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KI-generierte Inhalte können fehlerhaft sein.  Notiziario Religioso della comunità italiana in Germania  - redazione: T. Bassanelli    - Webmaster: A. Caponegro  IMPRESSUM

 

Notiziario religioso, dicembre 2025

 

Inhaltsverzeichnis

1.        Il Papa nella cattedrale armena di Istanbul: “Recuperare l’unità dei primi secoli”. 1

2.        Papa Leone in Turchia: l’incontro con i capi delle chiese e comunità cristiane. 1

3.        Diocesi italiane: l'Avvento e la Fraternità. 1

4.        Incoraggiati a ripristinare la piena comunione tra i Cristiani 1

5.        Leone XIV e Bartolomeo I firmano la Dichiarazione congiunta. 1

6.        La Chiesa in Turchia. L'importanza del viaggio di Papa Leone XIV. 1

7.        Scalabriniani, 28 novembre: un anniversario di memoria e di prospettiva. 1

8.        Le comunità cristiane in Turchia tra storia e attualità. 1

9.        Leone XIV in Turchia. “Lavoriamo per modificare la traiettoria dello sviluppo”. 1

10.  Un missionario in Turchia racconta l'attualità del Concilio di Nicea. 1

11.  Gesù guida la storia verso il compimento. Solennità di Cristo Re. 1

12.  Le iniziative delle diocesi italiane per l'inizio dell'Avvento. 1

13.  Riparare la rete sociale, gli influencers cattolici 1

14.  Cause dei Santi, pubblicati alcuni Decreti. Ci sono quattro italiani 1

15.  La guerra demografica. Il Rapporto 2025 sulla Dottrina Sociale della Chiesa. 1

16.  Leone XIV ai vescovi italiani: “una Chiesa sinodale ha bisogno di rinnovarsi costantemente”. 1

17.  Papa Leone alla CEI: "Evitare che l’inerzia rallenti i necessari cambiamenti". 1

18.  Conoscere l'ebraismo per combattere l'antisemitismo. 1

19.  “Dalla valle di lacrime alla Gerusalemme nuova”. 1

20.  Aiuto alla Chiesa che Soffre, Montecitorio rosso in ricordo dei cristiani perseguitati 1

21.  Leone XIV: “la conversione ecologica modifica la storia”. 1

22.  Cambiamento climatico, Papa Leone XIV: "Manca la volontà politica di alcuni". 1

23.  Card. Zuppi: “Vogliamo aiutare gli italiani a sentirsi meno soli”. 1

24.  Pubblicati i Rapporti Intermedi dei Gruppi di Studio del Sinodo. 1

25.  Il Papa: “La gioia di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore”. 1

26.  La Giornata Mondiale dei Poveri nelle diocesi italiane. 1

27.  Il cinema secondo Papa Leone XIV. 1

28.  Le chiese in Germania si illuminano di rosso per i cristiani perseguitati 1

29.  Mons. Crociata: “Europa sotto assedio, il possibile contributo dei cristiani”. 1

30.  Cop30: le Chiese dei cinque continenti chiedono giustizia climatica. 1

31.  Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno. 1

32.  Comunicato della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Tedesca. 1

33.  Padre Roggio: Bisogna partire dalla Parola di Dio per "definire" Maria. 1

34.  La Comunità Cattolica di Kempten ricorda i suoi morti 1

35.  San Martino di Tours, il vescovo dei poveri 1

36.  Ogni anno 100 mila pellegrini a Walldürn per venerare il Sangue di Cristo. 1

37.  Verso il primo concistoro straordinario di Papa Leone: un cambio di rotta?. 1

38.  Brunelli (Il Regno): cristianesimo ed Europa. 1

39.  Missioni di lingua italiana in Svizzera: la teologia e la pastorale dell’ospitalità. 1

40.  Leone XIV: la riforma silenziosa. 1

41.  A colloquio con Mons. Ettore Balestrero, Nunzio Apostolico presso l’Onu. 1

42.  Gli oratori oggi più che mai luogo necessario. 1

43.  Cei: “le vite dei bambini troppo spesso asservite agli interessi dei grandi”. 1

44.  Firmata la nuova Charta Œcumenica: “Un passo storico verso l’unità”. 1

45.  “La Risurrezione di Cristo fondamento della fede”. 1

46.  “Inappropriato usare il titolo di Corredentrice” per Maria. 1

47.  A perenne ricordo di tutti i nostri defunti 1

48.  Note storiche, le Grotte Vaticane dove sono sepolti i Pontefici 1

49.  Avvento: un cammino di volti, per scoprire il significato dell’attesa. 1

50.  I giovani di origine straniera protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia. 1

51.  La preghiera per i defunti. La morte non è la fine. 1

 

 

1.        Unser Sonntag: Kehrt um! 1

2.        Leo XIV. in Istanbul: Eindringliche Predigt über die 3 Brücken der Einheit. 1

3.        Papst prangert in Istanbul fehlenden Respekt für ältere Leute an. 1

4.        Türkei: Christen erinnern an Konzil vor 1.700 Jahren. 1

5.        Papst Leo wirbt in Ankara für „plurale Gesellschaft“. 1

6.        Religionen haben eine gemeinsame Verantwortung für die Zukunft 1

7.        Neuer Weihbischof in Mainz hat indische Wurzeln. 1

8.        Papst: Das Leben ist ein Geschenk. 1

9.        Vatikan: „Monogamie ist keine Einschränkung“. 1

10.  Papst vor Reise: In Nizäa Botschaft der Einheit für Christen. 1

11.  Ratzinger-Preis 2025 geht an Dirigent Riccardo Muti 1

12.  Weihbischof Lohmann zum Abschluss der UN-Klimakonferenz 2025 (COP30) 1

13.  Papst Leo XIV.: Christliche Hoffnung bedeutet „Stellung beziehen“. 1

14.  Satzung der Synodalkonferenz einstimmig beschlossen. 1

15.  Bischöfe und Laien wollen neues nationales Kirchengremium schaffen. 1

16.  Ukraine: Parolin verurteilt Angriffe auf zivile Infrastruktur. 1

17.  Synodaler Ausschuss kommt in Fulda zusammen. 1

18.  Leo XIV.: Ein Kurzbesuch in Assisi 1

19.  EU-Bischöfe fordern Einsatz gegen antichristlichen Hass. 1

20.  Papst fordert Waffenstillstand und Dialog: „In der Ukraine sterben weiter Menschen". 1

21.  Erzbischof Heße wirbt für gegenseitiges Verständnis. 1

22.  Kirchliche Institutionen senden starkes Signal an COP30. 1

23.  „Polen und Deutsche brauchen einander“. 1

24.  „Wenn Zugehörigkeitsgefühl schwindet, werden wir wie Bäume ohne Wurzeln“. 1

25.  Synode: Zwischenberichte der Arbeitsgruppen veröffentlicht 1

26.  Internetseite für Geistliche Gemeinschaften und kirchliche Bewegungen. 1

27.  Papst Leo speist mit Bedürftigen. 1

28.  „Kino ist mehr als eine Leinwand“: Papst Leo XIV. empfängt Stars. 1

29.  Leo XIV. ruft zum Kampf gegen „kulturelle Leere“ auf 1

30.  Wehrdienst-„Kompromiss“. 1

31.  Leo XIV. schafft neue Rechtsgrundlage für Apostolat des Meeres. 1

32.  Bischof Bertram Meier zum Welttag der Armen. 1

33.  Zollner über digitale Bildung: Noch sehr viel Luft nach oben. 1

34.  Kinderschutz und KI: Papst fordert digitale Pädagogik. 1

35.  Appell zur Zukunft denkmalgeschützter Kirchen in Deutschland. 1

36.  Papst: Ohne Geschwisterlichkeit können wir nicht überleben. 1

37.  Bischof Kräutler bei COP30: „Die Kirche war immer gegenwärtig“. 1

38.  In Zeiten des Misstrauens Vertrauen neu gewinnen. 1

39.  Katholischer Sozialverband gegen AfD.. 1

40.  EKD-Friedensbeauftragter stellt sich gegen Denkschrift 1

41.  Bischof Timmerevers spricht auf der Synode der EKD.. 1

42.  „Wir sind Kirche“ will Reformideen an Jüngere weitergeben. 1

43.  Angelus: Unsere Fehler hindern Gott nicht daran, uns zu lieben. 1

44.  Sechs Monate mit Leo: Zeichen des Friedens für eine von Hass verwundete Welt 1

45.  Papst Leo: Arbeit ist Quelle der Hoffnung und des Lebens. 1

46.  Italien: Fehler-Analyse in Bozen vorgestellt. 1

47.  Parolin auf Klimagipfel: „Die Zeit wird knapp“. 1

48.  Papst ermutigt kulturelle Vielfalt des Christentums in Europa. 1

49.  Stichwort: Charta Oecumenica. 1

50.  Maria-Dokument: „Wichtige Klärungen auch für Ökumene“. 1

51.  Papst: Die Auferstehung Christi, Hoffnung im Dunkel der Welt. 1

52.  Charta Oecumenica: Ökumenisches Grundlagenwerk wird aktualisiert unterschrieben. 1

53.  Vatikan warnt vor Fehlentwicklungen bei Marienverehrung. 1

54.  John Henry Newman: Ein Kirchenlehrer für unsere Zeit. 1

 

 

Il Papa nella cattedrale armena di Istanbul: “Recuperare l’unità dei primi secoli”

 

“Questa visita mi offre l’opportunità di ringraziare Dio per la coraggiosa testimonianza cristiana del popolo armeno nel corso dei secoli, spesso in circostanze tragiche”. Lo ha detto il Papa, nel saluto pronunciato in inglese durante la visita di preghiera alla cattedrale armena apostolica di Istanbul, all’inizio del suo quarto giorno di viaggio in Turchia. Leone XIV ha espresso inoltre la sua “viva gratitudine per i legami fraterni sempre più stretti che uniscono la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica”. “Poco dopo il Concilio Vaticano II, nel maggio 1967, Sua Santità il Catholicos Khoren I è stato il primo Primate di una Chiesa Ortodossa Orientale a visitare il Vescovo di Roma e a scambiare con lui il bacio della pace”, ha detto il Papa, ricordando inoltre che nel maggio 1970 il Catholicos Vasken I firmò con Papa Paolo VI la prima dichiarazione congiunta tra un Papa e un Patriarca Ortodosso Orientale, invitando i loro fedeli a riscoprirsi fratelli e sorelle in Cristo in vista dell’unità. “Da allora, per grazia di Dio, il dialogo della carità tra le nostre Chiese è fiorito”, il bilancio di Leone, che citando il 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico ha sottolineato che “è da questa fede apostolica comune che dobbiamo attingere per recuperare l’unità che esisteva nei primi secoli tra la Chiesa di Roma e le antiche Chiese Orientali”. “Dobbiamo anche trarre ispirazione dall’esperienza della Chiesa nascente per ripristinare la piena comunione, una comunione che non implica assorbimento o dominio, ma piuttosto uno scambio dei doni che le nostre Chiese hanno ricevuto dallo Spirito Santo per la gloria di Dio Padre e l’edificazione del corpo di Cristo”, l’auspicio del Pontefice, insieme a quello che “la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali possa riprendere prontamente il suo fecondo lavoro, alla ricerca di un modello di piena comunione, insieme, naturalmente, come auspicava Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ut unum sint”. M.Michela Nicolais, sir 30

 

 

 

 

Papa Leone in Turchia: l’incontro con i capi delle chiese e comunità cristiane

 

Inizia un'altra giornata di Papa Leone in Turchia nel segno del dialogo interreligioso - Di Veronica Giacometti

Istanbul. Un’altra giornata nel segno del dialogo ecumenico e armonia interreligiosa quella di Papa Leone XIV in Turchia. Questa mattina il Papa si è recato in visita alla Moschea Sultan Ahmed, la “Moschea Blu”, una delle più importanti moschee di Istanbul. E presso la Chiesa ortodossa siriaca di Mor Ephrem per un incontro a porte chiuse con i capi delle chiese e delle comunità cristiane.

Il nome “Mosche blu” sta proprio nel fatto che pareti, colonne e archi sono ricoperti dalle maioliche di Iznik, decorate in toni che vanno dal blu al verde.

Papa Leone nel suo primo appuntamento della giornata è accolto e accompagnato nella Moschea dal Capo della Diyanet, ovvero il Presidente per gli Affari Religiosi della Türkiye. Prima di entrare si toglie le scarpe, a Papa Leone vengono illustrate a lungo le bellezze di questa moschea che ascolta con grande attenzione.

Successivamente un breve scambio di doni.

Nel 2006 ci fu Papa Benedetto e il 29 novembre 2014 fu Papa Francesco ad entrare scalzo nella Moschea. 

La Sala Stampa ha fatto sapere che "il Papa ha vissuto la visita alla Moschea in silenzio, in spirito di raccoglimento e in ascolto, con profondo rispetto del luogo e della fede di quanti si raccolgono in preghiera".

Subito dopo la Moschea un’altra visita importante: quella alla Chiesa ortodossa siriaca di Mor Ephrem, una chiesa siriaco-ortodossa situata a Ye?ilköy, nella parte europea di Istanbul. È poco tempo che esiste questa costruzione, infatti L’apertura è stata ritardata dalla pandemia di Covid-19 e dal terremoto in Türkiye e Siria ed è avvenuta solo nel 2023.

Il capo della Chiesa è il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia, con sede a Damasco, capitale della Siria. Nel mondo i fedeli della Chiesa ortodossa siriaca sono circa due milioni. Il Patriarca della Chiesa ortodossa siriaca di Antiochia e di tutto l’Oriente è Ignazio Efrem II.

Il Papa incontra privatamente i capi delle chiese e delle comunità cristiane. Viene accolto dal Patriarca Siro Ortodosso e dal Metropolita della Chiesa ortodossa siriaca di Antiochia per le diocesi di Istanbul, Ankara e Izmir. Tutti insieme scattano una foto di gruppo. Successivamente il coro intona un canto di invocazione allo Spirito Santo e i Leader prendono posto alla tavola rotonda. L’incontro prosegue a porte chiuse, con brevi interventi di ciascun Leader, seguiti da un discorso del Pontefice. Prima di lasciare la Chiesa, il Vicario Patriarcale della Chiesa ortodossa siriaca di Antiochia guida la recita del Padre Nostro.

“In questa occasione storica in cui celebriamo i 1700 anni dal Concilio Ecumenico di Nicea, ci riuniamo per rinnovare la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, celebrando la fede che condividiamo insieme. Auguro ogni bene a tutti coloro che si sono riuniti qui e a tutte le comunità che rappresentano”, questa la firma del Papa sul Libro d'onore firmato presso la Chiesa Ortodossa Siriaca di Mor Ephrem.

"Nel suo intervento a conclusione dell’incontro di questa mattina nella chiesa di Mor Ephrem, dopo aver ringraziato tutti i presenti, Papa Leone XIV è tornato sul valore del Concilio di Nicea e della celebrazione di ieri, il cui centro era il Vangelo dell’Incarnazione. Ha chiesto e assicurato la preghiera perché si generino nuovi incontri e momenti come quello vissuto, anche con quelle Chiese che non sono potute essere presenti, ha richiamato il primato dell’evangelizzazione e dell’annuncio del kerygma e ricordato come la divisione tra i cristiani sia un ostacolo alla loro testimonianza.

Infine ha invitato a percorrere insieme il viaggio spirituale che conduce al Giubileo della Redenzione, nel 2033, nella prospettiva di un ritorno a Gerusalemme, nel cenacolo, luogo dell’Ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli, dove lavò loro i piedi, e luogo della Pentecoste, un viaggio che porti alla piena unità, citando il suo motto episcopale: “In Illo Uno Unum”, comunica successivamente la Sala Stampa della Santa Sede sull'incontro.

Il pomeriggio continuerà con un evento importante: la firma della dichiarazione congiunta con Bartolomeo e gli altri leader cristiani. Aci 29

 

 

 

 

Diocesi italiane: l'Avvento e la Fraternità

 

La Chiesa italiana è sempre più vicina alle persone più bisognose - Di Cesare Bolla

Roma. La Chiesa italiana è sempre più vicina alle persone più bisognose. In ogni diocesi sono tante le iniziative per aiutare giovani, anziani, bambini, famiglie, etc. E in questi giorni, con il periodo dell’Avvento – che inizia domani – sono tante le iniziative che rientrano nei progetti dell’ “Avvento di Fraternità” di cui daremo spazio nelle prossime settimane. 

Intanto non si fermano i progetti in atto come  il progetto “Rut – Fondati sul lavoro” promosso da Genova dalla Caritas diocesana e che vuole supportare persone e famiglie che, pur avendo un’occupazione, non riescono a sostenere le spese ordinarie e straordinarie. Il progetto si concentra su due fronti principali: lavoro povero e povertà sanitaria. Lavoro povero con redditi insufficienti a coprire affitto, bollette e spese quotidiane e povertà sanitaria che comporta difficoltà nell’affrontare spese mediche urgenti, visto il reddito insufficiente. Il progetto si propone di offrire prestiti a tasso ridotto o interventi a fondo perduto, calibrati sul bisogno reale, accompagnamento personalizzato e valutazione equa e riservata.

I dati che sono emersi in queste settimane, con la presentazione dei report sulla povertà nei diversi territori italiani a cura delle Caritas diocesane, evidenziano dati preoccupanti che coinvolgono sempre più famiglie e persone fragili. Per far conoscere quello che la Chiesa italiana fa in questo senso da domani parte una nuova campagna su vari organi di informazione – stampa, tv, radio, social - per raccontare la presenza quotidiana di una Chiesa che accompagna, sostiene e condivide la vita delle persone con storie nelle diverse diocesi del nostro paese con gesti di vicinanza, mani che si tendono, parole che consolano, segni che trasformano la fatica in speranza.  “Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno” – lo slogan della campagna - intende mostrare i mille volti della “Chiesa in uscita”: dai percorsi formativi rivolti ai ragazzi, per imparare a usare intelligenza artificiale e nuove tecnologie,  alle attività ricreative per gli anziani che spesso devono affrontare una vita in solitudine, dal sostegno alle persone lasciate sole, restituendo loro dignità e speranza, ai cammini di fede per aiutare ogni individuo a incontrare Dio nella vita quotidiana. “Nell’Italia di oggi, senza la presenza viva della Chiesa, con la sua rete di solidarietà – spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni –  grazie all’impegno instancabile di migliaia di sacerdoti e volontari, mancherebbe un punto di riferimento essenziale. Attraverso questa campagna desideriamo rendere visibile quanto questa presenza sia concreta e incisiva nella quotidianità di tante persone”.

La Chiesa italiana – nel giorno conclusivo della visita di papa Leone XIV in Turchia e Libano e a sessant’anni dall’abolizione delle scomuniche tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, insieme alla Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia promuove una celebrazione ecumenica per commemorare lo storico gesto che diede il via a un nuovo dialogo tra cattolici e ortodossi. A Venezia, martedì 2 dicembre, un evento alla presenza, tra gli altri, di Polykarpos, Metropolita d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, e del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI. Nella Chiesa di San Zaccaria, dopo un momento introduttivo, si terrà la celebrazione che vedrà l’intervento del Metropolita. Successivamente ci si recherà nella Cattedrale di San Giorgio dei Greci dove il card. Zuppi proporrà la sua riflessione. Seguiranno la Professione di fede, la lettura della Dichiarazione congiunta, lo scambio della pace e la benedizione.

La commemorazione, oltre a celebrare un importante anniversario, rappresenta – spiega una nota della Cei - il segno concreto della volontà di proseguire nel solco tracciato dalla Dichiarazione comune con cui Papa Paolo VI e il Patriarca Athénagoras, nell’eliminare le sentenze di scomunica dell’anno 1054, esprimevano il desiderio di “riconciliazione” e invitavano a “perseguire, in uno spirito di fiducia, di stima e di carità reciproche, il dialogo che li condurrà, con l’aiuto di Dio, a vivere nuovamente, per il maggior bene delle anime e la venuta del Regno di Dio, nella piena comunione di fede, di concordia fraterna e di vita sacramentale che esisteva tra loro nel corso del primo millennio della vita della Chiesa”.

In questa settimana anche un incontro importante quello del card. Zuppi che, insieme al segretario generale della Cei, l’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, con alcune vittime di abusi compiuti in ambito ecclesiale. Un incontro avvenuto nella sede della Conferenza episcopale italiana e che si  inserisce nella serie di incontri periodici promossi, da tempo, con l’obiettivo di “dare continuità e ulteriore concretezza alle linee di azione nel campo della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili messe in atto con determinazione dalla CEI”. Il colloquio è stato caratterizzato dalla condivisione e dal dialogo, in un clima di ascolto “attento e costruttivo”.

“Sul versante della tutela e della prevenzione degli abusi – ha detto il card. Zuppi - non abbassiamo la guardia: la voce delle vittime è per noi fondamentale perché ci aiuta a riconoscere gli errori compiuti e ci sprona a continuare nel nostro impegno. Vogliamo creare ambienti sempre più sicuri perché non si ripetano i drammi del passato, perché si diffonda una cultura della cura e perché, per quanto possibile, si possano ricucire le ferite di chi ha sofferto e soffre a causa di crimini inaccettabili”. Aci 29

 

 

 

 

 

Incoraggiati a ripristinare la piena comunione tra i Cristiani

 

Le parole di papa Leone XIV durante il rito della doxologia nella chiesa patriarcale di San Giorgio a Istanbul - Di Antonio Tarallo

Istanbul. Un incontro che farà storia: sia per i protagonisti, sia per il luogo scelto. E' la Chiesa Patriarcale di San Giorgio a Istanbul, dove ha luogo la Doxologia, una preghiera breve ma assai intensa. Piove, oggi, a Istanbul. Il termine doxologia deriva dal greco doxa (gloria, lode) e logos (parola, discorso): letteralmente, “parola di gloria”. Nella liturgia cristiana, indica una formula breve con cui si rende gloria a Dio, riconoscendone la maestà e l'azione salvifica nella storia. Atto di adorazione, solenne e richiama la grandezza di Dio. Preghiera e lode, assieme per papa Leone XIV e il Patriarca Bartolomeo I, che insieme (parola cardine di questo viaggio)   procedono verso l'ingresso della Cattedrale e prima di entrare accendono una candela: la luce, segno della Luce di Dio. 

Il luogo, simbolico, e magnifico nel suo splendore: la Chiesa Patriarcale di San Giorgio sorge proprio accanto al Patriarcato. L'edificio sacro, risalente al 1720, è sprovvisto di cupola, secondo la regola stabilita dagli Ottomani dopo la conquista della Città, essendo la cupola ritenuta appannaggio esclusivo delle moschee e degli edifici legati alla tradizione islamica. Oro, e lampadari luccicanti: tutto s'intreccia nella chiesa patriarcale, arte e fede, così come il pregevole Trono del Patriarca Ecumenico, intarsiato di avorio e riconducibile alla tarda epoca bizantina. Il valore simbolico: la Chiesa Patriarcale custodisce le reliquie di alcune delle più venerate sante dell'Antica Costantinopoli, come Eufemia di Calcedonia. Nella Chiesa Patriarcale trovano posto anche, dalla festa di Sant'Andrea (30 novembre) del 2004, parte delle reliquie dei Santi Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo, consegnate il 27 novembre 2004 al  Patriarca Bartolomeo I.

Il luogo già di per sé riesce a far nascere riflessioni e meditazioni sul tema del dialogo ecumenico. E proprio in questo luoco, ecco che papa Leone XIV prende la parola per un saluto, breve, come la stessa preghiera, ma intenso, dal grande valore storico.

Bartolomeo I, allora, rivolge a papa Leone XIV delle parole di saluto: “Con profonda gioia e giubilo in questo giorno, nello stesso spirito d'amore fraterno con cui sono stati accolti i suoi illustri predecessori,  i papi di venerata memoria Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, che hanno fortemente contribuito, ognuno a suo modo, con il proprio carisma,  al riavvicinamento delle nostre chiese sorelle,  attraverso il dialogo d'amore e di verità”. Nelle sue parole Bartolomeo I sototlinea l’ “esortazione dell'Apostolo Pietro": "mettere ogni impegno per raggiungere alla nostra fede la virtù. Alla virtù, la conoscenza. Alla conoscenza, l'ottemperanza. All'ottemperanza, la pazienza. Alla pazienza, la pietà. Alla pietà, l'amore fraterno. All'amore fraterno, la carità”. Parole di unione in cui la parola che risuona più volte è "fratellanza" e "fratello": il desiderio, vero, di poter essere uniti. Chiese "sorelle" le chiama Bartolomeo I. 

E a queste parole di frattelanza, risponde papa Leone XIV con un saluto carico di altrettanto affetto fraterno: “Amato fratello in Cristo - così comincia il pontefice, con quell' “amato fratello” denso di significato - mi permetta di iniziare esprimendo la mia più profonda gratitudine per la calorosa accoglienza e le gentili parole di saluto”. E così passa a ringraziare, poi, i Membri del Santo Sinodo, assieme al clero e ai fedeli. 

 “Entrando in questa Chiesa, ho provato una grande emozione, consapevole di seguire le orme di Papa Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco”: un omaggio ai pontefici predecessori che hanno visitato questa terra. E, poi, il passaggio più importante, forse: “Sono certo che questo incontro contribuirà anche a rafforzare i legami della nostra amicizia, che hanno già iniziato ad approfondirsi quando ci siamo visti, per la prima volta, all'inizio del mio Ministero come Vescovo di Roma, specialmente durante la solenne celebrazione della santa Eucaristia, alla quale Vostra Santità ha avuto la gentilezza di essere presente”.

L'attenzione sul 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea, “evento così significativo” (così lo definisce il pontefice). L'invito è chiaro, forte: “Siamo incoraggiati nel nostro impegno a ricercare il ripristino della piena comunione tra tutti i Cristiani, compito che intraprendiamo con l'aiuto di Dio. Spinti da questo desiderio di unità, ci prepariamo anche a celebrare la memoria dell'Apostolo Andrea, Patrono del Patriarcato Ecumenico”. 

Ricorda, poi, la preghiera da poco ascoltata declamata dal diacono che ha rivolto a Dio la supplica “per la stabilità delle Sante Chiese e per l'unità di tutti”. E precisa: "Questa stessa invocazione risuonerà anche nella Divina Liturgia di domani. Che Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, abbia misericordia di noi ed esaudisca codesta orazione". 

L'incontro si chiude con la recita del Padre Nostro: lo recitano in latino, Pater Noster, la lingua universale della Chiesa. E un canto in greco, intonato da tutta l'assemblea: il nome di Dio viene acclamato. Aci 29

 

 

 

 

 

Leone XIV e Bartolomeo I firmano la Dichiarazione congiunta

 

Nel Palazzo Patriarcale, la firma di una Dichiarazione congiunta e lo scambio dei doni tra il papa e Bartolomeo I

Kabul. E dopo la preghiera della Doxologia nella chiesa patriarcale di San Giorgio,  Bartolomeo I e papa Leone XIV si sono incontrati nel Palazzo del Patriarcato per la firma di una dichiarazione congiunta. Un momento breve, ma significativo. E subito dopo la firma, lo scambio dei doni: papa Leone XIV ha donato un mosaico del Cristo Pantocratore, una riproduzione del mosaico che decora la volta dell'Oratorio di San Zenone, situato nella basilica di Santa Prassede a Roma. Bartolomeo I una stola, raffinata, dorata. E una croce pettorale d'oro. Il Cristo Pantocratore è raffigurato come sovrano e giudice dell'universo, secondo l'iconografia tipica dell'epoca. Il suo sguardo solenne e diretto verso l'osservatore esprime onniscienza e presenza eterna. Il quadro musivo (cm 70 × 70) è stato realizzato dai mosaicisti dello Studio del Mosaico Vaticano tra febbraio e giugno 2021: smalti policromi e ori, applicazioni con stucco oleoso su base metallica.  

La Dichiarazione congiunta ha come sottotitolo parole che sono una sintesi di tutto: «Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre», tratte dal salmo 106 . misericordioso, per il dono di questo incontro fraterno. Seguendo l'esempio dei nostri Venerabili Predecessori e in ascolto della volontà del nostro Signore Gesù Cristo, continuiamo a camminare con ferma determinazione sulla via del dialogo, nell'amore e nella verità, verso l'auspicato ripristino della piena comunione tra le nostre sorelle Chiese”, questo l'incipit del testo firmato congiuntamente. 

Inoltre viene sottolineato che “l'unità dei cristiani non è semplicemente risultato di sforzi umani, ma un dono che viene dall'alto”. Viene definito “uno straordinario momento di grazia” la commemorazione del 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Importante il passaggio: "Dobbiamo anche riconoscere che ciò che ci unisce è la fede espressa nel Credo di Nicea. Questa è la fede che salva nella persona del Figlio di Dio, vero Dio da vero Dio, homoousios con il Padre, che per noi e per la nostra salvezza si è incarnato e ha abitato in mezzo a noi, è stato crocifisso, è morto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo e verrà di nuovo a giudicare i vivi ei morti". la Resurrezione è al centro di tutto. E poi si parla - sempre nella stessa Dichiarazione - il mistero della Santissima Trinità. C'è speranza nel documento: "Siamo convinti che la commemorazione di questo significativo anniversario possa ispirare nuovi e coraggiosi passi nel cammino verso l'unità. Tra le sue decisioni, il Primo Concilio di Nicea fornì anche i criteri per determinare i dati della Pasqua, comune a tutti i cristiani". Ricorda, infatti, il testo firmato congiuntamente che “la divina Provvidenza” ha fatto in modo “che quest'anno l'intero mondo cristiano abbia celebrato la Pasqua nello stesso giorno”. 

E nelle parole, forte il desiderio di “proseguire il processo di esplorazione di una possibile soluzione per celebrare insieme la Festa delle Feste ogni anno”. Viene poi ricordato anche il 60° anniversario della storica Dichiarazione congiunta di papa Paolo VI con il patriarca ecumenico Atenagora.  “Convinti dell'importanza del dialogo, esprimiamo il nostro continuo sostegno al lavoro della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che nella fase attuale sta esaminando questioni storicamente considerate fonte di divisione” continua il documento congiunto. C'è anche l'esortazione alle due Chiese di “accogliere con gioia i frutti finora conseguiti ea impegnarsi per il loro continuo incremento”.

Un'unità che contribuisce alla pace: "Insieme alziamo fervidamente le nostre voci invocando il dono divino della pace sul nostro mondo. Tragicamente, in molte sue regioni, conflitti e violenza continuano a distruggere la vita di tante persone. Ci appelliamo a coloro che hanno responsabilità civili e politiche affinché affrontino tutto il possibile per garantire che la tragedia della guerra cessi immediatamente, e chiediamo a tutte le persone di buona volontà di sostenere la nostra supplica".

Dopo la firma e lo scambio di doni, un momento privato fra i due. Unione, fratellanza, e pace: queste le parole-chiave di oggi. Aci 29

 

 

 

 

La Chiesa in Turchia. L'importanza del viaggio di Papa Leone XIV

 

A colloquio con padre Paolo Pugliese, Paolo Pugliese, cappuccino, che vive da più di dieci anni in Turchia. Oggi è delegato dei frati minori cappuccini nel Paese. Di Antonio Tarallo

Roma. Per conoscere meglio la realtà della Chiesa in Turchia, e per parlare del primo viaggio apostolico di papa Leone XIV, AciStampa ha intervistato padre Paolo Pugliese, cappuccino, che vive da più di dieci anni in Turchia. Oggi è delegato dei frati minori cappuccini nel Paese.

Turchia, terra che parla al nostro oggi. E tanto. Voi, frati cappuccini, è da tempo che siete presenti in questa terra. Dove svolgete il vostro servizio?

Una presenza, quella di noi frati cappuccini, che rimane ancora importante. Sì, rimane importante anche se piccolina. Qui a Istanbul, abbiamo il convento sulla parte europea, siamo l'ultima chiesa a ovest di Istanbul. Come cappuccini siamo presenti in luoghi importanti: vi è la casa di Maria ad Efeso, dove ci sono appunto dei frati che ricevono essenzialmente i pellegrini sia di fede musulmana che cristiana. E poi, Efeso è il luogo dove appunto Giovanni ha scritto il Vangelo, e vissuto fino alla morte. Noi stiamo in questo piccolo santuario, Meryem Ana Evi, da una sessantina d'anni, è un luogo in cui si sente molto il dialogo interreligioso. Poi abbiamo altre due presenze nel sud. Uno di questi due siti è a Mersin, grande città portuale, poco distante da Tarso, patria di Paolo, per intenderci. Qui, animiamo l'unica chiesa cattolica della città. Infine abbiamo un'altra presenza, ai confini della Turchia con la Siria, ad Antiochia. Città altrettanto importante per il Cristianesimo: Antiochia è il luogo dove per la prima volta i discepoli di Gesù sono stati chiamati “cristiani”. È posta a una cinquantina di chilometri al confine con la Siria.

 

Cosa rappresenta per la Chiesa in Turchia questo viaggio di papa Leone XIV?

Aspettavamo il pontefice. Un viaggio importante per diversi motivi. Dobbiamo premere che la chiesa cattolica turca è un'area piccola piccola. Assai piccola. E non ha personalità giuridica. Una piccola chiesa che si potrebbe definire un fiorellino di campagna. Per questi motivi ricevere la visita del Papa significa sentirsi parte di qualcosa di molto più grande e rilevante, sia a livello diacronico (nel tempo) che sincronico (cioè nello spazio). La presenza del Pontefice dà un senso di appartenenza, un po' di respiro. Non è certo facile quando si vive da minoranza. Questo viaggio è proprio questo: un respiro a questa piccola comunità di fedeli! Siamo pochi, ma ecco che in questi giorni il papà ci ascolta, ci guarda: è bellissimo tutto ciò! 

 

Una minoranza che accoglie il papa. Una minoranza a cui il pontefice presta attenzione. Come primo viaggio - seppur doveva essere papa Francesco a compierlo - Leone XIV sceglie proprio un piccolo popolo. In fondo, non pensa, che potrebbe essere anche un messaggio che va oltre ai luoghi di questo viaggio? Un messaggio a una cristianità che, vista l'Europa secolarizzata, è sempre più piccola?

È molto opportuna questa sua riflessione. In fondo, potrebbe anche essere così. E questo si allaccia a un pensiero che spesso mi si affaccia: la Chiesa della Turchia vive una condizione profetica rispetto alla Chiesa d'Europa. Mi spiego meglio: la crisi che la chiesa sta vivendo in Europa qui è stata vissuta secoli fa, e ora i fedeli sono pochi, così come i sacerdoti, i mezzi… Pochi, piccoli, ma chiese vive. Il fatto che il papa venga qui e che ponga il suo primo sguardo a una chiesa che è di minoranza, fa riflettere anche su ciò che sta accadendo in Europa, e offre nuovi orizzonti anche altrove. 

 

Nicea, 1700 anni dopo. Quale possibilità di dialogo dopo il viaggio di papa Leone XIV? Concretamente cosa potrebbe cambiare sia nella chiesa locale sia a livello internazionale?

