.
Ihre Umsetzung erfordere jedoch „Pflege, Aufmerksamkeit und ‚Instandhaltung‘“,
damit ihre Fundamente stabil blieben.
Zweitens
im ökumenischen Dialog: Der gemeinsame Glaube an den Erlöser verbinde alle
Christen. Die Anwesenheit von Vertretern anderer Konfessionen sei ein wichtiges
Zeugnis dafür. Papst Leo XIV. erinnerte an das gemeinsame Gebet vom Vortag in
?znik (Nizäa) und erneuerte das Ja zur Einheit, „‚damit alle eins sind‘ (vgl.
Joh 17,21), ‚ut unum sint‘“.
Und
drittens im interreligiösen Dialog: Die Verbindung zu den Anhängern
nichtchristlicher Gemeinschaften sei entscheidend. Angesichts einer Welt, in
der Religion zu oft zur Rechtfertigung von Gewalt missbraucht werde, müssten
Gläubige „die Mauern der Vorurteile und des Misstrauens einreißen“ und alle
Menschen einladen, „Friedensstifter“ zu sein.
Der
Papst schloss seine Predigt mit dem Appell, diese Werte in der Adventszeit als
Vorsatz für das persönliche und gemeinschaftliche Leben anzunehmen: „Behalten
wir immer beide Ufer im Blick, auf dass wir Gott und unsere Brüder und
Schwestern von ganzem Herzen lieben, gemeinsam weitergehen und uns eines Tages
alle im Haus des Vaters wiederfinden.“ (vn 29)
Papst prangert in Istanbul fehlenden Respekt für ältere Leute an
Papst
Leo XIV. hat mangelnden Respekt für Seniorinnen und Senioren beklagt: „In
vielen Bereichen der Gesellschaft, in denen Effizienz und Materialismus
vorherrschen, ist der Respekt vor den älteren Menschen verloren gegangen",
sagte das katholische Kirchenoberhaupt am Freitagvormittag beim Besuch einer
von Ordensfrauen betriebenen Sozialeinrichtung für ältere Menschen in
Istanbul. Stefanie Stahlhofen –
Vatikanstadt
„Die
Heilige Schrift und die guten Traditionen lehren uns jedoch, dass – wie Papst
Franziskus immer wieder gern sagte – die Alten die Weisheit eines Volkes sind,
ein Reichtum für die Enkel, für die Familien, für die gesamte
Gesellschaft!",sagte das katholische Kirchenoberhaupt unter Berufung auf
seinen Vorgänger im Amt. Von Franziskus, der am Ostermontag gestorben war, hat
Papst Leo XIV. diese, seine erste Auslandsreise, die ihn vom 27. November bis
zum 30. November in die Türkei (Türkiye) und anschließend bis 2. Dezember in
den Libanon führt, übernommen.
Am
2. Reisetag in der Türkei besuchte Papst Leo XIV., der selbst vor kurzem 70
geworden ist, diesen Freitagmorgen eine Sozialeinrichtung für ältere
Menschen der Kleinen Schwestern der Armen in Istanbul. Die Kleinen Schwestern
der Armen sind ein katholischer Orden, der im Jahr 1839 von der
Heiligen Jeanne Jugan gegründet wurde und sich besonders um bedüftige ältere
Leute kümmert.
Das
Geheimnis der Nächstenliebe
In
der Kapelle des Seniorenzentrums, wo sich Mitarbeiter, Betreute und Helfer
versammelt hatten, würdigte der Papst die Ordensfrauen mit den Worten:
„Liebe
Schwestern: Ihr nennt euch ,Kleine Schwestern der Armen`. Ein sehr schöner
Name, der zum Nachdenken anregt! Ja, der Herr hat euch nicht nur gerufen, den
Armen beizustehen oder zu helfen. Er hat euch berufen, ihnen ,Schwestern` zu
sein! Wie Jesus, den der Vater zu uns gesandt hat, nicht nur, damit er uns
hilft und uns zu dient, sondern damit er unser Bruder ist. Das ist das
Geheimnis der christlichen Nächstenliebe: Bevor man für andere da
ist, muss man mit ihnen sein, in einer Gemeinschaft, die auf Geschwisterlichkeit
beruht."
„Das
ist das Geheimnis der christlichen Nächstenliebe: Bevor man für andere da ist,
muss man mit ihnen sein, in einer Gemeinschaft, die auf Geschwisterlichkeit
beruht“
All
dies leben die Ordensfrauen in der Senioren-Einrichtung in Istanbul und
andernorts inzwischen schon seit mehr als 120 Jahren. Heute sind die
Kleinen Schwestern der Armen in mehr als 30 Ländern weltweit vertreten. Die
Leiterin des Seniorenzentrums verlas ein Grußwort auf Englisch, das sie im
Namen der Mutter Oberin und des ganzen Ordens sowie aller Besucher dankend für
die Visite an Papst Leo XIV. richtete:
„Die
älteren Bewohner, die wie Familienmitglieder unser Leben in diesem Heim teilen,
empfinden dies ebenfalls als große Ehre. Ihr Leben, das oft von Not und Leid
geprägt war, kann heute bezeugen, dass Gott sie unendlich liebt, indem er ihnen
diese Freude und dieses Privileg schenkt. Auch unsere Mitarbeiter, Freunde und
Wohltäter, die hier anwesend sind, gehören zu dieser Familie."
Papstbesuch
als Stärkung im Glauben - und Zeichen der Liebe für Ältere und Bedürftige
Der
Papst sei „im Namen Christi und seiner Kirche gekommen", um die
katholische Kirche und die Christen in der Türkei im Glauben zu bestärken, so
die Leiterin des Seniorenzentrums weiter. Die heutige Türkei zählt zu den
wichtigsten Regionen des frühen Christentums; inzwischen sind jedoch mehr als
99 Prozent Muslime. Papst Leo XIV. gebe durch seinen Besuch bei den
älteren Menschen „ein besonderes Zeugnis für die unermessliche Liebe des
Herzens Jesu zu einigen der schutzbedürftigsten und oft gebrechlichsten Mitgliedern
der heutigen Gesellschaft" - „Danke, Heiliger Vater, dass Sie diesen
Besuch bei den älteren Menschen in Ihr Programm aufgenommen haben. Damit
unterstreichen Sie die wahre Bedeutung der Fürsorge für ältere Menschen in
unserer heutigen Welt."
,
dass Sie diesen Besuch bei den älteren Menschen in Ihr Programm aufgenommen
haben. Damit unterstreichen Sie die wahre Bedeutung der Fürsorge für ältere
Menschen in unserer heutigen Welt“
Auch
Papst Leo XIV. versäumte es nicht, zum Ende seines Grußwortes noch einmal allen
zu danken: „Ein doppeltes Dankeschön also gilt diesem Haus, das im Namen
der Geschwisterlichkeit andere aufnimmt und dies mit den älteren Menschen tut.
Das ist – wie wir wissen – nicht einfach, es erfordert viel Geduld und viel
Gebet. Deshalb wollen wir zum Herrn beten, er möge euch begleiten und
beistehen, und ihn um seinen Segen bitten. "
Es
folgte ein gemeinsames Ave Maria; dann trug sich der Papst ins Goldene Buch ein
und es gab einen Geschenkeaustausch. (vn 28)
Türkei: Christen erinnern an Konzil vor 1.700 Jahren
Es
war einer der Höhepunkte seiner ersten Auslandsreise: Papst Leo XIV. hat in der
türkischen Stadt Iznik an einem ökumenischen Treffen teilgenommen. Es markierte
das Gedenken an das Konzil von Nizäa, das dort vor 1.700 Jahren stattgefunden
hat. Stefan von Kempis – Vatikanstadt
Abwechselnd
auf Griechisch und auf Latein sangen die Chöre, als christliche Verantwortliche
der unterschiedlichsten Couleur sich feierlich auf einem Steg am See von Iznik
trafen: Papst und Patriarchen, Kirchenoberhäupter, Präsidenten oder
Generalsekretäre christlicher Weltgemeinschaften, Vertreter ökumenischer
Organisationen. Umgeben von den Resten einer antiken Basilika und eines
kaiserlichen Palastes entzündeten sie Kerzen vor einer Ikone. Im Jahr 325 hat
Kaiser Konstantin hier das erste allgemeine Konzil der Christenheit
zusammengetrommelt; es formulierte den Großteil eines Glaubensbekenntnisses,
das auch heute noch nahezu alle Christen untereinander verbindet. Eine
Weltreligion blickt zurück auf ihre Anfänge.
„Wir
sind hier, um lebendiges Zeugnis für denselben Glauben abzulegen, den die Väter
von Nizäa bekundet haben.“ Das sagte der Ökumenische Patriarch von
Konstantinopel, Bartholomaios I., in seiner Begrüßungsrede.
Zurück
an die Quelle
„Wir
kehren zu dieser Quelle des christlichen Glaubens zurück, um voranzuschreiten.
Wir erfrischen uns an diesen Wassern der Ruhe, um Kraft für die vor uns
liegenden Aufgaben zu schöpfen. Die Kraft dieses Ortes liegt nicht in dem, was
vergeht, sondern in dem, was ewig währt. In Nizäa hat die Geschichte Zeugnis
abgelegt für die Ewigkeit, für die Tatsache, dass unser Herr und Erlöser Jesus
Christus wahrer Gott von wahrem Gott ist, eines Wesens mit dem Vater (?????????
?? ?????).“
Damit
war eine der entscheidenden christologischen Formulierungen aufgerufen, zu
denen sich einst das erste christliche Konzil durchgerungen hatte. Die
Teilnehmenden rezitierten das Große Nizäno-Konstantinopolitanische
Glaubensbekenntnis und außerdem - jeder in seiner Sprache - das Vaterunser.
Gemeinsam
das Credo rezitiert
Leo
XIV. rief in einer Ansprache zu einer Gewissenserforschung auf: Jeder Christ
solle sich fragen, „wer Jesus Christus für einen jeden von uns ist“. Damit
bezog er sich direkt auf die heftige Kontroverse von Nizäa vor 1.700 Jahren.
„Indem
er die Göttlichkeit Christi leugnete, reduzierte Arius ihn auf einen einfachen
Mittler zwischen Gott und den Menschen und ignorierte dabei die Wirklichkeit
der Menschwerdung, sodass das Göttliche und das Menschliche unüberbrückbar
voneinander getrennt blieben. Aber wenn Gott nicht Mensch geworden ist, wie
können die Sterblichen dann an seinem unsterblichen Leben teilhaben? Das stand
in Nizäa auf dem Spiel und steht auch heute auf dem Spiel: der Glaube an den
Gott, der in Jesus Christus einer von uns geworden ist, um uns Anteil an der
göttlichen Natur zu geben.“
Ein
Augustinus-Zitat
Dieses
Bekenntnis des Glaubens an Jesus Christus ist für Papst Leo „von grundlegender
Bedeutung“ auf dem Weg zur vollen Gemeinschaft der Christen, der unverzichtbare
Ausgangspunkt. „In diesem Sinne können wir, um den heiligen Augustinus zu
zitieren, auch im ökumenischen Bereich sagen: ‚Obgleich wir Christen viele
sind, sind wir in dem einen Christus eins‘.“
In
diesem Bewusstsein sollten die Christen „das Ärgernis der leider noch
bestehenden Spaltungen überwinden“: „Je mehr wir untereinander versöhnt sind,
desto mehr können wir Christen ein glaubwürdiges Zeugnis für das Evangelium
Jesu Christi geben, das eine Botschaft der Hoffnung für alle ist“. Dieses „für
alle“ unterstrich Papst Leo dann noch einmal ganz dick: Christliche Einheit
gehe einher „mit dem Streben nach Geschwisterlichkeit unter allen Menschen“.
Damit rührte Leo an ein Thema, das seinem verstorbenen Vorgänger Franziskus
besonders am Herzen gelegen hat.
Gegen
die Vereinnahmung der Religion
„Es
gibt eine universale Geschwisterlichkeit, unabhängig von Ethnie, Nationalität,
Religion oder Meinung. Die Religionen sind von Natur aus Hüter dieser Wahrheit
und sollten die einzelnen Personen, Gruppen von Menschen und Völker dazu
ermutigen, sie anzuerkennen und zu praktizieren. Das Heranziehen von Religion,
um Krieg und Gewalt zu rechtfertigen, muss, wie jede Form von Fundamentalismus
und Fanatismus, entschieden abgelehnt werden...“
Bei
diesem Appell gegen die Vereinnahmung von Religion braucht man nicht unbedingt
an den Islam zu denken, die Mehrheitsreligion in der Türkei. Auch unter
Christen gibt es dieses Phänomen. So rechtfertigt etwa die russisch-orthodoxe
Kirche den Angriffskrieg in der Ukraine auch mit religiösen Motiven. Zum
Gedenken in Iznik hatte die russische Orthodoxie offenbar keinen Vertreter
geschickt. (vn 28)
Papst Leo wirbt in Ankara für „plurale Gesellschaft“
Es
war seine erste Rede auf türkischem Boden: Leo XIV. hat in Ankara für eine
„plurale Gesellschaft“ geworben. Bei einem Auftritt im Komplex des
Präsidentenpalastes kritisierte er das „Gesetz der Gewalt“ und erinnerte an die
Rolle von Frauen in der Gesellschaft. Stefan von Kempis – Vatikanstadt
Es
war Präsident Recep Tayyip Erdogan, der den Gast aus Rom vor seinem
1.150-Zimmer-Palast willkommen hieß. 21 Kanonenschüsse wurden abgefeuert und
Hymnen intoniert, bevor die beiden ungleichen Staatschefs sich zu einem
Gespräch zurückzogen. Leo war am Morgen von Rom aus zu seiner ersten
Auslandsreise als Papst in die Türkei (offiziell Türkiye) aufgebrochen. Erdogan
ist der Bauherr des gigantischen Palastes, der eine Fläche von 300.000
Quadratmetern für sich beansprucht.
In
der Nationalbibliothek von Ankara, die zum Palastbereich gehört und in der
Motive aus der Osmanen- und Seldschuken-Ära dominieren, hielt Leo XIV. dann
eine Ansprache an Vertreter von Staat und Gesellschaft. Dabei würdigte er die
Türkei zunächst für ihre reiche Geschichte und Kultur; sie zeige, „dass in der
Begegnung zwischen unterschiedlichen Generationen, Traditionen und Ideen die
großen Zivilisationen Gestalt annehmen“.
Leos
Appell an Erdogan: „Unterschiede zur Geltung kommen lassen“
Die
Türkei sei eine Brücke zwischen Asien und Europa; doch auch in ihrem Innern sei
sie dazu aufgerufen, Gegensätze zu überbrücken und dabei „Unterschiede zur
Geltung kommen zu lassen“. Dadurch solle sie „zu einem Begegnungsort
verschiedener Empfindungsweisen (werden), deren Vereinheitlichung eine
Verarmung darstellen würde“.
Leo
fuhr fort: „Eine Gesellschaft ist nämlich dann lebendig, wenn sie plural ist:
Es sind die Brücken zwischen ihren verschiedenen Seelen, die sie zu einer
Zivilgesellschaft machen“. Näher ging der Papst auf die türkische Innenpolitik
nicht ein. Der bekannteste Oppositionspolitiker, Ekrem ?mamo?lu, sitzt seit
März dieses Jahres in Haft; die Staatsanwaltschaft fordert für ihn mehr als
2.000 Jahre Haft, u.a. wegen der Gründung einer kriminellen Vereinigung.
Plädoyer
für den „Beitrag der Frau“
Die
Christen sähen sich, so fuhr Leo XIV. fort, als „Teil der türkischen Identität“
und wollten „positiv zur Einheit Ihres Landes beitragen“. Wegen des Prinzips
des Laizismus, das sich aus der türkischen Verfassung ergibt, ist die
katholische Kirche in der Türkei ohne gesicherten juristischen Status. Der
Papst hob hervor, dass Religion in der (mehrheitlich muslimischen) türkischen
Gesellschaft „eine sichtbare Rolle spielt“. Besonders wichtig sei es aber in
einer solchen Gesellschaft, „die Würde und Freiheit aller Kinder Gottes zu
achten: von Männern und Frauen, Landsleuten und Ausländern, Armen und Reichen“.
Lobende
Worte fand der Papst dafür, dass die traditionelle Familie „mehr als in anderen
Ländern in der türkischen Kultur von großer Bedeutung“ sei. Er verband das mit
einem Plädoyer für den „Beitrag der Frau“. „Insbesondere die Frauen stellen
sich durch ihr Studium und ihre aktive Teilnahme am beruflichen, kulturellen
und politischen Leben zunehmend in den Dienst des Landes und seines positiven
Einflusses auf internationaler Ebene. Daher sind die in diesem Sinne wichtigen
Initiativen zur Unterstützung der Familie und des Beitrags der Frau zur vollen
Entfaltung des sozialen Lebens sehr zu schätzen.“ Die Türkei ist 2021 auf
Initiative Erdogans aus der „Istanbul-Konvention“ ausgetreten, die sich gegen
Gewalt an Frauen richtet. Zur Begründung dieses Schritts gab Erdogan an, die
Konvention schwäche die Familien.
„Die
Türkei als Faktor der Stabilität und der Annäherung zwischen den Völkern“
Ausdrücklich
kam Papst Leo auch auf die außenpolitische Rolle seines Gastlands zu sprechen:
„Möge die Türkei ein Faktor der Stabilität und der Annäherung zwischen den
Völkern sein, im Dienste eines gerechten und dauerhaften Friedens“. Erdogan
versucht sein Land zwischen den Blöcken zu positionieren; sowohl im Gaza- wie
im Ukraine-Konflikt gingen und gehen von der Türkei wichtige
Friedensinitiativen aus.
„Nach
der Zeit des Aufbaus der großen internationalen Organisationen, die auf die
Tragödien der beiden Weltkriege folgte, durchleben wir derzeit eine Phase
starker globaler Konflikte, in der Strategien der wirtschaftlichen und
militärischen Macht vorherrschen... Wir dürfen dieser Entwicklung auf keinen
Fall nachgeben! Es geht um die Zukunft der Menschheit.“
Moschee
auf Papst-Medaille
Der
türkische Präsident hatte Leo in einer längeren Ansprache herzlich begrüßt:
Seine Reise werde „den Hoffnungen auf Frieden in der ganzen Welt Auftrieb
geben“. In vielen türkischen Dörfern stünden Moscheen und Kirchen „friedlich
nebeneinander“, und Unterschiede – ob religiöse oder andere – seien „kein
Element der Spaltung, sondern Elemente, die uns untereinander verbinden“.
Erdogan sprach auch internationale Konflikte an: Sein Land habe selbstlos
syrische Flüchtlinge aufgenommen und zwischen Russland und der Ukraine
vermittelt, es stehe auch (wie der Vatikan) für eine Zweistaatenlösung
Israel-Palästina ein.
Der
Papst schenkte Erdogan eine Medaille, die aus Anlass seiner Reise geprägt
wurde. Auf ihr sind u.a. die Minarette der Blauen Moschee von Istanbul zu
sehen, der Stadt, in der Erdogan in den neunziger Jahren vor seinem Aufstieg an
die Spitze des Staates Oberbürgermeister war. Am Samstagmorgen wird Leo XIV.
diese Moschee besuchen. (vn 27)
Religionen haben eine gemeinsame Verantwortung für die Zukunft
Internationales
Bischofstreffen in Augsburg
Mit
einem Appell zum Dialog zwischen den Religionen und einer gegenseitigen
Wertschätzung der verschiedenen Glaubensbekenntnisse ist heute (26. November
2025) in Augsburg ein internationales Bischofstreffen mit zahlreichen Experten
für den interreligiösen Dialog eröffnet worden. Unter dem Leitwort „Nostra
aetate, 60 Jahre später: Perspektiven für den katholisch-muslimischen Dialog“
hat die Sektion für den Interreligiösen Dialog des Rates der Europäischen
Bischofskonferenzen (CCEE) eingeladen. Der Gastgeber des Treffens, Bischof Dr.
Bertram Meier, Vorsitzender der Kommission Weltkirche und der Unterkommission
für den Interreligiösen Dialog der Deutschen Bischofskonferenz, erinnerte in
seiner Begrüßungsrede an die lange Tradition friedlicher Vermittlung in Augsburg:
„Bis heute hat die Confessio Augustana für die lutherischen Kirchen in aller
Welt eine hohe Bedeutung. Und es war der Augsburger Religionsfrieden von 1555,
der erstmals darauf abzielte, ein friedliches Zusammenleben der verschiedenen
Konfessionen zu ermöglichen.“
Bischof
Meier fügte hinzu: „In dieser Friedensstadt wissen wir, dass der Frieden ein
kostbares und zerbrechliches Gut ist, das niemals als selbstverständlich gelten
darf. Frieden zwischen Nationen, Kirchen und Religionen ist letztendlich immer
ein Geschenk Gottes. Aber es ist ein Geschenk, das unserer aktiven Mitwirkung
und sorgfältigen Mitarbeit bedarf. Viel hängt davon ab, ob wir wirklich
imstande sind, die Anderen nicht als Gegner und Feinde zu betrachten, sondern
als Kinder Gottes, ausgestattet mit derselben Würde, unsere Schwestern und
Brüder.“ Gleichzeitig würdigte Bischof Meier das Konzilsdokument Nostra aetate
von 1965, das „zu Recht als unsere katholische ‚Magna Carta‘ des
interreligiösen Dialogs angesehen“ wird. Bei vielen Dialogbegegnungen, die er
mit den Religionen erlebe, nehme er wahr, „dass selbst angesichts von
Differenzen und Spannungen die Perspektive, die die katholische Kirche in
Nostra aetate eingenommen hat, durchwegs auf positive Resonanzen stößt.
Tatsächlich gilt sie als verlässlicher Kompass in Gewässern, durch die man
nicht immer leicht navigieren kann.“
Bischof
Meier erinnerte an die entscheidenden Passagen von Nostra aetate gerade mit
Blick auf den Islam, wo es um die jeweilige Wertschätzung des anderen gehe.
Heute sei es notwendig, „sowohl die Gemeinsamkeiten als auch die Unterschiede
im Blick zu haben. Denn Dialog bedeutet nicht, die eigene Religion aufzugeben,
sondern kann vielmehr zu einer Vertiefung des eigenen Glaubens führen. Und
schließlich ist es gerade die Erfahrung von Konflikten, die drängenden Anlass
dazu gibt, hier und jetzt unsere gemeinsame Verantwortung für die Zukunft der
Menschheit und der gesamten Schöpfung wachzurufen und gemeinsam aktiv zu
werden.“
Die
Tagung in Augsburg dauert noch bis zum kommenden Freitag. Auf dem Programm
stehen unter anderem ein Vortrag von Kardinal Michael Louis Fitzgerald, dem
früheren Präsidenten des Päpstlichen Rates für den Interreligiösen Dialog, über
die Entwicklung der christlich-muslimischen Beziehungen seit Nostra aetate
sowie eine Begegnung mit der Augsburger Oberbürgermeisterin Eva Weber und dem
Runden Tisch der Religionen Augsburg. dbk 27
Neuer Weihbischof in Mainz hat indische Wurzeln
Papst
Leo XIV. hat einen neuen Weihbischof für das Bistum Mainz ernannt. Es handelt
sich um den aus Indien stammenden Pater Joshy George Pottackal.
Das
teilten der Vatikan und das Bistum am Mittwochmittag mit. Damit wird zum ersten
Mal ein Katholik mit außereuropäischen Wurzeln Bischof in Deutschland.
Pottackal besitzt die deutsche Staatsbürgerschaft.
Seelsorger
mit Herz
Der
Mainzer Bischof Peter Kohlgraf würdigte den 48-jährigen neuen Weihbischof als Seelsorger
mit Herz, der bescheiden, kompetent und mit guter Urteilskraft als Seelsorger
wirke. Dass mit Pottackal erstmals ein Nicht-Europäer Bischof in Deutschland
werde, sei ein starkes und wichtiges Zeichen, so Kohlgraf. „Wir sind berufen,
Einheit in Vielfalt zu leben - mit unterschiedlichen Glaubenswegen und
kulturellen Hintergründen. Es gibt in dieser Kirche keine Fremden.“
Kein
Doktortitel, aber kurze Predigten
Pottackal
sagte, er habe nicht mit der Ernennung gerechnet. Es sei ihm wichtig, nahe bei
den Menschen zu sein. „Ich bin kein Theoretiker mit Doktortitel. Meine
Predigten sind selten länger als fünf Minuten“, sagte der neue Weihbischof bei
einer ersten Pressekonferenz.
Die
offizielle Bischofsweihe ist für 15. März im Mainzer Dom geplant. Pottackal
folgt auf den bisherigen Weihbischof Udo Markus Bentz, der 2023 Erzbischof von
Paderborn wurde. Ein Weihbischof unterstützt den Ortsbischof in der Leitung des
Bistums. (kna 26)
Papst: Das Leben ist ein Geschenk
Papst
Leo hat dazu ermutigt, Leben als Geschenk zu begreifen und Leben weiterzugeben.
„Zeugen“ bedeute nicht allein Mutter- oder Vatersein, sagte er bei seiner
Generalaudienz. Zeugen bedeute etwa auch, Mitmenschen selbstlos zu helfen oder
sich für die Schöpfung und eine solidarische Wirtschaft einzusetzen. Anne
Preckel - Vatikanstadt
„Zeugen
bedeutet, auf den Gott des Lebens zu vertrauen und das Menschsein in all seinen
Ausdrucksformen zu fördern“, brachte es der Papst am Mittwoch am Petersplatz
auf den Punkt.
Das
komme „vor allem im wunderbaren Abenteuer der Mutterschaft und Vaterschaft“ zum
Ausdruck, aber „auch in sozialen Kontexten, in denen Familien Schwierigkeiten
haben, die Last des Alltags zu tragen, und oft in ihren Plänen und Träumen
gebremst werden“, führte er aus. In derselben Logik bedeute Zeugung, „sich für
eine solidarische Wirtschaft einzusetzen, das von allen gleichermaßen genossene
Gemeinwohl anzustreben, die Schöpfung zu respektieren und zu pflegen, Trost
durch Zuhören, Präsenz und konkrete, selbstlose Hilfe zu spenden“.
Woran
die Welt von heute krankt
Leo
XIV. diagnostiziert der heutigen Welt eine „weit verbreitete Krankheit“,
nämlich einen „Mangel an Vertrauen in das Leben, als hätte man sich
resignierend mit einem negativen Schicksal abgefunden“. Leben werde in einer
solchen Sichtweise nicht mehr als Geschenk, sondern als „Unbekannte, ja fast
Bedrohung wahrgenommen, vor der man sich schützen muss, um nicht enttäuscht zu
werden“, bedauerte der Papst. Aus diesem Grund sei „der Mut zu leben und Leben
zu schenken und zu bezeugen heute dringender denn je“.
Leben
sei ein Geschenk, das wir uns nicht selbst geben könnten, führte Papst Leo
weiter aus. Es müsse „ständig genährt“ werden und bedürfe einer „Pflege“, die
es erhalte und mit neuem Elan erfülle. Auch brauche es einen Sinn und eine
Richtung, denn ohne Hoffnung „läuft es Gefahr, wie eine Klammer zwischen zwei
ewigen Nächten zu erscheinen, wie eine kurze Pause zwischen dem Vorher und
nachher unseres Daseins auf Erden“.
„An das glauben, was wir noch nicht sehen und
nicht berühren können“
Auf
das Leben zu hoffen bedeute hingegen Vertrauen, uns der Liebe Gottes
anzuvertrauen, „an das zu glauben, was wir noch nicht sehen und nicht berühren
können“. Gott sei der „Freund des Lebens“ schlechthin, erinnerte der Papst.
Jesus heilte Kranke, ließ verwundete Körper und Seelen genesen und erweckte
sogar Tote wieder zum Leben. Er gab Sündern ihre Würde zurück, gewährte
Vergebung und spendete vor allen Verzweifelten, Ausgegrenzten und Fernstehenden
Hoffnung.
Gott
bleibe seinem Plan der Liebe und des Lebens „für immer treu“, betonte Leo XIV.
– auch wenn das Menschsein in seiner Freiheit auch durch Widersprüche und
Dramen geprägt sei: „Er wird nicht müde, die Menschheit zu unterstützen, auch
wenn sie, in der Nachfolge Kains, dem blinden Instinkt der Gewalt in Kriegen,
Diskriminierungen, Rassismus und vielfältigen Formen der Sklaverei folgt.“ Vn
26
Vatikan: „Monogamie ist keine Einschränkung“
„Una
caro – Ein Loblied auf die Monogamie“: So heißt ein Vatikan-Dokument, das am
24. November veröffentlicht wurde. Es betont den Charakter der Ehe als
„exklusive Vereinigung“ und verurteilt häusliche Gewalt. Isabella Piro und Edoardo Giribaldi
„Unauflösliche
Einheit“: So definiert die sogenannte ‚Lehrmäßige Note‘ der obersten
Glaubensbehörde im Vatikan die Ehe. Mit dem Titel „Una caro“ (Ein Fleisch)
bezieht sich der Text prominent auf das Buch Genesis, wo Adam über Eva sagt:
„Das endlich ist Bein von meinem Bein / und Fleisch von meinem Fleisch“ (Gen
2,23). Das Dokument „Una caro“ wurde von Papst Leo XIV. gebilligt; es hat
sieben Kapitel und eine Schlußfolgerung.
Drei
Beweggründe für das Dokument
Kardinalpräfekt
Víctor Manuel Fernández zählt in seiner Einleitung drei Beweggründe für den
Text auf: Erstens den aktuellen „globalen Kontext der Entwicklung
technologischer Macht“. Sie verleite den Menschen dazu, sich als „ein Wesen
ohne Grenzen“ zu betrachten und sich somit vom Wert einer ausschließlichen
Liebe, die nur einer einzigen Person vorbehalten ist, zu entfernen. Zweitens
weist er auf die Diskussionen mit afrikanischen Bischöfen zum Thema Polygamie
hin und erinnert daran, dass „eingehende Studien über afrikanische Kulturen“
die „weitverbreitete Ansicht“ widerlegen, dass die monogame Ehe ein
Ausnahmefall sei. Drittens stellt er fest, dass im Westen die „Polyamorie“, das
heißt öffentliche Formen nicht-monogamer Partnerschaften, zunimmt.
Die
Ehe und die Vereinigung zwischen Christus und der Kirche
Das
Dokument des Glaubensdikasteriums will die Schönheit der ehelichen Einheit
hervorheben, die „mit Hilfe der Gnade auch die Vereinigung zwischen Christus
und seiner geliebten Braut, der Kirche“, durchscheinen lasse. Der Text richtet
sich in erster Linie an Bischöfe, soll aber – wie Kardinal Fernández betont –
auch jungen Menschen, Verlobten und Ehepaaren helfen, den Reichtum der
christlichen Ehe zu erkennen.
Freies
Einverständnis und gegenseitige Zugehörigkeit
Das
Dokument streicht heraus, dass die Monogamie keine Einschränkung ist, sondern
vielmehr die Chance zu einer Liebe, die sich zur Ewigkeit hin öffnet. Zwei
Elemente erscheinen dabei wichtig: die gegenseitige Zugehörigkeit und die
eheliche Liebe. Für die gegenseitige Zugehörigkeit bildet allerdings eine
„freie Zustimmung” der beiden Ehepartner die Voraussetzung; ein solcher Ehebund
spiegelt die dreifaltige Gemeinschaft Gottes wider. Das Dokument spricht von
einer „Zugehörigkeit des Herzens, in das nur Gott hineinschaut“ und wo nur Er
eintreten kann, „ohne die Freiheit und Identität der Person zu
beeinträchtigen“.
Die
Freiheit des anderen nicht verletzen
So
verstanden „impliziert die gegenseitige Zugehörigkeit, die der ausschließlichen
gegenseitigen Liebe eigen ist, eine behutsame Fürsorge und eine heilige Furcht,
die Freiheit des anderen zu verletzen, der die gleiche Würde und damit die
gleichen Rechte hat“. Wer liebt, weiß, dass „der andere kein Mittel sein kann,
um die eigenen Unzufriedenheiten zu lindern“, und ist sich außerdem im Klaren
darüber, dass die eigene Leere niemals „durch die Beherrschung des anderen“
gefüllt werden darf. In diesem Zusammenhang bedauert die ‚Lehrmäßige Note‘
ausdrücklich die „vielen Formen ungesunden Verlangens, die in verschiedene
Ausprägungen von offener oder subtiler Gewalt, Unterdrückung, psychologischem
Druck, Kontrolle und schließlich Ersticken münden“. Es handelt sich um
„mangelnden Respekt und Ehrfurcht vor der Würde des anderen“.
Die
Ehe ist kein Besitz
Ein
gesundes „Wir beide“ impliziert nach dem Dafürhalten der vatikanischen
Glaubensbehörde hingegen „die Gegenseitigkeit zweier Freiheiten, die niemals
verletzt werden, sondern immer eine Grenze bestehen lassen, die nicht
überschritten werden darf“. Dies geschieht, wenn „die Person sich nicht in der
Beziehung verliert und nicht mit dem geliebten Menschen verschmilzt“ – aus
Respekt vor dem anderen. Eine gesunde Liebe ist dementsprechend eine, „die
niemals den anderen absorbieren will“. In diesem Zusammenhang betont das
Dokument, dass das Paar „verstehen und akzeptieren“ können muss, dass jeder
etwas Raum fürs Alleinsein und Nachdenken braucht. Schließlich ist die Ehe
„kein Besitz“, „kein Anspruch“ und auch keine vollständige Befreiung von der
Einsamkeit (nur Gott kann nämlich die Leere füllen, die ein Mensch empfindet).
