DE.IT.PRESS
Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania - redazione: T. Bassanelli
- Webmaster: A. Caponegro IMPRESSUM
Notiziario religioso 1-15 giugno 2023
Papa all’udienza: “Suscitare propositi di pace in chi ha responsabilità
politiche”
Papa Francesco ha dedicato l'udienza di mercoledì 31
maggio alla figura di padre Matteo Ricci, il gesuita che ha portato il
cristianesimo in Cina. Al termine, un appello a "pregare di più per la
cara e martoriata Ucraina" e un auspicio: "suscitare propositi di
pace in tutti, anche in coloro che hanno responsabilità politiche" – di M.
Michela Nicolais
“Suscitare propositi di pace in tutti, anche in coloro
che hanno responsabilità politiche”. È l’auspicio espresso da Papa Francesco,
al termine dell’udienza di oggi in piazza San Pietro, durante la quale ha
esortato ancora una volta a “pregare di più per la cara e martoriata Ucraina,
che tanto soffre”. Salutando i giovani di Rondine Cittadella della Pace di
Arezzo, il Papa ha rivolto“un pensiero grato per quanti, venendo dall’Ucraina e
dalla Russia e da altri Paesi di guerra, hanno deciso di non essere nemici, ma
di vivere da fratelli. Il vostro esempio possa suscitare propositi di pace in
tutti, anche in coloro che hanno responsabilità politiche”.
Al centro della catechesi, la figura di padre Matteo
Ricci, il gesuita che ha portato il cristianesimo in Cina e il cui “segreto” è
stata la coerenza, quella di “una personalità che testimonia con la vita quello
che annuncia”. “Dopo aver studiato nelle scuole dei Gesuiti ed essere entrato
egli stesso nella Compagnia di Gesù, entusiasmato dalle relazioni dei
missionari, come molti altri giovani suoi compagni, chiese di essere inviato
nelle missioni dell’Estremo Oriente”, ha raccontato Francesco ripercorrendone
la biografia: “Dopo il tentativo di Francesco Saverio, altri venticinque
Gesuiti avevano provato inutilmente ad entrare in Cina. Ma Ricci e un suo
confratello si prepararono molto bene, studiando accuratamente la lingua e i
costumi cinesi, e alla fine riuscirono a ottenere di stabilirsi nel sud del
Paese. Ci vollero diciotto anni, con quattro tappe attraverso quattro città
differenti, prima di arrivare a Pechino, che era il centro. Con costanza e
pazienza, animato da una fede incrollabile, Matteo Ricci poté superare
difficoltà e pericoli, diffidenze e opposizioni”.
“Oltre alla dottrina, sono la sua testimonianza di vita
religiosa, di virtù e di preghiera, la sua carità, la sua umiltà e il suo
totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli
e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica”, ha argomentato il Papa:
“Questa è la coerenza degli evangelizzatori. E questo tocca tutti noi
cristiani, che siamo evangelizzatori. Possiamo dire tutte le cose che noi
crediamo, ma se la tua vita non è coerente con questo, non serve a nulla.
Quello che attira le persone è la coerenza. Noi cristiani viviamo quello che
diciamo, e non far finta di essere cristiani ma vivere come mondani! La forza
più grande di questi missionari è la coerenza”.
“Lo spirito e il metodo missionario di Matteo Ricci
costituiscono un modello vivo e attuale – ha concluso Francesco – ma quello che
è attuale è la coerenza di vita, la testimonianza della sua vita come
cristiano. Lui ha portato cristianesimo in Cina. Lui è grande perché è uno
scienziato, è coraggioso, ma soprattutto è grande perché è stato coerente con
la sua vocazione, con quella voglia di seguire Gesù Cristo. Domandiamoci: sono
coerente o sono un po’ così così?”.
Padre Matteo Ricci, ha esordito il Papa, “ha seguito sempre
la via del dialogo e dell’amicizia con tutte le persone che incontrava, e
questo gli ha aperto molte porte per l’annuncio della fede cristiana”.
La sua prima opera in lingua cinese fu proprio un
trattato “Sull’amicizia”, che ebbe “grande risonanza”: “Per inserirsi nella
cultura e nella vita cinese in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti,
all’usanza del Paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo
stile di vita e le vesti dei letterati, come i professori universitari. Studiò
in modo approfondito i loro testi classici, così da poter presentare il
cristianesimo in dialogo positivo con la loro saggezza confuciana e con gli usi
e i costumi della società cinese”. “E questo si chiama atteggiamento di
inculturazione”, ha proseguito Francesco, secondo il quale “la fama di Ricci
come uomo di scienza non deve oscurare la motivazione più profonda di tutti i
suoi sforzi: l’annuncio del Vangelo”. “La sua ottima preparazione scientifica
suscitava interesse e ammirazione da parte degli uomini colti, a cominciare dal
suo famoso mappamondo, la carta del mondo intero allora conosciuto, con i
diversi continenti, che rivela ai cinesi per la prima volta una realtà esterna
alla Cina assai più ampia di quanto avessero mai pensato. Gli fa vedere che il
mondo è ancora più grande della Cina”, ha sottolineato il Papa: “Ma anche le
conoscenze matematiche e astronomiche di Ricci e dei missionari suoi seguaci
contribuirono a un incontro fecondo fra la cultura e la scienza dell’occidente
e dell’oriente, che vivrà allora uno dei suoi tempi più felici, nel segno del
dialogo e dell’amicizia. Infatti, l’opera di Matteo Ricci non sarebbe mai stata
possibile senza la collaborazione dei suoi grandi amici cinesi, come i famosi
“Dottor Paolo” (Xu Guangqi) e “Dottor Leone” (Li Zhizao). La credibilità
ottenuta con il dialogo scientifico gli dava autorevolezza per proporre la
verità della fede e della morale cristiana, di cui egli parla in modo
approfondito nelle sue principali opere cinesi, come il vero significato del
Signore del Cielo”. Sir 31
Papa Francesco: "Non possiamo rassegnarci al declino della
famiglia"
Papa Francesco sostiene il Family Global Compact che
"non vuol essere un programma statico ma un cammino" - Di Marco
Mancini
Città del Vaticano. “Desidero sostenere il Family Global
Compact, un programma condiviso di azioni volto a mettere in dialogo la
pastorale familiare con i centri di studio e ricerca sulla famiglia presenti
nelle Università cattoliche di tutto il mondo”. Lo scrive il Papa, nel messaggio
per il lancio della iniziativa del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita
e della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali.
“L’obiettivo – spiega Francesco - è la sinergia, è fare
in modo che il lavoro pastorale con le famiglie nelle Chiese particolari si
avvalga più efficacemente dei risultati della ricerca e dell’impegno didattico
e formativo che hanno luogo nelle Università. Insieme, Università cattoliche e
pastorale possono meglio promuovere una cultura della famiglia e della vita
che, a partire dalla realtà, aiuti le nuove generazioni– in questo tempo di
incertezze e di carestia della speranza – ad apprezzare il matrimonio, la vita
familiare con le sue risorse e le sue sfide, la bellezza di generare e
custodire la vita umana”.
“Dagli studi condotti – osserva ancora il Pontefice -
emerge un contesto di crisi delle relazioni familiari, alimentato sia da
difficoltà contingenti sia da ostacoli strutturali, il che rende più difficile
formare serenamente una famiglia in assenza di adeguati supporti da parte della
società. Anche per questo molti giovani declinano la scelta del matrimonio in
favore di forme di relazioni affettive più instabili e informali”.
Tuttavia si rileva anche “come la famiglia continui ad
essere la fonte prioritaria della vita sociale e mostrano l’esistenza di buone
pratiche che meritano condivisione e diffusione a livello globale. In tal
senso, le famiglie stesse potranno e dovranno essere testimoni e protagoniste
del percorso”.
Questa iniziativa – è la convinzione del Papa – “non vuol
essere un programma statico, finalizzato a cristallizzare alcune idee, ma un
cammino, articolato in quattro passi: attivare un processo di dialogo e di
maggiore collaborazione fra i centri universitari di studio e ricerca che si
occupano di tematiche familiari, per rendere più feconda la loro attività, in
particolare creando o rilanciando le reti degli istituti universitari che si
ispirano alla Dottrina sociale della Chiesa. Creare maggiore sinergia, nei
contenuti e negli obiettivi, tra comunità cristiane e Università cattoliche.
Favorire la cultura della famiglia e della vita nella società, affinché
scaturiscano proposte e obiettivi utili alle politiche pubbliche. . Armonizzare
e sostenere, una volta individuate, le proposte emerse, affinché il servizio
alla famiglia sia arricchito e supportato sotto i versanti spirituali,
pastorali, culturali, giuridici, politici, economici e sociali”.
“Nella famiglia – conclude Papa Francesco - si realizzano
gran parte dei sogni di Dio sulla comunità umana. Non possiamo perciò
rassegnarci al suo declino in nome dell’incertezza, dell’individualismo e del
consumismo, che prospettano un avvenire di singoli che pensano a sé stessi. Non
possiamo essere indifferenti all’avvenire della famiglia, comunità di vita e di
amore, alleanza insostituibile e indissolubile tra uomo e donna, luogo di
incontro tra le generazioni, speranza della società. La famiglia ha effetti
positivi su tutti, in quanto è generatrice di bene comune: le buone relazioni
familiari rappresentano una ricchezza insostituibile non solo per i coniugi e
per i figli, ma per l’intera comunità ecclesiale e civile”.
Secondo il Cardinale Kevin Farrell, Prefetto del
Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, “il Family Global Compact offre
un contributo alla formazione di un pensiero globale ed integrale su matrimonio
e famiglia, che si sviluppi a partire dalla realtà odierna, tenendo presente
che nell’insegnamento della Chiesa la famiglia è ben più che un’idea”.
“Uno degli elementi chiave per migliorare la resilienza
delle famiglie è una cultura familiare relazionale più profonda, che consenta
la ricerca della felicità a un livello meno superficiale. Nelle famiglie, le
persone devono trovare la loro prima esperienza di uomini e donne trattati in
modo paritario, in cui i membri della famiglia sperimentano la crescita della
propria differenza attraverso la reciprocità con gli altri”, osserva invece
Suor Helen Alford, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali. Aci 30
Pentecoste a Ouarzazate (Marocco)
Alla chiesa di Ouarzazate (Marocco) non eravamo neppure
dodici, come i discepoli al Cenacolo. Semplicemente, undici. Ed era, in realtà,
il mattino di Pentecoste, in pieno Sud del Marocco. Ciononostante, si era da
tutte le parti del mondo. Due caldei cattolici, una coppia di francesi
residenti, una famiglia intera dagli Stati Uniti, due da un Paese arabo, un
italiano. Tra turisti di passaggio o residenti, generalmente, la piccola
assemblea domenicale di cristiani, varia e variegata qui lo è sempre. "Non
nei numeri, ma nell’unità sta la nostra grande forza" scrive Thomas Paine.
Mi sorprende pensare che proprio io provenivo da più lontano: impiegando ben
otto ore di bus per arrivare. Qui in terra d' Islam, le parrocchie sono disperse
nel territorio, lontanissime, come fosse una a Milano, un'altra a Venezia, una
terza a Roma... I guardiani della chiesa sono una coppia di musulmani,
disponibili e accoglienti. Ti accolgono con un bacio: un prete qui è "uomo
di preghiera" e per loro vale oro. Il calore e l'affettuosità di questa
gente, poi, sorprendono immancabilmente ogni volta gli europei! Bernard,
settantenne, francese, si attacca, con vigore giovanile alla lunga corda della
campana. "Mi sembra di tornare alla mia infanzia!" esclama, ridendo.
Questo suono mi dà già un'aria di casa. Sapendo che come regola le campane qui
restano mute, solo le moschee possono lanciare il loro canto. Ma siamo nel
profondo Sud, come sempre, le regole si stemperano... Si respira, tuttavia, il
senso della Chiesa. Dove nazioni, lingue, tradizioni differenti si ritrovano,
si mescolano, vivono un'armonia. Una Chiesa sinodale, in realtà, dove si
condivide cammino, fede e destino: incontrarsi umani, anzi fratelli, al
cospetto di Dio. Sarà il piccolo Michael, nove anni, ad aprire la celebrazione,
tracciando a voce alta in inglese il segno della croce. Pare dire che perfino
sulla bocca dei bambini lo Spirito di Dio ha voce. Poi in francese, in arabo,
in inglese la celebrazione prosegue calma e spedita fino al canto finale a
Notre Dame del Marocco, un'icona dipinta da una carmelitana, dai tratti dolci e
in costume locale. Infine, in fondo alla chiesa, quattro chiacchiere in varie
lingue attorno a "un verre de l'amitié", l'aperitivo. Irrompe una
dozzina di olandesi di passaggio, curiosi della chiesa e forse di un istante di
preghiera. Lo scambio si allarga... Insomma, una piccola Pentecoste
anche oggi. Ma è un tratto di tutta la Chiesa in Marocco: coltivare la qualità,
piuttosto che la quantità. Coniugare le differenze, non l'omogeneità. Fare
insieme quella straordinaria scoperta: fratelli tutti! È vero, l'anima della
Chiesa è lo Spirito. Il suo campo d'azione è il cuore di ogni uomo, al di là di
origine, provenienza o colore della pelle. E la differenza dell'altro si
trasforma in ricchezza comune, condivisa. "Se pensi come me sei mio
fratello, – recita un proverbio africano – se tu pensi altrimenti sei due volte
mio fratello, perché grazie alla ricchezza che possiamo scambiare, cresciamo
entrambi in umanità».
Ouarzazate, chiamata "porta del deserto", fu
per secoli città carovaniera per Timbuctu, poi trasformata in presidio militare
nel 1928 dal colonialismo francese. Popolazione berbera, case basse, un
bel color ocra o rosso scuro ovunque, decorazioni amazigh, souk colorati di
profumi, di spezie e di datteri. Per cinquant' anni la chiesa e gli
annessi furono residenza delle religiose Francescane Missionarie di
Maria,
che si sono rivelate un vero motore per la vita del
posto. Partite definitivamente due anni fa, la loro intraprendenza, leadership
e dedizione totale hanno marcato il territorio, ma soprattutto gli spiriti.
"Para ser grande, sê inteiro... sê todo em cada coisa" (per essere
grande sii intero... sii tutto in ogni cosa) annota Fernando Pessoa. In
fatto di sanità, di associazionismo locale, del prendersi cura delle
povertà della gente sono rimaste indimenticabili. "Ahhhh! les
soeurs..." senti esclamare la gente, con nostalgia. Ma, in fondo, è solo
un'infinita riconoscenza. Erano quattro, erano di quattro nazionalità
differenti, ultimamente: indiana, francese, spagnola e Francesca, marchigiana.
La loro sfida é stata, pure, vivere tra di loro l'intesa, la comunione: una
Pentecoste laboriosa, domestica. Quotidiana. Un vero miracolo ai nostri tempi.
Renato Zilio. Missionario in Marocco (de.it.press)
Papa Francesco, non siate discepoli tristi e non fate proselitismo ma
missione
L'udienza del Pontefice ai Chierici Regolari di San Paolo
(Barnabiti) e la famiglia spirituale di Sant’Antonio Maria Zaccaria in occasione
del 125.mo anniversario dalla sua canonizzazione - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. "State attenti a distinguere
bene l’azione apostolica dal proselitismo: noi non facciamo proselitismo. Il
Signore non ha mai fatto proselitismo". Il Papa lo ha detto ai Chierici
Regolari di San Paolo (Barnabiti) e la famiglia spirituale di Sant’Antonio
Maria Zaccaria in occasione del 125.mo anniversario dalla sua canonizzazione.
Ricordando la vita di Sant’Antonio Maria Zaccaria il Papa
ha parlato del rapporto con Cristo, lo zelo apostolico e il coraggio creativo.
"Nell’esperienza dello stesso Zaccaria, alla base della missione c’è il
“correre verso Dio”, cioè un rapporto forte con il Signore Gesù" ha detto
il Papa e a proposito della missionarietà ha detto: "Il nostro annuncio
missionario non è proselitismo – sottolineo tanto questo – ma condivisione di
un incontro personale che ha cambiato la nostra vita! Senza questo, non abbiamo
nulla da annunciare, né una destinazione verso cui camminare insieme".
Poi ha ricordato che un cristiano non deve mai essere
triste: "Noi non vogliamo diventare discepoli tristi! Anche qui faccio una
domanda: c’è dentro di me quel verme della tristezza? A volte in me, religioso,
religiosa, laico, lascio che quel verme entri? Qualcuno diceva che un cristiano
triste è un triste cristiano: è vero". Invece, spiega il Papa
"lo Spirito “vivo” di Cristo è quello che conquista il cuore, che non ti
fa stare seduto in poltrona, ma ti fa uscire verso i fratelli, con lo zaino
leggero e lo sguardo pieno di carità".
E parlando del "coraggio creativo" il Papa dice
che"non si tratta tanto di elaborare tecniche sofisticate di
evangelizzazione, quanto piuttosto, come dice San Paolo, di farsi «tutto per
tutti, per salvare a ogni costo qualcuno»".
Il Papa ha ricordato che Sant’Antonio Maria con questo
coraggio ha dato vita a "tutte realtà nuove – è stato creativo, ma con la
fedeltà al Vangelo" anche perché "perché non ha esercitato la sua
creatività al di fuori della Chiesa: lo ha fatto dentro di essa, accettando le
correzioni e i richiami, cercando di spiegare e illustrare le ragioni delle sue
scelte e custodendo la comunione nell’obbedienza".
Infine un richiama alla comunione nella vita e
nell’apostolato che è "la prima testimonianza che siete chiamati a rendere,
particolarmente in un mondo diviso da lotte ed egoismi. Essa è scritta nel DNA
della vita cristiana e dell’apostolato: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv
17,21), come pregò il Signore. Del resto la parola stessa “collegio” indica
proprio questo: scelti per stare insieme, per vivere, lavorare, pregare,
soffrire e gioire insieme, come comunità". Aci 29
Servizio e responsabilità: Papa Francesco consegna il Premio Paolo VI al
Presidente Mattarella
ROMA - “Come fare dell’agire politico una forma di
carità” e “come vivere la carità, cioè l’amore nel senso più alto, all’interno
delle dinamiche politiche? Credo che la risposta risieda in una parola:
servizio”. Così Papa Francesco che oggi nella Sala Clementina in Vaticano ha
consegnato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il Premio Paolo VI,
che gli è stato attribuito dall’omonimo Istituto. Un premio che Mattarella
chiesto di destinare alla Comunità Giovanni XXIII, che in Emilia Romagna
gestisce case di accoglienza colpite dall'alluvione.
“Credo che oggi il conferimento del Premio Paolo VI al
Presidente Mattarella sia proprio una bella occasione per celebrare il valore e
la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima
delle proprie aspettative”, ha detto il Papa. “Che ciò sia vero per Lei,
Signor Presidente, lo testimonia il popolo italiano, che non dimentica la sua
rinuncia al meritato riposo fatta in nome del servizio richiestole dallo
Stato”, ha ricordato il Pontefice riferendosi al secondo mandato di Mattarella
al Colle.
Il Papa ha quindi richiamato l’omaggio del Presidente ad
Alessandro Manzoni, di cui quest’anno si ricordano i 150 anni dalla morte:
“Paolo VI lo definì “genio universale”, “tesoro inesauribile di sapienza
morale”, “maestro di vita”. Anch’io – ha detto Bergoglio – custodisco nel cuore
tanti suoi personaggi. Penso al sarto, che racconta la buona laboriosità di chi
concepisce la vita come il tempo dato al singolo per accrescere il bene altrui,
per “industriarsi, aiutarsi, e poi esser contenti”. E con questo lavoro è
riuscito ad esprimere uno dei passi più sapienti: “Non ho mai trovato che il
Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”. Perché servire crea
gioia e fa bene anzitutto a chi serve. Per dirla ancora con il Manzoni: “si
dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a
star meglio”. Ma – ha osservato il Papa – il servizio rischia di restare un
ideale piuttosto astratto senza una seconda parola che non può mai esserle
disgiunta: responsabilità”, cioè “l’abilità di offrire risposte, facendo leva
sul proprio impegno, senza aspettare che siano altri a darle”.
“Quante volte, Signor Presidente, prima con l’esempio che
con le parole, Lei lo ha richiamato!”, ha detto ancora Francesco, prima di
citare Paolo VI che, da Papa, “scrisse che le parole servono a poco “se non
sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria
responsabilità”. Perché, spiegava, “è troppo facile scaricare sugli altri la
responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che
ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione
personale”. Sono parole che mi sembrano molto attuali oggi, quando viene quasi
automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si
affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni
dell’individuo; dove, in un clima d’incertezza, la diffidenza si trasforma
facilmente in indifferenza. La responsabilità, invece, come ci mostrano in
questi giorni tanti cittadini dell’Emilia Romagna, chiama ciascuno ad andare
contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire
proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come parti insostituibili
dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti apparteniamo”.
Bergoglio ha poi richiamato l’impegno per la legalità che
“richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno
sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, Signor
Presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni
fa si è commemorato il trentennale. San Paolo VI notava che nelle società
democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma “manca tante volte
l’osservanza libera ed onesta della legalità” e che lì “l’egoismo collettivo
insorge”. Anche in quest’ambito, Signor Presidente, con le sue parole e il suo
esempio, avvalorati da quanto ha vissuto, Lei rappresenta un coerente maestro
di responsabilità”.
“Sì, il senso di responsabilità e lo spirito di servizio
stavano per San Paolo VI alla base della costruzione della vita sociale. Egli
ci ha lasciato l’impegnativa eredità di edificare comunità solidali. Era il suo
sogno, che si scontrò con vari incubi diventati realtà – penso alla terribile
vicenda di Aldo Moro; era il desiderio ardente che portava nel cuore e che
espresse nei termini di “comunità di partecipazione e di vita”, animate
dall’impegno a “prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute”. Non
sono utopie, - ha sottolineato il Papa – ma profezie; profezie che esortano a
vivere ideali alti. Perché di questo oggi hanno bisogno i giovani. E sono
lieto, Signor Presidente, di farmi strumento di riconoscenza a nome di quanti,
giovani e meno giovani, vedono in Lei un maestro, un maestro semplice, e
soprattutto un testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità. Ne
sarebbe lieto Papa Montini, del quale mi piace ripetere, infine, alcune parole
tanto note quanto vere: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i
testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei
testimoni”. Grazie”. (aise/dip 29)
Dal Dicastero per la Comunicazione Vaticano, un vademecum per abitare il
digitale
Si chiama “Verso la piena presenza. Una riflessione
pastorale sull’impegno nei social media” l’ultimo documento del Dicastero per
la Comunicazione. Una guida per abitare il digitale - Di Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Come la Chiesa deve abitare il
digitale? Superando la logica dell’aut aut, considerando virtuale e reale come
un unico spazio di evangelizzazione, raccontando storie e mettendo in piazza la
propria testimonianza e non limitandosi a scambiare informazioni, e prendendo
sul serio l’influenza che ciascun cristiano può avere nell’ambiente digitale.
Sono i punti centrali di un lungo documento del Dicastero della Comunicazione
vaticano, intitolato “Verso la piena presenza. Una riflessione pastorale
sull’impegno nei social media”.
Non è un tipo di documento nuovo per la Chiesa, che dal
1995 è online con un sito internet e tutti i testi dei Papi disponibili, cosa
che ne ha fatto un pioniere della comunicazione digitale. E vale la pena di
ricordare che nel 2002 uscirono due istruzioni del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, “La Chiesa ed Internet” ed “Etica in Internet”.
Ovviamente, però, le sfide sono sempre diverse, e anche il cammino sinodale in
cui la Chiesa è impegnata oggi ha dimostrato la necessità di coinvolgersi
ancora di più nel mondo digitale.
Il documento del Dicastero parla di una sfida pastorale,
ed il linguaggio è in linea con l’idea di Papa Francesco di mettere
l’evangelizzazione al primo posto. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della
Comunicazione, spiega che “il documento non è un direttorio, né una sorta di
guideline teorico-pastorale, il suo focus è l’uomo, non la macchina, il cuore e
non l’algoritmo”.
In 87 punti, il documento fa prima una ampia disamina
dello spazio digitale come si presenta adesso, guardando anche agli sviluppi
dell’intelligenza artificiale e agli algoritmi che ormai dominano la percezione
umana perché preposti a selezionare ed evidenziare le informazioni che
ritengono migliori nel sovraccarico informativo di oggi.
E già queste sono sfide non da poco. Anche perché ci si
trova di fronte ad una Chiesa che da una parte ha bisogno di abitare il
virtuale, ma dall’altra è chiamata a costruire comunità; che da una parte
approfitta delle innovazioni tecnologiche per fare arrivare le liturgie nelle
case di tutti (è successo durante il lockdown), ma dall’altra sa che
l’Eucarestia “non si può guardare”, si deve vivere, e si deve vivere in
comunità.
Monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero della
Comunicazione, afferma: “La nostra cultura va assunta per essere redenta, e che
redenta va assunta e vissuta. È questo il nostro luogo che dobbiamo abitare, è
questo lo spazio dove trovare gli uomini e le donne per annunziare il lieto
messaggio. È la nostra terra di missione”.
Ecco allora che la necessità prima è quella di costruire
comunità, di “condividere un pasto”, attività che non si può fare virtualmente,
ma solo stando davvero insieme. In fondo, si tratta di trasportare la logica
del samaritano anche nella piazza virtuale, con la consapevolezza che “le
relazioni comunitarie nelle reti social dovrebbero rafforzare le comunità
locali e viceversa”.
Ma come deve essere il cristiano nei social media? “Lo
stile cristiano – si legge nel documento - deve essere riflessivo, non
reattivo, anche sui social media. Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non
cadere nelle trappole digitali nascoste in contenuti che sono intenzionalmente
progettati per seminare conflitti tra gli utenti, provocando indignazione o
reazioni emotive”.
La risposta è la testimonianza, e “i social media possono
diventare un’opportunità per condividere storie ed esperienze di bellezza o di
sofferenza che sono fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare
insieme e cercare insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce”.
Il documento chiede anche di coltivare un “dialogo con il
Padre”, di mantenere spazi di preghiera che ricorderanno sempre “che tutto è
stato ribaltato con la croce”.
Quello che sembra venir fuori dal documento è l’idea di
“umanizzare” il virtuale. “Cosa significa – si legge - ‘curare’ le ferite sui
social media? Come possiamo ‘ricucire’ le divisioni? Come costruire ambienti
ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie geografiche ed
esistenziali” delle culture odierne? Domande come queste sono essenziali per
discernere la nostra presenza cristiana sulle ‘strade digitali’.”
Comunque, si legge ancora nel testo, “c’è ancora molto su
cui riflettere nelle nostre comunità di fede rispetto a come sfruttare
l’ambiente digitale in un modo che integri la vita sacramentale. Sono state
sollevate questioni teologiche e pastorali su vari aspetti: ad esempio, lo
‘sfruttamento commerciale’ della ritrasmissione della Santa Messa”.
Un punto di partenza, dunque, non un punto di arrivo. Con
la consapevolezza che “per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto
accertarci di trasmettere informazioni veritiere; non solo nel creare i
contenuti, ma anche nel condividerli. Dobbiamo assicurarci di essere davvero
una fonte attendibile”.
Ma anche che “per comunicare bontà, abbiamo bisogno di
contenuti di qualità, di un messaggio orientato ad aiutare, non a danneggiare,
a promuovere un’azione positiva, non a perdere tempo in discussioni inutili”.
E ancora, “per comunicare la bellezza, dobbiamo
accertarci che stiamo comunicando un messaggio nella sua interezza, il che
richiede l’arte della contemplazione, arte che ci permette di vedere una realtà
o un evento in relazione con molte altre realtà ed eventi”.
Si riparte allora da Gesù Cristo “via, verità e vita”,
punto fermo nel contesto delle post-verita e delle fake news, e anche guardando
al mondo dei social nella loro funzione commerciale, e non più di condivisione.
Ci vuole la consapevolezza, insomma, che siamo tutti consumatori e fruitori
allo stesso tempo, che tutto può essere strumentalizzato.
Il cristiano, allora, può rispondere con l’ascolto,
specialmente per contrastare la velocità e l’immediatezza della cultura
digitale. “Impegnarsi nell’ ascolto sui social media è un punto di partenza
fondamentale per progredire verso una rete fatta non tanto di byte, avatar e ‘mi
piace’ quanto di persone. In questo modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle
ipotesi fuorvianti e dai commenti impulsivi al creare opportunità di dialogo,
sollevare domande per saperne di più, manifestare cura e compassione, e
riconoscere la dignità di coloro che incontriamo”. Aci 29
L’Ente Bergamaschi nel Mondo rende omaggio a Papa Giovanni XXIII
Bergamo - Il 28 ottobre 1958, il patriarca di Venezia
Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto papa, per il cui ufficio si impose
il nome di Giovanni XXIII. Il successivo 4 novembre fu incoronato 261°
pontefice. Era “il papa bergamasco”, papa Giovanni XXIII: nato a Sotto il
Monte, fu l’emigrante bergamasco più illustre, avendo condotto attività
diplomatiche all’estero per ben 28 anni, dal 1925 al 1953.
Nel 1925, infatti, è in Bulgaria, quale Visitatore
Apostolico; nel 1935, in Turchia e Grecia, quale Delegato; e poi, nel 1944 in
Francia, come Nunzio Apostolico. Il 12 gennaio 1953 papa Pio XII lo promosse a
cardinale e il 15 gennaio lo nominò vescovo patriarca di Venezia. Qui, vi
rimase fino al 1958, quando partì per il Conclave.
La morte lo colse il 3 giugno 1963. Era pomeriggio, la
febbre di Papa Roncalli, gravemente malato (aveva da tempo un tumore allo
stomaco), raggiunge i 42 gradi: alle 19.49 dello stesso giorno, il Santo Padre
muore. Aveva poco più di 81 anni. “Perché piangere? È un momento di gioia
questo, un momento di gloria” sono state le sue ultime parole, rivolte al
segretario, monsignor Loris Francesco Capovilla.
UN FILMATO PER IL 60° ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
Nella ricorrenza dei sessant’anni dalla sua morte, l’Ente
Bergamaschi nel Mondo ricorda la grande figura del “Papa buono”, il cosiddetto
“papa emigrante”, proponendo ai suoi emigranti ed ex-emigranti un filmato,
composto da una serie di testimonianze sulla vita e la figura di Papa Giovanni:
commenti e pensieri, aneddoti personali e ricordi, che rimandano al grande
pontefice bergamasco. A corredo fotografie e filmati dell’epoca.
Le testimonianze raccolte sono di Santo Locatelli –
Presidente Onorario dell’Ente Bergamaschi nel Mondo; Carlo Personeni –
Presidente dell’Ente Bergamaschi nel Mondo; Diego Rodeschini – Referente
“sezione ex-emigranti” dell’Ente Bergamaschi nel Mondo; Roberto Facchinetti –
Presidente della Comunità Montana Valle Imagna; Radames Bonaccorsi Ravelli –
Presidente Circolo del Regno Unito dell’Ente Bergamaschi nel Mondo; Augusto
Sciacca – Pittore, scenografo e scrittore; Mario Morotti (“Smiciatòt”) –
Presidente del Ducato di Piazza Pontida (Bergamo); ed Emanuele Roncalli –
Giornalista, saggista e parente di Papa Giovanni XXIII.
Un atto doveroso, soprattutto verso quei bergamaschi che
hanno vissuto (e vivono) l’esperienza dell’emigrazione, e che vedono in San
Giovanni XXIII (è stato canonizzato il 27 aprile 2014) il loro “santo
protettore”: non c’è famiglia bergamasca all’estero, infatti, che non abbia in
casa un’immagine di San Giovanni XXIII.
Il filmato commemorativo su Papa Giovanni XXII è visibile
sul sito internet dell’Ente Bergamaschi nel Mondo (www.bergamaschinelmondo.com)
e sul canale youtube dell’EBM. (aise/dip 29)
Papa Francesco, “lo Spirito Santo ci libera dalle prigioni della paura”
L’antidoto al rimanere “chiusi dentro” è lo Spirito, che
ci libera. Papa Francesco lo spiega prima della preghiera del Regina Coeli - Di
Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. Come gli apostoli che erano in una
stanza chiusa “per timore”, così anche noi restiamo chiusi dentro, per la paura
di non farcela. Ma, come a Pentecoste arrivò lo Spirito a soffiare sugli
apostoli, così oggi anche noi siamo chiamati ad affidarci allo Spirito, perché
è lui che ci libera dalle prigioni della paura.
Dopo aver presieduto la celebrazione di Pentecoste nella
Basilica di San Pietro, Papa Francesco sale nel suo studio e si affaccia alla
finestra del Palazzo Apostolico per recitare con le migliaia di persone accorse
in una giornata particolarmente estiva il Regina Caeli, la preghiera che
durante il tempo pasquale sostituisce l’Angelus. E ricorda che, con il dono
dello Spirito, arrivato a Pentecoste, Gesù voleva proprio liberare i discepoli
“dalla paura che li tiene rinchiusi in casa, perché siano capaci di uscire e diventino
testimoni e annunciatori del Vangelo”.
Papa Francesco racconta che i discepoli erano “sconvolti”
dalla morte di Gesù, che aveva mandato i loro sogni in frantumi e fanno svanire
le loro speranze, e così si erano “chiusi dentro”. E questo, aggiunge il Papa,
è qualcosa che facciamo anche noi, magari “per qualche situazione difficile,
per qualche problema personale o familiare, per la sofferenza che ci segna o
per il male che respiriamo attorno a noi, rischiamo di scivolare lentamente
nella perdita della speranza e ci manca il coraggio di andare avanti”
È in quei momenti che “ci barrichiamo nel labirinto delle
preoccupazioni”, perché “permettiamo alla paura di prendere il sopravvento e di
fare la ‘voce grossa’ dentro di noi”.
Ci si chiude, dunque, per paura – “paura di non farcela,
di essere soli ad affrontare le battaglie di ogni giorno, di rischiare e poi di
restare delusi, di fare delle scelte sbagliate”.
Papa Francesco spiega che “la paura blocca” ed “isola”,
come succede di fronte “all’altro, a chi è straniero, a chi è diverso, a chi la
pensa in un altro modo”, ma persino “la paura di Dio” che “mi punisca, che ce
l’abbia con te”.
Di fronte a queste paure, aggiunge il Papa, si chiudono
le porte “del cuore, della società e anche le porte della Chiesa”, perché “dove
c’è paura, c’è chiusura”.
Il Vangelo, però, “offre il rimedio del Risorto”, che è
lo Spirito Santo che “libera dalle prigioni della paura” e infatti gli apostoli
che ricevono lo Spirito “escono dal cenacolo e vanno nel mondo a rimettere i
peccati e ad annunciare la buona notizia”.
Lo Spirito, osserva Papa Francesco, “ci fa sentire la
vicinanza di Dio e così il suo amore scaccia il timore, illumina il cammino,
consola, sostiene nelle avversità”.
Papa Francesco chiede in conclusione di invocare “lo
Spirito Santo per noi, per la Chiesa e per il mondo intero: perché una nuova
Pentecoste scacci le paure che ci assalgono e ravvivi il fuoco dell’amore di
Dio”.
Dopo la preghiera del Regina Coeli, Papa Francesco
ricorda il 150esimo della morte dello scrittore Alessandro Manzoni, che si è
celebrato lo scorso 22 maggio, ricordando che lo scrittore, tra l’altro amato
anche dal Papa, è stato “cantore delle vittime e degli ultimi”, che potevano
contare sempre “sulla mano protettrice della provvidenza divina”, ma erano
“sostenute anche dalla vicinanza dei pastori della Chiesa”.
Papa Francesco invita anche a pregare per le popolazioni
confine tra Myanmar e Bangladesh, colpite da un ciclone. Sono 800 mila persone
coinvolte dal disastro, tra le quali anche i Rohingya, la popolazione
“rimpallata” tra Bangladesh e Myanmar cui il Papa ha mostrato da anni
particolare sollecitudine. Papa Francesco chiede che i responsabili
“favoriscano l’accesso degli aiuti umanitari”, e si appella “al senso di
solidarietà umana ed ecclesiale per soccorrere i nostri fratelli e sorelle”.
Infine, il Papa ricorda che il 31 maggio, al termine del
mese di maggio, nei santuari mariani “sono previsti momenti di preghiera a
sostegno dei preparativi della prossima assemblea ordinaria del sinodo dei
vescovi”. “Chiediamo – dice il Papa – che Maria accompagni la tappa del sinodo
con sua protezione e a lei affidiamo anche il desiderio di pace di tante
popolazioni in tutto il mondo, specialmente della martoriata ucraina. Aci 28
Pentecoste. Lo Spirito rinnova la faccia della terra
Dopo secoli di misconoscimento, il fuoco dello Spirito
Santo, il vento dello Spirito Santo, sta invadendo tutta la terra. È la
risposta del Cielo alla supplica incessante della Chiesa: Vieni, Spirito Santo,
e rinnova la faccia della terra! Paolo Maino
“Riverserò sulla casa di Davide e sugli abitanti di
Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione” [1]. Questo è il tempo che
stiamo vivendo oggi: di grazie e consolazione. Sembra impossibile e quasi
una bestemmia affermarlo. Dopo secoli di misconoscimento, il fuoco dello
Spirito Santo, il vento dello Spirito Santo, sta invadendo tutta la terra. È la
risposta del Cielo alla supplica incessante della Chiesa: Vieni, Spirito Santo,
e rinnova la faccia della terra! Una supplica che si è alzata da ogni
confessione cristiana e che ha creato un moto di unità e di ecumenismo.
Quell’unità per la quale Gesù è morto, l’ha creata lo Spirito, che si è
abbattuto gagliardo trasversalmente su tutte le denominazioni cristiane con
doni e carismi, ma soprattutto donando una Pentecoste personale, una esperienza
personale di Gesù per la quale si è potuto dire: “Prima ti conoscevo per
sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” [2]. Una Pentecoste
personale che ha toccato milioni di persone, donando l’esperienza
dell’innamoramento con Gesù, del passaggio da una conoscenza intellettuale ad
una conoscenza esperienziale ed emozionale, un’esperienza che ha rinnovato il
modo di percepire e comprendere la Parola, i sacramenti, la vita comunitaria,
la condivisione con i poveri. Un’esperienza che ha cambiato e rivoluzionato la
vita di tante persone, che ha spinto alla formazione di nuove comunità e nuovi
movimenti, al vivere con radicalità il Vangelo, a scommettere la vita per Dio.
“… io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i
vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani vedranno
delle visioni, i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi
e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno…”
[3].
Questa è la misericordia di Dio per questo tempo, quella
che “di generazione in generazione si stende su quelli che lo temono” [4] (e
non solo su quelli!); questo è il segno di speranza per l’oggi, il Dono
insperato, stupefacente e sorprendente di Dio. La voce profetica di Papa
Francesco ci scuote: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si
trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o,
almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui…” [5].
Ma Papa Francesco non si ferma qui. Ci spinge, a non
trattenere questa esperienza. Ci spinge a diventare i nuovi evangelizzatori,
pieni di Spirito e di potenza, che condividono con tutti questo grande dono. E
spinge soprattutto il Rinnovamento Carismatico Cattolico a donare il Battesimo
nello Spirito a tutta la Chiesa. Questo significa trovare mezzi nuovi, linguaggio
nuovo, creatività nuova per essere comprensibili, attraenti e stimolanti per
questa generazione. Grazie, Santo Spirito, per questa corrente di Grazia, per
questa grande chance per la Chiesa e per il mondo!