Cominciamo col dire che sicuramente le due sfere si toccano. A livello ecumenico penso che papa Leone XIV il Papa sia stato molto accorto nel senso che è stato invitato da Bartolomeo ma ha messo nel programma delle visite sia al patriarcato armeno che alla Chiesa siriaca: queste sono le due realtà importantissime, due realtà di una grande storia dietro alle spalle. Due chiese antichissime: basterebbe pensare alla Chiesa siriaca, una chiesa che prega la sua liturgia, le sue preghiere, che celebra le sue funzioni in siriaco che sarebbe una variante dell'aramaico, la lingua parlata da Gesù. Quindi, è una Chiesa importantissima che però è stata tendenzialmente al di fuori dell'impero romano, dell'impero bizantino, e quindi non ha mai avuto un imperatore che la tutelasse, per intenderci. Poi, abbiamo la Chiesa armena che ha avuto al suo inizio un impero. L'Armenia nel 303 diventa tradizionalmente per la prima volta l'impero cristiano, prima ancora dell'impero romano: in sintesi, una Chiesa importantissima, orgogliosa di questo primato, anche se poi la sua storia è stata travagliata come sappiamo fino ad arrivare al '900. Ecco, queste due Chiese sono in realtà importantissime in Turchia, perché numericamente sono molto più grandi della Chiesa cattolica. Il fatto che il pontefice le vada a trovare credo che sia proprio un fatto importantissimo: una scelta molto intelligente, una cosa anche molto sentita. Una scelta chiara che spero porterà un cammino davvero assieme. E il pontefice mi sembra più che determinato in questa direzione. Lo ha ripetuto più volte: ha parlato al plurale. “Camminiamo insieme”. Ricorda molto quel “Noi crediamo” del Concilio di Nicea, appunto. 

E sotto l'aspetto politico potrebbe cambiare qualcosa dopo questo viaggio? 

Papa Leone XIV porta qui anche la sua presenza come responsabile civile, come voce a tutela dei diritti civili dell'umano. Per questi paesi islamici, la Turchia è infatti un paese islamico, sentire la voce del pontefice che si è scagliato contro gli attacchi violenti a Gaza, ha segnato anche una certa vicinanza, mi sembra. E poi, non possiamo dimenticare, come dicevamo prima l'importanza di questo viaggio sotto l'aspetto storico-biblico, spirituale: le radici con i discepoli. 

Turchia, un territorio visitato da diversi pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e papa Francesco. Ora, papa Leone XIV. Possiamo dire, allora, che è davvero una terra che “attira” la Santa Sede?

In fondo, a questa a lista, vogliamo aggiungere anche Roncalli, non come pontefice ma come Nunzio apostolico sì. La lista, dunque, si allarga ancora di più. Roncalli che ha vissuto diversi anni in questo territorio: una presenza, la sua, tra l'altro particolarmente rilevante, perché i suoi diari raccontano come lui abbia accolto di buon grado certe istanze, come quella di non vestirsi da sacerdote, di non esporre simboli religiosi. Poi mi sembra interessante anche che lui abbia un po' amato la realtà della Turchia. Mi chiede: perché “attrae” così tanto la Santa Sede, questa terra? La Turchia è prima di tutto una terra santa. Se la Palestina e Israele rappresentano la Terra Santa perché c'è stato Gesù, perché su quelle terre è passato, abbiamo la Turchia come luogo dove i suoi discepoli si sono intrattenuti, hanno fatto i loro viaggi. Penso a Paolo, a Giovanni, a Filippo, alla stessa Vergine a Efeso. In fondo, mi aspetto che lo stesso papa Leone XIV ritorni fra sei anni per l'anniversario del concilio di Efeso. Aci 28

 

 

 

 

Scalabriniani, 28 novembre: un anniversario di memoria e di prospettiva

 

ROMA. Centotrentotto anni fa, il 28 novembre 1887, Giovanni Battista Scalabrini, nato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco in provincia di Como e Vescovo di Piacenza dal 1876, fonda la Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo per la cura pastorale, sociale e culturale degli emigranti italiani soprattutto nelle Americhe.

Nel celebrare l’anniversario di nascita della Congregazione scalabriniana non è fuori luogo chiedersi se la memoria dei primi tempi continui ad ispirare e animare idee e iniziative odierne nell’opera di accompagnamento e sostegno dei migranti.

QUANDO E PERCHÉ NASCE LA CONGREGAZIONE DI SCALABRINI?

Il tempo di Scalabrini è il tempo dell’abolizione della schiavitù (1865 negli USA; 1888 in Brasile), dello sviluppo dell’industria e dell’urbanizzazione negli USA, dello sfruttamento agricolo nelle Americhe, delle crisi agricole e industriali in Europa, delle guerre d’indipendenza e d’espansione degli imperi coloniali, della nascita del socialismo e del movimento sindacale operaio, dell’espansione del commercio e degli squilibri demografici, della contrapposizione in Italia, tra Chiesa e Stato.

Nell'Europa del XIX secolo la grande crescita demografica porta la sua popolazione da 150 a 220 milioni. Dal 1830, molta gente lascia le campagne, sempre più in crisi, per trasferirsi nelle città, in cerca di lavoro e condizioni di vita accettabili. Dal 1815 al 1840, quasi 60 milioni di persone, soprattutto agricoltori ed artigiani, lasciano l’Europa per le Americhe. Tale movimento è anche una delle conseguenze della rivoluzione industriale che crea masse di poveri nei porti e nelle città industriali.

Dal 1840 al 1914 circa 100 milioni di Europei lasciano l’Europa. All’inizio erano numerosi gli Anglosassoni (Irlandesi, Inglesi, Tedeschi). In seguito, sono stati raggiunti dagli Ucraini, dai Polacchi, dagli ebrei di Russia e dagli Italiani, soprattutto lavoratori non qualificati e poco pagati. Se dall’Unità d’Italia, nel 1861, ad oggi possiamo contare oltre 30 milioni di emigrati italiani, dal 1876 (anno in cui Scalabrini diventa vescovo di Piacenza ed anche anno della prima rilevazione statistica in Italia) al 1905 (anno della morte di Scalabrini), 8 milioni di Italiani (di cui 1,5 milioni sono donne) lasciano il Paese: 3,7 milioni emigrano verso i paesi europei e 4,2 milioni verso le Americhe (1,7 milioni negli USA e 1 milione in Brasile). Questi emigrati provengono soprattutto dalle regioni del Nord Italia (4,5 milioni), seguite dalle regioni meridionali e insulari (2,8 milioni) e da quelle centrali (700 mila persone).

Solo nel 1887, anno della fondazione della Congregazione scalabriniana, emigrano complessivamente dall’Italia 215 mila persone, di cui 44 mila donne. Di questi espatriati 82 mila si dirigono nei paesi europei e 129 mila nelle Americhe (di cui 37 mila negli USA e 31 mila in Brasile). Sono 133 mila gli emigrati che lasciano le regioni settentrionali del Paese, contro 67 mila delle regioni meridionali e insulari e 15 mila di quelle centrali.

Scalabrini cerca, allora, di conciliare la conoscenza scientifica dei fenomeni sociali e la ricerca di soluzioni adeguate. In effetti, partendo dalla realtà della sua diocesi, dove durante le visite pastorali constata l’assenza di 28 mila persone partite all’estero, organizza del 1877 al 1878 un’inchiesta statistica e sociale sulle condizioni degli emigrati che porterà alla nascita della Congregazione dei Missionari per gli emigrati (Scalabriniani) che attraverso l’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, l’interlocuzione con governi e parlamenti al momento dell’elaborazione delle leggi, la gestione dell’accoglienza dei migranti nei porti di partenza e di arrivo, l’assistenza ai migranti durante il viaggio, l’opera d’alfabetizzazione, d’informazione e d’assistenza medica nei paesi di accoglienza, l’inserimento attivo nelle società di accoglienza senza perdere o barattare l’originaria fede religiosa né il legame con tradizioni, lingua e cultura del Paese di origine.

L’EREDITÀ DI SCALABRINI AGLI SCALABRINIANI: DUE INTUIZIONI FONDAMENTALI

Nella comprensione del fenomeno migratorio Scalabrini intuisce, innanzitutto, che il fenomeno migratorio è parte integrante e costitutiva, a livello internazionale, della “questione sociale o operaia” e incoraggia così il miglioramento delle condizioni di vita delle grandi masse popolari. È quanto oggi dichiariamo dicendo che le migrazioni sono uno degli elementi costitutivi (non congiunturali) delle nostre società e che vanno gestite in accordo con azioni perequative di cooperazione internazionale aiutando i Paesi di origine a uscire da retaggi neocoloniali.

In secondo luogo, Scalabrini capisce che il futuro della Chiesa si gioca più sul terreno della mobilità umana (incontro e coabitazione di popoli) che su quello delle frontiere missionarie della propagazione della fede tra i non credenti, come descrive nel documento Pro emigratis catholicis inviato alcuni mesi prima di morire alla Santa Sede preconizzando la creazione di una congregazione pontificia in favore dei migranti, capace di superare gelosie e sentimenti nazionalisti condivisi dagli stessi uomini di Chiesa.

L’originalità della visione scalabriniana è la globalità che coinvolge tutti gli aspetti del fenomeno (economici, sociali, morali, religiosi e ecclesiali), l’intero arco del percorso migratorio (la partenza, il viaggio, l’arrivo e l’insediamento nel paese di immigrazione) e l’implicazione di tutti gli attori pubblici e privati. Si tratta allora di cogliere l’alterità, la differenza come relazione/incontro e non come barriera/frontiera. E per far questo bisogna saper sviluppare la comunicazione, lo scambio, il dialogo con tutti gli uomini, senza erigere frontiere (culturali, nazionali o religiose), ma in condizioni di libertà e di uguaglianza. Il rispetto della differenza implica come condizione essenziale la lotta conto le disuguaglianze e le discriminazioni.

Oggi, nelle società plurietniche e pluriculturali, gli stranieri vanno visti non come problemi ma come risorse da valorizzare. É questa la sfida della comunicazione vissuta da Scalabrini. Là dove c’era rottura di comunicazione, indipendentemente dalle cause, che potevano essere politiche (come per la rottura tra Chiesa e Stato italiano), fisiche (come per i sordo-muti), culturali o linguistiche (nelle migrazioni), sociali (sfruttamento dei poveri, soprattutto contadini e operai), educative (analfabetismo), religiose (ignoranza religiosa), là Scalabrini ha lasciato le tracce della sua visione profetica e della sua testimonianza di vita.

COSA CELEBRANO ALLORA GLI SCALABRINIANI OGNI 28 NOVEMBRE?

Non tanto la ricorrenza di un momento, ma l’impegno di una vita in continua evoluzione perché ristabilire la comunicazione interrotta e ristabilirla in ogni campo è l’eredità che Scalabrini lascia ai suoi “figli” oggi. E gli scalabriniani sono continuamente e nuovamente chiamati a farsi migranti con i migranti, lenire le ferite materiali e spirituali di tanti fratelli costretti a vivere lontani dalla loro patria, sostenerli nella difesa dei diritti fondamentali della persona umana, sensibilizzare le comunità ad una accoglienza rispettosa, aperta e solidale e cogliere nelle migrazioni un segno della vocazione eterna dell’uomo (Regole di Vita, 2 della Congregazione dei Missionari di S. Carlo).

Come Scalabrini voleva che la fede degli emigranti fosse preservata così i suoi missionari sono chiamati a dare il giusto posto alla cultura d’origine dei migranti perché, tenendo in vita le tradizioni e la lingua, anche la loro fede cristiana possa esprimersi nella maniera più familiare, senza comunque sottovalutare l’impegno di creare nuovi vincoli di comunicazione e incontro tra le diverse culture che le migrazioni veicolano. Inoltre, i missionari scalabriniani operano con e in favore dei migranti per superare le situazioni di sfruttamento e d’emarginazione e favorire l’inclusione attiva e propositiva nella comunione ecclesiale e civile.

Quando negli anni Sessanta del XX secolo la Congregazione scalabriniana capisce che era il momento di piantare le sue tende non solo fuori dall’Italia, ma anche fuori dalla propria cultura, viene modificato lo scopo iniziale dell’Istituto (“in favore degli emigrati italiani”) superando la barriera / distinzione etnica. Dal 1966 la nuova finalità dei missionari di Scalabrini diventa l'assistenza pastorale dei migranti più bisognosi, indipendentemente dalla nazionalità. Da questa data la congregazione scalabriniana s'internazionalizza: i suoi missionari si preoccupano dei migranti di ogni origine e, allo stesso tempo, i giovani di ogni origine cominciano a far parte delle comunità scalabriniane. Altre posizioni pastorali sono aperte in 32 Paesi del mondo: Portogallo, Paraguay, Porto Rico, Colombia, Messico, Filippine, Guatemala, Haiti, Repubblica Dominicana, Sud Africa, Taiwan, Bolivia, Perù, Indonesia, Giappone, Vietnam, Mozambico, Spagna, Ecuador, San Salvador, Uganda, Dubai.

L’allargamento del fine istituzionale comporta alcuni cambiamenti radicali nella maniera di considerare l’emigrazione. Fino agli anni 1970-1980, l’emigrato s’identificava con italiano, portoghese, spagnolo, cioè un europeo, di cultura e religione cristiana. D’ora in poi l’emigrato è sempre più latino-americano, asiatico, africano o d’Europa dell’est, e sempre più spesso di cultura e religione non cristiana (spesso musulmana, ma non solo).

La stessa Italia da serbatoio di mano d'opera per l'emigrazione mondiale diventa paese di accoglienza per numerosi immigrati comunitari e non. La reazione immediata è quella di dimenticare il proprio passato di emigrazione e di esigere che gli immigrati di oggi paghino lo stesso prezzo (compresi gli interessi) pagato dagli italiani di un tempo nel difficile processo di inserimento nei Paesi di accoglienza...

Ancor’oggi, pochi si rendono conto, come nel 1901 scriveva Scalabrini al Papa Leone XIII, “…che l’immigrazione è una risorsa straordinaria, un grande regalo per un paese…”.

Durante 138 anni di esistenza quella congregazione, nata dall’intuizione profetica di Scalabrini, continua ad estendere i confini della sua azione e nelle diverse società e chiese di accoglienza dei migranti non opera per costruire “spazi paralleli”, solo per i migranti, ma per invitare tutti, autoctoni e migranti, cristiani e non-cristiani, a vivere lo spirito dell’accoglienza e della solidarietà di modo che ognuno possa dare il suo contributo alla costruzione di una società umana, degna e rispettosa di tutti e di ognuno.

La Congregazione scalabriniana – tramite le sue opere pastorali (parrocchie, missioni, case del migrante, centri di animazione e servizio, mezzi di comunicazione, centri di studio) - si prefigge infatti, di servire la Chiesa e la società civile affinché l'una e l'altra prendano coscienza delle proprie responsabilità verso i migranti, non in quanto “oggetto di attenzione”, ma come fattore di trasformazione e ricomposizione del paesaggio sociale, culturale e religioso delle diverse società e chiese nazionali e internazionali. Sono le migrazioni, infatti, ad offrire i contenuti e le modalità con cui la Chiesa (e gli Scalabriniani in essa) pensa e attua la sua presenza nei differenti contesti sociali, culturali, economici, religiosi. A partire dalla non transitorietà del fenomeno migratorio, si può considerare le migrazioni come un fenomeno sociale “naturale” che, pur presentandosi come frutto di ingiustizia strutturale (contro cui lottare), può veicolare elementi positivi, soprattutto nell'ambito dell'incontro dei popoli.

Infatti, le migrazioni non sono solo il terreno privilegiato di sfruttamento, ignoranza, discriminazione, solitudine, isolamento, povertà (aspetti oggi ancor più violenti di ieri e contro cui non ci si può esimere di prendere posizione), ma sono anche concrete possibilità di relazioni e mediazioni tra persone, gruppi regionali, origini, nazioni, culture diverse, non certo per mettere in evidenza (in maniera quasi esclusiva e ossessiva) l'altro (l'etnicità nel suo aspetto distintivo o di sostituzione prevaricatrice) ma per dare priorità alla mediazione, al rapporto interattivo tra i differenti soggetti, attori e partners sociali e ecclesiali.

In realtà i 3 elementi necessari per costruire una società umana capace d’assumere la propria composizione pluriculturale sono: la solidarietà, la coesione e l'interdipendenza. É sull’apertura (accoglienza, rispetto) all’altro (il diverso, l'immigrato, lo straniero) che una società può fondare la sua coesione interna, accettando così la dinamica relazionale dello scambio, dell’interdipendenza, come cammino per risolvere i conflitti inevitabili in ogni incontro con l’altro. Vivere insieme e divenire insieme (società e chiesa) è possibile e necessario perché “l’immigrazione non è un problema astratto, ma sono bambini, donne, uomini di carne e sangue, che hanno cuore e spirito, corpo e anima; sono nostri fratelli e nostre sorelle, sono il corpo di Cristo”, come ricordava spesso papa Francesco.

Possiamo, quindi, qualificare l’azione della Chiesa, come “compagna di viaggio” dei migranti, nella sua dimensione “religiosa” (conservazione e approfondimento della fede), “socioassistenziale” (ricerca di risposte ai bisogni essenziali dei migranti: casa, lavoro, salute), “culturale” (identità linguistica di appartenenza) “aperta all’interculturale” (capacità di incontro, dialogo, mediazione, accettazione e valorizzazione positiva dell’altro) per favorire quella risorsa “integrazione” capace di arricchire le società di accoglienza. E, in tale impegno, il CSER, e gli altri centri studi scalabriniani, quali istituzioni culturali integrali aperte all’incontro e al dialogo, possono continuare ad essere credibili solo corrispondendo alle esigenze di analisi scientifica che non disgiunge i fatti dal fondamento etico e spirituale, e operando in collaborazione con quanti si riconoscono nei medesimi ideali di rigore scientifico e di impegno civile a favore dei migranti.

Auguri, allora, e buon lavoro, Congregazione scalabriniana. Ad multos annos!

P. Lorenzo Prencipe, Cser 28

 

 

 

 

Le comunità cristiane in Turchia tra storia e attualità

 

La Turchia ospita comunità cristiane piccole ma radicate, dall’ortodossia del Fanar alla tradizione siriaca del Tur Abdin, fino alla Chiesa cattolica latina. Tra migrazioni, restauri, tensioni politiche e testimonianze di fede, queste realtà mantengono viva una presenza antica in un Paese a maggioranza musulmana.

La Turchia è un Paese a maggioranza musulmana con circa 90 milioni di abitanti. Nel Novecento ha sviluppato uno Stato nazionale e laico sotto la guida di Atatürk; nel XXI secolo. Con Erdo?an, al potere da circa 20 anni, l’Islam ha assunto un ruolo centrale nella società. Tuttavia, essa è anche una regione con una lunga storia cristiana, che risale ai primi secoli e include figure bibliche, Padri della Chiesa, ma anche tradizioni monastiche e una presenza cristiana continuata anche durante l’epoca dell’impero ottomano. La presenza cristiana, oggi, è numericamente ridotta, ma conserva un enorme valore storico e religioso significativo. Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, situato nel quartiere del Fanar a Istanbul, resta un punto di riferimento. Malgrado il numero di fedeli ortodossi sia esiguo, esso continua a mantenere un ruolo importante. E questo grazie soprattutto alla continua presenza dei suoi patriarchi, tra cui Atenagora fino all’attuale Bartolomeo. Dal Concilio vaticano II tutti i papi hanno visitato questa terra. A Istanbul è presente anche la Chiesa armena, la più numerosa comunità cristiana della Turchia, segnata dalle vicende della Prima guerra mondiale. Ai confini con la Siria continua a vivere la tradizione siriaca, concentrata nell’area del Tur Abdin.

La Chiesa siriaca, un tempo più diffusa, oggi opera in un contesto islamico complesso e influenzato dal conflitto tra lo Stato turco e la popolazione curda. A causa dell’emigrazione si è molto ridotta, ma rimane attiva. A Mardin, un parroco siriaco guida una comunità di poco più di cento fedeli, sia ortodossi sia cattolici, celebrando nelle diverse chiese per mantenerle attive. Ad Adiyaman, nel 2011, è stata riaperta l’unica chiesa siriaca con autorizzazione governativa, facendo riemergere la presenza cristiana. Nel Tur Abdin diverse chiese sono state restaurate e aperte ai visitatori, e nei due monasteri rimangono alcuni monaci. Uno di essi, padre Gabriel, racconta di essere rimasto nel monastero mentre la sua famiglia emigrava, spiegando che la scelta è tra la vita religiosa e il benessere materiale.

La Chiesa cattolica in Turchia fa parte della Chiesa cattolica universale ed è in comunione con il papa. I cattolici presenti nel Paese sono circa 60.000, equivalenti allo 0,07% della popolazione, composta prevalentemente da musulmani. La Chiesa cattolica di rito latino è articolata nell’arcidiocesi di Smirne e nei vicariati apostolici dell’Anatolia e di Istanbul. Vi è inoltre collaborazione con le Chiese cattoliche armene, caldee, greche e sire, che seguono riti propri. Accanto a esse sono presenti altre comunità cristiane, tra cui gli ortodossi legati al patriarcato di Costantinopoli, di rilevante importanza storica. La Chiesa cattolica latina mantiene un rapporto particolare sia con i cittadini turchi sia con gli immigrati. Dalle parrocchie di Istanbul fino alle comunità più piccole dell’Anatolia, i missionari continuano a sostenere gruppi ridotti ma considerati significativi. Mantenere aperte le chiese è un gesto di attenzione verso chi vive sul posto e un segno di speranza per il futuro. In questo contesto è ricordata la figura del sacerdote romano Andrea Santoro, ucciso mentre pregava nella sua chiesa di Trebisonda, così come quella del vescovo Padovese, anch’egli ucciso. Santoro vedeva la sua presenza come un modo per ridurre la distanza tra mondi diversi.

Le piccole comunità cristiane in Turchia richiamano l’attenzione sulla fragilità della presenza cristiana nel mondo, anche in Occidente. Tanto in Oriente quanto in Occidente, in Italia come in Turchia, la responsabilità del cammino della Chiesa rimane nelle mani di chi la vive. Sir 27

 

 

 

 

Leone XIV in Turchia. “Lavoriamo per modificare la traiettoria dello sviluppo”

 

Il Papa arrivato in Turchia per la prima tappa del suo primo viaggio apostolico. Il passaggio al Mausoleo di Atatürk. L’incontro con il presidente. Il discorso al corpo diplomatico - Di Andrea Gagliarducci

Ankara. L’appello a lavorare insieme per modificare la traiettoria dello sviluppo. La centralità di Cristo, perché un uomo che mette Dio al centro è sicuramente più orientato verso il bene comune. L’idea di famiglia umana, alla base della famiglia delle nazioni, perché l’ordine internazionale sia orientato a favore dell’uomo. Leone XIV parla al corpo diplomatico e alla società civile di Turchia, nel primo discorso del suo primo viaggio apostolico. Ed è un discorso in cui leggere in controluce anche i temi che saranno del pontificato e, forse, proprio della sua prima enciclica.

Nel discorso, Leone XIV cita Papa Francesco per parlare di "cultura dell'incontro" e di "terza guerra mondiale a pezzi". Si sofferma sulla straordinaria esperienza di Giovanni XXIII come delegato apostolico in Turchia, e in particolare negli scritti di quello che a Istanbul e dintorni viene chiamato “il Papa turco”, per ricordare come la ricerca di unità non debba essere soltanto esteriore, per superare quella che Roncalli definiva “una logica falsa” e, invece, diventare ponte di dialogo. Rilancia il senso dell’essere umano, in un mondo sempre più dominato dalla logica dei dati. Rimette al centro il concetto di famiglia, perché è da lì che si parte per costruire una società.

Come è normale che sia, la prima tappa del viaggio è Ankara, la capitale, per un viaggio che porterà il Papa a Istanbul, Iznik e poi in Libano. La visita di cortesia al presidente Recep Tayyip Erdogan, e l’omaggio, con corona di fiori e molta solennità – tappa obbligata – al mausoleo di Atatürk, che contiene le spoglie del “padre dei turchi” (questo significa Atatürk) Mustafa Kemal, il fondatore della Turchia moderna. Una Turchia secolarizzata, dove le religioni venivano marginalizzate, almeno fino a quello che è oggi l’attuale governo, dove il dato religioso è tornato profondamente a caratterizzare la politica e persino la basilica di Santa Sofia, l’antica cattedrale di Costantinopoli, è stata trasformata in moschea – mentre lo Stato turco la aveva resa un museo, togliendole sì il carattere sacro, ma allo stesso tempo permettendo a tutte le fedi di riconoscervisi.

Ed Erdo?an, nel suo discorso di benvenuto, ha ricordato che nel bilaterale con il Papa si è parlato di “sfide che colpiscono l’umanità”, dalle migrazioni alle questioni di giustizia e pace, e della necessità di affrontarle insieme. Il presidente turco ha sottolineato che “la Turchia si trova al crocevia di tre culture”, è un ponte, un “Paese che prende posizione guardando ad Oriente e ad Occidente,” in una posizione “unica” dove “hanno sempre coesistito e convissuto senza alcuna discriminazione”, e che ci sono “tanti luoghi di culto che testimoniano la nostra convivenza”, affermando che dal 2022 ha restaurato 122 luoghi di culto, e altri cinque saranno inaugurati.

Erdo?an ricorda alla fine che la Turchia è “Paese di convivenza e pace” e che i turchi “hanno questa pace nel cuore”, cosa che “contribuisce alla stabilità del Paese”, e ricorda l’iniziativa della Alleanza delle Civiltà, iniziativa delle Nazioni Unite avviata da Turchia e Spagna.

Il presidente turco mette in luce che la Turchia si vuole “dare da fare per mettere fine” alle tensioni del mondo, tanto che “la Turchia ha dato come aiuto umanitario quasi più di tutti i Paesi” e ha aperto le porte “ai profughi siriani e a tutti i profughi scappati dalla guerra”.

Erdogan ribadisce la crisi palestinese, e punta il dito contro Israele che “sta ancora bombardando luoghi di culto, ospedali e scuole”, e persino “un luogo di culto cattolico” come la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, e chiede una soluzione internazionale alla crisi, con i confini riconosciuti dalle Nazioni Unite, e ribadisce che Gerusalemme Est dovrebbe avere uno status internazionale.

Il discorso del presidente turco mette in luce una volontà di protagonismo della Turchia. Ed è anche qui la tensione in cui il Papa si deve muovere, in uno Stato turco che prende sempre più forza nell’impianto geopolitico del Medio Oriente e del Caucaso, e anche ricordando che ancora più sullo sfondo resta la questione della parte di Cipro occupata dove le chiese cattoliche sono state trasformate in moschee o sconsacrate, o della situazione in Caucaso dove i cristiani armeni sentono forte il rischio del “genocidio culturale”.

Insomma, Leone XIV non è chiamato a tenere un discorso facile, specialmente dopo l'ampio bilaterale che lo ha preceduto. Il Papa si muove tra le caratteristiche dell’amicizia (tutti i suoi predecessori sono stati in Turchia da pontefici, Giovanni XXIII da delegato apostolico, e hanno anche avuto un ruolo cruciale nel salvataggio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale), della fraternità e della necessità di costruire ponti. E si muove sull’idea di una tradizione cristiana nel territorio turco, perché “questa terra è legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo e oggi richiama i figli di Abramo e l’umanità intera ad una fraternità che riconosca e apprezzi le differenze”.

Nel suo discorso al corpo diplomatico, Leone XIV parte dall’immagine del Ponte sullo Stretto del Dardanelli, che è anche l’emblema del viaggio papale. Riconosce alla Turchia “un posto importante nel presente e nel futuro del Mediterraneo e del mondo intero”, ma sottolinea che questo avviene soprattutto “valorizzando le vostre interne diversità”, perché, prima di collegare Asia ed Europa, Oriente e Occidente, il ponte è un collegamento tra la Turchia asiatica e quella europea. E “sarebbe un impoverimento”, sottolinea il Papa, omologare un “crocevia di sensibilità come quello turco”, perché “una società è viva se è plurale”, mentre “oggi le comunità umane sono sempre più polarizzate e lacerate da posizioni estreme, che le frantumano”.

Leone XIV mette anche al centro il contributo dei cristiani, che vogliono essere attori positivi e “si sentono parte dell’unità turca, tanto apprezzata da San Giovanni XXIII, da voi ricordato come il ‘Papa turco’ per la profonda amicizia che lo legò sempre al vostro popolo”, il quale “si adoperò intensamente affinché i cattolici non si estraniassero dalla costruzione della vostra nuova Repubblica”.

Ma Leone XIV usa l’immagine del ponte anche per descrivere Dio, il quale “rivelandosi, ha stabilito un ponte fra cielo e terra: lo ha fatto perché il nostro cuore cambiasse, diventando simile al suo”. E questo ponte tra cielo e terra è “un ponte sospeso, grandioso, che quasi sfida le leggi della fisica: così è l’amore, che, oltre alla dimensione intima e privata, ha anche quella visibile e pubblica”.

Il Papa sottolinea che nella società turca “la religione ha un ruolo visibile” e che allora è “fondamentale onorare la dignità e la libertà di tutti i figli di Dio”, che siano “uomini e donne, connazionali e stranieri, poveri e ricchi”, perché “tutti siamo figli di Dio, e questo ha conseguenze personali, sociali e politiche”.

Nota Leone XIV: “Chi ha un cuore docile al volere di Dio promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti”. Ed è questa la grande sfida, “specialmente davanti a un’evoluzione tecnologica che potrebbe altrimenti accentuare le ingiustizie, invece di contribuire a dissolverle”, dato che “persino le intelligenze artificiali, infatti, riproducono le nostre preferenze e accelerano i processi che, a ben vedere, non sono le macchine, ma è l’umanità ad avere intrapreso”.

Il Papa invita a lavorare insieme “per modificare la traiettoria dello sviluppo e per riparare i danni già inferti all’unità della famiglia umana”, un concetto che il Papa sottolinea con forza perché “invita a stabilire un collegamento”, un ponte, dato che “la famiglia è stata” per tutti “il primo nucleo della vita sociale, in cui sperimentare che senza l’altro non c’è io”.

Leone XIV ricorda quanto la famiglia abbia una grande importanza nella vita turca, apprezza le iniziative che la sostengono considerandola il luogo in cui si crea anche “la fondamentale sensibilità per il bene comune”, non negando comunque che “ogni famiglia può anche chiudersi in sé stessa, coltivare inimicizie, o impedire a qualcuno dei suoi membri di esprimersi, fino a ostacolare lo sviluppo dei suoi talenti”, ma ribadendo allo stesso tempo che “non è da una cultura individualistica, né dal disprezzo del matrimonio e della fecondità, che le persone possono ottenere maggiori opportunità di vita e di felicità”. 

Leone XIV ricorda che "solo insieme diventiamo autenticamente noi stessi. Solo nell’amore diventa profonda la nostra interiorità e forte la nostra identità. Chi disprezza i legami fondamentali e non impara a sostenerne persino i limiti e le fragilità, più facilmente diventa intollerante e incapace di interagire con un mondo complesso".

E aggiunge che "nella vita familiare infatti emergono in modo del tutto specifico il valore dell’amore coniugale e l’apporto femminile". Il Papa loda in particolare le iniziative a “sostegno della famiglia e del contributo femminile alla piena fioritura della vita sociale”, con un accento particolare proprio sul ruolo della donna.

Leone XIV chiede anche che la Turchia sia “un fattore di stabilità e di avvicinamento tra i popoli, al servizio di una pace giusta e duratura”. La Turchia, in fondo, è stata luogo di dialogo, nei suoi territori si sono svolti i primi otto Concili ecumenici, e “oggi più che mai c’è bisogno di personalità che favoriscano il dialogo e lo pratichino con ferma volontà e paziente tenacia”.

Leone XIV sottolinea che “dopo la stagione della costruzione delle grandi organizzazioni internazionali, seguita alle tragedie delle due guerre mondiali, stiamo attraversando una fase fortemente conflittuale a livello globale, in cui prevalgono strategie di potere economico e militare, alimentando quella che Papa Francesco chiamava ‘terza guerra mondiale a pezzi’”.

Ammonisce il Papa: “Non bisogna cedere in alcun modo a questa deriva. Ne va del futuro dell’umanità. Perché le energie e le risorse assorbite da questa dinamica distruttiva sono sottratte alle vere sfide che la famiglia umana, oggi, dovrebbe affrontare invece unita: la pace, la lotta contro la fame e la miseria, per la salute e l’educazione e per la salvaguardia del creato”.

In conclusione, Leone XIV sottolinea che “la Santa Sede, con la sua sola forza, che è quella spirituale e morale, desidera cooperare con tutte le Nazioni che hanno a cuore lo sviluppo integrale di ogni uomo e di tutti gli uomini e le donne. Camminiamo insieme, allora, nella verità e nell’amicizia, confidando umilmente nell’aiuto di Dio”. Aci 27

 

 

 

 

 

Un missionario in Turchia racconta l'attualità del Concilio di Nicea

 

Un colloquio padre Claudio Monge, missionario domenicano ad Istanbul - Di Simone Baroncia

Roma. La Turchia, terra del Concilio di Nicea del quale si celebrano i 1700 anni: papa Leone XIV raccoglie l’eredità di papa Francesco e sceglie per il suo primo viaggio apostolico in Turchia e Libano dal 27 novembre al 2 dicembre per celebrare l’importante anniversario del primo Concilio della storia, convocato dall'imperatore romano Costantino I, insieme a vescovi e patriarchi a Nicea, oggi ?znik, a 130 km da Istanbul, con il motto ‘Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo’. L’annuncio del viaggio è stato reso noto nello scorso ottobre, dalla Sala Stampa della Santa Sede: “Accogliendo l’invito del Capo di Stato e delle Autorità ecclesiastiche del Paese, il Santo Padre Leone XIV compirà un Viaggio Apostolico in Türkiye dal 27 al 30 novembre prossimo, recandosi in pellegrinaggio a ?znik in occasione del 1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea. Successivamente, rispondendo all’invito del Capo di Stato e delle Autorità ecclesiastiche del Libano, il Santo Padre si recherà in Viaggio Apostolico nel Paese dal 30 novembre al 2 dicembre”.

A padre Claudio Monge, missionario domenicano ad Istanbul, direttore del Centro Studi DoSt-I (Dominican Study Institute), professore associato alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna (Fter) e all’Istituto di Studi Ecumenici ‘S. Bernardino’ (ISE) di Venezia: il motto del viaggio in Turchia del papa. Un messaggio per riprendere un cammino insieme?

“Il motto correda il logo del Viaggio Apostolico di papa Leone XIV in Turchia, al centro del quale campeggia il ponte, gettato tra due continenti, che attraversa lo Stretto dei Dardanelli. E’ un simbolo potente, perché un ponte avvicina e unisce, senza eliminare la distinzione tra sponde, ma facilitando il passaggio da una all’altra. Incarna un’unità che non è uniformità, un paradigma alternativo alla logica emersa con il primo concilio ecumenico. Nel IV secolo era difficile distinguere tra l’espressione della fede e il suo contenuto essenziale.

Ma una formulazione conforme alla verità, non esclude automaticamente tutte le altre. Tuttavia, per l’imperatore Costantino, l’unità dell’Impero doveva coincidere con un’uniformità della fede. Papa Leone XIV si reca in Turchia per affermare una comunione di tipo sinodale, intesa, non come una struttura, ma come uno stile che ci aiuta a essere Chiesa, promuovendo partecipazione e comunione. Lo ribadirà in paesi come Turchia e Libano, che hanno una lunga tradizione di dialogo inter-rituale e interconfessionale e di prassi sinodale di matrice ortodossa”.

Quanto è importante questo viaggio per i credenti?

“Guardando alla partecipazione sincera e agli auspici che riscontriamo tra i nostri amici turchi musulmani e credenti, vorrei rispondere ‘moltissimo!’ A volte ho l’impressione che loro colgano meglio di molti cristiani l'importanza di questo momento: ritrovarci, nelle terre del primo annuncio evangelico, con colui che ha ereditato il compito petrino di confermare i suoi fratelli. Tuttavia, nella realtà dei fatti, le comunità cristiane sembra, talvolta, più concentrate sul riaffermare in modo un po’ identitario la specificità o l’eccezionalità del proprio gruppo rituale-liturgico, piuttosto che ricercare un autentico rinnovamento del legame con l’unico mistero pasquale, centro e il cuore della fede”.