Allzu viel Distanz ist aber auch nicht gut: „Wenn sie zu sehr um sich greift,
bringt sie das ‚Wir beide‘ in Gefahr“.
„Beten, um in der Liebe zu wachsen“
Als
„wertvolles Mittel“ für Paare, um in Heiligkeit und Liebe zu wachsen, empfiehlt
der Vatikan das Gebet. Das „göttliche Geschenk” der Ehe werde durch Beten und
sakramentales Leben gestärkt.
Sexualität
und Fruchtbarkeit
Das
Papier aus dem Glaubensdikasterium bietet auch einige Überlegungen zum Thema
Sexualität. Dank der verwandelnden Kraft der Liebe lässt sich – so der
Gedankengang – Sexualität nicht (nur) als Trieb verstehen, den es auszuleben
gilt, sondern als „wunderbares Geschenk Gottes“, das sich auf Selbsthingabe
reimt und bei dem das Wohl des anderen an erster Stelle steht. Fruchtbarkeit
muss nicht „das ausdrückliche Ziel jedes Geschlechtsakts sein“; im Gegenteil,
die Ehe behält ihren grundlegenden Charakter auch dann, wenn sie kinderlos ist.
Soziale
Netzwerke und neue Pädagogik
Doch
wie lässt sich „im Kontext des postmodernen Konsumindividualismus“, der den
vereinigenden Sinn von Sexualität und Ehe leugnet, die Möglichkeit treuer Liebe
bewahren? Die Antwort, so das Dokument, liegt in der Erziehung: „Das Universum
der sozialen Netzwerke, in dem die Scham verschwindet und symbolische und
sexuelle Gewalt zunimmt, zeigt die Dringlichkeit einer neuen Pädagogik“. Es ist
notwendig, „die Generationen darauf vorzubereiten, die Liebeserfahrung als
anthropologisches Geheimnis anzunehmen“, indem die Liebe nicht als bloßer
Trieb, sondern als Aufruf zur Verantwortung und „Fähigkeit zur Hoffnung des
ganzen Menschen“ dargestellt wird.
Die
Aufmerksamkeit für die Armen
Zur
ehelichen Gemeinschaft gehört, die sich Paare nicht in ihrem Schneckenhaus
einschließen, sondern sich gemeinsamen Projekten öffnen, um „etwas Schönes für
die Gemeinschaft und für die Welt zu tun“. Denn „der Mensch verwirklicht sich
selbst, indem er sich in Beziehung zu anderen und zu Gott setzt“, ansonsten
würden Egoismus und Selbstbezogenheit fröhliche Urständ feiern. Das Dokument
appelliert an das „soziale Bewusstsein“ der Paare und meint damit vor allem
Aufmerksamkeit für die Armen. Schließlich sind diese – so schrieb es Papst Leo
in seinem ersten größeren Text „Dilexi te“ – nicht nur ein soziales Problem,
sondern eine „Familienangelegenheit“ für Christen.
„Die
eheliche Liebe als Versprechen der Unendlichkeit“
Zu
guter Letzt bekräftigt die ‚Lehrmäßige Note‘, dass „jede echte Ehe eine Einheit
aus zwei Individuen ist, die eine so intime und umfassende Beziehung erfordert,
dass sie nicht mit anderen geteilt werden kann“. Von den beiden wesentlichen
Eigenschaften der Ehe – Einheit und Unauflösbarkeit – begründet daher die erste
die zweite. Nur so kann eheliche Liebe eine dynamische Realität sein, die in
kontinuierlichem Wachstum und Entwicklung im Laufe der Zeit zu einem
„Versprechen der Unendlichkeit“ wird.
Vom
Buch Genesis zum Lehramt der Päpste
Nebenbei
bemerkt lässt sich im neuen Vatikan-Dokument auch ein umfassender Exkurs zum
Thema Monogamie aus kirchlicher Sicht finden. Vom Buch Genesis über die
Kirchenväter und die wichtigsten lehramtlichen Äußerungen bis hin zu
Philosophen und Dichtern des 20. Jahrhunderts wird alles aufgeboten, was sich
zum „Wir beide“ sagen lässt. Natürlich darf auch der hl. Augustinus nicht
fehlen; er wird mit den Worten zitiert „Gib mir ein Herz, das liebt, und es
wird verstehen, was ich sage“.
Dokument
im Pressesaal vorgestellt
Das
Dokument wurde am Dienstag, 25. November, im Presseamt ??des Heiligen Stuhls
von Kardinal Víctor Manuel Fernández, dem Präfekten des Dikasteriums für die
Glaubenslehre, und der italienischen Philosophie-Professorin Giuseppina De
Simone von der Päpstlichen Theologischen Fakultät Süditaliens in Neapel
vorgestellt. Kardinal Fernández hob bei dieser Gelegenheit das dynamische
und allumfassende Wesen der monogamen Ehe hervor, bei der die Ehepartner das
Leben in seiner Fülle teilten, so der Glaubens-Präfekt. Er verwies zugleich auf
die „unveräußerliche Würde“ der in der Ehe vereinten Menschen.
Die
Verteidigung der Monogamie bedeute auch, die Würde der Frau zu schützen - dies
könne nicht geschehen, „wenn der andere Mensch lediglich zum Objekt der
Befriedigung der eigenen Begierden wird“, so der Kardinal weiter. Die Ehe dürfe
nicht zur „Beherrschung des Partners“ werden, so Fernández. Formen
„ungesunder Begierde“ können tatsächlich zu offener oder subtiler Gewalt, zu
Unterdrückung, psychischem Druck, Kontrolle und Erstickung führen, oft
begleitet von Untreue. „Wahre Liebe erkennt die heilige Dimension des
anderen an und erfordert eine behutsame Wahrung seiner Freiheit“, formulierte
hierzu die italienische Philosophie-Professorin De Simone.
Auf
Fragen anwesender Journalisten erklärte Kardinal Fernández, der Text des
Dokumentes sei bereits seit Monaten fertig, seine Veröffentlichung jedoch im
Vorfeld des ersten Apostolischen Schreibens von Papst Leo XIV., „Dilexi te“,
verschoben worden. Das Schreiben gehe zudem nicht auf die Verwendung von
Verhütungsmitteln ein. Anschließend kam der Kardinal auf das Thema Polygamie
und deren Verbreitung auf dem afrikanischen Kontinent zurück und nannte als
Beispiel Äquatorialguinea, wo diese Praxis in kleinen Dörfern noch immer weit
verbreitet sei. Er erklärte, dass sich manche Priester, die versuchten,
Gemeinschaften mit Gläubigen in monogamen Ehen zu bilden, oft isoliert fühlten:
„Das sind schwierige Situationen“, räumte er ein. Es handele sich um einen Prozess,
der schrittweise erfolgen müsse, wie auch Bischöfe vor Ort selbst einräumten.
(vn 25)
Papst vor Reise: In Nizäa Botschaft der Einheit für Christen
Als
Reise der Hoffnung und des Friedens hat der Papst seine bevorstehende Reise in
die Türkei und in den Libanon beschrieben. Vor Journalisten in Castel Gandolfo
äußerte er sich am Dienstagabend auch zur Ukraine und zur Lage in Nahost - es
gelte immer den Dialog zu suchen.
„Ich
freue mich sehr, den Libanon besuchen zu können“, beantwortete Papst Leo die
erste Frage zu seiner bevorstehenden Reise in die Türkei und den Libanon. Er
äußerte sich am Dienstagabend, achtundvierzig Stunden vor seiner Abreise
nach Ankara, in Castel Gandolfo. In den Albaner Bergen verbringt der Papst
jeweils einen wöchentlichen Ruhetag; Dienstag abends kehrt er üblicherweise in
den Vatikan zurück, um am Mittwoch die Generalaudienz zu leiten.
Botschaft
des Friedens und der Hoffnung
„eine
außergewöhnliche Gelegenheit sein, die Einheit unter allen Christen zu fördern“
Mit
Blick auf seine erste apostolische Reise in die beiden Länder des Nahen Ostens,
die ihn anlässlich des 1700. Jahrestages des Konzils von Nizäa auch nach Iznik
führen wird, betonte der Papst, dass er insbesondere im Heiligen Jahr eine
Botschaft des Friedens und der Hoffnung überbringen werde. Er präzisierte, dass
die Reise der Feier des Jahrestages diene. „Vor wenigen Tagen haben wir ein
Dokument veröffentlicht, das genau die Bedeutung der Glaubenseinheit
hervorhebt, die auch eine Quelle des Friedens für die ganze Welt sein kann. Wir
müssen Zeugnis ablegen.“ Leo XIV. erinnerte an seine Treffen mit dem
Patriarchen von Konstantinopel, Bartholomäus. „Ich denke, dies (die erneute
Begegnung, Anm.) wird eine außergewöhnliche Gelegenheit sein, die Einheit unter
allen Christen zu fördern.“
Ob
Nahost oder Ukraine: Waffen sind keine Lösung
Mit
Blick auf Israels Bombardierung von Hisbollah-Vierteln in Beirut erklärte Leo
XIV. auf Englisch: „Es gibt Grund zur Besorgnis.“ Er appellierte an alle, „Wege
zu finden, den Einsatz von Waffen als Mittel zur Problemlösung aufzugeben.“ Er
mahnte zu gegenseitigem Respekt, zum Dialog und zur „Arbeit an Lösungen für die
uns betreffenden Probleme“. Es gelte „alle Menschen zu ermutigen, Frieden und
Gerechtigkeit zu suchen, denn Gewalt ist oft die Folge von Ungerechtigkeit“.
Gemeinsam gelte es für mehr Einheit und mehr Respekt einzutreten - zwischen den
Menschen und gegenüber allen Religionen.
„Wege
finden, den Einsatz von Waffen als Mittel zur Problemlösung aufzugeben“
Auch
zur Ukraine - wo seit drei Jahren Krieg herrscht, während gleichzeitig der
Friedensplan von US-Präsident Donald Trump diskutiert wird - äußerte sich Leo
XIV.: „Wir müssen abwarten. Gott sei Dank arbeiten sie daran...“, gab er seiner
Hoffnung Ausdruck, „es scheint, als kämen sie einander näher. Es gibt einige
Probleme im Dialog. Ich möchte alle in jedem Fall zu einem Waffenstillstand
einladen, denn so viele sterben immer noch.“ Es brauche Dialog, um eine Lösung
zu finden, bekräftigte der Papst.
Neue
Mentalität, um Gewalt gegen Frauen zu unterbinden
„Jeder
Mensch verdient Respekt vor seiner Würde“
Mit
Blick auf das Problem der Gewalt gegen Frauen betonte der Papst, dass es bei
der Erziehung junger Menschen anzusetzen gelte, um das Phänomen einzudämmen.
„Jeder Mensch verdient Respekt vor seiner Würde“. Die Aggression betreffe auch
oft junge Menschen, so Leo XIV., der zum Ende der Gewalt aufrief. Es gelte eine
andere Mentalität zu schaffen. „Wir müssen friedliebende Menschen sein, die
alle Menschen lieben.“ Am 25. November wird der Internationale Tag zur
Beseitigung von Gewalt gegen Frauen begangen.
Gott
danken
Abschließend
beantwortete der Papst die Frage einer Journalistin, wie er als Amerikaner
Thanksgiving feiern wird, das in seine Reisezeit fällt. „Es gibt so vieles,
wofür ich dankbar bin. Ich möchte alle ermutigen, insbesondere anlässlich
dieses schönen Feiertags in den Vereinigten Staaten, der Menschen
unterschiedlichen Glaubens oder auch jene ohne Glauben vereint, jemandem zu
danken und zu erkennen, dass wir alle viele Gaben erhalten haben, allen voran
das Geschenk des Lebens, das Geschenk des Glaubens und das Geschenk der
Einheit.“ Der Papst ermutigte dazu, „Frieden und Harmonie zu fördern und Gott
zu danken“ - für das, was er uns gegeben habe. Vn 25
Ratzinger-Preis 2025 geht an Dirigent Riccardo Muti
Der
italienische Dirigent Riccardo Muti erhält den Ratzinger-Preis 2025. Er wird
ihn am 12. Dezember aus den Händen von Papst Leo XIV. entgegennehmen, teilte
die Vatikanische Joseph-Ratzinger-Benedikt-XVI.-Stiftung an diesem Montag mit.
Die Überreichung findet im Rahmen eines Weihnachtskonzerts unter Mutis Leitung
in der vatikanischen Audienzhalle statt.
Vatikan:
Verleihung der Ratzinger-Preise für „offene Vernunft“
Papst
Benedikt XVI. habe die Kunst des italienischen Maestro sehr geschätzt, hieß es
in der Mitteilung. Riccardo Muti wird mit den Worten zitiert, er habe
seinerseits Papst Benedikt „stets mit tiefer Bewunderung begleitet“, seine
Gedanken und Meditationen seien und blieben „für Männer und Frauen guten
Willens eine Quelle der Inspiration“. Das letzte private Treffen mit dem
emeritierten Papst Benedikt „wird für mich und meine Frau eine Erinnerung
voller Glauben und Hoffnung bleiben“, so Muti laut der Mitteilung.
Der
Ratzinger-Preis wurde 2011 geschaffen. Jedes Jahr schlägt das wissenschaftliche
Komitee der Stiftung Persönlichkeiten vor, die sich in christlich inspirierter
Kultur und Kunst hervorgetan haben. Die meisten Preisträger bisher stammten aus
der Theologie, vertreten waren aber auch verdiente Exponenten der
Rechtswissenschaft und der Kunst aus verschiedenen Kontinenten und
Konfessionen.
Zu
den Ratzinger-Preisträgern aus dem deutschen Sprachraum zählten bisher die
Theologin Marianne Schlosser und die Religionsphilosophin Hanna-Barbara
Gerl-Falkovits, die Theologen Christian Schaller, Karl-Heinz Menke und Ludger
Schwienhorst-Schönberger. Aus dem Bereich Kunst sind unter anderem der
estnische Komponist Arvo Pärt und der Schweizer Architekt Mario Botta
vertreten.
Die
Auszeichnung, die bei ihrer Einrichtung 2011 als „Nobelpreis der Theologie“
bezeichnet wurde, ist mit 50.000 Euro dotiert. Der Fonds der „Vatikanischen
Stiftung Joseph Ratzinger Benedikt XVI.“ speist sich aus den Erlösen der Werke
Joseph Ratzingers und aus öffentlichen wie privaten Spenden. (vn 24)
Weihbischof Lohmann zum Abschluss der UN-Klimakonferenz 2025 (COP30)
„Es
darf kein Prozess kleiner Schritte bleiben, wo wir große Sprünge bräuchten.“
Anlässlich
der gestern (22. November 2025) zu Ende gegangenen UN-Klimakonferenz 2025
(COP30) in Belém (Brasilien) erklärt Weihbischof Rolf Lohmann (Münster),
Vorsitzender der Arbeitsgruppe für ökologische Fragen der Deutschen
Bischofskonferenz:
„Zehn
Jahre nach der wegweisenden UN-Klimakonferenz in Paris fällt eine Bewertung der
weltweiten Bemühungen zum Klima- und Umweltschutz ernüchternd aus. Das 2015
beschlossene Ziel, den weltweiten Temperaturanstieg auf maximal zwei Grad
Celsius, besser noch auf 1,5 Grad zu begrenzen, lässt sich kaum noch erreichen.
Auch das Fazit zur diesjährigen Klimakonferenz in Belém ist gemischt. So sind
etwa die Finanzierungszusagen für den Fonds zur Anpassung an Schäden, die durch
den Klimawandel hervorgerufen werden, hinter den Erfordernissen
zurückgeblieben. Außerdem konnten sich die Staaten nicht auf einen klaren
gemeinsamen Fahrplan für den bereits geplanten Ausstieg aus fossilen Energien
einigen – dabei wären konkrete Ausstiegsdaten wichtig.
Damit
bleibt das Grundproblem bestehen, dessen Lösung auch Papst Leo XIV. in seiner
Videobotschaft zur COP30 angemahnt hat: ‚Hoffnung und Entschlossenheit müssen
erneuert werden, nicht nur in Worten und Bestrebungen, sondern auch in
konkreten Taten.‘ Dieser Aufforderung schließe ich mich dezidiert an. Es fehlt
ein geeinter politischer Wille zur sozial-ökologischen Transformation. Längst
ist bekannt, dass Investitionen in den Klima- und Umweltschutz Investitionen in
eine lebenswerte Zukunft sind. Wirtschaft und Ökologie müssen zusammengedacht
werden und sind mittel- bis langfristig auch nur gemeinsam denkbar. Je eher wir
diese Erkenntnis umsetzen, umso leichter lässt sich die Transformation
bewerkstelligen. Es darf kein Prozess kleiner Schritte bleiben, wo wir große
Sprünge bräuchten.
Aber
es gibt auch positive Signale, die von dieser COP ausgehen. Beispielhaft möchte
ich den Fonds zum Schutz der Regenwälder (TFFF) hervorheben. Der Regenwald ist
die ‚grüne Lunge‘ unseres Planeten und Lebensraum für zahlreiche Tier- und
Pflanzenarten. Ihn zu schützen, ist ein zentraler Bestandteil der Bewahrung der
Schöpfung. Die brasilianische Regierung hat diesen Fonds ins Leben gerufen, in
den sowohl Staaten als auch private Investoren einzahlen können.
Erfreulicherweise sind hier namhafte Summen zusammengekommen. Auch Deutschland
leistet einen Beitrag mit der Zusage von einer Milliarde Euro. Das ist ein
wichtiges Signal.
Der
Ruf nach einer ökologischen Umkehr aus der vor zehn Jahren veröffentlichten
Umwelt- und Sozialenzyklika Laudato si’ von Papst Franziskus ist ein bleibender
Auftrag. Wir dürfen nicht resignieren – und ich werde es auch nicht! Im Sinne
des Heiligen Jahres erinnere ich daran, dass wir Pilger der Hoffnung sind. Es
kommt auf uns alle an und wir alle können einen Beitrag leisten.“ Dbk 23
Papst Leo XIV.: Christliche Hoffnung bedeutet „Stellung beziehen“
Papst
Leo XIV. hat an diesem Samstag anlässlich der Sonderaudienzen zum Heiligen Jahr
tausende Pilger empfangen, darunter eine große Zahl von Teilnehmern des
Jubiläums der Chöre und Choräle. In seiner Katechese auf dem Petersplatz
forderte der Papst die Gläubigen auf, nicht in träger Ruhe zu verharren,
sondern aktiv „Stellung zu beziehen“ gegen Ungerechtigkeit und für die Würde
des Menschen. Mario Galgano
Zu
Beginn erinnerte der Papst die Pilger an den Ursprung ihrer Reise: „Für viele
von Euch ist es die Erfüllung einer großen Sehnsucht, heute in Rom zu sein.“ Er
betonte, dass der Herr die Gläubigen selbst an die Hand genommen habe, doch
„wem viel gegeben wurde, von dem wird viel zurückgefordert werden“. Dies sei
ein Zeichen des Vertrauens.
Das
Feuer der Liebe und der Sehnsucht
Der
Friede, den Jesus bringe, sei kein Zustand der Ruhe, sondern ein „Feuer“, das
fordert: „Der Friede, den Jesus bringt, ist wie ein Feuer und verlangt uns viel
ab.“
Der
Papst forderte die Gläubigen auf, aktiv zu werden: „Angesichts von
Ungerechtigkeiten, Ungleichbehandlung, wo die Menschenwürde mit Füßen getreten
wird, wo den Schwachen das Wort entzogen wird: Stellung beziehen.“ Wahre
christliche Hoffnung bedeute, zu erkennen, dass die Dinge nicht so weitergehen
dürfen wie bisher.
Als
leuchtendes Beispiel nannte Papst Leo XIV. die amerikanische Sozialaktivistin
Dorothy Day (1897–1980): „Dorothy Day hat Stellung bezogen.“ Sie sah, dass das
Wachstumsmodell ihres Landes nicht allen die gleichen Chancen bot, und
engagierte sich für Arbeiter und Migranten.
Der
Papst hob die Methode von Dorothy Day hervor: „Sie schrieb und sie diente: Es
ist wichtig, Verstand, Herz und Hände zu vereinen.“ Sie habe als Journalistin
gedacht, zum Nachdenken angeregt und dann Mahlzeiten serviert und Kleidung
verteilt. „Auf diese Weise bedeutet Hoffen, Stellung zu beziehen.“
Lob
für die Chöre zum Gedenktag der Heiligen Cäcilia
Die
Audienz stand im Zeichen des Jubiläums der Chöre und Choräle, an dem an diesem
Wochenende rund 35.000 Pilger aus 117 Ländern teilnehmen.
Der
Papst dankte den Sängern für ihren Dienst in den Gemeinden und betonte die
wichtige Rolle von Musik und Gesang: „Die Musik und der Gesang im liturgischen
Bereich sind eine Form des Gebets, ein Empfinden für das Schöne, das zu Gott
erhebt und die Herzen im Lob vereint.“
Er
grüßte die Chöre insbesondere an ihrem Gedenktag: „Die Heilige Cäcilia,
Patronin der Musik und des Gesangs, deren Gedenktag wir heute feiern, möge Ihr
Engagement und Ihre Mission unterstützen.“
Am
Ende der Audienz wurde Papst Leo XIV. von einer der auf dem Platz stehenden
Kapellen mit einem Minikonzert überrascht, das er mit Applaus bedachte. Ab dem
späten Nachmittag sollten über 100 für das Jubiläum registrierte Chöre die
Abendmessen in mehr als 90 Kirchen Roms gestalten.
(vn
22)
Satzung der Synodalkonferenz einstimmig beschlossen
„Der
Ausschuss endet – der Synodale Weg geht weiter“
Mit
dem einstimmigen Beschluss einer Satzung der künftigen Synodalkonferenz der
katholischen Kirche in Deutschland ist die Sitzung des Synodalen Ausschusses in
Fulda heute (22. November 2025) zu Ende gegangen. Das Präsidium des Ausschusses
sprach von einer „nachhaltigen Entscheidung, die dem Miteinander in unserer
Kirche Zukunft gibt“.
Als
einen zentralen Punkt bezeichnete die Präsidentin des Zentralkomitees der
deutschen Katholiken (Zdk), Dr. Irme Stetter-Karp, „dass Bischöfe und Laien in
dieser Synodalkonferenz künftig gemeinsam beraten und Beschlüsse fassen“. Das
sei „eine neue Qualität von Gemeinsinn, in einer Zeit voller Herausforderungen.
Ich bin sicher, dass diese Neuerung vor allem deshalb zustande kommen konnte,
weil das Vertrauen zueinander in mehr als fünf Jahren auf dem Synodalen Weg
gewachsen ist. Es ist wohl mehr als ein Zufall, dass der Synodale Ausschuss
sein Werk im Übergang zu einer Synodalkonferenz fast genau am Jahrestag des
Abschlusses der Würzburger Synode vor fünfzig Jahren vollenden konnte. Damals,
am 23. November 1975, hieß es: ‚Die Synode endet – die Synode beginnt.‘ Ich bin
dankbar, dass wir hier in Fulda sagen können: Der Ausschuss endet – der
Synodale Weg geht weiter.“
Auch
der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing,
zeigte sich zufrieden: „Das ist ein großartiger Moment, auch ein Stück
historisch. Der Weg bis hierher hat viel Arbeit im Vorfeld bedeutet, auch im
Gespräch mit Rom. Mir fällt ein großer Stein vom Herzen und die Einstimmigkeit
zur Satzung zeigt auch, wie sehr wir zusammengefunden haben durch die Arbeit im
Synodalen Ausschuss. Es war ein Weg in Deutschland und mit der Weltgemeinschaft
der Kirche. Wir haben es hier geschafft, wichtige Schritte von Partizipation,
Transparenz, Rechenschaft, gemeinsamem Beraten und Entscheiden voranzugehen.“
Ausdrücklich wandte sich Bischof Bätzing an jene Bischöfe, die aus dem Prozess
des Synodalen Weges ausgestiegen sind: „Es ist mein Wunsch, dass am Ende auch
alle mitwirken wollen und können. Um es ehrlich zu sagen: Wir haben aus den
Erfahrungen des Synodalen Weges gelernt, da gab es auch Verletzungen und die
kritische Frage, ob Minderheiten ernstgenommen wurden. Die jetzigen Erfahrungen
im Ausschuss haben zu einem anderen Miteinander geführt und Wege ermöglicht,
Fragen gemeinsam zu klären. Wir können uns einander zumuten in der
unterschiedlichen Verantwortlichkeit. Aber wir wissen, im Ziel gehen wir
zusammen. Das ist etwas, das prägt, das macht es konstruktiv“, so Bischof
Bätzing.
Zu
den Eckpunkten der Satzung gehört – neben der Grundsatzentscheidung, gemeinsam
zu beraten und Beschlüsse zu fassen, um dem Sendungsauftrag der Kirche gerecht
zu werden – die Zusammensetzung der künftigen Synodalkonferenz: Sie wird aus
den 27 Diözesanbischöfen, ebenso vielen Mitgliedern des ZdK und weiteren 27 von
der Synodalversammlung zu wählenden Mitgliedern bestehen. „In der
Synodalkonferenz kommen Gläubige unterschiedlicher Berufung zusammen. Gemeinsam
bringen sie die Vielfalt des Volkes Gottes der Kirche in Deutschland zum
Ausdruck“, heißt es in der Satzung. Die Synodalkonferenz fördere „stetig das
Handeln der Kirche in Deutschland im Dienst der Evangelisierung“. Die Deutsche
Ordensobernkonferenz sowie der Beirat der Betroffenen von sexuellem Missbrauch
in der Kirche werden je zwei Mitglieder in die Synodalkonferenz entsenden.
Weitere Details soll eine Geschäftsordnung regeln, deren Eckpunkte im Ausschuss
beraten wurden.
Festgehalten
wurde die Verantwortung der Adressaten für die Umsetzung der Beschlüsse der
Synodalkonferenz. Sie sollen Rechenschaft darüber ablegen, „falls sie einem
Beschluss nicht folgen können“. In einer Protokollnotiz zur Satzung hielt
der Synodale Ausschuss zudem fest, in welcher Intention der für die
Synodalkonferenz vorgesehene Finanzausschuss arbeitet. Die Konferenz solle
sicherstellen, dass weitere Gläubige so bald als möglich in
entscheidungserheblicher Weise und dauerhaft an den Entscheidungen des
Verbandes der Diözesen Deutschlands (VDD) in Haushaltsfragen mitwirken.
In
den nächsten Schritten muss die Satzung von der Vollversammlung der Deutschen
Bischofskonferenz sowie der Vollversammlung des ZdK angenommen werden. Danach
wird sie dem zuständigen Dikasterium im Vatikan zur Erteilung einer „Recognitio
ad experimentum“ vorgelegt.
Der
Samstagvormittag stand auch im Licht des Berichts zweier Kommissionen des
Synodalen Ausschusses: Die Kommission für Evaluation und Monitoring der
Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges berichtete über Ergebnisse. Die
Kommission zur Weiterentwicklung der Initiativen des Synodalen Weges brachte
den Handlungstext „Gemeinsam beraten und entscheiden“ für die Bistumsebene ein,
der einstimmig angenommen wurde. Dbk 22
Bischöfe und Laien wollen neues nationales Kirchengremium schaffen
In
der katholischen Kirche in Deutschland wird es möglicherweise bald schon ein
neues nationales Gremium aus Bischöfen und Laien geben. „Wir gehen auf die
Zielgerade", sagte die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen
Katholiken (ZdK) Irme Stetter-Karp am Freitag in Fulda. Dort findet die
mutmaßlich letzte Sitzung des Synodalen Ausschusses statt.
Der
Ausschuss soll unter anderem die Voraussetzungen für die geplante Synodalkonferenz
schaffen, in der Bischöfe und Laien ihre Beratungen auf Bundesebene verstetigen
wollen. Bis Samstag wollen die 62 in Fulda anwesenden Mitglieder des
Ausschusses eine Satzung für das neue Gremium verabschieden. Diese regelt dann
auch die Befugnisse und Kompetenzen der Synodalkonferenz.
Zustimmung
aus Rom erforderlich
Im
Anschluss daran müssen das ZdK sowie die Vollversammlung der deutschen Bischöfe
der Satzung zustimmen, wie der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz,
Bischof Georg Bätzing, erläuterte. Danach werde die Satzung in Rom vorgelegt.
In der Vergangenheit hatte der Vatikan mehrfach Vorbehalte mit Blick auf das
Projekt geäußert. Im Kern ging es dabei um die Frage, ob und in welcher Weise
Bischöfe und Laien gleichberechtigt Entscheidungen über das kirchliche Leben in
Deutschland fällen können.
Stetter-Karp
und Bätzing zeigten sich zuversichtlich, dass es aus Rom keine grundsätzlichen
Einwände gegen die geplante Synodalkonferenz gebe. Die bisherigen Gespräche
hätten ein „echtes Interesse an der Entstehung von etwas Neuem" gezeigt,
sagte die ZdK-Präsidentin. Bischof Bätzing betonte, man sei eingebunden in den
vom damaligen Papst Franziskus angestoßenen Weg zu einer Veränderung und
Erneuerung der Kirche. Er gehe davon aus, dass das neue Gremium bald schon
arbeitsfähig sei, so der Bischof von Limburg: „Wir planen Termine für das
nächste Jahr".
Ruf
nach mehr Tempo bei Reformen
Im
Vorfeld hatten 18 katholische Verbände, Gruppen und Initiativen gefordert, die
Reformvorhaben etwa beim Umgang mit sexuellen Minderheiten oder der Rolle von
Frauen in der Kirche weiterzuentwickeln und kirchenrechtlich umzusetzen.
Vor
dem Tagungsort in Fulda demonstrierten am Freitag rund 20 Menschen einer Gruppe
namens Deutsche Gesellschaft zum Schutz von Tradition, Familie und
Privateigentum gegen den Reformdialog in der Kirche. Unter dem Motto „Bleiben
wir katholisch!" beteten sie den Rosenkranz.
Gegen
den Synodalen Weg von Bischöfen und Laienvereinigung in Deutschland hatte sich
von Beginn an Widerstand in traditionsverbundenen katholischen Kreisen
formiert. Auch eine Minderheit der deutschen Bischöfe, unter ihnen Kardinal
Rainer Maria Woelki und Stefan Oster, zeigten sich wiederholt kritisch über
Vorgangsweise und Anliegen des Synodalen Wegs. (kna 21)
Ukraine: Parolin verurteilt Angriffe auf zivile Infrastruktur
Kardinal
Pietro Parolin hat bei einer Messe zum Gedenken an die Opfer des Holodomor in
der römischen Kirche Sant’Andrea della Valle die jüngsten Angriffe auf die
ukrainische Energieversorgung scharf kritisiert. „Es gibt keine Rechtfertigung,
Tausende Zivilisten im Dunkeln und in der Kälte leben zu lassen“, sagte der
vatikanische Staatssekretär.
Jeder
Akt, der Menschen ihre Würde nehme, sei „eine Beleidigung der ganzen Menschheit
und ein Affront gegen Gott“. Parolin erinnerte bei der Messe an diesem
Donnerstag in Rom an die Worte von Papst Leo XIV., man müsse auf einen
Waffenstillstand und anschließenden Dialog drängen.
Am
Rande der Feier äußerte sich Parolin auch zu einem Friedensplan für die
Ukraine, der von US-Präsident Donald Trump stammen soll. Er hoffe, dass „Wege
des Dialogs“ geöffnet würden. Die Verhandlungen würden sicher schwierig, doch
ein Kompromiss sei nötig. Europa solle sich weiterhin aktiv einbringen und
„nicht ausgeschlossen bleiben“, zumal die EU sich auch bisher schon aktiv für
die Ukraine eingesetzt habe.
Lesen
Sie auch
Über
mögliche territoriale Zugeständnisse der Ukraine an Russland zu reden, hält der
Kardinalstaatssekretär indessen für „verfrüht“, da solche Fragen Ergebnis der
Verhandlungen seien. Die Bemühungen des Heiligen Stuhls für Gefangenenaustausch
und die Rückkehr ukrainischer Kinder aus Russland liefen weiter.
„Europa
muss an Friedensbemühungen für Ukraine beteiligt werden“
In
seiner Predigt erinnerte Parolin an den Holodomor, die von Stalin verursachte
Hungersnot in den dreißiger Jahren des letzten Jahrhunderts, die Millionen
Menschen das Leben kostete. Dieses Verbrechen sei nicht von der Natur
verursacht worden, sondern von „Hass, Ungerechtigkeit und Machtmissbrauch“. Im
Jubiläumsjahr wolle man Hoffnung erneuern – für die Opfer von damals und die
Leidenden von heute. Am Ende vertraute er „alle Opfer von Hunger, Hass und
Gewalt“ der Barmherzigkeit Gottes an und bat um eine „gerechte und dauerhafte“
Friedensperspektive für die Ukraine.