[1] Zc, 12,10
[2] Gb 42,5
[3] At 2,17-18
[4] Lc 1,50
[5] Francesco, Evangelii Gaudium,
3. Sir 27
Cento anni di Don Milani. Cardinale Zuppi: “Ci costringe a sporcarci di
vita vera”
Il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e
Presidente della CEI interviene alla Giornata inaugurale del Centenario di Don
Milani che si svolge a Barbiana. - Di Veronica Giacometti
Barbiana. Tutti dobbiamo leggere di nuovo “Lettera a una
professoressa” e ricordarci che è indirizzata anche a noi. Accettiamo il
rigore, l’intransigenza di don Milani. Non è eccesso, ma intelligente amore,
evangelico e umano, che aiuta a capire da che parte stiamo e a verificare senza
sconti dove siamo stati”. Il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e
Presidente della CEI interviene alla Giornata inaugurale del Centenario di Don
Milani che si svolge a Barbiana. 100 anni fa infatti nasceva Don Lorenzo
Milani, il prete di Barbiana che voleva una scuola inclusiva.
Per il Cardinale Zuppi “Don Milani non può essere ridotto
a banale politically correct, facile esortazione o denuncia. Ferisce, perché
svela le parole vuote, la retorica che copre l’inedia e chiama questa per nome,
senza sconti. Come disse don Bensi, don Milani è «un diamante che doveva
ferirsi e ferire». Egli ci mette di fronte alle nostre responsabilità di ruolo
e di paternità, ci chiede di farci carico di chi è più fragile e non di
fornirgli istruzioni per l’uso senza aiutarlo, sistema che fa sentire a posto
chi può sempre dire “io lo avevo detto” ma senza che si sia mai dato da fare
per aiutare”.
"Don Milani ci costringe a sporcarci di fango, di
vita vera, perché non si lascia certo ridurre a oggetto da salotto senza
cambiare il salotto o senza uscirne, proprio come aveva fatto lui, borghese,
colto, che scelse di imparare diventando maestro e alunno dei poveri, stando
dalla parte dei poveri per trovare la propria parte, profeta intransigente di
cambiamento, obbedientissimo e per questo libero prete della sua Chiesa senza
la quale non voleva vivere”, commenta ancora il Presidente CEI.
Per Zuppi la “sfida del futuro inizia nella scuola.
Sentiamo la ferita che le disuguaglianze sono aumentate in questi venti anni,
come l’abbandono scolastico”. “Con il passare degli anni ci siamo accorti
dell’eredità di don Milani guardando alla sua fecondità generativa. Don Lorenzo
si è rivelato uno straordinario formatore di coscienze”, conclude il
Presidente.
Anche Papa Francesco si era recato a Barbiana il 20
giugno 2017, in occasione dei 50 anni della morte di Don Milani. Aci 27
Papa Francesco nella sede Rai per il programma “A Sua Immagine”
Il Pontefice accolto, tra gli applausi del personale,
dalla presidente Soldi e dall'amministratore delegato Sergio, insieme alla conduttrice
Lorena Bianchetti. L’intervista, in agenda a marzo poi rimandata a motivo del
ricovero del Papa, andrà in onda domenica 4 giugno - Salvatore Cernuzio – Città
del Vaticano
Prima volta di un Papa in uno studio televisivo e in uno
studio televisivo della Rai, questo pomeriggio, intorno alle 15, Papa Francesco
si è recato nella sede di Saxa Rubra per registrare un intervento tv.
L’intervista andrà in onda la prossima domenica 4 giugno a “A Sua Immagine”, il
programma di approfondimento religioso nato 26 anni fa dalla collaborazione tra
la rete del servizio pubblico e la Conferenza episcopale italiana (CEI)
trasmesso la domenica che tra i suoi spettatori annovera lo stesso
Pontefice, il quale più volte in occasione degli Angelus ne ha fatto menzione.
Applausi e "W il Papa"
Il Papa è arrivato a bordo della sua Fiat 500 bianca,
mentre numerosi dipendenti della RAI, in fila in due cordoni, lo accoglievano
con un applauso. Sceso dalla macchina, Francesco si è subito seduto sulla sedia
a rotelle usata ormai da mesi per i lunghi tragitti; qualcuno dalla folla ha
gridato “W il Papa”. A dare il benvenuto a Papa Bergoglio a Saxa Rubra, la
presidente della Rai Marinella Soldi e l'amministratore delegato Roberto Sergio
che dice: "Ho una grande responsabilità e quindi ho bisogno di tante
preghiere". Presente pure la conduttrice Lorena Bianchetti.
Intervista rimandata a marzo
L’intervista in questione era in agenda lo scorso 29
marzo, nel carcere romano Regina Coeli. Era stata rimandata a motivo del
ricovero del Papa al Policlinico Gemelli per una bronchite su base infettiva.
Ora è stata recuperata e registrata direttamente negli studi Rai. Le immagini
pubblicate tramite i canali della stessa emittente mostrano Francesco seduto
insieme ad altri ospiti nel salotto di A Sua Immagine a fianco a Bianchetti,
che già aveva intervistato il Pontefice nel 2022, in una puntata speciale del
Venerdì Santo.
Appello per la pace
Negli spezzoni diffusi in anteprima si sentono le parole
di Papa Francesco: "Con la pace si guadagna poco ma si guadagna sempre,
con la guerra si perde tutto". Una frase che richiama il radiomessaggio di
Pio XII ai governanti del 1939, alla vigilia della Seconda Guerra mondiale. La
Rai fa sapere in un comunicato che "il Papa ha parlato dei grandi temi
legati a questo momento storico con un appello per la pace, delle difficoltà
che ciascuno incontra nell’esistenza quotidiana, dell’aggressività che pervade
la vita sociale, del ruolo che l’informazione deve svolgere in questo
scenario". Sergio e Soldi parlano entrmbi di "un evento
storico".
L'udienza del 4 marzo
Il Papa aveva poi ricevuto in udienza l’intera redazione
il 4 marzo scorso in Vaticano e nel suo discorso aveva spiegato di seguire per
qualche minuto il programma, prima di affacciarsi dalla finestra del Palazzo
Apostolico, e aveva incoraggiato la missione di A Sua Immagine, in particolare
quella di dare voce a chi soffre in modo da contribuire a “globalizzare” la
solidarietà e non l’indifferenza già ampiamente “globalizzata” al giorno
d’oggi. Vn 27
Possa il messaggio di Pentecoste “illuminare le menti di
coloro che cercano la violenza” e “ispirare anche coloro che hanno responsabilità
politiche in Europa, affinché le loro decisioni siano guidate da saggezza,
integrità e compassione al servizio del bene comune di tutti”. È il messaggio
dedicato quest’anno alla guerra in Ucraina che i presidenti della Comece e
della Kek, mons. Mariano Crociata e il rev. Christian Krieger, hanno diffuso
oggi in occasione della Pentecoste. “Proprio come la comunità cristiana
primitiva faticava a trovare risposte ai problemi che si trovava ad
affrontare”, scrivono i responsabili dei due organismi, “così i cristiani oggi
lottano con le sfide di un mondo profondamente ferito dalla violenza, dalla
disuguaglianza e dalla divisione” - di M. Chiara Biagioni
“Preghiamo per la giustizia e la pace, affidiamoci
insieme con umiltà e speranza allo Spirito di Dio che trasforma e riconcilia
tutti. Possa lo stesso Spirito illuminare le menti di coloro che cercano la
violenza e dare loro ‘un cuore di carne’ (Ez. 36,26). Possano i piedi di tutti
essere guidati sulla via della giustizia, della verità, della riconciliazione e
della pace”. È il messaggio dedicato quest’anno alla guerra in Ucraina che i
presidenti della Comece e della Kek, rispettivamente mons. Mariano Crociata e
il rev. Christian Krieger, hanno diffuso oggi in occasione della Pentecoste.
“Proprio come la comunità cristiana primitiva faticava a trovare risposte ai
problemi che si trovava ad affrontare”, scrivono i responsabili dei due
organismi, “così i cristiani oggi lottano con le sfide di un mondo
profondamente ferito dalla violenza, dalla disuguaglianza e dalla divisione.
Mentre infuria la brutale guerra contro l’Ucraina, la crisi umanitaria
continua. Anche le conseguenze sociali e politiche, insieme alle disuguaglianze
economiche, continuano ad emergere, esponendo la polarizzazione e la
frammentazione delle nostre società”. “Tuttavia, proprio come i discepoli della
Chiesa primitiva erano ripieni dello Spirito Santo – fanno riflettere Comece e
Kek – così i cristiani oggi sono ripieni e guidati dallo Spirito”. Lo
testimoniano i tanti “segni dello Spirito di Dio che vive e opera nelle nostre
vite” come, ad esempio, il sostegno delle Chiese ai rifugiati. In questo modo,
le Chiese “rispondono ai bisogni umanitari in Ucraina, esprimono solidarietà
alle vittime di questa tragica guerra e lavorano attivamente per la pace nel
continente”. L’invito è dunque ad essere “aperti a ricevere lo Spirito Santo”
il cui “potere può guarire e riconciliare l’umanità e trasformare la società”.
“Possa il messaggio di Pentecoste – è l’auspicio finale – ispirare anche coloro
che hanno responsabilità politiche in Europa, affinché le loro decisioni siano
guidate da saggezza, integrità e compassione al servizio del bene comune di
tutti”.
Le Chiese sono consapevoli che la via della pace passa
anche e soprattutto per l’Unione europea. Riuniti in assemblea generale a Roma
nel mese di marzo scorso, Papa Francesco ha affidato ai vescovi europei la
causa della pace, attraverso – disse in quell’occasione – “profezia,
lungimiranza e creatività”. Con questo spirito, giovedì 25 maggio, la Commissione
degli episcopati Ue (Comece) ha promosso a Bruxelles una tavola rotonda
dedicata alla guerra in Ucraina e alle sfide alla sicurezza in corso nella
regione orientale del continente europeo. All’incontro hanno partecipato
rappresentanti della Chiesa, responsabili politici dell’Ue e attori della
società civile al Parlamento europeo. Al cuore delle discussioni, l’aggressione
militare “ingiusta e disumana della Federazione Russa contro l’Ucraina”, come
l’ha definita mons. Jan Vokál (Repubblica Ceca), presidente della Commissione
Comece per le Relazioni esterne dell’Unione europea. Ma non c’è solo Ucraina.
La Comece ha elencato anche le “continue gravi sfide ai diritti umani e alla
democrazia in Bielorussia”, “i conflitti congelati e altri eventi destabilizzanti
sia a Est che a Sud, spesso alimentati da attori esterni”. Tutti questi
“sviluppi geopolitici in corso e le realtà mondiali in rapida evoluzione – è
stato detto – spingono l’Unione europea a rendersi conto di quanto sia cruciale
offrire al continente una rinnovata visione strategica per la stabilità, la
giustizia e la pace”.
Con la guerra in corso sul suolo europeo, si fa urgente
anche la questione delle candidature di Ucraina, Moldavia e Georgia per una
futura adesione all’Ue. Secondo gli esperti della Comece, l’allargamento
dell’Ue riacquista un’importanza strategica per la pace e la prosperità
nell’intera regione. Mons. Vokál ha detto che il processo di allargamento
deve essere “credibile e rispondere alle aspettative dei cittadini dei Paesi
candidati, “altrimenti rischia di ritorcersi contro e fomentare sentimenti
antieuropei”. Ma il processo va sostenuto e “coloro che aspirano a legami più
stretti con l’Unione Europea o anche a una futura adesione, dovrebbero essere
autorizzati a intraprendere questa strada”.
Per la Pentecoste, Comece e Kek invitano martedì 6 giugno
ad una “preghiera ecumenica per la pace e l’unità dei cristiani” che si terrà
al Parlamento europeo dalle 8 alle 9. Ci sarà una riflessione offerta da Tomáš
Halík, presidente dell’Accademia cristiana ceca, con gli interventi di mons.
Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali
dell’Unione europea (Comece), e del rev. Christian Krieger, presidente della
Conferenza delle Chiese europee (Kek). Sir 26
“Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro”: un libro di don Massimo
Pavanello
MILANO- “Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro”:
fresco di stampa l’ultimo libro di don Massimo Pavanello. Il volume (pubblicato
da Tau Editrice, Todi) raccoglie una trentina di interviste realizzate per
l’omonima rubrica proposta da Radio Mater. La trasmissione – ideata e condotta
dal sacerdote – è tuttora presente nel palinsesto e si avvale della consulenza
della Fondazione Migrantes. L’interesse giornalistico dà conto della vita di
alcune Missioni Cattoliche Italiane che lavorano soprattutto in Europa. Preti,
catechisti, diplomatici, giornalisti, imprenditori, genitori, giovani,
pensionati, professionisti si sono prestati al microfono del conduttore
raccontando l’esperienza di italiani all’estero e di ciò che li lega ad una
Chiesa che parla la propria lingua.
Nei colloqui sono stati affrontati anche argomenti
mutuati dalla cronaca più infiammata: la guerra in Ucraina; il Sinodo della
Chiesa tedesca; la Brexit; l’8xmille destinato ai progetti esteri; gli italiani
detenuti in territorio straniero; gli atti vandalici nei confronti di chiese
europee; i rapporti
sulla pedofilia; i progetti Erasmus. Con un occhio sempre
attento alla presenza di carità che gli italiani testimoniano in questi
contesti. Il libro si avvale della prefazione dell’Ambasciatrice d’Australia
presso la Santa Sede Chiara Porro, nata in Lombardia e cresciuta nell’altro
emisfero, e della postfazione di don Antonio Serra, da anni residente a Londra
e coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane in Inghilterra e
Galles.
“L’intuizione che ha portato a questo libro frutto
dell’omonima rubrica radiofonica – dichiara don Pavanello – parte da un dato:
ci sono più italiani nel mondo che stranieri in Italia. Da quando l’emigrazione
è un fenomeno, i connazionali all’estero hanno avuto al loro fianco una Chiesa
dall’idioma familiare. L’uscita dal Bel Paese non si è fermata neppure in tempo
di pandemia, quando i margini di spostamento erano risicati. Per tutti, anche i
molti realizzati, è il bisogno e non il romanticismo a spingere verso nuovi
lidi.
L’autore, da questa ricognizione ad extra, individua
anche una ricaduta interna. Infatti, chiosa: “Conoscere l’andamento vettoriale
della emigrazione italiana, che include il dato spirituale, facilita anche la
rilettura dell’immigrazione verso le coste domestiche”.
Il pensiero finale è quasi una dedica. “Pur programmato
nel palinsesto originario, rivela Pavanello, non è stato raggiunto un gruppo di
connazionali. Quello della vivace Comunità italiana
di Mosca che si raduna presso la chiesa di San Luigi dei
Francesi. Basti qui una prudente citazione. L’attuale contesto internazionale
ha suggerito di custodire questi fedeli. In attesa di dare loro voce”.
Massimo Pavanello, Dottore in teologia, per l’Arcidiocesi
di Milano è responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico
alla Chiesa e del Servizio per il turismo e i pellegrinaggi. Ha frequentato
corsi di cooperazione internazionale e sviluppo sostenibile presso l’ISPI di
Milano. Ha pubblicato diversi lavori frutto di viaggi missionari. Sacerdote,
affianca il ministero parrocchiale all’impegno giornalistico. (Inform 25)
Assemblea nazionale dei referenti diocesani del Cammino sinodale.
Comunicato finale
Incoraggiati dalle parole di Papa Francesco, 330
referenti del Cammino sinodale provenienti da due terzi delle diocesi italiane
si sono ritrovati a Roma, il 25 e il 26 maggio, per confrontarsi in vista
dell’elaborazione delle Linee guida per la “fase sapienziale”, secondo step tra
il biennio dell’ascolto e la cosiddetta “fase profetica”. Questo strumento, che
sarà presentato al Consiglio Episcopale Permanente previsto per l’8 luglio,
indirizzerà e sosterrà il discernimento operativo sul territorio, in raccordo
con il livello nazionale.
La sfida è infatti quella di intrecciare il vissuto
diocesano con le riflessioni nazionali, in una circolarità virtuosa che
valorizzi l’apporto locale arricchendolo con il contributo di esperti e di
rappresentanti del mondo ecclesiale, sociale e culturale. La rete consolidata
dei referenti diocesani, che costituisce la grande novità dei primi due anni di
ascolto, continuerà ad operare in connessione con il Comitato Nazionale - la
cui composizione è ormai definitiva - e con i Vescovi. Con questa metodologia,
tutte le componenti del popolo di Dio avranno voce e saranno partecipi delle
scelte condivise che verranno prese nella “fase profetica”.
Nell’incontro di Roma a cui sono intervenuti i Vescovi
Antonio Mura, Claudio Giuliodori e Antonino Raspanti, i referenti diocesani
hanno dunque lavorato per individuare i temi principali emersi dai Cantieri
avviati sul territorio e dal dibattito nei gruppi sinodali della 77ª Assemblea
Generale della CEI. “La Chiesa in Italia è viva. Non esercitiamo un ruolo, ma
siamo una casa: abbiamo davanti un grande sforzo missionario”, ha affermato il
Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI. “Ci sono delle condizioni di
possibilità. Abbiamo preso consapevolezza che c’è una questione di stile: si deve
adottare uno stile nuovo di essere Chiesa per la missione”, gli ha fatto eco
Mons. Erio Castellucci, presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale.
“Il cammino deve essere un percorso di fede e di evangelizzazione: dobbiamo
aggredire i nodi critici senza paura”, ha concluso Mons. Giuseppe Baturi,
Segretario Generale della CEI. Cei 26
Papa Francesco ha concluso l'Assemblea della Cei ricevendo
in udienza i referenti diocesani del Cammino sinodale italiano. No a
"autoreferenzialità" e "neoclericalismo di difesa". Nella
Chiesa a volte ci sono "scomunicati a priori". "Prendere sul
serio la vulnerabilità" ed "essere una Chiesa inquieta" – di
M.Michela Nicolais
“A volte si ha l’impressione che le comunità religiose,
le curie, le parrocchie siano ancora troppo autoreferenziali”. Lo ha denunciato
Papa Francesco, ricevendo in udienza in Aula Paolo VI i partecipanti
all’Incontro nazionale dei Referenti diocesani del Cammino Sinodale Italiano,
nella giornata conclusiva dell’Assemblea dei vescovi italiani.
”Sembra che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta
di ‘neoclericalismo di difesa’, generato da un atteggiamento timoroso, dalla
lamentela per un mondo che non ci capisce più, dal bisogno di ribadire e far
sentire la propria influenza”, il monito di Francesco, che ha stigmatizzato
ancora una volta l’autoreferenzialità come “malattia della Chiesa” e ha
avvertito: “il clericalismo è una perversione, ma quando il clericalismo entra
nei laici, è terribile”.
“Essere una Chiesa aperta”, l’indicazione di rotta del
Papa: “Riscoprirsi corresponsabili nella Chiesa non equivale a mettere in atto
logiche mondane di distribuzione dei poteri, ma significa coltivare il
desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua
singolarità. Così, possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere
riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le
cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono
inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi. E tante
volte sono scomunicati a priori”.
“Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali si
allarghi lo spazio, dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i
mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di
essere e sentirsi corresponsabili”, il ritratto di Francesco. “Mai senza
l’Altro con la ‘A’ maiuscola, mai senza gli altri con cui condividere il
cammino”, lo slogan utilizzato dal Papa: “Fare Chiesa insieme”, per il Papa, “è
un’esigenza che sentiamo di urgente, oggi, sessant’anni dopo la conclusione del
Concilio Vaticano II”. “E’ sempre in agguato la tentazione di separare alcuni
‘attori qualificati’ che portano avanti l’azione pastorale, mentre il resto del
popolo fedele rimane solamente recettivo delle loro azioni”, la denuncia. Per
Francesco, “la Chiesa deve lasciar trasparire il cuore di Dio: un cuore aperto
a tutti e per tutti”. Di qui la necessità di un esame di coscienza: “Dovremmo
domandarci quanto facciamo spazio e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre
comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono
delusi, di chi nella vita è stato ferito. Fino a quando la loro presenza
resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non
sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi”.
“Essere una Chiesa ‘inquieta’ nelle inquietudini del nostro
tempo”, l’ultima consegna del Papa, che ha lodato la Chiesa italiana per aver
scelto, nella fase del Cammino sinodale che si è appena conclusa, di formare
dei gruppi sinodali anche nelle carceri. “La comunità cristiana è provocata a
uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni
di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare
con loro il pane della Parola di Dio”, l’invito di Francesco, che ha auspicato
che il Sinodo possa aiutarci a “prendere sul serio la vulnerabilità”.
L’esempio citato è quello di don Primo Mazzolari, che
metteva in guardia dai “preti soffocatori di vita”. “Una Chiesa appesantita
dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella
storia, al passo dello Spirito, incontro agli uomini e alle donne del nostro
tempo”, ha esordito il Papa esortando la Chiesa italiana a “continuate a
camminare”, lasciandosi guidare dallo Spirito, che è “il vero protagonista” del
Sinodo. “Umiltà, disinteresse e beatitudine” i tratti ecclesiali già indicati
come necessari nel Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015:“Il Sinodo
non è cercare le opinioni gente o mettersi d’accordo: il grande nemico di
questo cammino è la paura”.
“Coraggio e unità”. Sono i due binari lungo i quali è
chiamata a camminare la Chiesa italiana, ha detto il card. Matteo Zuppi,
arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’omelia della Messa
presieduta nella basilica di San Pietro. “L’unità è santa e non a caso è sempre
legata alla pace, perché la guerra inizia quando si accetta la divisione,
quando si provoca la divisione”, la tesi di Zuppi, che all’inizio dell’omelia
ha definito la guerra “una macchina da guerra fratricida” e ha menzionato
“l’angoscia che grava nell’anima del popolo ucraino che anela alla
pace”. Non siamo “funzionari anonimi”, ma “un popolo grande, che accoglie
tutte le etnie perché popolo santo di Dio”, l’affresco del presidente della
Cei: “Nella comunione nessuno è disoccupato, e nessuno non è importante”.
Sir 25
Coraggio e unità, l'invito del Cardinale Zuppi ai vescovi italiani
Omelia del Presidente della CEI in occasione della Messa
conclusiva della 77/ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana
celebrata in San Pietro - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “Essere qui, al termine di quasi due
anni di Cammino sinodale, è una grande emozione che ci sintonizza di nuovo con
i fratelli e le sorelle e con questa Madre Chiesa che tutti ci accoglie e
continua a generarci a figli. Come i due di Emmaus anche noi troviamo Pietro
che conferma la nostra fede. Troviamo un popolo grande, che accoglie tutte le
etnie perché popolo santo di Dio. Un popolo ma sempre una famiglia che ci
chiede di vivere con lo stile e i sentimenti della famiglia, non da funzionari
anonimi, anche zelanti ma con il cuore e gli affetti da un’altra parte o
ridotti solo al proprio protagonismo o ruolo”. Lo ha detto il Cardinale Matteo
Maria Zuppi, Presidente della CEI, nell’omelia pronunciata stamane in occasione
della Messa conclusiva della 77/ma Assemblea Generale della Conferenza
Episcopale Italiana celebrata in San Pietro.
Il pensiero del porporato è tornato immediatamente
all’Ucraina: “ricordo – ha sottolineato - l’angoscia che grava nell’anima del
popolo ucraino che anela alla pace e quanti piangono qualcuno che non è tornato
più, inghiottito dalla macchina di morte fratricida che è la guerra”.
“Il mondo – ha ricordato l’Arcivescovo di Bologna -
inizia sempre da ogni persona, da un incontro, scoprendola nella sua grandezza
e unicità, amandola perché non è un’isola. Quanto c’è bisogno di amore
gratuito, vero e non virtuale, legame umano e affettivo”.
“Il cammino nella storia – ha ricordato il Cardinale
Zuppi - è sempre pieno di sorprese se siamo docili alla Parola, che non smette
di innalzare gli umili e abbassare i superbi, di trasformare il deserto in un
giardino e un peccatore in una persona libera di non farlo più e visitata nella
sua casa che diventa piena della salvezza”.
Il porporato sottolinea l’importanza della parola
“coraggio” che “è l’espressione di Dio, che conosce la fatica della
testimonianza. Vivere per il Vangelo ci fa confrontare con il nostro limite,
con la durezza del mondo, con la forza del male che i cristiani conoscono
perché amano e non aspettano qualche pandemia per combatterlo. Coraggio è anche
lo stimolo a trovare nuove vie di trasmissione della fede, ad annunciare il
Vangelo in ogni circostanza, a non aver paura di prendere il largo. Trasforma
le difficoltà in opportunità. Tutto può cambiare e niente è impossibile a chi
crede! Il Vangelo non ha confini. E chi è pieno del Vangelo è libero dai
confini, non perché dilata il suo io come avviene pericolosamente nel mondo, ma
perché ama e non ha paura di cercare nuove terre, anche quelle non ancora
esplorate da nessuno, anche quelle che potrebbero dimostrarsi ostili. Il
Vangelo ci fa sentire a casa ovunque e tutto è reso da lui casa”.
“Non c’è comunione
– ha ribadito il presidente della CEI - senza l’azione dello Spirito e la
nostra docilità a lasciarci guidare dallo Spirito e non dai piccoli interessi.
Coraggio e unità sono i due binari del percorso che la Parola di Dio ci indica
oggi attraverso la liturgia eucaristica: il coraggio che solo l’amore può
generare in noi, per ascoltare, discernere e decidere per Dio e per il bene
della Chiesa; e l’unità. Cioè pensarsi insieme, a tutti i costi, non uguali,
anzi ancora più diversi perché finalmente e liberamente se stessi perché in
relazione gli uni agli altri”.
“L’unità è santa e non a caso è sempre legata alla pace,
perché la guerra inizia quando si accetta la divisione. L’unità ha sempre al
centro Gesù. Presso la Cattedra di Pietro rinnoviamo questo desiderio che ci
riguarda tutti nelle diverse e tutte complementari responsabilità: essere
Pastori secondo il cuore di Dio, coraggiosi e uniti nell’annuncio della lieta
novella il Signore è veramente risorto!”. Aci 25
L’organizzazione, che rappresenta 600.000 suore in tutto
il mondo, celebra la Settiana Laudato Si’ con questo appello a un’alleanza tra
suore e società civile per proteggere la Terra e sostenere le comunità colpite
dalla crisi ambientale
Roma. Nella Settimana Laudato Si’ 2023 -la settimana
dedicata alla lettera enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco- le suore
dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) presentano un policy
brief con nove raccomandazioni per affrontare le sfide del cambiamento
climatico, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento, con particolare
attenzione alle persone vulnerabili. La UISG è l’organizzazione ombrello per le
Superiore delle congregazioni femminili cattoliche, che conta 1.900 membri in
rappresentanza di oltre 600.000 suore nel mondo.
Le raccomandazioni sono emerse dal Sister-Led Dialogue on
the Environment, il primo di una serie di dialoghi organizzati dall’iniziativa
UISG Sisters Advocating Globally, sostenuta dal Global Solidarity Fund.
L’incontro si è tenuto il 17 aprile 2023 a Roma, con la partecipazione di
rappresentanti di istituzioni vaticane, ambasciate presso la Santa Sede,
organismi delle Nazioni Unite, organizzazioni internazionali, società civile e
mondo accademico.
Le nove raccomandazioni della UISG sono: 1. Azione
economica: sostenere un nuovo impulso a un’azione collettiva orientata ai
valori, al fine di costruire l’infrastruttura finanziaria necessaria per
un’economia improntata allo sviluppo sostenibile. 2. Azione educativa:
supportare le istituzioni e le iniziative che trasmettono conoscenza,
sensibilizzano l’opinione pubblica e coinvolgono gli attori locali in modo
sostenibile. 3. Azione legislativa e legale: incoraggiare i governi e le
organizzazioni internazionali a mettere in agenda le questioni relative alla
sostenibilità ambientale, realizzando misure concrete per garantire
l’inclusione. 4. Azione ambientale e sociale: sottolineare l’interconnessione
dell’azione ambientale e sociale come l’unica via per raggiungere la giustizia
sociale. 5. Impegno religioso: sfruttare il radicamento e la portata
dell’impegno religioso per garantire il successo delle iniziative ambientali.
6. Partenariati, istituzionalizzazione e accreditamento: istituzionalizzare il
rafforzamento degli strumenti legati alle donne e alla fede e ampliare i
partenariati laico-religiosi con organismi nazionali e internazionali
accreditati; 7. Dialogo integrativo: promuovere il dialogo come meccanismo
integrativo in grado di amplificare le voci ai margini e garantire un ruolo
guida nel processo decisionale globale per le comunità locali che affrontano
sfide ambientali. 8. Media e arte: incanalare i ruoli dei media e dell’arte
nell’educazione pubblica, modificando la narrativa sul degrado ambientale e
focalizzando l’attenzione globale sulle questioni locali. 9. Ricerca
scientifica: utilizzare il potenziale della ricerca e dell’istruzione per
aiutare sia i leader che le comunità locali a prendere decisioni informate e
pianificare azioni concrete.
“Per affrontare alla radice le cause dei problemi
generati dall’attività umana e dai nostri sistemi di profitto dobbiamo
immaginare una transizione che investa tutte le aree della nostra vita –
afferma Suor Maamalifar M. Poreku, Coordinatrice della campagna ambientale UISG
Seminare Speranza per il Pianeta –. Come suore cattoliche, abbordiamo in questo
modo l’implementazione degli esiti di COP27 e COP15: come una sfida olistica
per rafforzare la nostra cura per il Creato. Dobbiamo incoraggiare i leader
globali a pensare fuori dagli schemi quando si tratta di impegni finanziari e
di cambiamenti allo stile di vita, per cercare soluzioni radicali a sfide
radicali”.
Secondo quanto affermato pochi giorni fa
dall’Organizzazione meteorologica mondiale, è probabile che le temperature
globali nei prossimi cinque anni oltrepasserano, almeno temporaneamente, la
soglia di surriscaldamento di 1,5°C stabilita dagli Accordi di Parigi.
“Un’alleanza tra i popoli, i governi e le organizzazioni internazionali è
essenziale per proteggere la nostra casa comune e portare le voci degli esclusi
al centro del dialogo, abbandonando lo spreco e l’avidità in vista di
un’economia rigenerativa, in equilibrio con la natura e i bisogni umani –
aggiunge Suor Patricia Murray, Segretaria Esecutiva della UISG –. Il ruolo
delle religiose si è tradizionalmente limitato all’istruzione, all’assistenza
sanitaria e allo sviluppo delle comunità. Eppure ci sono molte aree di advocacy
per un cambiamento di sistema in cui le suore possono svolgere un ruolo di
primo piano, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente. Il potenziale
dell’impegno religioso deve essere pienamente sfruttato. Il tempo sta per
scadere e l’umanità non può permettersi di perdere altro tempo”.
Per maggiori informazioni contatta: Antonella Patete +39
339 2483 656
Policy brief:
https://advocacy.uisg.org/environment-policy-2023/
Unione Internazionale delle Superiore Generali: https://www.uisg.org/it/
Sisters Advocating Globally: https://advocacy.uisg.org/
Seminare Speranza per il Pianeta: https://www.sowinghopefortheplanet.org/
SLD/de.it.press 25
Papa Francesco, serve una conversione ecologica nella sinodalità
Il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale di
Preghiera per la Cura del Creato - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. "Come possiamo contribuire al
fiume potente della giustizia e della pace in questo Tempo del Creato?" A
questa domanda risponde Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata
Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, che si celebra il 1° settembre
2023. “Che scorrano la giustizia e la pace” è quest’anno il tema del
Tempo ecumenico del Creato.
In questa settimana fino a Pentecoste chiamata Laudato
si' l'invito del Papa è ad ascoltare "l’appello a stare a fianco delle
vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa
insensata guerra al creato".
Contro consumismo rapace e industria predatoria
"cosa possiamo fare noi, soprattutto come Chiese cristiane, per risanare
la nostra casa comune in modo che torni a pullulare di vita?"
C'è da arrivare ad una “conversione ecologica”
come "San Giovanni Paolo II ci ha esortato a compiere: il
rinnovamento del nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo
più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro
del Creatore. Rendiamoci conto, poi, che un approccio d’insieme richiede di
praticare il rispetto ecologico su quattro vie: verso Dio, verso i nostri
simili di oggi e di domani, verso tutta la natura e verso noi stessi".
Cita Benedetto XVI con la "necessità di comprendere
che Creazione e Redenzione sono inseparabili: «Il Redentore è il Creatore e se
noi non annunciamo Dio in questa sua totale grandezza – di Creatore e di
Redentore – togliamo valore anche alla Redenzione»."
L'invito è quello di lasciare i "peccati
ecologici" per adottare "stili di vita con meno sprechi e meno
consumi inutili" e per praticare "una gioiosa sobrietà".
E per il Papa anche la sinodalità influisce sulla
custodia del Creato, perché la "Chiesa è una comunione di innumerevoli
Chiese locali, comunità religiose e associazioni che si alimentano della stessa
acqua. Ogni sorgente aggiunge il suo contributo unico e insostituibile, finché
tutte confluiscono nel vasto oceano dell’amore misericordioso di Dio. Come un
fiume è fonte di vita per l’ambiente che lo circonda, così la nostra Chiesa
sinodale dev’essere fonte di vita per la casa comune e per tutti coloro che vi
abitano. E come un fiume dà vita a ogni sorta di specie animale e vegetale,
così una Chiesa sinodale deve dare vita seminando giustizia e pace in ogni
luogo che raggiunge".
Nella presentazione alla stampa hanno partecipato il
cardinale Michael Czerny, S.I., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello
Sviluppo Umano Integrale; la reverenda anglicana Canon Rachel Mash,
Environmental Coordinator for the Anglican Church of Southern Africa and member
of the of the Anglican Communion Environmental Network, Tomás Insua, Direttore
Esecutivo del Movimento Laudato si’ e Cecilia Turbitosi, Animatrice Circolo
Laudato si’ Sacro Cuore Ladispoli, volontaria del Centro Missionario Diocesi
Porto-Santa Rufina. Aci 25
Papa all’udienza: “Vicino ai nostri fratelli e sorelle in Cina”
Il Papa ha dedicato l'udienza ddel 24 maggio a
Sant'Andrea Kim, il primo martire e sacerdote coreano. Al termine, la
"vicinanza" ai fedeli cinesi e l'ennesimo appello per l'Ucraina – di
M. Michela Nicolais
“L’evangelizzazione della Corea è stata fatta
dai laici: sono stati i laici battezzati che hanno trasmesso la fede, non
c’erano preti, perché non l’avevano. Sono venuti solo dopo. La prima
evangelizzazione l’hanno fatta i laici. Noi saremmo capaci di una cosa del
genere?”. Lo ha detto, a braccio, Papa Francesco, che ha dedicato la catechesi
dell’udienza di oggi alla figura del martire e primo sacerdote coreano
Sant’Andrea Kim Tae-gon. Al termine dell’udienza, durante i saluti ai fedeli di
lingua italiana, il Papa ha rivolto un ennesimo appello per “la martoriata
Ucraina”, affidata alla protezione di Santa Maria Ausiliatrice, e ha ricordato
la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa cattolica in Cina, che coincide
con la festa della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani, venerata e invocata
nel Santuario di Nostra Signora di Sheshan a Shangai.
“In questa circostanza desidero assicurare il ricordo ed
esprimere la mia vicinanza ai nostri fratelli e sorelle in Cina, condividendo
le loro gioie e loro speranze”, le parole i di Francesco, che ha rivolto “un
pensiero speciale a tutti coloro che soffrono, pastori e fedeli, affinché nella
comunione e nella solidarietà della Chiesa universale posano sperimentare
consolazione e incoraggiamento”.
“Invito tutti a elevare preghiere a Dio, perché la buona
novella di Cristo crocifisso e risorto possa essere annunciata nella sua
pienezza, bellezza e libertà, portando frutti per il bene Chiesa cattolica e di
tutta la società cinese”, l’appello del Papa.
“Essere discepolo del Signore significa seguirlo, seguire
la sua strada, e questo comporta dare la vita per il Vangelo”, ha ribadito
Francesco nella catechesi: “Ogni comunità cristiana riceve dallo Spirito Santo
questa identità, e così la Chiesa intera, dal giorno di Pentecoste. E da questo
spirito che noi riceviamo nasce la passione per l’evangelizzazione”.
“Sant’Andrea Kim e gli altri fedeli coreani hanno dimostrato che la
testimonianza del Vangelo data in tempo di persecuzione può portare molti
frutti per la fede”, ha raccontato il Papa, definendo quella di Sant’Andrea Kim
“una testimonianza eloquente di zelo per l’annuncio del Vangelo”. “Circa 200
anni fa, la terra coreana fu teatro di una persecuzione severissima della fede
cristiana”, ha fatto notare il Santo Padre. “I cristiani erano perseguitati e annientati”,
ha aggiunto a braccio: “Credere in Gesù Cristo, nella Corea di quell’epoca,
voleva dire essere pronti a dare testimonianza fino alla morte”. “Stante il
contesto fortemente intimidatorio – ha proseguito Francesco – il santo era
costretto ad accostare i cristiani in una forma non manifesta, e sempre in
presenza di altre persone. Come se parlassero da tempo. Allora, per individuare
l’identità cristiana del suo interlocutore, Sant’Andrea metteva in atto questi
espedienti: anzitutto, c’era un segno di riconoscimento concordato in
precedenza; dopo di che, lui poneva di nascosto la domanda: ‘Tu sei discepolo
di Cristo?’. Poiché altre persone assistevano alla conversazione, il Santo
doveva parlare a voce bassa, pronunciando solo poche parole, quelle più essenziali.
Quindi, per Andrea Kim, l’espressione che riassumeva tutta l’identità del
cristiano era ‘discepolo di Cristo’”.
Avere “il coraggio di rialzarsi quando si cade”. E’
questo, per il Papa, “un aspetto molto importante dello zelo apostolico”. “Ma i
santi cadono?”, si è chiesto a braccio Francesco: “Sì. Pensate a San Pietro,
che grande peccato ha fatto quello! Ma ha avuto forza dalla misericordia di Dio
e si è rialzato”. “Quando era ancora seminarista – l’episodio raccontato dal
Papa – Sant’Andrea doveva trovare un modo per accogliere segretamente i
sacerdoti missionari provenienti dall’estero. Questo non era un compito facile,
poiché il regime dell’epoca vietava rigorosamente a tutti gli stranieri di
entrare nel territorio. Una volta egli camminò sotto la neve, senza mangiare,
talmente a lungo che cadde a terra sfinito, rischiando di perdere i sensi e di
rimanere lì congelato. A quel punto, all’improvviso sentì una voce: ‘Alzati,
cammina!’”. Udendo quella voce, Andrea si ridestò, scorgendo come un’ombra di
qualcuno che lo guidava”.
“Per quanto la situazione possa essere difficile, anzi a
volte sembri non lasciare spazio al messaggio evangelico, non dobbiamo
demordere e non dobbiamo rinunciare a portare avanti ciò che è essenziale nella
nostra vita cristiana, ossia l’evangelizzazione”, l’invito di Francesco.