Concilio di Nicea dopo 1700 anni potrebbe essere ancora un ponte che unisce?

“Papa Leone ha ricordato ai partecipanti al Convegno ecumenico dedicato al 1.700^ anniversario del Concilio di Nicea che celebrare Nicea è: ‘un’occasione inestimabile per sottolineare che ciò che abbiamo in comune è molto più forte, quantitativamente e qualitativamente, di ciò che ci divide’. All’epoca come oggi, il senso che diamo alle parole è cruciale. Là dove si considera l’unità più perfetta della diversità e la diversità come una corruzione dell’unità, inevitabilmente si finirà per esprimere anche la propria fede in questi termini. Noi spesso temiamo la diversità, la viviamo come un rischio per l’unità; invece, nella prospettiva trinitaria, affermata fin da Nicea, la diversità è una ricchezza, non una minaccia. Nicea ci ricorda che Dio non ‘fa’ il Padre: è Padre, perché il Figlio esiste da sempre. Ed il Figlio è Dio perché riceve tutto dal Padre. Questo significa che anche il ricevere è divino! Vivere questa verità trasformerebbe completamente i rapporti ecumenici”.

Però  sarà anche un incontro ecumenico: quanto sono importanti le fedi per la pace in Medio Oriente? 

“Le fedi semplicemente proclamate, non bastano per la costruzione della pace: la pace è costruzione quotidiana di credenti che iniziano col ‘disarmare i loro cuori’, ci ricorda papa Leone XIV. Il dialogo al quotidiano è di credenti concreti: uomini e donne di buona volontà, che ispirati dalle loro fedi, indipendentemente dalle loro appartenenze costruiscono il Regno che inizia qui, su questa terra e non può essere solo rimandato al futuro escatologico”. Aci 25

 

 

 

 

 

Gesù guida la storia verso il compimento. Solennità di Cristo Re

 

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina

Roma. La Chiesa, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo. Cristo è Re perché, insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «con la sua morte e risurrezione è diventato Signore dell’universo e della storia» (CCC 668-671). Questa festa è stata istituita nel 1925 dal Papa Pio XI e nell’enciclica Quas Primas ne spiega il senso: la regalità di Cristo non è finalizzata a dominare, ma a  portare pace ad un mondo lacerato e diviso. Cristo è Re perchè tutto ciò che esiste è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui (cf. Col 1,16). È Re perché con la croce e la resurrezione ha vinto il peccato e annientato il potere della morte. È Re perché guida la storia verso il compimento.

Il Vangelo della santa Messa ci porta sul Calvario. Cristo è inchiodato sulla Croce e la gente che assiste al suo supplizio lo deride, lo insulta, lo sfida: Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!». Queste parole esprimono la logica del mondo: un re, per essere tale, deve mostrare forza, imporsi, dominare. Ma Gesù non scende dalla croce. E questo è il cuore del suo mistero: il Suo regno non poggia sul potere o sulla violenza, ma sull’amore che si dona e salva.

Accanto a Lui, mentre soffre, c’è il cosiddetto buon ladrone. Questi, dopo avere riconosciuti il proprio peccato e l’innocenza di Gesù, Gli rivolge una preghiera semplice, ma piena di fiducia: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Riconosce in quel volto sfigurato dalla sofferenza e dagli sputi il suo Re. E Gesù gli risponde con parole che attraversano i secoli: «Oggi sarai con me nel Paradiso». Questo episodio ci racconta che il modo di regnare di Cristo è unico. Egli non estende il suo Regno conquistando territori, ma raggiungendo i cuori. Sul Calvario c’erano due uomini. Uno ha scelto di chiudersi nella rabbia, l’altro di affidarsi. Il buon ladrone ci ricorda che non è mai troppo tardi per aprire il cuore a Cristo. E ogni volta che anche noi sussurriamo: «Gesù, ricordati di me», la sua risposta non cambia: «Oggi sarai con me». Il suo, è davvero  un Regno che «non è di questo mondo» (Gv 18,36), perchè  capace di cambiare profondamente la nostra vita qui e ora.

Pio XI nell’enciclica citata, ci ricorda che «il regno di Cristo si estende anche a  tutto il genere umano» e che la sua autorità «non diminuisce, ma nobilita» l’autonomia delle realtà terrene. Accettare la regalità di Cristo non significa, quindi confondere la fede con il potere politico, né trasformare il Vangelo in un sistema di governo. Significa piuttosto riconoscere che la Verità annunciata da Cristo possiede una forza capace di orientare le culture, ispirare leggi giuste e purificare le strutture della convivenza umana.

Affermare che Cristo è Re vuol dire anche ricordare che nessun potere terreno può considerarsi assoluto, perché sopra ogni autorità c’è una Verità più grande, una Giustizia più alta, una legge d’amore che illumina la storia, la guida e la giudica. E quando una società accoglie questa luce, che è Cristo, tutto cambia: la politica diventa servizio e non dominio; l’economia mette al primo posto la giustizia e non il profitto; le relazioni sociali si fondano sulla dignità di ogni persona; e i più deboli non vengono lasciati ai margini, ma riconosciuti come il cuore stesso della comunità.

In definitiva, la festa di Cristo Re ci ricorda che se accogliamo la sua regalità l’ultima parola sulla nostra vita non è il fallimento, non è  il peccato, non è neppure la morte. L’ultima parola è una promessa che risuona da duemila anni e che nessuno potrà mai cancellare: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Aci 23

 

 

 

 

 

Le iniziative delle diocesi italiane per l'inizio dell'Avvento

 

Con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo, termina l’anno liturgico e domenica prossima inizia il periodo dell’Avvento che prepara al Natale. Di Cesare Bolla

Roma. Con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo, termina l’anno liturgico e domenica prossima inizia il periodo dell’Avvento che prepara al Natale.

“La memoria degli eventi che riguardano il Cristo, morto e risorto, ha inizio con l’Avvento, nel quale la liturgia ci educa a riscoprire l’attesa, vivere la speranza e coltivare l’esultanza per la venuta di Cristo nella storia e per il suo ritorno nella Parusia: nel primo Avvento Egli ha portato a compimento le antiche promesse e salvato ciò che era perduto, in quello finale ci prenderà con sé e ci chiamerà a possedere il regno promesso”, scrive il segretario generale della Cei, l’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, nel sussidio preparato dall’Ufficio Liturgico nazionale insieme ad altri uffici. Quattro settimane che “ci incoraggiano anche a riconoscere la misteriosa presenza del Signore che squarcia i cieli per visitare il nostro presente e colmarlo del chiarore della sua luce e della fragranza del suo profumo”, evidenzia il presule sottolineando che “fare memoria grata dell’Avvento storico, scoprire con gioia quello intermedio e attendere vigilanti quello escatologico è un esercizio spirituale attraverso il quale possiamo prepararci a celebrare con stupore e commozione il Natale del Signore che, svuotando sé stesso e assumendo la condizione di servo si ‘abbrevia’ per abitare in mezzo a noi”.

Un modo nuovo di vivere l’Avvento lo propone quest’anno il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica che, nell’ambito di Uniti nel dono, lancia “Attendere è #andareverso”, un percorso quotidiano fatto di personaggi, parole, storie e condivisione per accompagnare i fedeli fino al 25 dicembre. Attraverso due strumenti complementari, uno cartaceo e uno digitale, l’iniziativa invita a “riscoprire l’attesa come cammino concreto e attivo verso il Natale”. Il calendario cartaceo, quest’anno in modalità del tutto inedita, riprende la tradizione del calendario dell’Avvento per trasformarla in racconto: un villaggio illustrato che prende vita giorno dopo giorno, popolato da persone e storie di oggi. Ogni personaggio rivela un volto, un gesto, una parola, collegandosi attraverso QR code alle testimonianze reali di sacerdoti e comunità, segni vivi della Chiesa che cammina nel mondo. Accanto alla versione cartacea, il calendario digitale propone ogni giorno una nuova pagina da scoprire: un personaggio del presepe, la storia di un sacerdote, il Vangelo del giorno e, ogni domenica, un dono speciale per rilanciare il cammino di attesa condividendo un particolare momento di riflessione. Un appuntamento quotidiano che accompagna il credente nel ritmo dell’Avvento, ricordando che “attendere è andare verso”. E’ possibile iscriversi alla piattaforma dedicata – unitineldono.it/calendarioavvento – per accedere al calendario e ricevere, a partire dal 30 novembre, una newsletter che guiderà giorno dopo giorno nel cammino di attesa. Sulla pagina sarà inoltre possibile seguire il percorso, scaricare i materiali (mappa e personaggi da stampare) e condividere l’esperienza con l’hashtag #andareverso. “Il Calendario dell’Avvento – sottolinea Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica – fa ormai parte della tradizione di molte famiglie, ma noi abbiamo voluto proporlo in una veste nuova per invitare i fedeli a interrogarsi sul significato più profondo dell’attesa”.

Sono molte le diocesi che hanno predisposto percorsi biblici, sussidi e altri materiali per questo periodo che prepara al Natale come la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, in Calabria che ha predisposto un Sussidio di Avvento per famiglie e comunità. Nel suo messaggio introduttivo, il vescovo, Giuseppe Alberti, richiama il valore spirituale di questo periodo: “Per noi cristiani nessun tempo è debole, nessuna esperienza è inutile, nessun momento da affrontare con superficialità. Ma ci sono pure dei tempi che liturgicamente noi chiamiamo ‘forti’ perché cresce l’intensità con cui noi siamo chiamati a viverli”. L’Avvento, sottolinea il vescovo, è uno di questi: “un periodo che, pur nella sua brevità, può aiutarci a entrare nel cuore del mistero che celebriamo”. Il sussidio – spiega la diocesi sul sito - nasce dal lavoro condiviso delle diverse pastorali diocesane - catechesi, liturgia, missione, famiglia, giovani, Caritas, ecumenismo e comunicazioni - che il presule ringrazia per l’impegno sinodale. Per il cammino di quest’anno è stata scelta “la tonalità della gioia, che unisce il clima dell’Avvento (in particolare la Domenica Gaudete) e l’Anno Giubilare in corso: la gioia dell’attesa e della vigilanza, la gioia della conversione, la gioia della carità e la gioia della nascita di Gesù”.

“Facciamo in modo - scrive il vescovo - che questo cammino si possa condividere anche in famiglia, così che l’Avvento e il Natale vedano protagonista la nostra casa”.

Nelle varie diocesi anche alcuni appuntamenti particolari come a Brescia dove l’Ufficio per la Scuola e il Servizio per l’Università e la Fondazione Comunità e Scuola organizzano un incontro di spiritualità in preparazione al Natale rivolto al mondo della scuola e dell’università dal titolo “Santi e testimoni dell’educazione a Brescia”. L'incontro - incentrato su Santa Maddalena di Canossa - si terrà lunedì 15 dicembre 2025 dalle ore 17.30 alle 19.00 presso la chiesa (interna) dell'Istituto Maddalena di Canossa a Brescia. Nei prossimi giorni anche i vescovi scriveranno alle proprie comunità messaggi per questo tempo che apre il nuovo anno liturgico. Aci 22

 

 

 

 

 

Riparare la rete sociale, gli influencers cattolici

 

A colloquio con Michale Mattarucco - Di Simone Baroncia

Roma. “All’inizio di questo mio primo messaggio rivolto a voi, desidero anzitutto dirvi grazie! Grazie per la gioia che avete trasmesso quando siete venuti a Roma per il vostro Giubileo e grazie anche a tutti i giovani che si sono uniti a noi nella preghiera da ogni parte del mondo. E’ stato un evento prezioso per rinnovare l’entusiasmo della fede e condividere la speranza che arde nei nostri cuori! Perciò facciamo in modo che l’incontro giubilare non rimanga un momento isolato, ma segni, per ognuno di voi, un passo avanti nella vita cristiana e un forte incoraggiamento a perseverare nella testimonianza della fede”: con questo ringraziamento papa Leone XIV inizia il messaggio indirizzato ai giovani in occasione della Giornata Mondiale dei Giovani, che domenica 23 novembre si svolge nelle diocesi, intitolato ‘Anche voi date testimonianza, perché siete con me’, versetto tratto dal Vangelo di san Giovanni.

Partendo dall’incipit del messaggio papale abbiamo chiesto al giovane influencer Michael Mattarucco, missionario digitale, che attraverso i social cerca di creare un ponte tra il mondo e la Chiesa: in quale modo dare testimonianza di Gesù nel mondo giovanile?

“Innanzitutto credo sia fondamentale chiedersi dove sta il mondo giovanile perché senza questa consapevolezza rischiamo di operare dove non c’è nessuno, soprattutto i ragazzi. Poi credo sia importante riuscire ad intercettare il loro linguaggio, ascoltarli, comprendere cosa cercano veramente in profondità e in superficialità e tramite questo ascolto lo spirito santo suggerisce, nel cuore dei cristiani che si mettono in gioco, delle modalità con cui si può comunicare il vangelo oggi. Credo sia fondamentale però partire dalla vita, dall’esempio. Questo è il primo canale. Perché un ragazzö si incuriosisce solo se ti vede più felice di Lui, allora può prendere in considerazione la strada che tu stai percorrere, se vede che gli è indifferente non si pone neanche la domanda sulla felicità”.

‘Lo sguardo di Gesù, che vuole sempre e solo il nostro bene, ci precede. Non ci vuole come servi, né come ‘attivisti’ di un partito: ci chiama a stare con Lui come amici, perché la nostra vita venga rinnovata’: cosa significa per un giovane stare con Lui?

“Stare con Lui significa stare alla sua presenza, in silenzio… e nella frequentazione dei sacramenti. Ogni volta che andiamo all’incontro con L’eucarestia ci abbronziamo dell’amore senza Misura del Signore Gesù e questo ci plasma e ci cambia oltre ad essere persone più solari e con la pace nel cuore. Prendersi del tempo per stare solo con il Signore e dialogare con Lui nel segreto con pensieri o verbalmente fa la differenza a lungo termine”.

In quale modo si può diventare testimoni di Cristo?

“Diventi testimone di Cristo quando hai avuto un incontro personale con Lui, in cui hai acquisito consapevolezza che c’è qualcosa di eterno dentro di te che va al di là del limite materiale. Quando lo Spirito Santo si fa vivo dentro di te e ne hai consapevolezza la vita cambia e diventi testimone perché non puoi farne a meno, non si riesce a tenere per se ciò che si scopre. Desideri raccontare la gioia di quell’incontro a quante più persone possibili”.

‘Carissimi giovani, davanti alle sofferenze e alle speranze del mondo, fissiamo lo sguardo su Gesù!’: perché fissare lo sguardo su Gesù?

“Fissare lo sguardo su Gesù perché ti distacca dalle cose del mondo e ti aiuta a desiderare l’infinito, le cose eterne, il Regno di Dio, la santità. I desideri più grandi per la vita di un uomo. Anzi questi desideri aiutano a vivere pienamente la vita qui indipendentemente da ciò che si fa come lavoro/professione”.

Allora, cosa significa essere un influencer cattolico?

“Per me essere influencer cattolico significa creare un ponte tra i giovani che sono nel digitale e il messaggio del Vangelo di Gesù per incuriosire i ragazzi a riscoprire la bellezza di vivere la vita quotidiana con Fede. Questa curiosità si può creare facendo dei contenuti sui social e per esperienza posso dire che diversi passi nel mondo della fede e della spiritualità li ho fatti grazie a delle testimonianze ricevute e condivise proprio dai social”.

Come è nata la tua vocazione ‘digitale’?

“La mia vocazione per comunicare la fede sui social è nata nel 2022 quando, dopo un percorso di ricerca di successo, mi sono reso conto che non ero davvero felice. Tramite un momento buio vissuto anche in pandemia, mi sono interrogato sul senso della vita e della ricerca della felicità. Ho iniziato a leggere il Vangelo ed ho scoperto che Gesù mi riempiva il cuore, scoprendo nel presente una gioia mai provata prima. Così ho iniziato a raccontarlo a tutti sui social”.

A fine luglio hai partecipato al Giubileo degli influencer cattolici: cosa è stato?

“La Chiesa sta facendo passi in avanti. Il Dicastero della comunicazione, anche tramite il Giubileo, vuole fare in modo che anche i missionari digitali possano vivere un’esperienza di Chiesa in un ambiente di testimonianza di fede con autenticità. Sono stato colpito dalle parole di papa Leone XIV, che ci ha chiesto di aiutare a riparare la rete sociale. Ho percepito di essere nella direzione giusta, e mi ha fatto bene anche a livello spirituale, per alimentare il rapporto con Gesù e continuare in questa missione. Ho incontrato il papa e gli ho stretto la mano. Mi sono sentito parte di una grande famiglia che vuole vivere insieme”.

Ad inizio settembre hai partecipato anche alla canonizzazione di Frassati e Acutis: quale significato hanno per la tua vita?

“Sono stati giorni fortissimi. Ho un affetto speciale per Carlo, perché abbraccia appieno l’attività di missionario digitale. E’ stato il primo che ha usato internet e l’informatica per testimoniare fede ed evangelizzare, e ha preparato la strada dove ora camminiamo. Un ragazzo di 15 anni che ha messo a disposizione talento e vita cristiana nella tecnologia appena nata. Di Pier Giorgio mi colpisce l’impegno come laico in politica e verso la carità ai poveri: un grande esempio di azione e di amore per conto di Dio”.

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Quale è il loro messaggio per i giovani?

“Il loro messaggio è che la santità non è lontana da noi, ma è un modo di vivere a cui tutti possiamo ambire; l’importante è avere il coraggio di mettersi in gioco nella vita dentro l’amore del Signore e della Chiesa. In più: l’amore di Gesù si incontra quotidianamente soprattutto nelle piccole cose”. Aci 22

 

 

 

 

Cause dei Santi, pubblicati alcuni Decreti. Ci sono quattro italiani

 

Il Pontefice ha autorizzato il Dicastero a promulgare alcuni Decreti

Città del Vaticano. Durante l’Udienza al Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il Pontefice ha autorizzato il Dicastero a promulgare i Decreti per riconoscere il martirio e le virtù eroiche di diversi Servi di Dio.

In particolare oggi dal Papa è stato riconosciuto: il martirio del Servo di Dio Ubaldo Marchioni, sacerdote diocesano, nato il 19 maggio 1918 a Vimignano di Grizzana Morandi (Italia) e ucciso in odio alla fede il 29 settembre 1944 a Casaglia/Marzabotto (Italia).

Poi riconosciuto il martirio del Servo di Dio Martino Capelli (al secolo: Nicola), sacerdote professo della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, nato il 20 settembre 1912 a Nembro (Italia) e ucciso in odio alla fede il 1° ottobre 1944 a Pioppe di Salvaro (Italia).

E ancora riconosciute le virtù eroiche del Servo di Dio Enrico Bartoletti, Arcivescovo di Lucca, nato il 7 ottobre 1916 a Calenzano (Italia) e morto il 5 marzo 1976 a Roma (Italia).

Riconosciute le virtù eroiche del Servo di Dio Gaspare Goggi, sacerdote professo della Congregazione della Divina Provvidenza, nato il 6 gennaio 1877 a Pozzolo Formigaro (Italia) e morto il 4 agosto 1908 ad Alessandria (Italia);

Infine le virtù eroiche della Serva di Dio Maria del Sacro Cuore (al secolo: Maria Glowrey), religiosa professa della Società di Gesù, Maria, Giuseppe, nata il 23 giugno 1887 a Birregurra (Australia) e morta il 5 maggio 1957 a Bangalore (India). Infine le virtù eroiche della Serva di Dio Maria de Lourdes Guarda, fedele laica, nata il 22 novembre 1926 a Salto (Brasile) e morta il 5 maggio 1996 a San Paolo (Brasile). Aci 22

 

 

 

 

La guerra demografica. Il Rapporto 2025 sulla Dottrina Sociale della Chiesa

 

Il magistero della Chiesa si è espresso con chiarezza sul tema della “guerra demografica”? Se lo chiede l’Osservatorio Van Thuan, nel suo rapporto annuale sulla Dottrina Sociale della Chiesa - Di Andrea Gagliarducci

Trieste. Sui temi della vita e della famiglia la Chiesa sembra aver perso la sua spinta profetica, la sua volontà di ingaggiare una battaglia con il mondo. Lo denuncia l’Osservatorio Van Thuan per la Dottrina Sociale nella Chiesa, nel suo rapporto annuale che quest’anno ha un tema specifico e quasi inquietante: “La guerra demografica. Ci vogliono estinti?”

L’approccio dell’Osservatorio Van Thuan è scientifico, come di consueto, e i saggi del rapporto accompagnano in un percorso tutto da scoprire, che mostra non solo come le lobby anti-nataliste siano entrate prepotentemente sulla scena, ma anche come la Chiesa ne sia uscita, in qualche modo, un po’ affascinata, un po’ portata ad un dibattito che sembra non voler andare in contrapposizione.

Dalla storia del diritto all’aborto – con l’Unione Sovietica come prima nazione a legalizzarlo – a quella dell’eugenetica, termine di uso comune prima della Seconda Guerra Mondiale e bandito solo per via degli orrori del nazismo, ma ritornato prepotentemente in altre forme, fino alle derive dell’eutanasia.

Il saggio introduttivo di Riccardo Cascioli e Stefano Fontana è una sintesi piuttosto completa di quanto contiene il saggio. Cascioli denuncia che prima la Chiesa era pronta a denunciare tutte le violazioni del diritto alla vita, ma poi, negli ultimi anni, “si è verificato un raffreddamento della volontà di lotta della Chiesa su questi fronti”, al punto che “l’insistenza sulla negatività della contraccezione è molto diminuita di tono e si sta diffondendo la tesi della riformabilità della condanna di Paolo VI nella Humanae Vitae, revisione del resto già avvenuta di fatto”.

Cascioli e Fontana notano anche che, sebbene l’aborto venga ancora condannato con forza, “l’attenzione al tristissimo fenomeno ha perso di concentrazione e tutta la questione è stata collocata sullo sfondo”, mentre si fanno largo altri interessi come “la povertà e la cura dell’ambiente”, mentre mancano le denunce forti sulle questioni della vita risuonate dai tempi di Giovanni Paolo II.

Ma Cascioli e Fontana sottolineano anche i “gravi cedimenti” nei confronti dell’omosessualismo e del transessualismo, in cui “un problematico pastoralismo ha messo la sordina all’annuncio della dottrina e in molti casi si è anche assistito ad una revisione della medesima”, mentre la voce della Chiesa “si è frammentata, indebolita e confusa” quando si parla di eutanasia e suicidio assistito.

Il tema del rapporto è, prima di tutto, politico. In fondo, le politiche della popolazione si connettono con le politiche di natalità, superando la visione della procreazione come fatto individuale, ma inserendola in una cornice più ampia che riguarda il bene comune.

Il rapporto mette in luce come i fenomeni della popolazione non hanno carattere spontaneo, ma una “pianificazione politica di ordine al potere”, con vari soggetti, anche non politici (come ONG varie), che fanno politica.

Scrivono Cascioli e Fontana: “Se il Belgio legifera per permettere l’eutanasia dei neonati, se il parlamento britannico estende il diritto all’aborto fino all’ultimo mese di gravidanza, se in tutte le scuole francesi si intende imporre il progetto “EVARS” (Éduquer à la Vie Affective et Relationnelle et à la Sexualité), che intende educare fin dall’infanzia alla normalità di ogni tipo di relazione sessuale in tutte le forme possibili… significa che la cultura della morte ha fatto passi da gigante, mentre quella della vita è in grave recessione”.

Il rapporto teorizza anche che, dal rapporto Kissinger del 1974, “lo scopo della pianificazione globalista della natalità e delle migrazioni è stato di impedire lo sviluppo di alcuni Paesi e garantire gli equilibri esistenti in quanto vantaggiosi per i detentori del potere mondiale”, mentre “sulla politica della popolazione hanno fatto blocco tra loro l’economia, la medicina e la cultura intesa soprattutto come organizzazione della mentalità diffusa e degli stili di vita. C’è stata a lungo una saldatura tra interessi economici e ideologia politica liberal progressista, gestita e pianificata politicamente”.

E il dato principale è che “tutte le grandi ideologie perverse della modernità hanno fatto la guerra alla natalità. Gli insegnamenti della Chiesa si incentravano sulla natalità come fine primario della sessualità umana, sul matrimonio come ‘luogo’ naturale del suo esercizio, sulla naturalità non artificiale della procreazione e sui figli come ‘Dono di Dio’ e non delle tecnologie umane, della illiceità delle pianificazioni demografiche condotte dal potere politico”.

Cosa fare allora? L’opinione dell’Osservatorio Van Thuan, che va al di là del mainstream, è quella che la Chiesa e il suo magistero debbano riprendere la loro opera educativa, e spiegare con chiarezza dottrinale una “serie di tematiche collegate tra loro”, dalla “dalla morale sessuale al matrimonio, dalla presenza di principi non negoziabili al ruolo sussidiario della comunità politica nei confronti della famiglia e della vita, dalla necessità di governare i processi migratori a quella di preservare gli ultimi residui di civiltà cristiana”.

In fondo, “nella Chiesa di oggi si constata una notevole difficoltà a tenere conto dell’intero quadro sistemico della problematica, ad essere soggetto educativo su questi temi, a svolgere un chiaro ruolo sociale e politico di orientamento e di speranza”. Aci 20

 

 

 

 

Leone XIV ai vescovi italiani: “una Chiesa sinodale ha bisogno di rinnovarsi costantemente”

 

La preghiera sulla tomba di San Francesco, l'incontro a porte chiuse con i vescovi italiani, la messa e il pranzo con le monache agostiniane a Montefalco. Sono le tappe della visita privata del Papa ad Assisi, con una promessa: il ritorno nella città del Santo nel 2026, per l'ottocentesimo anniversario della morte – di M. Michela Nicolais

“È una benedizione potere venire qui oggi in questo luogo sacro”. Sono le parole pronunciate a braccio da Leone XIV, dopo la preghiera silenziosa, in ginocchio, davanti alla tomba di San Francesco nella basilica inferiore di Assisi. “Siamo vicini agli 800 anni dalla morte di san Francesco, questo ci dà modo di prepararci per celebrare questo grande umile e povero santo mentre il mondo cerca segni di speranza”, ha detto ancora il Papa all’inizio della sua visita privata ad Assisi – meno di due ore in tutto – mentre le sue parole venivano diffuse dagli altoparlanti. Poi l’incontro con i vescovi italiani, durato circa mezz’ora, nella basilica di Santa Maria degli Angeli. All’esterno i fedeli muniti di ombrelli, per la pioggia battente che ha caratterizzato la mattinata, lo hanno atteso, accolto e salutato quando è uscito in auto percorrendo il viale che costeggia la Domus Pacis. Prima di congedarsi, Leone XIV ha incontrato la comunità dei frati minori della Porziuncola. “Ci ha salutati uno ad uno e ci ha detto che tornerà a trovarci ad Assisi, nel 2026, per l’ottavo centenario della morte di san Francesco”, ha reso noto fra Luca Di Pasquale conversando con alcuni giornalisti: “Il Papa ci ha confidato che non era la prima volta che veniva ad Assisi, e che veniva qui per trovare pace. Ha detto che era contento di tornare qui vestito di bianco”. “Mi ha colpito il fatto che Papa Leone, pur in un incontro breve, ha prestato attenzione a ciascuno di noi”, ha riferito infine il religioso. Al termine dell’incontro con i vescovi della Cei, Papa Leone XIV ha raggiunto lo stadio di Santa Maria degli Angeli, da cui è decollato per Montefalco, dove ha celebrato la messa nel Monastero delle monache agostiniane, per poi pranzare con loro prima del ritorno, in elicottero, in Vaticano.

“Sono contento di questa mia prima sosta, seppur brevissima, ad Assisi, luogo altamente significativo per il messaggio di fede, fraternità e pace che trasmette, di cui il mondo ha urgente bisogno”, il saluto del Papa nel discorso rivolto ai vescovi, a porte chiuse. “Viviamo un tempo segnato da fratture, nei contesti nazionali e internazionali”, l’analisi di Leone XIV: “si diffondono spesso messaggi e linguaggi intonati a ostilità e violenza; la corsa all’efficienza lascia indietro i più fragili; l’onnipotenza tecnologica comprime la libertà; la solitudine consuma la speranza, mentre numerose incertezze pesano come incognite sul nostro futuro”. “L’annuncio del Messaggio di salvezza, la costruzione della pace, la promozione della dignità umana, la cultura del dialogo, la visione antropologica cristiana”, le “coordinate” affidate dalla Chiesa italiana, “affinché cresca e maturi uno spirito veramente sinodale nelle Chiese e tra le Chiese del nostro Paese”.

Tra le raccomandazioni papali, nel quadro di una Chiesa collegiale “che condivide passi e scelte comuni”, quella di “non tornare indietro sul tema degli accorpamenti delle diocesi”, tramite però “un attento discernimento” che suggerisca “proposte realistiche su alcune delle piccole diocesi che hanno poche risorse umane, per valutare se e come potrebbero continuare a offrire il loro servizio”. “Ciò che conta è che, in questo stile sinodale, impariamo a lavorare insieme e che nelle Chiese particolari ci impegniamo tutti a edificare comunità cristiane aperte, ospitali e accoglienti, nelle quali le relazioni si traducono in mutua corresponsabilità a favore dell’annuncio del Vangelo”, l’identikit tracciato dal Papa, per il quale occorre “promuovere una maggiore partecipazione di persone nella consultazione per la nomina dei nuovi vescovi”. Non sono mancate indicazioni sull’”imparare a congedarsi”: “È bene che si rispetti la norma dei 75 anni per la conclusione del servizio degli Ordinari nelle diocesi e, solo nel caso dei cardinali, si potrà valutare una continuazione del ministero, eventualmente per altri due anni”.

La Chiesa in Italia, per Leone, “può e deve continuare a promuovere un umanesimo integrale, che aiuta e sostiene i percorsi esistenziali dei singoli e della società; un senso dell’umano che esalta il valore della vita e la cura di ogni creatura, che interviene profeticamente nel dibattito pubblico per diffondere una cultura della legalità e della solidarietà”.

“Non si dimentichi in tale contesto la sfida che ci viene posta dall’universo digitale”, l’altra raccomandazione papale: “La pastorale non può limitarsi a ‘usare’ i media, ma deve educare ad abitare il digitale in modo umano,

senza che la verità si perda dietro la moltiplicazione delle connessioni, perché la rete possa essere davvero uno spazio di libertà, di responsabilità e di fraternità”. “Camminare insieme, camminare con tutti, significa anche essere una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze”, l’immagine finale scelta da Leone. “Continuate a stare vicini alle famiglie, ai giovani, agli anziani, a chi vive nella solitudine”, ha spiegato il Papa, esortando la Chiesa italiana a continuare a spendersi nella cura dei poveri e a prestare attenzione “ai più piccoli e vulnerabili, perché si sviluppi anche una cultura della prevenzione di ogni forma di abuso”. Sir 20

 

 

 

 

 

Papa Leone alla CEI: "Evitare che l’inerzia rallenti i necessari cambiamenti"

 

Dopo la visita alla tomba di San Francesco, Papa Leone XIV ha raggiunto Santa Maria degli Angeli per concludere i lavori dell'Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana - Di Marco Mancini

Assisi. Dopo la visita alla tomba di San Francesco, Papa Leone XIV ha raggiunto Santa Maria degli Angeli per concludere i lavori dell'Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana.

"Guardare a Gesù - ha detto il Papa nel suo discorso - è la prima cosa a cui anche noi siamo chiamati. La ragione del nostro essere qui, infatti, è la fede in Lui, crocifisso e risorto". Dobbiamo "ripartire dall’atto di fede che ci fa riconoscere in Cristo il Salvatore e che si declina in tutti gli ambiti della vita quotidiana".

"Tenere lo sguardo sul Volto di Gesù - ha aggiunto - ci rende capaci di guardare i volti dei fratelli. È il suo amore che ci spinge verso di loro. E la fede in Lui, nostra pace, ci chiede di offrire a tutti il dono della sua pace. Viviamo un tempo segnato da fratture, nei contesti nazionali e internazionali: si diffondono spesso messaggi e linguaggi intonati a ostilità e violenza; la corsa all’efficienza lascia indietro i più fragili; l’onnipotenza tecnologica comprime la libertà; la solitudine consuma la speranza, mentre numerose incertezze pesano come incognite sul nostro futuro. La Parola e lo Spirito ci esortano ancora ad essere artigiani di amicizia, di fraternità, di relazioni autentiche nelle nostre comunità, dove, senza reticenze e timori, dobbiamo ascoltare e armonizzare le tensioni, sviluppando una cultura dell’incontro e diventando, così, profezia di pace per il mondo. Quando il Risorto appare ai discepoli, le sue prime parole sono: Pace a voi. E subito li manda: il dono pasquale è per loro, ma perché sia per tutti!".

Ricordando i punti cardine elencati nel giugno scorso in Vaticano ovvero "l’annuncio del Messaggio di salvezza, la costruzione della pace, la promozione della dignità umana, la cultura del dialogo, la visione antropologica cristiana", il Papa ad Assisi ha sottolineato "che queste istanze corrispondono alle prospettive emerse nel Cammino sinodale della Chiesa in Italia".

Leone XIV ha offerto alcuni suggerimenti: "Dal Signore riceviamo la grazia della comunione che anima e dà forma alle nostre relazioni umane ed ecclesiali. Sulla sfida di una comunione effettiva desidero che ci sia l’impegno di tutti, perché prenda forma il volto di una Chiesa collegiale, che condivide passi e scelte comuni. In questo senso, le sfide dell’evangelizzazione e i cambiamenti degli ultimi decenni, che interessano l’ambito demografico, culturale ed ecclesiale, ci chiedono di non tornare indietro sul tema degli accorpamenti delle diocesi, soprattutto laddove le esigenze dell’annuncio cristiano ci invitano a superare certi confini territoriali e a rendere le nostre identità religiose ed ecclesiali più aperte, imparando a lavorare insieme e a ripensare l’agire pastorale unendo le forze. Al contempo, guardando la fisionomia della Chiesa in Italia, incarnata nei diversi territori, e considerando la fatica e talvolta il disorientamento che tali scelte possono provocare, auspico che i Vescovi di ogni Regione compiano un attento discernimento e, magari, riescano a suggerire proposte realistiche su alcune delle piccole diocesi che hanno poche risorse umane, per valutare se e come potrebbero continuare a offrire il loro servizio".

"La sinodalità, che implica un esercizio effettivo di collegialità, richiede non solamente la comunione tra di voi e con me, ma anche un ascolto attento e un serio discernimento delle istanze che provengono dal popolo di Dio. In questo senso - ha precisato - il coordinamento tra il Dicastero per i Vescovi e la Nunziatura Apostolica, ai fini di una comune corresponsabilità, deve poter promuovere una maggiore partecipazione di persone nella consultazione per la nomina di nuovi Vescovi, oltre all’ascolto degli Ordinari in carica presso le Chiese locali e di coloro che si apprestano a terminare il loro servizio".

"Bisogna evitare che, pur con buone intenzioni - è stato il monito del Papa - l’inerzia rallenti i necessari cambiamenti. È bene che si rispetti la norma dei 75 anni per la conclusione del servizio degli Ordinari nelle diocesi e, solo nel caso dei Cardinali, si potrà valutare una continuazione del ministero, eventualmente per altri due anni".