Anwesend
waren rund 50 Botschafter sowie vier ukrainische Teenager, die während des
Kriegs nach Russland gebracht und kürzlich an ihre Familien zurückgeführt
wurden. An diesem Freitag wollte Papst Leo die Jugendlichen bei sich im Vatikan
empfangen. (vn 21)
Synodaler Ausschuss kommt in Fulda zusammen
Beratung
zu Satzung einer geplanten Synodalkonferenz im Mittelpunkt
In
Fulda hat heute (21. November 2025) die fünfte und letzte Sitzung des Synodalen
Ausschusses begonnen. An ihr nehmen 62 der insgesamt 70 Mitglieder teil, ebenso
vier geladene Gäste aus den (Erz-)Bistümern Eichstätt, Regensburg, Passau und
Köln.
Die
Mitglieder des Gremiums beraten zwei Tage lang über zentrale strukturelle und
inhaltliche Weichenstellungen für eine synodale Weiterentwicklung der
katholischen Kirche in Deutschland. Im Zentrum stehen die weiteren Arbeiten an
der Satzung sowie an den Eckpunkten einer Geschäftsordnung für eine geplante
Synodalkonferenz, die künftig als bundesweites synodales Gremium wirken soll.
Grundlage
der Beratungen sind die Ergebnisse der drei Kommissionen, die seit der letzten
Sitzung im Mai ihre Arbeit intensiv fortgeführt haben. Kommission I befasst
sich mit dem Strukturprinzip der Synodalität und der Ordnung eines möglichen
Gremiums auf Bundesebene; Kommission II legt Berichte zum Monitoring und zur
Evaluation der Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges vor; Kommission III
bringt Vorschläge zur Weiterentwicklung der Initiativen des Synodalen Weges
ein.
Bischof
Dr. Georg Bätzing, Präsident des Synodalen Weges und Vorsitzender der Deutschen
Bischofskonferenz, betonte zum Auftakt: „Wir sind in der entscheidenden Phase,
ein bundesweites synodales Gremium auf den Weg zu bringen. Die zurückliegenden
Gespräche in Rom haben mir dazu Mut gemacht. Ich nehme wahr, dass das
Abschlussdokument der Weltsynode gut auf unserem Weg rezipiert wird. Vieles,
was darin geschrieben wurde, ist wichtig in der Implementierung unseres Weges.
Gehen wir diesen Weg mutig voran zur letzten Synodalversammlung im Januar 2026,
wenn wir dann ein weiteres, ein neues Kapitel von Synodalität in unserem Land
aufschlagen.“
Als
positives Signal wertete Bischof Bätzing die Entscheidung des XVI. Ordentlichen
Rates der Bischofssynode, das Synodensekretariat mit der Vorbereitung der
Kirchenversammlung 2028 zu beauftragen. Dabei seien unter anderem die
Fortbildung im synodalen Denken und das Achten auf unterschiedliche Kulturen
als zentrale Themen benannt worden. „So wie die deutschen Mitglieder der
Delegation Ende Oktober bei der Heilig-Jahr-Feier der Synodalteams die
Gesprächsmöglichkeiten und den Austausch genutzt haben, sollten wir als Kirche
in Deutschland weiterhin die Chance im Zugehen auf die Kirchenversammlung
nutzen und unsere Erfahrungen und Fragen aktiv in die weltkirchlichen
Beratungen einbringen. So können wir unser gemeinsames Ringen um eine
glaubwürdige Gestalt von Kirche mit der Weltkirche teilen“, sagte Bischof
Bätzing.
Die
Präsidentin des Synodalen Weges und des Zentralkomitees der deutschen
Katholiken (ZdK), Dr. Irme Stetter-Karp, sagte: „Wir gehen auf die Zielgerade!
Der Synodale Ausschuss tagt heute und morgen zum letzten Mal. Denn er hat seine
Hauptaufgabe erfüllt, wenn er die Satzung eines künftigen Synodalen Gremiums
auf Bundesebene beschließt – und genau das werden wir heute und morgen hier in
Fulda tun. Wenn uns gelingt, was wir uns vorgenommen haben, wird es in
Deutschland ein Gremium auf überdiözesaner Ebene geben, in dem katholische
Bischöfe und Laien mit gleichem Stimmrecht gemeinsam beraten und entscheiden.
Und in dem die Zahl der Laien zugleich kein Beteiligungs-Alibi ist. Kein
Wunder, dass sich Rom für uns interessiert!“
In
den zurückliegenden Wochen, vor allem in den letzten Tagen, hätten manche
dieses große Interesse des Vatikans an der Satzung als Misstrauen gedeutet.
„Wir nehmen es ganz anders wahr: Die Gespräche, die geführt wurden, offenbaren
ein echtes Interesse an der Entstehung von etwas Neuem. In dem Bewusstsein,
dass dieses synodale Gremium auf Bundesebene auch das Interesse von
Katholikinnen und Katholiken in anderen Ländern und auf anderen Kontinenten
wecken wird. Wir gehen einen großen Schritt hin zu mehr Miteinander, zu Umkehr
und Erneuerung der Kirche.“ Stetter-Karp erinnerte zugleich an den Beginn des
Synodalen Weges mit dem Entsetzen über das Ausmaß des Missbrauchsskandals.
„Engagierte Bischöfe und engagierte Laien übernehmen gemeinsam Verantwortung
für Veränderung. Wir wollen es wagen – und setzen all unsere Kraft in die
kommenden zwei Tage.“ Dbk 21
Leo XIV.: Ein Kurzbesuch in Assisi
Papst
Leo XIV. hat am Donnerstag Vormittag Assisi besucht, die Stadt des hl. Franz.
Bei einer Begegnung mit den italienischen Bischöfen skizzierte er dort seine
Vorstellungen von einer „wirklich geeinten“, synodalen Kirche. Stefan von
Kempis – Vatikanstadt
Konkret
rief der Papst dazu auf, bei den Reformen in der italienischen Kirche nicht
innezuhalten; da geht es vor allem um die Zusammenlegung von Bistümern. Er riet
auch ausdrücklich zu stärkerer Beteiligung von Laien bei der Auswahl von
Bischöfen und dazu, die Altersgrenze von 75 Jahren für Ortsbischöfe
einzuhalten.
Es
war der erste Aufenthalt des im Mai gewählten Papstes in Assisi, einem
Städtchen, das sein Vorgänger Franziskus häufig besucht hat. Gleich nach seiner
Ankunft betete Leo in der Basilika San Francesco in der Oberstadt von Assisi am
Grab des hl. Franz. Anschließend traf er sich in der Basilika Santa Maria degli
Angeli in Assisis Unterstadt mit den italienischen Bischöfen, die dort in den
letzten Tagen ihre Herbstvollversammlung gehalten haben.
„Die
Welt braucht die Botschaft von Assisi dringend“
Assisi
sei ein Ort des Glaubens, der Geschwisterlichkeit und des Friedens, so Leo XIV.
Die Welt brauche die Botschaft, die Assisi übermittle, dringend. Zur Botschaft
dieser Stadt gehöre auch, Christus in den Mittelpunkt zu stellen, so wie der
hl. Franz das getan habe. „Auf Jesus schauen – das ist das Erste, wozu auch wir
aufgerufen sind… In einer Zeit starker Fragmentierung ist es nötig, wieder zu
den Grundlagen unseres Glaubens zurückzukehren, zum Kerygma.“
Auf
Christus schauen bedeute auch, unsere Mitmenschen mit ihren Sorgen und Nöten in
den Blick zu nehmen und ihnen Frieden zu bringen. „Wir leben in einer Zeit der
Brüche, auf nationaler wie internationaler Ebene; Botschaften und ein Tonfall
der Feindseligkeit und der Gewalt sind weit verbreitet; das Rennen um Effizienz
lässt die Schwächsten zurück; die technologische Omnipräsenz bringt die
Freiheit in Bedrängnis… Doch die Schrift und der Heilige Geist drängen uns, als
Handwerker der Freundschaft, der Geschwisterlichkeit, der authentischen
Beziehungen in unseren Gemeinschaften zu arbeiten.“
Für eine
„kollegiale Kirche“
Nach
diesen Überlegungen fasste Papst Leo XIV. den synodalen Prozess der
italienischen Kirche ins Auge. Er wünsche sich den „Einsatz aller“, damit
wirklich eine „kollegiale Kirche“ Gestalt annehme. „Angesichts der
Herausforderungen der Evangelisierung und der Veränderungen der letzten
Jahrzehnte, u.a. im demografischen Bereich, dürfen wir beim Thema der
Zusammenlegung von Diözesen nicht zurückrudern! … Wir müssen angesichts der
Anforderungen der christlichen Verkündigung bestimmte territoriale Grenzen überwinden
und unsere religiöse und kirchliche Identität offener gestalten.“
„Auf
die Laien hören“
Entscheidend
sei, „dass wir in diesem synodalen Stil lernen, zusammenzuarbeiten und in den
Ortskirchen offene, gastfreundliche christliche Gemeinschaften aufzubauen“.
Dabei sei auch das „aufmerksames Hinhören“ auf die Beiträge der Laien wichtig.
„In diesem Sinne muss die Koordinierung zwischen dem Dikasterium für die
Bischöfe und der Apostolischen Nuntiatur im Sinne einer gemeinsamen
Verantwortung eine stärkere Beteiligung von Personen an der Konsultation zur
Ernennung neuer Bischöfe fördern, zusätzlich zum Anhören der amtierenden
Ortsbischöfe…“
Wenn
Bischöfe nicht loslassen können
Eine
synodale Kirche müsse sich, so fuhr der Papst fort, beständig erneuern. „Es
muss vermieden werden, dass trotz guter Absichten Trägheit die notwendigen
Veränderungen verlangsamt. In diesem Zusammenhang müssen wir alle die innere
Haltung pflegen, die Papst Franziskus als ‚Abschied nehmen lernen‘ bezeichnet
hat – eine wertvolle Haltung, wenn man sich darauf vorbereiten muss, sein Amt
niederzulegen. Es ist gut, dass die Regel des 75. Lebensjahres für das
Ausscheiden der Ortsbischöfe in den Diözesen eingehalten wird, und nur im Falle
der Kardinäle kann eine Fortsetzung des Dienstes gegebenenfalls für weitere
zwei Jahre in Betracht gezogen werden.“
Schließlich
hatte Papst Leo für „seine“ italienische Kirche auch noch ein paar Worte der
Ermunterung. Ihr Engagement in der Gesellschaft sei auch künftig gefragt. Das
sagte er übrigens auch mit Blick aufs Digitale: „Seelsorge kann sich nicht
darauf beschränken, Medien zu nutzen; sie muss auch zu Menschlichkeit in der
digitalen Welt erziehen und beitragen, bei der die Wahrheit nicht in der
Vervielfältigung der Verbindungen abhanden kommt…“
Im
Kampf gegen Missbrauch nicht müde werden
Ausdrücklich
forderte der Papst die Bischöfe dazu auf, sich für eine „Kultur der Prävention
von Missbrauch“ zu engagieren. „Die Aufnahme und das Zuhören gegenüber den
Opfern sind das authentische Merkmal einer Kirche, die in der
gemeinschaftlichen Bekehrung die Wunden erkennt und sich bemüht, sie zu
lindern, denn wo der Schmerz tief ist, da muss die Hoffnung, die aus der
Gemeinschaft entsteht, noch stärker sein.“ Er danke für das bisher auf diesem
Feld Geleistete und setze darauf, dass das Engagement für den Schutz von
Minderjährigen und schutzbedürftigen Erwachsenen nicht erlahme.
„Gemeinsam
gehen, mit allen gehen: Das bedeutet, eine Kirche zu sein, die unter den
Menschen lebt“
„Gemeinsam
gehen, mit allen gehen: Das bedeutet auch, eine Kirche zu sein, die unter den
Menschen lebt, ihre Fragen aufnimmt, ihre Leiden lindert, ihre Hoffnungen
teilt. Bleibt weiterhin den Familien, den Jugendlichen, den älteren Menschen
und denen, die in Einsamkeit leben, nahe. Setzt euch weiterhin für die Armen
ein: Die christlichen Gemeinschaften, die überall in der Region verwurzelt
sind, die vielen Seelsorger und Freiwilligen, die Diözesan- und Pfarrcaritas
leisten bereits großartige Arbeit in diesem Sinne, und dafür bin ich euch
dankbar.“
Nach
seiner Begegnung mit den italienischen Bischöfen in Assisi reiste Leo XIV. ins
nahegelegene Montefalco weiter, um dort mit Augustinerinnen eine heilige Messe
zu feiern. Im Anschluss daran kehrte er nach Rom zurück.
Hintergrund
Etwa
achtzig Prozent der Italiener sind katholisch. Auch wenn Kardinal Matteo Zuppi,
der Vorsitzende der Bischofskonferenz, vor ein paar Tagen geäußert hat,
Italiens Christentum sei am Ende, „das Christliche allerdings nicht“, hat der
Katholizismus doch noch immer starken Einfluss auf das Denken und Fühlen der
Menschen im Land.
Italiens
Bischofskonferenz ist die zahlenmäßig stärkste Europas; aus historischen
Gründen haben sich viele Bistümer entwickelt, in denen heute weniger als
100.000 Katholiken leben. Der Prozess einer Zusammenlegung von Bistümern kommt
nur schleppend voran. Auch in der Aufarbeitung von Missbrauchsfällen steht
Italiens Kirche in mancherlei Hinsicht noch am Anfang. (vn 20)
EU-Bischöfe fordern Einsatz gegen antichristlichen Hass
Die
COMECE fordert einen EU-Koordinator gegen antichristlichen Hass und besseren
Schutz für Gläubige. Bei einem Treffen am 17. November warnten verschiedene
Religionsvertreter vor wachsender Diskriminierung.
Mit
einem Apell an die Europäische Union hat die Kommission der Bischofskonferenzen
der Europäischen Union (COMECE) den Schutz von Gläubigen in Europa und den
Einsatz gegen antichristlichen Hass in den Mittelpunkt gestellt. Bei der
jährlichen Sitzung zwischen der Europäischen Kommission und religiösen
Führern betonte Czeslaw Kozon, Bischof von Kopenhagen und Vizepräsident der
COMECE, die Dringlichkeit eines europäischen Koordinators zur Bekämpfung von
Diskriminierung und Gewalt gegen Christen.
Die
COMECE „fordert nachdrücklich die Ernennung eines EU-Koordinators für die
Bekämpfung von antichristlichem Hass.“ Sie verweist darauf, dass „immer mehr
Berichte auf das Auftreten von Verbrechen gegen Christen und von Hass,
Intoleranz und Diskriminierung ihnen gegenüber innerhalb der Europäischen Union
aufzeigen.“ Notwendig sei, „einen angemessenen Schutz der Gläubigen und ihrer
heiligen Stätten zu gewährleisten, unabhängig davon, ob sie einer Mehrheits-
oder Minderheitsreligion angehören.“
Bischof
Kozon erklärte: „Es gibt mehr als einen konkreten Grund, warum viele Christen
derzeit Diskriminierung, Ausgrenzung, Belästigung, Hass und Gewalt ausgesetzt
sind.“ In zunehmend säkularisierten Gesellschaften gebe es immer weniger Raum
für Religion sowie für religiöse Argumente in der Politik und in der
öffentlichen Debatte.“
Christliche
Politik
Laut
COMECE zeigt sich dies unter anderem in der Diskriminierung von Politikern,
„die klassische christliche Ansichten zu Abtreibung, Euthanasie, Ehe und
Familienleben vertreten“, oder in deren freiwilliger Enthaltung, ihre
Überzeugungen öffentlich zu äußern.
Der
Bischof bemerkt außerdem: „Sehr oft werden klassische christliche Prinzipien
und Tugenden als Widerspruch oder sogar als Bedrohung für die moderne
Gesellschaft angesehen.“ Dies könne zu Einschränkungen des Rechts führen, nach
christlichen Grundsätzen zu erziehen, und zu „Misstrauen gegenüber dem Recht
der Eltern, ihre Kinder nach ihrem Glauben zu erziehen.“
Aus
diesem Grund formulierte die COMECE eine weitere zentrale Bitte an die EU: Es
„ist von grundlegender Bedeutung, und wir würden uns wünschen, dass mehr dafür
getan wir,“ um „religiöse Bildung über das Wesen, die Grundprinzipien, das
Selbstverständnis und die Strukturen der Religionen“ zu fördern.
„Hass
zu überwinden ist nicht nur eine rechtliche oder technologische
Herausforderung, sondern eine moralische und spirituelle Herausforderung, die
jeden von uns zur Umkehr, zur Erneuerung des Gewissens und zur Rückkehr zu
unserer wahren Menschlichkeit nach dem Bild Gottes aufruft.“
An
dem Treffen nahmen christliche, jüdische, muslimische und buddhistische
Vertreter teil. Erzbischof Nikitas von Thyateira und Großbritannien im
Ökumenischen Patriarchat von Konstantinopel ging in seiner Rede auf den
zunehmenden scharfen Ton der öffentlichen Debatte ein und rief die EU auf,
Programme zur Eindämmung und Bekämpfung von Hassreden zu unterstützen. (sir 20)
Papst fordert Waffenstillstand und Dialog: „In der Ukraine sterben weiter Menschen"
Vom
Frieden in der Ukraine über die Maßnahmen gegen Migranten in den USA, den
Terrorismus in Nigeria bis hin zu möglichen Reisen im Jahr 2026: das waren die
Themen, die Leo XIV. diesen Dienstagabend in Castel Gandolfo im Gespräch mit
Journalisten angesprochen hat. Und der Papst hat auch verraten, warum die Tage
in Castel Gandolfo für ihn so wichtig sind...
Vor
den Toren der Villa Barberini beantwortete der Pontifex, wie inzwischen üblich,
die Fragen der Journalisten – beginnend mit der zur Ukraine, die weiter von
massiven russischen Angriffen betroffen ist. Am Vorabend des Versuchs, die
Verhandlungen in der Türkei wieder aufzunehmen, wurde dem Papst die Frage
gestellt, ob Gebiete an Russland abgetreten werden sollten, um den Krieg zu
beenden – eine Hypothese, die kürzlich auch von US-Präsident Donald Trump in
den Raum gestellt wurde. „Das müssen sie selbst entscheiden, die Verfassung der
Ukraine ist sehr klar“, erklärte Leo XIV. „Das Problem ist, dass es keinen
Waffenstillstand gibt, dass sie nicht zu einem Punkt kommen, an dem sie
miteinander reden und sehen können, wie dieses Problem gelöst werden kann... Leider
sterben jeden Tag Menschen. Ich denke, man muss auf Frieden bestehen, beginnend
mit diesem Waffenstillstand, und dann muss man miteinander reden.“
Die
Frage der Migranten in den USA
Papst
Leo äußerte sich auch zur Erklärung der US-Bischofskonferenz vom 13. November
zu Migranten und Asylbewerbern, die in Baltimore veröffentlicht wurde, wo die
Vollversammlung der US-amerikanischen Bischofskonferenz stattfand. Zum ersten
Mal seit Jahren haben die US-Bischöfe einen Hirtenbrief veröffentlicht, in dem
sie sich gegen Massenausweisungen aussprechen, ihre Besorgnis über die Lage im
Land zum Ausdruck bringen und bekräftigen, dass nationale Sicherheit und der
Schutz der Menschenwürde nicht unvereinbar seien. Der Papst würdigte die
Erklärung seiner Landsleute als „sehr wichtig“. „Ich möchte vor allem alle
Katholiken, aber auch alle Menschen guten Willens auffordern, aufmerksam auf
das zu hören, was sie gesagt haben. Ich glaube, wir müssen nach Wegen suchen,
Menschen mit Menschlichkeit zu behandeln und mit der Würde, die ihnen zusteht,“
so seine Stellungnahme.
„Wenn
sich Menschen illegal in den Vereinigten Staaten aufhalten, gibt es
Möglichkeiten, damit umzugehen. Es gibt Gerichte. Es gibt ein Rechtssystem. Ich
denke, dass es in diesem System viele Probleme gibt. Niemand hat gesagt, dass
die Vereinigten Staaten offene Grenzen haben sollten,“ so Papst Leo weiter.
„Ich denke, jedes Land hat das Recht zu bestimmen, wer, wie und wann Menschen
einreisen dürfen. Aber wenn Menschen ein gutes Leben führen, viele von ihnen
seit 10, 15 oder 20 Jahren, und man sie dann auf eine Weise behandelt, die,
gelinde gesagt, äußerst respektlos ist – und es leider auch zu Gewalt gekommen
ist –, dann denke ich, dass die Bischöfe ihre Aussagen klar auf den Punkt
gebracht haben. Ich möchte alle Menschen in den Vereinigten Staaten einfach
dazu auffordern, ihnen zuzuhören.“
Die
Verfolgungen in Nigeria
Die
nächste Frage betraf Afrika, insbesondere Nigeria: ein Land, das auch in den
Appellen des Angelusgebets vom vergangenen Sonntag erwähnt wurde, und wo die
Welle des Hasses und der Gewalt besonders Christen trifft: „Ich denke, dass in
bestimmten Gebieten Nigerias sicherlich Gefahr für Christen besteht, aber die
Gefahr betrifft alle Menschen, Christen und Muslime wurden getötet,“ stellte
der Papst klar. Die Frage des Terrorismus habe mit Kriegswirtschaft und der
Kontrolle von Land zu tun. „Leider sind viele Christen ums Leben gekommen, und
ich halte es für sehr wichtig, dass die Regierung gemeinsam mit allen Völkern
für echte Religionsfreiheit und Respekt für alle Menschen eintritt,“ so seine
Forderung.
Die
nächste Papstreise...
Auf
eine mögliche Reise in „sein“ Lateinamerika angesprochen – beginnend mit Peru,
wo er über zwanzig Jahre als Missionar tätig war –, verwies Papst Leo auf den
noch vollen Terminkalender des Heiligen Jahres. „Für das nächste Jahr werden
wir nach und nach planen. Ich bin immer gerne gereist. Das Problem ist nur, das
mit den vielen Verpflichtungen unter einen Hut zu bringen“. Als mögliche
Reiseziele nannte er unter anderem Fatima, Guadalupe in Mexiko sowie Uruguay,
Argentinien – und natürlich Peru.
Die
Tage in Castel Gandolfo: Balsam für Leib und Seele
Papst
Leo plauderte auch aus dem Nähkästchen und beschrieb, wie er seine Dienstage in
Castel Gandolfo verbringt: „Ein bisschen Sport, ein bisschen Lesen, ein
bisschen Arbeit, jeden Tag gibt es Korrespondenz, Telefonate, bestimmte
Angelegenheiten, die vielleicht wichtiger und dringender sind, ein bisschen
Tennis, ein bisschen Schwimmen“. Auf die Frage, warum er diese „Auszeit“ von
seiner wöchentlichen Tätigkeit brauche, antwortete der Papst: „Ich denke, der
Mensch muss wirklich gut auf sich achten. Jeder sollte ein wenig für seinen
Körper und seine Seele tun, alles zusammen. Mit tut das sehr gut.“ Es sei „eine
Pause“ – so der Pontifex – „die sehr hilfreich“ sei.
Die
Missbrauchsvorwürfe gegen den Bischof von Cádiz
Am
Tag nach der Audienz mit der spanischen Bischofskonferenz wurde der Papst auch
zum Fall des Bischofs von Cádiz und Ceuta, Rafael Zornoza, befragt, dem
vorgeworfen wird, als Priester in den 1990er-Jahren einen Minderjährigen
mehrfach sexuell missbraucht zu haben. „Jeder Fall unterliegt klar festgelegten
Protokollen“, erklärte Papst Leo dazu. „Der Bischof selbst musste Stellung
nehmen und betont seine Unschuld. Es wurde eine Untersuchung eingeleitet, und
wir müssen sie ihren Gang nehmen lassen. Je nach Ergebnis wird es Konsequenzen
geben.“ An die Opfer gewandt, äußerte der Papst vor allem die Hoffnung, „dass
sie einen sicheren Ort finden, an dem sie sprechen und ihre Fälle vorbringen
können“. Damit verbunden sei es „auch wichtig, die Prozesse zu respektieren,
die Zeit brauchen, aber wir haben auch schon darüber gesprochen, dass es
notwendig ist, die von der Justiz, in diesem Fall von der Kirche, vorgegebenen
Schritte zu befolgen.“ (vn 18)
Erzbischof Heße wirbt für gegenseitiges Verständnis
Der
Hamburger Erzbischof Stefan Heße wirbt anlässlich des Tags der Religionen am
Montag eindringlich für das Miteinander und den gegenseitigen Respekt zwischen
den Glaubensgemeinschaften. Die ganztägige Veranstaltung in Hamburg wurde vom
Runden Tisch der Religionen ausgerichtet und endete mit einem Senatsempfang.
Erzbischof
Heße betonte die Bedeutung des städtischen Rückhalts für diese Form des
Austauschs: „Ich bin dankbar, dass das Miteinander der Religionen hier in der
Stadt vom Senat sehr unterstützt wird“. Er sei überzeugt, dass nur Dialog zur
Verständigung und damit zum Frieden in der Gesellschaft beitragen könne.
Dialog
werde jedoch oft falsch verstanden. „Dialog heißt nicht, dass wir immer
einer Meinung sind, sondern dass ich mit Respekt auf den anderen zugehe,
versuche, ihn zu verstehen, seine Religion kennenzulernen und ihn
wertzuschätzen.“
Lob
für den „Religionsunterricht für alle“
Diese
Grundhaltung des respektvollen Umgangs müsse bereits bei jungen Menschen
gefördert werden. Daher lobte Erzbischof Heße den Hamburger
„Religionsunterricht für alle“. In diesem konfessionsübergreifenden Unterricht
lernen Kinder aller Glaubensrichtungen und auch Kinder, deren Familien keiner
Religionsgemeinschaft angehören, gemeinsam über Religionen. Das Erzbistum
Hamburg ist seit 2022 aktiv in dieses Modell involviert.
Der
Erzbischof sieht darin ein wichtiges Instrument zur Förderung des
gesellschaftlichen Zusammenhalts: „Ich habe die Hoffnung“, so der
Erzbischof, „dass das das Miteinander in unserem Land interreligiös und
interkulturell weiter nach vorne bringt.“
Der
Tag der Religionen wurde am Montag vom Runden Tisch der Religionen in Hamburg
ausgerichtet. Das Forum, das 1998 gegründet wurde, setzt sich bundesweit für
Toleranz und Verständigung ein. Die Veranstaltungen des Tages gipfelten in
einem Empfang mit Staatsrat Jan Pörksen, bei dem die religiöse Vielfalt in den
Schulen und das Modell des gemeinsamen Religionsunterrichts besonders
hervorgehoben wurden. (pm 18)
Kirchliche Institutionen senden starkes Signal an COP30
Zum
Weltklimakonferenz (COP30) im brasilianischen Belém haben 46 kirchliche
Institutionen in Deutschland die größte Divestment-Initiative in der Geschichte
des Landes bekannt gegeben. Die Einrichtungen schließen ihre Geldanlagen in
fossile Energieträger aus und bekennen sich damit nicht nur verbal, sondern
auch finanziell zu einem Kurs der Klimagerechtigkeit.
Die
Initiative, die von Christians for Future koordiniert wurde, ist Teil einer
weltweiten Aktion von insgesamt 62 kirchlichen Organisationen. Gemeinsam
fordern sie die Verhandlungsführerinnen und -führer der COP30 auf,
Investitionen aus fossilen Energien abzuziehen und in eine gerechte,
nachhaltige Zukunft zu lenken.
EKD,
Kirchenbanken und Jesuiten beteiligt
Die
Breite der beteiligten Organisationen unterstreicht die gewachsene Bedeutung
des Themas in den deutschen Kirchen. Zu den 46 Einrichtungen zählen: 42
Mitglieder des Arbeitskreises Kirchlicher Investoren (AKI): Darunter die
Evangelische Kirche in Deutschland (EKD), fast alle evangelischen
Landeskirchen, kirchliche Finanzinstitutionen und diakonische Werke, sowie
katholische Organisationen wie unter anderem die Zentraleuropäische
Jesuitenprovinz, die Steyler Bank und die Pax-Bank für Kirche und Caritas.
Während
die AKI-Mitglieder Investitionen in die Kohleförderung sowie in
unkonventionelle Öl- und Gasförderung ausschließen, gehen einige katholische
Institutionen wie die Jesuiten, die Steyler Mission sowie die Steyler und die
Pax-Bank noch weiter und verzichten vollständig auf Investitionen in fossile
Brennstoffe.
„Wichtiger
christlicher Eckpfeiler“
Die
Initiatoren ordnen die Erklärung als deutliches Gegengewicht zur aktuellen
politischen Debatte ein. „Wir sehen in der großen Divestment-Erklärung ein
wichtiges Zeichen: Im Gegensatz zum aktuellen Zurückdrehen der Klimapolitik in
der Politik bekennen sich wichtige christliche Eckpfeiler unserer Gesellschaft
weiterhin zu einem Weg der Klimagerechtigkeit“, erklärte Philipp Schultes von
Christians for Future.
Kathrin
Fingerle, ebenfalls aktiv bei Christians for Future, ergänzte, die heutige
Veröffentlichung sei „ein großer Erfolg langjährigen Aktivismus, aber auch der
kircheninternen Arbeit“. Die Kirchen gingen „weiter glaubwürdig den Weg der
Klimagerechtigkeit – die Politik sollte es ihnen gleichtun“.
Die
internationale Erklärung, koordiniert vom Laudato Si’-Bewegung und dem
Weltkirchenrat (ÖRK), reiht sich in eine Reihe eindringlicher Appelle an die
Klimakonferenz ein. Unter anderem fordern katholische Bischöfe aus dem Globalen
Süden ein Ende der Nutzung fossiler Energieträger aufgrund der „ökologischen
und moralischen Schuld gegenüber dem Globalen Süden“.
Weltweit
haben seit 2013 über 1.700 Institutionen mit einem Anlagevolumen von über 40
Billionen US-Dollar ihren Rückzug aus fossilen Investitionen beschlossen –
darunter über 600 religiöse Einrichtungen. Die deutsche Initiative ist damit
ein wesentlicher Bestandteil einer global wachsenden Bewegung. (pm 18)
„Polen und Deutsche brauchen einander“
Bischöfe
aus Polen und Deutschland begehen in Breslau den 60. Jahrestag des
Briefwechsels zur Versöhnung
Heute
(18. November 2025) jährt sich zum 60. Mal der Beginn des Briefwechsels
zwischen den polnischen und den deutschen Bischöfen. 20 Jahre nach dem Zweiten
Weltkrieg luden die beim Zweiten Vatikanischen Konzil anwesenden Bischöfe aus
Polen ihre deutschen Mitbrüder zur Millenniumsfeier der Christianisierung
Polens ein. Sie verbanden diese Geste mit einer Betrachtung der gemeinsamen
Geschichte beider Völker, die in eine Versöhnungsbotschaft nach den Schrecken
des Krieges und der deutschen Okkupation mündete. Der Satz „Wir vergeben und
bitten und Vergebung“ ist in das historische Gedächtnis der beiden Nationen und
Europas eingegangen. In ihrer Antwort griffen die deutschen Bischöfe die
Versöhnungsbotschaft auf und erklärten, die ihnen entgegengestreckten Hände
dankbar ergreifen zu wollen. Der Botschaft der polnischen Bischöfe und der
Antwort der deutschen Seite war keine sofortige positive Rezeption in den
jeweiligen Ländern beschieden. Bereits nach wenigen Jahren wurde der
Briefwechsel jedoch als epochales Ereignis eingeschätzt, als zentrales Moment
einer historischen Bewegung, die in Europa trotz aller Konfrontation
Entspannung und Versöhnung anbahnen half.
Um
diese Ereignisse zu würdigen, gemeinsam an das seither im Verhältnis von Polen
und Deutschen Erreichte zu erinnern und den Blick zugleich auf die neuen
Herausforderungen in einem abermals kriegsbeladenen Europa zu richten, sind
Delegationen der Polnischen und der Deutschen Bischofskonferenz am heutigen Tag
in Breslau zusammengekommen. Im Mittelpunkt standen ein Festakt am Denkmal für
den Breslauer Kardinal Boles?aw Kominek, der als Hauptverfasser des polnischen
Briefes verehrt wird, ein Festgottesdienst in der Kathedrale St. Johannes der
Täufer sowie die Unterzeichnung einer Gemeinsamen Erklärung der Vorsitzenden
beider Bischofskonferenzen.