“Questa è la strada”, ha proseguito a braccio: “ognuno di noi deve chiedersi:
come posso evangelizzare? Pensiamo a noi, al nostro piccolo: evangelizzare in
famiglia, con gli amici, parlare di Gesù, evangelizzare con un cuore pieno di
gioia, di forza, e questo dono lo dà lo Spirito Santo”. “Prepariamoci a
ricevere lo Spirito Santo, a Pentecoste, e chiediamo la grazia del coraggio
apostolico, il coraggio di evangelizzare di portare avanti il messaggio di Gesù”,
ha concluso il Papa ancora a braccio. Sir 24
Maltempo in Emilia Romagna. Le parrocchie di Faenza in prima linea per
portare solidarietà
Fratellanza, azioni di carità e preghiera. Queste le
colonne portanti delle parrocchie della diocesi di Faenza-Modigliana in questa
emergenza alluvioni. Tante le realtà parrocchiali e cittadine del territorio
faentino che si sono messe e si stanno tuttora mettendo a disposizione di
quanti hanno perso casa nell’alluvione dello scorso 17 maggio, come racconta "Il
Piccolo" di Faenza, edizione faentina del Corriere Cesenate
Fratellanza, azioni di carità e preghiera. Queste le
colonne portanti delle parrocchie della Diocesi di Faenza-Modigliana in questa
emergenza. Tante le realtà parrocchiali e cittadine del territorio faentino che
si sono messe e si stanno tuttora mettendo a disposizione di quanti hanno perso
casa nell’alluvione dello scorso 17 maggio. Da subito attiva la parrocchia del
Paradiso-San Savino che al momento ospita circa 30 persone seguite da volontari
e dal gruppo scout Faenza 4. Anche la parrocchia di San Giuseppe, in via Dal
Pozzo, ha messo a disposizione un centro ricreativo gratuito per bambini e
ragazzi. La parrocchia di Santa Maria Maddalena in Borgo ha aperto le porte del
circolo per offrire pasti e possibilità di ricaricare il proprio cellulare a
quanti sono senza casa ed elettricità. Sono al momento ospitate in parrocchia
una ventina di persone sfollate del territorio. “La parrocchia ha istituito un
gruppo di volontari per andare a dare una mano a svuotare cantine e garage –
spiega il parroco don Francesco Cavina – chi volesse essere aggiunto al gruppo
informi il parroco e chi avesse richieste di aiuto soprattutto in Borgo ce lo
dica”. Anche Sant’Antonino ha attivato subito la cucina per offrire un
pasto caldo a chi ne avesse bisogno e lo scorso 20 maggio ha messo a
disposizione anche la possibilità per le famiglie sfollate di ritirare viveri e
oggetti di prima necessità.
Parrocchie in rete. Le parrocchie sono in rete tra loro:
se per un turno al Paradiso i volontari in cucina sono troppi, questi possono
essere dirottati alla mensa di Santa Maria Maddalena, dove in certe giornate si
sono toccate le punte di 450 pasti serviti. E non è raro vedere i sacerdoti,
accompagnati da tanti ragazzi, bicicletta e pala in mano, andare a dare una
mano nelle aree della città più abbandonate. Da sabato 20 maggio la
parrocchia di San Terenzio in Cattedrale ha attivato all’ora di pranzo un
servizio di consegna panini, acqua e bibite portati direttamente a residenti e
soccorritori al lavoro nelle zone più colpite dall’alluvione. Presso i locali
della Casa San Terenzio i volontari della parrocchia offrono inoltre un
servizio di distribuzione pacchi viveri, beni di prima necessità, e indumenti
alle persone in difficoltà, e si sono attivati anche per il lavaggio di panni
delle famiglie che ne hanno bisogno. Per il momento si prevede di continuare a
offrire tali servizi almeno fino a domenica 28 maggio, adeguandosi di giorno in
giorno alle varie necessità che emergono dalla complessa situazione di
emergenza. La preparazione di panini e la distribuzione di beni di prima
necessità è stata resa possibile dal contributo di aziende, giunta comunale e
comunità parrocchiale della zona del Comune di San Pietro di Morubio (VR) che
da sabato 20 maggio hanno inviato già tre furgoni di acqua, bibite e derrate
alimentari per la prima emergenza, insieme a due pompe e un generatore, gestiti
ora da alcuni volontari della parrocchia. Non sono mancate le iniziative
di sostegno anche nel forese. La parrocchia di San Martino di Reda ha attivato
uno spazio bimbi gratuito nei locali della scuola materna presso la parrocchia
coordinato dalle maestre della scuola insieme ad alcune volontarie.
Sempre a Reda, alla Roda di via Birandola è stato aperto
un servizio mensa a cui può accedere chiunque abbia bisogno, senza prenotare.
“Nella nostra unità pastorale – spiega il parroco don Alberto Luccaroni – hanno
subito allagamenti le chiese di Prada (navata e sacrestia) e di San Giovannino
(sala parrocchiale e area esterna): domenica non è stato possibile celebrare in
queste due chiese. Abbiamo pregato anche per coloro che non hanno potuto
partecipare, chiedendo per tutti pace e speranza”. Nella giornata di sabato
giornata di pulizia e sgombero. A Reda il punto di raccolta dei rifiuti
ingombranti è stato predisposto in via Gasparetta, nella zona artigianale, in
modo da mantenere libere le strade. Anche la Polisportiva di Errano ha
messo a disposizione le docce dei suoi spogliatoi per chi ne avesse bisogno.
Parrocchie punto di riferimento. “Mi sembra che le
parrocchie abbiano risposto molto bene a quest’emergenza che per molti aspetti
ha rievocato il Covid – dice il vice-parroco di Santa Maria Maddalena don
Mattia Gallegati -. La parrocchia in questo momento è un punto di riferimento
per vicini e lontani: sia per chi la frequentava abitualmente sia per chi non
era solito venire. Don Francesco ha usato due parole che ha ripetuto alla fine
di ogni messa la scorsa domenica: preghiera e carità”. Tanti sono infatti
i gruppi di giovani che stanno spalando fango e sgomberando case e cantine
nelle vie. Non solo nel proprio vicinato ma in tutta la città che è diventata
un unico quartiere. Questo senso di unità è ciò che si intravede sotto il fango
ormai diventato un tratto comune in tutti i faentini. “E tante sono anche le
immagini significative che ho visto in questi giorni – dice don Mattia -. Dalle
scarpe sporche di don Francesco che, come tanti parroci, si divide tra il
coordinamento dei servizi parrocchia e i lavori nelle case, alla tavola
apparecchiata per i frati di San Francesco che non avevano un posto dove
andare, le suore sfollate di Montepaolo, i ragazzi della propedeutica e noi
preti in seminario, l’attività incessante della Caritas. Ecco, questa
situazione mette insieme, unisce. Lo vediamo nelle famiglie, c’è chi torna dai
genitori, chi chiede ospitalità a fratelli o altri parenti e lo vediamo nella
Chiesa c’è questa immagine di unione, di unità”. Letizia Di Deco, da “Il
Piccolo” (Faenza)
C’è un campo in cui le donne sono cruciali. E la Santa Sede lo sa
È stato dedicato a “Donne e sicurezza alimentare” un
seminario di studio alla Pontificia
Università Gregoriana. Le buone pratiche. Il futuro - Di
Andrea Gagliarducci
Città del Vaticano. C’è un campo in cui le donne sono
cruciali. E la Santa Sede lo sa. È stato dedicato a “Donne e sicurezza
alimentare” un seminario di studio alla Pontificia Università Gregoriana. Le
buone pratiche. Il futuro
C’è una proposta sul tavolo, di padre Bruno Ciceri, già
responsabile della pastorale Stella Maris all’interno del Dicastero per il
Servizio dello Sviluppo Umano Integrale: quella di istituire una giornata
mondiale delle donne marittime. E sarebbe un segno di omaggio verso quelle
donne che lavorano nel settore marittimo, con sacrifici enormi, perché quelli
del mare sono i lavoratori che più di tutti vivono le difficoltà di una
situazione precaria, lontana da casa, in balia delle situazioni atmosferiche.
La relazione di padre Ciceri è stata una delle relazioni
della giornata di studio su “Donne e sicurezza alimentare: un vincolo da
rafforzare”. La giornata si è tenuta il 22 maggio nella Pontificia Università
Gregoriana, ed era co-organizzato dalla Facoltà di Scienze Sociali dell’Ateneo
insieme alla Missione Permanente della Santa Sede presso FAO, IFAD e PAM e la
Forum Roma di Organizzazioni Non Governative di Ispirazione Cattolica. La
giornata era un omaggio alla memoria di Giorgia Salatiello professoressa
emerita della Facoltà di Filosofia della Gregoriana, scomparsa prematuramente lo
scorso 2022.
Ma quale è il senso della giornata? Da tempo, la Santa
Sede pone particolare attenzione alle comunità rurali, che spesso vengono poco
considerate nei consessi internazionali, ma che rappresentano le comunità più
di tutte a contatto con il territorio. Coltivano i campi, forniscono la materia
prima e hanno una importanza sostanziale. I lavoratori di questo settore sono
spesso sfruttati, e si trovano in condizioni di indigenza.
In molti degli ultimi interventi della Santa Sede alla
FAO, c’è un accenno al ruolo di queste comunità rurali. La Santa Sede, però,
guarda alle comunità, non solo agli individui. E così è stata tra le prime
organizzazioni internazionali a mettere in luce il ruolo delle donne in queste
comunità. Non solo le donne che sostengono la famiglia. Sono le donne che
contribuiscono al raccolto, e a rendere sicuro il cibo per la loro famiglia. Sono
parte di una comunità che lavora, e che non può essere messa da parte.
È l’approccio della Santa Sede, che guarda alle persone
non come individui, ma come parti di comunità, e alle famiglie come cellule
fondamentali della società. Le donne, tra l’altro, compongono circa il 43 per
cento della forza lavoro di queste comunità rurali, sono produttive e
intraprendenti, eppure vivono maggiori difficoltà ad accedere alla terra, al
credito, ai mercati, all’educazione e all’assistenza sanitaria.
I fatti, però, dicono che le donne sono fondamentali. Il
microcredito della Grameen Bank del Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus
funzionò proprio perché il credito veniva concesso per la maggior parte alle
donne, che avevano ancora più voglia di essere affidabili, e che avevano una
percentuale di restituzione altissima.
Varie le prospettive da cui è stato affrontato il tema:
come detto, padre Ciceri ha parlato della donna nel settore della pesca; la
professoressa Nuria Calduch, direttrice del Dipartimento di Teologia Biblica
della Facoltà di Teologia, ha parlato delle donne e il lavoro agricolo nella
Bibbia; il professor Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica presso
l'Università di Bologna, su donne, economia familiare e sradicamento della
povertà; la dottoressa Marcela Villarreal, direttrice della divisione di
partenariati e collaborazione con l’ONU presso la FAO, sul ruolo chiave delle
donne nella lotta alla fame; la dottoressa Priscila Pereira De Andrade,
Legal Officers, UNIDROIT, su donne e accesso al credito; la dottoressa Satu
Santala, vicepresidente associato per le relazioni esterne e la governance
dell'IFAD, sull’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare
delle donne nel mondo; la dottoressa Flaminia Giovanelli, già
sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale,
sul ruolo delle donne nei conflitti armati e nei processi di pace;
la dottoressa Gabriella Gambino, sottosegretario del Dicastero per i
Laici, la Famiglia e la Vita, su donne tra famiglia e lavoro. “Perché la donna?
– si è chiesta la professoressa Gambino - Perché alla fin fine è lei che nei
contesti più poveri – sia in senso materiale, che relazionale e sociale - si fa
carico dei più piccoli, dei fragili. È lei ad escogitare con creatività e
intelligenza modalità sempre nuove per rispondere ai bisogni dell’essere
umano”.
E aggiunge: “L’esperienza della cura prende le mosse
dall’esperienza della vulnerabilità. In troppi paesi del mondo ancora, le
donne, che sanno farsi carico della comunità, della famiglia e dei piccoli,
sono esse stesse mantenute in condizioni di povertà e vulnerabilità, sotto lo
sguardo rigido di istituzioni che stentano a creare le condizioni perché
possano avere tutele, autonomia, indipendenza economica, rispetto della loro
dignità. A ciò si aggiunge, non solo in Africa, ma in tutto il mondo, la
solitudine, che espone alla fragilità, alla disumanità, alla violenza”.
Alcune cifre aiutano a comprendere. Il 36 per cento della
forza lavoro nei sistemi agricoli è composto da donne. Il 66 per cento delle
donne che lavorano nell’Africa Subsahariana e il 71 per cento delle donne che
lavorano nell’Asia del Sud lavorano in sistemi agricoli. Eppure, ha notato la
professoressa Villareal, c’è ancora discriminazione, si accetta persino che le
donne vengano picchiate, e questo “spiega molto della differenza di salario e
gap di produttività”.
Le politiche delle Nazioni Unite, tuttavia, stanno
cambiando molto rapidamente, e il 75 per cento dei documenti riconoscono
l’importanza delle donne. “È stato calcolato – ha detto - che se le donne
avessero pari condizioni nell'accesso a conoscenze, credito, servizi, il
problema della fame si ridurrebbe in maniera consistente”.
Padre Ciceri, tra le altre cose, ha notato che vengono
raccolti i dati che riguardano il lavoro, ma non vengono raccolti dati sui
danni alle attività complementari e di supporto esercitati dalle donne, e che
la priorità dovrebbe essere quella di “migliorare le condizioni di vita delle
loro famiglie”.
C’è, insomma, molto da fare, anche nell’ambito di una
nuova geopolitica mondiale che si sta delineando e che andrà sempre più a
ridefinire il rapporto tra donne e lavoro.
Il problema è, piuttosto, come questi documenti vengano
redatti, perché spesso la questione della donna viene utilizzata come un
“grimaldello” per introdurre l’ideologia gender.
Flaminia Giovannelli, già sottosegretario del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, ha invece affrontato il ruolo delle
donne in aree di conflitto. E ha messo in luce le caratteristiche delle donne:
da prime vittime di violenza al coraggio e alla fortezza che le donne esprimono
nelle situazioni. In particolare, ha detto “e hanno dato testimonianza da
sempre le madri dei soldati russi: senza aspettare la guerra in corso, basta
leggere il libro di Anna Politkovskaja… ne danno testimonianza le madri ucraine
che cercano senza sosta di recuperare i loro bambini che sono stati deportati
in modo silenzioso e ingannevole, ne danno testimonianza le madri nigeriane
delle studentesse rapite nel 2014 e che sono andate a reclamarle fino alle
Nazioni Unite”, con una fortezza che ha portato alla campagna “Bring Back Our
Girls”. Aci 24
A come accogliere, B come bellezza, C come Costituzione,
D come donna. Sono alcune delle lettere capitali emerse dall’intervista con il
cardinale Matteo Zuppi. Lo abbiamo incontrato nella sede romana della Cei,
sorridente, nonostante l’agenda ogni giorno fitta di impegni e di incontri.
Arcivescovo di Bologna dal 2015, Francesco l’ha creato cardinale nel concistoro
del 2019 e scelto come presidente dei vescovi italiani nel maggio dello scorso
anno. A fine marzo, all’apertura della sessione primaverile del Consiglio
episcopale permanente ha voluto esprimere, ancora una volta, il suo “grazie” a
Francesco per il decennale del pontificato. Ha poi tracciato lo scenario e le
prospettive future della Chiesa in Italia, partendo dal “programma” del Papa,
dove la Chiesa del post-pandemia e del cammino sinodale si configura sempre più
chiaramente come una “Chiesa missionaria”, con la priorità di diffondere una
cultura cristiana.
Non possiamo dimenticare le immagini di Cutro dove sono
morti più di 90 immigrati, tra cui 30 bambini. Cardinale Zuppi, in merito
all’accoglienza c’è un prima e un dopo questo tragico evento?
«Me lo auguro, ma non ne sono sicuro. Perché l’abbiamo
visto tante volte e senza troppa vergogna, senza autocritica e verifica; non
c’è stato un prima e un dopo. C’è stato soltanto un prima. Perché ciò avvenga
ci dev’essere una consapevolezza, una scelta, una determinazione di tradurre la
commozione, la partecipazione dell’evento tragico in progetto. Sono dubbioso
anche perché sono passati quasi trent’anni dalla tragedia al largo di Portopalo
(1996), dove una carretta di mare affondò, causando la morte di almeno 283
persone. Doveva rappresentare un punto di svolta, invece rimane sempre solo un
episodio. “Oggetto” di una politica che non sa guardare lontano, non sa
costruire un sistema. Ma ciò riguarda tutti noi. È tempo di agire per dare
risposte alle domande e ai problemi, e non di ulteriori dichiarazioni, che in
genere producono solo altro distacco dalle istituzioni».
L’immigrazione è una questione epocale, eppure si ha
l’impressione che neppure tutti i cattolici abbiano la stessa posizione
sull’accoglienza...
«È vero. Siamo di fronte a una situazione epocale. Il
Mediterraneo è per sua natura un luogo di immigrazione. Ora è epocale anche
perché l’Europa – e quindi l’Italia – si ritrova a essere vecchia, non siamo
mai stati così anziani come adesso. Dopo una continua crescita, ora siamo in
declino. C’è una pressione che mette alla prova l’accoglienza. Ma i cattolici
non possono non essere accoglienti, avendo un riferimento importante nella
nostra carta costituzionale, che sono le opere di misericordia, l’identificazione
del Signore nei forestieri, nei viandanti, nell’uomo sofferente. L’accoglienza
non è materia facoltativa, richiede a tutti di impegnarsi e di fare qualche
cosa. A cominciare dalla cultura. Per capire di chi stiamo parlando, perché la
capacità di accoglienza è anche la conoscenza, su questo la Chiesa e i
cristiani devono avere una profonda capacità di spiegare le storie, le
caratteristiche, l’umanità dell’altro, perché non ci siano indifferenza,
ignoranza o pregiudizio».
Eminenza, ha citato la costituzione per i credenti, ma
lei ha anche scritto una lettera alla Costituzione italiana. L’ha fatto durante
la pandemia, ed è stata l’occasione per sottolineare la necessità di
ricostruire. Oggi la riscriverebbe uguale?
«Sottolineerei di più alcune cose».
Per esempio?
«Il senso della casa comune che la Costituzione ha
fortissimo e, quindi, il legame che c’è tra la persona, la casa comune e il
nostro Paese, che poi in fondo è proprio l’idea da cui è nata la Costituzione.
La consapevolezza, per esempio, del Covid, ci deve spingere a capire che siamo
sulla stessa barca e che queste sono le regole del nostro Paese».
Un Paese, però, che nelle ultime tornate elettorali ha
visto come primo partito l’astensionismo. Tra loro ci sono anche molti
cattolici...
«Presumo di sì. Non credo ci siano statistiche certe, ma
possiamo presumere di sì, che ci sia questa indifferenza. Anche se vorrei
augurarmi di no, perché il diritto/dovere di voto è fondamentale. I cristiani
non possono vivere distanti dalla preoccupazione per la casa comune, devono
essere attenti e partecipare».
Dalla nascita della Repubblica, con la dottrina sociale
della Chiesa, c’è sempre stato un impegno alla formazione politica. Non pensa
che, negli ultimi anni, sia venuta meno la formazione dei credenti all’impegno
pubblico?
«Sicuramente rispetto ad altre fasi in cui c’è stata di
più, questo è vero; ma è anche vero che questa è una formazione che non s’è mai
interrotta, per di più con un’impronta di Francesco che ci rende attenti. Il
suo messaggio è molto preciso: unire l’aspetto sociale con quello spirituale. A
maggior ragione dobbiamo riprendere una capacità di leggere la storia, le
situazioni, con la dottrina sociale della Chiesa e con l’ispirazione
evangelica. Con una comprensione, quindi, attenta e profonda di quello che sta
succedendo».
Oggi le persone hanno sempre meno fiducia nelle
istituzioni come lo Stato o la Chiesa, ma rimane centrale la figura del Papa.
Come può la Chiesa-istituzione recuperare credibilità?
«Costruendo delle realtà umane. La Chiesa deve
significare dei luoghi dove è più vivo il Vangelo e le parole che di volta in
volta lo spiegano, l’accompagnano e ce lo fanno vivere. Dobbiamo costruire dei
luoghi, delle case, delle famiglie dove il Vangelo si concretizza, si incarna.
Dove i legami siano delle vere relazioni umane, anche affettive».
Lei è presidente della Cei da un anno. Sta girando per
l’Italia incontrando le Chiese locali. Che cosa sta scoprendo che la rassicura
di più? E che cosa, invece, più la preoccupa?
«In genere, trovo tanto desiderio di camminare insieme,
di incontrarsi, di sentirsi di far parte di una comunità. Quello che mi
preoccupa, qualche volta, è la disillusione, un affaticamento di situazioni che
non riescono a guardare con fiducia e speranza al futuro, si sentono come di
essere arrivati tardi all’appuntamento mentre io penso che dobbiamo dire: “non
perdiamo l’opportunità”».
Tutto ciò rientra nel secondo anno del cammino sinodale
con molte luci e ombre. Non ha l’impressione che non ci sia stata piena
comprensione?
«Sì. È dipeso anche da una mancanza di abitudine. Più che
altro perché il cammino sinodale vuol dire una consapevolezza, una autocoscienza
in cui tutti quanti vengono coinvolti. Il fatto che sia proprio un cammino lo
rivela ancor di più. E questo era proprio il desiderio, di non concentrarsi
nelle strutture, ma nel camminare e, quindi, capire la sinodalità. Non con
laboratori, non con categorie astratte, non con delle simulazioni di cammino,
ma camminando. L’abbiamo imparato: c’è una certa fatica, perché a volte sembra
inutile, altre volte desideriamo arrivare subito a una risposta, molte volte
invece abbiamo misurato la situazione, la vita delle persone e ci siamo
ritrovati».
La messa festiva è sempre meno frequentata, ma i fedeli
si ritrovano ancora a matrimoni, funerali e battesimi. Sembra che ciascuno si
costruisca un proprio palinsesto della pratica religiosa...
«Sì, credo che effettivamente sia una grande domanda, uno
dei punti più importanti. L’eucaristia è centrale nella vita della Chiesa e
nella vita dei cristiani. Dobbiamo ricostruire, cercare di far capire di più
perché è importante andare alla messa domenicale, perché è un precetto. Ma poi
dobbiamo curare di più le celebrazioni».
Lei pensa che potrebbe esserci più creatività all’interno
della Chiesa anche nel vivere la quotidianità della fede?
«Vivere la fede con creatività me lo auguro sempre, lo
Spirito è più creativo di noi e ci aiuta a esserlo. Anche se qualche volta
proponendo liturgie cosiddette “creative” le abbiamo di fatto impoverite. Il
problema vero della creatività è unire la vita con il mistero e la presenza di
Cristo. Se non c’è anche una comunità è difficile che questo possa avvenire.
Quando la celebrazione acquista una sua attrattività, una sua intensità? Quando
c’è anche una comunità di persone, e non è uno spettacolo cui vado ad
assistere».
Ci sono vescovi che parlano di una Chiesa minoritaria. Il
rischio è quello di una Chiesa d’élite?
«Certo, con il rischio di essere minoritari e neppure
creativi, come indicava Benedetto XVI. Rischiamo di diventare gnostici o
pelagiani, finiamo per usare le categorie che Francesco indica come due rischi
esiziali per la Chiesa. E qualche volta anche Chiesa dei catari, cioè i guri
che pensano di difendere la purezza della Chiesa isolandola e difendendola dal
mondo. La Chiesa non si deve difendere dal mondo, anzi è chiamata a essere in
mezzo al mondo. Lo Spirito ci protegge dal male, motivo per cui non dobbiamo
avere paura. La Chiesa trova sé stessa; questa è una delle chiavi più
importanti di Francesco: la Chiesa trova sé stessa in mezzo e non fuori.
Andando verso e non chiudendosi».
Come si intercettano i giovani?
«Facendo delle cose belle, autentiche, annunciando il
Vangelo e che cosa il Vangelo chiede a loro e a noi. Qualche volta abbiamo
un’idea troppo lavoristica oppure di sola animazione. Ma il Vangelo non è
animazione, ma ci anima perché ci riempie di contenuto, di passione. Questo
sì».
Come immagina la Chiesa del futuro, avrà più un volto di
donna?
«Deve avere un volto più di donna. Anche con tante
responsabilità di donne. L’immagine più chiara per la Chiesa in Italia è quella
della moneta spezzata che il Papa ha usato a Firenze: “La Chiesa madre ha in
Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati,
oppressi, affaticati”. Alcune volte non ce ne rendiamo conto e pensiamo che gli
altri non abbiamo la loro metà. Una Chiesa di popolo, in cui c’è tutto, in cui
tutti hanno la metà e ognuno ha la metà dell’altro. E quindi una Chiesa madre
che sa, con la passione della madre, andare alla ricerca dell’altra
metà».
Eminenza, un’ultima domanda personale. Come inizia e
finisce la giornata?
«Inizio pregando e la finisco pregando (sorride). Forse
la inizio con un po’ meno di sonno». Chiara Genisio Vita Past. maggio
Assemblea Cei. Card. Zuppi: “La guerra è una pandemia, ci coinvolge tutti”
"Siamo il popolo della pace". Ad assicurarlo al
Papa, che l'ha incaricato di una missione di pace in Ucraina, è stato il card.
Matteo Zuppi. "La solidarietà con i rifugiati è un'azione di pace",
ha spiegato introducendo i lavori dell'Assemblea della Cei. "Abbiamo
bisogno dei migranti per vivere", "siamo un popolo in
estinzione". No a "lavoro povero". "C'è un bisogno di
casa a prezzi accessibili"- M.Michela Nicolais
“La guerra è una pandemia. Ci tutti”. Il card. Matteo Zuppi, arcivescovo
di Bologna e presidente della Cei, ha introdotto i lavori dell’Assemblea
generale dei vescovi italiani rivolgendo un pensiero alle popolazioni
dell’Emilia Romagna ed esprimendo gratitudine a Papa Francesco – che gli ha
appena affidato l’incarico di una missione di pace in Ucraina – “per la sua
profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o
non riconoscere le responsabilità di tutti”. “La Chiesa e i cristiani credono
nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più
nella tempesta terribile dei conflitti”, ha garantito il cardinale, ricordando
che “durante la Seconda Guerra mondiale la Chiesa era tra la gente e sul
territorio”.
“Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la
nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione
nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo
per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo”. “C’è una
cultura di pace tra la gente da generare e fortificare”, la tesi di Zuppi: “La
solidarietà con i rifugiati – quelli ucraini, ma non solo – è un’azione di
pace”.
Nella parte centrale della prolusione, moltissimi e
puntuali i richiami ai temi più urgenti da affrontare nel nostro Paese.
“Accoglienza e natalità non solo non si oppongono, ma si completano e nascono
dal desiderio di guardare al futuro”, ha ribadito il cardinale sulla scorta
delle recenti affermazioni di Papa Francesco agli Stati generali della
Natalità. “Spesso le giovani coppie non riescono a costituire una
famiglia semplicemente per la precarietà del lavoro o la mancanza di politiche
di sostegno, a cominciare dalla casa”, ha stigmatizzato il presidente della
Cei: “Siamo un Paese in estinzione”. “Abbiamo bisogno di migranti per
vivere: li chiedono l’impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di
ostacoli, con un’ombra punitiva, il loro percorso nel nostro Paese!”,
l’appello.
“L’accoglienza della vita nascente si accompagna alle
porte chiuse a rifugiati e migranti”, l’analisi del cardinale: “E’ la triste
società della paura”. Poi il riferimento alle condizioni concrete dei
migranti nel nostro Paese: “C’è un livello di difficoltà burocratica che rende
difficile il percorso d’inserimento, i ricongiungimenti familiari, il tempo
lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si trascurano i
riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati o ancora si rimanda
una decisione sullo ius culturae. Intanto la regolarizzazione del 2020 attende
in parte di essere ancora espletata”. “Non è dare sicurezza, anzi esprime la
nostra insicurezza”, ha esclamato Zuppi, che ha fatto proprie le parole
“gravi, dolorose e impegnative” del Papa di fronte al naufragio di Cutro: “Quel
naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si
ripeta”.
Sul tema del “lavoro povero” e della precarietà, il
presidente della Cei ha rilanciato le richieste della Caritas, che domanda al
governo “politiche di contrasto alla povertà” per ridurre precarietà e “lavoro
povero”.
Il decreto lavoro, invece, “prevede strategie di
detassazione che, seppur lodevoli, non sono configurabili come una politica dei
redditi o di contrasto alla povertà. Senza dimenticare che il decreto prefigura
un aumento della durata e dell’applicabilità dei contratti a tempo determinato,
nonché l’ampliamento dell’utilizzo dei voucher”.
“Non c’è vita degna e non c’è famiglia senza casa”, ha
denunciato inoltre Zuppi: “Perché l’Italia, da anni, non si fa casa ospitale
per le giovani coppie e per chi non ha casa? Può essere utile la riconversione
di parte del patrimonio pubblico per l’edilizia popolare. C’è un bisogno di
casa a costi accessibili”. “La protesta degli studenti è una spia significativa
di un più vasto disagio silenzioso”, ha sottolineato il cardinale: “C’è
un’Italia che soffre: i giovani, le famiglie, gli anziani, i senza casa, i
precari, i poveri. La solitudine è una povertà in più”.
In sintesi, mancano “soluzioni strutturali” che
riguardino “non solo l’accesso al mondo del lavoro, ma anche la dignità stessa
del lavoratore, la sua giusta retribuzione, la parità di retribuzione tra
uomini e donne, le garanzie sociali in caso di malattia propria o di un
familiare”. Non è mancato un riferimento al dibattito sulle riforme: “Per
cambiare la Costituzione è necessario ritrovare uno spirito costituente, come
fu nel Dopoguerra, in cui tutte le parti sentirono la responsabilità comune:
non era momento di lotta politica, ma possibilità di fondare la vita politica
del futuro”. “Un primo banco di prova”, secondo la Chiesa italiana, “è una
legge elettorale adeguata e condivisa”. Serve più attenzione, inoltre, ai più
poveri e ai più deboli, a partire dal riordino dell’assistenza degli anziani, a
favore delle cure domiciliari.
“Le mafie non sono scomparse oggi, anzi si sono estese
nel Centro-Nord”,
il grido d’allarme del presidente della Cei, secondo il
quale “c’è bisogno di una coscienza più ampia del pericolo”: “Dove il tessuto
sociale è slabbrato, lo Stato lontano, la gente sola, disperata, povera, la
scuola indebolita, c’è terreno di crescita per le mafie”. Sul piano
pastorale, occorre “ripensare più in grande la formazione dei laici”. La Chiesa
italiana vive ora il Cammino sinodale, giunto alla fase del discernimento, che
“non consiste nell’applicazione di regole o in un infinito campionario di
interpretazioni”.
“Se ci accontentiamo dei ‘pochi ma puri’ o dei ‘pochi ma
nostri’, rischiamo di essere irrilevanti nella vita di troppi e nella storia”,
l’indicazione di rotta. “La Chiesa sinodale deve essere
comunicativa”, soprattutto nei riguardi dei giovani. Prosegue, infine,
l’impegno nella lotta contro gli abusi, a partire dall’ascolto delle vittime.
Sir 23
Assemblea CEI, la fotografia del Cardinale Zuppi sulla Chiesa italiana e
sul Paese
Ieri pomeriggio era stato il Papa ad intervenire, con un
botta e risposta con i vescovi rigorosamente a porte chiuse come accade ormai
da qualche anno per volere dello stesso Pontefice - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. Il Cardinale Matteo Maria Zuppi ha
aperto stamane con una lunga introduzione il secondo giorno di lavori della
77/ma Assemblea Generale della CEI. Ieri pomeriggio era stato il Papa ad
intervenire, con un botta e risposta con i vescovi rigorosamente a porte chiuse
come accade ormai da qualche anno per volere dello stesso Pontefice.
Il pensiero del porporato è andato immediatamente alla
tragedia dell’alluvione in Emilia Romagna per passare poi alla guerra in
Ucraina, ma non solo, prendendo spunto dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII
di cui tra pochi giorni ricorre il 60/mo della morte.
“Siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per
la pace in Ucraina. C’è una cultura di pace tra la gente da generare e
fortificare. La solidarietà con i rifugiati – quelli ucraini, ma non solo – è
un’azione di pace. I conflitti si moltiplicano. Penso al Sudan e al suo dramma
umanitario. In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione
globale. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e
l’informazione, è una forma di carità. Del resto la cultura della pace è un
capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede”,
ha detto il Cardinale Presidente.
Sul fronte del cammino sinodale, il Cardinale Zuppi ha
ribadito che esso “perché funzioni, deve avvenire nell’esperienza concreta,
accettando l’imprevedibilità dell’incontro, misurandosi con le domande che
agitano le persone e non quello che noi pensiamo vivano, per trovare assieme le
risposte. Il Cammino sinodale non corrisponde a una logica interna né mira a un
riposizionamento in tono minore, difensivo o offensivo, ma alla compassione di
fronte alla grande folla che accompagna sempre la piccola famiglia di
discepoli”.
Il cammino sinodale entra ora nella fase sapienziale.
“Non ci sarà vero discernimento - ha osservato il Presidente della CEI - se non
sapremo continuare ad ascoltare cosa lo Spirito continua a chiederci anche in
questa seconda fase del nostro percorso. Non possiamo nascondere che in questa
prima fase del Cammino sinodale sono emerse fatiche, in vari ambiti e per varie
ragioni. Dobbiamo registrare alcune difficoltà nei nostri presbiteri, che
ovviamente ci devono far riflettere. Il processo, però, è avviato e procede,
grazie alla dedizione di tanti. Il Cammino sinodale ci educa al discernimento e
alla lettura dei segni dei tempi. Timidezza e pessimismo non sono fondati,
perché c’è una chiamata della Chiesa espressa da tanti segni, tante voci,
domande e situazioni”.
“La Chiesa sinodale - ha detto ancora Zuppi - deve essere
comunicativa. L’evangelizzazione nasce e vive tanto nelle parole dei credenti.
Sembra un compito semplice, ma è esigente, perché richiede fedeltà al
colloquio: il compito di una Chiesa profetica”.
Poi il tema triste degli abusi. “Non dimentichiamo certo
- ha chiosato - la vergogna per lo scandalo degli abusi e per la sofferenza da
essi provocata che spinge ad affrontarli con un rinnovato impegno, senza
opacità, ingenuità, complicità e giustizialismo. L’incontro da poco vissuto con
alcune vittime, familiari e sopravvissuti, è conferma della nostra scelta di
continuare nel dialogo intrapreso con chi ha vissuto in prima persona questo
dramma”.
Preoccupa poi la situazione della denatalità. “Spesso le
giovani coppie non riescono a costituire una famiglia semplicemente per la
precarietà del lavoro o la mancanza di politiche di sostegno, a cominciare
dalla casa. Quello della
famiglia ha una ricaduta diretta su un altro tema, che
ormai si presenta come una drammatica tendenza negativa pluriennale: si tratta
della crisi demografica. Accoglienza e natalità, ha ricordato Papa Francesco,
non solo non si oppongono ma si completano e nascono dal desiderio di guardare
al futuro. L’accoglienza della vita nascente si accompagna alle porte chiuse a
rifugiati e migranti. È la triste società della paura. Chiudere le porte a chi
bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella
propria casa. Del resto abbiamo bisogno di migranti per vivere: li chiedono
l’impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di ostacoli, con un’ombra
punitiva, il loro percorso nel nostro Paese! C’è un livello di difficoltà
burocratica che rende difficile il percorso d’inserimento, i ricongiungimenti
familiari, il tempo lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si
trascurano i riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati o ancora si
rimanda una decisione sullo ius culturae”.
“La vita ha bisogno -ha ribadito il Cardinale Zuppi - per
crescere e generare vita, di casa e di lavoro. Qui la centrale problematica del
lavoro povero e della precarietà. Non c’è vita degna e non c’è famiglia senza
casa. Il piano della costruzione di alloggi pubblici è rimasto abbandonato da
anni. C’è un’Italia che soffre: i giovani, le famiglie, gli anziani, i senza
casa, i precari, i poveri. La solitudine è una povertà in più”.
Alla politica la CEI ribadisce “disponibilità costante al
dialogo e alla collaborazione leale” a cui “si accompagnano le richieste
pressanti di adottare politiche che abbiano un’attenzione particolare ai più
deboli: non solo a quanti si trovano in uno stato di povertà economica, ma
anche a quanti sono segnati dalla malattia, a quanti vedono violati i propri
diritti fondamentali, a quanti attendono una sentenza giusta e celere”.
Il Cardinale Zuppi, infine, rileva le difficoltà che
vivono i vescovi, alcuni “coinvolti in prima linea nell’accorpamento delle
diocesi: una sfida per il futuro ma anche un’opportunità per ripensare nuove
forme di prossimità, in ascolto delle fatiche che questo processo può portare
al popolo di Dio e anche al nostro stesso ministero”. Aci 23
Papa Francesco si recherà a Lisbona dal 2 al 6 agosto di
quest’anno in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù. Il 5
agosto sarà al Santuario di Fatima. L’annuncio è arrivato ieri dal direttore
della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. n vista di questo
appuntamento il Sir ha intervistato padre João Chagas, coordinatore
dell'ufficio giovani del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e
incaricato di coordinare i preparativi della Santa Sede per la Giornata
mondiale della gioventù - Daniele Rocchi
Papa Francesco si recherà a Lisbona dal 2 al 6 agosto di
quest’anno in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù. Il 5
agosto sarà al Santuario di Fatima. L’annuncio è arrivato ieri dal Direttore
della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. Si tratta del secondo viaggio
di Papa Francesco in Portogallo, dopo che, nel 2017, aveva presieduto le cerimonie
del Centenario delle Apparizioni al Santuario di Fatima. Quella visita fu
segnata dalla canonizzazione dei due pastorelli Giacinta e Francesco Marto. Per
Manuel (José Macário do Nascimento) Clemente, cardinale-patriarca di Lisbona,
la formalizzazione di queste date è la “conferma del desiderio espresso che il
successore di Pietro vuole incontrare, ancora una volta, i giovani di tutto il
mondo. Che vuole ascoltarli, vederli e pregare con loro. Con tutti”. Anche la
Conferenza episcopale portoghese (Cep) ha accolto con gioia l’annuncio ed ha
espresso l’auspicio che “la presenza di Papa Francesco tra noi, che prevede un
significativo pellegrinaggio al Santuario di Fatima, sia un forte momento di
rinnovamento e di grazia per la Chiesa in Portogallo, soprattutto per i
giovani, chiamati da Cristo vivo ad essere autentici evangelizzatori in una
Chiesa sinodale e sempre in missione”. Di “momento unico e indelebile nella
nostra vita collettiva” ha parlato invece il Presidente della Repubblica,
Marcelo Rebelo de Sousa. In vista di questo appuntamento il Sir ha intervistato
padre João Chagas, coordinatore dell’ufficio giovani del Dicastero per i Laici,
la Famiglia e la Vita e incaricato di coordinare i preparativi della Santa Sede
per la Giornata Mondiale della Gioventù.
Padre Chagas, quella di Lisbona sarà la prima Gmg dopo la
pandemia. In che modo cercherete di rispondere al bisogno di incontrarsi, di
riprendere il cammino dei giovani che hanno particolarmente sofferto questo
lungo ‘lockdown’ di relazioni?
Ogni Gmg è, prima di tutto, una splendida occasione
d’incontro con Dio, con giovani provenienti da ogni parte del mondo e con il
paese ospitante. È un invito che il Santo Padre rivolge ad ogni giovane ad
incontrare Gesù Cristo in modo strettamente personale. Per facilitarne
l’incontro, sono previsti diversi spazi durante la Gmg: nei grandi eventi come
la Via Crucis, la Veglia e la Messa conclusiva con Papa Francesco, ma anche
durante le catechesi mattutine, nella celebrazione della Messa, attraverso il
Sacramento della Riconciliazione o negli appuntamenti del Festival della
Gioventù. Il centro di ogni Gmg è l’incontro con Cristo. Per questo motivo, i
giovani, dopo essere rimasti più isolati e “fermi” a causa del periodo di
pandemia, avranno una splendida occasione di tornare ad incontrarsi. Papa
Francesco ha sottolineato in modo particolare queste due dimensioni nel suo
messaggio per la Gmg di quest’anno. Maria che ha incontrato Cristo e gli ha
detto il suo “sì”, immediatamente, si mette in cammino per andare ad incontrare
Elisabetta. L’incontro con Cristo crea l’incontro con l’altro. Tutti i giovani
che andranno a Lisbona, di diverse provenienze e culture, sperimenteranno
questa profonda esperienza di amicizia.
Il 23 luglio, ad una settimana dalla Gmg di Lisbona, la
Chiesa celebrerà la 3° Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani il cui tema
è “Di generazione in generazione la sua misericordia”. C’è un legame tra le due
Giornate?