"La Chiesa in Italia - ha spiegato ancora - può e deve continuare a promuovere un umanesimo integrale, che aiuta e sostiene i percorsi esistenziali dei singoli e della società; un senso dell’umano che esalta il valore della vita e la cura di ogni creatura, che interviene profeticamente nel dibattito pubblico per diffondere una cultura della legalità e della solidarietà. Non si dimentichi in tale contesto la sfida che ci viene posta dall’universo digitale".

Secondo il Papa "camminare con tutti, significa anche essere una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze. Continuate a stare vicini alle famiglie, ai giovani, agli anziani, a chi vive nella solitudine. Continuate a spendervi nella cura dei poveri: le comunità cristiane radicate in modo capillare nel territorio, i tanti operatori pastorali e volontari, le Caritas diocesane e parrocchiali fanno già un grande lavoro in questo senso e ve ne sono grato".

Infine l'invito del Papa a mantenere alta la guardia nei confronti dei piccoli e dei vulnerabili "perché si sviluppi anche una cultura della prevenzione di ogni forma di abuso. L’accoglienza e l’ascolto delle vittime sono il tratto autentico di una Chiesa che, nella conversione comunitaria, sa riconoscere le ferite e si impegna per lenirle". Aci 20

 

 

 

 

 

Conoscere l'ebraismo per combattere l'antisemitismo

 

Un volume scaricabile on line in italiano ed inglese con 16 schede utili per le scuole - Di Angela Ambrogetti

Roma. Sedici capitoli, sedici schede, per conoscere e capire l'ebraismo e sconfiggere così l'antisemitismo strisciante che si confonde troppo spesso con la critica politica allo Stato di Israele.

Un libro in italiano e in inglese frutto di un lavoro congiunta tra Conferenza Episcopale Italiane e la Unione delle Comunità ebraiche italiane. L'occasione è nata dal 60 anni della Dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate”.

Le Schede sono il frutto di anni di lavoro comune e sono nate dall’esigenza di assicurare alla scuola italiana testi di qualità, promuovendo la conoscenza come vero antidoto a ogni forma di antisemitismo. Oggi il lavoro congiunto di CEI e UCEI continua, l’ambito di impiego delle Schede è più ampio di quello scolastico e il metodo individuato rappresenta una buona prassi, replicabile anche in altri contesti.

Nella presentazione del volume presso Palazzo Borromeo sede dell' Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede il cardinale Matteo Zuppi, ha detto che "l’intenzione della Chiesa non è solo volta a un corretto rapporto col popolo ebraico ma al rispetto che porta il peso di duemila anni di storia di sofferenza e anche di falsificazione".

Noemi Di Segni presidente dell' UCEI ha aggiunto anche una "sfida delicata" che, ha detto " credo con sincerità vada esplicitata – ben consapevole che semplice non è – di capire come invece nelle scuole ebraiche va data informazione conoscenza della fede cristiana e le diverse chiese e correnti. C’è un pregiudizio e poca conoscenza e questa è una sfida dentro al mondo ebraico che con onestà dobbiamo affrontare".

Il cardinale Zuppi aggiunge che è necessario "non abbassare minimamente la guardia sull’antisemitismo che si nutre di ignoranza e pregiudizio"

Per Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo "la frequentazione di queste schede può aiutare gli studenti ad allargare gli orizzonti, a fare un pezzo di strada guardando altri orizzonti. Per giungere a un arricchimento della propria identità, nel pieno rispetto dell’identità altrui".

Le schede sono il frutto di un lavoro tra gli Uffici della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale italiana (Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università; Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica) e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI.

Queste schede testimoniano come il processo avviato dalla svolta conciliare con “Nostra Aetate” n.4, sia attivo, efficace e hanno lo scopo di assicurare alla scuola italiana testi IRC di qualità promuovendo cultura e conoscenza come vero antidoto a ogni forma di antisemitismo. Questa pubblicazione è la testimonianza che ciò che è possibile fare deve essere fatto e fatto bene, con competenza, per la crescita delle nostre comunità e della società intera. Aci 20

 

 

 

 

 

“Dalla valle di lacrime alla Gerusalemme nuova”

 

Udienza generale di Papa Leone XIV - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. Il Papa, per questa udienza in Piazza San Pietro, riprende il ciclo di catechesi che si è svolto lungo l’intero Anno Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza” e incentra la sua meditazione sul tema “La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. Spiritualità pasquale ed ecologia integrale”.  “Le sfide non si possono affrontare da soli e le lacrime sono un dono di vita quando purificano i nostri occhi e liberano il nostro sguardo”, dice subito il Papa.

“L’evangelista Giovanni suggerisce alla nostra attenzione un dettaglio che non troviamo negli altri Vangeli: piangendo vicino alla tomba vuota, la Maddalena non riconobbe subito Gesù risorto, ma pensò che fosse il custode del giardino”, il Papa pone l’attenzione su questo.

“Termina così, nella pace del sabato e nella bellezza di un giardino, la drammatica lotta fra tenebre e luce scatenatasi col tradimento, l’arresto, l’abbandono, la condanna, l’umiliazione e l’uccisione del Figlio, che «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Coltivare e custodire il giardino è il compito originario che Gesù ha portato a compimento”, continua il Pontefice spiegando questo passaggio nella catechesi.

“Cari fratelli e sorelle, Maria Maddalena, allora, non sbagliò del tutto, credendo di incontrare il custode del giardino! Doveva, in effetti, riascoltare il proprio nome e comprendere il proprio compito dall’Uomo nuovo, quello che in un altro testo giovanneo dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Papa Francesco, con l’Enciclica Laudato si’, ci ha indicato l’estrema necessità di uno sguardo contemplativo: se non è custode del giardino, l’essere umano ne diventa devastatore. La speranza cristiana, dunque, risponde alle sfide cui oggi l’intera umanità è esposta sostando nel giardino in cui il Crocifisso è stato deposto come un seme, per risorgere e portare molto frutto”, continua il Papa.

“Il Paradiso non è perduto, ma ritrovato. La morte e la risurrezione di Gesù, così, sono fondamento di una spiritualità dell’ecologia integrale, fuori dalla quale le parole della fede restano senza presa sulla realtà e le parole delle scienze rimangono fuori dal cuore”, continua Papa Francesco.

“Per questo, parliamo di una conversione ecologica, che i cristiani non possono separare da quell’inversione di rotta che seguire Gesù richiede loro. Ne è segno il voltarsi di Maria, in quel mattino di Pasqua: solo di conversione in conversione passiamo da questa valle di lacrime alla Gerusalemme nuova. Tale passaggio, che inizia nel cuore ed è spirituale, modifica la storia, ci impegna pubblicamente, attiva solidarietà che fin d’ora proteggono persone e creature dalle brame dei lupi, nel nome e in forza dell’Agnello Pastore”, dice Papa Leone XIV in Piazza San Pietro.

“Così, i figli e le figlie della Chiesa possono oggi incontrare milioni di giovani e di altri uomini e donne di buona volontà che hanno ascoltato il grido dei poveri e della terra lasciandosene toccare il cuore. Sono molte anche le persone che desiderano, attraverso un più diretto rapporto col creato, una nuova armonia che le porti oltre tante lacerazioni”, conclude il Papa. Aci 19

 

 

 

 

Aiuto alla Chiesa che Soffre, Montecitorio rosso in ricordo dei cristiani perseguitati

 

Nella “Red Week”, anche Montecitorio si illumina di rosso. Una conferenza di Aiuto alla Chiesa che Soffre alla Camera getta luce sulla situazione dei cristiani perseguitati. E intanto in Nigeria - Di Andrea Gagliarducci

Roma. Anche Montecitorio si illuminerà di rosso, stasera, per il mercoledì in cui Aiuto alla Chiesa che Soffre in tutto il mondo lancia il suo allarme e chiede consapevolezza sul fatto che c’è una persecuzione in corso contro i cristiani, la quale – dati del suo ultimo rapporto alla mano – cresce in maniera inesorabile, mentre due terzi dell’umanità vivono in contesti in cui la libertà religiosa è compromessa.

Le violazioni della libertà religiosa e delle persecuzioni ai danni dei cristiani nel mondo sono state dettagliate in una conferenza stampa che si è tenuta alla Camera dei Deputati italiana lo scorso 18 novembre, nell’ambito appunto della Red Week, la settimana rossa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, un appuntamento internazionale che la fondazione di diritto pontificio dedica alla sensibilizzazione sul dramma delle persecuzioni anti-cristiane.

“L’illuminazione di Montecitorio per la ‘Red Week’ è un invito a unirci in una battaglia comune – dice il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana –: difendere i cristiani che, in tante parti del mondo, subiscono massacri e persecuzioni, e affermare il diritto universale alla libertà religiosa. Ringrazio Papa Leone XIV per i suoi appelli e per il richiamo continuo a questi temi. I dati delle violenze sono drammatici e fotografano situazioni che troppo spesso si consumano nel silenzio: richiamare l’urgenza di un’azione comune a livello internazionale è condizione imprescindibile per salvare vite e garantire diritti fondamentali”.

La conferenza del 18- novembre, frutto di un’iniziativa di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia, della Consulta Italiana per la Libertà Religiosa o di Credo e dell’Onorevole Paolo Formentini, aveva l’obiettivo di promuovere e difendere il diritto alla libertà religiosa a livello internazionale, mentre per la prima  volta ACS ha lanciato una petizione internazionale per la libertà religiosa.

L’ultimo rapporto ACS sottolinea che ci sono 413 milioni di cristiani che vivono in Paesi in cui la libertà religiosa è gravemente violata, e 220 milioni di essi risiedono in aeree in cui sono direttamente esposti a persecuzioni.

Con la conferenza, si è cercato di sviluppare un dibattito che si spera coinvolga il Parlamento italiano in un impegno duraturo e trasversale in difesa della libertà religiosa. Sandra Sarti, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia, ha infatti messo in luce che è necessaria una collaborazione tra organizzazioni impegnate nel settore e istituzioni.

L’impegno per la coscientizzazione della politica sul tema della libertà religiosa va di pari passo con il monitoraggio delle persecuzioni cristiane nel mondo. Ancora il 18 novembre, ACS Italia denunciava che venticinque studentesse della Government Girls’ Comprehensive Secondary School di Maga, nello Stato nord-occidentale di Kebbi (Nigeria) sono state rapite nella notte tra domenica e lunedì da una banda di criminali.

È successo in un momento – sostengono fonti ACS – in cui “la violenza si sembrava attenuata”, e anche per questo i banditi, che hanno fatto irruzione nella scuola verso le 3 del mattino, hanno potuto agire per molte ore senza incontrare alcuna resistenza.

Il vicepreside della scuola, Mallam Hassan Yakubu Makuku, è stato ucciso mentre cercava, impotente, di proteggere le sue studentesse”, ha aggiunto la fonte. La comunità ha chiesto un intervento immediato del governo.

La fonte ha inoltre spiegato che il distretto di Danko/Wasagu, dove si trova la scuola, è uno degli insediamenti religiosamente più diversificati dello Stato di Kebbi, che tra l’altro ha già registrato attacchi contro istituti scolastici. Diverse comunità locali sono a maggioranza cristiana, rendendo l’area una rara zona a prevalenza cristiana nel nord-ovest, a maggioranza musulmana. Per questo motivo, molte delle ragazze rapite sono cristiane, così come il vicepreside ucciso. Nessuna rivendicazione è giunta fino ad ora.

Torna così l’incubo rapimenti dopo quelli di massa di Chibok (2014) e Dapchi (2018), eventi che hanno lasciato un profondo trauma nella coscienza nazionale e sono diventati simbolo della grave crisi di sicurezza che colpisce la Nigeria. Anche il Papa ne ha parlato incontrando i giornalisti fuori da Castel Gandolfo il 18 novembre, con parole comunque piuttosto generiche. Aci 19

 

 

 

 

Leone XIV: “la conversione ecologica modifica la storia”

 

Il Papa ha dedicato la catechesi dell'udienza di oggi al rapporto tra la Risurrezione di Cristo e l'ecologia integrale. Sullo sfondo, la Laudato si' di Papa Francesco – di M. Michela Nicolais

“Se non è custode del giardino, l’essere umano ne diventa devastatore”. A lanciare il grido d’allarme è stato Leone XIV, nella catechesi dell’udienza di oggi, dedicata al rapporto tra la Risurrezione di Cristo e l’ecologia integrale. “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento”, il monito prendendo a prestito le parole di Papa Francesco nella Laudato si’: “Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza”. Di qui l’urgenza di rilanciare una “conversione ecologica, che i cristiani non possono separare da quell’inversione di rotta che seguire Gesù richiede loro”.

 “Coltivare e custodire il giardino è il compito originario che Gesù ha portato a compimento”, ha esordito il Papa citando la Maddalena, che “piangendo vicino alla tomba vuota, non riconobbe subito Gesù risorto, ma pensò che fosse il custode del giardino”. Maria Maddalena, ha commentato, “non sbagliò del tutto, credendo di incontrare il custode del giardino! Doveva, in effetti, riascoltare il proprio nome e comprendere il proprio compito dall’Uomo nuovo, quello che in un altro testo giovanneo dice: ‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’ (Ap 21,5)”.

“La speranza cristiana risponde alle sfide cui oggi l’intera umanità è esposta sostando nel giardino in cui il Crocifisso è stato deposto come un seme, per risorgere e portare molto frutto”, ha spiegato il Pontefice: “Il Paradiso non è perduto, ma ritrovato. La morte e la risurrezione di Gesù sono fondamento di una spiritualità dell’ecologia integrale, fuori dalla quale le parole della fede restano senza presa sulla realtà e le parole delle scienze rimangono fuori dal cuore”.

La conversione ecologica, infatti, “inizia nel cuore ed è spirituale, modifica la storia, ci impegna pubblicamente, attiva solidarietà che fin d’ora proteggono persone e creature dalle brame dei lupi, nel nome e in forza dell’Agnello Pastore. Così, i figli e le figlie della Chiesa possono oggi incontrare milioni di giovani e di altri uomini e donne di buona volontà che hanno ascoltato il grido dei poveri e della terra lasciandosene toccare il cuore”. “Sono molte anche le persone che desiderano, attraverso un più diretto rapporto col creato, una nuova armonia che le porti oltre tante lacerazioni”, ha osservato il Papa: “Lo Spirito ci dia la capacità di ascoltare la voce di chi non ha voce. Vedremo, allora, ciò che ancora gli occhi non vedono: quel giardino, o Paradiso, cui andiamo incontro soltanto accogliendo e portando a compimento ciascuno il proprio compito”. Sir 19

 

 

 

 

Cambiamento climatico, Papa Leone XIV: "Manca la volontà politica di alcuni"

 

Il Papa: "Come custodi del creato di Dio siamo chiamati ad agire rapidamente, con fede e profezia, per proteggere il dono che Lui ci ha affidato"

Città del Vaticano. “Mi unisco alla voce profetica dei miei fratelli cardinali che hanno partecipato alla COP30, dicendo al mondo con parole e con gesti che la regione amazzonica continua a essere un simbolo vivente della creazione con un bisogno urgente di cure”. Sono le parole del Papa, pronunciato nel videomessaggio inviato alle Chiese Particolari del Sud del Mondo riunite al Museo Amazzonico di Bélem.

“Voi – ha detto Leone XIV - avete preferito la speranza e l’azione alla disperazione, costruendo una comunità globale che lavora insieme. Ciò ha prodotto progressi, ma non abbastanza. La speranza e la determinazione devono essere rinnovate, non solo con le parole e le aspirazioni, ma anche attraverso azioni concrete”.

“Il creato – ha denunciato il Papa - sta gridando attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo implacabile. Una persona su tre vive in situazione di grande vulnerabilità a causa di questi cambiamenti climatici. Per loro, il cambiamento climatico non è una minaccia lontana, e ignorare queste persone significa negare la nostra comune umanità”.

“Come custodi del creato di Dio – ha spronato il Pontefice - siamo chiamati ad agire rapidamente, con fede e profezia, per proteggere il dono che Lui ci ha affidato. L’Accordo di Parigi ha portato progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta. Ma dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta. Quel che manca è la volontà politica di alcuni”.

“Vera leadership – ha concluso - significa servizio e sostegno in una misura che faccia davvero la differenza. Azioni climatiche più forti creeranno sistemi economici più forti e più equi. Azioni e politiche climatiche più forti sono entrambe un investimento in un mondo più giusto e stabile. Camminiamo al fianco di scienziati, leader e pastori di ogni nazione e credo. Siamo custodi del creato, non rivali per le sue spoglie. Inviamo insieme un segnale globale chiaro: nazioni che sostengono con incrollabile solidarietà l’Accordo di Parigi e la cooperazione climatica. Che questo Museo Amazzonico sia ricordato come il luogo in cui l’umanità ha preferito la cooperazione alla divisione e alla negazione”. Aci 18

 

 

 

 

 

Card. Zuppi: “Vogliamo aiutare gli italiani a sentirsi meno soli”

 

Il presidente della Cei ha aperto l'Assemblea di Assisi annunciando la preghiera corale di domani per la pace e il momento di preghiera nella Giornata dedicata alle vittime degli abusi. "Nessuna ambizione politica o di potere, ci anima solo l'amore per il bene del popolo italiano e della nostra gente". Grazie a Papa Leone per l'incontro con i vescovi – di M. Michela Nicolais

“Mercoledì sera ci riuniremo in preghiera per invocare, ancora una volta, tutti insieme, il dono della riconciliazione e rivolgere il nostro accorato appello per la pace”. Lo ha annunciato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, aprendo ad Assisi l’Assemblea generale dei vescovi italiani che si concluderà con la presenza, il 20 novembre, di Papa Leone XIV.

 “Possa la Chiesa aiutare gli italiani a sentirsi meno polarizzati, meno isolati e soli, insomma più popolo”, l’auspicio del presidente della Cei, che ha iniziato con un “pensiero di gratitudine” al Santo Padre e ha proseguito riassumendone gli “assi portanti” dei primi sei mesi di pontificato, che si caratterizza come “un magistero di unità e di pace”. In una società in cui “i vicini sono meno numerosi di un tempo” e i lontani sono cresciuti, con una lontananza che non è più ostilità ma “indifferenza”, occorre prendere coscienza che “la fine della cristianità non segna affatto la scomparsa della fede”.

“Se la cristianità è finita, non lo è affatto il cristianesimo”: “Non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri, spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più evangelici e cristiani. Il credente di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori”.

È in questa situazione di “vulnerabilità” che la Chiesa riscopre la sua forza, la tesi di Zuppi: “Non quella del potere, peraltro spesso presunto come le ricostruzioni sulla rilevanza della Chiesa, ma quella dell’amore che si dona senza paura”.

“Non abbiamo alcuna ambizione politica o di guadagnare posizioni di potere”, ha precisato sgombrando da ogni equivoco: “Non dobbiamo compiacere alcuno né alcuna forza politica, né abbiamo alcun consenso da guadagnare”. “Possiamo solo chiedere tanto amore politico, specialmente a chi, si ispira alla bellissima e umanissima dottrina sociale della Chiesa”, ha proseguito il cardinale: “Ci anima solo, con tutti i nostri limiti personali, l’amore per il bene del popolo italiano, per il mondo tutto, per la nostra gente”. “In una società che si atomizza la Chiesa non cessi mai di essere popolo”, l’indicazione di rotta, perché “anche in una piccola comunità c’è una grande forza”.

Quella da incarnare, sulla scorta di Papa Francesco e Papa Leone, è una Chiesa che cammina con i poveri, e che porta anche a “rivisitare le nostre istituzioni, opere, strutture, associazioni per evitare un appiattimento su moduli umanitaristici o aziendali”, il monito, unito a quello a tornare all’essenziale. Nella città di San Francesco, occorre imparare a vivere, come ha fatto lui, il Vangelo “sine glossa”, perché è solo così che la fede diventa contagiosa.  Come contagioso, ci insegna il Concilio, è anche lo stile  che almeno 500mila persone hanno sperimentato nei quattro anni del Cammino  sinodale delle Chiese in Italia, fatto di ascolto, discernimento e profezia.  Tra le proposte per il futuro, quella di “avviare una riflessione sull’eventuale revisione dello stesso Statuto della Cei”.

Sinodalità e collegialità, inoltre, implicano il primato di una Chiesa del “noi”: “Una comunità viva è sempre una profezia in questo nostro tempo individualista”, e oggi “una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare è la solitudine”.

Le parrocchie, in particolare, “devono sempre restare aperte a qualunque tipo di fedeli e a qualunque ricerca di Dio: sono come la piazza della Chiesa, dove non ci devono essere accessi limitati o condizionati, perché spesso qui approdano tante persone da storie diverse particolari”, come i tanti “senzatetto spirituali”. “In una società che si atomizza la Chiesa non cessi mai di essere popolo”, la raccomandazione, perché “anche in una piccola comunità c’è una grande forza”: “È stata fatta molta strada in questi anni, e non abbiamo avuto paura né di iniziarla né di continuare a percorrerla”.

È il bilancio della Chiesa italiana sul fronte della prevenzione degli abusi. “Domani, 18 novembre, ricorre la V Giornata nazionale di preghiera, convintamente istituita dall’Episcopato italiano per riconoscere gli errori compiuti e impegnarsi per ricucire le ferite di chi ha sofferto e soffre, a causa di abusi, e anche noi, insieme, celebreremo questa preghiera durante i Vespri”, l’annuncio. Sulla tutela dei minori, ha reso noto inoltre il cardinale, “la formazione resta un impegno rigoroso e costante: nel biennio 2023-2024 sono state raggiunte e formate circa 43mila persone.

Certo, non mancano le zone d’ombra e le resistenze, ma abbiamo la concreta consapevolezza di un movimento costante, teso a rinsaldare la fiducia, ad amplificare il rispetto, ad accogliere e ascoltare le vittime, a custodire la dignità di ciascun membro del popolo di Dio”.

“Rilanciare un progetto di incontro, di collaborazione nel segno della solidarietà, tra l’Europa e il Mediterraneo, seguendo la felice intuizione del card. Gualtiero Bassetti”, l’omaggio del presidente della Cei: “Accogliendo l’invito di Papa Leone XIV durante l’udienza al Consiglio dei giovani del Mediterraneo (5 settembre 2025), vorremmo continuare questo percorso”, ha assicurato Zuppi parlando del contributo fondamentale che l’Europa, memorie della sua storia, può dare all’architettura della pace.

“Non deve venire meno l’attenzione sulla martoriata Ucraina”, l’appello finale. “In un mondo che si sta rimescolando, l’Europa delle Chiese cristiane esiste e vive”, ha garantito il cardinale: “Abbiamo da dire che la persona umana, anche se fragile, debole, morente, nascituro, è centrale nel nostro umanesimo”. “Pensiamo a un prossimo momento di incontro sull’Europa”, a partire dal pensiero di Romano Guardini, ha concluso il presidente della Cei. Sir 17

 

 

 

 

 

 

Pubblicati i Rapporti Intermedi dei Gruppi di Studio del Sinodo

 

Città del Vaticano. La Segreteria Generale del Sinodo ha pubblica oggi i Rapporti Intermedi dei dieci Gruppi di Studio, insieme a quelli della Commissione canonistica e della Commissione SECAM sulla Poligamia.  Tanti i temi trattati: i poveri, la missione digitale, il ruolo delle donne, la poligamia, il ministero dei nunzi…tutto in chiave missionaria e sinodale.

“La diffusione di questi Rapporti Intermedi, dopo quelli pubblicati all’inizio della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2 ottobre 2024), si rende opportuna” scrive il Cardinale Mario Grech nella nota di accompagnamento, “perché il lavoro dei Gruppi, data la ricchezza e la complessità di molte delle tematiche loro affidate, sta richiedendo un tempo superiore a quello originariamente preventivato. Ad ogni modo, alcuni Gruppi sono in procinto di concludere il loro lavoro, gli altri proseguiranno ancora nei prossimi mesi”.

Una nota ufficiale ha accompagnato la stesura di questi rapporti e ha specificato insieme al Cardinale Grech, Segretario Generale, che “i documenti presentati — redatti tra l’estate e l’autunno di quest’anno — restituiscono lo stato di avanzamento dei lavori, mettendo in luce sia il metodo sinodale che li anima, sia i passi concreti per attuarlo: ascolto reciproco, analisi dei numerosi contributi pervenuti, dialogo con gli Episcopati locali, confronto tra competenze diverse e ricerca condivisa dei passi da compiere nella docilità allo Spirito Santo. La loro diffusione intende favorire una più ampia conoscenza di questa parte del processo di attuazione del Sinodo”.

“Ad essi si aggiunge una breve presentazione (contenente il mandato e i nominativi) del Gruppo sulla Liturgia, recentemente istituito, e che ha iniziato i suoi lavori a fine luglio 2025. Invece, nessun rapporto è pubblicato per il Gruppo sulle Conferenze episcopali, Assemblee ecclesiali e Concili particolari la cui costituzione è in fase di avvio”, si legge ancora nella presentazione.

I Rapporti Intermedi sono pubblicati in Italiano e in Inglese.

Ricordiamo che ultimamente, seguendo le richieste presenti nel Documento Finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, “Papa Leone XIV ha aggiunto altri due nuovi gruppi: quello su “La liturgia in prospettiva sinodale” e quello su “Lo statuto delle Conferenze episcopali, delle Assemblee ecclesiali e dei Concili particolari”.

Papa Leone XIV, nel luglio scorso, ha deciso di prolungare la data di consegna, chiedendo che i rapporti finali gli fossero consegnati, nella misura del possibile, il prossimo 31 dicembre 2025.

Il rapporto del Gruppo 1 è stato presentato da Sua Em. Card. Claudio Gugerotti e riguarda alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina.

Il Gruppo di Studio 2 è composto da quattro donne e tre uomini, includendo religiosi, laici e membri del clero provenienti da cinque continenti e operanti in sei e il titolo è “L’ascolto del grido dei poveri e della terra”. “Dal luglio 2024 ci siamo riuniti diciannove volte tramite la piattaforma Zoom”, si legge nel rapporto.

I membri del Gruppo continuano a cogliere ogni opportunità per ascoltare le esperienze di vita di persone povere o emarginate. “Ciascun membro del Gruppo si impegnerà a entrare in contatto con persone o comunità povere o emarginate nel proprio continente di origine o di residenza, direttamente o attraverso intermediari che abbiano relazioni autentiche e continuative di fiducia con tali realtà. Allo stesso modo, ci si sforzerà di avere un confronto con alcune parrocchie, seminari, teologi, enti di formazione, reti ecclesiali, movimenti sociali e realtà impegnate nella cura della casa comune. Tutti i vescovi con incarichi di responsabilità sui temi della giustizia, la pace e l’ecologia nelle rispettive Conferenze Episcopali saranno invitati a fornire un loro parere”, si legge nello stesso Rapporto.

Il gruppo 3 si occupa di “La missione nell’ambiente digitale”. “La cultura digitale è un ambiente vissuto e in continua trasformazione, che, a seconda delle forme che assume, modella a sua volta il modo in cui le persone instaurano e vivono relazioni, esprimono le proprie convinzioni e ricercano la verità. Spetta a noi contribuire a plasmarla. In risposta all'appello el Sinodo sulla sinodalità e al mandato affidatoci dalla Segreteria Generale del Sinodo, il Gruppo di Studio 3 ha approfondito la questione della missione della Chiesa nell’ambiente digitale attraverso un processo sinodale di ascolto, discernimento e dialogo, vissuto in spirito di preghiera”, si legge nel Rapporto.

Il Gruppo 4 si è riunito per “La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria”. Completando il proprio compito, il Gruppo elaborerà la bozza di un sintetico documento (non più di 10-12 pagine) per l’implementazione della Ratio Fundamentalis / delle Ratio Nationalis in chiave sinodale e missionaria.

“In ottemperanza alle indicazioni ricevute dalla Segreteria Generale del Sinodo ed in linea con il lavoro preparatorio già svolto lo scorso anno, il Dicastero per la Dottrina della Fede (che con tutte le sue istanze coincide con il Gruppo 5, previsto dal Processo sinodale sulla sinodalità) sta procedendo alla stesura del resoconto finale sullo specifico argomento della partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa. Questa fase di lavoro succede ad un tempo di raccolta e valutazione dell’enorme materiale giunto al Dicastero sul tema sopradetto. Inoltre, il Dicastero ha sollecitato l’intervento sull’argomento di numerose donne già particolarmente coinvolte nella missione e nella guida della Chiesa”, questo riguarda il Gruppo 5.

Il suddetto resoconto finale sarà composto da tre parti: - una breve ricostruzione della storia del Gruppo 5, del suo metodo di lavoro e delle intuizioni avute durante il lavoro stesso; - una sintesi argomentata delle principali risultanze e convergenze circa il tema in oggetto derivanti dall’ascolto delle diverse componenti del Dicastero (Consultori, Ufficio Dottrinale, Congresso, Feria IV), dalla lettura dei testi ricevuti e dalle testimonianze sollecitate dallo stesso Dicastero. - un’ampia appendice di catalogazione dell’ingente materiale che il Dicastero ha ricevuto e raccolto nei mesi scorsi, che si prevede al momento di organizzare in sette parti:

1) Figure femminili rilevanti nella storia della Chiesa.

2) Testimonianze attuali di donne che partecipano alla guida della Chiesa.

3) Testimonianze di donne che lavorano nella Curia Romana.

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4) Principio Mariano e Principio Petrino. Attualità e limiti.

5) La potestas ecclesiale. Natura ed esercizio.

6) Tensioni critiche nei confronti del clericalismo e del maschilismo.

7) Il contributo di Papa Francesco e di Papa Leone XIV circa il ruolo delle donne nella

Chiesa.

Il lavoro del Gruppo di Studio 6 ha dato vita, in stile sinodale, a tre sottogruppi tematici: I. Rapporti tra Vescovi e Consacrati/e II. Collaborazione tra Conferenze Episcopali e Conferenze dei Superiori/e Maggiori III. Relazioni tra Aggregazioni Ecclesiali e Chiese locali.

“Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione dei candidati all’episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria è ciò di cui si occupa il Gruppo 7. Per facilitare la regolare partecipazione dei membri non residenti a Roma, le riunioni si sono svolte in modalità mista, cioè in forma sia presenziale sia distanziale. Inoltre, all’interno del Gruppo è stato costituito un comitato di redazione, composto di cinque membri, che si è riunito anch’esso a cadenza generalmente mensile. Sul tema della selezione dei candidati all’episcopato, il Gruppo ha ottenuto dal Santo Padre Francesco, per mezzo dell’allora Cardinale Robert Francis Prevost, O.S.A., Prefetto del Dicastero per i Vescovi, la facoltà di esaminare le Istruzioni riservate inviate ai Rappresentanti Pontifici circa la procedura per le nomine episcopali nei territori di competenza del Dicastero per i Vescovi e del Dicastero per l’Evangelizzazione.

“Successivamente il Gruppo ha promosso una riunione congiunta con il Gruppo di Studio 8 (che si occupa de «Il ruolo dei Rappresentanti Pontifici in prospettiva sinodale missionaria»), allo scopo di ascoltare i suoi membri, in buona parte Nunzi Apostolici. In una successiva occasione un’esperta nella selezione del personale dirigente di società internazionali è stata invitata a presentare una relazione, con l’obiettivo di trarre informazioni utili dalle procedure in uso nella società civile”, si legge ancora nel Rapporto.

Al Gruppo di Studio 8 è stato affidato il compito di esaminare come il ministero dei Rappresentanti Pontifici, esercitato in varie parti del mondo, possa svilupparsi in una prospettiva più missionaria e sinodale. Erano previsti un approfondimento sull’esercizio di tale ministero e la formulazione di opportune raccomandazioni. Lo studio principale e la raccolta del materiale sono ormai completati; si entra ora nella fase di elaborazione, analisi e condivisione dei contenuti con i membri del Gruppo di Studio. Considerando le distanze geografiche, sarà necessario del tempo, ma si prevede di poter giungere a una sintesi conclusiva entro la fine del 2025.

“Questioni dottrinali, pastorali ed etiche “controverse” sono al centro del Gruppo 9. E anche sulle questioni che è sembrato adeguato definire “emergenti”. L’orizzonte è il “principio di pastoralità”. “Con tale principio intendiamo, in estrema sintesi, la logica per cui non c’è annuncio del Vangelo di Dio senza riconoscimento e promozione della soggettività dell’altro, ospitalità e responsabilità nei confronti dell’interlocutore a cui ci si rivolge”, continua il Rapporto.

“Alcune questioni emergenti (come ci sembra più adeguato designarle, piuttosto che “controverse”) saranno affrontate in modo da dare una declinazione operativa alle proposte avanzate. Si vedranno qui anche il ruolo e le articolazioni dei diversi saperi convocati per un concreto esercizio di dialogo transdisciplinare”, si legge nel Gruppo. Questi i temi: Omosessualità, Conflitti e pratica non violenta del Vangelo, Violenza sulle donne in situazione di conflitto armato, una situazione emblematica impostasi all’attenzione del gruppo nel corso dei lavori.

Il 10, ha trattato “La recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali”. L’ecumenismo dunque è al centro del gruppo.  “Al Gruppo di Studio 10 è stato affidato il compito di approfondire la recezionr dei frutti del cammino ecumenico nelle pratiche ecclesiali, in riferimento a tre questioni specifiche. A seguito dell’incoraggiamento di Papa Leone XIV a proseguire il lavoro dei Gruppi di Studio con rinnovato entusiasmo, accogliamo con gratitudine la nuova scadenza di dicembre 2025 come un’opportunità per approfondire la riflessione all’inizio di questo nuovo Pontificato. La nostra metodologia privilegia l’ascolto sinodale, l’attenzione al sensus fidei e l’impegno per un’attuazione pastorale fedele alla Tradizione cattolica”, riporta il Rapporto.

L’undicesimo gruppo è stato aggiunto da Papa Leone. Coordinato dal Dicastero per il Culto divino, in collaborazione con la Segreteria Generale del Sinodo, il gruppo espleterà il proprio mandato a partire dalla riflessione sul legame tra celebrazione eucaristica e vita sinodale missionaria della Chiesa. 

Poi c’è nel Rapporto la “Commissione Canonistica”.  “La Commissione Canonistica è stata istituita in occasione della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre del 2023, con l’intento iniziale di ascoltare “lo spirito del Sinodo”, verificare il modo di procedere, comprendere quello che i membri dell’Assemblea sinodale proponevano e ponevano alla riflessione di tutta la Chiesa. Da quel momento la Commissione si è riunita sia in presenza che online otto volte, cercando di mettere a frutto il cammino sinodale e di lavorare sulle tematiche emerse nel corso delle Sessioni di ottobre 2023 e ottobre 2024”, si legge ancora nel Rapporto. I temi sono laicato/ donna; Conferenze Episcopali/ Concili particolari; organismi di partecipazione. 

Infine le “Sfide Pastorali sulla poligamia”. “In risposta a quanto richiesto dalla Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023), che ha invitato il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar) a promuovere un discernimento teologico e pastorale sulla poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede (cf. Relazione di Sintesi, n. 16q), la Chiesa in Africa, per mezzo del proprio organismo continentale, il SECAM, ha istituito un apposito gruppo di esperti. Questo gruppo di esperti, composto da 12 specialisti provenienti da diverse regioni dell’Africa e delle sue isole, e rappresentanti di ambiti differenti, quali la teologia dogmatica e fondamentale, gli studi biblici, la cura pastorale, il diritto canonico e l’antropologia, si è riunito due volte in presenza, integrando il lavoro con numerosi incontri online, portando così a compimento il proprio mandato”, si legge nel Rapporto.