Beim
Festakt sprachen neben den Vorsitzenden beider Bischofskonferenzen von
staatlicher Seite der Staatsekretär im polnischen Außenministerium, Wojciech
Jacek Zaj?czkowski, und der Polen-Beauftragte der deutschen Bundesregierung,
Knut Abraham. Darüber hinaus wurde eine aus Anlass des 60. Jahrestages vom
Senat der Republik Polen verabschiedete Resolution verlesen. Die Ansprachen der
beiden Kirchenvertreter stellten Mut und Weitsicht des späteren Kardinals
Kominek heraus, der durch die Initiierung des Briefwechsels zu einer
herausragenden Gestalt des europäischen Katholizismus in der zweiten Hälfte des
20. Jahrhunderts geworden sei.
In
seiner Predigt in der Eucharistiefeier erläuterte der Vorsitzende der Deutschen
Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, anhand der Seligpreisungen Jesu
das christliche Verständnis von Versöhnung, das sich auch im Briefwechsel von
1965 spiegele. Die Bezeugung dieser Versöhnung sei keine politische Strategie,
könne aber, gerade weil sie sich der Logik der Welt entziehe und entgegensetze,
erhebliche politische Folgen zeitigen. Dies erweise sich in der
Rezeptionsgeschichte des Briefwechsels.
Auch
die Gemeinsame Erklärung mit dem Titel Mut zur ausgestreckten Hand erinnert an
die politische Bedeutung des Briefwechsels. Sie wurde vom Vorsitzenden der
Polnischen Bischofskonferenz, Erzbischof Tadeusz Wojda, und von Bischof Bätzing
unterschrieben: „So leisteten die Briefe schließlich auch einen gewichtigen
Beitrag für den Weg einer politischen Verständigung, die zur Anerkennung der
Staatsgrenze an Oder und Neiße und zu weiteren Schritten zu guter Nachbarschaft
zwischen Polen und Deutschen führte.“ Ausdrücklich wird in diesem Zusammenhang
auf die wirksamen Beiträge der Evangelischen Kirche in Deutschland und auf
Initiativen „aus dem Raum der katholischen Kirche“ in diesem Prozess
hingewiesen. Die Erklärung stellt klar vor Augen, dass der Versöhnungsprozess
zwischen Polen und Deutschen nicht abgeschlossen ist: „Die historischen
Verletzungen prägen unsere Gegenwart bis heute.“ In sehr entschiedenen Worten
wehren sich die Vorsitzenden der Bischofskonferenzen gegen alle Versuche der
politischen Ausbeutung weiter bestehender Spannungen: „Manche politischen
Akteure versuchen, das immer noch Schmerzende und das historisch Unabgegoltene
politisch zu nutzen. Für uns ist klar: Politische Spiele mit den historischen
Verletzungen widersprechen dem Geist der Versöhnung, wie er im Briefwechsel zum
Ausdruck kam.“
Mit
Blick auf die heutige politische Lage spricht die Gemeinsame Erklärung von der
„Hoffnung auf Versöhnung für Europa und die Welt“. Nachdrücklich widersetzt sie
sich Tendenzen der nationalen Abschottung, die die heutige Zeit prägen: „Der
Versuchung, sich auf nationale Sonderwege zu begeben und sich international von
der Politik der regelbasierten Zusammenarbeit zu verabschieden, gilt es zu
widerstehen. Die europäische Idee, einen gemeinsamen Raum des Rechts und des
Friedens zu schaffen, ist weiterhin zentral.“ Auf dieser Linie liegt auch die
Verurteilung des russischen Kriegs gegen die Ukraine. Die Bischöfe zeigen sich
„von der Notwendigkeit überzeugt, dass Europa gemeinsam der Gewalt
entgegentreten muss. Praktische Solidarität mit den Angegriffenen und Mitgefühl
mit allen Opfern des Krieges sind gefordert.“
In
seinem Statement bei der Pressekonferenz knüpfte Bischof Bätzing an diese
Aussagen der Gemeinsamen Erklärung an und bedauerte die oft unzureichende
Dynamik in den polnisch-deutschen Beziehungen. Zwar dürfe „das erreichte Maß an
guter Nachbarschaft und Normalität“ nicht gering geschätzt werden. „Aber: Mit
dem bloßen Ausruhen auf den Meriten der Vergangenheit, mit einer gepflegten
Langeweile in den Beziehungen zwischen den Staaten, zwischen den Gesellschaften
und vielleicht auch in der Kirche (…) ist die Zukunft nicht zu gewinnen.“
Vielmehr gelte: „Polen und Deutschland brauchen einander – und sie werden
gebraucht: in vielerlei Hinsicht, vor allem aber für den Aufbau eines Europas,
das für uns alle der Garant für Sicherheit und Frieden, für Freiheit und soziale
Gerechtigkeit sein soll.“ Auf diesem Weg sei auch das gemeinsame Zeugnis der
Kirche in Polen und in Deutschland gefordert. „Denn wenn sie mit einer Stimme
spricht, vermag sie eine wirksame ethische Orientierung in die Debatten
hineinzutragen, die Maß nimmt am Evangelium.“
Die
Polnische Bischofskonferenz ist neben Erzbischof Wojda unter anderem von
Kardinal Grzegorz Wojciech Ry? (Krakau), Erzbischof Dr. Józef Kupny (Breslau)
und Erzbischof Stanis?aw Budzik (Lublin) vertreten. Der deutschen Delegation
gehören neben Bischof Bätzing Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln), Erzbischof
Dr. Heiner Koch (Berlin), Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), Bischof
Wolfgang Ipolt (Görlitz), Bischof Heinrich Timmerevers (Dresden-Meißen),
Weihbischof Rolf Steinhäuser (Köln) und die Generalsekretärin der Deutschen
Bischofskonferenz, Dr. Beate Gilles (Bonn), an. Dbk 18
„Wenn Zugehörigkeitsgefühl schwindet, werden wir wie Bäume ohne Wurzeln“
Papst
Leo XIV. hat an diesem Montagnachmittag (17. November 2025) die Priester, die
in den Päpstlichen Vertretungen weltweit im diplomatischen Dienst tätig sind,
im Vatikan empfangen. Die Audienz fand im Rahmen des Jubiläums der Hoffnung
statt und diente dazu, die Priester in ihrem anspruchsvollen Dienst zu
bestärken. Mario Galgano - Vatikanstadt
Der
Papst forderte sie auf, trotz ihrer internationalen Tätigkeit stets verwurzelt
zu bleiben und sich nicht von der Kirche und den Völkern zu isolieren.
Der
Papst betonte, dass der Dienst der Mitarbeiter – die Präsenz der pastoralen
Sorge des Papstes in den jeweiligen Ländern – schwierig sei und „ein brennendes
Herz für Gott und ein offenes Herz für die Menschen“ erfordere.
Dienst
mit dem Volk Gottes
Zu
Beginn unterstrich Leo XIV., wie wichtig es sei, dass der Dienst der Priester
„mit dem Volk Gottes“ geschehe und nicht von ihm getrennt. Er dankte ihnen,
dass sie dem Ruf des Meisters gefolgt seien, alles zu verlassen, um das
Evangelium zu verkünden.
Ein
zentrales Thema war die geistliche Verwurzelung und das „Sentire cum Ecclesia“
(Mit der Kirche fühlen). Der Papst warnte die Diplomaten eindringlich vor den
Gefahren der Entwurzelung und Isolation, die in ihrem internationalen Umfeld
lauern können:
„Bleibt
stattdessen dem kirchlichen Leib und der Geschichte der Völker eingepfropft:
sowohl dem, aus dem ihr kommt, als auch denen, zu denen ihr gesandt werdet.“
Er
fuhr fort: „Wenn dieses Zugehörigkeitsgefühl schwindet, stellt sich die
Demotivation ein: Dann werden wir wie Bäume ohne Wurzeln. Wenn der Baum jedoch
nicht aufhört, den Lebenssaft zu empfangen, kann er auch anderswo verpflanzt
werden und so neue Früchte tragen.“
Inkulturation
ist kein Folklore
Die
Priester forderte er auf, sich nicht als distanzierte Beobachter zu verhalten,
sondern als „leidenschaftliche Jünger Christi“, die sich mit „evangelischem
Stil“ in die Kontexte einfügen, in denen sie leben und arbeiten.
„Die
großen Missionare erinnern uns nämlich daran, dass die Inkulturation keine
folkloristische Haltung ist, sondern aus dem Wunsch entsteht, sich der Erde und
den Menschen, denen wir dienen, zu widmen.“
Besonders
gedachte der Papst jener Priester, die in Kontexten von „Schwierigkeit,
Konflikt und Armut“ tätig sind. Ihnen riet er, sich in Momenten der Entmutigung
an den heiligen Augustinus zu erinnern: „Pondus meum, amor meus“ – „Meine Last
ist meine Liebe“.
Abschließend
ermahnte der Papst die Mitarbeiter, die Kapelle in ihren Vertretungen als das
wahre Zentrum ihres Hauses zu sehen, wo das Licht des Tabernakels „Schatten und
Unruhe vertreiben“ und sie so zu „Pilgern der Hoffnung“ machen könne, besonders
dort, wo es den Völkern an Gerechtigkeit und Frieden mangele. (vn 17)
Synode: Zwischenberichte der Arbeitsgruppen veröffentlicht
Papst
Franziskus hatte sie im März 2024 am Rand der katholischen Weltsynode
eingesetzt – jetzt haben die Studiengruppen ihre Berichte über die bisher
geleistete Arbeit vorgelegt. Am 31. Dezember sollen die Schlussberichte an Leo
XIV. übergeben werden. Zu den Themen gehören: digitale Mission, Rolle der
Frauen, Ökumene, Polygamie, Liturgie, das Amt der Nuntien und die Auswahl von
Bischöfen. Salvatore Cernuzio – Vatikanstadt *
Papst
Franziskus hatte sich eine engere Zusammenarbeit zwischen den Behörden der
Römischen Kurie und dem Generalsekretariat der Synode gewünscht. Daher gründete
er zehn Studiengruppen und gab ihnen den Auftrag, die auf der Synode über
Synodalität aufgeworfenen Themen zu vertiefen. Zwanzig Monate später
veröffentlichen die Gruppen nun an diesem Montag, 17. November, ihre
Zwischenberichte, nachdem sie erste Papiere schon auf der zweiten
Vollversammlung der Weltsynode im vergangenen Oktober präsentiert hatten.
Zwei
neue Gruppen
Die
Themen sind vielfältig: von der Mission im digitalen Bereich über die Ämter und
die Beteiligung von Frauen in der Kirche bis hin zu den Beziehungen zu den
Ostkirchen, der Rolle der Nuntien und der Auswahl neuer Bischöfe. Außerdem
Ökumene, Ostkirchen und „kontroverse“ Lehrfragen wie beispielsweise Gewalt
gegen Frauen in Kriegssituationen. Zusammen mit den Zwischenberichten wurden
auch die Ausarbeitungen der Kirchenrechtlichen Kommission und des SECAM
(Verband der Bischofskonferenzen von Afrika und Madagaskar) über die
Herausforderung der Polygamie vorgestellt – sowie zum ersten Mal ein Bericht
der Gruppe „Die Liturgie in synodaler Perspektive”.
Dies
ist eine der beiden neuen Gruppen, die Leo XIV. den von seinem Vorgänger
Franziskus eingerichteten Gruppen hinzugefügt hat; sie hat Ende Juli 2025 ihre
Arbeit aufgenommen. Die andere Gruppe befindet sich noch im Aufbau; sie befasst
sich mit dem Statut der Bischofskonferenzen, der kirchlichen Versammlungen und
der Partikularkonzilien.
Verlängerung
der Frist für die Vorlage der Schlussberichte
Alle
Gruppen waren aufgefordert worden, dem Papst ihre Überlegungen bis Ende Juni
2025 vorzulegen. Der Tod von Franziskus Ende April, die Wahl Leos XIV.‘ am 8.
Mai und der Bedarf an mehr Zeit für die Arbeiten machten allerdings eine
Verlängerung der Frist erforderlich. Der neue Papst hat im vergangenen Juli
eine entsprechende Verlängerung gewährt und darum gebeten, ihm die
Schlussberichte „soweit möglich” bis zum 31. Dezember 2025 vorzulegen. „Einige
Gruppen stehen kurz vor dem Abschluss ihrer Arbeit, andere werden in den
kommenden Monaten noch weiterarbeiten“, erklärt Kardinal Mario Grech,
Generalsekretär der Synode, in einem Begleitschreiben.
Die
Beziehungen zu den Ostkirchen
Der
erste Bericht befasst sich mit den Beziehungen zwischen den katholischen
Ostkirchen und der lateinischen Kirche. Er wurde von der Studiengruppe 1
verfasst, deren Mitglieder vom Dikasterium für die Ostkirchen ausgewählt worden
sind. Ein Fragebogen mit 25 Fragen, „Vorschläge und Wünsche“ des Rates
katholischer Patriarchen des Nahen Ostens sowie eine Konsultation zu „Themen
von gemeinsamem Interesse“ prägten die Arbeit der Gruppe 1 sowie der
Vorbereitungsgruppe.
Jene
konzentrierte sich ausschließlich auf Fragen der Seelsorge an Gläubigen der
Ostkirchen, die in der Diaspora leben und dort über keine leitende Hierarchie
verfügen. Zu den Themen, mit denen sich die Studiengruppe befassen will, gehört
eine mögliche Überarbeitung von Normen des Gesetzbuches katholischer Ostkirchen
(CCEO).
Der
Schrei der Armen und der Erde
Vier
Frauen und drei Männer, darunter Ordensleute und Laien aus fünf Kontinenten,
arbeiteten in der Studiengruppe 2 zum Thema „Auf den Schrei der Armen und der
Erde hören”. Die Mitglieder nahmen Kontakt zu zahlreichen Verbänden und
Ortskirchen auf, hielten eine Reihe von Zoom-Treffen ab und tragen in ihrem
Zwischenbericht die Vorschläge von Bischöfen, Theologen und Seelsorgern
zusammen. Die Gruppe hat auch den Internationalen Verband der Generaloberen von
Frauenorden (UISG) konsultiert und mit ihrer Hilfe über 200 Beiträge aus diesen
Orden gesammelt; mit dem Büro für Behindertenfragen der Australischen
Bischofskonferenz tauschte sie sich außerdem über die Teilhabe von Menschen mit
Behinderungen am Leben der Kirche aus.
Der
Schlussbericht wird derzeit ausgearbeitet; in der laufenden „Rückmeldungsphase”
will sich jedes Mitglied der Gruppe darum bemühen, „mit armen oder
ausgegrenzten Menschen oder Gemeinschaften” auf seinem Herkunftskontinent in
Kontakt zu treten.
Die
Mission im digitalen Umfeld
Als
Antwort auf den Aufruf der Weltsynode hat die Studiengruppe 3 die Frage der
Mission der Kirche im digitalen Umfeld vertieft. Dabei legte sie den
Schwerpunkt auf das Anhören der unterschiedlichsten Stimmen: Vertreter des
Heiligen Stuhls, Theologen, Kommunikationsexperten und Wissenschaftler. Die
Gruppe 3 beriet sich außerdem mit 84 Kommunikationsbüros der
Bischofskonferenzen. Darüber hinaus rief sie die Initiative „Die Kirche hört
dir zu” ins Leben, in deren Rahmen 1.618 „digitale Missionare“ aus 67 Ländern
Erfahrungen mit der digitalen Begleitung von Jugendlichen und Menschen am Rande
der Gesellschaft sammeln konnten. Wichtig war auch der Austausch mit der
Päpstlichen Kommission für den Schutz von Minderjährigen, deren Mitglieder
ethische Fragen sowie Aspekte des Schutzes im digitalen Kontext hervorgehoben
haben.
Um
eine noch bessere Dynamik zu erreichen, wurden drei thematische Arbeitsgruppen
eingerichtet, die Wissenschaftler, Pastoralfachleute, „Digital Creators“ und
junge Menschen unter 35 Jahren aus allen Teilen der Welt an einen Tisch
bringen. Derzeit wird an der Ausarbeitung des Schlussberichts gearbeitet, der
auch mit Erkenntnissen aus den Heilig-Jahr-Feiern der katholischen Influencer
angereichert werden soll.
Die
Überarbeitung eines Dokuments über Priesterausbildung
Ein
langer Weg wird im Bericht der Studiengruppe 4 skizziert: Er beschäftigt sich
mit der „Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis“, einem Dokument aus
dem Jahr 2016 über die Priesterausbildung. Die Perspektive ist eine
Überarbeitung dieses Papiers im Sinne der Synodalität – auch wenn es sich da um
„ein neues Dokument handelt, das sich noch in der Rezeptionsphase befindet und
das bereits wichtige Neuerungen in Bezug auf die synodale und missionarische
Dimension der Kirche gebracht hat“. Derzeit werden die jeweiligen „Ratio
Nationalis“ ausgearbeitet (ein Teil davon wurde bereits vom vatikanischen
Dikasterium für den Klerus bestätigt, andere sind noch in Ausarbeitung).
Allerdings stellt der Zwischenbericht fest, dass „es derzeit nicht angebracht
scheint, über eine vollständige Überarbeitung der ‚Ratio‘ nachzudenken“.
Gleichzeitig
hebt der Bericht von Gruppe 4 hervor, dass es mittlerweile eine Reihe neuer
„Anforderungen“ gibt, „die nicht ignoriert werden können“. Dazu gehören die
Forderung nach „einer Ausbildung, die stärker in die Erfahrung des Volkes
Gottes eingebettet ist“, gemeinsame Momente zwischen Laien, Geweihten und
Seminaristen sowie eine stärkere Beteiligung von Frauen und Familien. Deswegen
wird ein mögliches Ergänzungsdokument zur „Ratio Fundamentalis“ in Betracht
gezogen. Darin sollen auch „wichtige Anregungen“ berücksichtigt werden, die
seit Oktober 2024 von den Teilnehmern der Synode vorgebracht wurden, darunter
die Herausforderungen durch soziale Netzwerke und KI sowie die Gestaltung der
Seminare.
Die
Teilhabe von Frauen am Leben der Kirche
Die
Studiengruppe 5 befasste sich mit dem Thema der Teilhabe von Frauen am Leben
und an der Leitung der Kirche. Entsprechend den Vorgaben des
Generalsekretariats der Synode arbeitet derzeit das Dikasterium für die
Glaubenslehre an einem Schlussbericht zu diesem Thema. Die vatikanische Behörde
hat dazu die Stellungnahmen von Frauen, die an der Sendung und Leitung der
Kirche beteiligt sind, eingeholt und „enormes“ Material zusammengetragen und
ausgewertet.
Die
ersten Konturen des Schlussberichts sind jetzt schon bekannt: Er wird aus einer
Zusammenfassung der wichtigsten Ergebnisse und Übereinstimmungen zum Thema der
Rolle der Frauen bestehen. Ein Anhang soll außerdem das „umfangreiche Material”
präsentieren, welches das Dikasterium erhalten hat. Dieser Anhang wird in
sieben Teile gegliedert sein; dazu gehören etwa die Stellungnahmen von Frauen,
die an der Leitung der Kirche beteiligt sind und/oder in der römischen Kurie
arbeiten, sowie Überlegungen zu den kritischen Themen Klerikalismus und
Macho-Wesen.
„Ergebnisse
der Studiengruppe zum Frauendiakonat werden in Kürze bekanntgegeben“
Natürlich
wird auch der Beitrag von Franziskus und Leo XIV. zur Rolle der Frauen in der
Kirche ausgefaltet werden. Der erste Entwurf des Berichts wurde bereits im Juli
2025 mit Beraterinnen der obersten Glaubensbehörde besprochen; ihre Beiträge
werden auch im zweiten Teil berücksichtigt werden.
Auf
besonderes Interesse stößt die Frage des Zugangs von Frauen zum Diakonat;
hierzu hatte Papst Franziskus gleich zweimal eine Studienkommission einberufen.
Der Zwischenbericht führt nun aus, dass „dieser Kommission alle Beiträge
übermittelt wurden, die im Rahmen der Synodenarbeit zu diesem Thema entstanden
sind“. Die Ergebnisse der Arbeit der Kommission sollen in Kürze bekanntgegeben
werden.
Beziehungen
zwischen Bischöfen, geweihten Personen und kirchlichen Vereinigungen
Die
Arbeit der Studiengruppe 6 gliederte sich in drei thematische Untergruppen.
Diese analysierten jeweils die Beziehungen zwischen Bischöfen und geweihten
Personen, die Zusammenarbeit zwischen Bischofskonferenzen und Verbänden der
Ordensoberen sowie die Beziehungen zwischen kirchlichen Vereinigungen und
Ortskirchen. Bischöfe, Ordensleute und Laien aus verschiedenen
Himmelsrichtungen tauschten sich auf der Grundlage des Lehramtes und ihrer
direkten Erfahrungen aus.
Nach
Dialogen, Interviews, Fragebögen und Diskussionen (die nicht ohne
„Schwierigkeiten“ verliefen, wie es heißt) erstellten die Untergruppen einen
zusammenfassenden Bericht und arbeiten nun am Schlussbericht. In dieser letzten
Phase werden auch die Vereinigungen der Generaloberen und Generaloberinnen (USG
und UISG) sowie die zuständigen vatikanischen Dikasterien angehört.
Figur
und Dienst des Bischofs
Kriterien
für die Auswahl von Kandidaten für das Bischofsamt unter Beteiligung der
Ortsbischöfe und der Gläubigen; Aus- und Fortbildung der Bischöfe; die
richterliche Funktion des Hirten; die Art und Durchführung der
Ad-limina-Besuche: Mit all diesen Fragen setzte sich die Studiengruppe 7
auseinander. Das Team traf sich seit dem Ende der zweiten Vollversammlung der
Weltsynode vom Oktober 2024 einmal im Monat und hat in den letzten Monaten etwa
200 Personen angehört.
Zum
Thema der Auswahl von Kandidaten für das Bischofsamt erhielt die Gruppe von
Papst Franziskus über den damaligen Kardinal Robert F. Prevost, Präfekt des
Dikasteriums für die Bischöfe (und heute Papst Leo), „die Befugnis, die
vertraulichen Anweisungen zu prüfen”, welche an die Nuntiaturen ergangen sind.
In diesen Anweisungen geht es um das Verfahren für Bischofsernennungen in den
Zuständigkeitsbereichen“ der Dikasterien für die Bischöfe und für die
Evangelisierung.
Die
Gruppe befragte während der Weltsynode im Vatikan etwa 80 Teilnehmende, welche
Anfragen und Erwartungen formulierten. Bei einer Gelegenheit wurde eine
„Expertin für die Auswahl von Führungskräften internationaler Unternehmen“
eingeladen, um „nützliche Informationen aus den in der Zivilgesellschaft
angewandten Verfahren“ zu gewinnen. Außerdem wurden die Vorsitzenden der
Bischofskonferenzen und die päpstlichen Vertreter (Nuntien) per Fragebogen um
ihre Meinung gebeten. Auch Laien wurden schriftlich konsultiert, und es wurden
etwa 25 freie Beiträge geprüft, die an das Sekretariat der Synode geschickt
worden waren.
Aufgrund
dieser intensiven Zuhörphase erzielte die Gruppe einen Konsens über einige
Perspektiven. Dazu gehören beispielsweise die Förderung „größerer Investitionen
in die Ausbildung des Volkes Gottes“ oder eine „stärkere Einbindung“ der
Bischöfe der Ortskirchen.
Die
Rolle der Nuntien
Die
Studiengruppe 8 stand vor der Aufgabe, zu „prüfen”, wie das Amt der päpstlichen
Vertreter (Nuntien) „in einer missionarischeren und synodaleren Perspektive
weiterentwickelt werden kann“. Dieses Mandat führte zu zahlreichen Treffen im
Sekretariat der Synode in Rom und über Zoom. Zunächst wurde ein Sondertreffen
mit den Vorsitzenden der Bischofskonferenzen einberufen, die an der Synode vom
Oktober 2024 teilnahmen. Von den insgesamt 61 Vorsitzenden, die zur Weltsynode
nach Rom gekommen waren, nahmen 45 an dem Sondertreffen teil; andere führten
persönliche Gespräche mit Mitgliedern der Gruppe. Anschließend wurde ein
Webinar mit Nuntien aus aller Welt organisiert, um über Synodalität zu
diskutieren (87 Teilnehmer). An die Präsidenten der verschiedenen Bischofskonferenzen
wurde schließlich ein Brief geschickt, der von Kardinal Grech und Kardinal
Oswald Gracias, emeritierter Erzbischof von Bombay (Indien), unterzeichnet war
und in dem sie aufgefordert wurden, Vorschläge zum Dienst der Nuntien zu
unterbreiten. Ein weiterer Brief ging an die Diplomaten selbst; darin wurden
sie gebeten, Kommentare und Hinweise zu geben.
In
beiden Fällen waren die Antworten „positiv und von großem Wert“. Derzeit werden
die Stellungnahmen analysiert und an die Mitglieder der Studiengruppe
weitergegeben; wegen der geografischen Entfernungen nimmt dies einige Zeit in
Anspruch, doch es ist davon auszugehen, dass der Schlussbericht tatsächlich
Ende Dezember 2025 auf dem Tisch liegen wird. Zu den vertieften Fragen gehören:
das Auswahlverfahren für die Kandidaten für die vatikanische
Diplomaten-Akademie und ihre Ausbildung; die Unterstützung der Mitglieder des
diplomatischen Dienstes in den ersten Jahren ihrer Tätigkeit; regionale Treffen
zwischen Nuntien; Betreuung nach der Pensionierung.
„Umstrittene“
doktrinäre, pastorale und ethische Fragen
„Eine
Umkehr im Denken und eine Umgestaltung der Praktiken in Treue zum Evangelium
Jesu”: Mit diesem Vorsatz beugt sich die Studiengruppe 9 über „umstrittene”
doktrinäre, pastorale und ethische Fragen - wobei sie lieber von „aufkommenden“
als von kontroversen Themen spricht. Homosexualität, Konflikte und gewaltfreie
Praxis des Evangeliums, Gewalt gegen Frauen in bewaffneten Konflikten: Zu
diesen Fragen, so heißt es im Bericht, sei es nicht das Ziel, „Lösungen zu
finden, die für alle passen, sondern einige Referenzkriterien anzubieten”. Der
Horizont sei das „Prinzip der Pastoralität”, also eine seelsorgerliche Optik.
Der Zwischenbericht spricht davon, „dass „es keine Verkündigung des Evangeliums
Gottes gibt ohne Anerkennung und Förderung der Subjektivität des anderen, ohne
Gastfreundschaft und ohne Verantwortung gegenüber dem Gesprächspartner“.
Der
ökumenische Weg
Synodalität
und Einheit der Christen: Diese Themen sind miteinander verknüpft. Das war der
Ausgangspunkt der Überlegungen von Gruppe 10 zum ökumenischen Weg. Dabei wurden
speziell drei Aspekte untersucht, nämlich Synodalität und Primat des
Petrusamts; eucharistische Gastfreundschaft mit besonderem Augenmerk auf
interkonfessionelle Paare und Familien; und schließlich das Phänomen
„nichtkonfessioneller“ Gemeinschaften und christlich inspirierte
„Erweckungsbewegungen“. Nach der Ausarbeitung eines theologischen und
pastoralen Rahmens finden derzeit Konsultationen mit dem Dikasterium zur
Einheit der Christen, mit ökumenischen Gemeinschaften wie Taizé, Chemin Neuf
und Fokolarbewegung sowie mit Theologen aus verschiedenen Kontinenten statt.
Ziel ist es, praktische Leitlinien zu erarbeiten.
Die
Liturgie in synodaler Perspektive
Eine
weitere Studiengruppe – die, wie oben schon erwähnt, Papst Leo ins Leben
gerufen hat – befasst sich mit der Liturgie und hat an diesem Montag zum ersten
Mal ihre Arbeit vorgestellt. Das Team wird vom Dikasterium für den Gottesdienst
koordiniert und arbeitet mit dem Generalsekretariat der Synode zusammen.
Ausgangspunkt seiner Überlegungen ist die Verbindung zwischen Eucharistiefeier
und einem synodalen, missionarischen Leben der Kirche.
„Die
Rolle von Frauen in den biblischen Lesungen bei der Messfeier stärker
hervorheben“
Zu
den untersuchten Themen gehört auch die Frage, „wie insbesondere die
Anerkennung der Rolle der Frauen gefördert werden kann, vor allem dort, wo sie
weiterhin unter Diskriminierung leiden“. Dabei wird darüber nachgedacht, „die
biblischen Zeugnisse über die Rolle von Frauen in der Heilsgeschichte in den
liturgischen Lesungen hervorzuheben“.
Kirchenrechtliche
Kommission
Zu
den Zwischenberichten der zehn Studiengruppen kommt der Bericht der
Kirchenrechtlichen Kommission hinzu, die während der ersten Vollversammlung der
Weltsynode im Oktober 2023 eingerichtet wurde. Seitdem ist die Kommission
achtmal zusammengetreten und hat sich mit den Themen Laien/Frauen,
Bischofskonferenzen/Partikularkonferenzen und Mitwirkungsgremien befasst. Zu
diesen Themen wird die Möglichkeit einer Überarbeitung der geltenden
Rechtsvorschriften geprüft.
Polygamie
Zum
Thema Polygamie hat die Kirche in Afrika eine Expertengruppe innerhalb des
SECAM (Verband der Bischofskonferenzen von Afrika und Madagaskar) gebildet.
Spezialisten aus verschiedenen Teilen Afrikas und Experten für Kirchenrecht,
Anthropologie, Bibelstudien und Seelsorge reflektieren darüber, wie „eine
theologische und pastorale ‚Unterscheidung der Geister‘ zur Polygamie gefördert
werden kann“ und wie „Menschen in polygamen Beziehungen, die sich dem Glauben
annähern“, begleitet werden können. Die zentralen Fragen lauten: Welche
Seelsorge ist für polygame Menschen angemessen? Welche pastoralen Initiativen
können Christen dabei unterstützen, die monogame Ehe zu akzeptieren?
Die
Gruppe hat auch ein vorläufiges Dokument verfasst, das dem Dikasterium für die
Glaubenslehre vorgelegt wurde. Dieses reagierte mit „ermutigenden
Rückmeldungen“ sowie einigen „spezifischen Anmerkungen”. Der Text wird derzeit
noch einmal überarbeitet und wurde daher noch nicht an die nationalen
Bischofskonferenzen weitergeleitet; er wurde jedoch im vergangenen Sommer
während der Vollversammlung des SECAM in Kigali (Ruanda) von Bischöfen und
Theologen vorgestellt und diskutiert. (vn 17)
Internetseite für Geistliche Gemeinschaften und kirchliche Bewegungen
Angebot
unter gemeinschaften-bewegungen.de
Geistliche
Gemeinschaften und kirchliche Bewegungen sind Zusammenschlüsse von Gläubigen
aufgrund eines gemeinsamen Charismas in unterschiedlichen Lebensformen. Sie
haben sich vermehrt nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil in der Kirche
entwickelt und ermöglichen vielen Menschen, eine geistliche Heimat in Glauben
und Kirche zu finden. Geistliche Bewegungen und Gemeinschaften unterscheiden
sich dabei untereinander deutlich in Größe und Verbreitung, innerer Struktur,
institutioneller Verfassung und jeweiliger Tätigkeit.
Die
Kommission für Geistliche Berufe und Kirchliche Dienste der Deutschen
Bischofskonferenz stellt nun mit einer Internetseite einen Service bereit,
durch den verlässliche Informationen im Internet zu katholischen Geistlichen
Gemeinschaften und Bewegungen abrufbar sind. Unter gemeinschaften-bewegungen.de
finden sich die offiziell von der Kirche anerkannten Bewegungen und
Gemeinschaften, also jene, die beispielsweise eine kirchenrechtliche
Anerkennung durch einen Diözesanbischof oder – im Fall von internationalen
Bewegungen – durch den Heiligen Stuhl besitzen. Vorausgesetzt wird zudem, dass
die Vereinigungen die Vorgaben der deutschen Bischöfe hinsichtlich Prävention
und Intervention gegen sexualisierte Gewalt umsetzen.
Weihbischof
Dr. Christoph Hegge (Münster), der die bischöfliche Arbeitsgruppe „Kirchliche
Bewegungen und neue Geistliche Gemeinschaften“ auf nationaler Ebene leitet,
hebt hervor, dass „nach der Lehre von Papst Johannes Paul II. Charismen und
kirchliche Ämter ihren Ursprung im Wirken des Heiligen Geistes haben. Sie sind
in gleicher Weise wesentlich für die Kirche und bilden ihre Grundlage. Daher
muss auch den vielfältigen Charismen in Geistlichen Gemeinschaften und
Bewegungen eine größere Bedeutung für die Erneuerung der Kirche im Geist des
Evangeliums zukommen.“
Die
neue Internetseite enthält unter anderem eine Einführung zu den
unterschiedlichen Formen des Gemeinschaftslebens, eine Übersicht, in der
einzelne Gemeinschaften und Bewegungen sich selbst vorstellen, offizielle
Dokumente und Expertentexte sowie aktuelle Informationen und
Kontaktmöglichkeiten. Dbk 17
Papst Leo speist mit Bedürftigen
Papst
Leo hat am 9. Welttag der Armen mit Bedürftigen in der Audienzhalle gespeist.
Dabei gedachte er seinem Vorgänger Papst Franziskus, der den Welttag der Armen
ins Leben gerufen hatte.
Am
Welttag der Armen waren in der vatikanischen Audienzhalle die runden Tische
gedeckt, 1.300 Personen aus aller Welt nahmen an dem Mittagessen mit Leo XIV.
teil. Es herrschte ein Atmosphäre der Vertrautheit, Freude und Einheit. Die
Gäste erzählten bei Tisch ihre Geschichten, die von Krankheit, Armut, Leid und
Hoffnung geprägt waren, Ordensleute kümmerten sich um Kleinkinder, der Papst
war mittendrin.