Papa Francesco ha legato le due Giornate scegliendo come
tema della 3° Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani un versetto dello
stesso passo di Vangelo che racconta l’incontro di Maria con Elisabetta. Il
Pontefice ha, inoltre, invitato i giovani ad andare a visitare un anziano prima
di partire per la Gmg. L’incontro è il filo conduttore di ogni Gmg ma, come ci
mostra l’esempio di Maria ed Elisabetta, un ponte tra le generazioni è uno
degli incontri più importanti da sperimentare per vivere la nostra fede. Subito
prima della Gmg, quindi, il 23 luglio, potremmo celebrare la Giornata Mondiale del
Nonni e degli Anziani nelle nostre chiese. Questa potrà essere una buona
occasione per chiedere agli anziani della parrocchia, della diocesi, del
movimento o dell’associazione di cui i giovani fanno parte, la loro benedizione
per l’imminente viaggio, per poi raccontare loro l’esperienza vissuta.
Molti dei giovani partecipanti sono i cosiddetti “nativi
digitali”: sarà una Gmg a loro misura?
Da tempo, ormai, è imprescindibile un “accompagnamento
digitale”. La Gmg sarà agevolata da un’app per smartphone, inoltre, i giovani
potranno ascoltare i discorsi del Papa nella loro lingua, tramite il servizio
che offrirà il canale di Vatican News.
Allo stesso tempo, i giovani sono invitati anche a
staccare dalla tecnologia ed attivare la “modalità aereo”, per fare esperienza
di momenti di silenzio che facilitino l’ascolto della voce di Dio. Il
pellegrinaggio alla Gmg è un viaggio esteriore, ma è soprattutto un viaggio
interiore. Il silenzio può essere molto utile per riuscire ad ascoltare ciò che
Dio mette nel nostro cuore.
Qual è il contributo che il suo Dicastero sta dando al
Comitato organizzatore locale della Gmg portoghese?
Fin dall’inizio, nel 1984, l’allora il Pontificio
Consiglio per i Laici fu incaricato da Papa Giovanni Paolo II di accompagnare
la preparazione delle Gmg nei singoli Paesi. Oggi, come Dicastero per i Laici,
la Famiglia e la Vita, continuiamo ad aiutare ogni Comitato organizzatore, e
nello specifico gli organizzatori di Lisbona, con la nostra esperienza e
facendo in modo che si rimanga sempre fedeli allo spirito delle Gmg.
Sul piano organizzativo come procedono i preparativi?
L’organizzazione si articola in differenti livelli.
Dapprima il grande evento di Lisbona, che è molto ben preparato ed è ormai in
fase finale. Poi, ci sono gli innumerevoli pellegrinaggi e incontri preparatori
delle Conferenze episcopali, dei Movimenti e delle Associazioni. I rapporti che
ci giungono da varie parti del mondo sono molto positivi. Possiamo sperimentare
una giovane generazione che – come Maria – è davvero in movimento. Ad esempio,
sono più di 2.000 i giovani australiani che hanno deciso di compiere un lungo
viaggio verso Portogallo che prevede circa 3 settimane durante le quali
compiranno visite ad altri importanti luoghi di pellegrinaggio in Europa come,
ad esempio, a Roma. Questo mostra come i giovani investano tempo e risorse per
crescere nella sequela di Cristo e della comunità con altri giovani.
Quanti giovani partecipanti prevedete in Portogallo,
tenuto conto che Lisbona 2023 arriva in un momento gravato da crisi e
conflitti?
I numeri delle iscrizioni sono allo stesso livello della
più recente Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi in Europa, quella di
Cracovia 2016, e siamo molto soddisfatti di questo. Naturalmente, stiamo
pensando a come rendere possibile la partecipazione dei giovani provenienti da
Paesi più in difficoltà o colpiti dalle guerre. A tal fine, il Dicastero
dispone di un fondo di solidarietà in cui i giovani, al momento dell’iscrizione
alla Gmg, possono versare un piccolo importo volontario.
È commovente vedere come i giovani siano animati dalla
voglia di aiutare i loro coetanei con il desiderio di poterli incontrare, in
seguito, alla Gmg. Questo dimostra il tesoro che abbiamo come Chiesa, come
luogo di amicizia, condivisione e incontro.
Prevedete anche la presenza di giovani di altre
denominazioni cristiane e fedi?
Ogni Gmg è aperta a tutti i giovani. Tutti sono i
benvenuti! Naturalmente, la Giornata è un evento nel quale i giovani cattolici
sono invitati dal loro Papa, ma tutti sono i benvenuti. Come in passato,
saranno presenti anche amici delle altre denominazioni cristiane.
La dimensione ecumenica è importante per consegnare alle
giovani generazioni esempi concreti di dialogo tra cristiani. Quella
interreligiosa e con chi non crede offre la possibilità di sperimentare
l’amicizia sociale a cui papa Francesco ci invita ad aderire.
Per tanti giovani che arriveranno a Lisbona, ce ne sono
moltissimi altri che resteranno nelle loro diocesi. Cosa farete per renderli
partecipi?
Prima di tutto, vorrei invitare tutti i giovani che non
sono si sono ancora decisi per il pellegrinaggio alla Gmg a fare questo
viaggio, perché ne vale la pena! Celebrate la fede insieme a centinaia di
migliaia di giovani e sperimentate la cultura dell’incontro dopo la pandemia e
nonostante le difficoltà del momento! Naturalmente, la Gmg si potrà seguire
anche in diretta TV, radio e sui social media. I messaggi di Papa Francesco non
sono solo per i giovani riuniti a Lisbona, ma per tutti. Pertanto, se non si
può partecipare per vari motivi, invitiamo i giovani a unirsi a noi, magari
facendo dei “gruppi di ascolto” con gli amici!
Il Portogallo si affaccia sul Continente africano dove ci
sono paesi che parlano portoghese. Un preludio ad una possibile Gmg in Africa?
Tutti sarebbero felici se un giorno ci fosse una Gmg nel
continente africano. Affinché ciò avvenga, è necessaria una richiesta ufficiale
e concreta da parte di una diocesi o di una conferenza episcopale. Ma come è
consuetudine delle Gmg, Papa Francesco annuncerà solennemente, al termine della
Messa di chiusura, il luogo in cui si terrà la Gmg a livello internazionale. Vale
la pena, quindi, sintonizzarsi e attendere con ansia l’annuncio!
Intanto nel 2025 si celebrerà il Giubileo: da Lisbona a
Tor Vergata, ritorno possibile?
Il Giubileo avrà nel suo programma il Giubileo dei
giovani, così ha annunciato in una conferenza stampa il Dicastero per
l’Evangelizzazione che organizza il Giubileo del 2025, ma è ancora presto per
definirne lo svolgimento. Tuttavia, non c’è mai un “tempo morto” tra una Gmg
internazionale e un’altra: ogni anno nella Solennità di Cristo Re le Gmg
vengono celebrate nelle Chiese particolari. Per ognuna di esse c’è un messaggio
di Papa Francesco. Il nostro Dicastero, poi, ha pubblicato l’opuscolo
“Orientamenti pastorali per la celebrazione della Gmg nelle Chiese
particolari”, che contiene suggerimenti su come celebrare la Giornata nelle
Chiese particolari. Il documento può essere scaricato gratuitamente dal nostro
sito www.laityfamilylife.va. Quindi non si dovrà aspettare a lungo per
celebrare la prossima Gmg. Dopo Lisbona, la prossima si svolgerà già il 26 novembre
2023 nella propria Chiesa particolare. Sir 23
La Chiesa nelle zone alluvionate. “Vicini alla gente, nonostante tutto”
Il vescovo Mario Toso della diocesi di Faenza –
Modigliana spiega cosa sta facendo la Chiesa nelle zone alluvionate - Di Andrea
Gagliarducci
Città del Vaticano. C’è stata la prima alluvione, che è
stata terribile. Ma poi, dopo appena sei giorni c’è stata anche la seconda
alluvione, che ha travolto di nuovo il poco che si era salvato, lasciando le
persone nello scoramento. Il racconto del vescovo di Faenza – Modigliana Mario
Toso è quello di una terra messa in ginocchio da due esondazioni del fiume che
hanno allagato interi quartieri, impraticabili. Il vescovo Toso, però, racconta
anche dell’eroismo dei sacerdoti della sua diocesi, della Caritas che continua
a distribuire pasti a chi resta senza casa, e punta il dito su una mala
gestione a causa della quale i letti dei fiumi non sono stati ripuliti, così da
creare il disastro. C’è una lezione da trarre, ma c’è prima di tutto da ricostruire.
Il 22 maggio, i vescovi delle zone alluvionate hanno
salutato Papa Francesco. E prima dell’inizio dell’Assemblea Generale, la
commissione Affari Sociali della Conferenza Episcopale Italiana si era riunita.
Dal fondo CEI per le emergenze arriverà un milione di euro, le donazioni alla
Caritas locale sono aumentate dopo l’appello del vescovo Toso. Ma i soldi,
argomenta il vescovo, “sono poca cosa di fronte a chi ha perso casa. Noi non
abbiamo le risorse per ricostruire tutto, ma siamo chiamati ad integrare, a
stare vicino alla popolazione. Non abbiamo nemmeno i mezzi della protezione
civile”.
Eppure i sacerdoti sono sul territorio con un eroismo
quasi stoico. C’è, a Faenza, una “Opera Assistenza di Malati Impediti”, ed è il
parroco che si sta prendendo cura di questa struttura, abbandonata dalle
istituzioni e anche dalla protezione civile.
A Faenza, il seminario, racconta il vescovo, è diventato
“una cittadella della solidarietà. Ha dato ospitalità alle Clarisse di Monte
Paolo, clarisse che erano prima a Faenza e che ora sono nel convento molto
amato dai francescani perché fu il convento dove fu Sant’Antonio da Padova e
perché nel tragitto da quel convento a Forlì fu chiesto a Sant’Antonio di
predicare e se ne scoprì il talento”.
Oltre alle Clarisse, ci sono delle famiglie, inclusa una
coppia di sposi che è davvero in procinto di avere un bambino, e 22 minori non
accompagnati, che “non potevano essere messi in ricettacoli generici”, e sono
occupati in alcune aule di studio.
“Le piogge sono
cessate – racconta il vescovo Toso – ma quello che resta è drammatico. Le
strade sono quasi impraticabili, perché, laddove sono asciutte, vi sono state
accumulate le suppellettili e gli oggetti che sono stati travolti fuori dalle
case dalla corrente dell’acqua”.
Di certo, la situazione è migliorata, ma ci sono state
zone dove “il livello dell’acqua era di sette metri, quanto due piani di un
palazzo”.
Il vescovo spiega che il disastro è avvenuto perché “il
fiume, di fronte alle piogge copiose, si è ingrossato, arrivando a sfondare le
rive, che erano poco coltivate e non liberati dagli alberi, mentre il fiume
Marseno è confluito aumentando il volume dell’acqua. Il disastro è dovuto alla
grande quantità dell’acqua caduta in maniera straordinaria, ma è dovuta anche
al fatto che l’alveo del fiume non è stato pulito, i soldi previsti per
rivedere i canali di scolo e il deflusso dell’acqua non sono stati adoperati.
La Regione li aveva e una parte li ha restituiti”.
La morale che ne ricava è che “in sostanza dobbiamo
curare il creato, non lo dobbiamo sfruttare per l’immediata utilità senza
prendercene cura”.
E dire, aggiunge, che il disastro poteva essere
prevedibile. Il vescovo è andato a sfogliare le copie dello storico giornale
della diocesi, Il Piccolo, e in particolare le cronache dell’alluvione del
1940, constatando che “le più grandi slavine, quelle avvenute a Modigliana e in
altre colline intorno sono avvenute negli stessi posti in cui erano accadute in
passato, a testimonianza che non si era fatta attenzione”.
Il vescovo Toso sostiene che “è una grazia che i morti
non siano stati molti” (a Faenza solo 3), ma guarda anche alle corse pratiche
da fare in futuro. “Finita l’emergenza acqua – dice – rimane da cavare
ettolitri di acqua dagli scantinati”.
Si è comunque attivata la macchina della solidarietà. Ad
esempio, la Caritas di Senigallia, racconta il vescovo, ha “inviato un camion
pieno di aiuti più vari, comprese le macchine per aspirare l’acqua ed asciugare
i muri, perché i muri bagnati dall’acqua di una alluvione rimangono umidi per
anni e anni”.
C’è anche un dato positivo, ed è “la mobilitazione dei
giovani. I giovani non sono nascosti, lontani, ma sono vivi, presenti. Si sono
costituiti in squadre, sono andati a spalare, a pulire”.
Ma “le persone che provengono da queste abitazioni hanno
gli occhi tristi, sentono la fragilità, a volte anche la solitudine”, e ci sono
i giovani che “una volta erano baldanzosi, e che oggi sembrano spaesati”.
Il danno riguarda anche la produttività, a partire dalla
produttività agricola, completamente compromessa. “È stato calcolato – racconta
il vescovo Toso – che ci vorranno almeno cinque anni prima che le nuove
piantagioni ridiano frutti. E, inoltre, la popolazione che lavora la terra è
sempre più anziana, e non c’è un sufficiente ricambio generazionale”.
Quelli che si prospettano sono tempi duri. Ma vescovo e
sacerdoti della diocesi saranno chiamati a dare speranza, sperando che si possa
guarire il trauma e si possa cominciare a ricostruire. Aci 23
La testata ammiraglia del Gruppo Editoriale San Paolo
annuncia il restyling. Grafica più fresca, maggiori contenuti e nuove firme
come Mara Venier, Catena Fiorello e padre Roberto Pasolini.
«Rinnovare nella continuità: è stato questo l’obbiettivo
che ci siamo prefissi nel cambiare Famiglia Cristiana, un settimanale con una
storia di oltre 90 anni alle spalle, un rapporto particolare con i lettori, in
cui la tradizione ha un peso rilevante, e una mission chiaramente espressa dal
sottotitolo della testata (“i fatti mai separati dai valori”), che continuerà
sempre a orientarci». Così, il direttore di Famiglia Cristiana, don Stefano
Stimamiglio e il condirettore Luciano Regolo, spiegano l’impronta del restyling
della rivista del Gruppo Editoriale San Paolo, in edicola e in parrocchia nella
nuova veste da giovedì 25 maggio.
«Il concetto di fondo che anima le modifiche e le
aggiunte che abbiamo messo a punto coinvolgendo tutta la redazione»,
continuano, «vogliono rendere la rivista ancora più vicino alle famiglie, ai
loro reali bisogni nel contesto attuale, tanto nei servizi – cercando di
proporre chiavi di lettura, approfondimenti e riflessioni sui fatti di cronaca
– tanto nelle rubriche ampliando e aggiornando i consigli pratici, quelli
psicologico-affettivi e quelli legati alla dimensione spirituale per affrontare
la quotidianità».
I lettori troveranno una grafica rinnovata, in copertina
e all’interno: foto, immagini, titoli e altri elementi valorizzano i contenuti
e stimolano una lettura dinamica in una formula gradevole e decisamente
originale.
I servizi di attualità e gli approfondimenti connessi,
anche su temi scomodi, punteranno a esprimere una posizione chiara, sempre nel
segno dei valori con l’obiettivo di continuare a essere punto di riferimento
per la comunità cristiana, in uno scenario spesso confuso e inquinato da fake
news, polemiche e tormentoni mediatici.
Ogni numero conterrà un’inchiesta di denuncia, focus su
temi caldi che fanno discutere, riflessioni nel diario settimanale di attualità
(“Come vanno le cose”) e altri servizi dal taglio critico ed emotivo,
testimonianze e storie positive. Tutti gli articoli saranno arricchiti da box e
schede informative, per dare ancora di più ai lettori.
Particolare attenzione sarà rivolta al “Sinodo delle
comunità” raccontando, attraverso gli stessi protagonisti sul territorio, il
cammino che la Chiesa sta affrontando in questo periodo.
Spazio anche al dialogo con i giovani nella rubrica “Caro
Don, le domande dei ragazzi”, al verde con l’educazione green, a opportunità e
pericoli di Internet, alla salute, con una nuova sezione dedicata, e a tutti
gli aspetti relazionali e pratici della famiglia.
Ai collaboratori storici (Andrea Riccardi, don Antonio
Mazzi, il cardinale Gianfranco Ravasi, Maria Pia Bonanate, Terry Sarcina e
Adriano Sansa) si aggiungono Catena Fiorello, autrice di romanzi di successo,
che ogni settimana racconterà “Una bella storia”, tratta dal suo vissuto, Mara
Venier, con la rubrica “In cucina con la zia”, in cui presenterà le sue ricette
con simpatiche dritte, il massmediologo Massimo Scaglioni, che commenterà i
programmi televisivi, e padre Roberto Pasolini, in un’originale spazio di
spiritualità dal titolo “La grammatica della fede”. Una nuova rubrica, infine,
“Chiesa in uscita”, proporrà un commento di laici e religiosi impegnati nel
sociale sull’attualità alla luce del magistero di Papa Francesco.
In uscita con il settimanale i lettori troveranno il
primo volume della collana “Le sfide della famiglia”, un aiuto pratico per
affrontare le difficoltà delle famiglie di oggi. Gli autori, tra cui si
evidenziano Riccardo Mensuali, Carlo Rocchetta e Simone Bruno, aiuteranno le
famiglie nell’affrontare le dinamiche di coppia, l’essere genitori e diventare
nonni.
La nuova Famiglia Cristiana è stata presentata in una
conferenza stampa online, martedì 23 maggio alle ore 15,30, sul canale Facebook
della testata.
Il Gruppo Editoriale San Paolo
è una media company cattolica tra le più grandi d’Italia,
operante nel settore dell’editoria libraria, giornalistica, cinematografica,
musicale, televisiva, multimediale, telematica; centri di studio, ricerca,
formazione, animazione.
E’ di proprietà della Società San Paolo, Congregazione
religiosa fondata ad Alba (Cuneo) nel 1914 dal beato don Giacomo Alberione con
l’obiettivo di diffondere i valori cristiani attraverso tutti i mezzi di
comunicazione che la tecnologia mette a disposizione. Conosciuti come
“Paolini”, i membri della Società San Paolo operano in 32 nazioni. Gabriele
Giannetti, de.it.press 24
Emergenza Emilia-Romagna. Presidenza CEI: 1 milione di euro dai fondi
8xmille per la popolazione
La Presidenza della CEI ha disposto un primo stanziamento
di 1 milione di euro dai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla
Chiesa cattolica, per far fronte alle necessità della popolazione colpita
dall’ondata di maltempo che sta flagellando l’Emilia-Romagna.
“Vogliamo esprimere, anche con questo gesto concreto, la
prossimità della Chiesa in Italia alle tantissime persone che, a causa dell’alluvione
e delle esondazioni, sono sfollate, avendo perso tutto o molto. Continuiamo a
farci prossimi e a pregare per quanti, in questo dramma, hanno perso anche la
loro vita. Siamo grati alle diocesi, alle parrocchie, agli istituti religiosi
che non hanno lasciato sole le comunità dell’Emilia-Romagna”, afferma il
Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI.
Lo stanziamento della Presidenza CEI sarà erogato
attraverso Caritas Italiana che è in contatto continuo con le Caritas delle
diocesi colpite da questa emergenza per monitorare la situazione e provvedere
alle prime urgenze. Al momento non c’è bisogno di raccogliere cibo o indumenti,
ma di liberare le abitazioni e i locali dall’acqua e dal fango in modo da far
ritornare le persone nelle loro case. Si tratta poi di individuare e
accompagnare soprattutto coloro che sono abbandonati e che restano esclusi
dalla rete degli aiuti. Il passo successivo riguarderà la ripartenza delle
attività economiche e della vita ordinaria.
Tutte le Caritas diocesane, coordinate dalla Delegazione
Caritas regionale dell’Emilia-Romagna e in comunicazione costante con Caritas
Italiana, sono fin dal primo momento attivate su vari fronti: l’accoglienza
degli sfollati nelle sedi e nelle canoniche, il supporto alla popolazione,
l’accompagnamento delle persone in situazioni di particolare fragilità e
difficoltà.
È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana
per questa emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o
donazione on-line, o bonifico bancario specificando nella causale “Emergenza
alluvione 2023” tramite:
• Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma –Iban: IT24
C050 1803 2000 0001 3331 111
• Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma –
Iban: IT66 W030 6909 6061 0000 0012 474
• Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91 P076
0103 2000 0000 0347 013
• UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008
05206 000011063119
Cei/dip 22
Papa Francesco, non abituiamoci alla violenza e alla guerra
Al Regina Coeli il Papa ricorda i conflitti in corso in
Sudan e Ucraina e saluta i giornalisti - Di Angela Ambrogetti
Città del Vaticano. Perché festeggiare la partenza di
Gesù dalla terra? E che cosa fa adesso Gesù in cielo? Sono le due domande che
Papa Francesco ha posto all'inizio della sua riflessione prima della preghiera
mariana di mezzogiorno nel giorno in cui in Italia di celebra la Ascensione di
Gesù.
Una solennità che in molti paesi, e in Vaticano si
celebra secondo la antica tradizione cristiana il giovedì, considerato giorno
santo.
Con "l’Ascensione è accaduta una cosa nuova e
bellissima: Gesù ha portato la nostra umanità in cielo, cioè in Dio"
spiega il Papa e quindi "festeggiamo “la conquista del cielo”; perché
"il cielo non è più distante, è casa nostra, è il posto che Gesù è andato
a prepararci". E Gesù in Cielo "sta per noi davanti al Padre, gli
mostra continuamente la nostra umanità, le piaghe che ha sofferto per noi; “lavora”,
per così dire, come nostro avvocato presso il Padre ". Ecco perché
"chiede anche a noi di darci da fare, di essere operosi". Conclude il
Papa: " chiediamoci: io intercedo, “immergo” in Dio le persone che
conosco, quelle che mi confidano i loro problemi, quelle che attraversano
momenti difficili? Mi faccio intercessore per loro presso Gesù, che attende la
mia preghiera per donare il suo Spirito a quanti gli presento? Porto al Signore
le mie fatiche, ma anche quelle della Chiesa e del mondo?".
Dopo la preghiera il Papa ha parlato della grave
situazione in Sudan con un appello perché vengano deposte le armi non
abituiamoci ai conflitti e alle violenze, alla guerra. Con una preghiera ancora
per la situazione in Ucraina.
Poi un pensiero alla Giornata delle Comunicazioni sociali
con un saluto ai giornalisti chiedendo che il loro lavoro sia sempre al
servizio della verità e del bene comune. Infine il pensiero alla "
Settimana laudato si" per la cura della casa comune. E il pensiero del
Papa va alle popolazioni dell'Emilia Romagna. In Piazza poi la distribuzione
dei libretti sulla Laudato si'. Aci 21
57ª Giornata delle comunicazioni sociali. Una comunicazione da cuore a
cuore
Parlate con il cuore. Questa volta il messaggio di Papa
Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è quasi un
appello. Accorato; detto cioè anch’esso con il cuore, come suggerisce
l’etimologia della parola. Detto con realismo, senza nascondere il dolore, lo
struggimento che comporta il parlare con il cuore, il caricare su se stessi il
dramma dell’isolamento, della incomunicabilità del nostro e di tutti i tempi
figli del consumarsi del tradimento dell’uomo verso Dio
Parlate con il cuore. Questa volta il messaggio di Papa
Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è quasi un
appello. Accorato; detto cioè anch’esso con il cuore, come suggerisce
l’etimologia della parola. Detto con realismo, senza nascondere il dolore, lo
struggimento che comporta il parlare con il cuore, il caricare su se stessi il
dramma dell’isolamento, della incomunicabilità del nostro e di tutti i tempi
figli del consumarsi del tradimento dell’uomo verso Dio.
Papa Francesco ha usato la parola cardiosclerosi, che non
è solo una metafora. Abbiamo bisogno di parlare con cuori che non siano
induriti. Abbiamo bisogno di una comunicazione che sappia tessere una relazione
vera; sappia non solo raccontare il bene ma anche vedere il male senza
rimanerne imprigionata, per riscattarlo.
Il problema è esattamente qui. Quando il parlare diventa
vuoto e vanitoso; è allora che bisogna mettersi in discussione, fare un esame
di coscienza personale e collettivo. Quando parliamo, parliamo con il cuore o
con la pancia? Quando pensiamo usiamo ancora anche il cuore o ragioniamo con la
freddezza senza emozioni di una macchina? Con questo messaggio una cosa
innanzitutto ci dice il Papa. Che solo ascoltando con il cuore puro, sapremo
anche parlare con il cuore, e seguire la verità nell’amore (cfr Ef 4,15).
Davvero beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. I puri di cuore vedono
oltre l’apparenza. Vedono l’unità possibile oltre la divisione.
Questa è la sfida della buona comunicazione. Per
raccontare le cose bisogna camminarci dentro. Farne esperienza con amore.
Misurarne le contraddizioni, anche.
Intravedere le faglie di crisi. Immaginare con amore le
possibili linee di evoluzione. L’amore si basa su questa fragilità suprema che
è il sentire il bisogno di di amare e di essere amati. Qui è la radice di ogni
comunicazione. Per questo la connessione da sola non basta. Per questo non
basta l’abbondanza di informazioni che ci sommerge. Per questo è necessario che
tutti prendano sul serio l’esercizio di una comunicazione costruttiva, attiva,
partecipata. Sappiano purificare e difendere il proprio cuore. E sappiano negoziare
questa libertà. Non c’è comunicazione se non c’è comunione. E non c’è comunione
se non c’è comunicazione.In questo senso, la creatività comunicativa – se
vogliamo chiamarla così – non sta solo nella capacità di scrittura, di ripresa
fotografica cinematografica, di montaggio ma anche in quella di tessere una
relazione profonda fra le persone, cioè fra i loro cuori. Che ne sarà
altrimenti della comunicazione, nell’era digitale se non sapremo distinguere
fra una compilazione senza anima di dati senza controllo ed un racconto con
l’anima? Se il giornalismo diventerà un modo come un altro per assemblare dati
ad altri fini rispetto alla ricerca e alla condivisione della verità, e di un
punto di vista? Se perderemo il rapporto autentico con chi ci legge, con chi ci
ascolta, con chi guarda i nostri servizi su qualsiasi device questo avvenga?
Domandiamoci anzi a questo proposito: chi ha negoziato
gli algoritmi? Cosa è che li muove? Chi è il padrone degli algoritmi? Chi è il
padrone dei dati? In che modo è o non è il cuore che anima la nostra
comunicazione.Come scrive il Papa nel suo messaggio, è dal cuore che
scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e
diviso; per partecipare alla costruzione di una civiltà migliore di quella che
abbiamo ricevuto. Questa è la comunicazione da cuore a cuore. Paolo Ruffini,
Sir 20
Festa della mamma alla Missione di Kempten
Kempten. Numerosi i connazionali intervenuti il 20 maggio
scorso alla Festa della Mamma, che ha avuto luogo subito dopo la S. Messa
nella Sala Parrocchiale di St. Anton di Kempten. In questa gioiosa
occasione – come negli anni prima della pandemia – i Soci del Circolo
ACLI di Kempten hanno avuto modo di confermare la loro fedeltà alle ACLI, e,
molti dei presenti, di conoscerle.
Il lieto incontro è iniziato alle 17:00 con la
partecipazione di molti intervenuti alla S. Messa concelebrata nella bella
chiesa di St. Anton dal Rettore delle Missioni Cattoliche Italiane di Augsburg
e Kempten, Padre Bruno Zuchowski. e dal Rettore delle Missioni di Ulm e
Neu-Ulm, Don Giampiero Fantastico. La Celebrazione dell'Ascensione del Signore,
è stata – come di consueto – allietata dai bei canti intonati all'occasione,
accompagnati magistralmente alla chitarra da Giampiero Trovato, Presidente del
Consiglio Pastorale della Missione e Segretario per le Risorse del locale
Circolo ACLI. Belle le Letture eseguite da alcuni dei presenti, tra i quali il
Comm. Carmine Macaluso e il Dr. Fernando Grasso. Coinvolgente l'Omelia di
Don Giampiero a commento del Brano che racconta l'Ascensione di Gesù (Lc
24,46-53). Splendido l'angolo con l'effigie della Madre del Signore posto a
destra dell'Altare. E magnifico il canto al termine della Funzione, veramente
appropriato in questo mese di Maggio in cui si venera particolarmente la
Vergine Maria, che il 1° Maggio scorso è stata onorata con una
pellegrinaggio ad Augsburg da parte di un gruppo della comunità cattolica di
Kempten.
Al termine del Rito, Padre Bruno, dopo aver comunicato la
dipartita del Cav. Corrado Mangano, per lunghi anni Operatore della Caritas e
Corrispondente Consolare, ha invitato i convenuti a recarsi nella Sala
Parrocchiale. La festa, moderata dalla Segretaria della Missione, Signora Pina
Baiano, nonché Segretaria Organizzativa del Circolo ACLI, coadiuvata da Gisella
e Giampiero Trovato e da altri membri della Comunità, si è aperta nella sala
parrocchiale, professionalmente preparata dalle Signore Trovato e
Baiano-Polverino, con i saluti di benvenuto di Padre Bruno, anche
Assistente Spirituale, e Membro della Presidenza delle ACLI, che si è detto
felice di incontrare i numerosi connazionali provenienti anche da alcune
cittadine vicine.
Invitato dal Rettore, ha preso quindi la
parola il Dr. Fernando A Grasso, nelle vesti di Vicepresidente
Vicario delle ACLI Baviera e del Circolo ACLI locale, di Membro della
Presidenza delle ACLI Germania, e di Corrispondente Consolare per il
Circondario di Kempten, nonché Membro del Consiglio Pastorale della MCI di
Kempten. Grasso, che, all'inizio della festa, aveva messo in bella vista un
manifesto delle ACLI, dopo aver salutato anche lui le Mamme e i presenti
intervenuti, in special modo: il Presidente Circoscrizionale del Movimento
Cattolico Tedesco, KAB, Signor Manfred Stick e Signora, ambedue Soci del locale
Circolo ACLI, il Presidente delle ACLI Baviera e Vicepresidente delle ACLI
Germania, Comm. Carmine Macaluso, i due Rettori delle Missioni Italiane e altri
Sacerdoti, tra i quali il Cappellano di St. Lorenz, Dr. Joseph Afatchao, ha
invitato i presenti ad osservare un minuto di raccoglimento in ricordo del Cav.
Corrado Mangano, comunicando la data del funerale, in analogia a quanto fatto
poco prima da Padre Bruno in chiesa, dato che alcuni dei presenti erano
arrivati alla festa dopo la celebrazione.
Quindi Grasso ha fatto altre comunicazioni inerenti
il disbrigo delle pratiche consolari; anche in seguito al recente insediamento
a Monaco di Baviera del nuovo Console Generale, Dr. Sergio Maffettone, con il
quale egli, ha avuto un recente incontro, insieme con il Presidente Macaluso. A
questo proposito Grasso si è soffermato sulle nuove modalità di rilascio dei
documenti, su alcuni problemi tecnici, legati ai collegamenti telematici, che
il nuovo Diplomatico intende appianare, e, non per ultimo, ha confermato quanto
già deciso dal suo predecessore: la corsia preferenziale per gli ultra
settantenni e i neonati, data l'attesa piuttosto lunga alla quale si devono
sobbarcare i connazionali prima di ricevere un appuntamento.
Grasso, come più volte in passato, non ha tralasciato di
specificare che i Servizi Consolari e quelli di Patronato nel Circondario
di Kempten vengono offerti nell'Ufficio multifunzionale sito nella
Freudental 5b – in forma assolutamente gratuita e a titolo volontaristico –
almeno per sei volte al mese, in presenza, ma, in realtà, durante tutto l'arco
della giornata, grazie ai collegamenti telematici e alla deviazione delle
chiamate telefoniche in arrivo all'ufficio ad una delle sue linee private,
anche di domenica e nei giorni festivi.
Parlando inoltre delle pratiche svolte dalla sede
Patronato ACLI di Monaco, con presenza mensile a Kempten, Grasso ha comunicato
che, al momento, provvederà lui a inoltrare a Monaco le richieste, dato
che, momentaneamente, questa sede non è in grado di inviare un Operatore
a Kempten. A questo proposito ha invitato i presenti a cercare nella cerchia di
connazionali aspiranti al posto di Operatore di Patronato ACLI nella
sede di Monaco.
Il Corrispondente ha ricordato anche ai presenti di
provvedere per tempo alle richieste di appuntamento per il rilascio delle carte
d'identità, dei passaporti e di documenti vari (certificato di capacità
matrimoniale, iscrizione AIRE attraverso il Portale Fast It, Prenot@mi,
fornendosi inoltre dell'identità digitale Spid, per poter accedere più
facilmente ai servizi offerti dagli Enti pubblici. Grasso ha comunicato anche
che, nel periodo delle vacanze estive il suo ufficio rimarrà chiuso, ma che
egli – per casi urgenti – potrà essere raggiunto
telematicamente consultando il link apposito nel suo sito principale.
Poi Grasso ha continuato il suo intervento in qualità di
Presidente del Circolo ACLI di Kempten, commentando gli ultimi avvenimenti
inerenti alle ACLI, a cominciare dalla nuova modalità di tesseramento ACLI,
annunciando che durante l'incontro avrebbe provveduto a ricevere, insieme al
Tesoriere Trovato, le conferme e le nuove adesioni alle ACLI. Coadiuvato
da Macaluso, ha iniziato quindi a distribuire le tessere ACLI del 2023,
cominciando con il padrone di casa: Padre Bruno e continuando con il Presidente
del KAB Stick e Consorte. Poi ha preso la parola Macaluso.
Nel suo intervento il Presidente delle ACLI, ha ripreso
quanto appena esposto sinteticamente da Grasso, soffermandosi su alcuni
particolari, specie in relazione al recente incontro con il Console Generale
Dr. Maffettone, non mancando di annunciare la sua intenzione di intervenire a
Kempten con il suo gruppo Folk-ACLI in un prossimo futuro e ribadendo quanto
fanno le ACLI in favore delle nostre Comunità da decenni.
Dopo questi interventi è arrivato il momento tanto
atteso, specie da parte delle Mamme: le esibizioni dei bambini della
Missione, preparati e diretti dalla Segretaria della Missione.
Durante questo spettacolo i piccoli hanno regalato ai
presenti dei momenti veramente artistici ed esilaranti: tra cui un paio di
balletti, la recita di un paio di poesie in vari dialetti, alcuni saggi ginnici
e di karate e delle divertenti barzellette. Esibizioni, a cui ha partecipato
simpaticamente anche la Signora Baiano-Polverino e che hanno suscitato gli
entusiastici applausi del pubblico, e per le quali i giovani attori hanno
ottenuto anche un piccolo dono da parte della Missione e la Segretaria dei
fiori.
I Presenti, tra cui il Circolo ACLI, hanno sostenuto con
un contributo le spese per la sala.
La festa è proseguita quindi con tanti altri momenti di
gioia, e con la degustazione di svariati, deliziosi manicaretti preparati
dalle Signore e dalle Mamme presenti.
Tra gli intervenuti, non ancora nominati,
ricordiamo: il Consigliere del Circolo ACLI, Signor Mastrostefano e
Signora; il Consigliere Scarvaglieri e Signora; i Signori: Emanuele, (che
Grasso e Macaluso conoscono da una vita), Aversente, Capuano, e tanti,
tanti altri cari amici e conoscenti.
Molto lusinghieri i commenti degli intervenuti –
tra i quali i Presidenti Macaluso e Stick – e per la bella riuscita
della festa, e per la magnifica preparazione dei tavoli, e per le decorazioni
della sala, e per gli squisiti manicaretti, e – soprattutto
– per la cordialissima conduzione del pomeriggio.
La festa è terminata alle 21:00 circa.
Fernando A. Grasso, de.it.press
G7, Papa Francesco: "L'uso dell’energia atomica per fini di guerra è
un crimine"
Lettera di Papa Francesco al Vescovo di Hiroshima in
occasione del G7 in corso nella città giapponese - Di Marco Mancini
Città del Vaticano. “La scelta di Hiroshima come luogo
dell’incontro è particolarmente significativa alla luce della continua minaccia
del ricorso ad armi nucleari”. Lo scrive il Papa nel messaggio inviato al
vescovo di Hiroshima, Monsignor Alexis Mitsuru Shirahama, in occasione del
vertice del G7 che si sta svolgendo nella città giapponese.
Il G7 è la riunione che ciclicamente vede riuniti i
leaders di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e
Giappone. Presenti ai lavori anche i rappresentanti dell’Unione Europea. Sul
tavolo di questo vertice le questioni più delicate di politica internazionale,
in particolare la guerra in Ucraina e i rapporti con la Repubblica Popolare
Cinese, ma anche le questioni climatiche.
Nel suo messaggio il Pontefice ricorda che “l’uso
dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non
solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella
nostra casa comune. Gli eventi degli ultimi anni hanno reso evidente che solo
insieme, in fratellanza e solidarietà, la nostra famiglia umana può cercare di
curare le ferite e costruire un mondo giusto e pacifico”.
Francesco sottolinea che oggi “la ricerca della pace è
strettamente collegata al bisogno di sicurezza e alla riflessione sui mezzi più
efficaci per garantirla. Tale riflessione deve necessariamente tenere in
considerazione il fatto che la sicurezza globale deve essere integrale, capace
di abbracciare questioni come l’accesso a cibo e acqua, il rispetto
dell’ambiente, l’assistenza sanitaria, le fonti energetiche e la equa
distribuzione dei beni del mondo. Un concetto integrale di sicurezza può
servire a rinsaldare il multilateralismo e la cooperazione internazionale tra
attori governativi e non governativi, sulla base della profonda interconnessione
tra tali questioni, la quale rende necessario adottare, insieme, un approccio
di cooperazione multilaterale responsabile”.
Concludendo Papa Francesco torna a condannare le armi
nucleari, inadeguate “per rispondere in modo efficace alle grandi minacce
odierne alla pace e per garantire la sicurezza nazionale e internazionale.
Basta considerare l’impatto umanitario e ambientale catastrofico che
risulterebbe dall’uso di armi nucleari, come anche lo spreco a la cattiva
destinazione di risorse umane ed economiche che la loro produzione comporta. Né
dobbiamo sottovalutare gli effetti del persistente clima di paura e sospetto
generato dal mero possesso delle stesse, che compromette la crescita di un
clima di fiducia reciproca e di dialogo. In tale contesto, le armi nucleari e
le altre armi di distruzione di massa rappresentano un moltiplicatore di
rischio che dà solo un'illusione di pace”. Aci 20
Il direttore del quotidiano di ispirazione cattolica al
Sir: “Dal Papa l’invito a parlare cordialmente, cioè pulire il nostro
sguardo e il nostro ascolto per rendere quello che diciamo e raccontiamo capace
di arrivare al cuore dell’altro e favorire l’incontro” - di Filippo Passantino
Seguire uno stile di narrazione onesta dei fatti
accompagnata da opinioni autorevoli, in un tempo dove il flusso di informazioni
è sempre più social e sempre più polarizzato. Ecco la linea di Avvenire,
indicata dal direttore, Marco Girardo, che si sofferma ad analizzare al Sir le
sfide che attendono il mondo dell’informazione e il quotidiano, che dirige da
circa 15 giorni, alla vigilia di grandi cambiamenti tecnologici, come
l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei sistemi di lavoro. E lo fa
alla vigilia della 57ª Giornata delle comunicazioni sociali, che ricorre
domani, domenica 21 maggio.
Qual è l’importanza, quest’anno, della Giornata delle
comunicazioni sociali?
È un momento importante nobilitato dallo splendido
messaggio di Papa Francesco per questa 57esima giornata delle comunicazioni
sociali. Lo è perché siamo in un periodo storico segnato anche da forti
polarizzazioni nelle posizioni, alimentate da una nuova modalità di
comunicazione che si esprime attraverso i social media. Questi, infatti, – per
loro natura e struttura algoritmica – tendono a funzionare tanto più
polarizzano l’informazione. Quindi, in questo momento specifico, il centro del
messaggio del Papa è parlare con il cuore, cioè comunicare cordialmente, essere
disposti a pulire il nostro sguardo e il nostro ascolto e rendere quello che
diciamo e raccontiamo capace di arrivare al cuore dell’altro, in modo da
favorire l’incontro: è proprio un messaggio centrato nel tempo che stiamo
vivendo.