La metodologia adottata dal gruppo di esperti si è sviluppata in tre fasi fondamentali: “ascoltare” (listening), “valorizzare” (appreciating) e “impegnarsi” (engaging). Aci 17

 

 

 

 

 

 

Il Papa: “La gioia di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore”

 

L'Angelus di Papa Leone XIV - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. In occasione del Giubileo dei Poveri, Papa Leone XIV presiede la Santa Messa nella Basilica Vaticana. Il Giubileo dedicato ai poveri si è unito alla IX Giornata Mondiale dei Poveri, istituita da Papa Francesco nel 2017 al termine del Giubileo della Misericordia. “Nelle persecuzioni, nelle sofferenze, nelle fatiche e nelle oppressioni della vita e della società, Dio non ci lascia soli. Egli si manifesta come Colui che prende posizione per noi”, dice il Pontefice nell’omelia.

Questa mattina Papa Leone è andato in Piazza San Pietro a salutare la folla già radunata all’esterno per seguire la celebrazione (circa 12.000 fedeli), fa sapere un telegram della Sala Stampa della Santa Sede.

"Quando leggiamo il Vangelo, una delle frasi che tutti conosciamo è «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Noi tutti vogliamo essere fra i poveri del Signore, perché la nostra vita è un dono di Dio e lo riceviamo con tanta gratitudine. Io vi ringrazio per la vostra presenza. La Basilica diventa un po’ piccola… Voi fate parte della Chiesa e potete seguire la Santa Messa anche dagli schermi. Partecipate con molto amore, con molta fede e sappiate che siamo tutti uniti in Cristo. Allora, celebriamo l’Eucaristia e dopo ci vediamo per l’Angelus, qui in Piazza", ha detto questa mattina il Papa in piazza.

“Tutta la Scrittura è attraversata da questo filo rosso che narra un Dio che è sempre dalla parte del più piccolo, dalla parte dell’orfano, dello straniero e della vedova. E in Gesù, suo Figlio, la vicinanza di Dio raggiunge il vertice dell’amore: per questo la presenza e la parola di Cristo diventa giubilo e giubileo per i più poveri, essendo Egli venuto per annunciare ai poveri il lieto annuncio e predicare l’anno di grazia del Signore. Di tale anno di grazia partecipiamo in modo speciale ancora noi, proprio oggi, mentre celebriamo, con questa Giornata mondiale, il Giubileo dei poveri.”, continua il Papa.

Al Giubileo dei poveri, secondo il Dicastero per l'Evangelizzazione, stanno partecipando 10 mila pellegrini da tutto il mondo da venerdì 14 novembre, soprattutto persone in condizioni di fragilità e povertà, assistiti dalle associazioni caritative delle diocesi, volontari e operatori.

“Quante povertà opprimono il nostro mondo! Sono anzitutto povertà materiali, ma vi sono anche tante situazioni morali e spirituali, che spesso riguardano soprattutto i più giovani. E il dramma che in modo trasversale le attraversa tutte è la solitudine. Essa ci sfida a guardare alla povertà in modo integrale, perché certamente occorre a volte rispondere ai bisogni urgenti, ma più in generale è una cultura dell’attenzione quella che dobbiamo sviluppare, proprio per rompere il muro della solitudine. Perciò vogliamo essere attenti all’altro, a ciascuno, lì dove siamo, lì dove viviamo, trasmettendo questo atteggiamento già in famiglia, per viverlo concretamente nei luoghi di lavoro e di studio, nelle diverse comunità, nel mondo digitale, dovunque, spingendoci fino ai margini e diventando testimoni della tenerezza di Dio”, sottolinea Papa Leone XIV.

“Oggi, soprattutto gli scenari di guerra, presenti purtroppo in diverse regioni nel mondo, sembrano confermarci in uno stato di impotenza. Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il Vangelo, invece, ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci. E noi, comunità cristiana, dobbiamo essere oggi, in mezzo ai poveri, segno vivo di questa salvezza”, continua il Pontefice.

“La povertà interpella i cristiani, ma interpella anche tutti coloro che nella società hanno ruoli di responsabilità. Esorto perciò i Capi degli Stati e i Responsabili delle Nazioni ad ascoltare il grido dei più poveri. Non ci potrà essere pace senza giustizia e i poveri ce lo ricordano in tanti modi, con il loro migrare come pure con il loro grido tante volte soffocato dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti, e anzi dimentica molte creature lasciandole al loro destino”, commenta Papa Leone XIV.

Poi un pensiero “agli operatori della carità, ai tanti volontari, a quanti si occupano di alleviare le condizioni dei più poveri esprimo la mia gratitudine, e nel contempo il mio incoraggiamento ad essere sempre più coscienza critica nella società”, dice il Papa.

“Cercare il Regno Dio implica il desiderio di trasformare la convivenza umana in uno spazio di fraternità e di dignità per tutti, nessuno escluso. È sempre dietro l’angolo il pericolo di vivere come dei viaggiatori distratti, noncuranti della meta finale e disinteressati verso quanti condividono con noi il cammino. In questo Giubileo dei poveri lasciamoci ispirare dalla testimonianza dei Santi e delle Sante che hanno servito Cristo nei più bisognosi e lo hanno seguito nella via della piccolezza e della spogliazione. In particolare, vorrei riproporre la figura di San Benedetto Giuseppe Labre, che con la sua vita di “vagabondo di Dio” ha le caratteristiche per essere patrono di tutti i poveri senzatetto”, conclude infine Papa Leone XIV.

Papa Leone XIV subito dopo aver celebrato la Messa per il Giubileo dei poveri si affaccia alla finestra dello studio, nel Palazzo Apostolico Vaticano, per recitare l’Angelus con i fedeli in Piazza San Pietro. Questa mattina le autorità competenti hanno contato 20.000 pellegrini. Prima della preghiera mariana il Papa riflette sul Vangelo odierno.

“Il Vangelo di oggi ci fa riflettere sul travaglio della storia e sulla fine delle cose. “Il suo appello è molto attuale: purtroppo, infatti, riceviamo quotidianamente notizie di conflitti, calamità e persecuzioni che tormentano milioni di uomini e donne. Sia davanti a queste afflizioni, sia davanti all’indifferenza che le vuole ignorare, le parole di Gesù annunciano però che l’aggressione del male non può distruggere la speranza di chi confida in Lui. Più l’ora è buia come la notte, più la fede brilla come il sole”, dice il Pontefice.

“Per due volte, infatti, Cristo afferma che “a causa del suo nome” molti subiranno violenze e tradimenti, ma proprio allora avranno l’occasione di dare testimonianza. Sull’esempio del Maestro, che sulla croce rivelò l’immensità del suo amore, tale incoraggiamento ci riguarda tutti. La persecuzione dei cristiani, infatti, non accade solo con le armi e i maltrattamenti, ma anche con le parole, cioè attraverso la menzogna e la manipolazione ideologica. Soprattutto quando siamo oppressi da questi mali, fisici e morali, siamo chiamati a dare testimonianza alla verità che salva il mondo, alla giustizia che riscatta i popoli dall’oppressione, alla speranza che indica per tutti la via della pace”, dice Papa Leone XIV.

“Le parole di Gesù attestano che i disastri e i dolori della storia hanno un termine, mentre è destinata a durare per sempre la gioia di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore”, continua il Papa prima della preghiera mariana.

“Carissimi, lungo tutta la storia della Chiesa, sono soprattutto i martiri a ricordarci che la grazia di Dio è capace di trasfigurare perfino la violenza in segno di redenzione. Perciò, unendoci ai nostri fratelli e sorelle che soffrono per il nome di Gesù, cerchiamo con fiducia l’intercessione di Maria, aiuto dei cristiani. In ogni prova e difficoltà, la Vergine Santa ci consoli e ci sostenga”, conclude infine il Papa.

Subito dopo la preghiera mariana il Papa passa ai consueti saluti e appelli. “Cari fratelli e sorelle come dicevo poco fa commentando il Vangelo di oggi in diverse parti del mondo i cristiani subiscono discriminazione e persecuzione penso al Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e altri paesi dove giungono spesso attacchi a comunità e luoghi di culto”, “il Padre vuole la pace per i tutti i suoi figli”, dice il Papa.

Poi un pensiero alla Repubblica Democratica del Congo. Qui il Papa condanna la violenza, infatti è avvenuto pochi giorni fa un massacro di civili, almeno 20, “preghiamo che cessi ogni violenza”, dice Papa Leone.

“Seguo con dolore le notizie degli attacchi che colpiscono numerose città ucraine, esse causano vittime e feriti tra cui bambini e ingenti danni, lasciano le famiglie senza casa mentre il freddo avanza, assicuro la mia vicinanza, non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione, preghiamo per la pace”, continua il Papa nel suo appello.

“Desidero assicurare la mia preghiera anche per le vittime del grave incidente stradale avvenuto nel Sud del Perù, il Signore conforti le famiglie in lutto”, un altro appello del Papa.

Poi Leone ricorda la beatificazione di Carmelo de Palma, beatificato ieri a Bari. “La sua testimonianza sproni i sacerdoti a donarsi senza riserve al servizio del popolo santo di Dio”, chiede il Pontefice.

Per la Giornata Mondiale dei poveri il Papa ringrazia chi ha promosso iniziative di solidarietà. In questo giorno ricordiamo anche chi è morto a causa incidenti stradale, “ognuno faccia su questo un esame di coscienza”, dice il Papa. Infine un pensiero anche alle vittime e ai sopravvissuti agli abusi. Sono state pubblicate successivamente le parole del Papa durante il pranzo dei poveri organizzato in occasione del Giubileo dei poveri. 

"Con grande gioia ci raduniamo in questo pomeriggio per il pranzo, nella Giornata [dei Poveri] che tanto ha voluto il nostro amato, mio predecessore, Papa Francesco. Un forte applauso per Papa Francesco. Questo pranzo che adesso riceviamo è offerto, dalla Provvidenza e dalla grande generosità della Comunità di San Vincenzo, i Vincenziani che vogliamo ringraziare. E poi è un anniversario: sono 400 anni dalla nascita del loro fondatore. Loro ci accompagneranno servendo al tavolo. Tanti auguri a tutti voi, i sacerdoti, le religiose, i laici volontari che lavorano in tutto il mondo aiutando tante persone povere e persone che vivono diverse necessità. Siamo davvero, davvero pieni di questo spirito di ringraziamento, di gratitudine in questa giornata.

Adesso, allora, chiediamo che il Signore benedica i doni che riceveremo, che benedica la vita di ognuno di noi qui presente, i nostri cari, i familiari, le persone che tanto hanno fatto per accompagnarci. Diamo anche la benedizione del Signore a tante persone che soffrono a causa della violenza e della guerra, della fame; e che noi oggi possiamo celebrare questa festa in spirito di fraternità.

Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen

Benedici Signore noi e questi doni che riceviamo dalla tua provvidenza. Benedici la nostra vita, la nostra fraternità. Aiuta, tutti noi, a camminare sempre uniti nel tuo amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen

Tanti auguri e buon appetito!", ha concluso il Papa. Aci 16

 

 

 

 

La Giornata Mondiale dei Poveri nelle diocesi italiane

 

Il tema, da un versetto del salmo 71: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza”. Di Cesare Bolla

Roma. Anche in tutte le diocesi italiane domani si celebra la Giornata Mondiale dei Poveri accompagnata, come tema, da un versetto del salmo 71: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza”. Un appuntamento che cade nel cuore dell’anno giubilare, come un invito a “gettare di nuovo le ancore della nostra fede nelle profondità della vita reale, dove abitano le fragilità e germoglia la speranza”, si legge in una nota pubblicata sul sito della Caritas Italiana, organismo pastorale della Chiesa del nostro Paese impegnata con i più fragili. Quest’anno la Giornata coincide con il Giubileo dei Poveri e diventa per ogni comunità un “tempo di grazia” per “cercare, conoscere, animare e promuovere i segni di speranza” già presenti nei territori: luoghi e relazioni dove la carità si fa annuncio, educazione, giustizia e possibilità di vera trasformazione sociale.

Per questa giornata Caritas Italiana ha messo a disposizione un sussidio di animazione pastorale, i testi per una veglia di preghiera e la locandina ufficiale per accompagnare parrocchie, gruppi e comunità a vivere in modo unitario questo appuntamento, con spunti di riflessione, meditazioni e proposte per “ancorarci al territorio”, alle “azioni di speranza”, al “mondo” e alle “storie di speranza” che ogni giorno “incontriamo nei nostri cammini”. L’immagine scelta raffigura l’altare della Chiesa di Santa Maria Maddalena ai Cristallini, nel cuore del Rione Sanità di Napoli: una barca di migranti trasformata in altare da alcuni detenuti del carcere di Secondigliano. Un “segno potente che dice come la povertà non sia un destino immutabile, ma un mare che si può attraversare insieme, se la comunità diventa compagna di viaggio”, spiega Caritas Italiana.

Dalle varie diocesi italiane saranno in tanti a partecipare a Roma alla celebrazione di domani presieduta da papa Leone XIV ma non mancheranno le celebrazioni e le iniziative nei territori.

A Bologna l’arcivescovo, il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, presiederà una celebrazione eucaristica nella Cattedrale.

“Oggi è importante per me ricordare a tutti noi che il povero non è solo colui che manca del necessario, ma colui che vive l’esperienza del limite, della precarietà, della dipendenza da altri”, scrive in un messaggio per la giornata l’arcivescovo di Napoli, il card. Mimmo Battaglia aggiungendo che in questo senso “siamo tutti poveri. Tutti, prima o poi, scopriamo di non bastarci. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano. Ed è da questa consapevolezza che possono nascere miracoli inattesi: perché il bisogno può diventare incontro, e la mancanza si può trasformare in comunione”. Per il porporato “i poveri sono i veri maestri di questa speranza. Loro, più di chiunque altro, ci insegnano che la vita non è mai solo ciò che possediamo. Che la dignità non si misura con la ricchezza, ma con la capacità di amare. Che la forza non consiste nel dominare, ma nel continuare a credere in nuove possibilità di vita anche quando ci si sente avvolti da ferite dolorose. Chi vive ogni giorno nella precarietà e tuttavia non perde il sorriso, chi continua a fidarsi della vita anche quando ha poco, chi prega senza nulla chiedere per sé: ecco i veri testimoni del Vangelo”.  “Non possiamo dimenticare – aggiunge - che la più grande povertà è non conoscere Dio, non sentire più il bisogno di Lui, illudersi di bastare a sé stessi. È la povertà dei cuori indifferenti, dei pensieri chiusi, delle mani che non si aprono mai. E tuttavia, proprio dentro questa povertà, Dio si lascia trovare: perché la nostra miseria diventa il suo luogo di incontro, la nostra mancanza diventa il suo spazio di grazia”.

A Genova tre giorni dedicati alla riflessione, alla preghiera e all’impegno che questa ricorrenza “ci invita a mettere in atto”, come spiega la diocesi. Ieri nell’Abbazia di San Matteo la preghiera dei Vespri presieduta dall’arcivescovo Marco Tasca e la catechesi di mons. Marino Poggi, penitenziere della Cattedrale, sull’Esortazione apostolica di Papa Leone XIV “Dilexi te” sull’amore verso i poveri. Inoltre, sempre ieri, la diffusione di alcuni dati del Rapporto diocesano sulla povertà rilevata dai Centri di Ascolto Vicariali e la presentazione alla città due progetti di solidarietà che prenderanno avvio proprio a partire dalla Giornata Mondiale dei Poveri. Si tratta del progetto “Rut – Fondati sul lavoro” che intende accompagnare persone e famiglie che, intrappolate in situazioni di lavoro povero, con redditi derivanti da impieghi mal retribuiti, non riescono a garantirsi una vita dignitosa e il progetto “L’ascolto che libera” che vedrà l’avvio di un Centro di Ascolto diocesano alla Veneranda Compagnia della Misericordia dedicato ad accogliere e sostenere le famiglie dei detenuti/e, offrendo ascolto, accompagnamento e supporto umano e spirituale. Il secondo appuntamento nella diocesi ligure questa mattina al Monastero dei Ss. Giacomo e Filippo con l’inaugurazione, da parte dell’arcivescovo, della “Casa della Pace Don Piero Tubino”, che nasce dal “legame vitale tra la cura dei poveri e la costruzione di una società di pace”. Domani diverse realtà di carità operanti in diocesi hanno previsto iniziative dedicate.

A Verona oggi Giubileo diocesano della speranza e povertà promosso dai Centri e Servizi dell’Ambito della Prossimità diocesani. L’inizio è previsto per le 12 nella basilica di San Zeno, dove ci saranno testimonianze e riflessioni che offriranno spunti di speranza e di impegno concreto verso chi vive situazioni di fragilità. Seguirà il pranzo condiviso in Basilica, un momento di fraternità con la presenza di numerose associazioni  mentre nel pomeriggio al Convento di San Bernardino, sarà celebrata la Messa presieduta dal vescovo Domenico Pompili.

“La povertà è più vicina di quanto pensi” è il titolo di una campagna promossa dalla Caritas di Bolzano-Bressanone con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla “crescente emergenza abitativa, rendendo visibili le storie di chi la vive e invitando la popolazione alla solidarietà e alle donazioni”. Ieri una giornata di porte aperte nelle case e nelle strutture per senzatetto della Caritas per far conoscere questa emergenza che tocca molte persone. “L’emergenza abitativa – dice Beatrix Mairhofer, direttrice della Caritas - non riguarda più soltanto le persone che vivono per strada” ma anche tante persone “che non trovano un alloggio accessibile o faticano a mantenere quello che hanno” e le cause sono molteplici.

Quest’anno la Giornata Mondiale dei Poveri “la possiamo vivere illuminati, oltre che dal messaggio di Papa Leone, anche dall’esortazione apostolica ‘Dilexi te’”, sottolinea il vescovo di San Miniato, Giovanni Paccosi, in una riflessione diffusa alla vigilia della Giornata di domani. Il “richiamo alla povertà – aggiunge - come luogo di incontro con il Signore, rende questo momento un’occasione vera di crescita nella fede, oltre che di esperienza della carità, cioè dell’amore che Dio ci dona perché scopriamo che amare è il vero modo di vivere tutto”. “Nel vivere questo amore ricevuto e donato – sottolinea il presule – diventiamo costruttori di quella pace che tutti chiediamo, ma che solo può nascere da cuori che si fanno piccoli nel servizio e nell’accoglienza dell’altro”. E poi l’invito alla colletta alimentare che si svolge oggi nei supermercati del territorio diocesano. È un “grande gesto di popolo, che ognuno può sostenere con il dono di alimenti e con la propria presenza come volontario”.

Nella diocesi di Sulmona-Valva domenica scorsa il convegno “Le mani invisibili della carità” dedicato a Santa Giovanna Antida Thouret, con testimonianze e mostra fotografica sulla presenza delle Suore della Carità in diocesi mentre oggi è prevista la Colletta alimentare in collaborazione con il Banco alimentare e domani  la celebrazione eucaristica nella chiesa di San Francesco a Popoli Terme. Aci 15

 

 

 

 

 

Il cinema secondo Papa Leone XIV

 

Il mondo del cinema in Vaticano. Ecco le parole del Papa agli artisti - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. Il mondo del cinema oggi è in Vaticano. Infatti questa mattina Papa Leone XIV, presso la Sala Clementina in Vaticano, ha incontrato tanti rappresentanti del mondo del Cinema. “Il cinema è un’arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta, anche se ormai centenaria. Proprio in questi giorni compie centotrent’anni, a far conto da quella prima proiezione pubblica, realizzata dai fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 a Parigi. Inizialmente, il cinema appariva come un gioco di luci e di ombre, per divertire e impressionare. Ma ben presto, quegli effetti visivi hanno saputo manifestare realtà ben più profonde, fino a diventare espressione della volontà di contemplare e di comprendere la vita, di raccontarne la grandezza e la fragilità, d’interpretarne la nostalgia d’infinito”, dice subito il Pontefice ai tanti presenti.

Per citarne alcuni presenti in Vaticano: Monica Bellucci, Wang Bing, Kate Blanchett, Stéphane Brizé, Sergio Castellitto, Liliana Cavani, Maria Grazia Cucinotta, Abel Ferrara, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, Matteo Garrone. “Con gioia vi saluto, cari amici e amiche, e saluto con gratitudine quello che il cinema rappresenta: un’arte popolare nel senso più nobile, che nasce per tutti e parla a tutti”, commenta il Pontefice.

“È bello riconoscere che, quando la lanterna magica del cinema si accende nel buio, s’infiamma in simultanea lo sguardo dell’anima, perché il cinema sa associare quello che sembra essere soltanto intrattenimento con la narrazione dell’avventura spirituale dell’essere umano”, continua Papa Leone XIV.

In vista dell'incontro di oggi, nei giorni scorsi il Papa ha fatto sapere in un videomessaggio quali sono i suoi film preferiti: “La vita è meravigliosa” (1946) di Frank Capra; “Tutti insieme appassionatamente” (1965) di Robert Wise; “Gente Comune” (1980) di Robert Redford; “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni. 

“Uno dei contributi più preziosi del cinema è precisamente quello di aiutare lo spettatore a tornare in sé stesso, a guardare con occhi nuovi la complessità della propria esperienza, a rivedere il mondo come se fosse la prima volta e a riscoprire, in questo esercizio, una porzione di quella speranza senza la quale la nostra esistenza non è piena. Mi conforta pensare che il cinema non è soltanto moving pictures: è mettere in movimento la speranza!”, continua il Papa nel suo discorso in Clementina.

“Con le vostre opere, voi dialogate con chi cerca leggerezza, ma anche con chi porta dentro il cuore un’inquietudine, una domanda di senso, di giustizia, di bellezza. Oggi, viviamo con gli schermi digitali sempre accesi. Il flusso delle informazioni è costante. Ma il cinema è molto più di un semplice schermo: è un crocevia di desideri, memorie e interrogazioni. È una ricerca sensibile dove la luce perfora il buio e la parola incontra il silenzio. Nella trama che si dispiega, lo sguardo si educa, l’immaginazione si dilata e perfino il dolore può trovare un senso. Strutture culturali come i cinema e i teatri sono dei cuori pulsanti dei nostri territori, perché contribuiscono alla loro umanizzazione. Se una città è viva è anche grazie ai suoi spazi culturali: dobbiamo abitarli, costruirci relazioni, giorno dopo giorno”, ne è convinto il Papa.

“L’arte del cinema e l’esperienza cinematografica sono in pericolo. Invito le istituzioni a non rassegnarsi e a cooperare per affermare il valore sociale e culturale di questa attività”, dopo queste parole è partito un applauso per il Papa da parte dei presenti.

“La nostra epoca ha bisogno di testimoni di speranza, di bellezza, di verità: voi con il vostro lavoro artistico potete esserlo. Recuperare l’autenticità dell’immagine per salvaguardare e promuovere la dignità umana è nel potere del buon cinema e di chi ne è autore e protagonista. Non abbiate paura del confronto con la ferite del mondo. La violenza, la povertà, l’esilio, la solitudine, le dipendenze, le guerre dimenticate sono ferite che chiedono di essere viste e raccontate. Il grande cinema non sfrutta il dolore: lo accompagna, lo indaga. Questo hanno fatto tutti i grandi registi”, continua il Papa.

“Per concludere, la realizzazione di un film è un atto comunitario, un’opera corale in cui nessuno basta a sé stesso. In un’epoca di personalismi esasperati e contrapposti, ci mostrate come per fare un buon film è necessario impegnare i propri talenti. Ma ciascuno può far brillare il suo particolare carisma grazie ai doni e alle qualità di chi lavora accanto, in un clima collaborativo e fraterno. Che il vostro cinema resti sempre un luogo d’incontro, una casa per chi cerca senso, un linguaggio di pace”, conclude Papa Leone XIV.

L’incontro è promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione ed i Musei Vaticani, sulla scia degli incontri di Papa Francesco con i rappresentanti delle arti figurative, nel giugno 2023, dell’umorismo, nel giugno 2024 ed in continuità con il recente Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura, celebrato nel febbraio scorso. Aci 15

 

 

 

 

 

Le chiese in Germania si illuminano di rosso per i cristiani perseguitati

 

Mercoledì 19 novembre iniziative in tutto il mondo in nome della libertà di religione - Di Giacomo König

Francoforte. La Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Sofffre (ACS) li chiama “segni contro la persecuzione dei Cristiani”. Mercoledì 19 novembre le facciate esterne o le navate interne delle chiese di tutto il mondo si illumineranno di rosso come segno di solidarietà verso tutti quei cristiani che nei loro paesi non sono liberi di professare la propria fede, poiché vengono perseguitati o discriminati. Sarà il Mercoledì Rosso, il Red Wednesday, ma in realtà eventi e iniziative di sensibilizzazione si svolgeranno lungo tutto l’arco della settimana (Red Week).

«Centinaia di milioni di cristiani in tutto il mondo vivono in un contesto in cui sono violentmente perseguitati, discriminati od ostacolati nel praticare liberamente la loro fede», spiega Florian Ripka, direttore della sezione tedesca di ACS, illustrando il contesto dell'iniziativa internazionale Red Wednesday.

Intenso in Germania è il calendario degli appuntamenti organizzato da ACS in occasione della “Settimana Rossa”. Sabato 15 novembre incontro nel monastero di Waghäusel, dove si svolgeranno conferenze e colloqui con padre Hermann-Josef Hubka, assistente spirituale di ACS di Germania e il direttore Florian Ripka. Alle ore 18:30 verrà celebrata una Santa Messa nella chiesa del monastero per le intenzioni dei cristiani perseguitati.

Lunedì, 17 novembre, gli amici e i sostenitori di ACS Germania vivranno una serata di preghiera a Berlino con il vescovo di Makurdi, monsignor Wilfred Chikpa Anagbe che riferirà sulla persecuzione dei cristiani nella sua Diocesi in Nigeria e il direttore Florian Ripka. A seguire recita del Rosario, presentazione dell'iniziativa “Red Wednesday”, l’ascolto di una testimonianza, Santa Messa e adorazione eucaristica nella chiesa di San Clemente a Berlino.

Martedì 18 novembre celebrazione della Santa Messa e “Serata dei testimoni” nella chiesa parrocchiale di Sant'Antonio a Balderschwang. La Messa sarà celebrata da padre Richard Kocher. I fedeli partecipanti potranno ascoltare la testimonianza del vescovo di Makurdi, in Nigeria, monsignor Wilfred Chikpa Anagbe.

Mercoledì 19 novembre la cattedrale di Ratisbona sarà illuminata di rosso. Per l’occasione l'Università di musica sacra cattolica e pedagogia musicale ha organizzato la recita della preghiera del Rosario per le intenzioni dei cristiani perseguitati in tutto il mondo. A seguire, Messa pontificale con il vescovo ausiliare, monsignor Josef Graf.

Giovedì 20 novembre a Düsseldorf, in programma una serata ecumenica dei testimoni con l'arcivescovo di Colonia, il cardinale Rainer Maria Woelki, e il vescovo Wilfred Chikpa Anagbe nella basilica di St. Suitbertus. L’evento sarà trasmisso in diretta dall'emittente televisiva EWTN (www.ewtn.de).

Domenica 23 novembre verrà celebrata una Santa Messa nella Cattedrale di Paderborn. A seguire, l’incontro con il vescovo ausiliare monsignor Matthias König nel Forum St. Liborius.

L’azione Mercoledì Rosso inizia nel 2015, quando per la prima volta, con un’iniziativa di questo tipo, Aiuto alla Chiesa che Soffre chiede l’attenzione della comunità internazionale e dei media sulle condizioni dei cristiani nel mondo, svantaggiati o discriminati a motivo della loro fede, se non addirittura perseguitati. Negli anni scorsi l’iniziativa è diventata un segno del diritto umano fondamentale a professare la propria fede. Tra gli edifici che negli ultimi anni sono stati illuminati di rosso figurano il Colosseo e la Fontana di Trevi a Roma, la statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il Palazzo del Parlamento austriaco e, in Germania, le cattedrali di Augusta, Dresda, Friburgo in Brisgovia, Fulda, Paderborn, Passau e Ratisbona.

Il Mercoledì Rosso affronta anche temi specifici all’interno del più vasto dramma della persecuzione o discriminazione dei cristiani. Per esempio nel 2021, la Settimana Rossa (Red Week) si è occupata delle violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze cristiane e di altre minoranze religiose. ACS ha lanciato una petizione chiedendo all’ONU e alle autorità britanniche di adottare misure più efficaci per affrontare la piaga della violenza sessuale ai danni delle donne. Nel 2022, più di 600 edifici in almeno 17 Paesi hanno partecipato all’iniziativa.

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Mons. Crociata: “Europa sotto assedio, il possibile contributo dei cristiani”

 

La crisi dell’Europa? Pressioni esterne, incompiutezza e precarietà del disegno istituzionale. Mons. Mariano Crociata, presidente della Comece, torna sui temi affrontati al recente convegno di Camaldoli “Cristianesimo coscienza dell’Europa”. Il vescovo segnala il possibile contributo della Chiesa e sottolinea il ruolo della presenza ecclesiale a Bruxelles – di Gianni Borsa

Un contesto internazionale gravido di drammi e di sfide, una situazione interna segnata da divisioni fra gli Stati e da populismi: si parla spesso di “crisi dell’Europa”. Diverse chiavi di lettura per una comprensione di tali problemi sono giunte dal convegno “Cristianesimo coscienza dell’Europa”, tenutosi al monastero di Camaldoli dal 6 al 9 novembre, organizzato dalla rivista “Il Regno”, dalla Comunità monastica e dalla Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea. Al convegno ha partecipato, e portato il suo contributo, mons. Mariano Crociata, vescovi di Latina e presidente della Comece.

Più volte al convegno di Camaldoli, è tornato il tema della “crisi dell’Europa”. Quali sono, a suo avviso, i caratteri principali di questa crisi? Quali i punti deboli sul piano culturale e sociale?

La crisi è innanzitutto determinata dal mutato scenario internazionale: prima l’esplosione della guerra in Russia, poi il cambiamento dell’amministrazione statunitense e l’emergere di potenze globali con disegni egemonici che cancellano ogni forma di multilateralismo e comprimono l’autonomia e la libertà dei Paesi più deboli. Tutto questo pone la stessa Unione europea in una condizione di debolezza e di marginalità nelle dinamiche internazionali regolate dai rapporti di forza tra le grandi potenze. Ma ci sono aspetti interni di una crisi che sono riconducibili a due fattori.

Quali sono?

L’incompiutezza e la precarietà del disegno istituzionale, strutturalmente legato al consenso tra gli Stati membri, e i mutamenti culturali e sociali intervenuti da anni con il sorgere di populismi e nazionalismi che portano alcuni Paesi a porsi esplicitamente contro l’Unione europea e comunque producono in tutti lacerazioni e contrapposizioni che danno alle stesse politiche nazionali interne ed europee una nota di incertezza e di indecisione.

Si insiste spesso sulla irrilevanza politica e diplomatica dell’Europa – in questo caso s’intende l’Unione europea – negli scenari globali. Concorda con questa tesi? Di quali eventuali riforme necessiterebbe l’Ue per uscire dall’impasse?

Che la posizione geopolitica dell’Unione europea sia di estrema debolezza sul piano politico è sotto gli occhi di tutti. Sono evidentemente vari i fattori, ma non manca chi vede delle possibilità di iniziativa che andrebbero valorizzate meglio anche sul piano diplomatico e nei rapporti internazionali. È vero però che qualsiasi iniziativa è condizionata dalle vistose divisioni interne tra i Paesi membri che in alcuni casi letteralmente paralizzano ogni iniziativa. Per un verso c’è bisogno di far progredire l’evoluzione dell’Ue nella direzione di una più compiuta democraticità istituzionale, per altro verso bisognerebbe trovare nuove forme nei processi decisionali che consentano all’Ue di essere tempestiva e incisiva in alcuni passaggi politici e diplomatici che, come abbiamo vista in vari casi, la vedono rimanere assente e marginale.

Tornando alla crisi del vecchio continente, di quale cristianesimo avrebbe bisogno oggi l’Europa?

Il cristianesimo in Europa, nonostante tutte le difficoltà segnalate ormai da anni, mantiene una sua vitalità, tuttavia le carenze in ottica sociale e politica, e non ultimo in riferimento all’Europa, sono vistose. Questo evidenzia una difficoltà della pastorale ecclesiale di passare da una pratica e da una impostazione rivolta alla spiritualità individuale e alla devozione a una che la riequilibri con un’attenzione alle implicazioni morali, sociali e politiche dello stare da credenti in questo mondo e in questa nostra società. Poi vanno considerati gli aspetti istituzionali della presenza sociale della Chiesa, ma in primo luogo viene la coscienza dei singoli e delle comunità in riferimento al cammino umano comune.

Chiese in Europa. Alla Comece, che ha sede a Bruxelles, confluiscono i vescovi delegati delle Conferenze episcopali dei Paesi Ue. Quale il possibile contributo sulla via del rilancio di un’Europa di pace, della democrazia, dei diritti, attenta agli ultimi e aperta al mondo?

La Comece è una delle espressioni dell’iniziativa istituzionale della Chiesa in riferimento all’Europa e in particolare all’Unione europea. Il contributo che possiamo dare è quello definito dal suo Statuto, e cioè di accompagnare il processo politico dell’Unione europea nelle aree di interesse per gli episcopati, monitorare le attività dell’Unione e informarne gli episcopati, comunicare alle istituzioni e autorità europee le opinioni e le visioni degli episcopati relativi all’integrazione europea. Tutto questo naturalmente in costante coordinamento e collaborazione con la Santa Sede, direttamente o attraverso il Nunzio presso l’Unione europea. Studi, documenti, lettere, appelli, incontri ufficiali e contatti personali, eventi culturali e quant’altro sono i mezzi di cui ci serviamo. Gli effetti non sono sempre visibili, ma i segni del significato della nostra presenza sono ampiamente riconosciuti. E tuttavia anche questa azione presuppone una vitalità della coscienza ecclesiale che rimane il compito di base e il presupposto di ogni servizio ecclesiale in ambito sociale e istituzionale pubblico, nazionale o europeo che sia. Sir 14

 

 

 

 

 

Cop30: le Chiese dei cinque continenti chiedono giustizia climatica

 

Alla Cop30 di Belém, voci dalle Chiese di tutto il mondo, insieme a scienziati e leader indigeni, denunciano sfruttamento ambientale ed estrattivismo e propongono un modello di ecologia integrale. Dal Sud globale all’Oceania, dall’Europa all’Amazzonia, cresce l’appello a politiche climatiche più giuste, efficaci e rispettose delle comunità locali – di Bruno Desidera

La voce delle Chiese di tutti i continenti risuona alla Cop 30 di Belém. Si è tenuto ieri, nel collegio di Santa Caterina da Siena, un simposio con i rappresentanti ecclesiastici dei cinque continenti, scienziati, leader indigeni e attori sociali, che hanno tracciato i contorni di una nuova “giustizia climatica”, attuabile senza scorciatoie o “false soluzioni”, nella prospettiva dell’ecologia integrale. Una proposta non isolata, sia perché il simposio ha ripreso il documento elaborato dalle Chiese del “sud globale”, presentato lo scorso luglio dagli episcopati di America Latina e Caraibi, Asia e Africa, sia perché, in questi giorni, la Chiesa, in dialogo con i rappresentanti delle altre religioni e con gli organismi delle popolazioni indigene, sta promuovendo numerosi eventi e dibattiti nei quattro “poli” della città allestiti dall’arcidiocesi di Belém. Il simposio “La Chiesa cattolica alla Cop 30: percorsi verso l’ecologia integrale – Riflessioni sulla giustizia climatica e la conversione ecologica” ha riunito voci che hanno chiesto misure politiche chiare, un’attenzione scientifica rigorosa e il protagonismo delle comunità locali. Già nelle parole di benvenuto di dom Júlio Endi Akamine, arcivescovo metropolita di Belém do Pará, e del nunzio apostolico in Brasile, mons. Giambattista Diquattro, è arrivato il messaggio che la Conferenza sui cambiamenti climatici, in corso in questi giorni, è “un invito alla conversione”, ad ascoltare “il grido della terra e il grido dei poveri”.