Würdigung
von Papst Franziskus
„Mit
großer Freude versammeln wir uns an diesem Nachmittag zum Mittagessen, am
Welttag der Armen, den unser geliebter Vorgänger Papst Franziskus so sehr
gewünscht hat. Einen herzlichen Applaus für Papst Franziskus!“, wandte sich
Papst Leo mit einer Würdigung seines Vorgängers an seine Gäste.
Leo
XIV. würdigte die Ordensgemeinschaft der Vinzentiner, die das Mittagessen für
Bedürftige ausgerichtet hatten und die Speisen servierten. Sie wollten
anlässlich ihres 400-jährigen Bestehens ein konkretes Zeichen für die Armen
setzen. Dazu der Papst:
„Dieses
Mittagessen, das wir jetzt erhalten, wird uns durch die Vorsehung und die große
Großzügigkeit der Gemeinschaft von San Vincenzo, den Vinzentinern, angeboten,
denen wir danken möchten. Außerdem ist heute ein Jubiläum: Es sind 400 Jahre
seit der Geburt ihres Gründers vergangen. Sie werden uns begleiten und am Tisch
bedienen. Herzlichen Glückwunsch an Sie alle, die Priester, Ordensleute und
ehrenamtlichen Laien, die weltweit tätig sind und vielen armen Menschen und
Menschen in Not helfen. Wir sind an diesem Tag wirklich voller Dankbarkeit und
Wertschätzung“, so Papst Leo.
Gottes
Segen für alle Bedürftigen
Die
anwesenden Bedürftigen kamen aus allen Teilen der Welt, etwa aus dem römischen
Stadtteil Primavalle, aus dem afrikanischen Nigeria, aus der Ukraine, aus Kuba
oder aus Barcelona. Papst Leo XIV. bat dann um Gottes Segen für alle Anwesenden
und auch „die vielen Menschen, die unter Gewalt und Krieg, unter Hunger
leiden“: „Segne uns, Herr, und diese Gaben, die wir aus deiner Vorsehung
empfangen. Segne unser Leben, unsere Geschwisterlichkeit. Hilf uns allen, immer
vereint in deiner Liebe zu wandeln. Darum bitten wir dich im Namen Jesu
Christi, unseres Herrn. Amen. - Alles Gute und guten Appetit!“
Auf
den ersten Gang mit Pasta folgte im Menü ein Schnitzel und zum Nachtisch gab's
napoletanisches Babà und Obst. Zahlreiche Organisationen hatten sich an der
Organisation der Veranstaltung beteiligt. Es gab musikalische Einlagen, und die
Teilnehmer erhielten jeweils einen Rucksack mit Lebensmitteln und
Hygieneartikeln als Geschenk. (Antonella Palermo, vn 16)
„Kino ist mehr als eine Leinwand“: Papst Leo XIV. empfängt Stars
Papst
Leo XIV. hat an diesem Samstagmorgen (15. November) eine hochkarätige
Delegation von Filmschaffenden aus aller Welt – darunter Stars wie Cate
Blanchett, Spike Lee, Monica Bellucci und Gus Van Sant – im Apostolischen
Palast empfangen. In seiner Ansprache würdigte das Kirchenoberhaupt das Kino
als „Werkstatt der Hoffnung“ und als eine „junge, träumerische und etwas
rastlose Kunstform“, die in diesen Tagen ihr 130-jähriges Bestehen feiere.
Mario Galgano - Vatikanstadt
Die
Audienz, die vom Dikasterium für Kultur und Bildung veranstaltet wurde, knüpfte
an die Tradition an, den Dialog zwischen Kirche und Kunst zu pflegen.
Kino
als Pilgerreise und Hoffnung in Bewegung
Papst
Leo XIV. betonte, dass der Wert des Kinos weit über bloße Unterhaltung
hinausgehe. Es sei eine „populäre Kunst im edelsten Sinne“, die das Erzählen
des spirituellen Abenteuers des Menschen mit bewegten Bildern verbinde.
„Es
tröstet mich zu denken, dass Kino nicht nur bewegte Bilder ist: Es bedeutet,
die Hoffnung in Bewegung zu setzen!“, rief der Papst den Schauspielern und
Regisseuren zu.
Das
Betreten eines Kinosaals sei wie das Überschreiten einer Schwelle, wo sich das
Auge wieder aufmerksam und der Geist für das Unerwartete öffne. Im Hinblick auf
das bevorstehende Heilige Jahr betonte der Papst:
„Auch
ihr... seid als Pilger der Fantasie unterwegs, als Suchende nach Sinn, als
Erzähler der Hoffnung, als Botschafter der Menschlichkeit.“
Kampf
gegen den Algorithmus und die Leere der Kinosäle
Leo
XIV. warnte davor, dass das Kinoerlebnis in Gefahr sei. Die Logik des
Algorithmus neige dazu, „das zu wiederholen, was ‚funktioniert‘“, während die
Kunst das „Mögliche“ eröffne. Gleichzeitig beklagte er das Verschwinden der
Kinosäle aus den Städten.
„Die
Kinosäle erleben eine besorgniserregende Erosion, die sie den Städten und
Stadtvierteln entzieht. Und nicht wenige sagen, dass die Kunst des Kinos und
das Kinoerlebnis in Gefahr sind. Ich lade die Institutionen dazu ein, sich
nicht damit abzufinden und zusammenzuarbeiten, um den sozialen und kulturellen
Wert dieser Aktivität zu bekräftigen.“
Die
Filmschaffenden forderte er auf, die Langsamkeit, die Stille und die Differenz
zu verteidigen: „Schönheit ist nicht nur eine Flucht, sondern vor allem ein
Aufruf.“
Die
Wunden der Welt erzählen
Der
Papst rief die Filmschaffenden dazu auf, das Kino zu einer „Kunst des Geistes“
zu machen, und zitierte dafür den Filmpionier David W. Griffith: „Was dem
modernen Film fehlt, ist Schönheit, die Schönheit des Windes, der durch die
Bäume weht.“ Leo XIV. bezog dies auf das Evangelium: „Der Wind weht, wo er
will... So ist es mit jedem, der aus dem Geist geboren ist.“
Die
Filmschaffenden ermutigte er, die Wunden der Welt, die in Gewalt, Armut, Exil
und vergessenen Kriegen liegen, ohne Angst anzugehen:
„Habt
keine Angst vor der Auseinandersetzung mit den Wunden der Welt. Gewalt, Armut,
Exil, Einsamkeit, Abhängigkeiten, vergessene Kriege sind Wunden, die gesehen
und erzählt werden wollen. Großes Kino nutzt den Schmerz nicht aus: Es
begleitet ihn, untersucht ihn.“
Abschließend
erinnerte der Papst daran, dass ein Film ein „gemeinschaftlicher Akt“ sei, ein
Chorwerk, das nur durch die Zusammenarbeit aller – von den Schauspielern bis zu
den Maskenbildnern und Requisiteuren – entstehen könne. Er schloss mit dem
Wunsch, dass das Kino immer „ein Ort der Begegnung, ein Zuhause für diejenigen,
die nach Sinn suchen, eine Sprache des Friedens“ bleibe. (vn 15)
Leo XIV. ruft zum Kampf gegen „kulturelle Leere“ auf
Papst
Leo XIV. hat die Päpstliche Lateran-Universität (PUL) in Rom mit einem klaren
Missionsauftrag für die kommenden Jahre ausgestattet: Das 253. akademische Jahr
solle im Zeichen der „wissenschaftlichen Redlichkeit“ stehen und dem Kampf
gegen die „kulturelle Leere“ dienen, die in der heutigen Gesellschaft um sich
greife. Mario Galgano - Vatikanstadt
In
seiner Ansprache zur feierlichen Eröffnung des akademischen Jahrs an diesem
Freitag, 14. November, betonte das Kirchenoberhaupt die einzigartige Rolle der
Lateran-Universität, die das „Lehramt des Papstes“ selbst zum Leitstern habe.
„Diese Universität hat im Gegensatz zu anderen
renommierten akademischen Einrichtungen... kein Charisma ihres Gründers zu
bewahren, zu vertiefen und weiterzuentwickeln, sondern ihre besondere
Ausrichtung ist das Lehramt des Papstes“, so Leo XIV.
Theologie
muss auf „Transhumanismus“ antworten
Ein
Hauptanliegen des Papstes war die Notwendigkeit, den Glauben in den aktuellen
kulturellen Szenarien zu verankern. Insbesondere die Fakultät für Philosophie
sei aufgerufen, sich den „aufkommenden Formen der Rationalität, die mit
Transhumanismus und Posthumanismus verbunden sind“, zu stellen. Die
Theologische Fakultät müsse das Glaubensgut so hervorheben, dass es als „ein
vollkommen menschlicher Vorschlag erscheint“, der das Leben transformieren
kann.
Geschwisterlichkeit
gegen Individualismus
Leo
XIV. forderte die akademische Gemeinschaft auf, eine Kultur der Gegenseitigkeit
und des Dialogs zu fördern, um dem „Virus des radikalen Individualismus“
entgegenzuwirken. Angesichts der Vielfalt der Studenten und Dozenten aus fünf
Kontinenten sei die Lateran-Universität aufgerufen, „ein prophetisches Zeichen
der Gemeinschaft und Geschwisterlichkeit“ zu sein.
Verteidigung
der Wissenschaftlichkeit
Scharfe
Kritik übte der Papst an Einschätzungen, dass Forschung und Studium für das
kirchliche Leben nicht nützlich seien, oder aber dass die pastorale Praxis
wichtiger sei als akademische Vorbereitung. Diese Haltung führe zur Gefahr der
Vereinfachung komplexer Fragen und ende in „Banalität, Ungenauigkeit oder
Starrheit“ . „Deshalb fordere ich Sie auf, in Bezug auf die
Wissenschaftlichkeit nicht nachzulassen, sondern weiterhin leidenschaftlich
nach der Wahrheit zu suchen.“
Das
Gemeinwohl als Ziel
Die
Ausbildung müsse Menschen hervorbringen, die „in der Logik der
Unentgeltlichkeit und in der Leidenschaft für Wahrheit und Gerechtigkeit zu
Erbauern einer neuen, solidarischen und geschwisterlichen Welt werden können“.
Dazu ermutigte er die Universität ausdrücklich, die jüngeren Studiengänge in
Friedenswissenschaften sowie Ökologie und Umwelt inter- und transdisziplinär
weiterzuentwickeln.
Juristen
sollen Verwaltungsprozesse studieren
Ein
spezifischer Appell erging an die Fakultäten für Rechtswissenschaften (Kirchenrecht
und Zivilrecht). Diese sollen das Recht durch einen umfassenden Vergleich
zwischen den zivilen und katholischen Rechtssystemen studieren und lehren. Leo
XIV. ermutigte die Juristen, auch „die Verwaltungsprozesse, eine dringende
Herausforderung für die Kirche, zu berücksichtigen und gründlich zu studieren“.
Zuvor
hatte der Großkanzler der Universität, Kardinal Baldassare Reina, in seiner
Begrüßung auf die enge Verbundenheit der PUL mit dem Papst hingewiesen und
erklärt, man sei stets bereit, die Mission fortzuführen, die der Nachfolger
Petri vorgebe. Der Rektor, Erzbischof Alfonso Vincenzo Amarante, erklärte nach
der Papst-Rede, die Ansprache werde „zu einer festen Verpflichtung für unseren
zukünftigen Weg“ werden - und erklärte in diesem Sinne das akademische Jahr
2025-2026 für eröffnet. (vn 14)
Der
Kompromiss beim Wehrdienst in Deutschland stößt bei beiden christlichen
Militärbischöfen und dem Militärbundesrabbiner auf Zustimmung. Sie formulieren
Forderungen an die Politik und setzen eigene Schwerpunkte.
So
hält der katholische Militärbischof Franz-Josef Overbeck den Schritt hin zu
einer verpflichtenden Musterung für sinnvoll. „Vor dem Hintergrund der
verschärften Sicherheitslage und der derzeit zu geringen Personalstärke der
Bundeswehr sehe ich die Notwendigkeit, den Aufwuchs der Truppe glaubwürdig zu
gewährleisten“, sagte Overbeck am Freitag der Katholischen Nachrichten-Agentur
(KNA) in Berlin.
Wehrpflicht
möglich
Die
Wehrpflicht ist in Deutschland im Jahr 2011 ausgesetzt worden. Vor dem
Hintergrund der aktuellen weltpolitischen Entwicklungen verschärfte sich in den
vergangenen Monaten die Debatte darüber, ob ein freiwilliger Wehrdienst
ausreicht. Am Donnerstag erzielten CDU, CSU und SPD nach Wochen des politischen
Ringens eine Einigung über eine Wehrdienstreform. Demnach sollen zunächst alle
jungen Menschen ab 18 Jahren zu Eignung und Motivation befragt werden; für
junge Männer soll die Beantwortung verpflichtend sein. Ab 2027 sollen dann
sukzessive junge Männer ab dem Jahrgang 2008 verpflichtend gemustert werden.
Sollte
das freiwillige Dienstmodell nicht ausreichen, soll ein neues
Gesetzgebungsverfahren angestoßen werden, um die Wehrpflicht wieder
einzuführen. Falls über eine sogenannte Bedarfswehrpflicht zu viele Männer
potenziell infrage kämen, sieht der Kompromiss der Koalition offenbar auch die
Möglichkeit eines Losverfahrens vor. Dann würden die Männer, die verpflichtend
eingezogen werden, per Los bestimmt. Zugleich sieht der Kompromiss eine
Stärkung der Freiwilligendienste um 15.000 weitere Stellen vor.
Lob
für Freiwilligendienste
Der
katholische Militärbischof Overbeck sagte, ihm scheine es ein guter Weg zu
sein, dass der Schwerpunkt weiterhin auf der Werbung um Freiwillige liege. Eine
Pflicht sei ein Eingriff in die Freiheitsrechte. Elemente wie ein Losverfahren,
die mit Gerechtigkeitsproblemen einhergingen, dürften nur als letztes Mittel
zur Anwendung kommen. „Selbstverständlich schützt weiterhin Artikel 4 des
Grundgesetzes alle Menschen davor, gegen ihr Gewissen zum Dienst an der Waffe
gezwungen zu werden.“ Ausdrücklich begrüßte er alle politischen und
gesellschaftlichen Maßnahmen, die die zivilen Freiwilligendienste ausbauen und
stärken.
Auch
der evangelische Militärbischof Bernhard Felmberg hatte am Donnerstag der KNA
gesagt, dass es eine kluge Entscheidung sei, dass auch die Freiwilligendienste
gestärkt werden sollten. Die getroffene Regelung zum Wehrdienst könne als ein
„Stufenmodell von der Freiwilligkeit zur Pflicht“ bezeichnet werden. „Aus
diesem Grund ist es gut, dass die neue Regelung verpflichtende Elemente
vorsieht, aber grundsätzlich auf Freiwilligkeit setzt.“ Diese Freiwilligkeit
sei nur dann zielführend, wenn genügend Freiwillige zur Verfügung stehen. „Es
bleibt somit abzuwarten, ob die getroffene Entscheidung ausreicht.“
„Sache
der Politik“
Militärbundesrabbiner
Zsolt Balla begrüßte grundsätzlich, dass eine Entscheidung getroffen wurde.
„Doch der Wehrdienst und dessen Ausgestaltung ist Sache der Politik“, sagte
Balla der KNA. Mit Blick auf die Militärseelsorge betonte er: „Besonders am
Herzen liegen uns gute Bedingungen für alle Soldatinnen und Soldaten, egal, ob
jung oder altgedient.“
Falls
junge Juden künftig zum Wehrdienst herangezogen werden sollten, sehe sich die
2021 gegründete jüdische Militärseelsorge in der Verantwortung, für ihr Wohl zu
sorgen und sie bestmöglich zu betreuen – „während wir auch allen anderen
Soldatinnen und Soldaten weiterhin zur Seite stehen“, betonte Balla.
(kap
14)
Leo XIV. schafft neue Rechtsgrundlage für Apostolat des Meeres
Mit
einem an diesem Donnerstag, 13. November, veröffentlichten Chirograph hat Papst
Leo XIV. das Apostolat des Meeres in neuer kanonischer Form als zentrales und
koordinierendes Organ für die Seelsorge an Seeleuten und Meeresanrainern
errichtet. Zugleich genehmigt der Papst dessen Statut.
Seit
langem habe die Kirche ein besonderes Augenmerk auf die „Menschen des Meeres“, wird
in dem Dokument erläutert: gemeint sind Seeleute, Schiffer und ihre Familien
sowie alle, deren Leben in existenzieller Weise mit der Schifffahrt und der
Fischerei auf Meeren, Flüssen und Seen verbunden ist. Dabei wird insbesondere
auf die „pastoralen und legislativen Maßnahmen des Apostolischen Stuhls“
hingewiesen, durch die den spirituellen Bedürfnissen jener Gläubigen
entsprochen wurde, „die aufgrund menschlicher Mobilität nicht in den Genuss der
gewöhnlichen seelsorglichen Betreuung kommen können“ – beginnend mit dem Motu
proprio Iam pridem von Pius X. aus dem Jahr 1914, ergänzt durch weitere
Dekrete.
Die
nun erfolgte Errichtung dieses zentralen und koordinierenden Organs, so
präzisiert das Dokument, entspringe dem „lebhaften Wunsch, dass die geistliche
Fürsorge der Kirche im Bereich der Seelsorge für die Menschen des Meeres mit
Begeisterung und Großzügigkeit fortgesetzt werden möge“.
Konsultationen
seit 2022
Die
Gründung ist das Ergebnis eines langen Konsultationsprozesses, der im Oktober
2022 begann – unter Beteiligung nationaler Direktoren und der Bischöfe, die in
den verschiedenen Kontinenten das Werk des Apostolats des Meeres fördern. Im
Jahr 2025 wurden die Beratungen zu den Zielen und zur Struktur des Apostolats
des Meeres fortgesetzt.
Diese
Konsultationen wurden vom Dikasterium für den Dienst der ganzheitlichen
menschlichen Entwicklung geleitet und koordiniert, das gemäß Artikel 166 § 1
der Apostolischen Konstitution Praedicate Evangelium sowohl die Leitung des
gesamten Werkes des Apostolats des Meeres als auch die Aufsicht über sein
zentrales Organ ausübt.
Die
einzelnen Verfügungen
Das
Apostolat des Meeres war in den letzten Jahrzehnten mehrfach Objekt päpstlicher
Verfügungen. In diesem Zusammenhang erinnert das päpstliche Dokument auch an
das Dekret Apostolatus Maris der damaligen Päpstlichen Kommission für
die geistliche Betreuung der Migranten und Reisenden vom 24. September 1977,
mit dem diesbezügliche Normen und Vollmachten im Licht des Zweiten
Vatikanischen Konzils überarbeitet wurden.
Ebenso
wird das Motu proprio Stella Maris des heiligen Johannes Paul II. vom
31. Januar 1997 erwähnt, mit dem die zuvor erlassenen Bestimmungen aktualisiert
wurden. Schließlich wird auf die Verfügung von Papst Franziskus verwiesen, seit
der die Leitung des Werkes des Apostolats des Meeres beim Dikasterium für
den Dienst der ganzheitlichen menschlichen Entwicklung liegt. Dieses
Dikasterium hat inzwischen auch die Zuständigkeit für die Pastoral der
Migranten und Menschen unterwegs übernommen. (vn 13)
Bischof Bertram Meier zum Welttag der Armen
„Die
Armen gehören zur Familie“
Am
Sonntag (16. November 2025) begeht die katholische Kirche den von Papst Leo
XIV. ausgerufenen neunten Welttag der Armen. Das Leitwort der diesjährigen
Botschaft lautet: „Du bist meine Hoffnung“ (Ps 71,5). Papst Leo XIV. stellt
darin die Hoffnung auf Gott in den Mittelpunkt, „der in Christus durch seinen
Tod und seine Auferstehung zu ‚unserer Hoffnung‘ geworden ist“ (vgl. 1 Tim
1,1). Diese Hoffnung zeigt sich nach seinen Worten konkret in der Liebe zu den
Armen.
Der
Vorsitzende der Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof
Dr. Bertram Meier (Augsburg), greift die Botschaft des Papstes auf und betont
die geistliche Herausforderung des Tages: „Der Welttag der Armen fordert uns
jedes Jahr heraus, die Liebe Gottes zu den Armen ernst zu nehmen. So fragt uns
Papst Leo XIV. in seiner Botschaft zum Welttag der Armen, ob wir uns diesen
Gott, der sich selbst den Armen zuwendet, auch als Wegbegleiter für unser
eigenes Leben wünschen. Das hätte Konsequenzen, auf die der Papst hinweist: Als
Christen würden wir Reichtümer relativieren und unsere Entscheidungen am
Gemeinwohl ausrichten, als Kirche würden wir die Armen in den Mittelpunkt der
gesamten Pastoral stellen.“
Bischof
Meier erklärt: „Für Papst Leo XIV. sind die Armen keine Zusatzbeschäftigung für
die Kirche, sie sind die am meisten geliebten Schwestern und Brüder.“ In seiner
Apostolischen Exhortation Dilexi te über die Liebe zu den Armen schreibt der
Papst: „Christen dürfen die Armen nicht bloß als soziales Problem betrachten:
Sie sind eine ‚Familienangelegenheit‘. Sie gehören ‚zu den Unsrigen‘“ (Nr.
104).
Mit
Blick auf die aktuelle gesellschaftliche und politische Entwicklung mahnt
Bischof Meier, „dass die Liebe zu den Armen keine Konjunktur hat“. Dabei denkt
er „an die Beratungen und Entscheidungen über den Bundeshaushalt, in dem die
Mittel für die so wichtige humanitäre Hilfe für die Ärmsten der Armen in den
Flüchtlingslagern dieser Welt drastisch gekürzt wurden. Eine Reduzierung dieser
Hilfe um 50 Prozent in nur einem Jahr – größer kann der Kontrast zu den von
Papst Leo XIV. geforderten politischen Prioritäten kaum sein.“ Auch die Folgen
des Klimawandels träfen „vor allem die Armen, deren Lebensgrundlagen durch
Dürre oder Hochwasser bedroht und zerstört werden“.
Zugleich
erinnert Bischof Meier an die persönliche Verantwortung: „Die Liebe zu den
Armen, so Papst Leo XIV. in seiner Botschaft, habe die Heiligen zu allen Zeiten
in der Kirche befähigt, wirklich solidarisch mit ihnen zu sein.“ Diese Liebe
könne „viele Ausdrucksformen“ haben – vom persönlichen Engagement über die
Unterstützung der Caritas bis zu Spenden an Hilfswerke.
„Wenn
wir uns den Armen in Deutschland und in der Welt solidarisch zuwenden, setzen
wir Zeichen der Hoffnung“, so Bischof Meier abschließend. „Lassen Sie uns zum
Welttag der Armen neu darüber nachsinnen, wie wir mit den Armen wirklich eine
Familie bilden können – vereint in der Hoffnung auf Gott, der uns alle als
seine Kinder, als Schwestern und Brüder, sieht.“ Dbk 14
Zollner über digitale Bildung: Noch sehr viel Luft nach oben
Der
international bekannte Safeguarding-Experte Pater Hans Zollner ermutigt zu mehr
digitaler Bildung und zu einem interdisziplinären und interkulturellen
Austausch über eine ethische Grundlegung der Künstlichen Intelligenz. Die
katholische Kirche könne hier wichtige Weichenstellungen mit gestalten, ist er
überzeugt. Der Jesuit war einer der Sprecher bei der internationalen Konferenz
„Die Würde von Kindern und Jugendlichen im Zeitalter der Künstlichen
Intelligenz“, die der Papst empfing.
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Radio
Vatikan sprach mit dem Safeguarding-Experten Pater Hans Zollner nach seiner
Audienz bei Papst Leo. In dem Interview erläuterte der Leiter das
Safeguarding-Institutes IADC der Gregoriana-Universität Risiken, die die
Nutzung digitaler Medien und von KI für Kinder beinhaltet, und die
Notwendigkeit, den Schutz und die Würde von Kindern bei der Entwicklung,
Verbreitung und Nutzung solcher Technologien zu verankern.
Kirche
könnte vorangehen
Papst
Leo hat in seiner Rede zu digitaler Bildung und auch zu einer digitalen
Pädagogik aufgerufen. Davon sind wir doch eigentlich noch ziemlich weit
entfernt - oder, Pater Zollner?
Als
eine Aufgabe, die sich die Schulen, die Universitäten stellen, in einer
konzertierten Weise, sind wir davon noch weit entfernt. Also ich glaube, dass
da sehr viel Luft nach oben ist und dass wir da auch durch das katholische
Ausbildungssystem, Schule und andere Einrichtungen plus Universitäten, eine
große Möglichkeit haben, eine wichtige Funktion zu erfüllen, die sonst niemand
erfüllt!
„Also
ich glaube, dass wir eine große Möglichkeit haben, eine wichtige Funktion zu
erfüllen, die sonst niemand erfüllt!“
P.
Zollner u?ber KI und Kinderschutz (Interview: A. Preckel, Vatican News)
Über
Risiken aufklären
Bei
der Konferenz jetzt zum Thema Kinderschutz und künstliche Intelligenz ging es
auch um Risiken, denen Kinder ausgesetzt sind in Bezug auf KI. Können Sie diese
Risiken noch einmal beschreiben?
Die
Risiken sind mannigfach. Ein großes Risiko ist allein schon die Abhängigkeit
von Mobilgeräten. Kann ein Kind zehn Minuten, eine Viertelstunde ohne sein
Gerät sein? Wie geht das, wenn keine Nachrichten ankommen oder wenn nicht ein
ständiger Kontakt auch mit den sozialen Kanälen, die benutzt werden, vorliegt?
Also da sind schon auch Gehirnmechanismen beeinflusst, die nicht einfach zu
kontrollieren sind.
Das
andere große Thema ist: Wie ist die Beziehungsgestaltung? Wie gehen Kinder,
Jugendliche, miteinander um über diese Kanäle? Wie beeinflussen zum Beispiel
Chatbots auch die emotionale Welt, die Vorstellungswelt? Wie beeinflussen sie,
wie Vertrauen aufgebaut wird? Welche Vorstellungen von Freundschaften
entwickeln sich? Und auch da haben wir ja gesehen, dass es bis dahin gehen
kann, dass sich Menschen, Kinder, auch Jugendliche, so auf Chatbots verlassen,
dass sie keine kritische Distanz mehr haben. In einigen Fällen ist es ja dann
sogar zu Suizid gekommen - beziehungsweise zu einer Abhängigkeit, die den
Kontakt zur Außenwelt sehr eingeschränkt hat.
Also
insofern ist - neben den vielen guten Dingen, die künstliche Intelligenz bietet
und die uns das Leben sehr viel einfacher macht in vielen Bereichen - gerade
auch für Kinder und Jugendliche die Frage, wie wir sie besser schützen können.
Wichtige
Weichenstellungen
Das
ist auch ein Auftrag an Institutionen, damit Kinder auf einen mündigen Umgang
mit diesen Technologien vorbereitet werden. Wo sehen Sie, dass diese
Verantwortung tatsächlich auch schon wahrgenommen wird?
Also
man kann sagen, dass sich die Regierungen je nach Couleur schon auf dieses
Thema eingelassen haben. In Australien oder in Großbritannien gibt es da
durchaus weitreichende Gesetze und Maßnahmen. Aber wie wir ja immer wieder
erfahren, es ist nicht nur die Macht der Regierungen. Die ist an sich sehr
begrenzt, weil es sich bei den großen Tech-Companies um multinationale
Unternehmen handelt, die sich von einer einzigen Regierungs- oder
Gesetzesinitiative nicht groß beeindrucken lassen müssen. Man muss natürlich
auch sagen, dass sie so reich sind, so viel Geld haben, dass sie sich auch sehr
viel erlauben können und auch viel im politischen Bereich oder im
Gesetzgebungsbereich beeinflussen können, sodass sie Vorstellungen von dem, wie
die Welt der künstlichen Intelligenz in der Zukunft ausschauen wird, sehr stark
prägen wollen.
Wir
sind jetzt an einem wirklich sehr wichtigen Kreuzungspunkt, weil Modelle, die
bisher gegolten haben, auch für künstliche Intelligenz abgelöst werden können
und müssen. Und neue Vorstellungen sind da, die gerade von den größten Playern
und den einflussreichsten Playern im Feld stark aktiv betrieben werden.
Die
Konferenz hier in Rom sollte eben zeigen, dass es eine Alternative dazu gibt
und dass wir auch in der Lage sind, mit den Leuten zu reden, auch mit
Rechtsbehörden, die da eine Sache mit einzubringen haben, sodass wir
Alternativen bieten können. Und wenn wir gute Alternativen bieten können, dann
wird sich auch die Frage stellen, ob die Gesellschaften, die großen Companies,
darauf eingehen, weil sie einsehen, dass sie mit einem Modell des reinen
Vermarktens dieser Daten, was ja jetzt eigentlich das Gängige ist, nicht mehr
weiterkommen werden.
Dialog
suchen, Bewusstsein schärfen
Auf
der Konferenz waren ja in der Tat einige Tech-Firmen auch vertreten. Der
Vatikan versucht, das Gespräch auch zu suchen mit diesen Firmen, um eben
ethische Standards da auch zu verankern, etwa durch den „Rome Call for KI
Ethics“. Aber natürlich auf einer freiwilligen Basis. Sehen Sie schon Ansätze,
wo das tatsächlich auch umgesetzt wird, wo das fruchtet? Oder würden Sie sagen,
freiwillige Basis? - Schwierig!
Ja,
wie gesagt, auf gesetzlicher Basis wird es auch schwierig bleiben, weil - wenn
die nicht wollen, dann können sie immer die Karte ziehen ,Wir gehören da nicht
zu diesem Land oder zu jenem‘. Und eine Weltautorität einzurichten, die das
Ganze regulatorisch wirklich bestimmen könnte, das würde sehr schwer werden.
Insofern wird man einerseits auf die Freiwilligkeit bauen und andererseits auf
die Überzeugung auch von Argumenten, die darauf zurückgehen, zu fragen, wer
wollen wir sein als Menschen? Um was geht es uns denn, wenn wir in die Zukunft
schauen?
Ich
glaube, immer mehr Menschen werden auch sich dessen bewusst, dass die Mittel,
die wir haben, sowohl im Internet als auch in der künstlichen Intelligenz,
nicht dazu dienen, dass es uns als Menschheit besser geht, sondern dass wir an
einer sehr kritischen Schwelle stehen, an der große Gefahren auch für das
Weiterleben der Menschheit produziert werden. Und ich glaube, die Tatsache,
dass alle hier Anwesenden, auch großen Firmen von Google über OpenAI, über
andere, die hier präsent waren, die Erklärung unterschrieben haben, die wir
vorgelegt haben, zeigt, dass sich mindestens einige auch in diesen großen
Firmen dessen bewusst sind, dass wir nicht einfach nur so weitermachen können
wie bisher.
Dankeschön.
Die Fragen stellte Anne Preckel. (vn 13)
Kinderschutz und KI: Papst fordert digitale Pädagogik
Mit
Blick auf Künstliche Intelligenz hat Papst Leo Regierungen und internationale
Organisationen dazu aufgerufen, Maßnahmen zum Schutz der Würde Minderjähriger
zu entwickeln und umzusetzen. Außerdem forderte er eine digitale Bildung und
Pädagogik, um einen aufgeklärten Umgang mit KI zu ermöglichen. Anne Preckel -
Vatikanstadt
Der
Papst empfing am Donnerstagmorgen Teilnehmer der Konferenz „Die Würde von
Kindern und Jugendlichen im Zeitalter der Künstlichen Intelligenz“, die am
Vortag in Rom stattgefunden hatte.
Der
Einsatz von KI werfe „wichtige ethische Fragen“ auf, „insbesondere hinsichtlich
des Schutzes der Würde und des Wohlergehens von Minderjährigen“, hob er in
seiner Ansprache hervor. Kinder seien „besonders anfällig für Manipulationen
durch KI-Algorithmen, die ihre Entscheidungen und Präferenzen beeinflussen
können“, erinnerte Leo XIV.
Regulierung
und Kontrolle
Eltern
und Erzieher müssten sich dieser Dynamik bewusst sein, und es brauche
Instrumente, um die Interaktion junger Menschen mit Technologie zu überwachen
und zu lenken, so der Papst. In der Pflicht sieht er hier einerseits
Regierungen und internationale Organisationen. Sie seien dafür verantwortlich,
Maßnahmen zum Schutz der Würde Minderjähriger im Zeitalter der KI zu entwickeln
und umzusetzen.
„Dazu
gehört die Aktualisierung bestehender Datenschutzgesetze, um den neuen
Herausforderungen durch aufkommende Technologien gerecht zu werden, sowie die
Förderung ethischer Standards für die Entwicklung und Nutzung von KI.“
Digitale
Bildung notwendig
Neben
politischen Maßnahmen brauche es einen mündigen Umgang mit KI und den neuen
digitalen Möglichkeiten, schärfte er ein: es brauche „digitale Bildung“.