Come può il giornalismo contribuire a seminare la pace?
Questo messaggio ci aiuta a capire che chi è un autore
dell’informazione è necessario che si renda capace, prima di informare, di
praticare questo discernimento – capacità di leggere la realtà tenendo insieme
mente e cuore –. Una capacità che favorisca la possibilità di creare dei ponti,
cioè vicinanza con l’altro. E mantenere – anche quando sono scomode – alcune
posizioni, ma sempre raggiungendo l’altro.
Come le nuove tecnologie stanno cambiando il giornalismo
e come saranno presenti nel futuro di Avvenire?
In generale, dobbiamo essere consapevoli che in questo
momento noi siamo immersi nel frullatore dell’informazione in cui si corre il
rischio di alimentare un mercato di esperienze polarizzate. Ci stiamo muovendo
in questo contesto.
Noi proviamo ad inserirci cercando di socializzare il
nostro stile. Che è quello di accompagnare sempre i fatti raccontati con onestà
e con opinioni di valore. Perché la tendenza attualmente è quella di scambiare
i fatti per fattori, per opinioni. C’è una grande confusione. Non ci serve
urlare per sopravvivere. Non serve gridare l’informazione.
Cercheremo sempre di più – e questo è un punto
fondamentale – di rimpiazzare il sensazionale con il fondamentale e soprattutto
il recente con il rilevante. Per riuscirci occorre compiere un’operazione
precedente, di ascolto di quello che succede, di pulizia interiore. In modo da
essere pronti a fare questo tipo di informazione.
Da poco più di 15 giorni è alla direzione di Avvenire. Che
cosa si promette di realizzare?
Ho vissuto con grande senso di responsabilità il fatto di
essere alla guida di una squadra molto composita di grandissimi colleghi. Non
mi sento solo.
Faccio parte di una squadra che, in tutti questi anni, ha
portato Avvenire a essere una voce autorevole nell’informazione e una voce
onesta, soprattutto quando c’è da prendere una posizione decisa su certi temi.
Il compito che mi aspetta è trasferire questa autorevolezza acquisita sempre
più nel nuovo contesto, che prevede una transizione al digitale e richiede un
lavoro di squadra ancora più allargato, con figure a supporto delle nuove
modalità di fare informazione.
Bisogna trasferire, dunque, quella che è la forza di
Avvenire – la sua autorevolezza, la sua capacità di leggere la realtà con occhi
limpidi e con il cuore aperto, come dice il Papa – anche al mondo digitale.
Come può l’intelligenza artificiale incidere sul lavoro
di Avvenire?
Siamo veramente su un tema di frontiera. Credo che anche
l’intelligenza artificiale, con tutte le sue potenzialità e i suoi potenziali
rischi, debba essere considerata uno strumento. Quindi, debba essere utilizzato
come tale. Alla fine, la responsabilità è sempre di chi utilizza lo strumento.
Potremo in qualche modo utilizzarla, come supporto laddove servisse, senza mai
sostituire il lavoro fondamentale di ogni giornalista, che è quello di saper
leggere la realtà con tutti gli strumenti che ha e di esprimere la propria
visione del mondo. Sir 20
La Santa Sede ritira il francobollo della GMG Lisbona 2023 dopo le
polemiche
Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ha
ritirato dalla circolazione il francobollo commemorativo della Giornata Mondiale
della Gioventù. Ecco perchè
Città del Vaticano. Il Governatorato dello Stato della
Città del Vaticano ha ritirato dalla circolazione il francobollo commemorativo
della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) Lisbona 2023, emesso martedì. La
decisione è stata presa dopo che il progetto, ispirato al monumento Padrão dos
Descobrimentos di Lisbona, è stato criticato per essere
"nazionalista" e "colonialista".
Secondo Vatican News, "il francobollo ha suscitato
diversi commenti negativi, che hanno sottolineato che il disegno, legato a un
noto monumento, richiami un passato colonialista molto lontano dal messaggio di
fraternità universale di Papa Francesco".
Il francobollo è stato disegnato dall'artista italiano
Stefano Morri e raffigura "il papa sulla prua di una barca, ispirato alla
caravella del Monumento alle Scoperte, che conduce i giovani nel futuro",
afferma Vatican News.
Il monumento Padrão dos Descobrimentos si trova sulle
rive del fiume Tago a Lisbona. È una caravella che ha a prua l'infante Dom
Henrique, "autore dell'espansione marittima" del Portogallo, "e
altri protagonisti dell'impero marittimo portoghese". Fu costruito nel
1960, "500 anni dopo la morte del bambino, per celebrare l'età portoghese
delle scoperte", incluso l'arrivo in Brasile nel 1500, dove i portoghesi
portarono la loro civiltà e il Vangelo.
Sul francobollo della GMG, Papa Francesco indica in
avanti ed è accompagnato da altri otto giovani, uno inginocchiato in preghiera
e l'altro con in mano una bandiera del Portogallo. Aci 19
Vangelo Migrante: Ascensione del Signore |Vangelo (Mt 28, 16-20)
Nella versione dell’evangelista Matteo non viene
raccontata la ‘scena’ dell’Ascensione ma il suo senso.
Si parla di un passaggio dalla terra al cielo che
riguarda Gesù. Con l’Ascensione è stata aperta una via di collegamento; una via
che non potrà più essere chiusa. Non vi è più una separazione insanabile tra il
mondo dell’uomo e il mondo di Dio: Gesù stesso è la Via che rimette in
collegamento i due mondi, la Porta attraverso la quale l’umanità può ritornare
nel giardino di Dio.
Una via è costruita per essere percorsa. Per questo Gesù
lascia una mandato: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”. Ciò che è
stato dato di comprendere e di vivere ai discepoli, non può essere tenuto solo
per loro: il comando di Gesù è chiaro ed esorta ad andare ovunque per dire a
tutti la verità di questa via che ormai è ‘la Via’ che dalla terra conduce a
Dio.
Il giorno dell’Ascensione di Gesù è anche il giorno
dell’invio dei discepoli a tutti i popoli. Per questo in diverse diocesi questa
è la domenica in cui si celebra anche la Festa dei Popoli: il giorno nel quale
il Signore ritorna al Padre è l’inizio di un mondo nuovo. La Chiesa contempla e
cammina: contempla il suo Signore che ascende, cammina piena di gioia
raccontando agli uomini la salvezza di Dio.
Il tutto, non a caso, avviene in Galilea, un luogo
meticcio, abitato da uomini e donne di diverse culture e provenienze, non
proprio ortodosso, secondo i canoni religiosi dettati a Gerusalemme; e, forse,
non proprio scontato nemmeno ai nostri giorni. L’appuntamento, lo ha dato Gesù
la mattina della Resurrezione. La convocazione attorno a Gesù la fa Gesù. I
discepoli rispondono a quello che chiede Lui e fanno quello che chiede Lui.
Questo è il ‘milieu’ umano e spirituale in cui uno
sparuto gruppo di discepoli inizia quella missione che dura ancora oggi; ed è
là che torniamo tutti quando, stanchi e sfiduciati, possiamo riascoltare la Sua
voce: “ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (p.
G. Saracino) migr.on.
Giornata delle Comunicazioni sociali domenica 21 maggio. Parlare con il
cuore
Proseguendo nella stesura di un suo ideale “manuale del
buon comunicatore”, papa Francesco sofferma la sua attenzione nel Messaggio per
la Giornata delle comunicazioni sociali che celebreremo domenica
21 maggio, su un altro degli atteggiamenti che dovrebbero segnare la
quotidianità di quanti operano nel mondo dei mass-media.
Il “parlare con il cuore. Secondo la verità nella carità”
si aggiunge, così, all’”andare a vedere” (2021) ed “ascoltare” (2022) da cui
era partita la riflessione gli scorsi anni: un appello che “interpella
radicalmente il nostro tempo, così propenso all’indifferenza ed
all’indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione, che falsifica
e strumentalizza la verità”.
Francesco sollecita ad aprirsi ad una cordialità che
permette di andare oltre l’indifferenza e gli stereotipi, facendosi anche
intendere da chi, apparentemente, è incapace di ascoltare e parlare
“raggiungendo anche i cuori più induriti”: l’esempio indicato nel testo è
quello significativo del rapporto di San Francesco di Sales con il sordomuto
Martino.
Percorrendo questa strada, il testo cessa di essere un
monologo unidirezionale ma diventa dialogo che vuole parlare da cuore a cuore;
l’articolo, cartaceo o digitale, non rimane uno strumento statico ma nella sua
dinamicità testimonia come la comunicazione sia davvero, prima di tutto, comunione.
Ad oltre mezzo secolo dalla sua stesura, risuona, quindi, più che mai attuale
l’auspicio dell’Istruzione pastorale “Communio et Progressio” pubblicata nel
1971 “per disposizione del Concilio ecumenico Vaticano II” dalla Pontificia
Commissione per le comunicazioni sociali: “La comunicazione, per la quale gli
uomini divengono prossimi tra di loro, si trasformi davvero in comunione”.
Anche nell’era del Web 4.0., dinanzi alle sfide che il
Metaverso già propone all’intero sistema globale massmediale – con ChatGpt che
si propone come il redattore del futuro - Papa Francesco ci richiama ad una
verità profonda: “Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità ed a farlo
con carità” e questo comporta una comunicazione “dal cuore e dalle braccia
aperte”.
Rendendosene conto, il giornalista non scrive più per un
lettore generico, estraneo ed indistinto ma deve considerare il lettore come
“un compagno di strada”, conscio che le sue parole, i suoi articoli influiranno
sulla vita di chi li ascolta. Un atteggiamento che lo deve portare a non
“fomentare un livore che esaspera, genera rabbia e porta allo scontro”,
aiutando, piuttosto, “le persone a riflettere pacatamente, a decifrare con
spirito cristico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono”. Il richiamo ad
un linguaggio “non-ostile” si contrappone, fra l’altro, alla sempre più
incontrollata diffusione di fake-news e all’hate speech, particolarmente nel
mondo dell’informazione digitale.
Il papa, poi, sottolinea come i comunicatori possano
davvero diventare costruttori di pace e questo, in un periodo come l’attuale,
assume una valenza del tutto particolare.
Francesco ci ricorda che la fine delle violenze e delle
guerre può dipendere anche dal nostro modo di raccontare quanto avviene:
“abbiamo bisogno di comunicatori disponibili a dialogare, coinvolti nel
favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si
annida nei nostri cuori”. Un giornalismo “coinvolto” e “coinvolgente”,
schierato, però, non con una delle parti in conflitto ma con quanti credono
ancora che la strada per la risoluzione dei conflitti passi attraverso la
ricerca della pace e non solo con l’uso delle armi; un giornalismo che parla e
scrive con il cuore perché “partecipe alle gioie ed alle paure, alle speranze
ed alle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo”.
E leggendo queste espressioni, sentiamo risuonare
attualizzate le parole che i Padri del Concilio Vaticano II ci affidarono
donandoci la Gaudium et Spes: un impegno per un giornalismo di profezia nella
certezza che essere profeti non è prevedere il futuro ma impegnarsi perché esso
possa essere migliore.
Mauro Ungaro, Presidente FISC (de.it.press 18)
Noi, complici del disastro del Pianeta
La prefazione di Papa Francesco al libro-manifesto di
Petrini e Giraud sul futuro della Terra: «Ascoltiamo i giovani: consumando meno
e puntando sui rapporti umani saremo felici» - di papa Francesco
Il bene che appare come bello porta con sé la ragione per
cui deve essere compiuto. È questo il primo pensiero che mi è sorto dopo aver
letto questo bel dialogo tra Carlo Petrini, che conosco e stimo da anni,
gastronomo e attivista noto in tutto il mondo, e Gaël Giraud, un gesuita
economista di cui ho apprezzato vari contributi apparsi su La Civiltà
Cattolica(...).
Perché questo collegamento? Perché la lettura di questo
testo ha generato in me un vero e proprio “gusto” del bello e del buono, cioè
un sapore di speranza, di autenticità, di futuro. Ciò che i due autori portano
avanti in questo scambio è una sorta di “narrazione critica” rispetto alla
situazione globale: da un lato elaborano un’analisi motivata e stringente al
modello economico-alimentare in cui siamo immersi il quale, per rifarsi alla
celebre definizione di uno scrittore, «conosce il prezzo di tutto e il valore di
niente»; dall’altra propongono diversi esempi costruttivi, esperienze assodate,
vicende singolari di cura del bene comune e dei beni comuni che aprono il
lettore a uno sguardo di bene e di fiducia sul nostro tempo. Critica di ciò che
non va, racconto di situazioni positive: uno con l’altro, non l’uno senza
l’altro.
Mi piace rimarcare un dato significativo: il fatto che in
queste pagine Petrini e Giraud, uno un attivista settantenne, l’altro un
professore di economia cinquantenne, ovvero due adulti, riscontrino nelle nuove
generazioni assodati motivi di fiducia e di speranza. Solitamente noi adulti ci
lamentiamo dei giovani, anzi ripetiamo che i tempi “passati” erano sicuramente
migliori, e che chi viene dopo di noi sta dilapidando le nostre conquiste. E invece
dobbiamo ammettere con sincerità che sono i giovani a incarnare in prima
persona il cambiamento di cui abbiamo tutti oggettivamente bisogno. Sono loro
che ci stanno chiedendo, in varie parti del mondo, di cambiare. Cambiare il
nostro stile di vita, così predatorio verso l’ambiente. (...) E non solo ce lo
stanno chiedendo, lo stanno facendo: andando in piazza, manifestando il proprio
dissenso rispetto a un sistema economico iniquo per i poveri e nemico
dell’ambiente. E lo stanno realizzando partendo dal quotidiano: fanno scelte
responsabili in tema di cibo, di trasporti, di consumi.
I giovani ci stanno educando su questo! Scelgono di
consumare di meno e di vivere di più le relazioni interpersonali; (...). Per
me, vedere che questi comportamenti si stanno diffondendo fino a diventare
prassi comune è motivo di consolazione e di fiducia. Petrini e Giraud fanno
spesso riferimento ai movimenti giovanili che portano avanti le istanze della
giustizia climatica e della giustizia sociale: i due aspetti vanno tenuti
insieme, sempre.
I due autori indicano strade operative per uno sviluppo
economico durevole e criticano alla base il concetto di benessere che va per la
maggiore oggigiorno. Quello secondo il quale il Pil è un idolo cui sacrificare
ogni aspetto del vivere comune: rispetto dell’ambiente, rispetto dei diritti,
rispetto della dignità umana. Mi ha molto colpito che Gaël Giraud abbia
ricostruito il modo in cui storicamente il Pil si è affermato come unico
parametro per giudicare la salute dell’economia di una nazione. Egli afferma
che questo è avvenuto durante la stagione del nazismo e che il punto di
riferimento era rappresentato dall’industria delle armi: il Pil ha un’origine
“bellica”, potremmo dire. Tanto che per questo motivo il lavoro delle donne
casalinghe non è mai stato conteggiato: perché il loro impegno non serve alla
guerra. Un’altra prova di quanto sia urgente sbarazzarsi di questa prospettiva
economicistica, che sembra disprezzare il lato umano dell’economia,
sacrificandolo sull’altare del profitto come metro assoluto.
La natura di questo libro è inoltre doppiamente
interessante. Primo, perché avviene nella forma di un dialogo. Questo è un dato
che ritengo importante sottolineare.(...) È la conversazione che diventa
occasione di crescita, non il fondamentalismo che sbarra la strada alla novità.
È il dibattito il momento in cui maturiamo, non l’ermetica certezza di essere
noi quelli sempre “nel giusto”. Anche e soprattutto quando parliamo della
ricerca della verità. Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, martire,
affermava: «La verità non la si possiede, e io ho bisogno della verità degli
altri». Mi permetto di aggiungere: il cristiano sa che non conquista la verità,
ma semmai è lui a essere “conquistato” dalla Verità, che è Cristo stesso. Per questo
credo fortemente che la pratica del dialogo, del confronto e dell’incontro sia
oggi quanto di più urgente da insegnare alle nuove generazioni, fin dai
bambini, per non favorire la costruzione di personalità chiuse a doppia mandata
nell’angustia delle proprie convinzioni.
In secondo luogo, i due interlocutori - saggiamente
stimolati dal curatore - rappresentano punti di vista e origini culturali
diverse: Petrini, che si definisce agnostico e con cui ho avuto già la gioia di
dialogare per un altro testo; Giraud, un gesuita. Ma questo dato oggettivo non
impedisce loro di portare avanti una conversazione costruttiva che diventa il
manifesto di un futuro plausibile per la nostra società e il nostro stesso
pianeta, così minacciato dalle conseguenze nefaste di un approccio distruttivo,
colonialista e dominatore sul creato. Un credente e un agnostico parlano e si
incontrano su diversi aspetti che la nostra società deve far propri perché il
domani del mondo sia ancora possibile: mi sembra qualcosa di bello! E lo è
ancor di più perché, nel confronto, affiora nettamente la convinzione
dell’importanza decisiva dell’unica parola di Gesù, riportata dagli Atti degli
apostoli, non presente nei Vangeli: «V’è più gioia nel dare che nel ricevere».
Sì, perché quando i due interlocutori riscontrano nel consumo spinto
all’eccesso e nello spreco elevato a sistema il male della contemporaneità, e
individuano nell’altruismo e nella fraternità le vere condizioni perché il
vivere insieme sia duraturo e pacifico, comprovano che la prospettiva di Gesù è
feconda e luogo di vita per tutti gli uomini e le donne. Per chi ha un
orizzonte di fede e per quanti non lo hanno. La fraternità umana e l’amicizia
sociale, dimensioni antropologiche a cui ho dedicato l’ultima enciclica
Fratelli tutti, devono diventare sempre di più la base concreta delle nostre
relazioni, a livello personale, comunitario e politico.
L’orizzonte di preoccupazione su cui Petrini e Giraud
focalizzano la loro attenzione è la situazione ambientale critica in cui ci
troviamo, figlia di quell’«economia che uccide» e che ha causato il grido
sofferente della Terra e il grido angosciante e angoscioso dei poveri del
mondo. Di fronte alle notizie che ci arrivano - siccità, disastri ambientali,
migrazioni forzate a causa del clima - non possiamo restare indifferenti:
saremmo complici della distruzione della bellezza che Dio ha voluto donarci nel
creato che ci circonda. Tanto più che in questo modo va a perire quel dono
«molto buono» che il Creatore forgiò con acqua e polvere, l’uomo e la donna.
Ammettiamolo: lo sviluppo economico sconsiderato cui ci siamo piegati sta
causando squilibri climatici che stanno gravando sulle spalle dei più poveri,
in particolare nell’Africa subsahariana. Come possiamo chiudere le porte a
quanti fuggono, e fuggiranno, da situazioni ambientali insostenibili,
conseguenze dirette del nostro consumismo smodato?
Credo che questo libro sia un dono prezioso, perché ci
indica una strada e la concreta possibilità di percorrerla, a livello
individuale, comunitario e istituzionale: la transizione ecologica può
rappresentare un ambito in cui tutti, da fratelli e sorelle, ci prendiamo cura
della casa comune, scommettendo sul fatto che consumando meno e vivendo più
relazioni personali varcheremo la porta della nostra felicità. Città del
Vaticano, 11 aprile 2023 LS 17
Maltempo in Emilia Romagna: vescovi, vicinanza, accoglienza e solidarietà
Davanti alla drammatica emergenza dovuta all’alluvione,
alle persistenti piogge e alle esondazioni dei fiumi che hanno colpito, in
questi giorni, in particolar modo la Romagna ma anche Bologna e altre zone
della nostra regione, i vescovi della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna
(Ceer) elevano una preghiera al Signore perché la situazione possa al più
presto migliorare ed esprimono vicinanza per le vittime, per tutti coloro che
sono stati colpiti e per i tanti che stanno vivendo e soffrendo ore di angoscia
poiché sfollati o bloccati dagli allagamenti, dalle strade e dai collegamenti
interrotti. I vescovi della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna,
presieduta dal card. Matteo Zuppi, hanno richiamato tutte le comunità ad
accogliere e ad aiutare chi è nel bisogno, al senso di responsabilità per il
bene comune e a rispettare le disposizioni dei sindaci e delle autorità
istituzionali a cui esprimono la propria vicinanza per l’impegno profuso, in
particolare dalla Protezione civile e dalle varie realtà che si adoperano.
“Di fronte a questa nuova calamità – affermano i vescovi
della Ceer – capiamo con chiarezza come dobbiamo essere uniti nell’emergenza,
come scegliere insieme di curare la nostra casa comune e ci impegniamo a fare
quanto necessario per collaborare con i soccorsi e nel garantire accoglienza e
solidarietà a chi si trova nel bisogno”.
Il vescovo di Rimini, mons. Nicolò Anselmi, che
attualmente si trova in viaggio pastorale in Albania, esprime la propria
vicinanza nei confronti di tutti coloro che dalle prime del 16 maggio sono
colpiti dai drammatici alluvioni nei territori dell’Emilia Romagna. “Esprimo
tutta la mia vicinanza e invio la benedizione a nome della diocesi di Rimini a
tutti coloro che sono stati colpiti dai violenti nubifragi di questi giorni –
le parole di mons. Anselmi –. Ringrazio tutti gli enti, le istituzioni e i
volontari che si sono messi a servizio e a disposizione e si sono prodigati in
queste ore difficili e drammatiche per intervenire, aiutare, collaborare, porre
rimedio ai danni causati dal maltempo. Credo che questa bella solidarietà e
questo senso di fraternità debbano continuare ad esprimersi nelle prossime ore,
quando l’allerta meteo sarà terminata ma la popolazione colpita dovrà
affrontare nuovi e importanti sforzi per ripartire”. Le parole del vescovo di
Rimini si aggiungono a quelle dei vescovi della Conferenza episcopale
dell’Emilia Romagna, che invitano le comunità ad aiutare chi è in difficoltà e
ad impegnarsi di più per la cura e la custodia del creato.
In un telegramma inviato al presidente della CEI, il Cardinale
Matteo Maria Zuppi, il Pontefice assicura la sua preghiera per le vittime e
parla di disastro impressionante, ringraziando quanti si stanno adoperando per
i soccorsi.
Finora 9 i morti accertati nel disastro, almeno 20.000 le
persone sfollate.
Nel telegramma il Papa assicura la propria vicinanza
spirituale, insieme a quella del Segretario di Stato, il Cardinale Parolin.
(G.A.) sir 17
Papa Francesco racconta San Francesco Saverio, il Patrono
delle missioni
"San Francesco Saverio ci dia un po' di questo zelo,
per vivere il Vangelo e annunciare il Vangelo" - Di Veronica Giacometti
Città del Vaticano. Nel discorso in lingua italiana, il
Papa, continuando il ciclo di catechesi "La passione per
l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente", incentra la sua
meditazione sul tema “Testimoni: San Francesco Saverio”.
E' Francesco stesso nella catechesi dell'Udienza generale
di oggi a raccontarne la storia. San Francesco Saverio "è considerato il
più grande missionario dei tempi moderni, anche se ci sono stati missionari
nascosti, ed è il Patrono delle missioni".
"Tanti di voi hanno passato dieci anni nella
missione, questo è grande uscire dalla patria per predicare il Vangelo e
guardandoli impariamo", dice a braccio il Papa.
Da Piazza San Pietro il Papa racconta il percorso di
questo santo. "Francesco nasce in una famiglia nobile ma impoverita della
Navarra, nel nord della Spagna, nel 1506. Va a studiare a Parigi . Nel suo
collegio incontra Ignazio di Loyola. Lui lascia tutta la carriera mondana per diventare
missionario", spiega il Pontefice.
Sono una decina al servizio dei poveri nel mondo e
decidono di chiamarsi la “Compagnia di Gesù”. "Lui va in Oriente, in quel
tempo l'oriente erano mondi sconosciuti, lui è il primo di una schiera che
incontra popoli e lingue completamente sconosciute, spinti solo dal desiderio
di far conoscere Gesù", aggiunge il Papa.
Ed è così che inizia il meraviglioso e faticoso viaggio
di Francesco Saverio. " I viaggi in nave a quel tempo erano durissimi e
pericolosi. Molti morivano in viaggio per naufragi o malattie. Oggi putroppo
muiono perchè noi li facciamo morire nel Mediterraneo. Saverio passa sulle navi
oltre tre anni e mezzo, un terzo dell’intera durata della sua missione. Arriva
in India. Durante una preghiera notturna presso la tomba dell’apostolo San
Bartolomeo, sente di dover andare oltre l’India. Lascia in buone mani il lavoro
già avviato e salpa con coraggio per le Molucche, le isole più lontane
dell’arcipelago indonesiano. Questi santi missionari avevano coraggio. Vanno in
aereo, non in nave, ma lì è lo stesso. Insegna a cantare il catechismo.
Piangeva di gioia vedendo l'opera del Signore. Un giorno, in India, incontra un
giapponese, che gli parla del suo lontano Paese, dove mai nessun missionario
europeo si era ancora spinto. Saverio decide di partire al più presto, e ci
arriva dopo un viaggio avventuroso sulla giunca di un cinese", il Papa
racconta tutti i paesi che ha tocca il santo missionario.
Il suo ultimo sogno, la Cina, polo culturale. Saverio era
"un grande sognatore". "Ma il suo disegno fallisce: egli muore
alle porte della Cina, sulla piccola isola di Sancian, aspettando invano di
poter sbarcare sulla terraferma verso Canton. Il 3 dicembre 1552, muore in
totale abbandono, solo un cinese è accanto a lui a vegliarlo. Così termina il
viaggio terreno di Francesco Saverio. Aveva soltanto quarantasei anni. La sua
attività intensissima è stata sempre unita alla preghiera, all’unione con Dio,
mistica e contemplativa. Non lasciò la preghiera mai", conclude infine il
Papa la storia di questo grande missionario.
"San Francesco Saverio ci dia un pò di questo zelo,
per vivere il Vangelo e annunciare il Vangelo. Guardate l'orizzonte del mondo e
tanta gente che ha bisogno di conoscere Gesù. Anche oggi ci sono giovani coraggiosi,
penso ai miei amici, penso ai giovani che sono andati ad evangelizzare, che il
Signore ci dia a tutti la gioia di evangelizzare", questo l'augurio finale
di Papa Francesco. Aci 17
In dialogo con il vescovo Ricciardi
Monsignor Paolo Ricciardi è Vescovo ausiliare di Roma per
la cura del diaconato, del clero e della vita religiosa, nonché, da febbraio
2023, è Vescovo referente della Conferenza episcopale italiana per l’Ordo
virginum.
Eccellenza, la notizia della sua nomina è stata resa
pubblica durante l'annuale Seminario dell'Ordo virginum. Come ha accolto questa
nuova responsabilità e quali obiettivi propone alle consacrate per il prossimo
tempo di cammino insieme?
Sto imparando a conoscere l’Ordo Virginum più
da vicino da quattro anni, da quando ne sono delegato per la diocesi di Roma.
Devo ammettere che ho imparato molto e desidero poter dare un servizio che
aiuti ad andare al cuore di questa vocazione. È un dono grande e, insieme, un
mistero, quello dello Spirito Santo che suscita nella Chiesa alcune donne
che, con amore sponsale si dedicano al Signore Gesù nella verginità, per
sperimentare la fecondità spirituale dell’intimo rapporto con Lui e offrirne i
frutti alla Chiesa e al mondo.
Non so se parlare di obiettivi da proporre, piuttosto di
una consapevolezza crescente da avere della vocazione ricevuta, da ravvivare e
rinnovare. Credo che il primo punto sia quello di invitarvi a riscoprire ciò
che siete e di far conoscere alla Chiesa italiana e alle nostre diocesi la
bellezza di questa chiamata, non con la pretesa di un ruolo da assumere, ma con
la “rivoluzione della tenerezza” di cui parla papa Francesco, perché il mondo
ha bisogno di donne che esprimano il volto di una Chiesa madre, accogliente,
feconda. La vergine consacrata parla con la sua vita, più che con le sue parole
o opere. In particolare in questo tempo di cammino sinodale è importante
aiutare le nostre comunità a ritrovare la missione di ogni donna (che sia
laica, sposa, religiosa o consacrata) proprio nello specifico del dono della
fecondità.
Cosa dice, oggi, all’Italia, la consacrazione secondo il
rito dell'Ordo virginum?
La parola “verginità” oggi come oggi sembra essere
sparita dal vocabolario o comunque suona come qualcosa “fuori tempo”. Credo che
la consacrazione secondo il rito dell’Ordo virginum ci dice prima di tutto che
non solo la Chiesa ma anche il mondo ha bisogno di verginità, di una purezza
ritrovata, di una Bellezza che non viene da noi. Riferendosi – in una lettera
alla sorella Celine – a santa Cecilia, Teresa di Lisieux scrive che la santa
martire romana era stata resa capace di verginizzare le anime, che non
avevano mai desiderato altre gioie se non quelle della vita presente.
Io penso che ancora oggi nel nostro Paese – e nel mondo –
abbiamo bisogno di persone che ci aiutino ad essere vergini nell’anima, per
“sgombrare” tutto ciò che abbruttisce l’uomo e renderlo capace di aprirsi,
anche inconsapevolmente, al dono dello Spirito che fa nuove tutte le cose. La
vergine consacrata dovrebbe aiutare il mondo e la Chiesa prima di tutto con la
sua offerta di vita e con la preghiera di intercessione, ma anche con uno
sguardo che va oltre il visibile, perché gli uomini, a partire dai cristiani,
possano riscoprire l’interiorità, immergendosi nel mondo. Quindi non in
astratto, in una dimensione oltre il reale, ma una verginità che aiuti ad avere
uno sguardo puro e limpido sulla vita di ogni giorno, anche nella Chiesa. Uno
sguardo capace di scelte profetiche.
Quest'anno ricorre il V anniversario dell'Istruzione
"Ecclesiae Sponsae Imago" sull'Ordo virginum: secondo quale
prospettiva crede vada celebrato?
Siamo in cammino sinodale e quindi la prospettiva è
questa: camminare insieme, sfruttando il quinto anniversario dell’ESI per far
conoscere maggiormente l’Ordo Virginum. Intanto invito le vergini consacrate e
quelle in formazione a rileggere il documento con maggiore attenzione. Ci sono
parti molto belle che andrebbero meditate e approfondite. Inoltre credo che sia
opportuna una verifica, anche con i vescovi o i delegati, sull’itinerario
formativo e il discernimento. Credo che – anche alla luce del testo
sul Percorso formativo, dal discernimento alla consacrazione, uscito due
anni fa – sia necessario un confronto, su come in questi anni si stia vivendo
tutto questo. La vocazione alla verginità consacrata è in crescita, ci sono più
richieste, per questo è importante puntare di più sulla formazione e sul
discernimento. È necessario chiarire che non è una vocazione da vivere in forma
“privata”, ma che è innestata nella realtà diocesana direi ontologicamente.
Quindi ben vengano alcuni momenti in cui possiamo insieme riflettere sull’ESI.
Vorrei, magari dopo l’estate, pensare ad un convegno da poter trasmettere anche
on line per rilanciare questo documento e per un confronto costruttivo. Dip 17
La Giornata di Solidarietà di Amicizia Italo-Tedesca con la MCI di Amburgo
Aamburgo - Conclusa la due giorni con la quale la
Missione Cattolica Italiana di Amburgo ha celebrato l’ottava edizione della
Giornata di Solidarietà di Amicizia Italo-Tedesca. Un’edizione, quella di
quest’anno, apertasi con un convegno su: “Il ruolo della donna nel passato e
nel presente” ed ha visto la serata allietata non solo da diverse relatrici
provenienti da varie parti d’Europa, ma anche da una cucina succulenta, con una
cena preparata grazie ai Maestri Chef dell’Associazione Cuochi Italiani.
Alla serata hanno preso parte anche la Presidente Europea
Executive Chef, Enza Barbaro, ed il Segretario Generale, Giovanni Baldantoni,
che è anche Presidente di Palazzo Italia Bucarest, la cui delegazione Germania
è presso la Missione Cattolica Italiana di Amburgo. Quest’anno il contributo
raccolto nella Giornata di Solidarietà “Italo-Tedesca” andrà per i ragazzi
bisognosi di proseguire gli studi ed il motto era: “Voglio regalare un milione
prima di guadagnarne un milione”.
Presenti oltre una sessantina di persone nella Sala
Convegni della Missione Cattolica Italiana. A fare gli onori di casa don
Pierluigi Vignola, Leiter/Pfrarrer della Missione da circa nove anni e la nuova
segretaria della Missione Cattolica, Andela Sokoli, che hanno accolto in primis
quale ospite d’onore, Salvatore Ligorio, Arcivescovo Metropolita di Potenza –
Muro Lucano – Marsico Nuovo e Presidente della Conferenza Episcopale di
Basilicata, il quale era accompagnato dal Vicario Episcopale e Responsabile
della sua segreteria don Massimiliano Scavone. Presente anche il Rev.mo
Domkapitular em. Msgr. Wilm Sanders, da sempre vicino alla Missione Cattolica
Italiana, purtroppo impossibilitati a partecipare per impegni istituzionali ma
che hanno patrocinato la manifestazione ed inviato il loro saluto: il Console
Generale d’Italia in Hannover, David Michelut, il Console Onorario d’Italia ad
Amburgo, Anton Andreas Rössner, il Consigliere del CGIE, Giuseppe Scigliano,
che unitamente alla presidente del Comites di Hannover, Glenda Crisà, ed alla
Presidente dell’ItalUil Germania ed anch’essa membro del CGIE, Marilena Rossi,
hanno inviato il loro saluto ed il loro apprezzamento per la lodevole
iniziativa organizzata dalla Missione di Amburgo.
Quali relatrici al convegno erano presenti Francesca
Fazion, Funzionario del Ministero per gli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale dell’Italia, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura in
Amburgo che collabora attivamente con la Missione Cattolica Italiana; Alina
Diana Ebi Cretulescu, Funzionaria presso il Ministero per gli Affari Europei
della Romania a Bucarest e titolare di una Clinica dentale sempre a Bucarest;
Matilde Misseri Docente di Inglese e Presidente Nazionale dell’Anils
(Associazione Nazionale Insegnanti di lingue Straniere); Mariana Raducu,
Funzionaria della Polizia Rumena c/o la Direzione Nazionale Anticorruzione in
Bucarest e Presidente del gruppo 25 dell’I.P.A. (International Police
Association) di Bucarest.
Ha moderato la serata Elena Vanelli, docente di Storia
Medievale presso l’Università di Kassel e membro del Consiglio Pastorale della
Missione Cattolica Italia di Amburgo. Le due ore del convegno sono state molto
seguite per ciò che hanno riferito le relatrici sul ruolo della donna, ognuna
nell’ambito della propria esperienza personale e professionale, con un bel
dibattito al termine delle relazioni, con domande molto interessanti da parti
del pubblico.
È seguita la “cena di solidarietà” preparata con cura
dagli Executive Chef dell’Associazione Cuochi Italiani, Enza Barbaro e Giovanni
Baldantoni, i quali sempre in maniera generosa e volontaria collaborano alle
iniziative della Missione Cattolica Italiana di Amburgo, anche perché don
Pierluigi Vignola è il Cappellano Europeo dell’Associazione stessa.
La due giorni si è conclusa la domenica, con la Santa
Messa presieduta dall’Arcivescovo di Potenza Mons. Ligorio e con il
conferimento del Sacramento della Confermazione a nove ragazzi e ragazze
facenti capo alla Missione stessa. (aise/dip 17)
Bischof Genn feiert Gottesdienst in
Gedenken für die Weltsynode
In besonderem Gedenken für
die Weltsynode hat Bischof Dr. Felix Genn (Münster) heute (31. Mai 2023) für
die katholische Kirche in Deutschland einen Gottesdienst in der Basilika St.
Marien im Marienwallfahrtsort Kevelaer gefeiert. „Stellvertretend für alle
Bischöfe der Deutschen Bischofskonferenz feiere ich den Gottesdienst hier in
Kevelaer mit der Bitte um einen fruchtbaren Weg der Weltsynode“, betonte
Bischof Genn.
Beim Synodalen Weg in
Deutschland sei deutlich geworden, „dass wir in dem Prozess noch manches lernen
müssen“. Es gebe unterschiedliche Verständnisse, was das Wort „synodal“
bedeute. Teils kritisch würden einige Menschen darunter eine „Demokratisierung
der Kirche, die eigentlich gar nicht zu ihren Strukturen passt“ sehen, andere
vor allen Dingen „viele Möglichkeiten und Chancen“. Er freue sich in Kevelaer
zu sein, um für das Gelingen der Weltsynode zu beten. Gerade in einer
„bedrängten Zeit, in der nicht nur die Christenheit, sondern die ganze Welt
lebt“ sei es gut, sich an die Trösterin der Betrübten zu wenden, als die Maria
in Kevelaer verehrt wird. Die Gottesmutter stellte der Bischof auch in den
Mittelpunkt seiner Predigt und nahm Bezug auf die Geschichte der Verkündigung
(Lk 1,26–38). Maria offenbare in diesem Text eine grundlegende Haltung, „ohne
die eine synodale Kirche nicht fruchtbar sein kann“, wie Bischof Genn sagte.
Zunächst sei Maria bereit, zu hören. „Hören ist etwas Tiefes, Aufschließendes
gegenüber dem, der spricht.“ Wer genau hinhöre, nehme dazu eine empfangende
Haltung ein. Hören bedeute, Wirklichkeiten an- und wahrzunehmen, auch wenn
diese erschrecken könnten.
Aus dem Hören sei Maria ins
Deuten gekommen, um die Bedeutung dessen, was der Engel verkündete, in eine
größere Bedeutung zu stellen und schließlich zur Unterscheidung, ob das, was
sie gehört hat, lebensdienlich von Gott kommend sei. Maria habe in diesem
Prozess einen „persönlichen synodalen Weg“ erlebt. Bischof Genn bat die
Gläubigen darum, für das Gelingen der Synode zu beten, „nicht nur am heutigen
Tag, sondern auch das ganze Jahr über.“
Weiter betonte Bischof Genn:
„Gemeinschaft, um teilzunehmen an dem, was die anderen bewegt, ist unabdingbar,
um unsere Sendung als Kirche erfüllen zu können. Das ist, so glaube ich, was
Papst Franziskus im Tiefsten meint, wenn er von einer synodalen Kirche
spricht.“ Es gehe nicht um Mehrheiten oder Minderheiten, so Bischof Genn,
sondern es gehe darum zu integrieren, um noch tiefer zu erkennen, was der Weg
des Herrn mit seiner Kirche heute sei. „Ich wünsche uns allen, dass wir in
unserem ganz persönlichen Leben bei der Suche nach Entscheidungen, wie auch in
unserem kirchlichen Alltag, aus einer Haltung des Hörens hineinfinden in das,
was der Herr uns zeigen will. Damit wir das wählen, was vor ihm recht ist.“
Hintergrund. Das
Synodensekretariat in Rom hatte alle Bischofskonferenzen weltweit aufgerufen,
am 31. Mai 2023 zum Abschluss des Marienmonats, an einem Wallfahrtort im
jeweiligen Land eine Messe in besonderem Gedenken für die Weltsynode zu feiern.
Die Weltsynode findet vom 4. bis 29. Oktober 2023 in Rom statt. Bereits jetzt
sind die Etappen auf diözesaner Ebene und die kontinentale Phase abgeschlossen.
Die Einladung aus Rom an die Bischofskonferenzen kommt von Kardinal Mario
Grech, dem Generalsekretär der Synode. Der Vorsitzende der Deutschen
Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, hatte Bischof Genn gebeten,
diesen Gottesdienst für Deutschland in Kevelaer zu feiern.