Le voci del Sud del mondo

“Dobbiamo mettere la cura della vita al centro delle nostre decisioni. Non possiamo scendere a compromessi con quella che viene definita la cultura della morte. Siamo tutti chiamati a essere semi di speranza, per un futuro nuovo”, ha affermato il card. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano e caraibico (Celam). “Se si vuole veramente promuovere la comprensione tra i popoli e si desidera la pace, è necessario prendersi cura della terra, del creato ed educare a questo”, ha aggiunto, citando Papa Leone XIV. Il card. Filipe Neri António Sebastião do Rosário Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão (India) e presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), ha presentato la dichiarazione congiunta delle Chiese del Sud del mondo come “un quadro etico e spirituale per la crisi climatica”. Dall’Asia si è insistito sul fatto che fenomeni come l’innalzamento del livello del mare, la scomparsa dei ghiacciai e l’aumento delle ondate di calore rendono milioni di persone vittime dirette di ingiustizie climatiche che richiedono una risposta urgente. Sulla stessa linea, il card. Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo) e presidente del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (Secam), ha denunciato: “L’Africa non è una miniera d’oro da saccheggiare”, avvertendo che l’attuale modello economico, basato sull’estrazione e l’appropriazione di minerali strategici, aggrava la povertà, genera conflitti e spinge i giovani alla migrazione forzata. Gli interventi del Sud del mondo hanno concordato sulla necessità di un cambiamento di sistema che metta al centro l’essere umano e il bene comune.

Le sfide dell’Oceania, dell’Europa e dell’Amazzonia

Isole che “stanno affondando” e comunità che perdono il loro modo di vivere: è questa l’allarmante realtà delle isole del Pacifico, appartenenti prevalentemente all’Oceania. Lo ha denunciato mons. Ryan Jiménez, arcivescovo di Hag?tña (isola di Guam) e presidente della Conferenza dei vescovi del Pacifico, oltre che vicepresidente della Federazione delle conferenze dei vescovi dell’Oceania. “Stiamo affondando”, il grido di allarme, di fronte all’insufficienza delle risposte internazionali. Il card. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha affermato che il continente “affronta anche sfide ecologiche e sociali” aggravate dalla guerra in Ucraina, che “ha provocato un aumento assurdo del costo dell’energia e una crescita della povertà”. Nella successiva conferenza stampa, tenuta congiuntamente dal card. Spengler e dal card. Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus e presidente della regione Nord 1 della Cnbb, corrispondente alla maggior parte del territorio amazzonico, si è fatto riferimento alla drammatica situazione che si vive in un’Amazzonia continuamente depredata: “È un momento cruciale per la storia del Brasile e dell’Amazzonia. La terra sta morendo dissanguata”. “La Chiesa non rimarrà in silenzio”, ha aggiunto il card. Steiner, in riferimento ai ripetuti progetti di legge per rendere l’enorme foresta sempre più sfruttabile dal punto di vista economico. Sir 13

 

 

 

 

 

Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno.

 

On air su TV, radio, web, social e stampa, la nuova campagna della CEI racconta la presenza quotidiana di una Chiesa che accompagna, sostiene e condivide la vita delle persone.

Che importanza dai a chi fa sentire gli anziani meno soli? A chi aiuta i ragazzi a prepararsi al futuro? A chi ti aiuta a pregare? Sono alcune delle domande al centro della nuova campagna istituzionale della Conferenza Episcopale Italiana: un racconto corale che mostra come la Chiesa abiti le storie di ogni giorno, con gesti di vicinanza, mani che si tendono, parole che consolano, segni che trasformano la fatica in speranza.

La campagna, dal claim incisivo “Chiesa cattolica. Nelle nostre vite, ogni giorno” intende mostrare i mille volti della “Chiesa in uscita”, una comunità che si fa prossima ai più fragili e accompagna famiglie, giovani e anziani con azioni concrete. Dai percorsi formativi rivolti ai ragazzi,  per imparare a usare intelligenza artificiale e nuove tecnologie,  alle attività ricreative per gli anziani che spesso devono affrontare una vita in solitudine, dal sostegno alle persone lasciate sole, restituendo loro dignità e speranza, ai cammini di fede per aiutare ogni individuo a incontrare Dio nella vita quotidiana.

“Nell’Italia di oggi, senza la presenza viva della Chiesa, con la sua rete di solidarietà, - spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni -  grazie all’impegno instancabile di migliaia di sacerdoti e volontari, mancherebbe un punto di riferimento essenziale. Attraverso questa campagna desideriamo rendere visibile quanto questa presenza sia concreta e incisiva nella quotidianità di tante persone”.

Ideata e prodotta da Casta Diva Group la campagna della Conferenza Episcopale Italiana è on air dal 30 novembre fino al 31 dicembre 2025. Gli spot, da 15” e da 30”, raccontano una Chiesa vicina, ogni giorno, attraverso cinque esempi concreti: l’attenzione agli anziani, che diventa cura  per chi affronta la solitudine; l’impegno verso le nuove generazioni, che si traduce in percorsi formativi per l’utilizzo delle nuove tecnologie; il dono delle seconde possibilità, che si concretizza in una mano tesa a chi si sente escluso o emarginato; la forza della preghiera, che illumina il cammino di chi è in ricerca; la salvaguardia del creato, che passa anche dall’esplorazione scientifica per scoprire la bellezza nascosta nel mondo. Un invito a riconoscere nella vita di tutti i giorni il volto di una Chiesa che c’è, serve e ascolta, testimoniando la concretezza del Vangelo vissuto.

Non solo tv, ma anche radio, digital e carta stampata, con uscite pianificate su testate cattoliche e generaliste, pensate per invitare a riflettere sui valori dell’ascolto, della vicinanza e della fraternità. Perché “la Chiesa cattolica è casa, è famiglia, è comunità di fede. Per te, con te”.

Per maggiori informazioni: www.8xmille.it, www.unitineldono.it de.it.press 13

 

 

 

 

 

 

Comunicato della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Tedesca

 

I Rappresentanti della Curia romana e della Conferenza Episcopale Tedesca (CET) si sono riuniti nuovamente oggi (12 novembre 2025) per proseguire il dialogo concordato durante la visita ad limina dei vescovi tedeschi nel novembre 2022. I precedenti incontri si erano svolti il 26 luglio 2023, il 22 marzo 2024 e il 28 giugno 2024.

Il dialogo è stato ancora una volta caratterizzato da un’atmosfera sincera, aperta e costruttiva. Sono stati esaminati vari punti del futuro statuto di un organismo sinodale della Chiesa in Germania (denominato “Conferenza sinodale”) quali la sua natura, la composizione e le competenze.

Per la Curia Romana erano presenti i Cardinali Victor Fernández, Kurt Koch, Pietro Parolin e Arthur Roche e l’Arcivescovo Filippo Iannone O.Carm. Per la CET sono intervenuti i Vescovi Stephan Ackermann, Georg Bätzing, Bertram Meier, Franz-Josef Overbeck, nonché la Segretaria Generale, dott.ssa Beate Gilles, e il Portavoce della CET, Dott. Matthias Kopp. S. E. Mons. Stefan Oster SDB era presente in qualità di ospite. Dbk 12

 

 

 

 

 

Padre Roggio: Bisogna partire dalla Parola di Dio per "definire" Maria

 

Un approfondimento sul recente documento del Dicastero della Dottrina della Fede. L'intervista a padre Gian Matteo Roggio della Pontificia Accademia Mariana - Di Antonio Tarallo

Roma. Per poter comprendere meglio e per poter approfondire il recente documento del Dicastero della Dottrina della Fede,  "Mater populi fidelis", proponiamo un'intervista a  padre Gian Matteo Roggio, Missionario di Nostra Signora de La Salette, direttore del dipartimento della Pontificia Accademia Mariana Internazionale che ha nome “Liberare Maria dalle mafie”. Roggio, inoltre, è docente di telogia presso l'Università cattolica del Sacro Cuore, mariologo, e autore di diversi volumi telogici sulla figura della Vergine Maria. 

Padre Roggio, può spiegarci in poche parole ciò che questo documento dice al popolo di Dio? 

Prima di tutto, questo documento vuole attestare, come dice il Cardinale Prefetto nella presentazione del Documento, una certa preoccupazione degli ultimi papi. Preoccupazione per che cosa? Preoccupazione per una esperienza mariana - e nella parola esperienza mariana noi mettiamo sia la teologia che tutta la questione del culto, quindi la venerazione alla Vergine Maria - affinché sia ??esente da alcuni rischi, esente da alcuni eccessi. Il Documento nasce da questa preoccupazione dei papi e vuole quindi indicare quella che attualmente sembra essere la direzione presa, diciamo, in maniera indiretta dai papi stessi, attraverso il Dicastero per la fede, in modo tale che l'esperienza mariana, teologia e devozione mariana, possono andare su un binario corretto che non abbia estremismi.

Leggendo il documento si fa riferimento più volte alla Sacra Scrittura e all'insegnamento della Chiesa. E allora la domanda è questa: il documento, alla fine, in estrema sintesi, sembra attestare ciò che la Chiesa già aveva in una certa maniera espresso. Giusto?

Sì, ha ragione. In effetti, il documento non dice nulla di nuovo da questo punto di vista, perché si limita semplicemente a dire che, tenuta presente la dottrina tradizionale della Chiesa (quindi tenuta presente la dottrina di sempre, vale a dire quella dottrina che si fonda sulla parola di Dio), se noi vogliamo accogliere Maria nella vita della Chiesa, la dobbiamo accogliere in modo tale che questa dottrina non venga mai alterata, o quantomeno la dobbiamo accogliere in modo tale che questa dottrina non venga mai messa in una situazione di non chiarezza. Preciso: non è solo questione di alterazione, è anche questione di non chiarezza, il non capire.

Veniamo alla questione “calda”. Anzi, alle “questioni calde”. Perché non possiamo dire che Maria è Corredentrice? Perché non possiamo dire che Maria è “Mediatrice di tutte le grazie”? 

Non possiamo dire “Maria Corredentrice” perché quel “Corredentrice” sembra mettere Maria allo stesso livello di Cristo: e questo è impossibile, Maria non è una salvatrice, Maria è una salvata come noi. Nello stesso tempo, dire “Mediatrice di tutte le grazie” significa dire che ci sarebbe un obbligo da parte di Dio di passare attraverso Maria ogni volta che si deve realizzare l'opera della salvezza. Noi sappiamo che Dio realizza l'opera della salvezza per le vie che lui conosce, non ha obblighi verso nessuno, non ha obblighi verso le creature, Dio non ha obblighi. Invece, voler obbligare Dio a passare per una creatura umana, questo sembra un pochino strano. Se volessimo parlare di “obbligo” (termine che non è il più appropriato, sia chiaro, ma che spero possa rendere l’idea) di Dio nei nostri confronti, questo obbligo è l'umanità di Gesù. Dio non si allontanerà mai dall'umanità di Gesù nel rivolgersi a noi: Dio si rivolge a noi nel suo Figlio e nel suo Figlio incarnato. Questo obbligo non può essere esteso ad altre creature, ad altre realtà. Maria entra certamente in questo mistero del Figlio e del Figlio incarnato, ma come “conseguenza”, non come “causa”. Maria diventa Madre del Figlio di Dio incarnato in conseguenza della volontà del Figlio, del suo sì al Padre che lo vuole salvatore universale.

Eppure, durante la recita della preghiera mariana per eccellenza, il Santo Rosario, nelle litanie lauretane, noi diamo alcuni titoli alla Vergine Maria ben precisi. Quei titoli, allora, un senso lo hanno o no?

Facendo l'esempio del Rosario, chiaramente questi titoli “Maria Corredentrice” e “Mediatrice di tutte le grazie” non potranno mai entrare nelle litanie del Rosario. Questo documento segna una specie di spartiacque: lo spartiacque tra il passato e, potremmo dire, il futuro. Noi non dobbiamo cancellare i titoli del passato, sia ben inteso, ma la Nota chiede che per il futuro tali titoli non siano utilizzati oggi. Chiede di usare oggi altre formulazioni. Quindi, ciò vuol dire che noi non dobbiamo cancellare il passato, ma dobbiamo trovare adesso altre formulazioni, e soprattutto, siccome noi il passato non lo cancelliamo, dobbiamo fare in modo che il passato sia ben capito. E allora forse proprio per questo servono le nuove formulazioni.

Visto che il documento ha creato un po’ di fibrillazioni all’interno della Chiesa. Un po’ di divisioni, o comunque di punti di vista che si sono avvicendati e addirittura scontrati, pensa che sarebbe utile - in una certa misura - sentire “la base” (mi sia permesso il termine) della Chiesa? 

“Sentire la base”, direi di no, perché per la teologia e la dottrina è un concetto equivoco: sentire la base equivale nel nostro linguaggio quotidiano a fare i sondaggi e quindi a vedere dove si posiziona la maggioranza. Questo nella Chiesa non avviene: quando la Chiesa pensa alla sua fede e alle realtà di fede, non segue un criterio di maggioranza così come le scienze sociali di oggi ce lo descrivono. Quindi dire che il papa potrebbe sentire la base è equivoco. 

Sembra invece più corretto dire che il papa vuole sentire l'esperienza mariana dei fedeli così come i fedeli la vivono. E questo il pontefice lo sente attraverso quello che i fedeli fanno. I fedeli fanno sentire la loro esperienza mariana recandosi nella parrocchia per partecipare alle celebrazioni liturgiche e ai sacramenti, vivendo la fede cristiana in maniera autentica, vivendo la fede cristiana come servizio ai poveri, vivendo la fede cristiana come esercizio delle opere di misericordia, sia corporali che intellettuali. I cristiani vivono la loro esperienza mariana recandosi in pellegrinaggio ai santuari mariani. I cristiani, poi, vivono la loro esperienza mariana quando nella preghiera a Dio, si rivolgono anche alla Vergine Maria perché sostenga quello che Dio vuole darci. E perché ci insegni a chiedere a Dio secondo il suo progetto di salvezza (“sia fatta la tua volontà”), sostenendo con il suo materno esempio di fedele discepola la nostra volontà: infatti, si parla di “collaborazione” nel documento, di “collaborazione partecipata”.   

Ma questa esperienza mariana da dove parte? 

Parte prima di tutto da quella che è la Scrittura, cioè parte dalla Parola di Dio. Non parte dai titoli mariani che noi utilizziamo, anche se sono quelli i primi che arrivano alla mente, al cuore, alla conoscenza. Però poi dopo dietro quei titoli mariani che cosa c'è? Dietro quei titoli mariani o ci dovrebbe essere - quando sono titoli mariani belli, pieni, corretti -  la Parola di Dio. Basterebbe pansare al titolo “Madre di Dio”, Theotokos: dietro questo titolo c’è tutto il mistero dell’Incarnazione. Onestamente, in questo momento tale ritorno alla Parola di Dio come sorgente dell’esperienza mariana mi sembra più che opportuno. Mi sembra che il vero tema reale di oggi nell'esperienza mariana non sia il fatto che ella collabori all'opera della salvezza, perché è un dato scontato, pacifico: è la Parola di Dio ad attestarcelo. Quello che veramente dovrebbe risvegliare un po' la coscienza dei fedeli è il modo con cui Maria ha servito la Persona e l’opera del suo Figlio: la sua testimonianza di credente. 

A quali aspetti si riferisce?

Chi, per esempio, oggi parla più della verginità di Maria? Quanti sono quelli che veramente ritengono che Maria abbia concepito verginalmente? Quanti sono i credenti che realmente pensano che all'origine di Gesù ci sia un concepimento verginale? Quanti credenti oggi pensano che il fatto che Maria sia rimasta vergine per tutta la vita in fondo non significa assolutamente niente? Eppure tale verginità è il segno della sua fede e della sua testimonianza relative al Figlio di Dio. L'intento del mio discorso è questo: dobbiamo tornare a una pietà mariana imbevuta della Parola di Dio! E in tale Parola ritrovare lo spessore unico, umano e teologale, di questa donna che è il modello della Chiesa e in cui la Chiesa legge la sua vocazione a servizio dell’Incarnazione che salva. Nessun cristiano esclude la cooperazione di Maria, che è un dato di fatto. Chiediamoci allora come ella ha servito e continua a servire dal Cielo il mistero del suo Figlio: vero Dio e vero uomo. 

Quindi, in una certa maniera, sarebbe anche auspicabile un documento successivo alla Nota che possa rispondere alla domanda: chi è Maria? Che magari possa parlare di questi temi che lei ha elencato? 

No, non ne abbiamo bisogno. Il Concilio Vaticano II con il capitolo VIII della Lumen gentium, san Paolo VI con le esortazioni apostoliche Signum magnum e Marialis cultus, san Giovanni Paolo II con l'enciclica Redemptoris Mater , Papa Benedetto e Papa Francesco con le loro omelie, le loro catechesi, i loro messaggi e discorsi, ci hanno lasciato un patrimonio inestimabile. È piuttosto una questione di prendere coscienza di tutto questo, di farlo conoscere, di rendere accessibile a tutti i cristiani e non solo ad alcuni. E di unire questa coscienza/consapevolezza alla preghiera. Nel caso della verginità come caratteristica fondamentale della testimonianza che Maria rende al mistero del suo Figlio, la ricordiamo sempre nel Credo (“per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”) e nell'Ave Maria con il titolo Madre di Dio (“Santa Maria, Madre di Dio”). La testimonianza di Maria come Madre Vergine è sconvolgente, perché questa donna ci dice che è avvenuto l'impossibile. E che solo Dio ha potuto agire in questo modo. Un Dio che realizza l'impossibile non imponendo, ma chiedendo : vuoi collaborare con me a quest'opera? E lei ha detto sì. Ha detto “fiat”. Ha accolto nel grembo Gesù, il Salvatore. L'unico Salvatore! E Maria è lì per farti parlare non di lei, ma per farti parlare di lui. Aci 13

 

 

 

 

 

La Comunità Cattolica di Kempten ricorda i suoi morti

 

Kempten. Sabato, 8 novembre, nella chiesta di St. Anton, di Kempten, durante la S. Messa prefestiva delle ore 17:00, celebrata da Padre Bruno Zuchowski, Rettore delle Missioni di Kempten e Augsburg, oltre alle letture e al brano evangelico della domenica, sono stati ricordati i Defunti della nostra Comunità, in particolar modo il compianto Signor Alfio Gennaro, passato a miglior vita qualche giorno prima.

Nella sua Omelia Padre Bruno, dopo aver ricordato che domenica, 9 Novembre, la Chiesa avrebbe celebrato la Dedicazione alla Basilica di S. Giovanni in Laterano: "La Madre di tutte le Chiese" (edificata nel IV secolo d.C.), è passato al commento del  brano evangelico in cui Gesù scacciò dal tempio i venditori e i cambiavalute.

Io –a quel punto– non ho potuto non ricordare ciò che scrissi tanti anni fa nel preambolo della nella mia Tesi di Laurea Magistrale redatta in tedesco sul ruolo giocato dalla religione nell'opera e nella vita dello scrittore tedesco del secondo dopoguerra del secolo scorso, il cattolico "protestante" Heinrich Böll: „Er machte eine Geißel aus Stricken und  trieb  sie  alle  aus  dem Tempel hinaus,  dazu  die  Schafe  und die Rinder; das Geld  den Wechsler  schüttete er aus,  und  ihre Tische  stieß  er  um“. (Johannes, II., 15.). "Allora egli fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, (Giovanni 2, II,15).

Il Celebrante –come sempre in questi casi– non ha mancato di fare azzeccati paralleli con alcune deplorevoli prassi nella nostra odierna società: mercimonio, ecc... anche, ahimé, in luoghi di culto!

Alla fine del sacro Rito sono stati dati anche alcuni avvisi sulle prossime attività della Missione da parte della Segretaria, Signora Giuseppina Baiano. Tra i quali: la data e il luogo del Funerale di Gennaro e le date: dello spettacolo del Gruppo Teatrale Gli Amici di Eva, e della Cena Comunitaria Natalizia del prossimo Dicembre. I canti – come di consueto– sono stati diretti e accompagnati alla chitarra dal Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, coadiuvato dalla Signora Gisella e dal figlio Ruben. Molto suggestivo il momento della recita del Padre Nostro con il Celebrante che si teneva per mano con le chierichette.

Subito dopo la S. Messa Padre Bruno, i Coniugi Ursula e il  Comm. Carmine Macaluso (Presidente delle ACLI Baviera), Silvana e il Comm. Antonino Tortorici (Corrispondente Consolare per Memmingen e dintorni)  e il Collega  Dr. Fernando A. Grasso e la cara Amica Maria Mangano, dopo essersi recati al cimitero per recitare una preghiera davanti alle tombe del Cav. Corrado Mangano, della Signora Enza Grasso e del Signor Salvatore Zammataro (cognato dei Coniugi Grasso), hanno terminato serenamente la serata nel noto ristorante La Bruschetta, insieme ai componenti del Gruppo Teatrale di cui sopra. 

Veramente una piacevolissima serata offerta da Macaluso come ringraziamento agli "Amici di Eva" per lo spettacolo recentemente dato in occasione delle celebrazioni a Kaufbeuren per ricordare il 70° dei Patti Bilatrali tra Germania e Italia per il reclutamento di manodopera. Piacevolissimo incontro conviviale in cui –tra le decine di altri avventori– il nostro gruppo, –nella maggior parte dei casi– ha gustato delle enormi e saporitissime pizze, professionalmente personalizzate dagli addetti al servizio e dai cuochi, che hanno ricevuto –a cominciare da chi scrive– sentite congratulazioni, e per la qualità delle vivande e per l'impeccabile servizio.

Al termine della cena la nostra Comunità si è data appuntamento, infine, ai prossimi incontri settimanali.

Fernando A. Grasso, de.it.press

 

 

 

 

 

San Martino di Tours, il vescovo dei poveri

 

Oggi, la sua memoria liturgica - Di Antonio Tarallo

Roma. "Gemmea l’aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore”, così Carducci nella sua famosa poesia dal titolo “L’estate di San Martino”.  E, forse, non ci sono parole migliori di quelle di un poeta per descrivere quello strano sole di novembre, quella luce che stride con il freddo inverno che si avvicina. Il giorno degli “albicocchi in fiore” è quello dedicato alla festa di  San Martino di Tours.

Carducci nella sua “San Martino” con amorevoli versi descrive come «dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar».  Il vino, immancabile bevanda, per la festa. Il vino, accompagnato inesorabilmente dalle castagne. Queste erano il pane dei poveri, simbolo della stagione, ed - economicamente - erano alla portata di tutti. L'associazione - castagne e vino - in questa festa di San Martino di Tours era molto legata ai cicli dell'agricoltura. In novembre, terminata la raccolta dell'uva e delle olive, l'attività degli agricoltori scemava naturalmente per qualche tempo.  Era il tempo del "trasloco" dei mezzadri: per tutta l'estate avevano abitato le campagne, sotto contratto con il padrone ed era questo il momento di un po' di "ferie" in attesa di un rinnovo di contratto oppure di un nuovo incarico presso un nuovo fondo. Prima di andare via si riceveva una sorta di "buonuscita" piena di prodotti di stagione: vino e castagne.

Ma chi era Martino di Tours? Nacque nel 316 in Sibaria, città della Pannonia, l'odierna Ungheria, da genitori nobili ma pagani. Da bambino si trasferì a Pavia. Fu in questa città che conobbe la religione cristiana. All'insaputa dei genitori si fece catecumeno, a soli dieci anni.  e prese a frequentare le assemblee cristiane. 

Martino era umile e caritatevole: basti pensare che aveva abitudine di pulire i calzari al suo attendente. Certamente, uno degli episodi più famosi rimane quello del mantello: in un giorno d’inverno, Martino era in marcia per Amiens. In questa località incontrò un povero seminudo, sprovvisto di denaro. Tagliò colla spada metà del suo mantello e lo coprì. La notte seguente, Gesù, in sembianza di povero, gli apparve e mostrandogli il mantello disse: “Martino ancor catecumeno m'ha coperto con questo mantello”. E’ l’incontro decisivo della sua vita. E’ l’incontro che gli fece cambiare Andò a Poitiers presso il vescovo S. Ilario da cui fu istruito, battezzato e in seguito ordinato sacerdote.  Eresse, anni avanti, addirittura la celebre e tuttora esistente abbazia di Marmontier (la più antica della Francia) ove fu per parecchi anni padre di oltre 80 monaci. "Soldato per forza, vescovo per dovere, monaco per scelta", in estrema sintesi fu questa la vita di San Martino. 

Per questa sua vicinanza verso i poveri, fu disprezzato dai nobili e malvisto anche da una parte del clero. Divenne vescovo di Tours: per ben 27 anni condusse la diocesi francese, in mezzo a contrasti e persecuzioni. Nell'anno 397 venne a conoscenza che a Candate (Candes-Saint-Martin) era sorto un grave scisma. Andò subito a portare pace. E fu proprio al ritorno da questo luogo che fu assalito da febbri mortali. Volle essere adagiato sulla nuda terra e cosparso di cenere, per morire, come sempre aveva vissuto, da penitente. Fu così sepolto a Tours, dove gli fu dedicata una cattedrale. Aci 11

 

 

 

 

 

 

Ogni anno 100 mila pellegrini a Walldürn per venerare il Sangue di Cristo

 

Nel 1330 un calice di vino consacrato si versò sul corporale formando un’immagine di Cristo - Di Giacomo König

Francoforte. La basilica di San Giorgio a Walldürn, nel Land del Baden-Württemberg, conserva la reliquia del più importante miracolo eucaristico accaduto in Germania.

Era il 1330 (forse il 1331) e il sacerdote Heinrich Otto, un semplice prete di campagna, stava celebrando la Messa. Durante la consacrazione dell’eucaristia, fece cadere accidentalmente il calice del vino consacrato sul corporale, una piccola tovaglietta di lino che il celebrante stende sull’altare prima di benedire pane e vino. Proprio su questo telo il vino consacrato andò a formare un’immagine miracolosa: al centro compariva infatti il Crocifisso, e ai lati undici “Veronicae”, ossia undici immagini del volto di Cristo coronato di spine.

Il fatto, mentre accadeva, aveva avuto diversi testimoni oculari, nonostante questo il sacerdote, spaventato, non raccontò a nessuno dell’accaduto e rimuovendo una pietra dall’altare, vi nascose il corporale e vi “mise una pietra sopra”. Anni dopo, in punto di morte, il sacerdote, più che dalla malattia, si sentiva però tormentato dal rimorso di coscienza di aver nascosto questo miracolo. Allora confessò, parlò del corporale macchiato, rivelò dove era nascosto e chiese perdono per averlo taciuto per così lunghi anni. Solo allora morì in pace.

Il corporale fu ritrovato e subito si sparse la notizia del miracolo. Dopo la morte di don Heinrich Otto, il corporale con l’immagine del Cristo fu custodito a Walldürn e venerato localmente. Iniziò un culto popolare, fatto di pellegrinaggi spontanei: cominciarono ad affluire pellegrini a Walldürn, proprio per venerare il Preziosissimo Sangue di Cristo.

Molti decenni dopo, si decise di portare l’accaduto all’attenzione del Papa. Il telo fu così portato a Roma a Papa Eugenio IV nel 1445: la figura sacra formatasi sul corporale dal versamento accidentale del vino consacrato era ancora visibile a quell’epoca, e il Pontefice confermò il miracolo concedendo l’indulgenza e dando ufficialmente inizio ai pellegrinaggi. Questo fu il momento in cui Walldürn divenne una meta di pellegrinaggio eucaristico per l’intera Germania cattolica.

Tutta questa storia, fino all’esame della reliquia miracolosa da parte del Papa, è narrata, episodio per episodio, dai dipinti sulle ante esterne e dai rilievi dell'altare del Santo Sangue. Quello di Papa Eugenio IV è il primo atto in cui la Chiesa riconobbe pubblicamente il culto di Walldürn. Ma ne seguirono altri. Successivamente Papa Pio II, nel 1461 circa, confermò e rinnovò le indulgenze, mentre Papa Sisto IV e Papa Giulio II aggiunsero ulteriori concessioni ai pellegrini.

A causa dell’afflusso dei pellegrini, nel 1497 fu necessario ingrandire la chiesa. Durante il periodo della Riforma, che non riuscì a fare breccia nella città di Walldürn, la partecipazione al pellegrinaggio diminuì notevolmente per riaumentare poi intorno al 1600. Papa Urbano VIII nel 1626 riconobbe solennemente il santuario e autorizzò ufficialmente il pellegrinaggio annuale, favorendo la costruzione della grande chiesa di San Giorgio, che fu dotata di tre nuovi altari. Dopo la Guerra dei Trent'anni (1618–1648), il pellegrinaggio continuò ad aumentare di fama e di importanza, tanto che la chiesa divenne nuovamente troppo piccola.

Così, il funzionario Johann Franz Sebastian von Ostein decise di rivolgersi a suo zio, l'arcivescovo Lothar Franz von Schönborn, per chiedere la costruzione di un nuovo edificio, che fu realizzato tra il 1698 e il 1714. Il 16 febbraio 1962 Papa Giovanni XXIII elevò la chiesa al rango di “Basilica minore”.

Oggi l’altare del Preziosissimo Sangue di Cristo attira mediamente circa 100 mila pellegrini all’anno. Il periodo più intenso di presenze di fedeli è tra fine maggio e fine giugno, il periodo di Pentecoste e Corpus Domini. L’evento più importante è la grande processione del Corpus Domini, durante la quale la reliquia con il corporale miracoloso viene portata per le vie della città. Alla processione partecipano gruppi di pellegrini a piedi da diversi Land della Germania e nonché numerosi pellegrini dall’estero. Aci 10

 

 

 

 

 

Verso il primo concistoro straordinario di Papa Leone: un cambio di rotta?

 

La riunione del concistoro straordinario – che dovrebbe tenersi il 7 e 8 gennaio 2026 - fa immaginare che Papa Leone XIV voglia imprimere un cambio di metodo, e anche di rotta, rispetto al recente passato - Di Marco Mancini

Città del Vaticano. Anche se non vi è ancora una comunicazione ufficiale e formale, all’indomani della chiusura della Porta Santa – in calendario il prossimo 6 gennaio – e la conclusione dell’Anno Santo, Papa Leone XIV terrà un concistoro straordinario con l’intero collegio cardinalizio.

Il canone 353 al paragrafo 3 recita che “nel Concistoro straordinario, che si celebra quando lo suggeriscono peculiari necessità della Chiesa o la trattazione di questioni particolarmente gravi, vengono convocati tutti i Cardinali”.

La tradizione della convocazione dei concistori straordinari, che servono anche agli stessi cardinali per conoscersi meglio, confrontarsi e soprattutto – come recita il Codice di Diritto Canonico – assistere  il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale”, era andata perdendosi durante il pontificato di Papa Francesco.

Papa Francesco infatti aveva preferito circondarsi di un ristretto numero di cardinali per consultarsi e soprattutto riformare la Curia Romana: Aveva creato il Consiglio dei Cardinali, o noto ai più come C9. Una sorta di microcollegio all’interno dello stesso Sacro Collegio. Un organismo che era nato nel Settembre 2013 ed istituito con un chirografo dello stesso Pontefice.

Del Consiglio dei Cardinali hanno fatto parte tra il 2013 e il 2025 il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato; il Cardinale Fridolin Ambongo Besungu, O.F.M.Cap., arcivescovo metropolita di Kinshasa; il Cardinale Juan José Omella, arcivescovo metropolita di Barcellona; il Cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo metropolita di Québec; il Cardinale Jean-Claude Hollerich, S.I., arcivescovo di Lussemburgo; il  Cardinale Sérgio da Rocha, arcivescovo metropolita di San Salvador de Bahia; il Cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, P. di Schönstatt, arcivescovo emerito di Santiago del Cile ; il Cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo metropolita di Kinshasa; il Cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'economia; il Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, S.D.B., arcivescovo metropolita di Tegucigalpa ; il Cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano; il Cardinale Reinhard Marx, arcivescovo metropolita di Monaco e Frisinga; il Cardinale Sean Patrick O'Malley, O.F.M.Cap., arcivescovo metropolita di Boston, presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori ; il Cardinale Oswald Gracias, arcivescovo metropolita di Bombay; il Cardinale Fernando Vérgez Alzaga, L.C., presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Segretario del Consiglio è stato il Vescovo Marco Mellino e prima di lui il futuro Cardinale Marcello Semeraro, oggi Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.

La riunione del concistoro straordinario – che dovrebbe tenersi il 7 e 8 gennaio 2026, dopo 8 mesi dalla sua elezione  – fa immaginare che Papa Leone XIV voglia imprimere un cambio di metodo, e anche di rotta, rispetto al recente passato, servendosi collegialmente dell’ausilio e del consiglio dei Cardinali di Santa Romana Chiesa. Non per nulla nelle congregazioni generali che hanno preceduto il conclave del maggio scorso, i cardinali avevano sottolineato in diversi interventi l’importanza dell’osservanza del codice di diritto canonico nella futura gestione e nel futuro governo della Chiesa.

Nei pontificati che hanno preceduto quello di Papa Francesco, era comunque prassi prima del concistoro ordinario per la creazione di nuovi cardinali, convocare l’intero Collegio cardinalizio per una giornata di confronto e dialogo che solitamente si teneva il giorno prima della celebrazione del concistoro stesso. Aci 10

 

 

 

 

Brunelli (Il Regno): cristianesimo ed Europa

 

Una riflessione a caldo, da Camaldoli, sul tema del convegno “Cristianesimo coscienza dell’Europa”, promosso assieme alla Comunità monastica e alla Comece. Secondo Gianfranco Brunelli, giornalista e politologo, “in questo momento di crisi profonda dell’Europa emerge una responsabilità delle Chiese quanto al profilo e al ruolo dell’Europa stessa”. E aggiunge: “Se le riviste mantengono ancora un valore, e io credo che sia così, devono essere luoghi di memoria, di documentazione, di analisi, di confronto” – di  Gianni Borsa

A Camaldoli si svolge una riflessione approfondita, accompagnata da un dibattito vivace, sull’Europa e sul quadro politico, culturale e sociale a livello internazionale, in relazione al cristianesimo. Più precisamente quattro giorni di confronto – a partire da una quindicina di contributi dall’Italia e dall’estero – sul tema “Cristianesimo coscienza dell’Europa”. Il convegno è promosso dalla rivista Il Regno, che “compie” 70 anni, assieme alla Comunità monastica di Camaldoli e alla Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea). Sul titolo generale dell’appuntamento ci soffermiamo con Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno.

Direttore, di quale Europa e di quale cristianesimo ci sarebbe bisogno in questa fase storica?