„Was
wir brauchen, sind tägliche, kontinuierliche Bildungsbemühungen, die von
Erwachsenen durchgeführt werden, die selbst geschult und durch
Kooperationsnetzwerke unterstützt werden“, betonte der Papst. „Dieser Prozess
beinhaltet das Verständnis der Risiken, die sowohl der Einsatz von KI als auch
ein verfrühter, unbegrenzter und unbeaufsichtigter Zugang zur digitalen Welt
für die Beziehungen und die Entwicklung junger Menschen mit sich bringen
können.“
Minderjährige
müssten für Risiken im Zusammenhang mit KI und dessen Auswirkungen auf ihr
persönliches und soziales Leben sensibilisiert werden, hob er weiter hervor.
Nur dann könnten sie die digitale Welt verantwortungsvoll nutzen.
„Nur
durch einen pädagogischen, ethischen und verantwortungsvollen Ansatz können wir
sicherstellen, dass künstliche Intelligenz als Verbündeter und nicht als
Bedrohung für das Wachstum und die Entwicklung von Kindern und Jugendlichen
dient“, erinnerte der Papst.
Hintergrund
Die internationale Konferenz „The
Dignity of Children and Adolescents in the Age of Artificial Intelligence“ fand
am 12. November in Rom statt und wurde von der Stiftung „Child for Study and
Research into Childhood and Adolescence“ gemeinsam mit „Telefono Azzurro“
ausgerichtet. Zum
Abschluss wurde eine gemeinsame Erklärung unterzeichnet. Papst Leo, der sich
regelmäßig akzentuiert zum Thema KI äußert, empfing die Teilnehmer am
Donnerstag in Audienz.
Die
Veranstaltung brachte führende Vertreter aus Wissenschaft, Institutionen,
Forschung und Technologie zusammen, um die ethischen, rechtlichen, sozialen und
anthropologischen Auswirkungen der künstlichen Intelligenz zu erörtern. Ziel
war die Förderung eines interdisziplinären und interkulturellen Dialoges über
KI und die Arbeit an einer gemeinsamen Vision eines digitalen Humanismus,
basierend auf Respekt, Empathie und Verantwortung. (vn 13)
Appell zur Zukunft denkmalgeschützter Kirchen in Deutschland
44.000
katholische und evangelische Kirchen und Kapellen
Im
Auftrag des Deutschen Nationalkomitees für Denkmalschutz haben sich staatliche,
kommunale und kirchliche Fachleute im März 2025 in Köln auf Empfehlungen für
den Umgang mit denkmalgeschützten Kirchen verständigt. Sie richten sich an alle
Betroffenen und Interessierte, insbesondere an politisch Verantwortliche in
Bund, Ländern und Kommunen, an Entscheidungstragende in den Denkmalämtern und
-behörden der Länder und Kommunen, in den (Erz-)Diözesen, Landeskirchen
sowie an Planende.
Heute
(13. November 2025) veröffentlichen diese Fachleute einen Appell an die
genannten Akteure, insbesondere bei Zielkonflikten um Nutzungsveränderungen und
-erweiterungen in denkmalgeschützten Kirchengebäuden konstruktiv gemeinsame
Lösungen zu finden. Das Dokument wurde auf der Jahrestagung des Deutschen
Nationalkomitees für Denkmalschutz am 3. November 2025 in Berlin verabschiedet.
Im
Appell heißt es: „Kirchen sind in ihrer Qualität und Quantität wesentlicher und
prägender Bestandteil der europäischen Kultur- und Denkmallandschaft. Diese
‚Andersräume‘ haben auch als identitätsstiftende sowie bau- und
kunsthistorische Schätze eine herausragende Bedeutung für unsere
Gesamtgesellschaft.“ In der Bundesrepublik Deutschland gibt es rund 44.000
katholische und evangelische Kirchen und Kapellen. Davon sind ca. 90 Prozent
denkmalgeschützt. „Die Bewahrung dieser so ortsbild- und landschaftsprägenden
Gebäude ist für die gesamte Gesellschaft eine große Herausforderung. Diese kann
nur gemeinsam bewältigt werden“, heißt es in dem Appell. Dbk13
Papst: Ohne Geschwisterlichkeit können wir nicht überleben
Denn
dabei handele es sich um eine „zutiefst menschliche“ Eigenschaft, betont Papst
Leo XIV. in seiner Katechese bei der Generalaudienz an diesem Mittwoch. Auch
wenn viele Konflikte, Kriege und Spannungen das Gegenteil zu beweisen schienen,
könnten wir ohne dieses Gemeinschaftsgefühl nicht „überleben, wachsen und
lernen“.
Auch
an diesem Mittwoch führte Papst Leo XIV. seine Katechesereihe über den Tod und
die Auferstehung Christi fort. Insbesondere dachte er darüber nach, wie das
„Erleben der österlichen Spiritualität“ „Hoffnung für das Leben“ gebe und dazu
ermutige, „in das Gute zu investieren“.
Dies
helfe uns auch dabei, die Geschwisterlichkeit zu fördern und wertzuschätzen,
„die zweifellos eine der großen Herausforderungen für die heutige
Menschheit ist, wie Papst Franziskus deutlich erkannt“ habe, so Leo mit einem
Verweis auf seinen Vorgänger, der dem Thema der menschlichen Brüderlichkeit
eine eigene Enzyklika gewidmet hatte.
„Brüderlichkeit
entspringt einer zutiefst menschlichen Eigenschaft. Wir sind zu Beziehungen
fähig, und wenn wir es wollen, können wir echte Bindungen untereinander
aufbauen. Ohne Beziehungen, die uns seit Beginn unseres Lebens unterstützen und
bereichern, könnten wir nicht überleben, wachsen und lernen“, so Leo.
Brüderlichkeit
ist nicht selbstverständlich
Zwar
gebe es viele verschiedene Beziehungen, die mal inniger und mal oberflächlicher
seien. Unsere Menschlichkeit entfalte sich allerdings am besten, wenn es uns
gelinge, zusammenzuleben und echte Bindungen einzugehen, zeigt das
Kirchenoberhaupt sich überzeugt. Wenn wir uns jedoch auf uns selbst
zurückzögen, riskierten wir Einsamkeit und sogar Narzissmus, der uns dazu
bringe, uns nur aus Eigennutz um andere zu kümmern.
„Wir
wissen sehr wohl, dass Brüderlichkeit auch heute noch nicht
selbstverständlich ist, dass sie nicht unmittelbar gegeben ist. Viele
Konflikte, zahlreiche Kriege auf der ganzen Welt, soziale Spannungen und
Hassgefühle scheinen vielmehr das Gegenteil zu beweisen“, räumt Leo ein.
Dennoch sei Geschwisterlichkeit „kein schöner, unerreichbarer Traum“ dem nur
einige wenige Illusionisten nachhingen. Doch um das Gegenmittel zu den
Krankheiten zu finden, die die Geschwisterlichkeit unterminieren, müsse man „zu
den Quellen gehen“, aus denen man Kraft schöpfen könne – nämlich Gott,
erinnerte Papst Leo.
Unterschiedslos
auf alle anwenden
Das
Wort „Bruder“ stamme von einer sehr alten Wurzel ab, die „sich kümmern“, „am
Herzen liegen“, „unterstützen“ und „versorgen“ bedeutet, so der Papst. „Auf
jeden Menschen angewendet“, werde es letztlich zu einer Einladung, denn
Spannungen beschränkten sich keineswegs auf die Beziehungen zwischen Fremden,
sondern beträfen oft auch die innerste Familie. Damit werde deutlich, dass es
„heute dringender denn je notwendig“ sei, über den Gruß des heiligen Franz von
Assisi nachzudenken, mit dem er sich alle wandte:
„Omnes
fratres war die inklusive Art und Weise, mit der Franz alle Menschen auf
die gleiche Ebene stellte, gerade weil er sie in ihrem
gemeinsamen Schicksal der Würde, des Dialogs, der Aufnahme und der
Erlösung erkannte.“
Diesen
Ansatz habe Papst Franziskus wieder aufgegriffen und dessen Aktualität in
seiner Enzyklika Fratelli tutti 800 Jahre später betont,
unterstreicht Leo weiter.
„Dieses
,alle‘, das für den heiligen Franziskus das einladende Zeichen einer
universellen Brüderlichkeit bedeutete, drückt einen wesentlichen Zug des
Christentums aus, das von Anfang an die Verkündigung der Frohen Botschaft war,
die zur Erlösung aller bestimmt war, niemals in exklusiver oder privater Form“,
so der Papst, der darauf hinweist, dass diese Geschwisterlichkeit „auf dem
Gebot Jesu“ gründe, welches „insofern neu“ sei, „als es von ihm
selbst verwirklicht wurde“:
„Dank
ihm, der uns geliebt und sich für uns hingegeben hat, können wir
unsererseits einander lieben und unser Leben für andere hingeben, als
Kinder des einen Vaters und wahre Geschwister in Jesus Christus.“
Zur
Solidarität gerufen
Wie
das Johannesevangelium feststelle, habe Jesus „uns bis zur Vollendung geliebt“,
trotz seiner eigenen Angst und Verlassenheit. Doch mit der Auferstehung habe er
eine neue Geschichte eingeleitet; während die Jünger „nach langer Zeit des
Zusammenlebens“ zu Geschwistern werden, „besonders dann, als sie ihn als den
Auferstandenen erkennen, die Gabe des Heiligen Geistes empfangen und zu
Zeugen davon werden“, führt Papst Leo aus.
Abschließend
fordert er alle Mitglieder der menschlichen Familie auf, sich „gegenseitig in
schwierigen Zeiten“ zu unterstützen. „Brüder und Schwestern (…) wenden sich
nicht von denen ab, die in Not sind: Sie weinen und freuen sich gemeinsam in
der Aussicht auf Einheit, Vertrauen und gegenseitige Zuversicht“, so Papst Leo,
der unterstreicht, dass wir alle gerufen seien, einander zu lieben, wie Jesus
uns geliebt habe. Denn die Geschwisterlichkeit, „die uns (…) Christus geschenkt
hat, befreit uns von der negativen Logik der Egoismen, der Spaltungen und der
Überheblichkeiten und führt uns zurück zu unserer ursprünglichen Berufung
im Namen einer Liebe und einer Hoffnung, die sich jeden Tag erneuern.“
Die
Auferstehung Jesu zeige und den Weg, „um uns als Geschwister zu fühlen und um
Geschwister zu sein“, betont Papst Leo.
Papst
gratuliert EWTN Deutsch
Nach
der Generalaudienz traf Papst Leo wie üblich die Bischöfe und einige
ausgewählte Teilnehmer zu einem persönlichen Gruß - darunter auch Martin
Rothweiler, Geschäftsführer und Programmdirektor von EWTN Deutschland, das sein
25. Jubiläum feiern konnte. Nach der Begegnung mit dem Papst sagte er gegenüber
Radio Vatikan:
„Es
war ein ganz besonderer Moment, heute dem Heiligen Vater zu begegnen. Sehr
bewegend. Ihm auch noch einmal unseren Dank für seine Glückwünsche und
Segenswünsche persönlich sagen zu können, die er uns anlässlich unseres
Jubiläums in einem Telegramm übermittelte, in dem er uns auch seinen
apostolischen Segen erteilt hat. Es war mir ein großes Anliegen, und er hat
sich auch wiederum bedankt für 25 Jahre treuen Dienst für das Evangelium. Er
hat uns auch aufgefordert, in Treue zum Evangelium unsere Arbeit fortzusetzen.
Ein ganz, ganz großartiger Moment - und auch noch mal ein weiterer Höhepunkt in
unserem Jubiläumsjahr. Ich habe ihm natürlich auch unser Gebetsversprechen
zugesagt und ihm ganz, ganz herzlich gedankt. Bei der Gelegenheit hat er noch
ein Bildnis von Mutter Angelika gesegnet, das wir bei uns im EWTN-Studio in
Köln aufbewahren werden.“
...
Prominenz im Vatikan
Papst
Leo traf an diesem Mittwoch im Vorfeld der Generalaudienz auch Prominenz aus
dem Showbusiness, darunter Supermodel Naomi Campbell und die beliebte
italienische Sängerin Laura Pausini, als deren Fan sich der Pontifex bei der
Gelgenheit geoutet hat. Vn 12
Bischof Kräutler bei COP30: „Die Kirche war immer gegenwärtig“
Der
emeritierte Bischof von Xingu, Erwin Kräutler, ist eine der bekanntesten
Stimmen im Einsatz für die Menschenrechte der indigenen Bevölkerung und den
Erhalt des Amazonas-Regenwaldes. Im Interview mit uns betont Kräutler am Rande
der COP30 im brasilianischen Belem die historische Rolle der Kirche in der
Region – und deren Konfrontation mit mächtigen wirtschaftlichen Interessen.
Mario
Galgano - Vatikanstadt und Silvonei Protz - Belem
Kräutler,
der von 1981 bis 2015 Bischof der flächenmäßig größten Diözese Brasiliens,
Xingu, war, unterstreicht die schwierige, aber konsequente Präsenz der Kirche
in Amazonien: „Die Kirche war immer präsent in Amazonien, wenn auch mit großen
Schwierigkeiten.“
Er
macht in aller Deutlichkeit klar, auf wessen Seite die Kirche stand: „Amazonien
wurde immer von den Bischöfen und von den Ordensleuten verteidigt gegen die
Machenschaften großer Konzerne oder die Machenschaften, die mit den Indios
aufhören wollten.“
Der
Bischof erinnert sich an eine Episode in Berlin, wo ihm zwei Gesprächspartner
rieten, nicht über die Indios zu sprechen, da diese in 20 Jahren ohnehin
verschwunden sein würden. „Du musst dich einsetzen für die Armen“, war die
damalige Devise. Doch Kräutler widersprach dieser fatalistischen Haltung. Die
dahinterstehende "Idee" sei gewesen: Die Indios sollen verschwinden,
weil sie auf Gebieten leben, die reich an Bodenschätzen sind.
Begleitet
von Polizisten
Kräutler
beschreibt die Plünderung des Regenwaldes durch Holzhändler, die „in jedem
Gebiet von Amazonien gegenwärtig waren und alle Edelhölzer geplündert haben -
bis kein einziger Baum mehr stand.“
Der
Widerstand der Kirche gegen diese Zerstörung hatte persönliche Konsequenzen für
ihn und seine Mitstreiter: „Darum haben wir als Kirche Schwierigkeiten
bekommen.“ Kräutler selbst musste jahrelang unter Polizeischutz leben: „Ich
selbst bin jahrelang von Polizisten begleitet worden, weil ich mich lautstark
für das Überleben der indigenen Völker und für das Makrobiom eingesetzt habe.“
Dieser
Einsatz sei eine Lebensaufgabe, die er fortführen werde, solange er lebe, so
Kräutler.
Die
Bedeutung der öffentlichen Bühne
Der
Bischof erwähnt auch die wachsende internationale Sichtbarkeit des Kampfes für
Amazonien. Er erinnert an frühere Umweltkonferenzen, wie eine in Paris, bei der
sich die Kirche schon damals lautstark gezeigt habe.
Doch
die aktuelle Entwicklung, dass Bischöfe parallel zu globalen Gipfeln
zusammenkämen und eine eigene Konferenz abhielten – wie auch die Präsenz
kirchlicher Vertreter bei den großen Klimakonferenzen ("COP") – sei
neu: „Das war noch nie der Fall. Und da danke ich dem lieben Gott und den
Leuten, die da sind.“ (vn 11)
In Zeiten des Misstrauens Vertrauen neu gewinnen
Bischof
Bätzing ruft beim St.-Michael-Jahresempfang zu „Kooperationen der
Hoffnungsvollen“ auf
Angesichts
einer Welt voller Widersprüche, die in vielfacher Weise bedroht sei, und mit
Blick auf die Spannungen innerhalb der Gesellschaft in Deutschland, hat der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zu
Auswegen aus der Vertrauenskrise aufgerufen: „Nicht auf die Unglückspropheten
und Angstmacher richtet sich unser Blick, sondern auf Kooperationen der
Hoffnungsvollen, mit denen wir gemeinsam für Gerechtigkeit, Frieden und die
Bewahrung der Schöpfung eintreten wollen“, sagte er heute (10. November 2025)
beim St. Michael-Jahresempfang in Berlin. Vor rund 600 geladenen Gästen,
darunter Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier, Bundestagspräsidentin Julia
Klöckner und Bundesministerin Karin Prien sowie Vertreterinnen und Vertretern
der Religionen und der Ökumene, erinnerte Bischof Bätzing daran, dass es in der
öffentlichen Wahrnehmung ein „Zufriedenheitsparadox“ gebe: „Ich frage mich: Wie
können wir persönlich Auskommen, Frieden, Freiheit genießen und uns zugleich in
einem kollektiven Tonfall des Misstrauens, der Gereiztheit und der
Dauerunzufriedenheit einrichten?“
In
seiner Rede konstatierte Bischof Bätzing veränderte Grundlagen für das
Vertrauen in der Politik und in der Kirche: „In der Vergangenheit war die
Vertrauensbildung vielfach identitätsbasiert“, man habe einer politischen
Partei vertraut, weil man ihr angehörte, man habe hier einen entscheidenden
Paradigmenwechsel vollzogen: „Der Vertrauensaufbau vollzieht sich leistungs-
bzw. erfahrungsbasiert statt identitätsbasiert. Ich vertraue mithin einer
bestimmten politischen Partei nicht deshalb, weil sie eine bestimmte politische
Partei ist, sondern weil sie das leistet, wofür sie angetreten ist. Ebenso
wenig vertraue ich einer Kirche deshalb, weil ich ihr angehöre, sondern
vornehmlich, wenn sie erfüllt, was in meinen Augen ihre Aufgabe ist. Ein in
früheren Zeiten verbreiteter Vertrauensvorschuss ist jedenfalls im Blick auf
die Kirche angesichts von Machtmissbrauch und Skandalen weitgehend
aufgebraucht“, so Bischof Bätzing. Heute müsse es neu gelten, Vertrauen zu
gewinnen, indem man Probleme löse.
Das
sei auch entscheidend für eine dienende Kirche: „Ich finde diese
perspektivische Ausrichtung … ungemein tröstlich und ermutigend. Bedeutet die
Rückkehr zu einer dienenden Kirche doch auch, dass sich die Überbringerin der
Botschaft aus einem für viele anstößigen Selbstwiderspruch befreien und ihrer
Botschaft zu neuer Kraft verhelfen kann. Und die Kirche hat doch nur insofern
eine Berechtigung, als sie der ihr aufgetragenen Botschaft – dem Evangelium von
der Freiheit in Christus – zur Geltung verhilft. Die
Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung zeigt überdeutlich, dass wir in einer
säkularen Gesellschaft an genau diesem Anspruch gemessen werden. Sowohl
Kirchenmitglieder als auch Konfessionslose wünschen sich die Kirche als
gesellschaftliche Akteurin mit einem profiliert diakonischen Profil“, betonte
Bischof Bätzing.
Der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz ging dabei auch noch einmal auf die
Situation in Kirche und Gesellschaft ein, wo man gewissermaßen am „offenen
Patienten“ beobachten könne, was passiere, „wenn Misstrauen, Aggression und
Spaltung um sich greifen. Wir werden uns eingestehen, dass Institutionen fragil
sind und ihr Fortbestand keineswegs selbstverständlich ist. Und zugleich werden
wir feststellen, dass mit der Sorge um den Fortbestand der Demokratie ja nicht
nur äußerlich die Frage nach einer Staatsform, sondern viel grundlegender die
Sorge um die dauerhafte Geltung fundamentaler Werte unseres Zusammenlebens
verbunden ist, wie sie unser Grundgesetz in der Präambel und mit den
Grundrechten formuliert hat.“ Eindringlich warnte Bischof Bätzing vor erheblich
zunehmenden Empörungsdynamiken: „Der aggressive Ton politischer Debatten,
Ausbeutungslogiken und die Vernachlässigung der Perspektiven der Schwächsten
zeugen davon, dass wir drohen, uns selbst, die Menschlichkeit, das, was unsere
Gesellschaft im Innersten zusammenhält, aus den Augen zu verlieren. Wir rasen
und werden getrieben – und kommen doch nicht voran.“
Mit
Blick auf die Kirche sicherte Bischof Bätzing – auch der Politik – zu, dass man
weiterhin präsent sei im öffentlichen Raum: „In den grundlegenden Debatten des
gesellschaftlichen Diskurses und den sich daraus ergebenden Gesetzesinitiativen
wird man auch künftig mit Stimmen aus dem Raum der Kirche rechnen müssen –
nicht, weil wir besondere Freude daran hätten, als ‚Störenfriede‘ aufzutreten,
sondern weil uns durch das Evangelium aufgetragen ist, für Frieden und
Verständigung zu streiten und dabei möglichst viele Menschen einzubeziehen,
gerade auch diejenigen, die nicht für sich sprechen können oder am Rande
stehen.“ Dbk 10
Katholischer Sozialverband gegen AfD
„Kolping
steht für Offenheit, Menschlichkeit und Solidarität. Diese Werte stehen im
Gegensatz zu den Grundhaltungen der AfD“. Das schreibt das katholische
Kolpingwerk auf der Social-Media-Plattform Instagram. Eine Doppelmitgliedschaft
in der Partei Alternative für Deutschland (AfD) und im Kolpingwerk soll von nun
an nicht mehr erlaubt sein.
Der
Sozialverband Kolping Deutschland zählt deutschlandweit rund 200.000
Mitglieder. Auf der Bundesversammlung wurde nun eine Satzungsänderung
beschlossen, die es ermöglicht, künftig Mitglieder auszuschließen. Das zielt
ausdrücklich auf Personen, die an Überzeugungen festhalten, die mit den Werten
von Kolping Deutschland unvereinbar sind oder dem von der Bundesversammlung
beschlossenen Leitbild widersprechen.
Klare
Linie
Aus
diesem Grund ist „eine Mitgliedschaft bei Kolping Deutschland mit einer
Mitgliedschaft in der AfD unvereinbar“, so der Beschluss wörtlich. Auf
Instagram erklärt der Sozialverband, es brauche klare Grenzen gegenüber
rechtspopulistischen Ideologien. Diese Ideologien seien: „Nationale
Abschottung, Abwertung von Migrant*innen, Angriffe auf inklusive Gesellschaften
und antipluralistische Tendenzen. Diese Positionen kollidieren direkt mit den
Werten katholischer Verbände“.
Mit
dem Beschluss verpflichtet Kolping Deutschland seine Mitglieder zu einer klaren
Linie: Wer Mitglied in der AfD ist, kann nicht zugleich Mitglied bei Kolping
Deutschland oder einer seiner Gliederungen bleiben. Damit verdeutlicht der
katholische Sozialverband seine Orientierung an der katholischen Soziallehre
und den Werten des deutschen Grundgesetzes. (kolping 10)
EKD-Friedensbeauftragter stellt sich gegen Denkschrift
Der
Friedensbeauftragte der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Landesbischof
Friedrich Kramer aus Mitteldeutschland, hat an diesem Montag für Aufsehen auf
der in Dresden tagenden EKD-Synode gesorgt: Er widersprach der am selben Tag
vorgestellten Friedensdenkschrift seiner eigenen Kirche, die die atomare
Abschreckung nicht länger kategorisch ablehnt. Vom Mario Galgano
Während
es in dem neuen Grundsatzpapier heißt, „Der Besitz von Nuklearwaffen kann aber
angesichts der weltpolitischen Verteilung dieser Waffen trotzdem politisch
notwendig sein, weil der Verzicht eine schwerwiegende Bedrohungslage für
einzelne Staaten bedeuten könnte“, bezog Bischof Kramer klar Stellung dagegen.
Vor
den Synodalen forderte er: „Ich bin der Meinung, wir sollten bei einem klaren
Nein ohne jedes Ja bleiben.“ Zudem müssten alternative Instrumente zur
Friedensschaffung – wie zivile Friedensarbeit und „klare Grenzen militärischer
Mittel zum Schutz vor Gewalt“ – weiterhin im Fokus bleiben.
Scharfe
Kritik von Friedensgruppen
Auch
kirchliche Friedensgruppen äußerten sich kritisch zur Denkschrift. Die
Aktionsgemeinschaft Dienst für den Frieden (AGDF) monierte, der Text setze eine
neue Priorität beim Schutz vor Gewalt, unterstreiche dabei eine Notwendigkeit
militärischen Handelns und unterschätze Möglichkeiten ziviler
Konfliktbearbeitung.
Der
Rat der EKD folge damit „der Logik der Zeitenwende“ und räume dem Schutz vor
Gewalt Vorrang vor dem Primat der Gewaltfreiheit ein, so die AGDF. „Damit tritt
die Bestimmung des gerechten Friedens als Doppelbewegung der Abnahme von Gewalt
und der Zunahme von Gerechtigkeit in den Hintergrund, die den Horizont der
evangelischen Friedensethik in Richtung globaler Fragen und der Ökumene
geweitet hatte.“
Die
AGDF sieht in der Denkschrift eine Verkennung der Tatsache, dass militärisches
Handeln schnell an Grenzen stoße, sobald ein Krieg ausgebrochen sei. Man
befürchte, dass der Text das Militär im Blick auf den Schutz vor Gewalt
überschätze und darauf fokussiert sei, „militärisches Handeln friedensethisch
zu rehabilitieren.“ Die EKD fordere eine Politik, die auf militärische Stärke
baue, obwohl Analysen zeigten, dass dies nur eingeschränkt zu globaler
Gerechtigkeit, Demokratie oder Sicherheit beitragen könne – und die Probleme im
Gegenteil oft verschärfe.
Ökumene
in Ostdeutschland im Fokus
Am
Samstag, 9. November, sprach Bischof Heinrich Timmerevers von Dresden-Meißen in
Vertretung des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz auf der sechsten
Tagung der 13. Synode der EKD und der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen
Kirche Deutschlands (VELKD) in Dresden.
Er
betonte die langjährige, positive Zusammenarbeit der Kirchen in Deutschland:
„Die Deutsche Bischofskonferenz und die EKD stehen im Kontaktgesprächskreis in
einem beständigen und förderlichen Austausch über die Themen, die sie gemeinsam
betreffen.“
Besonders
hob Bischof Timmerevers die ökumenische Zusammenarbeit in Ostdeutschland
hervor: „Aus meiner eigenen Erfahrung kann ich sagen, dass gerade in den
ostdeutschen Gebieten, wo das Christentum in einer mehr oder weniger
ausgeprägten Minderheitensituation ist, Christsein ohne die Gemeinschaft mit
den Schwestern und Brüdern in anderen Kirchen und christlichen Gemeinschaften
nicht denkbar und nicht lebbar wäre.“ Diese Tradition des gemeinsamen
Zeugnisses habe sich bereits zu Zeiten der DDR gefestigt.
Für
die Zukunft kündigte Bischof Timmerevers eine Initiative an: Die
Evangelisch-Lutherische Landeskirche Sachsens und das Bistum Dresden-Meißen
prüfen die Gründung einer „Gemeinsamen Akademie der Kirchen in Sachsen“. Ziel
sei es, eine gemeinsame Bildungs- und Begegnungsstätte zu etablieren. „Diese
Akademie soll mehr sein als eine Institution – sie soll ein lebendiger Ort
werden, an dem Christinnen und Christen verschiedener Konfessionen
zusammenkommen, voneinander lernen und sich gemeinsam auf Verantwortung in
Kirche und Gesellschaft vorbereiten,“ sagte er. Er sieht darin eine „große
Chance“ und ein „sichtbares Zeichen dafür, dass Kirche – ausdrücklich in der
Ökumene verbunden – zukunftsorientiert, gestaltungsfähig und relevant für die
Menschen unserer Region ist.“ (ekd/dbk 10)
Bischof Timmerevers spricht auf der Synode der EKD
Christsein
in Ostdeutschland nicht ohne ökumenische Gemeinschaft lebbar
Bischof
Heinrich Timmerevers (Dresden-Meißen) hat heute (9. November 2025) in
Vertretung des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg
Bätzing, auf der sechsten Tagung der 13. Synode der Evangelischen Kirche in
Deutschland (EKD) und der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche
Deutschlands (VELKD) in Dresden gesprochen. Er betonte, dass die Kirchen in
Deutschland sind miteinander seit vielen Jahren auf einem guten Weg seien: „Die
Deutsche Bischofskonferenz und die EKD stehen im Kontaktgesprächskreis in einem
beständigen und förderlichen Austausch über die Themen, die sie gemeinsam
betreffen.“
Der
Bischof von Dresden-Meißen hob die ökumenische Zusammenarbeit in Ostdeutschland
in seiner Ansprache besonders hervor: „Aus meiner eigenen Erfahrung kann ich
sagen, dass gerade in den ostdeutschen Gebieten, wo das Christentum in einer
mehr oder weniger ausgeprägten Minderheitensituation ist, Christsein ohne die
Gemeinschaft mit den Schwestern und Brüdern in anderen Kirchen und christlichen
Gemeinschaften nicht denkbar und nicht lebbar wäre.“ Diese Zusammenarbeit geht
auf eine Tradition zurück, die sich bereits in den Jahren der DDR gezeigt hat:
„Für die Gläubigen – ob evangelisch oder katholisch – wuchs in dieser Zeit das
Bewusstsein, nicht allein zu stehen, sondern gemeinsam Zeugnis zu geben.“
Für
die Zukunft der Ökumene in der Region sagte Bischof Timmerevers: „In enger
Zusammenarbeit prüfen die Evangelisch-Lutherische Landeskirche Sachsens und das
Bistum Dresden-Meißen die Gründung einer Gemeinsamen Akademie der Kirchen in
Sachsen mit dem Ziel, eine gemeinsame Bildungs- und Begegnungsstätte zu
etablieren. Diese Akademie soll mehr sein als eine Institution – sie soll ein
lebendiger Ort werden, an dem Christinnen und Christen verschiedener
Konfessionen zusammenkommen, voneinander lernen und sich gemeinsam auf
Verantwortung in Kirche und Gesellschaft vorbereiten.“ Diese „Gemeinsame
Akademie der Kirchen“ sei eine große Chance. „Wenn wir diesen Schritt wagen,
setzen wir ein sichtbares Zeichen dafür, dass Kirche – ausdrücklich in der
Ökumene verbunden – zukunftsorientiert, gestaltungsfähig und relevant für die
Menschen unserer Region ist“. Dbk 10
„Wir sind Kirche“ will Reformideen an Jüngere weitergeben
Die
innerkirchliche katholische Reformgruppierung „Wir sind Kirche" will sich
vermehrt dafür einsetzen, ihre Anliegen an die jüngere Generation
weiterzugeben. Das teilte die Bewegung am Wochenende in Nürnberg anlässlich
einer Versammlung zu ihrem 30-jährigen Bestehen mit.
Die
Kernthemen der Bewegung blieben jedenfalls weiterhin relevant, heißt es:
„Partizipation und eine wirklich geschwisterliche Kirche,
Frauengleichberechtigung, Dienste in der Kirche, Zölibat und Sexualmoral.“ Dazu
wolle man sich immer wieder und auch gemeinsam mit anderen Gruppierungen zu
Wort melden.
Der
neue Papst Leo XIV. mache mit seinem Bekenntnis zur Synodalität und seinem
Schreiben „Dilexi te" Hoffnung – „aber wir sind weiter gefordert“. Auch
sei die Bewegung bereits gut vernetzt, wichtig sei jedoch, dass deren
Mitglieder, die im Wesentlichen zur älteren „Generation Konzil“ gehörten, sich
eben mit jüngeren Menschen vernetzten. „Es geht um die Weitergabe der Botschaft
Jesu an Menschen in den nachwachsenden Generationen." Dazu könne es etwa
ein eigenes Team geben, das sich zukünftig mit dieser Frage beschäftigen solle.
Der
emeritierte Theologieprofessor Norbert Mette machte darauf aufmerksam, dass
durch innerkirchliche Reformen keine größere Zustimmung zum Glauben oder zu den
Kirchen erreicht werden könne. Zudem sei die These nicht mehr
aufrechtzuerhalten, dass Menschen ohne Religion etwas fehle, sagte er laut
Skript bei einem Vortrag. Daher brauche es eine Begegnung und Kooperation von
Gläubigen und Nichtgläubigen auf Augenhöhe. Die Kirche müsse sich auf das
moderne Selbstverständnis des Menschen einlassen. Auftrag von Reformbewegungen
sei nicht nur, gegen kirchenpolitische Maßnahmen zu protestieren, sondern ihr
Tun selbst theologisch zu reflektieren.
Neues
Bundesteam und neue Vorsitzende
„Wir
sind Kirche“ wählte den Angaben zufolge außerdem ein neues Bundesteam. Laut
Mitteilung gehören diesem künftig die Philosophin Ma Adler aus dem Landkreis
Leer in Ostfriesland, die Deggendorfer Volkskundlerin Sigrid Grabmeier und der
Berliner Baustoffverfahrenstechniker Konrad Mundo an. Dazu zählen ebenso Jurist
Christoph Schomer aus Remagen sowie Stadtplaner Christian Weisner aus
Dachau.Zudem wählten die Mitglieder der Bewegung einen neuen Vorstand, so die
Mitteilung weiter. Zu diesem gehörten künftig der schleswiger
Hörgeschädigtenpädagoge Johann Bürgstein, die Kassler Romanistin Susanne
Ludewig sowie die Rheinstettenerin Ute Heberer.