Die Weltsynode steht unter
dem Leitwort Für eine synodale Kirche – Gemeinschaft, Teilhabe und Mission.
Nach Aussage von Papst Franziskus ist ihr Ziel eine Steigerung des Zusammenwirkens
der Kirche „in allen Bereichen ihrer Sendung“.
Hinweise: Weitere
Informationen zur Weltsynode finden Sie unter www.dbk.de auf der Themenseite
Bischofssynode Synodale Kirche 2021–2024. Dbk 31
Vatikan will Familienforschung und
Familienpastoral besser verzahnen
Der
Heilige Stuhl will katholische Forschungseinrichtungen zum Thema Familie enger
vernetzen und sie für die Seelsorge und die politische Lobbyarbeit besser
nutzbar machen. Dazu haben zwei Vatikan-Einrichtungen den „Family Global
Compact“ entwickelt, den Papst Franziskus an diesem Dienstag mit einer
Botschaft vorstellte.
Wortlaut:
Papstbotschaft zum Start des Family Global Compact
Familie
sei in der Krise, so das Kirchenoberhaupt. Studien zeigten, dass viele junge
Menschen heute „die Ehe ablehnen und sich für unbeständigere und
unverbindlichere Formen von affektiven Beziehungen entscheiden“. Zugleich sei
die Familie „nach wie vor die wichtigste Quelle sozialen Lebens“, wie andere
Untersuchungen zeigten.
Um
den Wert von Ehe und Familie heute begreiflich zu machen, braucht es nach
Darstellung von Papst Franziskus ein konzertiertes Handeln, das zunächst die
katholischen Universitäten und Fakultäten miteinbezieht. Sie sollen sich in
Zukunft besser vernetzen und den großen Horizont von Ehe und Familie heute
ausleuchten. Franziskus nannte „theologische, philosophische, juristische,
soziologische und wirtschaftliche Analysen von Ehe und Familie“, die zu
entwickeln seien.
Zum
Nachhören - was bei der Pressekonferenz im Vatikan gesagt wurde
Nützliche
Vorschläge für die Politik formulieren
Die
Familienseelsorge in den Teilkirchen soll von den Ergebnissen der Forschung
besser profitieren, erklärte der Papst weiter. Ziel sei es, eine „Kultur der
Familie und des Lebens“ zu fördern, die jungen Menschen hilft, Ehe und Familie
einschließlich Kinder wieder mehr wertzuschätzen. Eine weitere Etappe auf dem
Weg sei es, mit den entsprechenden Forschungsergebnissen in der Hand „nützliche
Vorschläge und Ziele für die öffentliche Politik“ zu formulieren.
Familie: „Die
Hoffnung der Gesellschaft"
Die
Kirche könne sich nicht damit abfinden, so Franziskus weiter, dass wegen
Ungewissheit, Individualismus und Konsumdenken die Familie „zugrunde geht“. Sie
sei „eine Gemeinschaft des Lebens und der Liebe, ein unersetzliches und
unauflösliches Band zwischen Mann und Frau, ein Ort der Begegnung der
Generationen, die Hoffnung der Gesellschaft“. Darüber schaffe die Familie
Gemeinwohl und sei schon deshalb unersetzlich auch für die zivile Gemeinschaft,
erklärte der Papst.
1.350
katholische Universitäten und Hochschulen
Der
„Family Global Compact“ ist eine Initiative des Dikasteriums für die Laien, die
Familie und das Leben und der Päpstlichen Akademie für die
Sozialwissenschaften. Weltweit gibt es rund 1.350 katholische Universitäten und
Hochschulen.
Pressekonferenz
im Vatikan
Laut
einem Redemanuskript von Kardinal Kevin Farrell, Präfekt des Dikasteriums
für die Laien, die Familie und das Leben, „bietet der Family Global Compact
einen Beitrag zur Bildung eines globalen und integralen Denkens über Ehe und
Familie, das sich aus der heutigen Realität entwickelt, wobei zu
berücksichtigen ist, dass die Familie in der Lehre der Kirche mehr als nur eine
Idee ist“. Das sagte er bei der Vorstellung des Projekts an diesem Dienstag im
vatikanischen Pressesaal. Da Kardinal Farrell selber nicht anwesend sein
konnte, wurde sein Beitrag von der Theologin und leitenden Vatikanmitarbeiterin
Gabriella Gambino vorgelesen.
„Eines
der Schlüsselelemente zur Verbesserung der Resilienz (Widerstandsfähigkeit) der
Familien ist eine tiefere Beziehungskultur in der Familie, die das Streben nach
Glück auf einer weniger oberflächlichen Ebene ermöglicht. In den Familien
müssen die Menschen ihre ersten Erfahrungen als gleichberechtigte Männer und
Frauen machen, in denen die Familienmitglieder die Erfahrung machen, dass ihre
eigene Andersartigkeit durch die Gegenseitigkeit mit anderen wächst“, so
Schwester Helen Alford, Präsidentin der Päpstlichen Akademie der
Sozialwissenschaften, die ebenfalls bei der Pressekonferenz im Vatikan
gesprochen hatte. (vatican news 30)
Papst überreicht Auszeichnung für
italienischen Präsidenten
So
sehr die Republik Italien auch auf ihren säkularen Charakter pocht, es zeichnet
sich doch eine Tradition der Freundschaften zwischen einem Papst und einem
Präsidenten der Republik ab. Stefan von Kempis - Vatikanstadt
Johannes
Paul II. verstand sich blendend mit Italiens erstem sozialistischem Präsidenten
Sandro Pertini, und Benedikt XVI. kam überraschend gut mit dem ersten
ex-kommunistischen Staatschef Giorgio Napolitano klar. Diese Tradition –
allmählich ist es eine – setzt offenbar auch Franziskus fort. Wie eng sein
Verhältnis zum jetzigen italienischen Staatspräsidenten Sergio Mattarella ist,
wurde an diesem Montag deutlich: Da ließ es sich der Papst nicht nehmen, einen
Preis an Mattarella persönlich zu überreichen.
Der
bekennende Katholik und herausragende Jurist Mattarella bekam den
internationalen „Paul VI.“-Orden, den ein norditalienisches Institut zum Gedenken
an den heiligen Montini-Papst (1963-1978) vergibt. Franziskus nutzte die Gunst
der Stunde, um Paul VI. als Vollender des Zweiten Vatikanischen Konzils zu
würdigen.
Politik
als Form der Nächstenliebe
„Wir
müssen dem hl. Paul VI. für das Konzil sehr dankbar sein. Dieses Konzil hat die
Rolle der gläubigen Laien unterstrichen: Dank ihrer Taufe haben die Laien eine
echte, eigene Berufung für die Welt, darunter in der Politik, die (ein Zitat
von Pius XI.) die höchste Form der Nächstenliebe ist. Wenn man danach fragt,
wie man Politik als Ausdruck von Nächstenliebe und umgekehrt Nächstenliebe
innerhalb der politischen Dynamik leben kann, dann lautet die Antwort mit einem
einzigen Wort: Dienen.“
„Gegen
ein Klima der Resignation und des Jammerns“
Natürlich
sei das nicht leicht, und „selbst in den besten politischen Systemen“ gebe es
auch heute immer wieder die Gefahr, „sich der Macht zu bedienen, statt durch
die Macht zu dienen“. Mattarella verdiene den Preis, weil er „den Wert und die
Würde des Dienens“ an der Staatsspitze deutlich vor Augen führe. Allerdings
gehe Dienen mit Verantwortung Hand in Hand. „Viele Einwohner der Emilia-Romagna
zeigen uns in diesen Tagen, dass Verantwortung jeden angeht – gegen ein Klima
der Resignation und des Jammerns…“ Die erwähnte norditalienische Region hatte
unlängst mit schweren Überschwemmungen zu kämpfen.
Ein
Bild der Eintracht
Auch
auf das Thema „legalità“ (Rechtsstaatlichkeit) kam der Papst zu sprechen. Es
liegt Mattarella, dessen Bruder Piersanti von der Mafia getötet wurde,
besonders am Herzen. Es reiche nicht, wenn eine Demokratie über Institutionen
und Gesetze verfüge, so Franziskus; wichtig sei auch das Einhalten der Regeln
und der Einsatz gegen „kollektiven Egoismus“.
Papst
und Präsident – ein Bild der Eintracht. Das hätten sich die italienischen
Truppen, die 1870 dem Kirchenstaat den Garaus machten, wohl nicht träumen
lassen.
Mattarella
unterstrich seinerseits in seiner Ansprache, dass er besonders dankbar dafür
sei, dass Papst Franziskus die Auszeichnung persönlich hatte vornehmen wollen.
Er bitte das Institut Paul VI., die mit dem Preis verbundene finanzielle
Zuwendung der in Romagna aus der Taufe gehobenen Gemeinschaft Johannes XXIII.
zukommen zu lassen: deren Strukturen seien durch die jüngste Flut schwer
getroffen worden, so der italienische Staatspräsident. (vn 29)
Bischof Bätzing zu Pfingsten:
Bedeutung präsenter machen
Aus
Sicht des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz (DBK), Bischof Georg
Bätzing, ist die inhaltliche Bedeutung von Pfingsten heute vielen Menschen
unbekannt. In Zeiten „wachsender Pluralisierung und Säkularisierung"
wüssten immer weniger Leute um die eigentliche Bedeutung des christlichen
Hochfests, so der Limburger Bischof in seiner Predigt zum Pfingstsonntag.
Der
DBK-Vorsitzende rief die katholische Kirche dazu auf, sich jedoch nicht damit
abzufinden: „Warum sollte es denn nicht wieder eine wachsende Zahl
interessierter und informierter - ja schließlich auch gläubiger Zeitgenossinnen
und Zeitgenossen geben können?“, fragte Bätzing in seiner Predigt, laut
einer Pressemitteilung seines Bistums.
In
seiner Predigt am Pfingstsonntag (28. Mai) im Limburger Dom stellte der
Bischof auch selbst noch einmal die Bedutung des Pfingstfestes heraus: „Heute
erschien der Heilige Geist den Jüngern im Zeichen des Feuers. Heute schenkte er
ihnen die Gaben der Gnade. Er sandte sie aus in die ganze Welt, zu predigen und
zu bezeugen: Wer glaubt und sich taufen lässt, der wird
gerettet." Pfingsten setze also den Impuls, sich aus geschützten
Räumen hinauszuwagen und sich unter die Leute zu mischen, um ihnen vom Heil
Gottes und seiner Liebe zu erzählen, so Bätzing. Ähnlich hatte sich auch Papst
Franziskus bei seinem MIttagsgebet zu Pfingsten geäußert.
Pfingsten
fordert Frieden, Wahrheit und Gerechtigkeit
Sowohl
Papst Franziskus als auch Bischof Bätzing mahnten am Pfingstsonntag zudem
Frieden an. Bätzing sagte in seiner Predigt: „Frieden – ganz konkret und
alle Menschen umfassend. Wahrheit – die andere wertschätzt und inkludiert.
Gerechtigkeit – endlich für alle und mit allen geteilt. Das wäre ein Gedicht:
Angelegt und angeregt von Gottes Geist, der nicht nur einmal, sondern in einem
fort Einheit schafft, wo Trennung war, und Gaben schenkt, die auf den Himmel
als Ursprung verweisen." (pm 28)
Papst zu Pfingsten: Täglich um
„Geist, der Frieden bringt" bitten
Papst
Franziskus hat zu Pfingsten Frieden und Einheit angemahnt. In der Welt gebe es
heute viel Zwietracht und Spaltung, viele Kriege und Konflikte, beklagte das
katholische Kirchenoberhaupt. Der Heilige Geist könne jedoch Harmonie in die
Kirche und die Welt bringen - „weil Er die Harmonie ist, Geist der Einheit, der
Frieden bringt. Rufen wir ihn jeden Tag auf unsere Welt herab, auf unser Leben
und angesichts jeglicher Art der Spaltung!", so der Papst in seiner
Predigt. Stefanie Stahlhofen – Vatikanstadt
Bei
der feierlichen Messe am Hochfest Pfingsten mit Papst Franziskus waren laut
Vatikan rund 5.000 Menschen im Petersdom dabei. Franziskus, der am Freitag aufgrund
von Fieber seine Termine absagen musste und aufgrund eines Knieleidens oft im
Rollstuhl unterwegs ist, zelebrierte diesen Sonntag nicht selbst. Er nahm
aber an der Messe teil und hielt die Predigt, in der er Spannungen und Kriege
auf der Welt anprangerte:
„Es
gibt heute in der Welt viel Zwietracht, viel Spaltung. Wir sind alle
miteinander verbunden, und doch erfahren wir uns als voneinander getrennt,
betäubt von Gleichgültigkeit und niedergedrückt von Einsamkeit. Viele Kriege -
denken wir an die Kriege! -, viele Konflikte: Das Böse, das der Mensch
anrichten kann, scheint unglaublich! Doch in Wirklichkeit werden unsere
Feindseligkeiten vom Geist der Spaltung genährt, vom Teufel, dessen Name so
viel wie ,Spalter` bedeutet", führte der Papst aus. Franziskus erinnerte
an die Apostelgeschichte im Neuen Testament, die schildert, wie der Heilige
Geist auf die nach dem Tod Jesu verunsicherten Jünger herabkommt. Die Menschen
allein könnten das Böse und die Spaltungen nicht überwinden, sie seien hier auf
das Wirken des Heiligen Geists angewiesen, erklärte Franziskus dazu:
„Deshalb
gießt der Herr auf dem Höhepunkt des Pascha-Geschehens, auf dem Höhepunkt der
Erlösung, seinen guten Geist über alles Geschaffene aus, den Heiligen Geist,
der sich dem Geist der Trennung entgegenstellt, weil Er die Harmonie ist, Geist
der Einheit, der Frieden bringt. Rufen wir ihn jeden Tag auf unsere Welt herab,
auf unser Leben und angesichts jeglicher Art der Spaltung!"
Der
Papst betonte, dass der Heilige Geist „von der Vielfalt aus" Harmonie
schaffe: „Er löscht nicht die Unterschiede, die Kulturen aus, sondern
harmonisiert alles, ohne zu standardisieren, ohne zu vereinheitlichen" In
freier Rede ergänzte Franziskus hier: „Das sollte uns nachdenklich machen,
in diesem Moment, in dem die Versuchung der Rückwärtsgewandheit versucht, alles
zu einem Einheitsbrei zu machen, bestehend nur aus Schein, nicht aus
Substanz."
Synode
braucht Heiligen Geist
Papst
Franziskus nutzte seine Pfingstpredigt auch, um erneut zu bekräftigen, dass
auch die von ihm gestartete Synode zur Synodalität der katholischen Kirche das
Wirken des Heiligen Geistes brauche:
„Und
die laufende Synode ist – und muss – ein dem Geist gemäßer Weg sein:
nicht ein Parlament, in dem es darum geht, Rechte und Bedürfnisse nach der Agenda
der Welt einzufordern, nicht eine Gelegenheit, dorthin zu gelangen, wohin der
Wind uns trägt, sondern eine Gelegenheit, um dem Wehen des Geistes zu
folgen."
„Keine
Zeit damit verlieren, andere zu kritisieren und uns über uns selbst zu ärgern,
sondern den Heiligen Geist anrufen“
Der
Heilige Geist müsse jedoch nicht nur in der Welt und in der Kirche wirken,
sondern auch im Herzen jedes einzelnen, führte der Papst weiter aus. Jeder
müsse sich daher stets kritisch selbst fragen, ob er der Harmonie des Heiligen
Geistes folge oder dickköpfig eigenen Projekten:
„Vergebe
ich, fördere ich Versöhnung, schaffe ich Gemeinschaft? Wenn die Welt gespalten
ist, wenn sich die Kirche polarisiert, wenn das Herz sich zersplittert, dann
sollten wir keine Zeit damit verlieren, andere zu kritisieren und uns über uns
selbst zu ärgern, sondern den Heiligen Geist anrufen. Er ist in der Lage, diese
Dinge zu lösen. (...) Wenn wir Harmonie wollen, müssen wir ihn suchen,
keine weltlichen Lückenfüller. Lasst uns jeden Tag den Heiligen Geist anrufen,
beginnen wir jeden Tag mit einem Gebet zu ihm, folgen wir ihm!" so der
Appell von Papst Franziskus in seiner Pfingstpredigt. (vn 28)
Immer weniger Klöster in
Deutschland
Die
Zahl der klösterlichen Niederlassungen in Deutschland ist in den vergangenen
zehn Jahren deutlich zurückgegangen. Laut der Deutschen Ordensobernkonferenz
(DOK), reduzierten sie sich bei den Frauenorden von 1.627 im Jahr 2012 auf nur
noch 964 im Jahr 2022. Bei den Männerorden sank die Zahl der Niederlassungen im
selben Zeitraum von 461 auf 385.
Das
gab die DOK am Freitag auf Anfrage von katholisch.de bekannt. Zum Spektrum
klösterlicher Niederlassungen zählen laut DOK große Klöster mit mehr als 100
Schwestern oder Ordensmännern bis hin zu kleinen Gemeinschaften mit nur zwei
oder drei Ordensmitgliedern.
Die
Zahl der von der DOK vertretenen Ordensleute lag Ende 2022 bei 14.302 -
darunter 10.953 Ordensfrauen und 3.349 Ordensmänner.
Frauenorden
mit hohem Altersdurchschnitt
Aus
den Daten geht auch hervor, dass die Zahl der Ordensfrauen in den vergangenen
20 Jahren deutlich zurückgegangen ist. 2002 lag deren Zahl noch
bei 28.973; im Jahr 2012 bei 19.278. Rund 82 Prozent (8.975) der
Ordensfrauen in Deutschland sind derzeit älter als 65 Jahre, nur 13 Prozent
(1.422) sind jünger. Bei den Männerorden ist die Altersstruktur dagegen
ausgeglichen. Die Zahl der Novizinnen lag 2022 bei 48 (2021: 53), die der
Novizen bei 21 (2021: 24). 12 Ordensmänner wurden im vergangenen Jahr in Deutschland
zu Priestern geweiht.
Die
DOK ist der Zusammenschluss der Höheren Oberen der Orden und Kongregationen in
Deutschland. Ziel der Konferenz ist es, die Interessen der Orden und
Gemeinschaften gemeinsam zu vertreten, die Zusammenarbeit mit kirchlichen und staatlichen
Stellen zu fördern und sich gegenseitig zu unterstützen. Zur DOK gehören
derzeit rund 400 Obere. Vorsitzender ist der Franziskaner-Minorit Andreas
Murk, seine Stellvertreterin ist die Generaloberin der Schwestern der Heiligen
Maria Magdalena Postel, Maria Thoma Dikow. (katholisch.de 27)
Kardinal Parolin: Mission zur
Schaffung eines Klimas des Friedens
Es
ist noch nicht an der Zeit, ein Datum für die Friedensmission von Kardinal
Matteo Zuppi in Moskau zu nennen, „die vor allem versuchen muss, ein Klima und
eine Umgebung zu schaffen, die zu Wegen des Friedens führen können“. Dies
bestätigte der Staatssekretär des Vatikans, Kardinal Pietro Parolin, am Rande
einer Präsentation eines Buches am Freitagnachmittag in der italienischen
Botschaft des Heiligen Stuhls. Mario Galgano - Vatikanstadt
Er
freue sich über die Bereitschaft Moskaus, den Beauftragten des Papstes zu
empfangen. Vor den anwesenden Journalisten sagte Kardinalstaatssekretär Parolin
weiter: „Was den Zeitpunkt betrifft, ist es zu früh, um etwas zu sagen. Wir
denken über die Daten nach. Seitens der beiden Hauptstädte – also Kyiv und
Moskau – gibt es jedoch keine Probleme.“
Auf
die Äußerungen des Papstes in einem Fernsehinterview über ein mangelndes
Interesse der Ukraine an einer vatikanischen Vermittlung antwortete Kardinal
Parolin: „Nach dem, was wir gelesen haben und was auch gesagt worden ist, wäre
Kyiv nicht bereit, im eigentlichen Sinne eine Vermittlung zu akzeptieren. Aber
das Ziel der vatikanischen Mission ist nicht die unmittelbare Vermittlung,
sondern die Schaffung eines Klimas, d.h. die Unterstützung auf dem Weg zu einer
Friedenslösung. Die Gesprächspartner sind und bleiben Moskau und Kyiv. Wir
werden dann sehen, was möglich sein wird.“
Kardinal
Matteo Zuppi, Vorsitzender der italienischen Bischofskonferenz, der von Papst
Franziskus für die Friedensmission in der Ukraine ernannt wurde, werde der
einzige Gesprächspartner von Kyiv und Moskau sein. Dies erklärte der
vatikanische Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin am Rande der Veranstaltung
in der italienischen Botschaft beim Heiligen Stuhl. Es wird also keinen
weiteren vatikanischen Vermittler ernannt.
„Es
bleibt bei dem, was der Heilige Stuhl bereits angekündigt hat, dass es diese
Friedensmission geben wird, die der Papst Kardinal Zuppi anvertraut hat, der
vor allem versuchen muss, ein Klima, ein Umfeld zu fördern, das zu Wegen des
Friedens führen kann“, so Parolin, der hinzufügte: „Wir freuen uns, dass es
diese Bereitschaft von Seiten Moskaus gibt, den Gesandten des Papstes auch zu
empfangen, aber das ändert nichts am Inhalt der Mission.“
Parolin
beruhigt: „Der Papst ist nur müde“
Zum
Fieber am Freitag für Papst Franziskus, der niemanden in Audienz empfing,
beruhigte Kardinal Pietro Parolin alle: „Der Papst war müde“, sagte er am Rande
der Präsentation des von Monsignore Dario Edoardo Viganò herausgegebenen Buches
„Päpste und Medien. Redaktion und Rezeption der Dokumente von Pius XI. und Pius
XII. über Kino, Radio und Fernsehen“ im Palazzo Borromeo, dem Sitz der
italienischen Botschaft beim Heiligen Stuhl. Parolin erläuterte:
„Am
Freitag hatte der Papst einen sehr, sehr anstrengenden Tag. Donnerstagabend
wurde mir gesagt, dass er viele Leute getroffen hat und im Rahmen dieses
Treffens mit den Mitgliedern von Scholas Occurrentes alle begrüßen wollte, und
wahrscheinlich ist die körperliche Widerstandsfähigkeit irgendwann gebrochen.“
Nach
einem Tag Pause wegen Fiebers nahm Papst Franziskus an
diesem Samstag die Arbeit wieder auf. Er absolvierte mehrere
Audienzen, wie das vatikanische Presseamt am Samstagmittag mitteilte.
Mehr
Fürsorge für das Gebiet, um Tragödien zu vermeiden
Kardinal
Parolin bekräftigte seine „Verbundenheit“ und seine „Trauer“ über die
Geschehnisse in der Emilia-Romagna, „für die Opfer und für diejenigen, die
betroffen sind und sich ebenfalls in einer schwierigen Situation befinden“. Er
habe von einigen Bischöfen und Priestern gehört, sagte er am Rande der
Veranstaltung in der italienischen Botschaft beim Heiligen Stuhl, „in welchen
Schwierigkeiten sich diese Menschen befinden, die ihre Häuser verloren haben
und ohne ein Dach über den Kopf sind“.
„Abgesehen
vom Wetter, das macht, was es will, hat mir jemand gesagt, dass diese
Überschwemmung auch darauf zurückzuführen ist, dass das Gebiet so sehr
vernachlässigt wird“, betonte er dann. Daher sei „eine größere Aufmerksamkeit
und Pflege des Gebiets erforderlich, um Tragödien wie diese zu verhindern“.
(vn
27)
Papst: „Es gibt schmerzhaftere
Tage“
Sein
Knie hat sich angepasst, denn vorher konnte er nicht laufen. „Jetzt kann ich
wieder laufen. Es gibt schmerzhaftere Tage.“ Das sagte Papst Franziskus in
einem langen Interview mit TV Telemundo. In dem Gespräch ging es auch um andere
Themen seines Pontifikats und der Weltpolitik. Mario Galgano - Vatikanstadt
Papst
Franziskus sprach am Donnerstag in einem exklusiven Interview mit Telemundo
News im Vatikan über sein Vermächtnis nach mehr als einem Jahrzehnt an der
Spitze der katholischen Kirche, aber auch über seine Gesundheit, die ihm mit 86
Jahren manchmal „schmerzhafte Tage“ bereitet, und kontroverse Themen wie
Abtreibung. Er äußerte sich auch zum Krieg in der Ukraine, wo er mit einer
Friedensmission Hilfe anbot, und zur Migration, die er persönlich erlebt hat.
In
dem Interview betonte er, warum er immer um Gebete für ihn bittet:
„Manchmal
sind sich die Menschen nicht bewusst, welche Macht sie haben, wenn sie für ihre
Hirten beten. Und das Gebet der Gläubigen wirkt Wunder, wirklich, es wirkt
Wunder. Kümmert euch um euren Pfarrer. Ein Seelsorger, jeder Seelsorger, sei es
ein Pfarrer, ein Bischof oder ein Gemeindepfarrer, ist wie gepanzert, mit einem
Brustpanzer, also mit den Gebeten der Gläubigen.“
Der
Gesundheitszustand des Papstes verschlechterte sich im Jahr 2022, insbesondere
aufgrund von Knieproblemen, und zwar so sehr, dass er manchmal im Rollstuhl
herumgefahren werden muss. Ende März verbrachte er mehrere Tage im Krankenhaus,
um eine Lungeninfektion zu behandeln. Als er entlassen wurde, scherzte er vor
Journalisten: „Ich lebe noch.“
Sein
Vermächtnis: Was getan wurde und was noch zu tun ist
Er
selbst kämpfe damit, sich zu verändern, sagte der Papst in dem Interview. Aber
was er ändern wollte und was er in die Praxis umsetzte, war das, was die
Kardinäle in den Vorkonklaven gesagt hatten, dass es getan werden müsse. Und er
zählte die Themen auf: Das Wirtschaftssystem, die neuen Gesetze des
Vatikanstaates, die Seelsorge im Vatikanstaat, „die sehr wichtig ist“. Dann
fügte er hinzu:
„Natürlich
gehörten zu diesen Anliegen auch Frauen, die sehr viel verändert haben. Sie
sind sehr, sehr zielstrebig, sehr praktisch: der Vize im vatikanischen
Governatorat ist eine Frau. Und es hat sich vieles geändert, aber all das wurde
von den Kardinälen in wichtigen Sitzungen, die sie einberufen haben,
gefordert.“
Es
gibt einige Länder, die „zu klerikalisiert“ sind, fügte er hinzu, und der
Klerikalismus ist seiner Meinung nach eine Perversion: „Entweder du bist ein
Hirte oder du kommst nicht rein“. Aber wenn man klerikalisiert ist, ist man
kein Seelsorger, bekräftigte er. „Ich sage Bischöfen, Priestern und mir selbst
immer, dass wir Hirten und Seelsorger sein sollen.“
Zur
Migration: Sie ist ein ernstes Problem
Das
Problem der Migranten sei auf fast allen Kontinenten ernst. Für Europa sei es
beispielsweise an den Küsten Libyens kritisch, erinnerte der Papst. Es gebe ein
Buch auf Spanisch, das das Leben eines Jungen aus Guinea beschreibe, der drei
Jahre lang seine Flucht bis er nach Spanien komme, beschreibe. Der Papst hat
schon mehrmals dieses Buch genannt. „Lesen Sie es, dort sehen Sie das Drama,
das Drama eines Migranten an der libyschen Küste. Aber das hier ist gar nicht
so anders. Warum migrieren Menschen? Aus der Not heraus“, erinnerte Franziskus.
Dann
würdigte er, ohne sie namentlich zu nennen die frühere deutsche Bundeskanzlerin
Angela Merkel:
„Eine
Frau, eine große Staatsfrau, sagte einmal, dass das Problem der afrikanischen
Migration in Afrika gelöst werden muss, indem man Afrika hilft. Aber leider ist
Afrika Sklave eines kollektiven Unterbewusstseins, das besagt, dass Afrika
ausgebeutet werden soll. Und man denkt immer daran, Afrika auszubeuten. Die
Hilfe muss es vielmehr aufrichten und unabhängig machen, damit es nicht so
abhängig ist [...] Ich war im Südsudan, ein wunderbarer Staat, die sich gerade
wieder aufrüstet. Doch ausländische Mächte haben dort schnell ihre Industrien
angesiedelt, nicht um das Land wachsen zu lassen, sondern um Güter und
Rohstoffe zu transportieren. Ich will nicht alle Länder nennen, aber das Problem
mit Afrika ist, dass die unehrliche, unbewusste Politik immer noch glaubt, dass
Afrika ausgebeutet werden muss, und das hat sich nicht geändert. Daher auch die
ganze Migration.“
Seine
eigene Geschichte als Migrant: Verlassen des Heimatlandes
Er
ist der Sohn von Migranten und hat dies zu Hause erlebt. Der Migrant kann
entweder reich werden und es geht ihm gut, oder er kann sehr leiden, wenn er
nicht willkommen ist, erinnerte der Papst. In seinem Fall sei die Situation
klar, sagte Franziskus:
„Argentinien,
das, und ich möchte alles aus Liebe zu meinem Land, aus Liebe zur Wahrheit
sagen, ein Land der Migranten ist. Und wir, ich glaube, wenn ich mich nicht
irre, sind von unseren 46 Millionen Einwohnern nur 600.000 Ureinwohner, der
Rest sind Kriegsmigranten, spanische, italienische, libanesische und polnische
Emigranten. Also all das, Franzosen, Deutsche. Es ist ein Land der Einwanderer.
Ein Cocktail.“
Zum
Krieg in der Ukraine: Eine Mission für den Frieden
Zur
angeblichen Vermittlung des Vatikans im russischen Krieg gegen die Ukraine habe
der Papst bei seinem Treffen mit Wolodymyr Selenskji deutlich gemacht, dass der
ukrainische Präsident nicht so sehr von einer Vermittlung sprach, „weil der
ukrainische Block wirklich sehr stark ist“. „Ganz Europa, die Vereinigten
Staaten stehen hinter der Ukraine. Mit anderen Worten, sie haben eine sehr
große eigene Kraft“, erklärte der Papst. Der Frieden werde an dem Tag erreicht,
an dem sie miteinander reden können, „die beiden oder durch andere“, d.h.
Selenskji und Putin.
Zur
Abtreibung lässt der Papst zwei Fragen offen
Zum
Thema Abtreibung sage er Folgendes: In jedem Buch über Embryologie, das
Studenten im zweiten Studienjahr studieren, stehe, dass einen Monat nach der
Empfängnis, bevor die Mutter es merke, bereits das gesamte Organsystem
vorhanden sei und die DNA eindeutig sei. Und dann fügte Franziskus an: „Mit
anderen Worten: Es ist ein Lebewesen. Ich sage nicht, dass es ein Mensch ist,
es ist ein Lebewesen. Ich stelle mir also eine Frage: Ist es zulässig, ein
Lebewesen zu beseitigen, um ein Problem zu lösen? Zweite Frage: Ist es
zulässig, einen Auftragskiller zu engagieren, um ein Problem zu lösen? Und das
ist er. Sie werden mich da nicht zum Schweigen bringen. Denn es ist die
Wahrheit.“
Zölibat
und sexueller Missbrauch in der Kirche
Es
gebe keinen direkten Zusammenhang zwischen Zölibat und Missbrauch, betonte der
Papst weiter. Statistiken würden die These bestätigten, dass es „also nichts
damit zu tun“ habe. Es gebe Fälle von Missbrauch durch verheiratete Onkel,
verheiratete Großeltern „und sie sind manchmal die ersten Vergewaltiger“,
erinnerte der Papst und präzisierte: „Ich sage nicht, dass alle Onkel,
Großeltern Täter sind. Ich spreche von den Statistiken.“ (vn 26)
„Synodalität steht gerade mal am
Anfang“
Der
Synodale Weg hat sich große Reformen erhofft – doch an vielen Stellen ist das
Reformprojekt der katholischen Kirche in Deutschland nicht so weit gekommen wie
erhofft. Der Vizepräsident des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK),
Thomas Söding, sieht den Prozess der Synodalität jedoch erst am Anfang. Das
gelte auch für das Miteinander mit Rom, sagte der Theologe dem Kölner Domradio
in einem Interview.
Der
Synodale Weg wurde im März mit der fünften Synodalversammlung in Frankfurt erst
mal beendet. Die Dokumente sind alle verfasst und abgestimmt. Ist das Thema
jetzt abgehakt?
„Synodalität
steht gerade mal am Anfang. Wir haben eine erste Phase abgeschlossen. Wir haben
Zeichen gesetzt. Wir wissen, wohin der Weg geht. Aber wir müssen die
Nachhaltigkeit noch organisieren. Wir sind gut aufgestellt, aber die Umsetzung
muss noch kommen.“
„Zuversichtlich,
dass wir das Rom gegenüber vermitteln können“
Die
Dokumente sind unterzeichnet. Da geht es zum Beispiel um den Segen für homosexuelle
Paare oder die Beteiligung des Gottesvolkes an der Bischofswahl. In Paderborn
und Osnabrück aber merkt man, dass das gar nicht so einfach umzusetzen ist,
weil vom Vatikan bei jeder Reformidee ein Einspruch kommt. Waren die ganzen
Ausarbeitungen damit für die Katz?
„Wir
gehen die Sache sehr seriös an. Das heißt, wir orientieren uns genau an den
Beschlüssen des Synodalen Weges. Ihre zwei Beispiele möchte ich gerne
aufgreifen: Zur Beteiligung des Kirchenvolkes an der Bestellung von Bischöfen
haben wir gesagt, dass es eine Musterordnung braucht, die die Konkordate
penibel einhält und dann im Gespräch mit allen Beteiligten auslotet, wie stark
die Beteiligung des Kirchenvolkes gesteigert werden kann. Die Antwort haben wir
noch nicht fix. Um sie zu sichern, brauchen wir eine gewisse Zeit. Es wird aber
nicht zu lange dauern.
Bei
den Segensfeiern ist es ähnlich. Beschlossen ist, dass man sich über Formen
verständigt, in denen diese Segensfeiern gestaltet werden können. Nicht das Ob,
sondern das Wie steht auf der Tagesordnung. Ich bin ganz zuversichtlich, dass
wir das auch Rom gegenüber vermitteln können.“
„Ich
bin sicher, dass man Bedenken ausräumen kann“
Also,
es geht nicht um ein Ja oder Nein, sondern um die Ausgestaltung, was dann von
Rom keinen Widerspruch findet?
„Ich
bin sicher, dass man, wenn man konkret wird, auch Bedenken, die geäußert worden
sind und die wir von römischer Seite her wahrnehmen, ausräumen kann. Ich nehme
als Beispiel den Synodalen Rat. Da ist gesagt und geschrieben worden, es
scheine so zu sein, als ob der Bischof eine Art ‚Frühstücksdirektor‘ seiner
Diözese wird. Das ist meine Formulierung. Oder dass der Synodale Rat auf
Bundesebene eine Art Oberbehörde über die Bischofskonferenz werde.
Da
können wir sagen: Es scheint vielleicht so, aber es ist nicht so und wird auch
nicht so sein. Allerdings muss eine Grundentscheidung getroffen werden. Wir
müssen schauen, dass wir aus diesem rein monarchischen Bischofsverständnis
herauskommen und in ein partizipatives, in ein synodales Verständnis von Kirche
hineinkommen.“
Wie
kann diese Synodalität organisiert werden?
Die
Kritiker sagen, den von Rom untersagten Synodalen Rat führen Sie nicht ein,
aber die Vorstufe des Synodalen Ausschusses. Gibt man dem Kind damit nicht
einfach einen anderen Namen und macht trotzdem genau so weiter?
„Die
Synodale Ausschuss hat drei Aufgaben. Die erste Aufgabe ist die Evaluation der
Beschlüsse des Synodalen Weges: Wie läuft die Umsetzung? Zweitens muss er mit
den vielen Themen sorgsam umgehen, die als Problemthemen identifiziert worden
sind, aber noch nicht in der zurückliegenden Zeit bearbeitet werden konnten.
Drittens gilt es in der Tat darum, sich darüber zu verständigen, was eigentlich
Synodalität heute und morgen heißt. Was heißt es in Deutschland, in Europa, in der
Welt? Wie kann diese Synodalität organisiert werden?
Da
gibt es gewisse Benchmarks, die gesetzt worden sind – zum Beispiel, dass
gemeinsames Beraten und gemeinsames Entscheiden zusammengehören. Aber wie dies
vermittelt wird, muss erst ausgearbeitet werden. Und das wird auch überzeugend
ausgearbeitet werden.“
Wie
weit sind denn die Vorbereitungen für den Synodalen Ausschuss im Moment?
„Die
Menschen, die in diesem Synodalen Ausschuss mitarbeiten wollen und werden, sind
bestimmt. Wir haben eine sehr große Auswahl unter sehr engagierten Menschen aus
der katholischen Kirche gehabt, die sich dieser Arbeit, die nicht nur
vergnügungssteuerpflichtig sein wird, stellen wollen. Das zeigt für mich noch
einmal, wie viel Kompetenz im Raum der katholischen Kirche unterwegs ist. Die
Diözesanbischöfe werden alle Mitglied sein, auch 27 vom ZdK gewählte Mitglieder
- und dann noch einmal 20 weitere.
Wir
wissen jetzt, wann die erste Sitzung sein wird. Wir wissen, wie diese Arbeit
organisiert werden muss. Aber bei allen Vorbereitungen, die selbstverständlich
jetzt schon laufen, müssen wir auch Respekt vor diesem Synodalen Ausschuss
selbst haben. Er gibt sich selber seine Agenda. Die muss vorbereitet sein. Aber
die Entscheidung wird im November getroffen werden.“
„Nicht
unser Konkurrenzprojekt“
Parallel
läuft auch der weltweite synodale Prozess. Da waren Sie selber beim
kontinentalen Treffen in Prag dabei. Im Moment ist die Vorbereitung für das
erste Treffen in Rom im Herbst. Wie blicken Sie darauf? Was erwarten Sie davon?
Man könnte ja fies sagen, das sei Ihr Konkurrenzprojekt.
„Nein,
das ist nicht unser Konkurrenzprojekt! Für mich ist es ein deutliches Zeichen,
dass die katholische Kirche anerkennt, dass sie in einer schlechten Verfassung
ist. Diese schlechte Verfassung mache ich am Missbrauchs-Syndrom fest. Aber das
ist nur die Spitze des Eisbergs. Dahinter steckt ein tiefer liegendes Problem,
nämlich wie die sehr stark betonten Rechte des Papstes einerseits und der
Bischöfe andererseits in ein konstruktives Verhältnis zu den viel weniger
ausgeprägten Rechten aller Gläubigen gesetzt werden.
Jetzt,
mitten im 21. Jahrhundert, sind wir so weit, dass die Gläubigen sich
organisieren wollen und können. Diese hergebrachte Unterscheidung zwischen der
lehrenden und der lernenden Kirche wird in vielerlei Hinsicht differenziert.
Das ist eine Riesenchance für die katholische Kirche. Ich sehe alle Kontinente
als Orte, an denen im Moment gezeigt wird: So wie jetzt, geht es nicht weiter.
Wir brauchen neue Formen, katholische Kirche zu sein.“
Was
erwarten Sie denn konkret für Veränderungen?
„Für
mich gehören Form und Inhalt immer zusammen. Das hat sich bislang auch auf
jedem Kontinent gezeigt. Ich meine aber, dass es durchaus lohnend ist, die
Frage zu fokussieren, wie man eigentlich als katholische Kirche zusammenkommt,
wie man in Gemeinsamkeiten des Beratens und Entscheidens oder des Hinhörens,
des Urteilens, aber auch des Handelns und der Verantwortung hineinkommt. Ich
glaube nicht, dass es da ein Weltmodell für die ganze katholische Kirche gibt.
Aber ich glaube, dass sehr viel mehr an Partizipation möglich ist, als
gegenwärtig vorgesehen ist.