L’analisi del contesto internazionale, segnatamente del ruolo dell’Europa, è fondamentale per capire il quadro storico nel quale noi viviamo, come cittadini, come cristiani, come Chiese. Una volta sviluppata questa analisi è necessario domandarsi che cos’è il cristianesimo oggi; quale cristianesimo è, per così dire, possibile, o addirittura necessario in questo momento, qual è il ruolo che le Chiese possono assumere per contribuire a mantenere viva l’ispirazione cristiana in Europa e lo spirito di una civiltà a cui il cristianesimo storicamente ha contribuito in maniera fondamentale anche nelle stagioni di contrapposizione. Questa è una delle domande: naturalmente un convegno non può immaginare di fornire tutte le risposte a interrogativi tanto complessi, ma certamente può avviare un cammino di comprensione, di riflessione, già promosso in anni recenti da Giovanni Paolo II in particolare, proseguito in parte con Benedetto XVI e poi con Papa Francesco. Ritengo che in questo momento di crisi profonda dell’Europa ci sia una responsabilità delle Chiese quanto al profilo e al ruolo dell’Europa stessa, perché senza di essa il tema della civiltà rischia di andare in crisi, non solo per noi che abitiamo in Europa, ma per il mondo intero. E il compito attiene a come coniugare il linguaggio della fede alle emergenze umane, culturali, istituzionali.

In che senso?

Vede, l’Europa conserva la memoria dei valori profondi della civiltà: pensiamo ai principi democratici, ai diritti umani, al diritto internazionale, ai grandi temi della solidarietà, dell’accoglienza, della giustizia. Sono valori che oggi in Europa hanno ancora un riverbero significativo nel cuore degli uomini e delle donne, e non è così in altre parti del mondo. Il cristianesimo può essere davvero coscienza critica, fonte ispirativa delle coscienze personali.

Ma di quale Chiesa, di quale comunità credente ha bisogno questa Europa di oggi?

Certamente una Chiesa della solidarietà e dell’accoglienza, una Chiesa della libertà individuale, ma non come individualismo, bensì come possibilità di trovare Dio nella coscienza personale. Ritrovare e alimentare la “nostalgia di Dio” può diventare di nuovo l’elemento con cui Dio viene riaffermato nelle società e nella cultura europea. Qui c’è tutto il tema, sviluppato in questi anni, della sinodalità, del rapporto fede-libertà, va ripresa la riflessione sul contributo dei cristiani laici… Poi c’è un tema che riguarda la democrazia, nel senso che la costruzione della comunità cristiana ha a che fare con la costruzione della comunità civile, della democrazia. Più che interrogarsi sulla democrazia dentro la Chiesa, tema che rimane aperto, oggi forse bisogna interrogarsi su come costruire la comunità cristiana e come la costruzione della comunità cristiana sia prodroma della costruzione della comunità civile.

In un’epoca di individualismi spinti, che alimentano a loro volta timori e chiusure, la necessità di costruire la comunità – il senso della comunità – non sembra sia sufficientemente avvertito. Eppure, questo potrebbe essere un grande tema dell’oggi. Nella Chiesa italiana, nella Chiesa europea che lei conosce, si avverte questa urgenza? Si sente il richiamo all’impegno per edificare una comunità cristiana e una comunità civile accoglienti, aperte, solidali?

Se noi diamo spazio ai sentimenti diffusi, che sono sentimenti di sfiducia, di paura, noi difficilmente ci mettiamo nella posizione di poter accogliere l’altro, gli altri, di vivere assieme, di costruire una comunità. Se invece noi, pur rendendoci conto delle difficoltà poste dalla realtà, scommettiamo di nuovo sullo spirito cristiano, che è spirito di speranza, di fiducia verso il futuro, allora noi troviamo nuovi punti di equilibrio e possiamo sentire il legame tra la costruzione della comunità dei credenti e la costruzione della comunità umana, della comunità civile. Personalmente ritengo che l’insegnamento del Sinodo porti la Chiesa italiana, la Chiesa più ampia, le Chiese europee, a sviluppare il tema della costruzione della comunità, che nelle Chiese europee significa anche la ripresa di un dialogo ecumenico, non solo come coabitazione in un condominio, ma come spirito cristiano, come accoglienza del cristianesimo dell’altro. Rendiamoci conto che ci sono tante forme ed espressioni del cristianesimo, starei per dire “tanti cristianesimi” in Europa, e forse ora abbiamo bisogno di una contaminazione fra le diverse esperienze di Chiesa, fra le diverse Chiese. L’ecumenismo è un criterio ermeneutico di come si sta assieme, non è solo trovare un punto di convivenza come fossimo, appunto, in un condominio.

Ancora una domanda, a partire dalla rivista che lei dirige. In questo tempo, di cui abbiamo brevemente parlato, si dovrebbe avvertire il bisogno di capire, di informarsi, di pensare, di dialogare, per affrontare un’era tanto complessa. Quale può essere il ruolo de Il Regno, così come di altri strumenti, per conoscere il mondo che ci circonda?

Oggi, lo sappiamo, è tutto più complicato. Anche sul versante comunicativo e della conoscenza. Pensiamo alla presenza dei social e delle nuove tecnologie, che forniscono strumenti e linguaggi e chiavi di lettura molto diversificati l’uno dall’altro ed è complicato frequentarli tutti contemporaneamente. Se le riviste mantengono ancora un valore, e io credo che sia così, devono essere luoghi di memoria, di documentazione, di analisi, di confronto. Noi abbiamo bisogno della storia delle parole: le parole hanno una storia, le parole hanno una memoria, hanno un dolore, portano una speranza. Noi abbiamo bisogno di trovare un linguaggio che sia di nuovo ascoltabile, condivisibile. Quindi memoria, lettura e interpretazione della realtà sono elementi fondamentali nella formazione delle persone, soprattutto dei giovani, in particolare nell’educazione, per stare dentro una realtà che è diventata – come si diceva – assai articolata. Tornando alle riviste, riconosciamo che in alcune stagioni della nostra storia hanno avuto un ruolo importante, persino militante e ideologico, oggi non è più così, ed è bene che non sia più così. Il ruolo attuale è semmai educativo, formativo, analitico: questo può essere il compito di una rivista e credo che Il Regno da questo punto di vista possa sviluppare ulteriormente la propria storia. Sir 8

 

 

 

 

 

Missioni di lingua italiana in Svizzera: la teologia e la pastorale dell’ospitalità

 

“Essere Chiesa oggi in Svizzera alla luce del nuovo fenomeno migratorio. Opportunità e sfide per una pastorale di comunione e di interculturalità”. Questo il tema del corso di aggiornamento promosso dalle Missioni cattoliche di lingua italiana (Mcli) tenutosi al Seminario vescovile di Bergamo dal 20 al 23 ottobre. In Svizzera vivono 650 mila italiani e circa il 40% della popolazione cattolica elvetica proviene dall’immigrazione, le missioni di lingua italiana sono 42 e vi operano 53 sacerdoti di cui 17 non italiani.

Il corso di aggiornamento 2025 segue quello del 2023 dal titolo “Per un noi sempre più grande. In cammino verso una pastorale interculturale” che stilò il documento finale la “Carta di Capiago” (dalla località vicina a Como dove si svolse) con il quale si volle esprimere un ulteriore segno della disponibilità delle Mcli per un condiviso percorso ecclesiale a partire dal documento “Verso una pastorale interculturale” della Conferenza dei Vescovi svizzeri (Cvs) e della Conferenza centrale cattolica svizzera (Rkz).

Nel soffermarsi su questo percorso il Coordinatore nazionale delle Mcli in Svizzera, don Egidio Todeschini, ha tra l’altro posto alcune domande tra le quali: “Quale sviluppo stanno vivendo le Mcli? Di quale tipo di presenza c’è bisogno? Quale equilibrio tra unità e diversità ovvero tra pastorale separata e pastorale d’insieme?”

Gli interrogativi sono stati ripresi nelle sessioni del convegno e sono stati al centro dei tre gruppi di confronto che hanno concluso i lavori.

Don Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, ha parlato delle Mcli in Svizzera come “laboratori di interculturalità” aggiungendo che oggi esse sono chiamate ad essere “segno visibile di una comunione che non è uniformità ma sinfonia”.

Isabel Vazquez, direttrice nazionale di Migratio, ha fatto pervenire un contributo su situazione prospettive della pastorale della migrazione in Svizzera illustrando la pubblicazione del “documento strategico” elaborato e approvato da Cvs e Rkz fondato su 14 principi fondamentali e dove si prevedono “nuove forme di pastorale più adatte alle realtà attuali”.

Hanno fatto seguito gli interventi di Urs Brosi, segretario generale Rkz, e Urs Corradini, diacono della diocesi di Basilea e “responsabile personale per preti altre nazioni e culture”. Il primo ha proposta una riflessione su due sfide di fronte alle quali si trova la Chiesa elvetica: gli abusi sessuali e la secolarizzazione. Il secondo ha condiviso la sua esperienza mettendo in rilievo l’impegno per una Chiesa aperta, accogliente, missionaria e ha aggiunto: “Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”.

Sul tema “Chiesa comunione nel contesto sociale ed ecclesiale di oggi” si è soffermato mons. Giancarlo Perego arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes. “Comunione e corresponsabilità non sono due realtà che chiudono, ma aprono alla missione. Per questa ragione il Sinodo della Chiesa universale ha tenuto insieme ‘Comunione, partecipazione e missione’”. L’arcivescovo ha quindi richiamato la centralità delle relazioni per un’autentica sinodalità.

A offrire ulteriori elementi di riflessione e di confronto sono state tre testimonianze: la prima della diocesi di Bergamo che, per voce di don Massimo Rizzi, ha presentato diverse iniziative di accoglienza; la seconda di don Gregorio Milone coordinatore di Mcli Germania che ha tra l’altro presentato il documento dei vescovi tedeschi “In cammino verso una Communio interculturale. Linee guida per la cura pastorale in altre lingue e riti” frutto di un ampio coinvolgimento; la terza di don Antonio Serra coordinatore Mcli Gran Bretagna che ha coniato il termine “ecotono” per indicare lo spazio di incontro, di dialogo, di condivisione tra due ecosistemi diversi. Un’immagine che si addice anche alla realtà elvetica.

A raccogliere il senso dei lavori del corso di aggiornamento è stato Salvatore Loiero, teologo, docente all’Università di Salisburgo che si è soffermato sulla teologia dell’ospitalità, una teologia che promuove e valorizza una reciprocità tra l’ospitante e l’ospite. Colui che ospita e colui che è ospitato si incontrano e camminano insieme nella pari dignità battesimale.

I tre gruppi di studio al termine del corso hanno sottolineato che nell’attuale contesto ecclesiale, culturale e sociale svizzero è importante che la dimensione spirituale promuova e sostenga ogni iniziativa pastorale; che l’integrazione non sia assimilazione ma valorizzazione piena delle diversità, che la corresponsabilità ecclesiale sia all’origine ogni processo ecclesiale così che fin dal suo nascere preveda il coinvolgimento di tutti e non solo di alcuni soggetti ecclesiali.

Particolarmente apprezzato il messaggio che del vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, che al termine della messa di chiusura del corso ha tra l’altro affermato che anche in un tempo di calo numerico dei sacerdoti ha personalmente deciso di inviare alcuni di loro come missionari in tutto il mondo, Europa compresa. Un messaggio che è stato accolto come incoraggiamento.

Il corso si è posto i sintonia con il cammino sinodale delle Chiese in Italia e con il cammino sinodale della Chiesa tutta e in questo contesto ecclesiale caratterizzato dalla comunione e dalla missione le Mcli hanno compiuto ulteriori passi avanti in due direzioni:  essere presenze vive e pastoralmente attive che si pongono con coraggio e profezia di fronte alle sfide del tempo; essere espressioni di una Chiesa sinodale, missionaria, fondata sulle relazioni profonde tra persone e comunità con sensibilità, storie e culture diverse.

In questa prospettiva, fatta di pensieri, discernimento e scelte si colloca per le Mcli in Svizzera l’appello sinodale alla “profezia”. Paolo Bustaffa) Migr. on 8

 

 

 

 

 

Leone XIV: la riforma silenziosa

 

In sei mesi di pontificato Leone XIV ha disegnato una Chiesa che si riforma attraverso il metodo: nomine coordinate, magistero unitario, dialogo costante. Dalla scelta del carmelitano Filippo Iannone alla guida del Dicastero per i vescovi all’attenzione per pace, educazione e intelligenza artificiale, emerge una riforma silenziosa ma profondamente strutturale – di Riccardo Benotti

In pochi mesi, Leone XIV ha delineato una guida sobria e coerente, segnata da attenzione ai processi e cura delle persone. Ogni parola, ogni gesto, ogni scelta risponde a un disegno chiaro, dove la visione non domina ma orienta. È un magistero che parla senza clamore, che genera fiducia e rafforza l’unità della Chiesa.

Il primo asse è il governo. Oltre novanta provviste episcopali in sei mesi non raccontano una corsa, ma un disegno. Le nomine arrivano a blocchi territoriali: l’Asia come cantiere di crescita, con quattro Province siro-malabaresi e la nuova diocesi cinese di Zhangjiakou; le Americhe come fascia pastorale e sociale, con nuove coperture in Messico e Brasile; l’Europa come laboratorio di governance, con unioni in persona Episcopi e traslazioni in Francia, Polonia e Belgio; l’Africa come terreno di crescita, dal Madagascar al Mozambico, dal Kenya alla Costa d’Avorio. È lo stesso principio dappertutto: non riempire sedi, ma accompagnare comunità. Prevalgono i vescovi diocesani, segno di una Chiesa che affida la guida pastorale a uomini radicati nella vita concreta, formati all’ascolto e alla corresponsabilità. In questo quadro assume particolare rilievo la nomina di mons. Filippo Iannone, carmelitano, a prefetto del Dicastero per i vescovi: un religioso alla guida di un organismo chiave della Curia romana, segno della volontà di unire discernimento spirituale e rigore pastorale, contemplazione e governo. È una scelta che mette al centro il metodo, la qualità delle nomine e il valore della struttura.

Ma dietro questa apparente armonia si intravedono anche le sfide. La Chiesa vive un tempo attraversato da tensioni interne ed esterne: la fatica di coniugare tradizione e innovazione, sinodalità e collegialità, missione e prudenza istituzionale si intreccia con le ferite del mondo. Dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente alla crisi del Sahel, dal dramma di Haiti alla violenza che lacera il Congo, Leone XIV richiama a non cedere al disincanto: “La pace è un desiderio di tutti i popoli, ed è il grido doloroso di quelli straziati dalla guerra”. Anche le dinamiche ecclesiali restano complesse: la ricezione della sinodalità, i rapporti con le Chiese orientali, la diplomazia del dialogo in contesti dove il riconoscimento civile non è scontato. Il Papa non rimuove queste difficoltà: le riconosce come parte del realismo evangelico, che non cerca una Chiesa senza contraddizioni ma capace di abitarle senza paura.

Il secondo asse è il magistero. Tutto il pontificato di Leone XIV mostra una parola che guida, ordina e accompagna: una trama di significati che si richiamano. In Dilexi te, l’amore verso i poveri diventa principio di riforma e chiave di lettura del Vangelo. È un magistero che scende nella carne del mondo, dove “sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo”. Nella lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, l’educazione diventa la via concreta della carità: “Educare è un atto di speranza e una passione che si rinnova perché manifesta la promessa che vediamo nel futuro dell’umanità”. È una visione che unisce misericordia e cultura, pastorale e pensiero, e che restituisce al magistero la sua funzione più alta: formare coscienze e orientare la storia. La riflessione sull’intelligenza artificiale si colloca in questa stessa prospettiva: “Il punto decisivo non è la tecnologia, ma l’uso che ne facciamo”. Non una condanna, ma un discernimento: la ricerca di un uso etico e umano dell’innovazione come nuova frontiera spirituale.

Le udienze generali confermano questa coerenza. Il ciclo “Gesù Cristo nostra speranza” prosegue e approfondisce il cammino catecumenale, con un linguaggio concreto e simbolico. La speranza, per Leone XIV, non è emozione ma architettura spirituale. E la costruzione quotidiana della Chiesa – attraverso decisioni, incontri e segni di comunione – diventa la forma visibile di questa teologia in atto. Tra i più ricevuti da Leone XIV spiccano il cardinale Baldassare Reina, per Roma, e i cardinali prefetti Víctor Manuel Fernández, Michael Czerny, Luis Antonio Tagle e Giordano Piccinotti. Sono volti che tornano con regolarità nel calendario delle udienze, a conferma di un modello di governo che privilegia la continuità del dialogo più che la rapidità delle decisioni.

Il pontificato di Leone XIV è dinamico. Tra riforme e resistenze, visioni e tensioni, mostra una Chiesa che cresce nel confronto. Dopo i primi sei mesi, la direzione sembra tracciata: una Chiesa sobria, pensata, dialogante, capace di abitare la complessità senza paura. Una teologia della speranza istituzionalizzata, in cui Cristo resta al centro, i poveri il criterio, l’educazione la via, la pace lo stile e la comunione la struttura. Leone XIV non cambia la Chiesa: la aiuta a camminare. Sir 8

 

 

 

 

 

A colloquio con Mons. Ettore Balestrero, Nunzio Apostolico presso l’Onu

 

In un tempo segnato da conflitti, crisi globali e rapide trasformazioni, la presenza della Santa Sede nel contesto multilaterale rappresenta una voce di dialogo, di pace e di speranza. Abbiamo incontrato Sua Eccellenza Monsignor Ettore Balestrero, Nunzio Apostolico della Santa Sede presso l’ONU e le Organizzazioni internazionali a Ginevra, con cui abbiamo parlato del ruolo della diplomazia vaticana, della difesa della dignità umana e delle sfide che attendono la comunità internazionale.

D. Eccellenza, partiamo dal suo ruolo: La Santa Sede è presente all’ONU come Osservatore Permanente, ma con una voce che spesso ispira riflessione e dialogo. Come descriverebbe la missione della Santa Sede in questo contesto internazionale così complesso?

R. Esattamente 60 anni fa San Paolo VI definì la Santa Sede "esperta in umanità". Essa preferisce lo status di Osservatore all’ONU (pur essendo Stato Membro di organizzazioni cruciali come l'OIM, l’OMPI, l'UNCTAD, il Comitato esecutivo dell’ACR e di varie Convenzioni sul disarmo), ma ciò non implica affatto un atteggiamento passivo. Al contrario, lo status di Osservatore è strategicamente privilegiato per mantenere la specificità della Santa Sede e affinché essa continui ad offrire una prospettiva super partes, libera dal pur legittimo calcolo politico.

È una sorta di “soft power", perché non si basa sulla potenza militare o economica, ma sulla capacità di persuadere attraverso argomenti etici e morali. Si sforza, cioè, di parlare e di dare voce alle coscienze, a servizio del bene comune e focalizzandosi sulla dimensione etica delle questioni globali. Vuole promuovere la dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale, e sostenere la voce dei "vivi" – in particolare i vulnerabili e i poveri – ma anche quella dei "morti", come le vittime innocenti di guerre, persecuzioni e naufragi. Al centro di tutto vi è la visione cristiana della persona, creata a immagine e somiglianza di Dio.

D. In un’arena dove prevalgono interessi geopolitici, come riesce la Santa Sede a mantenere viva una voce morale e spirituale capace di incidere nelle decisioni globali?

R. Attraverso la sua dottrina, che contribuisce a che ciò che è giusto e buono possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato. In un mondo in rapido cambiamento e sempre più teso, dove le domande sul senso della vita e sui limiti della convivenza sociale si fanno incalzanti, le risposte offerte sono spesso egoistiche e poco convincenti. Il vuoto si fa sempre più evidente. Per questo, a Ginevra la dottrina sociale della Chiesa interessa anche coloro che non credono. È comune guardare al Papa come all'istanza etica più autorevole, credibile e compassionevole, cercando lumi per salvaguardare l'umanità e dare un senso al suo futuro.

Il messaggio della Santa Sede si fonda su principi universali – dignità, solidarietà, bene comune - che in ultima istanza provengono da Dio e, proprio per questo, trascendono culture e religioni.

D. Papa Francesco parlava spesso del “dialogo come unica via per la pace”. Come si traduce, concretamente, questo principio nel lavoro diplomatico che la Santa Sede svolge a Ginevra e nel mondo?

R. Qui a Ginevra il principio del dialogo si concretizza nella promozione della vita umana, dello sviluppo, della pace e delle persone vulnerabili. In situazioni di crisi o di tensioni, la Santa Sede agisce come facilitatrice del dialogo, spesso in modo discreto. Di recente, per esempio, durante il negoziato della Conferenza Ministeriale dell’UNCTAD, la Santa Sede ha svolto un ruolo di facilitatore tra Paesi con visioni completamente differenti in merito all’approccio allo sviluppo economico e alle sanzioni. Così facendo, è stato possibile raggiungere un risultato importante in questo periodo storico: una dichiarazione finale consensuale fra i 195 Stati membri.

D. La Santa Sede partecipa attivamente ai dibattiti sui diritti umani. Come si concilia la visione cristiana della persona con le diverse sensibilità culturali e ideologiche che emergono nel contesto delle Nazioni Unite?

R. Il punto di conciliazione e di collaborazione è il rispetto della dignità umana, intesa come espressione della natura comune a tutti, aldilà di ogni cultura o ideologia. Tuttavia, affinché questa dignità possa essere un vero punto d’incontro, deve essere concepita in "senso forte". Non come un "fatto" interpretabile a piacimento, ma quale impronta della dignità di Dio stesso, che ha reso la natura umana portatrice di una norma morale implicita da rispettare anche a livello legislativo. Fuori da questa concezione - che non separa ciò che è buono e vero da ciò che è profondamente radicato nella natura umana - l'universalità, l'inviolabilità e l'inalienabilità dei diritti umani sono messe in crisi, poiché dipenderebbero dal più forte e dagli interessi divergenti.

D. Molti osservano con preoccupazione la crisi delle istituzioni internazionali e del dialogo tra Stati. Dal punto di vista della Santa Sede, come si può ridare fiducia e slancio al multilateralismo?

R. La “ricetta” sarebbe semplice: restituire il primato assoluto alla dignità umana e al bene comune. Lo si ripete come un mantra, ma solo a fatica e raramente lo si riesce a realizzare, in un mondo dove gli Stati spesso lottano strenuamente per conservare le proprie posizioni o per rafforzarle a qualsiasi prezzo. Tuttavia, siamo tutti connessi e i problemi globali esigono la cooperazione di tutti. Quindi, è necessario lavorare affinché questa “ricetta” si faccia strada, portando a soluzioni condivise. Ginevra è una città privilegiata per alimentare tali processi, in quanto il lavoro internazionale è più tecnico che altrove, e ciò consente di raggiungere risultati concreti, superando la dimensione meramente politica dei problemi. Carmelo Vaccaro, Saig 8

 

 

 

 

 

Gli oratori oggi più che mai luogo necessario

 

Un saggio di Alessia Ardesi sugli oratori in Italia -Di Caterina Maniaci

Roma. Ci aveva pensato già san Filippo Neri, nella tumultuosa Roma del Cinquecento, a prendersi cura dei bambini e ragazzi vaganti per la giungla cittadina, orfani, abbandonati, cresciuti per strada, destinati ad una vita marchiata. Poi, nell’Ottocento, san Giovanni Bosco concepisce la forma “moderna” dell’oratorio, luogo di crescita, di amicizia, di valorizzazione. Così è stato e continua ad essere.  A questo punto arrivano i ricordi a delineare quelli dell’oratorio come tra gli anni più felici, sereni…Giorni fatti di giochi, di film visti insieme ad una platea di ragazzini rumoreggianti, corse nei cortili, le preghiere, i libri presi in prestito, e persino colori e profumi: quelli dei rotoli di liquirizia che si compravano con dieci, venti lire nel minuscolo negozietto ricavato nell’atrio dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le salesiane della grande famiglia creata da Don Bosco, e le collanine fatte di piccole caramelline colorate di zucchero che si infilavano al collo e poi piano piano si sgranocchiavano finché rimaneva solo il filo elastico… Ricordi teneri e grati, perché quelle gioie, quella fiducia e speranza sono nate in quei pomeriggi infiniti, e sono stai, e saranno ancora piccole luci nel buio di stagioni dolorose della vita.

Ci sono stati anni in cui gli oratori, come le parrocchie e altri luoghi di “formazione” per intere generazioni sembravano eclissarsi, quasi sull’orlo dell’estinzione. Non è accaduto, anzi ci sono segnali di un rinnovato interesse e di vitalità. Lo testimonia un libro appena uscito, che accogliamo con  grande interesse. “L’oratorio è un luogo dove non c’è solitudine, ma una moltitudine, dove c’è gioia, divertimento, dinamismo, non c’è spazio per la tristezza", scrive il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella sua prefazione al saggio  Oratorio Italia. Viaggio nel paese del bene di Alessia Ardesi. Dal saggio emerge il ritratto di una realtà vitale, capace, come sempre,  di accogliere moltissimi giovani, di offrire loro  valori e relazioni, salvandoli dalla solitudine, dalle devianze, dalla disperazione. L'autrice racconta un’Italia molto diversa da quella della cronaca nera,  composta di piccole, grandi storie di coraggio e di speranza. Nello stesso tempo propone una accurata storia di un'istituzione che, con l'apporto di grandi figure, come quella di San Filippo Neri e di San Giovanni Bosco, non ha smesso di evolversi e  di operare per la crescita umana e cristiana dei giovani. "Non è vero - scrive Ardesi- che gli oratori non esistono più. Ce ne sono meno come luoghi fisici. Eppure la fabbrica del bene comune non ha mai chiuso". In effetti, le ultime ricerche (per la verità un po’ datate) circa 6.000  oratori censiti nel 2013, la metà in Lombardia). Ma bisogna tener conto di molte altre realtà dell’associazionismo, che per fortuna è davvero una grande rete salvifica che attraversa il nostro Paese.

“Questa realtà – si legge ancora nella prefazione del cardinale Parolin - ha una particolarità unica e fondamentale: al centro c’è Cristo, mediato dalla parrocchia e da quanti vi prestano servizio, a cominciare dai parroci e dai loro collaboratori". E con questo fulcro che è Gesù, anche i luoghi più semplici, le strutture più disadorne, i campetti più essenziali sanno diventare quella che il segretario di Stato definisce "una palestra privilegiata per l'educazione delle nuove generazioni, per aprirsi alla vita, alla socialità". 

Troviamo poi una ricca sezione dedicate alle testimonianze di molte persone che all'oratorio hanno iniziato a formare la propria personalità, a vivere grandi amicizie e a comprendere quale sarebbe stata la strada da intraprendere nel futuro. Tra questi anche alcuni noti calciatori, come Gianni Rivera, cresciuto in un oratorio salesiano: "Era l’unico posto dove potevamo giocare senza che i vigili ci portassero via il pallone". O di Sandro Mazzola, e poi politici, stilisti e imprenditori che negli oratori hanno compiuti i primi passi e hanno un debito di riconoscenza per quelle esperienze che, come sottolinea Aldo Cazzullo nella sua postfazione, del grande lavoro che i sacerdoti e la Chiesa svolgono per i giovani e per la società, spesso sopperendo all’assenza dello Stato, in silenzio, nell’interesse comune, non solo dei fedeli, rivelando “un’Italia pudica, che non si esibisce, non parla, non grida. (…) abituata a credere, a lavorare, a pregare, a prendersi cura degli altri, non solo dei propri figli e dei propri nonni ma di tutti i bambini, di tutti gli anziani, di ogni persona della comunità".

Il  saggio della Ardesi mette in evidenza anche l'evoluzione che l'oratorio sta sperimentando nell'Italia di oggi: "Interculturalità e immigrazione; nativi digitali; emarginazione: sono tra le sfide decisive " con le quali anche l’oratorio deve fare i conti. Per continuare a giocare, studiare, fare amicizia, senza pregiudizi e con spirito di vera condivisione. Per provare quella felicità che, chiunque abbia passato del tempo in oratorio,  capisce di cos’è fatta e che non passerà mai CI (

 

 

 

 

Cei: “le vite dei bambini troppo spesso asservite agli interessi dei grandi”

 “Le vite dei bambini vengono molto spesso asservite agli interessi dei grandi”. È la denuncia contenuta nel Messaggio per la 48ª Giornata nazionale per la Vita, che si celebrerà il 1° febbraio 2026 sul tema “Prima i bambini!”. I vescovi italiani richiamano l’attenzione sulle molteplici forme di violenza e sfruttamento che colpiscono i piccoli: “uccisi, mutilati, resi orfani, privati della casa e della scuola, ridotti alla fame” come effetto di bombardamenti indiscriminati; “rapiti e utilizzati come ‘carne da cannone’” nei conflitti dimenticati; “fabbricati in laboratorio per soddisfare i desideri degli adulti”, a cui “viene negato di poter mai conoscere uno dei genitori biologici o la madre che li ha portati in grembo”. Nel testo si ricordano anche i bambini cui “viene sottratto il fondamentale diritto di nascere”, quelli coinvolti in separazioni e divorzi, le vittime di abusi, lavoro minorile e tratta, fino ai minori “costretti a migrazioni faticose e pericolose”. “In questi e altri casi – scrive la Cei – l’interesse che prevale è quello dell’adulto, cioè del più forte, del più ricco, del più istruito, capace di mascherare il proprio egoismo dietro parole politicamente corrette e falsamente altruiste”. “La pace, la libertà, la democrazia, la solidarietà – aggiungono i vescovi – non possono che iniziare dai più piccoli”.

“Ogni persona che mette al mondo dei bambini o si occupa dei piccoli – genitori, nonni, insegnanti, catechisti, persone consacrate, famiglie affidatarie – dovrebbe sentire la simpatia e la stima degli altri adulti, perché il servizio al sorgere della vita è garanzia di bene e di futuro per tutti”. È quanto ancora afferma il Consiglio episcopale permanente della Cei nel Messaggio per la 48ª Giornata nazionale per la Vita, diffuso oggi sul tema “Prima i bambini!”. I vescovi invitano a una “vera conversione, nel duplice senso di ‘ritorno’ e di ‘cambiamento’”: riscoprire la cultura della generatività e abbandonare “le cattive inclinazioni di una società narcisista e indifferente”, in cui “gli adulti sono troppo occupati da loro stessi per fare davvero spazio ai bambini”. Per la Cei, “dove una società smarrisce il senso della generatività, servendosi dei figli invece di servirli, si imbarbariscono esponenzialmente anche le relazioni tra gli adulti – persone e comunità – dando spazio alla ricerca egoistica e violenta dei propri interessi”. Il Messaggio invita a un “serio esame di coscienza, basato sul punto di vista dei piccoli nelle questioni che li riguardano”, e a chiedere loro “come vorrebbero che andassero le cose”. Riccardo Benotti, Sir 7

 

 

 

 

Firmata la nuova Charta Œcumenica: “Un passo storico verso l’unità”

 

Presentata a Roma la nuova Charta Œcumenica, firmata da Cec e Ccee. Frutto di un ampio processo di revisione, il documento rinnova l’impegno delle Chiese europee per l’unità, la pace, la giustizia, il dialogo interreligioso e la cura del creato. Al centro, la testimonianza cristiana condivisa e l’ascolto delle nuove generazioni - M. Chiara Biagioni

Con “un passo storico verso l’unità dei Cristiani”, la versione aggiornata della Charta Œcumenica è stata presentata il 5 novembre a Roma nella Chiesa del martirio di San Paolo presso l’Abbazia delle Tre Fontane a Roma, dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dalla Conferenza delle Chiese europee (Cec). Frutto di “un lungo e meticoloso processo di revisione iniziato nel 2022”, “questo documento congiunto – scrivono i due organismi europei in un comunicato – segna una tappa fondamentale nel cammino ecumenico delle Chiese europee, rinnovando il loro impegno a camminare insieme nel dialogo, nella comprensione reciproca e nella testimonianza condivisa in risposta alle sfide del nostro tempo”. La Charta aggiornata è stata firmata dall’Arcivescovo Nikitas di Thyateira e Gran Bretagna, presidente del Cec, e da mons. Gintaras Grušas, Arcivescovo di Vilnius e presidente del Ccee. Insieme, hanno rinnovato “il loro impegno a costruire ponti tra le Chiese in Europa”.

“Questa Charta Œcumenica è una chiamata alla coscienza e alla cooperazione”, ha affermato l’arcivescovo Nikitas. “Il nostro impegno reciproco come Chiese non è astratto, ma si fonda su una fede condivisa, vissuta nel dolore, nella divisione e nella speranza. In un’Europa frammentata e secolarizzata, la Charta ci spinge a riscoprire la forza della nostra comunione e l’urgenza della nostra missione”.

“Dobbiamo proclamare insieme il Vangelo, sostenere la dignità umana e lavorare fianco a fianco per la giustizia, la pace e la cura del creato. Questa è la nostra vocazione ecumenica: non solo parlare di unità, ma viverla”.

L’arcivescovo Grušas ha sottolineato che l’aggiornamento della Charta arriva in un momento cruciale per il cammino dell’Europa. “Le nostre Chiese sono chiamate a essere segni di unità e di speranza, non solo a parole ma anche nei fatti. Questa Charta ci permette di rispondere insieme alle ferite della guerra, agli sfollamenti e alle sfide etiche poste dalle nuove tecnologie. Ci esorta a camminare con umiltà, ad affrontare i fallimenti del passato ed a creare spazi di guarigione e riconciliazione. Ci invita, inoltre, ad ascoltare le voci dei giovani e a coinvolgerli nell’ideazione del percorso futuro. Siamo più forti quando siamo uniti”.

Il documento affronta le urgenze del mondo di oggi, tra cui la ricerca di pace e della riconciliazione, l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, la salvaguardia urgente del creato e il rafforzamento delle relazioni con le comunità ebraiche e musulmane. Firmata per la prima volta nel 2001, a Strasburgo, questa versione della Charta è stata sviluppata attraverso un ampio e inclusivo processo di consultazione che ha coinvolto Chiese, conferenze episcopali e organizzazioni ecumeniche in tutta Europa e oltre.

“Sebbene non abbia alcuna autorità legale o dottrinale – precisano Cec e Ccee -, la sua forza risiede nell’impegno morale e spirituale delle Chiese a riceverla e ad applicarla liberamente e in modo congiunto”.

Il testo si divide in 4 paragrafi: il primo è dedicato al tema “Crediamo nella “una santa chiesa cattolica e apostolica” – “Chiamati insieme all’unità nella fede”. Il secondo ha per titolo “In cammino verso l’unità visibile delle chiese”, in cui i cristiani di tutte le Chiese sono invitati a “muoversi gli uni verso gli altri”; “Testimoniare insieme”, “Proseguire nel dialogo e agire insieme” e soprattutto a dare spazio ai “giovani nelle Chiese e nell’ecumenismo”. Il terzo paragrafo affronta i diversi “Ambiti di incontro in Europa”, esortando le Chiese a “partecipare alla costruzione dell’Europa in un mondo che cambia”, a “rafforzare le relazioni con gli ebrei e l’ebraismo”, “i musulmani e l’Islam” e a “interagire con altre religioni e visioni del mondo”. Nel quarto paragrafo vengono indicati i diversi “Ambiti di responsabilità e impegno condivisi in Europa”: impegno per la pace e la riconciliazione; salvaguardia del creato; migranti, rifugiati e sfollati; impegno con le nuove tecnologie.

“Al centro di tutto – spiegano Cec e Ccee – c’è l’impegno a offrire una voce cristiana unita nella sfera pubblica, basata sulla compassione, sulla giustizia e sulla responsabilità condivisa per il futuro dell’Europa”. “Con uno spirito di umiltà e speranza – scrivono ancora i due organismi ecumenici europei -, la Charta aggiornata non esita ad affrontare le ferite del passato e i fallimenti istituzionali. Al contrario, offre una rinnovata chiamata alla guarigione, alla responsabilità e alla trasformazione, esortando i Cristiani a vivere la loro unità attraverso azioni e testimonianze concrete”. Sir 6

 

 

 

 

“La Risurrezione di Cristo fondamento della fede”

 

“L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia" - Di Veronica Giacometti

Città del Vaticano. Tornano le catechesi dell’Anno Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza” e questo mercoledì Papa Leone XIV parla in particolare della “Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. La Pasqua dà speranza alla vita quotidiana”.