(kna 9)
Angelus: Unsere Fehler hindern Gott nicht daran, uns zu lieben
Am
Tag der Weihe der Lateranbasilika lädt der Papst beim Mittagsgebet dazu ein,
den Blick zu weiten: vom künstlerischen Ausbau zum spirituellen Gehalt, um das
Geheimnis der Kirche besser zu verstehen. Ihre Heiligkeit, so der Papst mit
einem Ratzinger-Zitat, beruhe nämlich nicht auf unseren Verdiensten, sondern
auf der Liebe Gottes, der immer wieder die „schmutzigen Hände der Menschen”
wählt.
Noch
kurz zuvor hatte Papst Leo die Messe zum Weihetag der Bischofskirche von Rom
und „Mutter aller Kirchen“ gefeiert, doch pünktlich um 12 Uhr zeigte er sich am
Fenster des Apostolischen Palastes, um das Mittagsgebet zu sprechen. 35.000
Pilger erwarteten ihn auf dem Platz, als er an diesem besonderen Tag dazu
einlud, das „Geheimnis der Einheit und Gemeinschaft mit der Kirche von Rom“ zu
betrachten, „die dazu berufen ist, die Mutter zu sein, die aufmerksam Sorge
trägt für den Glauben und den Weg der Christen in aller Welt.“ Das Weihefest
der Lateranbasilika wird als Herrnfest in der gesamten katholischen Kirche
gefeiert.
Die
architektonischen Wunder der Basilika San Giovanni in Laterano als
Ausgangspunkt für seine Überlegungen nehmend, lud Leo ein, den Blick zu weiten
und das Herz zu einem tieferen spirituellen Blick zu erziehen.
„Oft
hindern uns die Schwächen und Fehler der Christen sowie viele Klischees und
Vorurteile daran, den Reichtum des Geheimnisses der Kirche zu erkennen. Ihre
Heiligkeit beruht nämlich nicht auf unseren Verdiensten, sondern auf ,der nicht
mehr zurückgenommenen Hingabe des Herrn‘, die weiterhin ,immer wieder auch und
in gerade paradoxer Liebe die schmutzigen Hände der Menschen wählt‘“, so Papst
Leo mit einem Zitat aus der Einführung in das Christentum von Joseph
Ratzinger/Benedikt XIV..
Christus,
die Tür, die uns zum Vater führt
Die
Lateranbasilika sei nicht nur „ein Bauwerk von außerordentlichem historischem,
künstlerischem und religiösem Wert“, sondern auch „das Antriebszentrum des
Glaubens“, welcher den Aposteln anvertraut und „über die Geschichte hinweg“
weitergegeben wurde, so der Papst in seiner Predigt. Insbesondere hatte er
dabei das Mittelschiff im Blick, das „die zwölf großen Statuen der Apostel
beherbergt, der ersten Jünger Christi und Zeugen des Evangeliums“.
Dies
führe zu einer „geistlichen Sichtweise“, mit der man über das äußere
Erscheinungsbild hinausgehen könne, „um im Geheimnis der Kirche weit mehr als
nur einen Ort, einen physischen Raum, ein Gebäude aus Steinen zu erkennen“,
führt Papst Leo seine Überlegung weiter. Schließlich sei letztlich der
„gestorbene und auferstandene Christus das wahre Heiligtum Gottes“:
„Er
ist der einzige Mittler des Heils, der einzige Erlöser, derjenige, der sich mit
unserem Menschsein verbindet und uns mit seiner Liebe verwandelt, und so die
Tür darstellt (vgl. Joh 10,9), die sich für uns öffnet und uns zum Vater
führt.“
Lebendige
Steine
Mit
Christus vereint, werden die Christen zu „lebendigen Steinen“, die berufen
sind, das Wort des Lebens zu bezeugen und zu verkünden.
„Wir
sind die Kirche Christi, sein Leib, seine Glieder, die berufen sind, sein
Evangelium der Barmherzigkeit, des Trostes und des Friedens in der Welt zu
verbreiten, durch jenen geistlichen Gottesdienst, der vor allem in unserem
Lebenszeugnis zum Ausdruck kommen muss.“
Es
gelte, unseren Weg in der Freude zu gehen, „das heilige Volk zu sein, das Gott
sich erwählt hat“, so Papst Leo abschließend. Vn 9
Sechs Monate mit Leo: Zeichen des Friedens für eine von Hass verwundete Welt
Es
gibt einen roten Faden, der das Lehramt des neuen Papstes durchzieht, der ein
Modell christlicher Gemeinschaft vorgeschlagen hat, in dem man Gemeinschaft
lebt – missionarisch und deshalb fähig, allen zu dienen, angefangen bei den
Letzten –, engagiert im Fördern von Dialog und Frieden. Eine Kirche, die sich
nicht an die Mächtigen „anlehnt“ und die Mission nicht mit religiösem Marketing
verwechselt, sondern die weiß, Sauerteig zu sein, weil sie das Licht eines
Anderen reflektiert. Andrea Tornielli (Chefredakteur) - Vatikanstadt
Seit
jenem Nachmittag des 8. Mai sind sechs Monate vergangen, als der neue Bischof
von Rom, erster US-Papst und Augustiner, von der Zentralloggia des Petersdomes
erschien. Es gibt einen roten Faden, der sein Lehramt durchzieht, und dieser
ist der einer Kirche als Zeichen von Einheit und Gemeinschaft, die zu Gärung
für eine versöhnte Welt werden soll angesichts von Kriegen, Hass und Gewalt. Es
lohnt sich, einige Meilensteine dieses Lehramts nachzuzeichnen, die zeigen, wie
die Verkündigung des Wesentlichen des Glaubens niemals losgelöst ist von der
Zeugnisgabe der Nächstenliebe, vom konkreten Einsatz für die Letzten und vom
Bau einer gerechteren Gesellschaft. Schon in seinen ersten Worten,
ausgesprochen im Gruß unmittelbar nach der Wahl: „Friede sei mit euch allen!
(…) Das ist der Friede des auferstandenen Christus, ein entwaffneter und
entwaffnender Friede, demütig und beharrlich. Er kommt von Gott, Gott, der uns
alle bedingungslos liebt. (…) Wir müssen gemeinsam suchen, wie wir eine
missionarische Kirche sein können, eine Kirche, die Brücken baut, den Dialog,
immer offen aufzunehmen.“ In der Predigt der Messe zur Eröffnung des
Pontifikats am 18. Mai 2025 sagte er: „eine Kirche … vereint, Zeichen der
Einheit und der Gemeinschaft, die zu Gärung für eine versöhnte Welt wird. In
unserer Zeit sehen wir noch zu viel Zwietracht, zu viele Wunden verursacht
durch Hass, Gewalt, Vorurteile, Angst vor dem Anderen, durch ein
wirtschaftliches Paradigma, das die Ressourcen der Erde ausbeutet und die
Ärmsten an den Rand drängt. Und wir wollen, in diesem Teig, ein kleiner
Sauerteig der Einheit, der Gemeinschaft, der Geschwisterlichkeit sein.“
Im
Herzen der Mission: Verschwinden, damit Christus bleibt
Am
Tag nach der Wahl, bei der ersten Feier mit den Kardinälen in der Sixtinischen
Kapelle, rief Leo XIV. auf zu einem „unverzichtbaren Engagement für jeden, der
Autorität im Dienst der Kirche ausübt: verschwinden, damit Christus bleibt,
sich klein machen, damit Er erkannt und verherrlicht werde, sich ganz
einsetzen, damit niemand die Gelegenheit versäume, Ihn kennenzulernen und zu
lieben.“ In der Predigt vom 18. Mai sprach der Papst von „Liebe und Einheit“
als die beiden Dimensionen, die Jesus Petrus anvertraut hat, und erklärte, dass
diese Aufgabe nur möglich sei, weil Petrus „in seinem Leben die unendliche und
bedingungslose Liebe Gottes erfahren hat, selbst in der Stunde des Versagens
und der Verleugnung“. Denn, wie er zu den Jugendlichen sagte, die sich am Abend
des 2. August in Tor Vergata versammelten: „Am Ursprung von uns selbst stand
keine unsere Entscheidung, sondern eine Liebe, die uns gewollt hat.“ Diese
Liebe geht uns voraus, wie der Papst in der Katechese bei der Audienz am
Mittwoch, dem 20. August erklärte, im Gespräch über Judas, der bei der Letzten
Abendmahl Jesus das Brot reicht: „Jesus setzt seine Liebe fort und bis zum Ende
(…) Denn er weiß, dass die wahre Vergebung nicht auf die Reue wartet, sondern
sich zuerst schenkt, als ein freies Geschenk, noch ehe sie angenommen wird.“
Die
Mission der Kirche ist, diese Liebe zu bezeugen. Um dies zu tun, erklärte Leo
XIV. am 7. Juni 2025 während der Pfingstwache: „Es bedarf keiner mächtigen
Unterstützer, keine weltlichen Kompromisse, keine emotionalen Strategien.
Evangelisierung ist Werk Gottes und, wenn sie manchmal durch unsere Personen
hindurchgeht, dann wegen der Bindungen, die möglich macht.“ Der Kirche brauche
es keine Marketing-Strategien, denn Evangelisierung ist in der Tat Gott, der
wirkt. Grundlegend für die Mission sei Einheit in der Vielfalt, also gelebte
Gemeinschaft. Es sei ein Glaube, wie er am Sonntag, dem 5. Oktober 2025 beim
Jubiläum der Weltmission verkündete, der „sich nicht mit den Mitteln der Macht
und auf außerordentliche Weise aufzwingt (…) Es ist eine Errettung, die sich
realisiert, wenn wir uns persönlich einsetzen und uns kümmern, mit der
Mitgefühl des Evangeliums, um das Leid unseres Nächsten“. Es sei ein Glaube,
der andere nicht richte, der uns nicht glaubt „perfekt“ zu sein mache, auch
weil, wie er beim Angelus am Sonntag, dem 24. August erklärte, Jesus „die
Sicherheit der Gläubigen“ herausfordere: „Er nämlich sagt uns, dass es nicht
genügt, den Glauben mit Worten zu bekennen, mit Ihm Mahl zu halten und das
Evangelium gut zu kennen. Unser Glaube ist authentisch, wenn er unser ganzes
Leben umarmt, wenn er zu einem Kriterium für unsere Entscheidungen wird, wenn
er uns zu Frauen und Männern macht, die sich im Guten einsetzen und im Liebe
riskieren, so wie es Jesus getan hat.“
Frieden
bezeugen
Nachdem
er dies schon in jenem ersten Gruß am Tag der Wahl getan hatte, sprach Leo XIV.
sehr oft vom Frieden und lud die Christen ein, ihn konkret zu bezeugen:
„Gewaltlosigkeit als Methode und als Stil muss unsere Entscheidungen, unsere
Beziehungen, unsere Handlungen kennzeichnen“, sagte er am 30. Mai zu Bewegungen
und Verbänden der „Arena des Friedens“. Zugleich erhob der Nachfolger Petri
mehrfach seine Stimme gegen die Aufrüstung, wie er es am Ende der Audienz am
18. Juni tat: „Wir dürfen uns nicht an den Krieg gewöhnen! Im Gegenteil, man
muss den Reiz der mächtigen und hochentwickelten Waffen als Versuchung
zurückweisen.“ Am 26. Juni empfing Leo XIV. die Teilnehmenden der ROACO, der
Versammlung der Werke zur Hilfe für die osteuropäischen Kirchen, und sagte: „Wie
kann man glauben, nach Jahrhunderten Geschichte, dass kriegerische Handlungen
Frieden bringen und nicht gegen jene zurückschlagen, die sie geführt haben? (…)
Wie kann man die Friedenssehnsucht der Völker weiter verraten durch falsche
Propaganda der Aufrüstung, in der vergeblichen Illusion, dass Überlegenheit die
Probleme löst anstatt Hass und Rache zu nähren? Die Menschen werden zunehmend
weniger unwissend über die Menge an Geld, die in die Taschen der Händler des
Todes fließt und mit denen man Krankenhäuser und Schulen bauen könnte;
stattdessen werden jene zerstört, die bereits errichtet sind!“
Der
Frieden-Aufruf des Bischofs von Rom betrifft sowohl die
Regierungsverantwortlichen der Nationen, damit sie den Reichtum nicht „gegen
den Menschen wandeln, ihn in Waffen verwandeln, die die Völker zerstören, und
in Monopole, die die Arbeiter erniedrigen“ (Predigt vom Sonntag, dem 21.
September in der Kirche Sankt Anna im Vatikan), als auch jeden Einzelnen von
uns, denn der Aufruf Jesu lautet, die Hand zu entwaffnen – aber zuerst und vor
allem das Herz. Wie Leo XIV. am Ende der Marien-Wache für den Frieden am
Samstag, dem 11. Oktober 2025 erklärte: „‘Steck dein Schwert weg’ ist ein Wort,
das sich an die Mächtigen der Welt richtet, an jene, die über das Schicksal der
Völker bestimmen: habt den Mut zur Entwaffnung! Und zugleich richtet es sich an
jeden von uns, damit wir uns immer mehr bewusst werden, dass wir für keine
Idee, keinen Glauben, keine Politik töten dürfen. Was vor allem entwaffnet
werden muss, ist das Herz, denn wenn in uns kein Frieden ist, werden wir keinen
Frieden geben.“
Die
Liebe zu den Armen
In
seiner ersten apostolischen Ermahnung, veröffentlicht am 9. Oktober, erklärte
Papst Leo, dass wir, wenn wir denen helfen, die leiden, „uns nicht im Horizont
der Wohltätigkeit befinden, sondern der Offenbarung: der Kontakt mit denen, die
keine Macht und Größe haben, ist eine grundlegende Art der Begegnung mit dem
Herrn der Geschichte“. Die Liebe zu den Armen sei kein „optionaler Weg“,
sondern stelle das „Kriterium des wahren Kultes“ dar. Beim Treffen mit den
Apostolischen Nuntien am 10. Juni 2025 sagte der Papst zu ihnen: „Ich zähle auf
euch, damit in den Ländern, in denen ihr lebt, alle wissen, dass die Kirche
stets bereit ist zu allem aus Liebe, dass sie stets an der Seite der Letzten
und der Armen steht.“ Und am 13. Juli von Castel Gandolfo forderte er auf, im
Beispiel des Guten Samariters nicht „vorüberzugehen“, sondern uns „das Herz
durchbohren“ zu lassen von „allen, die im Bösen, im Leiden und in der Armut
versinken“, von „so vielen Völkern, die beraubt, geplündert und ausgebeutet
sind, Opfer unterdrückender politischer Systeme, einer Wirtschaft, die sie zur
Armut zwingt, eines Krieges, der ihre Träume und ihr Leben tötet“. Beim
Jubiläum der Gerechtigkeitsarbeiter am 20. September lud der Papst ein, den
Blick nicht abzuwenden von der „Realität vieler Länder und Völker, die Hunger
und Durst nach Gerechtigkeit haben, weil ihre Lebensbedingungen so ungerecht
und unmenschlich sind, dass sie inakzeptabel sind“, und erinnerte daran, dass
„der Staat, in dem es keine Gerechtigkeit gibt, kein Staat ist“. Am 23. Oktober
2025 sagte der Nachfolger Petri beim Treffen mit den Volksbewegungen, dass
„Ausgrenzung das neue Gesicht der sozialen Ungerechtigkeit ist. Der Abstand
zwischen einer ‚kleinen Minderheit‘ – 1 Prozent der Bevölkerung – und der
großen Mehrheit hat sich dramatisch vergrößert. (…) Als Bischof in Peru freue
ich mich, eine Kirche erfahren zu haben, die die Menschen in ihren Schmerzen,
in ihren Freuden, in ihren Kämpfen und Hoffnungen begleitet.“
Die
Migranten – unsere Geschwister
Leo
XIV. sprach in seiner Predigt zum Jubiläum der Weltmission und der Migranten,
am Sonntag, dem 5. Oktober, von der „Geschichte so vieler unserer Brüder, der
Migranten“, die „nicht die Kälte der Gleichgültigkeit oder das Stigma der
Diskriminierung finden dürfen und dürfen nicht!“ Und in der Ansprache an die
Volksbewegungen am 23. Oktober sprach er über das Thema Sicherheit: „Mit dem
Missbrauch der verwundbaren Migranten erleben wir nicht die rechtmäßige
Ausübung nationaler Souveränität, sondern vielmehr schwere Verbrechen, die vom
Staat begangen oder toleriert werden. Es werden zunehmend unmenschlichere
Maßnahmen – politisch sogar gefeiert – ergriffen, um diese ‚unerwünschten‘ so
zu behandeln, als wären sie Müll und keine Menschen. Der Christentum hingegen
bezieht sich auf den Gott der Liebe, der uns alle Brüder werden lässt und von
uns verlangt, als Brüder und Schwestern zu leben.“ (vn 8)
Papst Leo: Arbeit ist Quelle der Hoffnung und des Lebens
Trotz
einer leicht erkälteten Stimme hat Papst Leo XIV. an diesem Samstag auf dem
Petersplatz seine Katechese vor Tausenden von Gläubigen gehalten, die
anlässlich des Jubiläums der Arbeitswelt versammelt waren. Der Papst sprach
über die christliche Hoffnung, die in den „Überraschungen Gottes“ verwurzelt
ist, und stellte das afrikanische Vorbild des seligen Märtyrers Isidore Bakanja
in den Mittelpunkt. Mario Galgano - Vatikanstadt
„Die
Kriterien Gottes, der immer bei den Letzten beginnt, sind bereits in Korinth
ein ‚Erdbeben‘, das nicht zerstört, sondern die Welt aufrüttelt“, erklärte der
Papst in seiner Ansprache. Das Jubiläumsjahr sei ein „Jahr der Gnade“, das die
Gläubigen dazu dränge, die Andersartigkeit Gottes anzuerkennen und in ihr
reales Leben zu übertragen.
Hoffnung
als Zeugnis und die Kraft des Kreuzes
Das
katholische Kirchenoberhaupt betonte, dass christliche Hoffnung untrennbar mit
dem Zeugnis verbunden sei: „Hoffen heißt bezeugen: bezeugen, dass sich bereits
alles verändert hat, dass nichts mehr so ist wie zuvor.“
Papst
Leo XIV. sprach sich für gute Arbeitsmöglichkeiten besonders für junge Menschen
aus. Arbeit müsse eine Quelle der Hoffnung und des Lebens sein, so der Papst am
Samstag auf dem Petersplatz im Vatikan. Dem Einzelnen müsse seine Beschäftigung
ermöglichen, seine Kreativität und seine Fähigkeit, Gutes zu tun, zum Ausdruck
zu bringen.
Als
Beispiel nannte er den seligen Isidore Bakanja (1885-1909), einen Laien aus dem
Kongo und Patron der Laien in seinem Land. Bakanja, der als Landarbeiter unter
einem skrupellosen europäischen Gutsherrn litt, hielt trotz Misshandlungen und
Folter an seinem Glauben fest. Selbst kurz vor seinem Tod durch die
Misshandlungen legte Bakanja den Trappistenpatres gegenüber sein Zeugnis ab: Er
hege keinen Groll und versprach, für diejenigen zu beten, die ihn so
zugerichtet hatten.
„Das,
liebe Brüder und Schwestern, ist die Botschaft des Kreuzes. Es ist ein gelebtes
Wort, das die Kette des Bösen durchbricht“, führte Papst Leo XIV. aus.
Institutionen
und Zivilgesellschaft rief Leo XIV. zu einem gemeinsamen Engagement für stabile
und würdevolle Beschäftigungsmöglichkeiten auf. Diese müssten besonders jungen
Menschen erlauben, ihre Träume zu verwirklichen und zum Gemeinwohl beizutragen.
Afrika
als Vorbild für den Globalen Norden
Der
Papst hob hervor, dass oft die alten Kirchen im Globalen Norden von den jungen
Kirchen – insbesondere aus Afrika – dieses Zeugnis erhielten. Afrika gebe
„viele junge Zeugen des Glaubens“ als Ansporn für die Welt. Die Botschaft des
Jubiläums sei, zu bezeugen, dass die Erde dem Himmel gleichen kann, da „die
Stärke des Lichts auch inmitten von Schwierigkeiten stärker [wird]“.
Den
deutschsprachigen Pilgern, die in großer Zahl anwesend waren, empfahl der Papst
die Fürsprache der Gottesmutter: „Vertrauen auch wir uns ihr, der Mutter der
Hoffnung, an, damit sie uns helfe, den Willen des Vaters im Himmel zu tun.“
Der
Papst äußerte sich im Rahmen einer Jubiläumsaudienz, die während des Heiligen
Jahres 2025 an bestimmten Samstagen stattfindet. An diesem 8. November wurde im
Vatikan zudem die Sonderveranstaltung für die Arbeitswelt begangen. (vn 8)
Italien: Fehler-Analyse in Bozen vorgestellt
Im
Fall der nach massiver öffentlicher Kritik wieder zurückgenommenen Versetzung
eines Südtiroler Priesters sind am Freitag in Bozen die Ergebnisse einer
externen Analyse vorgestellt worden.
Der
von der Diözese Bozen-Brixen mit der Untersuchung des Vorgangs beauftragte
Rechtsanwalt Ulrich Wastl von der Münchner Kanzlei Westpfahl Spilker Wastl
(WSW) sprach dabei von einem „systemischen Totalversagen“ in entscheidenden
Kommunikations- und Entscheidungsstrukturen. Bischof Ivo Muser kündigte bei der
eigens organisierten Fachtagung „Mut zur Umsetzung“ Konsequenzen an. Unter
anderem soll eine organisatorische Neuordnung des Bereichs Aufarbeitung und
Prävention in der Diözese stattfinden und Betroffene besser eingebunden werden.
Auch eine unabhängige Interventionsstelle wird eingerichtet.
Muser
hatte im September einen Priester, der im Anfang 2025 vorgestellten Gutachten
zum Umgang mit Missbrauchsfällen in der Diözese Bozen-Brixen seit Mitte der
1960er Jahre belastet wurde, auf eine andere Seelsorgestelle versetzt. Eine
Fachgruppe hatte den geplanten Einsatz des Priesters laut Diözese vorab geprüft
und die Entscheidung, den Geistlichen weiterhin in der Seelsorge zu belassen,
unter Auflagen für vertretbar gehalten. Nach heftiger Kritik nahm Muser die
Entscheidung zurück und sprach von einer „Fehlentscheidung“. Der Geistliche war
2009 wegen Verjährung strafrechtlich freigesprochen worden. Zivilrechtlich
erhielt die betroffene Familie später eine Entschädigung in sechsstelliger
Höhe.
„Entscheidungen
wurden ohne klare Zuständigkeiten, ohne ausreichende Dokumentation und ohne die
Perspektive der Betroffenen getroffen“
„Entscheidungen
wurden ohne klare Zuständigkeiten, ohne ausreichende Dokumentation und ohne die
Perspektive der Betroffenen getroffen“, sagte der im Anschluss mit einer
Fehleranalyse beauftragte Rechtsanwalt Wastl am Freitag. Es habe „keine
einzelne Person versagt, sondern das System als Ganzes“, so der Jurist.
Hauptziel der Untersuchung sei nicht die Suche nach Schuldigen, sondern das
Lernen aus Fehlern. „Systemisches Versagen kann zur Chance werden, wenn
Verantwortung und Transparenz neu geordnet werden“, sagte Wastl.
Künftig
unabhängige Interventionsstelle
Bischof
Muser bekannte erneut, dass die Diözese in dem Fall strukturelle Fehler gemacht
habe. „Es war keine böse Absicht, aber es war ein Versagen. Wir wollen daraus
lernen und wir übernehmen Verantwortung“, sagte er. Neben der Neuordnung des
Aufarbeitungs-Bereichs unter klar definierten Zuständigkeiten und einer
lückenlosen Dokumentation aller relevanten Entscheidungen und Abläufe kündigte
er an, dass so schnell wie möglich eine unabhängige Interventionsstelle als
Kontroll- und Vertrauensinstanz eingerichtet werde.
Man
wolle Betroffenen gerecht werden und alles tun, um künftige Betroffene zu
schützen, fügte Muser hinzu. „Es geht auch darum, die Betroffenen viel mehr
einzubeziehen und abzuwägen, wie wirken unsere Entscheidungen auf Betroffene,
auf Menschen, die schweres Leid ertragen mussten“, sagte der Bischof im
Interview mit RAI Südtirol am Rande der Tagung.
„Wie
wächst Vertrauen? Nicht dadurch, dass man vorgibt, perfekt zu sein“
Peter
Beer vom Safeguarding-Institut der Päpstlichen Gregoriana-Universität in Rom
sprach bei der Tagung über den Umgang mit Spannungen im Prozess der
Aufarbeitung. „Der Bischof hat nach der Vorstellung des ersten Berichts über
die Missbrauchsfälle in der Diözese eine neue Fehlerkultur angekündigt, und er
löst heute dieses Versprechen ein. Die heutige Tagung mit dem Bericht über
mannigfaches Versagen ist der Ernstfall dieser Fehlerkultur“, sagte Beer. Zum
Thema Verantwortung, Leitung und Kirchenmitglieder sagte er: „Wie wächst
Vertrauen? Nicht dadurch, dass man vorgibt, perfekt zu sein, sondern indem man
anerkennt, es nicht zu sein, darüber spricht und gemeinsam Verbesserungen,
Veränderungen und Weiterentwicklungen angeht. Genau das passiert hier.“
Vorreiter
unter Italiens Diözesen
Als
erste Diözese Italiens hatte die Diözese Bozen-Brixen zu Jahresbeginn eine den
Zeitraum von 1964 bis 2023 umfassende unabhängige Untersuchung zu
Missbrauchsfällen in ihrem Bereich vorgelegt, die auch Empfehlungen zur
Stärkung der Belange der Betroffenen, zum Umgang mit Beschuldigten und Tätern
und präventiven Maßnahmen enthält. Das mehr als 600 Seiten umfassende
WSW-Gutachten ist Teil des mehrjährigen Projekts „Mut zum Hinsehen“, bei dem
Missbrauchsfälle im kirchlichen Bereich und ihr Umgang damit aufgearbeitet
sowie die Prävention von Missbrauch in der Südtiroler Diözese weiter verbessert
werden soll. Eine Ombudsstelle der Diözese für Missbrauchsfälle gibt es in der
Südtiroler Diözese seit dem Jahr 2010. (kap 7)
Parolin auf Klimagipfel: „Die Zeit wird knapp“
Am
Donnerstag hat in Belém im Nordosten Brasiliens ein Gipfel von Staats- und
Regierungschefs im Vorfeld der COP30 begonnen. Der Heilige Stuhl, der zu den
143 vor Ort vertretenen Delegationen gehört, wird von Kardinalstaatssekretär
Pietro Parolin vertreten. Silvonei José Protz –Belém
In
einem Interview mit den Medien des Heiligen Stuhls sagte Parolin: „Die Zeit
wird langsam knapp“. Die bereits bei früheren COP-Konferenzen zum Klimawandel
eingegangenen Verpflichtungen müssten dringend „umgesetzt“ und „konkretisiert“
werden. Die COP30, 30. Klimakonferenz der Vereinten Nationen, beginnt am 10.
November in der Hauptstadt des Bundesstaates Pará am Amazonas.
In
dem Interview weist der Kardinal darauf hin, dass das Phänomen des Klimawandels
heute „mehr Vertriebene“ verursache als Kriege oder Konflikte. Aus seiner Sicht
könnten Überlegungen und Maßnahmen zum Klimawandel eine Gelegenheit sein, den
Multilateralismus wiederzubeleben, der seit Jahren „eine schwere Krise“
durchlebe.
Interview
Der
Papst ist besorgt über die Folgen des Klimawandels für das Leben von Millionen
von Menschen, insbesondere der Ärmsten. Was sollten die Prioritäten der lokalen
Kirchen in den verschiedenen Regionen der Welt sein?
„Tatsächlich
ist dies ein Phänomen, das immer mehr Menschen betrifft, natürlich im negativen
Sinne, und zwar vor allem die Schwächsten. In den letzten Monaten hatten wir
Treffen mit den Behörden der Pazifikinseln, wo wir mit der tragischen Realität
eines bevorstehenden Untergangs konfrontiert wurden: Wir können uns vorstellen,
was das für die Bevölkerung bedeuten kann, nicht wahr? Und nach dem, was ich
gelesen habe, ist die Zahl der Vertriebenen heute aufgrund des Klimawandels
höher als aufgrund der Konflikte, die weltweit stattfinden. Es handelt sich
also wirklich um eine Notsituation.
„Ich
glaube, dass es vor allem wichtig ist, die ethischen Dimensionen dieses
Phänomens hervorzuheben“
Die
Kirche hat sich auf Ebene des Heiligen Stuhls engagiert. Wir haben an den
großen Beitrag erinnert, den Papst Franziskus mit Laudato si' und dann mit
Laudate Deum geleistet hat. Und natürlich stehen auch die Ortskirchen hinter
diesem Engagement. Ich habe gehört, dass sich auch anlässlich der Cop30 die
Kirche in Brasilien stark dafür einsetzt, dieses Thema auf die Ebene der
verschiedenen Gemeinschaften und auch der Menschen zu bringen. Und dann gab es
eine Zusammenarbeit zwischen den Versammlungen der (Bischofs-)Konferenzen
verschiedener Kontinente, es gibt also eine Bewegung.
Ich
glaube, dass es vor allem wichtig ist, die ethischen Dimensionen dieses Phänomens
hervorzuheben. Natürlich können wir keine technischen Antworten geben, da uns
die Mittel und Kompetenzen dafür fehlen, auch wenn unsere Experten im
Staatssekretariat und in anderen Dikasterien diese Aspekte und Dimensionen
verfolgen. Sie nehmen auch am Dialog und an den laufenden Verhandlungen zu
diesen Aspekten teil. Ich glaube jedoch, dass der wesentliche Beitrag des
Heiligen Stuhls und der Ortskirchen darin besteht, das Bewusstsein zu schärfen
und eine ethische Antwort auf das Problem des (Klimawandels) zu geben. Dies
erfordert natürlich auch einen großen Aufwand an Ausbildung und Erziehung.“
„Der
Klimawandel bietet wirklich eine Gelegenheit, den Multilateralismus
wiederzubeleben, der in den letzten Jahren eine große Krise durchgemacht hat“
Sie
haben viele Weltpolitiker getroffen. Was wird man von der COP30 als konkrete
Maßnahme auf Regierungsebene mit nach Hause nehmen können?
„Mich
hat heute Morgen beeindruckt, wie ein Teilnehmer sagte, dass man auch von der
COP30 keine großen Ankündigungen erwarten sollte, sondern vielmehr das
Engagement und die Entschlossenheit der heute bei der Eröffnung anwesenden oder
vertretenen Staats- und Regierungschefs, die bereits eingegangenen
Verpflichtungen umzusetzen – was die Reduzierung der CO2-Emissionen, die Hilfe
für die am stärksten gefährdeten Länder, die Widerstandsfähigkeit usw.
betrifft. Es gibt also viele Bereiche, und ich glaube, dass diese
Verpflichtungen konkretisiert werden müssen.
Und
dann würde ich noch auf andere grundlegende Dinge hinweisen: Das Erste ist,
dass die Zeit knapp geworden ist. Es besteht also Dringlichkeit, diese
Dringlichkeit muss vorhanden sein. Dann auch die Dimension des
Multilateralismus: Der Klimawandel bietet wirklich eine Gelegenheit, den
Multilateralismus wiederzubeleben, der in den letzten Jahren eine große Krise
durchgemacht hat. Ich glaube also, dass dies die Richtungen sind, in die wir
gehen und arbeiten müssen.“ (vn 7)
Papst ermutigt kulturelle Vielfalt des Christentums in Europa
Papst
Leo XIV. hat im Vatikan Vertreter europäischer Kirchen empfangen und zu einer
offeneren Haltung gegenüber kultureller Vielfalt aufgerufen. Bei der Audienz an
diesem Donnerstag, dem 6. November, würdigte er die neu überarbeitete „Charta
Oecumenica“. Das Dokument soll die Zusammenarbeit der christlichen Kirchen in
Europa neu stärken.
Die
Überarbeitung der Charta, die erstmals 2001 veröffentlicht wurde, erfolgte seit
2022 durch eine gemeinsame Arbeitsgruppe. Unterzeichnet wurde der neue Text am
5. November in der Kirche des Martyriums des heiligen Paulus an der römischen
Abtei Tre Fontane. Die Unterzeichner erinnerten daran, dass das Dokument vor 25
Jahren „ein Meilenstein der europäischen ökumenischen Zusammenarbeit“ gewesen
sei.
Leo
XIV. betonte in seiner Ansprache, dass die Herausforderungen für Christen in
Europa im Wandel stehen. Er forderte, „gemeinsame Sorgen“ beim Verkünden des
Evangeliums zu teilen.