„Australien,
Lateinamerika und Deutschland als synodale Lernorte“
Wie
blicken Sie denn auf die synodalen Bestrebungen in anderen Ländern? Was sehen
Sie da im Vergleich zu Deutschland?
„Es
gibt eine weltweit ganz starke Bewegung, einen sehr intensiven Austausch. Ich
sehe vor allen Dingen drei Orte, an denen synodale Erfahrungen nicht nur
konzipiert, sondern auch gesammelt worden sind. Die Orte sind Australien,
Deutschland und Lateinamerika.
In
Australien hat man versucht, mit den vorgefertigten Formen des Kirchenrechts zu
agieren. Man hat gesehen, dass man nur zu guten Prozessen gekommen ist, weil
die Formen stark ausgeweitet und verändert worden sind. Es gibt in
Lateinamerika eine viel längere Tradition, vor allen Dingen auch in der
Organisation einer kontinentalen Kirche. Davon sind wir in Europa noch Stück
weit entfernt. Wir können noch enorm viel von Lateinamerika lernen. In
Deutschland haben wir diese spezielle, auf Organisation, auch auf Theologie
beruhende Form eines Miteinanders – eines diskursiven, aber auch spirituellen
Miteinanders von Bischöfen und anderen Gläubigen, das formal wie inhaltlich ein
ganz besonders Profil zeigt. Einige finden das zwar nicht ganz so gut, aber
sehr viele finden es auch ausgezeichnet.“
Nicht
so gut findet dies der Vatikan, oder?
„Das
kann man so nicht sagen. Es gibt ein viel größeres Feld. Es ist unglaublich
wichtig, dass man wieder stärker miteinander spricht, dass man wechselseitig
aufeinander hört, dass man nicht nur Briefe schreibt.“
„Ich
vertraue auf den Prozess“
Der
Konflikt scheint größtenteils mit Deutschland zu bestehen. Ist das ein
Mentalitätsproblem? Sind das zwei unterschiedliche Mentalitäten, die da
aufeinanderprallen?
„Ich
will nicht spekulieren, dass Deutschland aufgrund seiner Geschichte immer im
besonderen Fokus steht. Im Moment besteht die Chance, dass man in der
katholischen Kirche die unterschiedlichen Erfahrungen sammelt, die zu
unterschiedlichen Erwartungen führen.
Die
Entscheidung, dass man nicht schon im Oktober 2023 fertig sein will, sondern
sich noch ein weiteres Jahr gönnt, zeigt in meinen Augen, wie groß die
Baustelle ist, auf die sich die katholische Kirche jetzt begibt. Aber Gott sei
Dank begibt sie sich darauf. Ich vertraue auf den Prozess und ich glaube, dass
wir am Ende mit einer synodaleren Struktur der katholischen Kirche aus diesem
Prozess herauskommen.“
Sie
stehen auch selber in Kontakt mit Rom. Hören Sie Aussagen, dass das in
Deutschland nicht doch vielleicht Sinn macht?
„Sobald
man in Rom in Gesprächen auf die Ebene der theologischen Argumentation kommt,
sobald man von Angesicht zu Angesicht redet, sobald man auch über die
spirituellen Erfahrungen, die ja sehr kontrovers sind, redet, sobald man die
Innenperspektive mit der Außenperspektive verschaltet, bewegt sich etwas. Ich
sage nicht, dass dann der Triumphmarsch in Rom angespielt wird. Nein, wir in
Deutschland müssen auch sehr stark lernen. Wir haben das immer gesagt. Wir
machen das auch. Wir lernen von den Prozessen, die in anderen Ländern
stattfinden. Wir sind ein Teil der katholischen Kirche, aber wir wollen eben
auch unsere Stimme erheben.“ (domradio 26)
Papst: Synodale Kirche ist für alle
offen
Seine
Sicht auf Synodale Prozesse hat Papst Franziskus in einer Grundsatzansprache an
die Vertreter des „Synodalen Wegs der Kirchen in Italien“ erneut dargelegt und
ihnen einige Anhaltspunkte mit auf den Weg gegeben. In der Audienzhalle traf er
die italienischen Bischöfe und die Diözesandelegierten, die den Synodalen
Prozess auf italienischem Territorium begleiten.
Es
gehe bei den Synodalen Prozessen – „wir wir wissen“ – nicht darum, „die
Meinungen der Menschen zu suchen“ oder „sich zu einigen, es ist etwas anderes“,
betonte der Papst vor seinen rund 1.000 Gästen in der Audienzhalle im Vatikan.
Vielmehr handele es sich bei dem weltweiten Prozess, der derzeit in den
Ortskirchen seinen Niederschlag findet, um „eine schöne Erfahrung des Hörens
auf den Geist und der Konfrontation zwischen den verschiedenen Stimmen der
christlichen Gemeinschaften“: „Dies hat dazu geführt, dass sich viele
engagieren, insbesondere bei bestimmten Themen, die Sie als entscheidend und
vorrangig für die Gegenwart und die Zukunft erkennen. Dies ist eine
einzigartige geistliche Erfahrung der Bekehrung und Erneuerung, die Ihre
kirchlichen Gemeinschaften missionarischer und besser auf die Evangelisierung
in der Welt von heute vorbereitet machen kann.“
Hinweise
darauf, wie Synodalität (nicht) funktioniert
Vor
diesem Hintergrund gab das Kirchenoberhaupt den Anwesenden einige Hinweise mit
auf den Weg. So müsse die Kirche in gegenseitigem Hören aufeinander
voranschreiten, ebenso wie eine Verantwortungsteilung zwischen Bischöfen,
Priestern und Laien anstreben. Besonders geißelte Franziskus in seiner
Ansprache jedoch eine gewisse „Selbstbezogenheit“, mit der sich „eine Art
,defensiver Neoklerikalismus einzuschleichen“ drohe, der dann umso schlimmer
sei, wenn er auf Laien übergreife: „Der defensive Neoklerikalismus, der durch
eine ängstliche Haltung entsteht, durch die Klage über eine Welt, die uns nicht
mehr versteht, dass die jungen Menschen verloren sind, durch das Bedürfnis,
sich zu wiederholen und seinen Einfluss geltend zu machen...“
Weiter
vorwärts gehen
Als
Gegenmittel gab der Papst einige Denkanstöße mit, so gelte es, stets „weiter
vorwärts zu gehen“, eine Kirche darzustellen, deren Antlitz durch „Demut,
Selbstlosigkeit und die Seligpreisungen“ charakterisiert sei:
„Eine
synodale Kirche ist eine solche, weil sie ein lebendiges Bewusstsein dafür hat,
mit dem Auferstandenen in der Geschichte zu gehen, nicht um sich selbst und
ihre eigenen Interessen zu schützen, sondern um dem Evangelium in einem Stil
der Unentgeltlichkeit und der Fürsorge zu dienen, indem sie die Freiheit und die
Kreativität kultiviert, die denen eigen sind, die die frohe Botschaft der Liebe
Gottes bezeugen und dabei im Wesentlichen verwurzelt bleiben. Eine Kirche, die
von Strukturen, Bürokratie und Formalismus erdrückt wird, wird es schwer haben,
in der Geschichte zu wandeln, im Gleichschritt mit dem Geist, sie wird dort
stehen bleiben und wird nicht den Männern und Frauen unserer Zeit entgegengehen
können.“
„Eine
Kirche, die von Strukturen, Bürokratie und Formalismus erdrückt wird, wird es
schwer haben, in der Geschichte zu wandeln“
Als
zweiten Hinweis gab Franziskus den Anwesenden mit auf den Weg, Kirche
„gemeinsam“ zu gestalten, eine „dringende“ Notwendigkeit 60 Jahre nach dem
Abschluss des II. Vatikanums, wo doch „stets die Versuchung lauert, bestimmte
,qualifizierte Akteure‘ auszusondern, die eine pastorale Tätigkeit ausüben“.
Doch vielmehr müsse man den Kreis kirchlicher Mitverwaltung erweitern,
erneuerte der Papst seinen entsprechenden Aufruf: „Wir brauchen christliche
Gemeinschaften, in denen sich der Raum vergrößert, in denen sich jeder zu Hause
fühlen kann, in denen die pastoralen Strukturen und Mittel nicht die Bildung
von Kleingruppen begünstigen, sondern die Freude, mitverantwortlich zu sein und
sich mitverantwortlich zu fühlen.“ Dabei könne jeder Getaufte seine Portion der
Verantwortung übernehmen, erinnerte der Papst.
Verantwortung
teilen
Eine
„offene Kirche“ benannte der Papst als dritten Anhaltspunkt für eine gelungene
Fortführung des Synodalen Weges in Italien, was gerade nicht bedeute,
„weltliche Logiken einer Machtverteilung umzusetzen“: „Sondern es bedeutet, den
Wunsch zu kultivieren, den anderen in dem Reichtum seiner Charismen und seiner
Einzigartigkeit anzuerkennen. Auf diese Weise kann ein Platz für diejenigen
gefunden werden, die immer noch darum ringen, ihre Präsenz in der Kirche
anerkannt zu sehen, für diejenigen, deren Stimmen überdeckt, wenn nicht gar zum
Schweigen gebracht oder ignoriert werden, für diejenigen, die sich unzulänglich
fühlen, vielleicht weil sie schwierige oder komplexe Lebenswege haben.“
„Solange
ihre Präsenz eine sporadische Note im gesamten kirchlichen Leben bleibt, wird
die Kirche nicht synodal sein, sie wird eine Kirche der wenigen sein“
Kirche
müsse für „alle“ offen sein, „Kranke, nicht Kranke, Gerechte, Sünder, alle,
alle drin“, wiederholte Franziskus energisch: „Wir sollten uns fragen, wie viel
Raum wir den Stimmen der Jugendlichen, der Frauen, der Armen, der Enttäuschten,
der im Leben Verletzten und der auf die Kirche Wütenden in unseren
Gemeinschaften geben und wie viel wir ihnen wirklich zuhören. Solange ihre
Präsenz eine sporadische Note im gesamten kirchlichen Leben bleibt, wird die
Kirche nicht synodal sein, sie wird eine Kirche der wenigen sein.“
Kirche
sei dann attraktiv, wenn sie die Unruhe der unruhigen heutigen Zeit aufgreife,
wenn der Weg mit Leben gefüllt sei und die Herzen der anderen nicht „ersticke“,
sondern „entzünde“, so Franziskus weiter: „Der große Feind dieses Weges ist die
Angst“, fügte er spontan hinzu.
Der
Heilige Geist ist der Protagonist
Letztlich
sei sowieso alles dem Heiligen Geist überlassen, der der „Protagonist des
Synodalen Prozesses“ sei, „Er, nicht wir, Er“, insistierte der Papst: „Er ist
es, der Einzelne und Gemeinschaften für das Zuhören öffnet; er ist es, der den
Dialog authentisch und fruchtbar macht; er ist es, der das
Unterscheidungsvermögen erhellt; er ist es, der die Wahl und die Entscheidungen
leitet. Er ist es vor allem, der Harmonie schafft.“
Besonders
hob Franziskus seine programmatische Ansprache beim Festakt zu 50 Jahren
Gründung des Synodensekretariats hervor, die „wichtig“ sei, so die implizite
Einladung dazu, sich die Gedanken des Papstes zu Synodalität während des
weltweiten Prozesses noch einmal vorzunehmen. (vn 25)
Katholischer Kinder- und
Jugendbuchpreis 2023 verliehen
Zum
34. Mal hat die Deutsche Bischofskonferenz heute (25. Mai 2023) den
Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreis verliehen. Bei einem Festakt im
Erfurter Augustinerkloster übergaben der Bischof von Erfurt, Dr. Ulrich
Neymeyr, und Weihbischof Robert Brahm (Trier), Vorsitzender der Jury des
Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreis, die Preisträgerstatuette an den
Autor, Andreas Steinhöfel, und die Illustratorin, Melanie Garanin, für ihren
Graphic Novel Völlig meschugge?!. Die Jury hat das Buch aus insgesamt 177
Titeln ausgewählt, die von 67 Verlagen eingereicht wurden.
Andreas
Steinhöfel und Melanie Garanin erzählen die Geschichte von den drei
Schulfreunden Charly, Benny und Hamid, die in einen Strudel von Gewalt, Mobbing
und Ausgrenzung geraten. Als Bennys Opa ihm auf dem Sterbebett eine Kette mit
Davidstern vermacht, sind alle überrascht, dass Benny Jude ist. Am meisten er
selbst. Benny ist mit der neuen Situation überfordert und Hamid, als Muslim,
muss sich „erwartungsgemäß“ ablehnend gegenüber seinem Freund verhalten.
Dazwischen steht die Umweltaktivistin Charly, die den beiden Freunden in den
Ohren liegt, den Konflikt zu lösen.
Das
Buch ist Teil eines transmedialen Projekts und basiert auf der sechsteiligen
Fernsehproduktion der Tellux-Film GmbH in Zusammenarbeit mit sad ORIGAMI für
den Kinderkanal von ARD und ZDF, KiKa, die im Jahr 2022 ausgestrahlt wurden.
Mobbing, Ausgrenzung, vernichtende Vorurteile bis hin zu gewaltsamen
Übergriffen lassen den handelnden Personen kaum eine Möglichkeit, sich aus dem
Abwärtsstrudel dieser gesellschaftlichen Realitäten zu befreien. Charly, Benny
und Hamid finden ihren Weg aus dem Konflikt und es bleibt die Gewissheit, dass
die Schule ein Ort des Erlernens von Sozial- und Konfliktlösungskompetenzen
sein muss. Das Drehbuch entstand in Zusammenarbeit Andreas Steinhöfels mit
Adrian Bickenbach und Klaus Döring.
In
seiner Begrüßung betonte Bischof Neymeyr mit Blick auf das Preisbuch den
Zusammenhalt und das Miteinander in einer Freundschaft, die für die drei
Freunde im Laufe der Geschehnisse (über)lebenswichtig werden. „So in etwa hätte
es sich abspielen müssen, damit der Streit und die Spannungen der Schülerinnen
und Schüler in der Geschichte nicht eskalieren, und unterschiedliche Herkunft
und Religion keinen Grund für einen Konflikt darstellen“, lobte Bischof
Neymeyr. Daher sei es besonders wichtig, „dass diese Konfliktpotenziale Kindern
und Jugendlichen durch wertvolle Medien veranschaulicht werden, und diese
Medien, vor allem dieses wunderbare Buch, das uns heute Abend hier
zusammengeführt hat, die gebührende Aufmerksamkeit erfahren“.
Kathleen
Hildebrand, Journalistin und Redakteurin für Kultur und Medien bei der
Süddeutschen Zeitung, sagte in ihrer Laudatio, das Buch sei „ganz nah bei den
Kindern, die gerade zu Jugendlichen werden. Indem es sie ernst nimmt als junge,
im Entstehen begriffene Charaktere. Indem es ihnen Individualität zugesteht,
einen eigenen Blick auf die Welt, aber auch Hilflosigkeit und Fehler“. Weiter
lobte sie die große Leistung, die das Buch zu einem herausragenden Kinder- und
Jugendbuch mache: „Es verheddert sich nicht in der Komplexität seiner Themen.
Nicht im Nahostkonflikt. Nicht in der deutschen Geschichte und ihrem schlimmsten
Kapitel. Und nicht in pädagogischen Tiraden. Obwohl es sich selbst die
wichtigste Aufgabe der Pädagogik stellt: Die Erziehung zur Mitmenschlichkeit“,
sagte Hildebrand.
Melanie
Garanin und Andreas Steinhöfel bedankten sich bei der Jury für die Auszeichnung.
„Ich fühle mich geehrt, bin stolz und sehr glücklich, dass unser Buch gewonnen
hat. Wenn ein Buch, in dem verschiedene Religionen eine große Rolle spielen,
ohne dass auch nur einmal der Zeigefinger erhoben wird und ohne dass der
christliche Glaube namentlich erwähnt wird, diesen Preis gewinnt, ist dies für
mich ein Zeichen großer Toleranz, und ich freue mich sehr, dass die Jury mit
ihrer Auszeichnung alljährlich so ein Zeichen setzt“, sagt Garanin. Steinhöfel
betonte, dass Völlig meschugge?! vor allem eine Geschichte über Vorurteile sei.
„Vorurteile können sozialer Natur sein, oder nationaler, oder ethnisch
begründet. Völlig meschugge?! beleuchtet Vorurteile, die auf verschiedenen
Religionszugehörigkeiten basieren. Eines der grundlegendsten Merkmale von
Vorurteilen ist, dass man nur übereinander redet, nicht miteinander. Umso mehr
freut es mich, dass die Jury sich mit der Wahl von Völlig meschugge?! so offen
zeigt für einen interreligiösen Dialog, für ein Miteinander“, sagte der Autor.
Zum
Autor: Andreas Steinhöfel wurde 1962
geboren. Nach seinem Studium der Anglistik, Amerikanistik und
Medienwissenschaften arbeitet er als Übersetzer und schreibt Kinder- und
Jugendbücher sowie Drehbücher. Zu seinen bekanntesten Werken gehört die Reihe
um Rico und Oskar, deren Abenteuer auch als Trick- sowie als Kinofilme verfilmt
wurden. Andreas Steinhöfel lebt heute in Biedenkopf und ist als Produzent für
Kinderfilme in seiner Firma sad ORIGAMI tätig.
Zur
Illustratorin: Melanie Garanin wurde 1972 geboren. Sie studierte in
Potsdam-Babelsberg Zeichentrickfilm und ist heute freiberufliche Illustratorin
und Comiczeichnerin. Mit ihrer Familie und einigen (Haus-)Tieren lebt Melanie
Garanin in der Nähe von Berlin.
Hinweise:
Das Grußwort von Bischof Dr. Ulrich Neymeyr und die Laudatio von Kathleen
Hildebrand stehen als PDF-Dateien unter www.dbk.de zur Verfügung. Weitere
Informationen zum Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreis sowie die
Zusammensetzung der Jury finden Sie unter www.dbk.de auf der Themenseite des Katholischen
Kinder- und Jugendbuchpreises.
Zum
Katholischen Kinder- und Jugendbuchpreis der Deutschen Bischofskonferenz sind
die Arbeitshilfe Nr. 337 Preisbuch 2023 und empfohlene Bücher mit ausführlichen
Rezensionen aller Titel sowie das Plakat zum Katholischen Kinder- und
Jugendbuchpreis 2023 im Format DIN A2 erschienen. Beides kann unter www.dbk.de
in der Rubrik Publikationen bestellt oder als PDF-Datei heruntergeladen werden.
dbk 25
Papst: „Den Krieg gegen die
Schöpfung beenden“
Franziskus
ruft eindringlich zu einem „Wandel der Herzen, Lebensstile und Politiken“ auf,
um den Lebensraum der Menschheit zu erhalten. In seiner Botschaft zum
diesjährigen Weltgebetstag für die Bewahrung der Schöpfung klagt er globale
Ungerechtigkeiten an und spricht von einem „Krieg gegen die Schöpfung“. Anne
Preckel – Vatikanstadt
Es
brauche „eine rechte Beziehung zu Gott, den Menschen und der Natur“, damit
„Gerechtigkeit und Frieden wie ein unerschöpflicher Strom reinen Wassers
fließen und die Menschheit und alle Geschöpfe ernähren“ könnten, betont der
Papst in seiner Botschaft und geht dabei von einem Wort des Propheten Amos aus.
Thema der diesjährigen Schöpfungszeit, die sich an den Weltgebetstag am 1.
September anschließt, ist: „Lasst Gerechtigkeit und Frieden fließen“.
An
der Seite der Schwächsten
Für
die diesjährige Schöpfungszeit, eine weltweit begangene ökumenische
Aktionswoche für Umwelt- und Klimaschutz, ruft der Papst dazu auf, sich „an die
Seite der Opfer von Umwelt- und Klima-Ungerechtigkeit zu stellen und diesen
sinnlosen Krieg gegen die Schöpfung zu beenden“. Der Herzschlag der Menschheit,
der Schöpfung und Gottes schlügen „nicht gemeinsam in Gerechtigkeit und
Frieden“, formuliert Franziskus, „zu viele werden daran gehindert, aus diesem
mächtigen Fluss zu trinken“.
Der
Papst nennt dann Beispiele, in denen sich der „Krieg gegen die Schöpfung“
äußert – etwa im „rasenden Konsum“, der den Wasserkreislauf des Planeten stört,
in der „ungezügelten“ Nutzung fossiler Brennstoffe und der Rodung der Wälder,
die zu Temperaturanstiegen, Wasserknappheit und schweren Dürren führten sowie
„räuberischen Industrien“, deren Methoden des Ressourcenabbaus und der
Tierhaltung der Umwelt schaden.
Mutige,
gemeinsame Schritte
Es
gelte „die schlimmsten Folgen“ des Raubbaus, der Umweltverschmutzung und des
menschengemachten Klimawandels zu verhindern, appelliert der Papst. Dieser
Einsatz könne dann fruchtbar sein, „wenn wir uns, wie so viele Bäche und
Sturzbäche, schließlich zu einem mächtigen Fluss vereinen, um das Leben unseres
wunderbaren Planeten und unserer Menschheitsfamilie für kommende Generationen
zu bewässern. Reichen wir uns die Hände und unternehmen wir mutige Schritte,
damit Gerechtigkeit und Frieden auf der ganzen Erde fließen können“, so
Franziskus.
„Wie
können wir in dieser Zeit der Schöpfung zu dem mächtigen Fluss der
Gerechtigkeit und des Friedens beitragen? Was können wir, insbesondere als
christliche Kirchen, tun, um unser gemeinsames Haus wiederherzustellen, damit
es wieder vor Leben wimmelt? Wir müssen uns entschließen, unsere Herzen,
unseren Lebensstil und die öffentliche Politik, die unsere Gesellschaften
regiert, zu verändern.“
Unsere
Beziehung zur Schöpfung erneuern
Erste
Voraussetzung dafür sei eine „ökologische Umkehr“ im Herzen eines jeden
Einzelnen. Die Schöpfung dürfe nicht als auszubeutendes Objekt betrachtet
werden, sondern sei ein „heiliges Geschenk des Schöpfers“, so Franziskus. Es
gelte ökologischen Respekt zu kultivieren: gegenüber Gott, gegenüber den
Mitmenschen und zukünftigen Generationen, gegenüber der Natur und gegenüber uns
selbst. „Ökologische Sünden“ sollten erkannt und bereut werden.
Anders
leben und konsumieren
Neben
dieser Haltungsänderung brauche es einen Wandel der Lebensstile, fährt der
Papst fort, der hier zu einer „freudigen Nüchternheit“ rät. Konkrete Maßnahmen
seien die Reduktion und Wiederverwertung von Abfall sowie das Zurückfahren
unnötigen Konsums, „insbesondere dort, wo die Produktionsprozesse giftig und
nicht nachhaltig sind“. Gewohnheiten und wirtschaftliche Entscheidungen sollten
im Sinne „unserer Mitmenschen und Kindeskinder“ selbstkritisch überprüft werden
und „ökologisch und sozial verantwortliche“ Produkte und Dienstleistungen in
Anspruch genommen werden. Ressourcen gelte es „so sparsam wie möglich“ zu
nutzen.
Politik
sitzt am Hebel
Zentrale
Begriffe in der Botschaft des Papstes sind „Gerechtigkeit und Frieden“, die der
Papst als Grundlage für ein Leben aller Menschen in Fülle und im Einklang mit
der Schöpfung beschreibt. Franziskus drängt auf eine Änderung der Politiken,
die das Leben gegenwärtiger und zukünftiger Gesellschaften beeinflussen. Er
kritisiert die Schere zwischen wenigen „unverschämt“ Reichen und vielen Armen,
die unter „menschenunwürdigen Bedingungen“ leben, er verweist auf die
„ökologische Schuld“ der reichsten Nationen und die Pflicht der Mächtigen,
Konsequenzen aus dem Klimawandel zu ziehen.
Appell
an COP28 in Dubai
Konkret
richtet er sich an den nächsten COP28-Gipfel, der vom 30. November bis 12.
Dezember dieses Jahres in Dubai stattfindet: „Die Staats- und Regierungschefs
(…) müssen auf die Wissenschaft hören und einen raschen und gerechten Übergang
einleiten, um das Zeitalter der fossilen Brennstoffe zu beenden. Gemäß den
Verpflichtungen des Pariser Abkommens zur Eindämmung der Erderwärmung ist es
unsinnig, die weitere Erkundung und den Ausbau der Infrastruktur für fossile
Brennstoffe zuzulassen.“
Im
Namen der Gerechtigkeit und der Zukunft
Franziskus
klagt die „Ungerechtigkeit gegenüber den Armen und unseren Kindern“ an, „die
die schlimmsten Auswirkungen des Klimawandels zu spüren bekommen werden“. Diese
Ungerechtigkeit müsse gemeinsam und jetzt beendet werden. Einen Bezug stellt
der Papst zum Synodalen Prozess der Weltkirche her, den er selbst angeregt hat.
Eine synodale Kirche müsse „Quelle des Lebens für das gemeinsame Haus und alle,
die darin leben, sein“. Es gehe um Reflexion und Erneuerung, Gerechtigkeit und
Frieden auch im Kosmos der Kirche.
Den
Weltgebetstag für die Bewahrung der Schöpfung hatte Papst Franziskus am 10.
August 2015 eingerichtet. Er bildet den Auftakt der Schöpfungszeit, deren
Abschluss in diesem Jahr am 4. Oktober, dem Fest des Heiligen Franz von Assisi,
mit der Eröffnung der Synode zur Synodalität zusammenfällt. Diese Synode im
Vatikan (eine erste von insgesamt zwei Synoden, die 2023 und 2024 stattfinden)
bildet den Abschluss eines mehrjährigen synodalen Prozesses, den Papst
Franziskus in den Ortkirchen beginnen ließ.
Hinweis:
Die Zitate des Papstes sind eine Arbeitsübersetzung von Radio Vatikan. Der
offizielle Wortlaut auf Deutsch lag bei der Veröffentlichung der Botschaft
(11.30 Uhr) noch nicht auf Deutsch vor. Die offizielle deutsche Übersetzung
dürfte später hier zu finden sein. (vn 25)
Franziskus: „Christ ist von Natur
aus jemand, der predigt“
Wer
von den Gläubigen wirklich Christus folgt, kann nicht anders als das Evangelium
zu verkünden. Darauf hat Papst Franziskus an diesem Mittwoch bei der
Generalaudienz hingewiesen. Christen seien „von Natur aus“ Missionare, die es
dazu drängt, die Frohe Botschaft weiterzugeben. In einer schwierigen Umgebung
sei die Leidenschaft für die Evangelisierung noch wertvoller, unterstrich der
Papst. Gudrun Sailer - Vatikanstadt
In
seiner Katechesenreihe über die Freude an der Evangelisierung ging Franziskus
diesmal auf einen koreanischen Heiligen des 19. Jahrhunderts ein, Andreas Kim
Tae-gon (1821-1846). Er war Koreas erster katholischer Priester und starb mit
25 Jahren als Märtyrer. Vor Andreas allerdings seien es Laien gewesen, die das
Evangelium in Korea als erste verkündet hätten, und das inmitten der Gefahr,
merkte Franziskus an: „Wären wir dazu fähig, so etwas zu tun?“
Hier
zum Hören:
„Bist
du ein Jünger Jesu?“, mit dieser Frage trat der heilige Andreas in Kontakt mit
den übrigen Gläubigen im Untergrund, was angesichts der massiven
Christenverfolgung lebensgefährlich war. Die Frage: „Bist du ein Jünger Jesu?“
war also das Erkennungszeichen, und mehr als das: „Für Andreas Kim war „Jünger
Jesu" der Ausdruck, der die ganze Identität des Christen zusammenfasst“,
so der Papst.
„Daher
ist der Christ von Natur aus jemand, der predigt und Zeugnis von Jesus ablegt“
Jünger
des Herrn zu sein, bedeute, seinem Weg zu folgen. „Daher ist der Christ von
Natur aus jemand, der predigt und Zeugnis von Jesus ablegt“, fuhr Franziskus
fort. Die Leidenschaft für die Verkündigung schenke der Heilige Geist, und
diese Leidenschaft werde in einem feindseligen Umfeld sogar noch wertvoller.
„Wir dürfen nicht aufhören und wir dürfen nicht aufgeben, das zu verfolgen, was
in unserem christlichen Leben wesentlich ist, nämlich die Evangelisierung.“
„In
unserem christlichen Leben wesentlich: die Evangelisierung“
Heilige
fallen - und stehen wieder auf
Franziskus
wies darauf hin, dass Heilige fallweise auch straucheln. Petrus, der Jünger
Jesu, habe „eine große Sünde begangen. Aber er vertraute auf die Barmherzigkeit
Gottes und ist wieder aufgestanden“. Jeder und jede Gläubige solle für sich
überlegen, wie und wo Evangelisierung möglich ist: in der Familie, im
Freundeskreis. „Von Jesus reden, aber von Jesus reden und mit dem Herzen voller
Freude evangelisieren, voller Kraft. Und diese Kraft gibt uns der Heilige
Geist. Bereiten wir uns darauf vor, den Heiligen Geist im nahen Pfingstfest zu
empfangen.“
Gesammelte
Werke des Papstes auf Deutsch
Die
Werke des Papstes auf DeutschAuch der deutsche Verleger Manuel Herder nahm an
diesem Mittwoch an der Audienz auf dem Petersplatz teil. Bei dieser Gelegenheit
überreichte er dem Papst seine im Herder-Verlag auf Deutsch erschienen
Schriften der letzten drei Jahre, darunter „Fratelli tutti“ und „Freut euch und
jubelt (Gaudete et exsultate)“. Der sichtlich erfreute Papst legte dem Verleger
in seinem auch Jahre nach seinem Deutschlandaufenthalt noch sehr passablen
Deutsch scherzhaft ans Herz, sie selbst zu lesen – und bat um Gebet für seine
„nicht einfache Aufgabe“. (vn 24)
Jahrestagung Weltkirche und Mission
zur sozial-ökologischen Transformation in Würzburg beendet
Die
heute (24. Mai 2023) in Würzburg zu Ende gegangene dreitägige Jahrestagung
Weltkirche und Mission widmete sich der Bewahrung der Schöpfung, der Bekämpfung
von Armut und der sozial-ökologischen Transformation. Gerade die Bewahrung der
Schöpfung, die durch den Klimawandel und den dramatischen Verlust an
Biodiversität bedroht ist, und die Überwindung der weiterhin grassierenden
Armut und sozialen Ungleichheit sind zentrale Aufgaben der internationalen
Politik. Zunehmend bestimmend ist der Konsens, dass beide Herausforderungen
gemeinsam angegangen werden müssen. Dieses Projekt wird mit dem Begriff der
„sozial-ökologischen Transformation“ bezeichnet. Auch die Kirche hat dafür –
nicht zuletzt durch die Enzyklika Laudato si? – wichtige Impulse gegeben.
Die
Veranstaltung wurde von der Konferenz Weltkirche organisiert. Sie versammelt
die wichtigsten weltkirchlichen Akteure der katholischen Kirche in Deutschland,
darunter internationale kirchliche Hilfswerke, Missionsorden und Bistümer.
Unter der Leitung von Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), Vorsitzender der
Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, diskutierten die
Teilnehmerinnen und Teilnehmer die Aufgaben der Kirche im Kontext der
Transformation.
Bischof
Meier betonte die Dringlichkeit der Situation: „Die Lage ist ernst, die
Richtung stimmt, aber das Tempo ist viel zu langsam.“ Vor allem die junge Generation
empfinde diese Tatsache als fast verzweifelnd. Der Präfekt des vatikanischen
Dikasteriums für die ganzheitliche Entwicklung der Menschen, Kardinal Michael
Czerny SJ, der Erzbischof von Mumbai, Kardinal Oswald Gracias und Bischof Meier
unterstrichen, dass eine erfolgreiche Transformation ganzheitlich verstanden
werden müsse und die soziale Dimension berücksichtigt werden sollte. Die Kirche
habe die Verantwortung, ihre eigene Praxis auf allen Ebenen, angefangen beim
Gebäudemanagement bis hin zur Liturgie, nachhaltig zu gestalten. Darüber hinaus
müsse sie sich für die Benachteiligten einsetzen – insbesondere für diejenigen,
die heute oder in Zukunft unter den Folgen des Klimawandels und der Armutskrise
leiden. Dies gelte auch für die kommenden Generationen.
Kardinal
Gracias wies darauf hin, dass seine Heimatstadt Mumbai in 30 bis 40 Jahren im
Meer versinken werde, wenn die Erderwärmung ungebremst fortschreitet. Er
erwähnte, dass sich der Zusammenschluss der asiatischen Bischofskonferenzen
(FABC) in den vergangenen Jahren intensiv mit dem Klimawandel und seinen
Auswirkungen auseinandergesetzt habe. Bischof Meier hob die „kulturelle
Tiefendimension“ der sozial-ökologischen Transformation hervor und betonte,
dass die Menschen diese Veränderung auch innerlich mitvollziehen müssen. Es sei
die Aufgabe der Kirche, Gerechtigkeit, auch in globaler Perspektive,
einzufordern.
Vertreterinnen
und Vertreter aus Wissenschaft und Politik unterstrichen die Rolle der
Zivilgesellschaft. Die Regierenden seien bei der Umsetzung der Transformation
auf die Unterstützung der Gesellschaft angewiesen. Dieses Engagement sei ein
wichtiges Handlungsfeld für die Kirchen. Den aktuellen Stand des
Transformationsprozesses und die bevorstehenden Schritte erläuterten die
Entwicklungsforscherin Dr. Imme Scholz und Prof. Dr. Ottmar Edenhofer, Leiter
des Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung. Mattias Kiefer, Sprecher der
Arbeitsgemeinschaft der diözesanen Umweltbeauftragten, und Astrid Schaffert vom
Deutschen Caritasverband wiesen darauf hin, dass die Diözesen in Deutschland
und viele kirchliche Einrichtungen noch einen langen Weg zur Klimaneutralität
vor sich hätten. Die Kirche sei bereits aktiv, müsse jedoch den Ausbau der
Transformationsmaßnahmen entschiedener vorantreiben.
Hintergrund.
Veranstalter der Jahrestagung ist die Konferenz Weltkirche, in der die Deutsche
Bischofskonferenz, die deutschen (Erz-)Bistümer, die Hilfswerke, die Deutsche
Ordensobernkonferenz (DOK), die katholischen Verbände, das Zentralkomitee der
deutschen Katholiken (ZdK) und andere weltkirchlich tätige Einrichtungen
zusammenarbeiten.
Hinweise:
Das Programm der Tagung finden Sie unter www.weltkirche.de. Informationen zum
Klimaschutzengagement der deutschen (Erz-)Diözesen sind in der Arbeitshilfe Nr.
327 Unser Einsatz für die Zukunft der Schöpfung. Klima- und Umweltschutzbericht
2021 der Deutschen Bischofskonferenz unter www.dbk.de in der Rubrik
Publikationen verfügbar. dbk 24
#NotAlone: Fratelli-tutti-Treffen
auf dem Petersplatz im Juni
Der
Gedanke des geschwisterlichen Zusammenlebens über alle Credos hinweg, den Papst
Franziskus in seiner Enzyklika „Fratelli tutti“ vertieft hat, zieht weitere
Kreise. Am kommenden 10. Juni findet auf dem Petersplatz in Rom und zeitgleich
acht weiteren Plätzen in anderen Ländern ein internationales Meeting zur
Geschwisterlichkeit statt. Papst Franziskus ist dabei.
Den
Planungen zufolge werden etwa 30 Nobelpreisträger sowie mehrere Tausend
Jugendliche an dem Treffen teilnehmen, darüber hinaus Bedürftige, Geflüchtete
und Menschen, die katholischen Verbänden angehören, heißt es in einer
Mitteilung der Stiftung „Fratelli tutti“ von diesem Dienstag. Die Gruppe der
Nobelpreisträger und -trägerinnen wollen unterdessen mit weiteren führenden
Persönlichkeiten aus Wissenschaft, Kultur, Recht und internationalen
Organisationen ein Dokument verfassen, das zum Engagement für
Geschwisterlichkeit und Frieden aufruft. Das Dokument soll Papst Franziskus auf
dem Petersplatz überreicht werden.
Das
Treffen trägt den Titel #NotAlone. Als Organisatorin tritt die vatikanische
Stiftung „Fratelli tutti“ auf, eingebunden sind darüber hinaus der Petersdom
und die beiden Dikasterien für Kommunikation und für die ganzheitliche
Entwicklung des Menschen.
Ziel:
Dialog und Vergebung fördern
Zu
der Begegnung werden Menschen aus der ganzen Welt erwartet, so die Mitteilung
aus dem Vatikan weiter. Ziel sei es, „gemeinsam die Kultur der Brüderlichkeit
und des Friedens zu fördern“, Praktiken des Dialogs und der Vergebung zu
fördern und Einsamkeit und Ausgrenzung zu überwinden – daher der Titel
#NotAlone. Welche weiteren acht Plätze in anderen Ländern sich an der
Initiative beteiligen werden, ging aus der Mitteilung nicht hervor.
Die
Veranstaltung auf dem Petersplatz am Samstag, den 10. Juni, beginnt um 16 Uhr
und ist, anders als die Generalaudienz, für alle ohne Anmeldung zugänglich.
(vn
23)
Bischof Bätzing bleibt auf
Reformkurs
Der
Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Limburgs Bischof Georg Bätzing,
will trotz Bedenken aus dem Vatikan an bestimmten Reformvorhaben festhalten.
Unter anderem geht es um Segensfeiern „für alle“, die Frauenweihe und die
Laienpredigt.
„Ja,
es wird Segensfeiern für Paare geben, die nicht kirchlich heiraten wollen oder
können und um den Segen Gottes für ihre bereits bestehende Partnerschaft
bitten", sagte Bätzing in einem Interview zu den Beschlüssen des
Reformprojekts Synodaler Weg, das das Bistum Limburg an diesem Montag
verbreitete. Vorher müsse aber noch eine seelsorgliche Handreichung erarbeitet
werden, die deutlich mache, dass eine Segensfeier keine Ehe und kein Sakrament
sei: „Hier liegt die Grenze", sagte Bätzing. Zugleich werde kein Seelsorger
gedrängt, solche Gottesdienste abzuhalten. Die vatikanische Glaubensbehörde
hatte den Segen für gleichgeschlechtliche Paare verboten, um eine Verwechslung
mit der Ehe zu vermeiden.
Die
Beteiligung von Frauen sieht Bätzing als eine zukunftsentscheidende Frage. „Ich
wünsche mir, dass alle Dienste und Ämter in naher oder nicht allzu ferner
Zukunft für Frauen offen stehen." Er trage „mit persönlicher Überzeugung
das Votum des Synodalen Weges mit, den Diakonat für Frauen intensiv nach vorne
zu bringen - und bei der Frage einer möglichen Zulassung von Frauen zum
Priesteramt weltkirchlich die Türen nicht zu schließen, sondern die
theologischen Argumente gründlich zu wägen, die dafür sprechen". Nach
geltender Lehrmeinung der katholischen Kirche ist die Priesterweihe Männern
vorbehalten.
Bätzing
verteidigte zudem eine Forderung des Reformweges, die eine Aufwertung von Laien
bei Predigten und Taufen beinhaltet. Dazu hatte es zuletzt Kritik aus dem
Vatikan gegeben. Bätzing sprach nun davon, dass der Leiter der Gottesdienstbehörde,
Kardinal Arthur Roche, in einem Brief den Sachstand erläutert und weitere
Gespräche in den Raum gestellt habe. Bätzing betonte, das kirchliche Recht
müsse nicht geändert werden, um die Forderung umzusetzen. Der Beschluss des
Synodalen Wegs sieht vor, dass die Bischöfe im Vatikan eine Sondererlaubnis
anfragen.
Im
Synodalen Weg haben Bischöfe und Laienvertreter seit 2019 über die Zukunft der
katholischen Kirche beraten. Vor allem ging es um die Themen Macht, Priestertum
und Sexualmoral sowie um die Rolle der Frauen in der Kirche. Die letzte
Vollversammlung fand im März statt. Die Arbeit soll in einem Synodalen Rat
fortgesetzt werden. (kna/vn 22)
Katholikinnen-Welttreffen in
Assisi: „Eine synodale Erfahrung“
Bei
allen unterschiedlichen Anliegen von Katholikinnen: Das Treffen der Weltunion
der katholischen Frauenorganisationen (WUCWO) war eine Erfahrung tiefer
Synodalität. So resümierten die beiden Teilnehmerinnen aus Deutschland die
Versammlung, die am Samstag in Assisi zu Ende ging, im Gespräch mit Radio
Vatikan. Gudrun Sailer – Vatikanstadt
Von
14. bis 20. Mai tagte die Weltunion der katholischen
Frauenorganisationen (WUCWO) in Assisi, 830 Katholikinnen aus aller Welt
kamen zusammen. Zum ersten Mal dabei war Regina Schulz als Delegierte des
Bundesverbandes der Katholischen Frauengemeinschaft Deutschlands (kfd). Die
WUCWO sei eine beeindruckende und vielfältige Organisation, „katholisch im
ursprünglichen Sinn, nämlich katholikos, allumfassend“, sagte sie uns im
Nachgang. Die Delegierten hätten „Auffassungen von streng konservativ bis teils
progressiv“ in das Treffen getragen. „Hier zeigt sich für mich, was wahre
Synodalität bedeutet. Trotz unterschiedlicher Tempi, Traditionen und
Erfahrungen mit unserer Kirche gibt es grundlegende Übereinstimmungen, die
wiederum auf unseren gemeinsamen Erfahrungen als Frauen in der Kirche
basieren“, so Schulz. „Es geht um die Rolle der Frauen in der Kirche, die
unserem Einsatz entsprechend endlich verändert werden muss.“
Dazu
habe die WUCWO sechs Resolutionen und damit Selbstverpflichtungen beschlossen,
die zeigten, „dass es den katholischen Organisationen nicht nur um sich selbst
geht, sondern um das Wohl aller“. Unter anderen wollen die Frauenverbände eine
Dokumentationsstelle namens „World Women's Observatory“ weiterentwickeln, um
marginalisierten Frauen eine Stimme zu geben, so Schulz. Zudem gehe es den
Katholikinnen ausweislich ihrer Selbstverpflichtungen um den „Einsatz für
Religionsfreiheit, den Einsatz für die ökologische Wende zur Sicherung der
Nahrung für alle, Einsatz für die Familie, Einsatz für eine Zukunft mit
Flüchtlingen und Migranten, Synodalität und Strukturbildung für die Mitwirkung
von Frauen in der Kirche.“
Impulse
der Theologinnen
Zu
Beginn des WUCWO-Welttreffens stimmten Theologinnen auf bestimmte Kernthemen
der Kirche ein: Schwester Nathalie Becquart, Untersekretärin der
Bischofssynode, Schwester Anne Béatrice Faye aus dem Senegal, Mitglied der
Theologischen Kommission bei der Synode 2023, Anne Marie Pelletier, Mitglied
der von Papst Franziskus eingerichteten zweiten Kommission für das Diakonat der
Frau, sowie die italienische Dogmatikerin Schwester Linda Pocher. „Sie alle
haben entscheidende Aspekte in ihren Vorträgen genannt, die insgesamt die
Organisation weiterbringen können“, erläuterte Schulz.
Die
zweite Teilnehmerin aus Deutschland, die Theologin Regina Heyder vom
Katholischen Deutschen Frauenbund (KDFB), hob das Eröffnungsreferat von
Schwester Nathalie Becquart über Frauen und die Synode 2021-2024 hervor. „Eine
Kirche ohne Frauen, so Becqart, ist keine synodale Kirche. Diese synodale
Kirche, von der sie spricht, ist eine pilgernde Kirche“, resümierte Heyder.
„Nathalie Becquart spricht von der Diversität der Erfahrung von den Menschen.
Sie wirbt für Reziprozität, also für das Bewusstsein, dass in dieser synodalen
Kirche alle etwas geben und alle etwas empfangen können. Sie betont die
grundlegende Gleichheit aller Gläubigen, die in der Taufe begründet ist.
Diversity, Reziprocity, Equality - das sind die Ideen, die eine synodale Kirche
formen.“
Reziprozität
ersetzt Komplementarität
Die
Theologinnen, die den Studientag der Vollversammlung gestalteten, seien diesen
Spuren gefolgt, so Heyder weiter. „Sie sprechen von der Reziprozität der
Geschlechterverhältnisse und ersetzen damit den Begriff der Komplementarität.
Und sie ergänzen die christliche Haltung des Dienens um den Aspekt der Sorge
für die Nächsten - auf Englisch sprechen sie von Service and Care.“
Ihr
selbst sei auf der Vollversammlung der WUCWO abermals deutlich geworden, so
Heyder, „dass wir in einer Kirche der unterschiedlichen Geschwindigkeiten und
Lebensrealitäten leben. ,Ihr Deutschen müsst vorangehen´, sagen uns einige
Teilnehmerinnen der westlichen Hemisphäre. Sie setzen große Hoffnungen auf das
Engagement der deutschen Bischöfe, während die Aktivitäten von Laien weniger im
Blick sind. Andere Teilnehmerinnen fürchten um die christlichen Werte und die
Zukunft der Kirche. Vor allem afrikanische Kolleginnen sind besorgt, weil ihre
Kinder zu neo-pentekostalen Gemeinschaften abwandern oder interreligiöse Ehen
eingehen.“
„Noch
nie ist mir so deutlich geworden, dass die römisch-katholische Kirche eine
Kirche der Migrantinnen und Migranten ist“
Als
besonders eindrucksvoll erlebte Regina Heyder eigener Aussage zufolge die
Debatte über Migranten und Geflüchtete, bei der die Katholikinnen sehr
gegensätzliche Erfahrungen benannt hätten. „Delegierte aus Ländern mit hohen
Flüchtlingszahlen wollen, dass das Engagement für den Verbleib und die Rückkehr
in die Heimatländer in die Resolution aufgenommen wird. Die Teilnehmerinnen aus
den Philippinen betonen dagegen das Recht auf Arbeitsmigration. Und etliche
afrikanische Frauen sagen schlicht: Morgen könnte es mich oder meine Kinder
treffen.“ Die Deutsche Regina Heyder dazu: „Noch nie ist mir so deutlich
geworden, dass die römisch-katholische Kirche eine Kirche der Migrantinnen und
Migranten ist.“
Regina
Schulz hob die marianische Perspektive des WUCWO-Welttreffens der Katholikinnen
hervor. Die Salesianerin Don Boscos Linda Pocher habe über ihre mariologische
Forschung berichtet und darauf abgehoben, „dass Maria auch ganz anders gesehen
werden kann als die vielleicht bisher verehrte Jungfrau und Mutter. Sie geht
davon aus, dass Maria die Frau ist, die ihren Sohn unerschrocken konfrontiert,
die als Mutter nicht besitzergreifend handelt, sondern alles in ihrem Herzen
bewahrt. Ihre Jungfräulichkeit sieht sie als Freiheit, sich um Jesus zu sorgen
und als Vorbild für ihren Sohn, der von ihr sprechen lernt, lernt, anderen die Füße
zu waschen, und dass der mütterliche Körper Nahrung bedeutet.“ Maria vereine
auch die Frauen der WUCWO, resümierte Schulz.
Aus
Österreich nahm Angelika Ritter-Grepl, die Vorsitzende der katholischen
Frauenbewegung Österreichs, an dem WUCWO-Treffen teil. Zum Auftakt der
Konferenz empfing Papst Franziskus die Katholikinnen in Audienz und dankte
ihnen für ihre segensreiche Arbeit.
Neue
WUCWO-Präsidentin aus Mexiko
Zur
neuen Präsidentin der WUCWO wählten die Delegierten die Mexikanerin Monica
Santamarina. Die ausgebildete Juristin wirkte bisher als Schatzmeisterin des
Weltverbandes katholischer Frauenorganisationen. Sie tritt an die Stelle von
María Lía Zervino, einer Frau geweihten Lebens aus Argentinien. Santamarina ist
Witwe, vierfache Mutter und achtfache Großmutter. In Mexiko war sie Präsidentin
der Katholischen Aktion. (vn 22)
Ukraine: Papst betraut Kardinal
Zuppi mit einer Friedensmission
Der
Direktor des vatikanischen Presseamtes, Matteo Bruni, hat auf Anfrage von
Journalisten bestätigt, dass Papst Franziskus den Vorsitzenden der
italienischen Bischofskonferenz mit einer Mission betraut hat, die darauf
abzielt, "Wege des Friedens" in der Ukraine zu initiieren. Mario
Galgano - Vatikanstadt
Auf
Fragen von Journalisten bestätigte der Direktor des Presseamtes des Heiligen
Stuhls, Matteo Bruni, „dass Papst Franziskus Kardinal Matteo Zuppi, Erzbischof
von Bologna und Vorsitzender der italienischen Bischofskonferenz, damit
beauftragt hat, in Absprache mit dem Staatssekretariat eine Mission zu leiten,
die dazu beitragen soll, die Spannungen im Konflikt in der Ukraine abzubauen,
in der Hoffnung, die der Heilige Vater nie aufgegeben hat, dass dadurch Wege
des Friedens eingeleitet werden können“.
Der
Direktor schloss mit dem Hinweis, dass „der Zeitpunkt und die Modalitäten einer
solchen Mission derzeit geprüft werden“.
Papst
Franziskus hatte bereits auf dem Rückflug von seiner Ungarn-Reise Ende April
angedeutet, dass der Vatikan mit Blick auf den russischen Angriffskrieg gegen
die Ukraine an einer Friedensinitiative beteiligt sei. „Alle wollen einen Weg
zum Frieden. Ich bin bereit, alles zu tun, was nötig ist.“
„Derzeit
läuft eine Mission, die aber noch nicht öffentlich ist“, sagte das Oberhaupt
der katholischen Kirche am 30. April auf dem Rückflug von seiner Ungarn-Reise
vor Journalisten. Weitere Details nannte er dabei nicht.
(vatican
news 20)
Bischof
Kohlgraf: Kein Erdulden von Gewalt fordern
Der
Mainzer katholische Bischof Peter Kohlgraf hat das Recht angegriffener Länder
auf bewaffneten Widerstand verteidigt. „Klagloses Erdulden von Gewalt“ dürfe
von ihnen nicht eingefordert werden, betonte der Präsident von Pax Christi
Deutschland am Freitagabend in Leipzig laut Redemanuskript.
Bei
einem Kongress zum 75-jährigen Bestehen der katholischen Friedensbewegung in
Deutschland sagte er, Engagement für Versöhnung dürfe nicht bedeuten, „einen
Mantel des Vergessens und Verschweigens über das Leid zu decken“.
Friedensarbeit müsse Schuldige zur Rechenschaft ziehen, wann immer dies möglich
sei.
Gegengewalt
allein keine Lösung
Mit
Blick auf den russischen Angriffskrieg gegen die Ukraine räumte Kohlgraf
zugleich ein, dass sich an der Frage nach der Legitimität der bewaffneten
Verteidigung die Geister in der Pax-Christi-Bewegung schieden. Dazu erklärte
der Bischof: „Gegengewalt allein bringt sicher noch keine zufriedenstellende
Lösung.“ Widerstand und Verteidigung seien zwar legitime Formen, den Frieden zu
suchen, sie müssten aber auch andere Perspektiven eröffnen. „Hass kann
dauerhaft keine angemessene Reaktion des Opfers sein, da Hass das
Gewaltpotenzial nur verstärkt, und auch dem geschädigten Menschen nicht hilft.“
Kohlgraf
hob auch die Bedeutung des Gebets bei Pax Christi hervor. Es unterscheide das
katholische Friedensengagement von dem anderer pazifistischer Bewegungen. Das
Gebet sei eine starke Motivation für Versöhnungsarbeit. „Betende Menschen
stellen wichtige und notwendige Fragen gegenüber einer Politik und einer
Öffentlichkeit, die allein in kriegerischer und militärischer Rhetorik eine
Lösung gegebener Probleme sucht.“
Bedeutung
des Gebets
Die
Bewegung wisse um die Herausforderungen, die mit Gewaltfreiheit verbunden
seien, erklärte der Bundesvorsitzende von Pax Christi, Gerold König, beim
abendlichen Festakt. „In respektvollem Umgang miteinander sehen wir die
Unterschiedlichkeiten in der Herangehensweise zur Lösung von Konflikten. Aus
diesen Unterschiedlichkeiten heraus formulieren wir Handlungsoptionen.“ 250
Gäste waren den Angaben zufolge in der Propsteikirche Sankt Trinitatis zugegen.
Der
Vorsitzende des Pfarreirats der Propsteigemeinde Leipzig, Stefan Twardy, und
Propst Gregor Giele erinnerten an die Friedliche Revolution im Herbst 1989. Oft
würden Friedensaktivisten als naiv belächelt: „Und doch gibt es Momente, wo
unbewaffnete Menschen eine hochgerüstete Staatsmacht in die Knie zwingen.“
Gerade weil der Weg zum Frieden oft schwierig sei, brauche es Organisationen
wie Pax Christi. „Es braucht Menschen, die sich überall auf der Welt
bedingungslos auf die Seite des Friedens stellen und für ihn eintreten.“
Der
Papst habe sich wiederholt auf die Seite der angegriffenen Ukraine gestellt,
halte zugleich aber auch Verhandlungsoptionen offen, erklärte Kohlgraf laut
Redemanuskript am Sonntag bei einem Friedenskongress zum 75-jährigen Bestehen
der Friedensbewegung. Er reagierte damit auf Kritik etwa der Medien an diesem
Kurs.
Papst
setze langfristig auf Diplomatie
Damit
setze Franziskus die vatikanische Friedenspolitik und Diplomatie der
vergangenen Jahrzehnte fort, sagte der Bischof. Der Papst unterscheide klar
zwischen Tätern und Opfern, setze aber langfristig auf Verhandlungen und
Diplomatie. „Ich kann mir nicht vorstellen, dass sich dahinter die fehlende
Bereitschaft verbirgt, Verantwortung übernehmen zu wollen oder Schuld klar zu
benennen.“ Kohlgraf äußerte die Hoffnung, dass der Heilige Stuhl nach einem
Ende des Krieges eine für beide Seiten anerkannte Position einnehmen
kann.
Religiöse
Dimension
Durch
die Parteinahme des russisch-orthodoxen Patriarchen Kyrill I. für den Angriff
habe der Krieg auch eine religiöse Dimension, so Kohlgraf weiter. Es werde das
Feindbild einer säkularen Gesellschaft aufgebaut und der Krieg dagegengesetzt.
Wenn Papst Franziskus vor diesem Hintergrund eher die diplomatischen Wege beschreite,
sei dies möglicherweise der einzige Weg, religiöse Gegensätze zu überwinden und
gegnerische Konfessionen an einen Tisch zu holen. (kna/kap 20)
P. Lombardi zu Benedikt XVI.:
„Liebe für lebendige Kirche gezeigt“
Pater
Federico Lombardi war während des Pontifikats von Benedikt XVI. Papstsprecher,
mittlerweile ist er Präsident der Stiftung Joseph Ratzinger. Bei der Buchmesse
in Turin spricht der Jesuit diesen Freitag über das spirituelle Erbe des
bayerischen Papstes, der zum Jahreswechsel gestorben ist. Benedikt habe den
Menschen noch immer viel zu sagen, so Pater Lombardi im Interview mit uns.
Stefanie Stahlhofen - Vatikanstadt
Radio
Vatikan: Pater Federico Lombardi, bei der Buchmesse in Turin sprechen Sie
diesen Freitag über das Erbe von Benedikt XVI. Was hat er hinterlassen?
P.
Federico Lombardi SJ, Präsident Stiftung Joseph Ratzinger: Ich glaube, Benedikt
hat wirklich ein wunderbar großes Erbe hinterlassen. Und es lohnt sich auch,
darüber immer wieder nachzudenken, in die Tiefe zu gehen. Ich werde bei meinem
Vortrag besonders über die Prioritäten des Pontifikats sprechen: Die Menschen
von heute zu Gott zu führen, in einer Zeit, in der es scheint, dass die
Anwesenheit Gottes langsam verschwindet. Er hat die Anwesenheit Gottes und
seine Liebe verkündet: Jesus Christus ist die Person, in der uns die Liebe
Gottes verkündet ist. Und die Liebe von Benedikt für Jesus ist in seinem
Leben zentral - auch in seiner Trilogie (der Jesusbücher Anm. d. Red.) hat er
das demonstriert und auch in der Zeit nach seinem Pontifikat ist das ein großer
Teil seines Erbes, glaube ich.
„Benedikt
hat uns noch immer sehr viele Dinge und wichtige Elemente für unser
christliches Leben heute zu geben“
Hier
im Audio: Pater Federico Lombardi SJ, Präsident Stiftung Joseph Ratzinger und
früherer Papstsprecher, über das geistliche Erbe Papst Benedikts XVI.
(Interview von Radio Vatikan)
Für
eine lebendige Kirche
Und
er hat uns seine große Liebe für die Kirche als lebendige Kirche
gezeigt. Er hat immer wieder gesagt: Die Kirche lebt. Die Kirche ist
lebendig. Er hat das auch während des Pontifikates immer wieder gesagt und
erfahren. So hat er etwa oft von den Weltjugendtagen als Erfahrung der
Lebendigkeit der Kirche gesprochen.
„Er
hat uns seine große Liebe für die Kirche als lebendige Kirche gezeigt“
Und
er hatte auch einen tiefen Sinn für die Gemeinschaft der Kirche. Die Kirche,
die immer auf dem Weg ist. Aber: Wir sind nicht alleine, Gott ist natürlich bei
uns, auch die Gottesmutter und die Heiligen. Sie zeigen uns in einer Zeit
und in einer Welt, in der wir von der Erfahrung des Übels bedrückt sind, die
Anwesenheit und die Bereitschaft der Heiligen, das Evangelium konkret im
tagtäglichen Leben. Das ist für uns eine große Hilfe. In diesem
Sinne: Benedikt hat uns noch immer sehr viele Dinge und wichtige Elemente
für unser christliches Leben heute zu geben. (vn 19)
Vatikan zieht umstrittene
WJT-Briefmarke zurück
Das
Postwertzeichen zeigt Papst Franziskus, der junge Menschen in die Zukunft
führt. Allerdings hatte die Marke Kritik auf sich gezogen, weil darauf auch ein
Denkmal der portugiesischen Hauptstadt zu sehen ist, das an die koloniale
Vergangenheit erinnert. Eine neue Briefmarke ist in Arbeit.
Das
Governatorat des Staates der Vatikanstadt, das für das Design und die
Herstellung der Briefmarken verantwortlich ist, hat mitgeteilt, dass es die am
16. Mai herausgegebene Briefmarke zum Weltjugendtag in Lissabon aus dem Verkehr
gezogen hat. Das Jugendtreffen findet vom 1. bis 6. August 2023 in der
portugiesischen Hauptstadt statt.
Die
dazu erdachte Briefmarke hatte Kritik und Verwunderung ausgelöst. Denn das
Design wurde vom Denkmal der Entdeckungen (Padrão dos Descobrimentos)
inspiriert. Es steht im Lissaboner Stadtteil Belém am linken Ufer des Tejo und
wurde 1960 errichtet, 500 Jahre nach dem Tod Heinrichs des Seefahrers, um die
portugiesischen Entdeckungen zu feiern. Auf dem Denkmal führt Heinrich der
Seefahrer die Mannschaft bei der Entdeckung der neuen Welt an.
Papst
und junge Menschen auf dem Weg in die Zukunft
Auf
die gleiche Weise - so wird in einer Mitteilung erklärt - sollte die Briefmarke
Papst Franziskus am Bug eines Bootes zeigen, das junge Menschen und die Kirche
in die Zukunft führt, zur Entdeckung „dieser sich verändernden Ära“, ohne dabei
in gewohnter Weise auf Sichtweite zu segeln. Oben links befindet sich das Logo
des Treffens, das vor dem Hintergrund eines großen Kreuzes und eines
Rosenkranzes die Bewegung der Mutter Gottes darstellt, die Elisabeth besucht,
gemäß dem für den WJT gewählten Motto: „Maria stand auf und machte sich eilig
auf den Weg“.
Unmittelbar
nach ihrer Herausgabe löste die Briefmarke jedoch mehrere negative Kommentare
aus. So stehe das Design in Verbindung mit einem bekannten Denkmal, das an eine
kolonialistische Vergangenheit erinnert, hieß es. Diese sei weit entfernt von
der Botschaft des Papstes und seiner Einladung zur universellen
Geschwisterlichkeit.
Die
Organisatoren des Weltjugendtags erklärten, dass die vom Markenamt des Vatikans
herausgegebene Briefmarke lediglich das Treffen des Papstes mit den
Jugendlichen fördern sollte, ohne einen Bezug zur Vergangenheit herstellen zu
wollen. Angesichts der Reaktion hat das verantwortliche Governatorat jedoch
mitgeteilt, dass die Briefmarke zurückgezogen wurde und derzeit eine neue
Ausgabe für den Weltjugendtag in Lissabon vorbereitet werde. (vatican news 19)
Italien: Papst Franziskus betet für
Opfer der starken Regenfälle
Papst
Franziskus ist erschüttert über das „eindrückliche Desaster“, das die
italienische Region von Emilia-Romagna heimgesucht hat. Der Papst bete für die
Betroffenen, schreibt der Substitut im Staatssekretariat, Edgar Peña Parra, in
einem Telegramm von diesem Donnerstag. Heftige Regenfälle der vergangenen Tage
haben mindestens neun Todesopfer gefordert, Tausende Menschen wurden evakuiert.
Das
Telegramm aus dem Vatikan ist an den Erzbischof von Bologna und Präsidenten der
italienischen Bischofskonferenz, Kardinal Matteo Zuppo, adressiert. Diesen
bitte der Papst, den „Angehörigen und Freunden der Opfer“ seine aufrichtige
Anteilnahme zu übermitteln. Er werde für die Verstorbenen beten und Gott um
Trost für die Verletzten und Betroffenen des „schweren Unglücks“ bitten,
verspricht Peña Parra im Namen des Papstes. Ebenso danke Franziskus all jenen,
die sich „in diesen besonders schwierigen Stunden“ für die Nothilfe und eine
Linderung des Leids Betroffener einsetzten, sowie den „diözesanen
Gemeinschaften für die Bekundung von Gemeinschaft und geschwisterlicher Nähe zu
den den am meisten betroffenen Einwohnern“. Papst Franziskus sende seinen
Apostolischen Segen „im Zeichen besonderer spiritueller Nähe“. Abschließend
versichert der Substitut, dass auch er selbst sowie Kardinalstaatssekretär
Pietro Parolin, der die päpstlichen Beileidstelegramme normalerweise
unterzeichnet, für die Betroffenen beten werde.
Beileid
der CEI
Auch
die italienische Bischofskonferenz (CEI) hatte in einer Mitteilung von
Donnerstag ihre Nähe zu der betroffenen Bevölkerung bekundet und ihr Gedenken
im Gebet für die Opfer, die Vermissten und alle betroffenen Familien
zugesichert. Sämtliche Diözesen, Pfarreien und Ordensinstitute sollten für die
Bewohner der von den Überschwemmungen und Flussüberflutungen betroffenen
Gebiete beten und ihnen nahe sein, so die Aufforderung der Führungsspitze der
CEI.
Neun
Todesopfer
Schwere
Regenfälle hatten in den vergangenen Tagen insbesondere die italienische Region
Emilia-Romagna heimgesucht. Besonders betroffen waren die Städte Ravenna,
Cesena, Folì, Faenza und die Regionalhauptstadt Bologna, doch auch zahlreiche
kleinere Orte, die teils von der Außenwelt abgeschnitten wurden. Doch auch die
Adriaküste, bei Touristen ein beliebtes Reiseziel, blieb nicht verschont, dort
wurden zahlreiche Straßen überflutet.
Offiziellen
Angaben zufolge kamen mindestens neun Menschen ums Leben, eine genaue Anzahl Vermisster
ist nicht bekannt. Mindestens 13.000 Menschen wurden evakuiert. Die lokalen
Feuerwehreinheiten hätten mit Unterstützung durch auswärtige Einsatzkräfte rund
2.000 Einsätze in 48 Stunden bewältigt, geht aus offiziellen Mitteilungen von
diesem Donnerstag hervor. Immer noch kommt es in betroffenen Gebieten zu
Erdrutschen, zahlreiche Haushalte sind ohne Strom.
(vn18)
WJT: Mehr als 500.000 junge Leute
aus fast 200 Ländern erwartet
Vom
1. - 6.8. wird Lissabon in Portugal zur Hauptstadt der Jugend - dann findet
dort nämlich der 38. internationale Weltjugendtag der katholischen Kirche
statt. Das Interesse ist groß: Bis Mitte Mai haben sich 540.000 junge Menschen
aus 196 Ländern und 16.300 freiwillige Helfer gemeldet. Das berichtet im
Interview mit uns Linda Ghisoni. Sie ist Untersekretärin im vatikanischen
Dikasterium für Laien, Familie und Leben, das den WJT organisiert. Debora
Donnini und Stefanie Stahlhofen – Vatikanstadt
„Diese
Zahlen zeigen uns, dass es unter den Jugendlichen immer noch ein großes Interesse
gibt, sich wirklich in Präsenz zu treffen, um gemeinsam zu beten und zu
feiern", berichtet die Untersekretärin im Gespräch mit Radio Vatikan. Sie
erinnert daran, dass der letzte Internationale Weltjugendtag 2019 in Panama war
und dann die Corona-Pandemie dafür sorgte, dass die eigentlich alle drei Jahre
stattfindende Veranstaltung um ein Jahr nach hinten verschoben wurde. Nun ist
es aber bald soweit, noch 74 Tage bleiben für die Vorbereitungen, die natürlich
auch in den 21 Bistümern im Land laufen.
„Das
Dikasterium arbeitet eng mit dem Organisationskomittee in Lissabon zusammen.
Wir sehen dabei, dass die verschiedenen Bistümer in Portugal sich auch mit
vielen Initiativen auf dieses Ereignis vorbereiten. Zum Beispiel gibt es ja
die Pilgerreise der Symbole des Weltjugendtags - das Kreuz, die
Marienikone Salus Populi Romani - und durch diese Pilgerreise der Symbole
entdecken auch die Bistümer in Portugal die Schönheit ihres Glaubens und
ihrer Kultur wieder", meint Ghisoni.
Hier
im Audio: Linda Ghisoni, Untersekretärin des Vatikan-Dikasteriums für Laien,
Familie und Leben, zum Weltjugendtag 2023 in Lissabon (Audio-Beitrag von Radio
Vatikan)
„Großes
Interesse, sich in Präsenz zu treffen, um gemeinsam zu beten und zu feiern“
Neben
jungen Leuten aus aller Welt wurden bisher auch bereits 660 Bischöfe
registriert, die die Teilnehmer und Teilnehmerinnen begleiten. Sie gehören
teils auch verschiedenen Riten an - so sind etwa auch griechisch-katholische
Maroniten dabei. Man muss aber gar nicht katholisch sein, um zum Weltjugendtag
zu gehen. Grundsätzlich können alle interessierten jungen Menschen zwischen 14
und 35 Jahren dabei sein; auch wer etwas älter oder jünger ist, wird natürlich
nicht ausgeschlossen. Die Jugendlichen seien offen gegenüber allen und es sei
ihnen wichtig, einen inklusiven WJT zu gestalten, betont Linda Ghisoni:
Inklusiv
und umweltbewusst
„Wenn
man sich die verschiedenen Ausgaben der Weltjugendtage anschaut, sieht man,
dass immer mehr Menschen mit verschiedenen Beeinträchtigungen dabei sind. Es
gibt zum Beispiel auch Gebärdensprache - von Jugendlichen selbst für andere
Jugendliche - das war ein expliziter Wunsch, um ihren Gleichaltrigen zu helfen.
Außerdem gibt es einen Solidaritäts-Fonds für arme Menschen, damit auch junge
Leute, die finanzielle Schwierigkeiten haben, teilnehmen können."
„Gebärdensprache
- von Jugendlichen selbst für andere Jugendliche - ein expliziter Wunsch für
den WJT“
Alle
Hauptveranstaltungen des Weltjugendtags sind barrierefrei und auch auf
Umweltfreundlichkeit wird Wert gelegt. Es sei inzwischen auch
selbstverständlich, dass alle Veranstaltungsorte hinterher wieder gesäubert
werden. Vatikan-WJT-Organisatorin Ghisoni erinnert außerdem daran, dass nach
dem WJT in Polen zum Beispiel junge Leute in einem Bistum Bäume pflanzten für
einen neuen Park. Ein Zeichen übrigens auch dafür, dass Weltjugendtage immer
über das Ereignis selbst hinaus weiterwirken:
„Es
ist ein Moment der Begegnung, der Öffnung, des internationalen Austauschs, ein
starker Impuls, gemeinsam mit anderen jungen Menschen zu beten, ihre
Lebensgeschichten kennenzulernen und sich geeint zu fühlen. Der WJT ist
wirklich nicht nur ein einzelner Moment und dann kommt der Alltag wieder. Er
kann ein Impuls sein, Kirche zu erleben und das Geschenk des Heiligen Geistes ,
der immer dort besonders zu spüren ist, wo der Papst junge Menschen um sich
versammelt und sie aufruft, die Theosophen von heute zu sein, also Gott
und die frohe Botschaft zu den Gleichaltrigen zu bringen." (vn 18)
„Wir brechen auf“: Überlebende von
Missbrauch beim Papst
Am
6. Mai sind 15 Betroffene von sexuellem Missbrauch vom Münchner Marienplatz aus
aufgebrochen und losgeradelt. Ihr Ziel: Rom und ein Treffen am Mittwoch mit
Papst Franziskus bei der Generalaudienz. Martin Mölder hat sie dort und bei
ihrer Ankunft in Rom am Dienstag getroffen, neben anderen war Richard Kick vom
Betroffenenbeirat des Erzbistums München und Freising dabei.
„Wir
hatten unglaubliche Gespräche, sehr intensive Gespräche. Leute, die noch nie an
der Öffentlichkeit waren, haben sich entschieden, an die Öffentlichkeit zu
gehen und zu sprechen“, blickt Richard Kick vom Betroffenenbeirat des
Erzbistums München und Freising gegenüber Radio Vatikan auf die gemeinsame
Radtour nach Rom zurück, mit der die Betroffenen ein Zeichen setzen wollten.
Es
geht um alle Missbrauchten weltweit
„Und
das war mir ganz besonders wichtig, dass wir ausstrahlen, dass wir eine
Gemeinschaft sind von Betroffenen im klerikalen Kontext. Dass wir aber
gleichzeitig unseren Fokus geweitet haben: Es geht um alle Missbrauchten
weltweit, insbesondere Kinder. Und hier wollen wir weiter (für Aufklärung,
Anm.) kämpfen, denn ich glaube, wir haben bewiesen, dass wir es können.“
Kick
ist immer noch bewegt, als er das sagt. Zehn Tagesetappen mit einer Länge von
60 bis 100 Kilometern liegen am Dienstagnachmittag hinter den Rad-Pilgern.
Unter dem Motto „Wir brechen auf! Kirche, bist du dabei?“ wollen sie als
Betroffene von sexuellem Missbrauch mit dieser besonderen Radtour zur
Bewusstseinsbildung beitragen.
Endlich
Empathie
„Die
Betroffenen erleben bisher bei dem Thema Aufarbeitung Kampf, Misstrauen,
Abwehr, Bürokratie und nicht, dass einer einfach nur nett ist.“
Robert
Köhler von der Initiative „Wir-wissen-Bescheid.de“ hat die Pilgertour
mitorganisiert und wahrgenommen, dass die Gruppe jeden Tag näher
zusammengerückt ist. „Unter Betroffenen findet man recht schnell einen Weg, wie
man miteinander umgehen muss. Wenn man an Grenzen kommt.. Das war zwei Mal so,
dass zwei Leute einfach Tränen in den Augen hatten, weil sie sagen: Mensch, da
ist der Bischof oder Pfarrer oder wer auch immer, die sind so nett zu mir. Die
erleben bisher bei dem Thema Aufarbeitung Kampf, Misstrauen, Abwehr, Bürokratie
und nicht, dass einer einfach nur nett ist. Die Liebe Gottes ist nicht
empathielos.“
Bei
der Generalaudienz
Mittwochmorgen
sitzt die Pilgergruppe 20 Meter entfernt vom Stuhl des Papstes auf dem
Petersplatz – und Franziskus nimmt sich bei der Generalaudienz Zeit für die 15
Pilgerinnen und Pilger. „Wir waren oben ganz in der Nähe des Papstes. Wir waren
dann die erste Gruppe, auf die er zugekommen ist. Er war im Rollstuhl , ist
dann zu uns hingefahren worden, ist dann aber aufgestanden aus dem Rollstuhl
und die zwei Meter auf uns zugelaufen, hat uns begrüßt und mit uns gesprochen.
Und er hat auch gesagt, das Thema ist ein sehr Schwieriges. Er betet für uns
und wir sollen auch für ihn beten.“
Robert
Köhler und andere der Gruppe erklären dem Papst bei der Generalaudienz das
Anliegen der Radtour, die Überlebende des sexuellen Missbrauchs aus Bayern nach
Rom führte. Doch Franziskus ist bereits informiert und weiß schon von der
besonderen Mission. „Er war vorbereitet. Er hat mit der kurbelnden Handbewegung
schon gesagt: Ah, Ihr seid die Radfahrer. Kardinal Marx hat ihm auch vorher
erzählt, was wir tun, warum wir das tun, und auch als er zum Schluss gegangen
ist, meinte er noch: Radelt Ihr jetzt wieder heim? Natürlich im Spaß, und das
hat auch ein Stückchen Nähe gebracht.“
Ein
Herz mit viel Symbolkraft und ein Appell
Die
Pilgergruppe überreicht Papst Franziskus bei dem Treffen eine dreidimensionale
Herz-Skulptur, Zeichen dafür, dass sie sich offene Herzen wünschen für Ihr
Leid, für ihre Anliegen und für Veränderungen in der katholischen Kirche, die
Missbrauch wesentlich stärker ins Bewusstsein bringen soll. Diese Botschaft ist
auch beim Papst angekommen, sagt Robert Köhler. „Das Herz konnte übergeben
werden, und es hat tatsächlich seine Wirkung entfaltet. Franziskus hat gemerkt,
wir wollen Emotion, wir wollen Herz, wir wollen nicht Dinge für den Kopf
machen. Das ist das, was auch er wollte.“
Die
Gruppe überreicht dem Papst außerdem noch einen Brief. Darin formulieren die
Betroffenen Forderungen zu einem strikten Umgang mit Missbrauch in der
katholischen Kirche. „Wir erwarten, dass Sie alles in Ihrer Macht Stehende tun,
dass in alle Winkel der Weltkirche hinein das Thema sexueller wie spiritueller
Missbrauch gesehen, aufgearbeitet und durch entsprechende Präventionsmaßnahmen
unterbunden wird.“ Anfänge seien zwar gemacht, aber es brauche weiterhin „ein
starkes und klares Engagement aller Verantwortungsträger innerhalb der Kurie
und in die Diözesen der Weltkirche hinein". Der Brief endet mit dem Appell
an Franziskus: „Setzen Sie auch ein klares Zeichen gegenüber Tätern und
Bischöfen, die ihrer Verantwortung nicht nachgekommen sind und diese bis heute
zum Teil nicht wahrnehmen."
„Er will,
dass wir weitermachen"
Gestartet
vom Münchener Marienplatz ist die Pilgerguppe mit dem besonderen Anliegen rund
720 Kilometer später und nach zehn Tagen auf dem Petersplatz angekommen. Die
zum Teil physisch und psychisch anstrengende Radtour hat sich gelohnt, sagt
Robert Köhler, auch für ihn persönlich.
„Ja,
ich nehme mit, dass der Vatikan uns wertgeschätzt hat, dass der Papst uns
wertgeschätzt hat. Und diese Wertschätzung können wir, wenn wir weiter an dem
Thema wirken - also Aufarbeitung machen, uns um Betroffene kümmern - auch
mitnehmen. Und wir können jedem in der katholischen Kirche, der nicht will,
einfach sagen: Wir waren beim Papst und der will, dass wir weitermachen.“
Am
Donnerstag ist ein Treffen der Gruppe mit dem deutschen Präventionsexperten
Hans Zollner geplant. Der Jesuit leitet das Safeguarding-Institut für
Anthropologie an der Päpstlichen Universität Gregoriana in Rom.
(mm
17)
Caritas Internationalis: Schotte
wird Generalsekretär, Australierin wird Präsidentin
Der
Schotte Alistair Dutton ist an diesem Montagabend zum Generalsekretär von
Caritas Internationalis gewählt worden. Er wird den Caritasverband, der 162
nationale Caritas-Mitgliedsorganisationen umfasst, bis 2027 als Generalsekretär
leiten. Seine Wahl erfolgt zwei Tage nach der Wahl des Erzbischofs von Tokio,
Tarcisio Isao Kikuchi, zum neuen Präsidenten des humanitären und
entwicklungspolitischen Arms der katholischen Kirche.
Der
derzeitige Exekutivdirektor von Caritas Schottland verfügt über mehr als 25 Jahre
Erfahrung im humanitären Bereich und hat Projekte in mehr als 70 Ländern
geleitet. Von 2009 bis 2014 war er humanitärer Direktor von Caritas
Internationalis.
„In
den letzten drei Jahrzehnten war es für mich ein großes Privileg, der Caritas
zu dienen. Die Caritas ist mein Zuhause, meine Familie und meine Berufung“,
sagte der 11. Generalsekretär von Caritas Internationalis den an der
Generalversammlung teilnehmenden Delegierten der Caritasverbände. „Ich
verspreche, demütig zuzuhören, nachdenklich zu sein und Brücken zu bauen. Ich
verspreche, die Einberufungsbefugnis des Generalsekretärs zu nutzen, um die
Konföderation gemeinsam voranzubringen“, sagte er weiter.
Bezug
zur Caritas
Dutton
arbeitete erstmals 1996 mit der Caritas zusammen. „Seitdem hat mich meine Reise
mit der Caritas durch die ganze Welt geführt. Vom Krieg im Kosovo, in Darfur,
im Irak, in Liberia und Syrien über Tsunamis in Asien, Erdbeben in Haiti,
Indien, Indonesien und Chile bis hin zu Konflikten, die aus Gier und der
Ausbeutung von Reichtum in Afrika entstanden sind, Vertreibungswellen im Nahen
Osten und den Verwüstungen, die durch den Klimanotstand und extreme
Wetterverhältnisse verursacht wurden: Wirbelstürme und Überschwemmungen in
Pakistan, Myanmar, Indien und Bangladesch; Ernährungskrisen in so vielen
Ländern Afrikas von der Sahelzone bis Somalia, vom Sudan bis Simbabwe; und die
erschreckende Realität der sinkenden Inselstaaten im Pazifik“, sagte er.
Im
Jahr 2014 war Dutton auch CEO des Sphere Project, einer internationalen
Organisation für humanitäre Standards. Von 2005 bis 2009 war er außerdem Leiter
des Referats für humanitäre Programme für Afrika von „Christian Aid“.
Kirsty
Robertson wird Vizepräsidentin
An
diesem Montag wurde auch Kirsty Robertson zur neuen Vizepräsidentin von Caritas
Internationalis gewählt. Sie ist seit 2019 die Geschäftsführerin von Caritas
Australien. Zuvor war sie in verschiedenen Positionen bei Caritas Australien
tätig, unter anderem als Pacific Programs Coordinator und Communications Group
Leader. Sie war CEO von Mary MacKillop Today und hatte zahlreiche
Führungspositionen in anderen glaubensbasierten Hilfs- und
Entwicklungsorganisationen inne. (vatican news 16)