Christengemeinden
in Europa immer mehr in der Minderheit
Laut
dem Papst entwickelt sich das Christentum in Europa mit zwei Geschwindigkeiten:
Auf der einen Seite stehen „positive und ermutigende Zeichen“, auf der anderen
Seite sehen sich viele christliche Gemeinschaften „immer mehr in der
Minderheit“. Auf dem Kontinent gebe es zudem „neue Generationen und
Neuankömmlinge“, die ihre persönlichen Erfahrungen und „sehr unterschiedliche
kulturelle Ausdrucksformen“ mitbringen.
Die
Kirchen sollten diese Stimmen hören und Beziehungen vertiefen, so der Papst.
Inmitten von Gewalt und Kriegen seien „die Gnade, die Barmherzigkeit und der
Friede des Herrn wirklich wesentlich“, um das Evangelium in „sich wandelnden
Kontexten“ zu verkünden. Die neue Charta wolle helfen, „unsere Geschichte mit
den Augen Christi zu betrachten“ und gemeinsame Wege zu erkennen.
„Der
Weg der Synodalität, den die katholische Kirche geht, ist und muss ökumenisch
sein, so wie der ökumenische Weg synodal ist“
Auf
das Verhältnis von Synodalität und Ökumene verwies Leo XIV. mit dem Satz von
Papst Franziskus: „Der Weg der Synodalität, den die katholische Kirche geht,
ist und muss ökumenisch sein, so wie der ökumenische Weg synodal ist.“ Die
überarbeitete Charta formuliere dafür eine „gemeinsame Vision“ und
unterstreiche die „bleibende Aktualität“ der christlichen Botschaft.
Zum
Abschluss verwies Leo XIV. auf seine bevorstehende Reise in die Türkei, an die
Orte des Konzils von Nizäa, um dort mit anderen Kirchenführern zu beten. Im
laufenden Jubiläumsjahr solle Europa bezeugen: „Jesus Christus ist unsere
Hoffnung“ – „der Weg“ und „das letzte Ziel“ des geistlichen Pilgerwegs. (vn 6)
Die
Charta Oecumenica ist eine Selbstverpflichtung der Kirchen in Europa. Sie soll
für eine wachsende Zusammenarbeit sorgen. Die Konferenz der Europäischen
Kirchen und der Rat der Europäischen Bischofskonferenzen haben diese Grundlage
ihrer Zusammenarbeit jetzt aktualisiert.
Es
begann in Augsburg: Dort kam es im Jahr 1999 zur Unterzeichnung einer Gemeinsamen
Erklärung zur Rechtfertigungslehre, eines zentralen Dokuments für die
Annäherung der katholischen Kirche an den Lutherischen Weltbund, welcher aus
verschiedenen protestantischen Kirchen zusammengesetzt ist. Die Gemeinsame
Erklärung machte deutlich, dass auch jahrhundertealte konfessionelle
Differenzen durchaus überwunden werden können. Das öffnete den Weg für
weitergehende ökumenische Zusammenarbeit - und zwar nicht nur auf bilateraler,
sondern auch auf europäischer Ebene. Die Stoßrichtung der ökumenischen Bewegung
führte nahezu zwangsläufig dazu, dass es auch auf europäischer Ebene zu einem
gemeinsamen Dokument kommen musste.
„In
diesem Sinn nehmen wir diese Charta als gemeinsame Verpflichtung zum Dialog und
zur Zusammenarbeit an.“
Somit
wurde die Charta Oecumenica zum tragenden Pfeiler für die Zusammenarbeit
verschiedenster Kirchen und kirchlicher Gemeinschaften in Europa. Bereits 1997
in Auftrag gegeben, wurde sie 2001 zunächst in deutscher Sprache durch die
Spitzenkräfte der Konferenz der Europäischen Kirchen (KEK) und des Rates der
Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) unterzeichnet. Die Charta enthält keine
lehramtlichen Aussagen, sondern versteht sich als pastorale
Selbstverpflichtung, welche die Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften
entsprechend ihren Möglichkeiten umzusetzen versuchen.
Durch
die Unterzeichnung haben sich die Mitgliedskirchen des KEK und des CCEE auf
lauter gute Vorsätze verpflichtet: gemeinsam zur Einheit im Glauben zu
gelangen, das Evangelium gemeinsam zu verkünden, aufeinander zuzugehen,
gemeinsam zu handeln, miteinander zu beten, Dialoge fortzusetzen, Europa
mitzugestalten, Frieden zu schaffen, die Schöpfung zu bewahren, die
Gemeinschaft mit dem Judentum zu vertiefen und Begegnungen mit dem Islam sowie
anderen Religionen und Weltanschauungen zu initiieren.
An
diesem Donnerstag, 5. November 2025, wurde in Rom eine aktualisierte Fassung
der Charta Oecumenica unterzeichnet. Das soll für eine neue Rezeption des
Grundlagendokuments für die ökumenische Zusammenarbeit sorgen. Die
Aktualisierung ist notwendig, da sich „die Situation der Kirchen in der Welt
verändert hat“, erläutert die evangelische Theologin Lea Schlenker. „Die
Säkularisierung hat unterschiedlich stark zugenommen. Die
Selbstverständlichkeit, dass Kirchen eine wichtige Rolle spielen, ist zurückgegangen.
Gleichzeitig gibt es eine größere Vielfalt an Kirchen. Das heißt, dass die
Gesprächspartner in der Ökumene plötzlich andere sind und an anderer Position
sind. Das verändert einiges.”
Außerdem
wird durch die neue Rezeption die Aktualität des Dokuments unterstrichen: Es
ist wichtiger denn je, ökumenisch gemeinsam zu handeln. Mit der Unterzeichnung
wird „den Kirchen Europas Mut in einer Zeit, in der es an Polarisierungen,
Spaltungen, Kriegen und Angst nicht fehlt“, zugesprochen, formulierte der
Augsburger Bischof Bertram Meier am Mittwoch.
„Auf
unserem europäischen Kontinent zwischen Atlantik und Ural, zwischen Nordkap und
Mittelmeer, der heute mehr denn je durch eine plurale Kultur geprägt wird,
wollen wir mit dem Evangelium für die Würde der menschlichen Person als Gottes
Ebenbild eintreten und als Kirchen gemeinsam dazu beitragen, Völker und
Kulturen zu versöhnen.“
Trotz
der Aktualisierung der Charta Oecumenica bleiben Herausforderungen in
verschiedenen theologischen Bereichen bestehen. So ist das Verständnis von
Kirche, dem Menschen oder dem Einheitsbegriff nicht bei allen unterzeichnenden
Kirchen oder kirchlichen Gemeinschaften identisch. Bischof Meier sagt dazu: „In
einigen Fällen, wie in der orthodoxen Kirchenfamilie und in der anglikanischen
Welt, sind schmerzliche Spannungen und Spaltungen zu beobachten. Wie kann man
vor diesem Hintergrund dennoch einer möglichst breiten und genauen Rezeption
der Charta den Weg bahnen? Sicherlich nicht, indem man die ekklesiologische
oder anthropologische Debatte ausklammert, sondern vielmehr, indem man sie
intensiviert.“ (domradio/dbk 5)
Maria-Dokument: „Wichtige Klärungen auch für Ökumene“
Die
am Dienstag veröffentlichte „Lehrmäßige Note“ aus dem Vatikan über die
Bedeutung Marias („Mater populi fidelis“) bringt wichtige Klärungen
insbesondere im Blick auf die Ökumene, meint der Wiener Dogmatiker Jan-Heiner
Tück.
Er
äußerte sich in einem Beitrag für das Portal „communio.de“. Schließlich sei
gerade von protestantischer Seite immer wieder der Verdacht erhoben worden,
„die katholische Kirche würde Maria eine Stellung zuschreiben, die das
Bekenntnis zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi antastet“. Dagegen schärfe
das Dokument „zu Recht den Primat der Christologie vor der Mariologie ein“:
„Maria ist, was sie ist, von Christus her und auf ihn hin“, so Tück.
Eine
Präzisierung und ökumenische Klärung nehme das Dokument auch im zweiten Teil
vor, in dem es um die Frage der Mittlerschaft Mariens geht. Tück:
„'Teilnehmende Mittlerschaft' und 'mütterliche Fürsprache' Mariens ja, aber
eine Konkurrenz oder gar Ergänzung zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi,
nein! Das ist gerade im Blick auf das ökumenische Gespräch mit den aus der
Reformation hervorgegangenen Kirchen ein wichtiges Signal.“
„Konkurrenz
oder gar Ergänzung zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi, nein! Das ist
gerade im Blick auf das ökumenische Gespräch mit den aus der Reformation
hervorgegangenen Kirchen ein wichtiges Signal“
Die
doppelte Provokation
Wünschenswert
wäre laut Tück gewesen, wenn in dem Dokument noch stärker auf die Verortung
Mariens und Jesu in der jüdischen Welt hingewiesen worden wäre. Dies geschehe
zwar ansatzweise mit dem Titel „Maria von Nazareth“, jedoch wäre gerade
angesichts des jüngsten 60-Jahr-Jubiläums von „Nostra aetate“ und der
Kehrtwende im Verhältnis der katholischen Kirche zum Judentum eine klarere
Stellungnahme gut gewesen, „dass Maria dem 'semantischen Universum Israels'
entstammt, dass sie die Psalmen gebetet und die Tora gekannt hat, dass die
virgo israelitica (Augustinus) die liturgischen Feste Israels gefeiert und so
ihren Sohn entsprechend sozialisiert hat“.
Schließlich
hätte man laut Tück auch stärker herausstreichen können, „dass das Bekenntnis
zur jungfräulichen Mutterschaft Mariens eine doppelte Provokation enthält.
Erstens den skandalösen Realismus, dass Gott in der Geschichte durch die
jungfräuliche Geburt einen heilsgeschichtlichen Neuanfang gesetzt hat. Zweitens
die mit der Mutterschaft verbundene Provokation der Inkarnation des göttlichen
Wortes.“
Jesus
habe keinen „Scheinleib“ gehabt, sondern sei ganz Mensch geworden - ein
wichtiges Statement „gegen technognostische Strömungen, die die leibliche
Konstitution des Menschen abwerten, wenn sie eine Unsterblichkeit als digitales
oder sonstwie technisch erzeugtes Double verheißen“. Die Geburt Jesu durch
Maria erinnere hingegen daran, „dass die christliche Erlösungshoffnung die
leibliche Dimension des Menschseins einschließt“. (kap/communio 5)
Papst: Die Auferstehung Christi, Hoffnung im Dunkel der Welt
Ostern
ist nicht nur ein Fest im Kirchenjahr. Es ist eine Quelle der Hoffnung und der
Freude, die dem Menschen Orientierung gibt und seine Sehnsucht nach Erfüllung
und Glück stillt. Bei seiner Generalaudienz an diesem Mittwoch erinnerte Papst
Leo XIV. daran, dass die christliche Botschaft der Auferstehung gerade in einer
von Krisen und Leid geprägten Zeit wie der unseren von ungebrochener Aktualität
ist. Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt
In
der Fortsetzung seiner aktuellen Katechesenreihe „Jesus Christus, unsere
Hoffnung“ dachte der Papst diesen Mittwoch darüber nach, wie uns die
Auferstehung Christi im Alltag Hoffnung geben kann.
Ostern
sei kein Ereignis der Vergangenheit, sondern das Herzstück des christlichen
Glaubens und die Mitte des liturgischen Lebens, betonte der Pontifex. Die
Verheißung Christi „Ich bin mit euch alle Tage bis zum Ende der Welt“ (Mt
28,20) erfülle sich bei jeder heiligen Messe, weshalb wir „ohne
Sentimentalismus sagen können, dass jeder Tag Ostern ist.“
Die
Sehnsucht nach Ewigkeit
„Wir
machen Stunde um Stunde die verschiedensten Erfahrungen: Leid und Schmerz,
Traurigkeit, verflochten mit Freude, Staunen, Gelassenheit. Aber in jeder
Situation sehnt sich das menschliche Herz nach Erfüllung, nach tiefem Glück,“
stellte der Papst fest. Und genau in dieser Spannung zwischen unserer
Begrenztheit und der Sehnsucht nach Ewigkeit entfalte die Osterbotschaft ihre
ganze Kraft:
„Die
Osterbotschaft ist die schönste, freudigste und erschütterndste Nachricht, die
jemals in der Geschichte verkündet wurde. Sie ist das „Evangelium“ schlechthin,
das den Sieg der Liebe über die Sünde und des Lebens über den Tod bezeugt, und
deshalb ist sie die einzige Botschaft, die das Verlangen nach Sinn stillen
kann, das unseren Geist und unser Herz umtreibt. Der Mensch wird von einer
inneren Bewegung angetrieben, die ihn zu einem Jenseits hinzieht, von dem er
sich immer angezogen fühlt. Keine kontingente Realität kann ihn befriedigen.
Wir streben nach Unendlichkeit und Ewigkeit. Das steht im Gegensatz zur
Erfahrung des Todes, der durch Leiden, Verluste und Misserfolge vorweggenommen
wird. Dem Tod „kann kein lebender Mensch entfliehen“, zitierte Papst Leo den
heiligen Franz von Assisi.
Die
Osterbotschaft: die schönste, freudigste und erschütterndste Nachricht, die
jemals in der Geschichte verkündet wurde
Die
Auferstehung verändere nicht die Realität des Kreuzes – sie verwandele sie, gab
der Papst zu bedenken. In einer Welt voller persönlicher und globaler Krisen
bleibe Ostern ein Ruf zur Hoffnung, die den „Kreuzweg zu einem Weg des Lichts“
mache.
Wörtlich
sagte der Pontifex: „Ostern beseitigt das Kreuz nicht, aber es besiegt es in
dem wunderbaren Duell, das die Menschheitsgeschichte verändert hat. Auch unsere
Zeit, die geprägt ist von zahlreichen Kreuzen, sehnt sich nach der
Morgendämmerung der österlichen Hoffnung. Die Auferstehung Christi ist keine
bloße Idee oder Theorie – sie ist das Ereignis, das unserem Glauben zugrunde
liegt. Er, der Auferstandene, erinnert uns durch den Heiligen Geist auch weiter
daran, damit wir seine Zeugen sein können, selbst dort, wo die menschliche
Geschichte am Horizont keinen Lichtblick sieht.“
Zeugen
einer Hoffnung sein, „die nicht enttäuscht“
Ostern
bedeute also, sich vom auferstandenen Christus verwandeln zu lassen – und
dadurch selbst Zeugen einer Hoffnung zu werden, „die nicht enttäuscht“.
„Wirklich
an Ostern zu glauben, durch den Weg des Alltags, bedeutet, unser Leben zu
revolutionieren und verwandelt zu werden, damit wir die Welt mit der sanften
und mutigen Kraft der christlichen Hoffnung verändern können,“ schließt die
Katechese, die Papst Leo an diesem Mittwoch auf dem Petersplatz gehalten hat.
(vn 5)
Charta Oecumenica: Ökumenisches Grundlagenwerk wird aktualisiert unterschrieben
Bischof
Meier: Ökumene dient der ganzen Kirche
1997
beschlossen die Konferenz Europäischer Kirchen (KEK) und der Rat der
Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) Leitlinien für die ökumenische
Zusammenarbeit und das Zusammenwachsen der christlichen Kirchen zu entwerfen.
Dieser Text, die Charta Oecumenica, wurde 2001 unterschrieben und
veröffentlicht. Seitdem haben sich weitere ökumenische Verbände der Charta
angeschlossen, die nach wie vor ein ökumenisches Grundlagendokument unserer
Zeit ist. Anlässlich einer gemeinsamen Tagung von KEK und CCEE in Rom wird die
Charta Oecumenica morgen (5. November 2025) in einer aktualisierten Fassung
unterschrieben.
Bereits
heute machte Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), der dem Gemeinsamen Komitee
von CCEE und KEK angehört, auf die Bedeutung der Charta aufmerksam. Bei einem
Vortrag auf der Konferenz von KEK und CCEE, die unter dem Leitwort „Fruits of
the Spirit: Ecumenical Guidelines for Journeying Together“ steht, betonte er
den bleibenden Wert dieses ökumenischen Dokumentes: „Die Charta Oecumenica ist
nichts weniger als die praxisorientierte Verdichtung der Fortschritte bi- und
multilateraler interkonfessioneller Dialoge auf europäischer Ebene und darüber
hinaus. Sie wollte und will breit und gründlich rezipiert werden. Doch
letztendlich geht es dabei nicht um eine ‚von außen‘ diktierte Direktive,
sondern um Selbstverpflichtungen, die sich aus der Zusammenarbeit der
europäischen Kirchen ergeben. Auch wenn die Charta selbst die ‚ökumenische
Rezeption‘ als Konzept nicht ausführlich erarbeitet, ist dieser Begriff für das
ganze Projekt der ‚Leitlinien für die wachsende Zusammenarbeit zwischen den
Kirchen in Europa‘ konstitutiv“, so Bischof Meier.
Dabei
erinnerte er daran, dass die Kirchen aufgerufen seien, „wohlwollend, aber doch
kritisch Gaben interkonfessioneller Zusammenarbeit zu empfangen. Empfangen als
Haltung prägt das Christentum bis zu seinen geschichtlichen Anfängen und seinem
innersten theologischen Kern. (…) Auch wenn die Signatarkirchen der Charta
Oecumenica unterschiedliche Vorstellungen über Kriterien, Strukturen und
Werkzeuge ökumenischer Rezeption haben, sind sie sich grundsätzlich darüber
einig, dass es nicht primär um einmalige Ereignisse, sondern um langfristige
Prozesse geht. Ohne die Bedeutung von jenen Momenten zu unterschätzen, wo
Einheit, Übereinstimmung und Akzeptanz besonders aussagekräftig und sichtbar
werden (einen solchen werden wir wohl mit der Unterzeichnung erleben), ist
ökumenische Rezeption vor allem eine dynamische, facettenreiche und sich immer
weiter entwickelnde Realität“, betonte Bischof Meier. Er erinnerte in seinem
Vortrag auch an den Sinn der Ökumene: „Die Ökumene ist nicht einfach
selbstreferenzielle Beschäftigung von Experten, sondern Dienst zum Wohl des
ganzen Leibes Christi.“ Deshalb sei eine weitere Rezeption der Charta
notwendig: „Gerade weil wir eine fruchtbare Zusammenarbeit auf pastoraler Ebene
wollen, müssen wir mutig und innovativ diskutieren: Auch hier dürfen Praxis und
Theorie keinen Gegensatz bilden.“
Bischof
Meier warb dafür, die demografische, geschichtliche, kulturelle und
kontextuelle Vielfalt Europas anzusehen, die sich auch im Rezeptionsprozess der
Charta widerspiegele: „Während in einigen Teilen Europas bestimmte Thesen der
Charta von 2001 als zu mutig erschienen, konnten Gläubige aus anderen Kontexten
ihre Frustration über die vermeintlich ökumenischen Selbstverständlichkeiten
des Dokuments und seinen fehlenden Durchbruchscharakter nicht verbergen.
Ähnliche Reaktionen wird auch diese neue Version hervorrufen. Bei einem
Rezeptionsprozess auf europäischer Ebene kann es allerdings nicht um einen
Geschwindigkeitswettbewerb gehen, sondern es muss ein gemeinsamer und von allen
aufnehmbarer Rhythmus gefunden werden. Fruchtbar wäre es, wenn die Kirchen in
Europa sensibler für diese Asymmetrien werden, aber sie nicht als frustrierend,
sondern vielmehr als kritisch-konstruktive Rückmeldungen wahrnehmen, um
langfristig zu einem zukunftsfähigen Miteinander zu gelangen.“ Dbk 4
Vatikan warnt vor Fehlentwicklungen bei Marienverehrung
Der
Vatikan will Übertreibungen und Fehlentwicklungen bei der Marienverehrung
zurechtstutzen. In einem Dokument, das an diesem Dienstag publiziert wurde,
wird der Gebrauch des Titels „Miterlöserin“ in Bezug Maria für „immer
unangebracht“ erklärt.
„Dieser
Titel birgt die Gefahr in sich, die einzigartige Heilsvermittlung Christi zu
verschleiern, und kann daher zu Verwirrung und einem Ungleichgewicht in der
Harmonie der christlichen Glaubenswahrheiten führen, denn in keinem anderen
(als in Christus) ist das Heil zu finden.“ Das erklärt eine „Lehrmäßige Note zu
einigen marianischen Titeln“, die von der obersten Glaubensbehörde des Vatikans
(Glaubens-Dikasterium) erstellt und vom neuen Papst Leo XIV. gebilligt wurde.
„Es
ist daher notwendig, sich stets an die christliche Überzeugung zu erinnern und
sie nicht zu verdunkeln: Es ist fest zu glauben, dass Jesus Christus, der Sohn
Gottes, der Herr und der einzige Erlöser ist, der durch seine Menschwerdung,
seinen Tod und seine Auferstehung die Heilsgeschichte, die in ihm ihre Fülle
und ihren Mittelpunkt findet, zur Vollendung gebracht hat.“
„Der
Titel Miterlöserin ist immer unangebracht“
Das
Dokument erwähnt, dass mehrere Päpste, darunter Johannes Paul II. (1978-2005),
den Titel „Miterlöserin“ verwendet haben, „ohne ihn näher zu erläuern“. Doch
Kardinal Joseph Ratzinger, der spätere Papst Benedikt XVI. (2005-13), habe in
seiner Zeit als Präfekt der damaligen Glaubenskongregation geurteilt, der Titel
„entfernt sich zu weit von der Sprache der Schrift und der Väter und ruft daher
Missverständnisse hervor“. Ähnlich äußerte sich dann auch Franziskus (2013-25)
bei mehreren Gelegenheiten.
Eher
kritisch bewertet das Dokument auch den marianischen Titel „Mittlerin aller
Gnaden“. Er sei „in der Offenbarung nicht eindeutig begründet“, heißt es mit
einem Zitat von Kardinal Ratzinger, und bringe „Schwierigkeiten für die
theologische Reflexion wie auch für die Spiritualität mit sich“. „Unser Heil
ist allein das Werk der rettenden Gnade Christi und nicht das eines anderen.“
„Abgeleitete
und untergeordnete Teilhabe am Heilsgeschehen“
Das
Papier weist Maria eine „abgeleitete und untergeordnete Teilhabe“ am
Heilsgeschehen zu. Dabei betont es, dass diese und ähnliche Einschätzungen sich
nicht gegen Maria richteten. Die Mutter Jesu sei in ihrem ganzen Sein „auf
ihren Herrn ausgerichtet“; wer sie „auf eine Stufe mit dem Sohn Gottes stellt,
bliebe deshalb außerhalb der Dynamik, die einem echten marianischen Glauben
eigen ist“.
„Besonderes
ökumenisches Bemühen“
Eine
Mitwirkung Mariens am Heilsgeschehen macht das Dokument aus dem Vatikan nicht
bei der „Mitteilung der Gnade selbst“ aus, „sondern in der mütterlichen
Fürsprache“. Wer Maria vertrauensvoll anrufe, entferne sich damit „weder von
Christus noch vom Evangelium“, weil er „in diesem mütterlichen Bild alle
Geheimnisse des Evangeliums lesen“ könne. Positiv wertet das
Vatikan-Dokument den marianischen Titel „Mutter der Glaubenden“.
Präfekt
des Glaubens-Dikasteriums ist der argentinische Kardinal Víctor Fernández. Er
gibt in seinem Vorwort an, dass die Klarstellung aus seiner Behörde eine
Antwort „auf zahlreiche Anfragen und Vorschläge“ sei. Die entsprechenden Fragen
seien „in den letzten dreißig Jahren in den verschiedenen Arbeitsbereichen des
Dikasteriums wiederholt erörtert“ worden. Dem Leitfaden gehe es nicht nur um
eine „Vertiefung der angemessenen Grundlagen der Marienverehrung“, sondern auch
um ein „besonderes ökumenisches Bemühen“.
Hintergrund
Maria
war die Mutter Jesu. Ein Konzil in Ephesus verlieh ihr 431 den Titel
„Gottesgebärerin“. Marienverehrung ist kennzeichnend für das katholische und
ostkirchliche Christentum, während sie in den lutherischen Kirchen kaum eine
Rolle spielt. Der Reformator Martin Luther (1483-1546) betonte in seinen
Schriften, dass die Erlösung allein durch Jesus Christus gekommen sei und Maria
daher nicht als Heilsmittlerin angesehen werden dürfe. Darin pflichtet ihm das
neue Vatikan-Dokument bei.
Das
Zweite Vatikanische Konzil hat die katholische Lehre zu Maria innerhalb der
Konstitution „Lumen gentium“ (Kap. 8) behandelt, nicht in einem eigenen
Dokument. Die „Lauretanische Litanei“, deren Grundstock ins Mittelalter
zurückreicht, führt zahlreiche marianische Titel auf. Sie wurde zuletzt von
Papst Franziskus um drei Anrufungen, darunter „Trost der Migranten“, erweitert.
(vn 4)
John Henry Newman: Ein Kirchenlehrer für unsere Zeit
Nur
37 Persönlichkeiten der Kirchengeschichte tragen bisher den Titel
„Kirchenlehrer“. Diesen Samstag wird der britische Kardinal John Henry Newman
in diesen illustren Kreis aufgenommen. Im Gespräch mit Radio Vatikan erklärt
Pater Hermann Geissler vom Newman-Zentrum in Rom, was diesen Heiligen, der auf
Herzensbildung statt bloßes Wissen setzte und unbeirrbar auf das Wirken Gottes
vertraute, so besonders macht. Von Silvia Kritzenberger
Am
1. November 2025 wird Papst Leo XIV. den heiligen John Henry Newman bei einer
feierlichen Zeremonie in Rom zum Kirchenlehrer erheben – eine besondere Ehre,
die vor ihm bisher nur 37 anderen Heiligen zuteilwurde.
„Damit
jemand zum Kirchenlehrer ernannt werden kann, muss er oder sie ein heiliges
Leben geführt haben, nur Heilige können also Kirchenlehrer werden, und darüber
hinaus muss eine eminente Lehre vorliegen: also eine ganz herausragende Lehre,
die der Kirche hilft, das Evangelium besser zu verstehen und die für die
Glaubenslehre der Kirche von herausragender Bedeutung ist,“ erklärt Pater
Hermann Geissler FSO - Leiter des Internationalen Zentrums der Newman-Freunde
in Rom -, was es mit dieser besonderen Auszeichnung für den anglikanischen
Gelehrten auf sich hat, der 1845 durch seinen Übertritt zum Katholizismus für
Aufsehen sorgte.
Newman
und die Herausforderungen unserer Zeit
Newman
sei ein Heiliger für unsere Zeiten gewesen, der unsere Herausforderungen nicht
nur vorausgesehen, sondern auch selbst durchlebt habe: „die Herausforderungen
durch die Technik und Wissenschaft, die Herausforderung auch durch den modernen
Atheismus.“ Seine große Stärke liege – wie Pater Geissler betont – darin, dass
er „gerade für die Herausforderungen der Kirche unserer Zeit sehr ausgewogene
und überzeugende Antworten“ bieten könne.
2010
wurde der englische Kardinal, Theologe und Philosoph von Benedikt XVI.
seliggesprochen, neun Jahre später von Papst Franziskus zum Heiligen erklärt.
Joseph Ratzinger lernte Newman schon als Seminarist in Freising kennen.
„Er
war vor allem angetan von seiner Gewissenslehre: Der Gehorsam in der Kirche
wurzelt in der freien Gewissensentscheidung der Mitglieder,“ erinnert sich
Pater Geissler. „Er war dann auch angetan von Newmans Entwicklungslehre: Der
Glaube ist nicht wie ein Paket vom Himmel gefallen, sondern hat sich im Laufe
der Jahrhunderte entwickelt und entfaltet, so wie ein Organismus, der mit der
Zeit wächst und heranreift. Und er war auch angetan von Newmans Mut, zur
Wahrheit zu stehen und dafür auch zu leiden.“
Die
Kraft des Gebets
Wie
uns Sr. Anna Düringer erzählt, zog der britische Heilige die Kraft dafür vor
allem aus dem Gebet. „Einmal erklärte Newman das Gebet in einer Predigt
folgenderweise: Gebet ist die Übung, sich Gott und der unsichtbaren Welt
zuzuwenden. In jeder Saison, an jedem Ort, in jeder Not“, betont die
Österreicherin, die seit 2022 am Newman-Zentrum im englischen Littlemore wirkt,
„dem Ort an dem Newman zur Klarheit gekommen ist, dass die katholische Kirche
die erste Kirche ist“ und wo Gäste auch im persönlichen Gebetsraum des Heiligen
beten können.
Die
Menschen in ihrem Herzen formen...
Integrität
und Herzensbildung waren für Newman wesentlich. Seine Gedanken zur Bildung und
zum Laienapostolat sind auch für die Kirche des 21. Jahrhunderts aktuell.
Newman war es immer ein Anliegen, nicht nur Fachwissen weiterzugeben, sondern
die Menschen vor allem in ihrem Herzen zu formen.
„Er
hat gesagt, dass für die Bildung Wissen, Tugend und Religion notwendig sind. Er
hat ein ganzheitliches Bildungskonzept gefördert, das von ganz großer Bedeutung
und Aktualität ist, weil heute Bildung ja weithin reduziert ist auf die
Weitergabe von Spezialwissen,“ führt Pater Geissler dazu aus. Newman aber habe
gewollt, dass Persönlichkeiten herangeformt werden: Menschen, die wirklich reif
sind und die in Gesellschaft und Kirche Verantwortung übernehmen können.
Das
Gewissen: Echo der Stimme Gottes
Auch
die Mitglieder der Weißen Rose kannten und schätzten Newmans Schriften. Vor
allem seine Gedanken zum Gewissen, zur Wahrheit und der persönlichen
Verantwortung vor Gott waren für die Geschwister Scholl und ihre Freunde
eine wichtige Inspiration bei ihrem Widerstand gegen das NS-Regime…
„Newman
war davon überzeugt, dass wir im Gewissen nicht unsere eigene Stimme hören,
dass das Gewissen nicht Selbstbehauptung ist, sondern dass das Gewissen das
Echo der Stimme Gottes in mir, in meinem Herzen, ist. Und deswegen müssen wir
dieser Stimme immer gehorchen; wir müssen auf sie hören, sie respektieren, sie
natürlich auch formen, damit sie eine wahre Stimme ist – formen und ausrichten
nach dem Evangelium, nach der Lehre der Kirche. Aber Newman würde immer sagen,
dass wir verpflichtet sind, dem Gewissen zu folgen, und die Autorität hat nur
die Bedeutung, der Gewissensformung zu dienen. Wenn wir nicht überzeugt sind
von einer Autorität, dann hat sie auch keine bindende Kraft für uns. Und wenn
sie gar gegen die Wahrheit steht, dann ist sie nicht verbindlich für uns – und
da müssen wir ihr vielleicht sogar Widerstand leisten.“
Die
Botschaft Newmans für die Menschen von heute
Auch
heute hat Newmans Lebensweg Menschen, die auf der Suche nach Sinn und Wahrheit
sind, noch viel zu sagen. Als eifriger Wahrheitssucher, der er selbst war,
würde es Newman – wie Pater Geissler meint – wohl schon als „gutes Zeichen“
sehen, wenn jemand nach der Wahrheit sucht, weil dies zeige, dass er „bereits
von Gottes Gnade ergriffen“ sei. Und er würde vielleicht empfehlen, „sich auch
anderen Menschen anzuvertrauen: Freundschaft, gute Freundschaft ist ein großes
Geschenk auf unserem Weg zum Herrn.“
Auch
angesichts der heutigen Kirchen- und Glaubenskrise würde Newman wohl nicht
verzweifeln, sondern Mut machen und dazu einladen, wie er selber zutiefst auf
Gott zu vertrauen: „Ich denke, Newman würde nicht erschrecken über die
Schwierigkeiten, die die Kirche heute zu bestehen hat,“ meint Pater Geissler.
„Er hat es irgendwie vorhergesagt, dass solche Herausforderungen kommen werden.
Newman würde uns vielmehr ermutigen: Er würde uns sagen: Vertraut auf den
Herrn, vertraut auf die Gnade; die unsichtbare Welt Gottes ist wirklicher und
wichtiger und bedeutsamer und auch mächtiger als die sichtbare Welt um uns
herum. Newman hatte ein unglaubliches Vertrauen auf den Herrn. Das würde er uns
heute vor allen Dingen sagen.“
Und
was würde er wohl dazu sagen, dass er nun zum Kirchenlehrer ernannt wird?
„Newman
wäre sehr verwundert, wenn jemand sagen würde, er sei ein Heiliger oder gar ein
Kirchenlehrer. Er hat ja immer davon gesprochen, dass er kein Heiliger war und
dass er, wenn er mal in den Himmel kommt, dem heiligen Philipp (Neri)
vielleicht die Schuhe putzen wird. Er hatte Sinn für Humor!“
Das
Internationale Zentrum der Newman-Freunde
Das Internationale
Zentrum der Newman-Freunde entstand 1975 im Anschluss an das
erste akademische Newman-Symposium in Rom. Seit nunmehr 30 Jahren wird es von
Pater Geissler geleitet. Das Zentrum veranstaltet Gottesdienste, Newman-Walks,
Einkehrtage, aber auch Symposien, Kongresse und Studientage.
(vn
1)