In Piazza San Pietro il Pontefice incontra i tanti pellegrini e dice loro che ogni giorno è Pasqua: “La Pasqua di Gesù è un evento che non appartiene a un lontano passato, ormai sedimentato nella tradizione come tanti altri episodi della storia umana. La Chiesa ci insegna a fare memoria attualizzante della Risurrezione ogni anno nella domenica di Pasqua e ogni giorno nella celebrazione eucaristica”.

“Sperimentiamo ora per ora tante esperienze diverse: dolore, sofferenza, tristezza, intrecciate con gioia, stupore, serenità. Ma attraverso ogni situazione il cuore umano brama la pienezza, una felicità profonda”, commenta il Papa.

“L’annuncio pasquale è la notizia più bella, gioiosa e sconvolgente che sia mai risuonata nel corso della storia. Essa è il “Vangelo” per eccellenza, che attesta la vittoria dell’amore sul peccato e della vita sulla morte, e per questo è l’unica in grado di saziare la domanda di senso che inquieta la nostra mente e il nostro cuore. L’essere umano è animato da un movimento interiore, proteso verso un oltre che costantemente lo attrae. Nessuna realtà contingente lo soddisfa”, dice Leone.

“E in Lui noi abbiamo la sicurezza di poter trovare sempre la stella polare verso cui indirizzare la nostra vita di apparente caos, segnata da fatti che spesso ci appaiono confusi, inaccettabili, incomprensibili: il male, nelle sue molteplici sfaccettature, la sofferenza, la morte, eventi che riguardano tutti e ciascuno. Meditando il mistero della Risurrezione, troviamo risposta alla nostra sete di significato. Davanti alla nostra umanità fragile, l’annuncio pasquale si fa cura e guarigione, alimenta la speranza di fronte alle sfide spaventose che la vita ci mette davanti ogni giorno a livello personale e planetario”, commenta il Pontefice.

“La Risurrezione di Cristo non è un’idea, una teoria, ma l’Avvenimento che sta a fondamento della fede”, conclude il Papa questa catechesi. Aci 5

 

 

 

 

 

“Inappropriato usare il titolo di Corredentrice” per Maria

 

Presentato con una conferenza stampa il Documento dottrinale su alcuni titoli mariani riferiti alla cooperazione di Maria all’opera della salvezza: il titolo “Mater Populi fidelis” - Di Antonio Tarallo

Città del Vaticano. Una conferenza stampa necessaria, quella di oggi, presso la Curia Generalizia dei Gesuti. Ad organizzarla, il Dicastero della Dottrina della fede che ha diffuso oggi la Nota dottrinale su alcuni titoli mariani riferiti alla cooperazione di Maria all'opera della salvezza: il titolo “Mater Populi fidelis”, “Madre del popolo fedele”, approvata e firmata da papa Leone XIV, il 7 ottobre 2025, nella “Memoria Liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario”, e firmata dal cardinal Víctor Manuel Fernández, prefetto dello stesso dicastero vaticano. Il documento presenta anche la firma di monsignor Armando Matteo, Segretario per la Sezione Dottrinale.

“Madre del popolo fedele”: e proprio al centro del documento e dell'intervento del cardinale Fernández nella conferenza stampa è la maternità di Maria. L'intervento del prefetto si è concentrato, infatti, soprattutto sulla maternità di Maria. E sulla devozione mariana. Parla di popolo di Dio, il porporato, evidenziando la fede e devozione “dei semplici”. E in questa devozione è da trovarsi anche la Vergine Maria sotto l'aspetto storico. Un altro punto evidenziato in conferenza: la devozione non è “esperienza individualistica” perché vive dell'esperienza “comunitaria” sottolinea Fernández. Poi, si concentra sul documento e, in particolare, su quella che può essere considerata la vexata quaestio del termine “Corredentrice” riferito a Maria. Un termine che non rispetta l'“armonia del messaggio cristiano”. Due, i fondamentali testi della Scrittura che evidenziano l'inappropriatezza del termine. Il primo, Atti degli Apostoli al capitolo 4,12: “In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”. Il secondo testo, la Lettera di san Paolo a Timoteo (5,6) : “Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini: l'uomo Gesù Cristo che ha dato sé stesso in riscatto per tutti”. Questa, la Scittura. Dunque, non è possibile parlare di “Corredentrice”. Semmai si può parlare di una “mediazione partecipata” sottolinea il prefetto.

Presente alla conferenza anche don Maurizio Gronchi, professore ordinario alla Pontificia Università Urbaniana, oltre che consultore del dicastero. Gronchi ha esposto, nel particolare, i punti salienti del documento. Fa riferimento al documento del Dicastero: "Nella Feria IV del 21 febbraio 1996, il Prefetto dell'allora Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, alla domanda se fosse accettabile la richiesta del movimento Vox Populi Mariae Mediatrici, in vista di una definizione del dogma di Maria come Corredentrice o Mediatrice di tutte le grazie, così rispose nel suo votum particolare: «Negativo. Il significato preciso dei titoli non è chiaro e la dottrina ivi contenuta non è maturazione Una dottrina definita de fide divina appartiene al depositum fidei, cioè alla rivelazione divina veicolata nella Scrittura e nella tradizione apostolica”. Dunque, in sintesi: "Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell'opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l'unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può  generare e squilibrio nell'armonia delle verità della fede cristiana, perché «in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Ancora una volta si fa riferimento agli Atti degli apostoli, al capitolo 4.

In ultimo, altro titolo approfondito: “Mediatrice”. E in merito a questo, Gronchi - ancora una volta - cita il documento del Dicastero: "Nel Concilio Vaticano II, il termine di mediazione si riferisce soprattutto a Cristo e, talvolta, anche a Maria, sebbene in maniera chiaramente subordinata. Di fatto, in riferimento a Lei si preferì usare una terminologia differente, incentrata sulla cooperazione o sul soccorso materno". E ancora: "La partecipazione di Maria all'opera di Cristo risulta evidente se si parte da questa convinzione che il Signore risorto promuove, trasforma e abilita i credenti affinché collaborino con Lui nella Sua opera. Ciò non avviene per una debolezza, incapacità o necessità di Cristo stesso, ma proprio per la sua gloriosa potenza, che è capace di coinvolgerci, con generosità e gratuità, come collaboratori della sua opera".

In estrema sintesi, la "Nota" non fa altro che ribadire ciò che la dottrina cattolica già insegna e che ha sempre messo bene in luce: come tutto in Maria sia indirizzato alla centralità di Cristo e alla sua azione salvifica.  Aci 4

 

 

 

 

 

A perenne ricordo di tutti i nostri defunti

 

Kempten. Sabato, 1° novembre 2025, nella chiesa di St. Anton di Kempten, dalle 16:30 alle 18:00 sono stati onorati Tutti i Santi e ricordati tutti i Defunti, in particolar modo tutti i nostri cari Congiunti e Amici della nostra Comunità Cattolica Italiana di Kempten e dintorni. La Celebrazione ha avuto inizio con la recita del S. Rosario, diretto dalla Signora Leanza.

La S. Messa è stata celebrata dal Rettore delle Missioni di Augsburg e Kempten, Padre Bruno Zuchowski, che, nella sua Omelia –a braccio– ricordando tutti i Santi e spiegandone la loro pecularietà, non ha mancato di ricordare –in particolar modo–tutti in nostri cari che ci hanno preceduto nella vita eterna; i ritratti dei quali erano stati disposti davanti all'altare precedentemente. Fotografie  che rimarranno  in chiesa per tutto il mese di Novembre.

"I Santi", ha chiarito Padre Bruno, "Santi non sono soltanto coloro che sono stati riconosciuti e proclamati nel corso dei secoli dalla Chiesa; Santi sono anche tutti coloro che, avendo vissuto rettamente la propria vita, avendo amato, goduto di momenti lieti, ma anche di tristi situazioni  –confidando costantemente nell'aiuto del Signore–, (confidando nella Divina Provvidenza, come ricordava nel suo celebre romanzo I Promessi Sposi il Manzoni), adesso godono della Sua ineffabile visione e ci attendono –nell'ora in cui Egli vorrà – per raggiungerli ed essere per sempre con tutti loro, in un modo che, noi, su questa terra, non possiamo, nemmeno lontanamente, immaginare, ma solo fermamente sperare, in base alla nostra fede.

Al termine della Celebrazione sono stati dati anche alcuni avvisi sulle prossime attività della Missione da parte della Segretaria della Missione, Signora Giuseppina Baiano, che ha letto anche un saluto di Don Giampiero Fantastico, il Missionario che –per sette anni–  ha supportato Padre Bruno, celebrando spesso la S. Messa per la nostra Comunità. La Segretaria ha inoltre comunicato che il 2 Novembre ci ritroveremo alle 16:00, per la recita del S. Rosario e per le preghiere per i nostri morti, nella Cappella del Cimitero Cattolico della nostra città, dato che è prevista pioggia. Padre Bruno ha aggiunto anche che è sua intenzione, poi, visitare tutte le tombe dei nostri cari, anche nell'adiacente Cimitero Centrale.

I canti sono stati diretti –come sempre– dal Presidente del Consiglio Pastorale, Signor Giampiero Trovato, coadiuvato dal figlio Ruben e dalla Signora Gisella, che ha curato amorevolmente la sistemazione delle fotografie dei nostri defunti.

Nella mattinata del 2 Novembre, io, non ho mancato di assistere alla Celebrazione della S. Messa nella Basilica di St. Lorenz in ricordo dei Defunti. Anche il Parroco, il Capitolare, Padre Thomas Rauch, ha ripreso con tanti azzeccati paralleli l'argomento riguardante i nostri cari scomparsi, che –come già affermato sopra– ci attendono, nel momento in cui il Signore vorrà, per godere insieme con essi –in eterno– la Sua visione. Nel corso del sacro Rito la Sacrista Antonia Kunze e uno dei chierichetti hanno acceso un lumino ad ogni nome di defunto nominato dal Celebrante. Lumini, che molti dei presenti ci siamo portati a casa a ricordo della Commemorazione.

Il pomeriggio dello stesso 2 novembre infine –come detto precedentemente– la nostra Comunità si è incontrata nella Cappella del Cimitero Cattolico, dove insieme ad altre preghiere dedicate, specificatamente a ricordo dei Defunti, è stato recitato il S. Rosario, al termine del quale il gruppo dei presenti abbiamo visitato alcune decine di tombe nei due cimiteri cittadini. Tombe davanti alle quali abbiamo recitato il Padre Nostro e l'Eterno Riposo conclusi con la Benedizione da parte di Padre Bruno.

Al termine il Rettore, la Signora Mangano e io ci siamo accomiatati dal resto del gruppo e abbiamo continuato la serata con una piacevole e gustosa cena nel ristorante Lagune delle nostre Amiche Angela e Cettina Leocata. Titolari ricordate nel recente Opuscolo pubblicato dalle ACLI BAVIERA in collaborazione con l'Amministrazione Comunale di Kaufbeuren e in concomitanza con le Celebrazioni del 70° dei Patti Bilaterali tra Germania e Italia per l'invio di manodopera da parte di ques'ultima. Poi, siamo ritornati ognuno a casa nostra, un po' stanchi, ma contenti per aver pensato ai nostri cari scomparsi, ma non per sempre! Defunti sempre vivi nei nostri pensieri.

Fernando A. Grasso, membro del Consiglio Pastorale

 

 

 

 

Note storiche, le Grotte Vaticane dove sono sepolti i Pontefici

 

Storia, arte, devozione, in un complesso intreccio tra antico e moderno accanto al sepolcro di Pietro. Di Angela Ambrogetti

Città del Vaticano. Papa Leone XIV ieri pomeriggio si è recato nella Grotte Vaticane per un omaggio ai Pontefici defunto che sono seppelliti in quel luogo e ovviamente alla tomba del primo Pontefice, San Pietro. 

Ma cosa sono esattamente le Grotte? Quando la Basilica Vaticana venne riedificata a partire dal 1506 Antonio da Sangallo il giovane ebbe l'idea di rialzare il pavimento di tre metri, ma si deve arrivare alla fine del secolo per vedere creato questo spazio che però era una cripta chiusa. É dal 1600 che le Grotte iniziano a diventare quello che sono ora. Nascono le cappelle e gli oratori con opere d'arte e antiche vestigia recuperate tutto intorno alla tomba di Pietro. In tempi più moderni inizia anche l'uso delle Cappelle Nazionali. Per i Pontefici era significativo farsi seppellire "acconto" a San Pietro. E così per la sepoltura di Pio XI si iniziarono anche degli scavi che diedero nuova luce alla tomba dell' Apostolo. Così le Grotte vennero restaurate per diventare come le vediamo oggi. Ma sotto alle Cappelle c'è anche la Necropoli romana. Quella dove era appunto la tomba di Pietro. Oggi si visitano sia le Grotte con l'arte barocca e contemporanea, sia la zona della Necropoli romana con un percorso quindi sia devozionale sia archeologico di grande significato. 

La basilica vaticana sorge sul luogo della tomba di Pietro, in una necropoli lungo la via Trionfale bene lontana da quello che al tempo era il centro della città. Il Vaticano era un luogo malsano e nella zona c'erano solo alcune ville e molte tombe. 

La cristianità ha cambiato tutto e, secondo le abitudini dei primi cristiani, era molto importante essere sepolti vicino un martire. Da qui l'interesse per rendere le Grotte un luogo speciale. 

Oggi, nell'itinerario di visita, si arriva anche a delle sale museo che spiegano e raccontano la storia di questi luoghi e che permettono una devozione continua. Ogni giorno si celebrano messe in tutte le Cappelle e gli oratori, ogni giorno si prega davanti alla tomba di qualche pontefice, ogni giorno si rivolge il pensiero al Pescatore di Galilea. Rilievi, iscrizioni, sarcofagi, statue, mosaici, affreschi, sono al di sotto della grande basilica, in due livelli. Il primo quello delle Grotte, e più in basso quello della Necropoli. La storia di Roma e della Chiesa scorre tra queste pietre. Aci 4

 

 

 

 

 

 

Avvento: un cammino di volti, per scoprire il significato dell’attesa

 

Il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, nell’ambito di Uniti nel dono, propone quest’anno un modo nuovo di vivere l’Avvento.

Un villaggio contemporaneo per attendere il Natale, un percorso quotidiano fatto di personaggi, parole, storie e condivisione che accompagna i fedeli fino al 25 dicembre.

Attraverso due strumenti complementari, uno cartaceo e uno digitale, l’iniziativa invita a riscoprire l’attesa come cammino concreto e attivo verso il Natale.

Il calendario cartaceo, proposto quest’anno in una modalità del tutto inedita, riprende la tradizione del calendario dell’Avvento per trasformarla in un racconto contemporaneo: un villaggio illustrato che prende vita giorno dopo giorno, popolato da persone e storie di oggi.

Ogni personaggio rivela un volto, un gesto, una parola, collegandosi attraverso QR code alle testimonianze reali di sacerdoti e comunità, segni vivi della Chiesa che cammina nel mondo.

Accanto alla versione cartacea, il calendario digitale propone ogni giorno una nuova pagina da scoprire: un personaggio del presepe contemporaneo, la storia di un sacerdote, il Vangelo del giorno e, ogni domenica, un dono speciale per rilanciare il cammino di attesa condividendo un particolare momento di riflessione. Un appuntamento quotidiano che accompagna il credente nel ritmo dell’Avvento, ricordando che “attendere è andare verso”.

Sin dal 1° novembre è possibile iscriversi alla piattaforma dedicata - unitineldono.it/calendarioavvento - per accedere al calendario e ricevere, a partire dal 30 novembre, una newsletter che guiderà giorno dopo giorno nel cammino di attesa.

Sulla pagina sarà inoltre possibile seguire il percorso, scaricare i materiali (mappa e personaggi da stampare) e condividere l’esperienza con l’hashtag #andareverso.

Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, sottolinea: “Il Calendario dell’Avvento fa ormai parte della tradizione di molte famiglie, ma noi abbiamo voluto proporlo in una veste nuova per invitare i fedeli a interrogarsi sul significato più profondo dell’attesa. Il nostro Calendario propone la riscoperta di un cammino, quel volgere l’animo verso ‘Colui che viene ad abitare in mezzo a noi’. Un’esperienza che unisce fede, creatività e partecipazione. In cui ogni giorno, nell’attendere, possiamo scoprire che il Natale accade proprio lì dove l’incontro diventa dono.”

Il progetto, concepito e realizzato con Bea – Be a Media Company, agenzia specializzata in progetti di comunicazione strategica e narrazione d’impresa, nasce all’interno di Uniti nel dono, che promuove la vicinanza e il sostegno ai sacerdoti. Sostenere il calendario significa contribuire alla missione di coloro che ogni giorno animano la vita delle comunità: l’attesa del Natale diventa un cammino di corresponsabilità, fatto di piccoli gesti, preghiera e attenzione agli altri. Dip 4

 

 

 

 

I giovani di origine straniera protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia

 

Il commento al XXXIV Rapporto Caritas Migrantes - Di Simone Baroncia

Roma. I giovani di origine straniera, nati o cresciuti in Italia, sono i protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia; quindi non solo destinatari di interventi, ma generatori di speranza, portatori di identità plurali e di un futuro da costruire insieme, come ha sintetizzato il messaggio  della XXXIV edizione del ‘Rapporto Immigrazione’, realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza’.

Ad uno dei coordinatori di questo rapporto, Simone Varisco, abbiamo chiesto il motivo per cui il  rapporto sull’immigrazione di quest’anno è intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza'.

“Il titolo dell’edizione 2025 del Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes vuole richiamare il fatto che i giovani con background migratorio, di origine straniera, rappresentano generazioni ‘ponte’: nascono o crescono in Italia, praticano la lingua e la cultura italiane, frequentano la scuola, fanno sport e attivismo politico e contribuiscono a costruire il futuro del Paese. Sono ‘testimoni di speranza’ perché mostrano che la partecipazione non è un’utopia, ma una realtà già in atto da tempo, fatta di amicizie, studio, lavoro e cittadinanza. E poi è l’anno del Giubileo dedicato alla speranza, che non delude”.

Ma gli immigranti sono veramente una ‘risorsa’ per l’Italia? 

“Se anche volessimo limitarci al solo piano economico, l’apporto dei contribuenti stranieri alle casse pubbliche nel 2023 è di € 41.100.000.000 di entrate (contributi sociali netti, tasse, IVA, consumi, spese burocratiche), contro € 39.900.000.000 di uscite: vale a dire un saldo positivo di € 1.200.000.000. Gli occupati stranieri generano € 177.200.000.000 di valore aggiunto, pari al 9% del Pil nazionale. Sono fondamentali in settori quali l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza familiare e la sanità. Inoltre, l’imprenditoria straniera è in crescita. Ci sono poi i contributi che vengono sul piano demografico e strutturale: nascite, giovani, la presenza nelle scuole. Non dimentichiamo, però, che accanto agli apporti più ‘materiali’ è importante ricordare il valore immateriale – ma concreto – della presenza di persone di origine straniera in Italia sul piano umano, culturale, non da ultimo anche spirituale: sono quasi un milione gli stranieri che stimiamo essere cattolici, che ridanno linfa a comunità locali spesso svigorite; insieme a ortodossi, evangelici, copti e appartenenti ad altre confessioni, i cristiani nel loro complesso sono ancora la maggioranza assoluta fra gli stranieri (51,7%)”.

Quali sono le strade da percorrere per l’integrazione? 

“La prima è chiarire, intanto, cosa si intenda per ‘integrazione’: se una semplice assimilazione oppure un’autentica partecipazione alla vita del Paese, con diritti e doveri. Solo quest’ultima è in grado di cogliere il valore aggiunto dell’immigrazione. Le strade per arrivarci sono molte: dall’istruzione, anche linguistica, al lavoro dignitoso, contrastando le forme di sfruttamento e valorizzando le competenze; dalla partecipazione civica e culturale, con percorsi di cittadinanza e il coinvolgimento nelle comunità locali, al dialogo interculturale e interreligioso”.

In quale modo è possibile sconfiggere l’immigrazione irregolare? 

“Alla prova dei fatti, muri e respingimenti si sono rivelati inefficaci. Gran parte dell’immigrazione irregolare è creata da iter burocratici complessi e talvolta schizofrenici, innescati da una legge quadro incongruente. Serve una politica lungimirante che garantisca canali legali di ingresso in Italia, accordi di cooperazione con i Paesi di origine e corridoi umanitari per chi fugge da guerre e persecuzioni. Così si toglierà spazio ai trafficanti e si offrirà sicurezza sia alle persone migranti sia alla società accogliente”.

Papa Leone XIV al giubileo dei rom, sinti e camminanti ha lanciato l’invito ad essere protagonisti del cambiamento d’epoca: hanno il coraggio? 

“Il coraggio c’è, e si vede nelle tante storie di famiglie rom, sinti e camminanti che scelgono di investire nell’istruzione dei figli, nel lavoro regolare, nella partecipazione sociale. Non mancano, naturalmente, ombre, questioni irrisolte, devianza, prodotte anche dalla marginalità. Essere protagonisti del cambiamento significa uscire dai margini e contribuire al bene comune. Molti già lo stanno facendo, spesso in silenzio, e molto resta ancora da fare.

La Chiesa e la società civile hanno il compito di accompagnarli, e laddove necessario sostenerli, in questo cammino. Rimane una consapevolezza, che si fa auspicio: ‘Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al cento, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa, perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa’, come ebbe a dire nel 1965 Paolo VI al raduno internazionale dei popoli romaní a Pomezia”.

 

 

 

 

La preghiera per i defunti. La morte non è la fine

 

L'omelia della Liturgia del giorno di S.E. Monsignor Francesco Cavina

Oggi la Chiesa si raccoglie in preghiera per ricordare con amore e con speranza tutti i fedeli defunti. Dopo la gioia della festa di Tutti i Santi, il 2 novembre ci invita a volgere lo sguardo a coloro che ci hanno preceduti nella Casa del Padre, affidandosi totalmente alla misericordia di Dio. Non è, dunque, un giorno di tristezza, ma di speranza. La fede ci insegna che la morte non è la fine, ma il passaggio verso la vita piena in Dio. Lo proclama con efficacia uno dei Prefazi dei defunti: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata.”

Questa celebrazione nasce nel cuore della vita monastica, attorno all'anno 1000. Fu l'abate sant' Odilone di Cluny a stabilire che, dopo la festa di Tutti i Santi, i monaci offrissero preghiere e Messe per tutte le anime dei defunti. L'efficacia della preghiera per i defunti nasce da un grande e gioioso mistero: la comunione dei santi. I cristiani costituiscono il Corpo di Cristo che è la Chiesa, la quale non è formata solo dai battezzati qui in terra (chiesa pellegrinante), ma anche da coloro che già godono della felicità eterna (Chiesa trionfante) e da coloro che si trovano nel Purgatorio dove - come dice Dante nella Divina Commedia - le anime vanno " a farsi belle " (Purgatorio II, 75 e 123) perché come scrive il Libro dell'Apocalisse, nella Gerusalemme celeste “ non entrerà nulla d ' impuro” (Ap 21,27).

La Chiesa prega per i defunti perché crede nella misericordia di Dio e nel bisogno di purificazione di chi, pur morte nella grazia di Dio, porta con sè le ferite causate dal peccato e dall'imperfezione del nostro pentimento. I l Purgatorio, dunque, non è castigo, ma luogo di speranza, dove l'anima si lascia purificare dall'amore di Dio per poterlo contemplare nella sua pienezza. E le nostre preghiere, le Messe che facciamo celebrare, i sacrifici offerti per loro con amore possono davvero aiutare queste anime nel loro cammino verso la luce eterna. Lo afferma la Scrittura: “È cosa santa e salutare pregare per i defunti, perché siano assolti dai loro peccati” (2 Mac 12,45).

E non preghiamo solo per quelli che abbiamo conosciuto: la Chiesa ci invita a pregare per tutte le anime, anche quelle dimenticate, quelle che non hanno nessuno che le ricordi. Pregare per i defunti è, in fondo, un atto di amore che non si ferma davanti alla tomba, ma continua a operare anche oltre la morte. Quando preghiamo per i nostri cari, diciamo loro: "Non ti ho dimenticato. Ti porto ancora nel cuore e ti affido alla misericordia di Dio".

Ma la comunione dei santi non è un senso unico. E qui comprendiamo quanto sia grande e bella la nostra fede. Non siamo noi soli a pregare per i nostri fratelli defunti: anche loro pregano per noi, ci accompagnano e ci aiutano con la loro preghiera. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 958): “La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma rendere efficace la loro intercessione per noi ”. Mentre noi offriamo preghiere e sacrifici per la loro purificazione, essi ricambiano pregando per la nostra fedeltà, per la nostra conversione, per la nostra salvezza. È questa la Chiesa: una grande famiglia unita dal Sangue di Cristo, dove nessuno è dimenticato e nessuno pensa a se stesso. Portiamo dunque davanti all'altare i volti ei nomi di coloro che amiamo per affidarli alla misericordia di Dio e affidarci, a nostra volta, alla loro preghiera discreta e potente. 

E' stato detto che il silenzio dei morti pesa sui vivi, ma dopo Cristo la morte è cristiana, cioè è sottomessa alla Vita. Commemorare ii defunti, allora, significa anche rinnovare la nostra fede nella risurrezione e nella vita eterna . Gesù ci ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25). I santi vivono la morte con serenità, nella letizia di rinascere nel mondo vero. Scrive san Cipriano: Che felicità, che gioia…chiudere in un istante gli occhi che prima vedevano gli uomini e il mondo, e riaprirli subito per vedere Dio, il Cristo! Come appare rapido questo passaggio alla felicità (Memoria di san Callisto, Ufficio di Letture).

Preghiamo la Vergine Maria, Madre della Speranza, perché accompagni i nostri cari verso la gioia del Paradiso, e ci insegni a vivere con lo sguardo rivolto al Cielo, certi che in Cristo la morte è solo una porta che si apre sulla vita. Aci 2

 

 

 

 

 

 

Unser Sonntag: Kehrt um!

 

Weihbischof Christoph Hegge greift den Grundtenor des Evangeliums auf: Seid wachsam, kehrt um. Das Evangelium sollte das Drehbuch für unser Leben sein, da steht drin, wie Christsein geht. Weihbischof Dr. Christoph Hegge

Mt 24,37-44

1. Advent (A)

„Seid wachsam!“ Dieser Aufruf zu Beginn der Adventszeit bildet den Grundakkord der Schilderung Jesu von der gewaltigen kosmischen Vision vom Ende der Welt. Mond, Sonne und Sterne werden erschüttert, die Menschen leben in großer Not und Angst, der Menschensohn erscheint auf den Wolken des Himmels in Macht und Herrlichkeit bei lautem Posaunenschall. Die Wiederkunft des Erlösers steht unter der definitiven Heilszusage Jesu: „Himmel und Erde werden vergehen, aber meine Worte werden nicht vergehen.“ (Mt 24, 35)

Im Weltgericht wird der Menschensohn mit seinem Leben und seinem Zeugnis der Liebe und Barmherzigkeit zum Richter der Welt. Seine selbstlose Liebe, seine Lebenshingabe wird zum Maßstab jeglicher Geschichte. Daher ist die Aufforderung Jesu: „Seid wachsam!“, „Haltet auch ihr euch bereit!“ ein Aufruf zur Umkehr unserer Herzen, zum entschiedenen Eintritt in die Haltung der Liebe und des Dienstes Jesu Christi für den Frieden, für die Einheit des Menschengeschlechts, für die Gerechtigkeit, die allen Menschen widerfahren soll. Mit dem Tod und der Auferstehung Jesu Christi und seiner Geistsendung am Pfingstfest hat die Endzeit begonnen und die gesamte Menschheit geht der Fülle des Lebens in Jesus Christus entgegen, der im Kommen ist.

„Leben aus dem Geist Jesu Christi können wir nicht terminieren oder delegieren. Leben in der Nachfolge Christi meint das „Hier und Jetzt“ meines Lebens“

„Seid also wachsam! Denn ihr wisst nicht, an welchem Tag euer Herr kommt.“ (Mt 24, 42). Leben aus dem Geist Jesu Christi können wir nicht terminieren oder delegieren. Leben in der Nachfolge Christi meint das „Hier und Jetzt“ meines Lebens, meint den heutigen Tag, meine aktuelle Lebensstunde. Diese Dramatik spricht aus den Worten der Mystikerin Chiara Lubich, wenn sie schreibt: „Wenn du wüsstest, wen du in dir trägst! Wenn du für Ihn alles lassen würdest! Wenn du doch dieses kurze Leben, das jeden Augenblick vergehen kann, Gott zuwenden würdest. …Also, dich verlieben würdest in Gott… Lebe für Ihn. Gott wird binnen weniger Jahre alles für dich sein, sobald dieses kurze Leben vorbei ist. Wirf dich in Ihn hinein!“

Bedürftige in Liebe aufrichten 

„Seid wachsam“ bezeichnet daher die Haltung derjenigen Jüngerinnen und Jünger, die Jesus nachfolgen und an seinem Wort festhalten, das nicht vergehen wird. Und seine Worte kennen wir: Den Nächsten lieben, einander dienen, wie Jesus es uns vorgemacht hat, miteinander teilen, die Armen, die Notleidenden an unseren Tisch einladen, Trauernde trösten und die Bedürftigen in Liebe aufrichten.

Wachsamkeit, Bereitschaft im Sinne Jesu bedeutet: Leben aus seinem Wort, aus seiner Botschaft; bedeutet: mit unserem Herzen, unserem Denken und Handeln für unsere Mitmenschen ein „anderer Jesus sein“, also geradezu SEINE Lebenshaltung annehmen und bezeugen,

bedeutet schließlich: unsere Mitmenschen gewissermaßen mit den „Augen Jesu“ anschauen und – wie der barmherzige Samariter – dem Notleidenden zum Nächsten werden, sodass er in uns die Liebe Jesu Christi wiederentdecken kann.

Eintauchen in das Leid der noch Unerlösten

Gerade im Advent wird uns bewusst, dass sich viele Völker der Erde im Elend befinden und viele Nationen miteinander im Krieg liegen. Mehr noch: Wir können wahrnehmen, wie in unserer Gesellschaft, in unserer konkreten Umgebung, Gewalt, Ausgrenzung und Egoismus zunehmen. Hier liegt die Herausforderung, dass wir als getaufte und erlöste Christen in das Leid und die Sehnsucht der noch unerlösten Menschen eintauchen, dass wir nicht nur Zuschauer sind, sondern selbst helfen und teilen, wo es möglich ist und darin Christus, unserem Messias und Erlöser nacheifern, der gekommen ist, nicht um sich bedienen zu lassen, sondern um zu dienen und sein Leben hinzugeben als Lösegeld für viele.

„Wo sind wir heute diese Christinnen und Christen, diese Gemeinschaften und Gemeinden, die aus der Kraft des Geistes Jesu Christi die Wunden der Welt zu heilen helfen?“

Wo sind wir heute diese Christinnen und Christen, diese Gemeinschaften und Gemeinden, die aus der Kraft des Geistes Jesu Christi die Wunden der Welt zu heilen helfen? Als Getaufte und Gefirmte leben wir bereits im Licht und in der Wahrheit der Botschaft Jesu Christi, so dass uns sein „Tag der Wiederkunft“ nicht mehr überraschen kann. Im Licht seiner Worte, die nicht vergehen, bereiten wir uns im Glauben und in der Liebe auf seine Ankunft vor.

Das Evangelium als Drehbuch für unser Leben

Denn die Worte Jesu sind gelebte Erfahrung der Liebe Gottes zu uns Menschen und der Liebe der Menschen untereinander. Darum ist das gesamte Evangelium Jesu wie eine Art „Drehbuch“ für unser Leben. Wir selbst sollen mit unserem Leben noch einmal wiederholen, was Jesus für uns Menschen getan hat und welche unendliche Liebe Gottes unter uns lebendig ist, wenn wir einander begegnen, wie er es uns vorgemacht hat. Daher kann keiner und keine unter den Christen heute sagen, er oder sie wüsste nicht, wie Christsein geht.

Denn Gott selbst hat es uns in Jesus Christus vorgemacht, mit beiden Beinen auf der Erde und mit einem unendlich großen Herzen für alle Menschen.

Was tue ich heute aus der Kraft der Liebe Christi?

Leben aus den Worten Jesu, „die nicht vergehen“ stellt uns Christen vor die konkrete Frage: Was tue ich heute aus der feurigen und in mir brennenden Kraft der Liebe Christi, um das Reich Gottes in dieser Welt, in meiner konkreten Umgebung sichtbar, erfahrbar und berührbar werden zu lassen?

Christen, die miteinander aus den Worten Jesu leben, Gemeinden und Gemeinschaften, die Jesu Gerechtigkeit, seine Barmherzigkeit und seinen Frieden in den Mittelpunkt ihrer Beziehungen stellen, stoßen vielleicht auf Widerstand, aber sie sind zugleich Zeuginnen und Zeugen des anbrechenden Gottesreiches. Sie haben es nicht nötig, sich mit den Waffen dieser Welt zu verteidigen, denn sie leben mit einem „abgerüsteten Herzen“ und lieben ihre Nächsten mit entwaffneten und entwaffnenden Worten und Gesten.

Aus der Hoffnung leben, die nicht trügt

Wer so lebt, braucht keine Sorge zu haben vor der Wiederkunft des Herrn, denn er weiß sich in jedem Augenblick seines Lebens angeschaut vom Blick der überwältigenden Liebe Jesu Christi, der ihn umarmt. Wer so in den Advent des eigenen Lebens hineingeht, der spürt die innere Kraft, nicht in Wunden und Verletzungen unterzugehen, sondern bereits heute - „jenseits der Wunden“ – aus einer Hoffnung zu leben, die nicht trügt.

„Seid wachsam!“, „Haltet euch bereit!“ Mit diesem Aufruf Jesu zu Beginn der Adventszeit soll uns im Herzen aufgehen: Jesus Christus ist immer neu der Kommende: Im Wort, das er zu uns spricht; in den Sakramenten, die wir empfangen; in der Schwester und im Bruder, denen wir dienen. Darum lasst uns, wie es im Tagesgebet zum 1. Advent heißt, „dem kommenden Christus entgegengehen und uns durch Taten der Liebe auf seine Ankunft vorbereiten“.

(Radio Vatikan - Redaktion Claudia Kaminski 29)

 

 

 

 

 

Leo XIV. in Istanbul: Eindringliche Predigt über die 3 Brücken der Einheit

 

Papst Leo XIV. hat seine erste Apostolische Reise an diesem Samstag mit einer Heiligen Messe in der Volkswagen Arena in Istanbul fortgesetzt. Der Gottesdienst zum Ersten Advent, am Vorabend des Andreas-Tages (Schutzpatron der Türkei/Türkiye), stand im Zeichen des 1.700-jährigen Jubiläums des Konzils von Nizäa. In seiner Predigt rief der Papst die Gläubigen dazu auf, Zeugen der Einheit und Friedensstifter in der Welt zu sein. Mario Galgano - Vatikanstadt

Der Papst erinnerte daran, dass das Konzil von Nizäa einst feierlich verkündet hatte, dass Jesus „gezeugt, nicht geschaffen, eines Wesens mit dem Vater“ sei, und nutzte die biblischen Lesungen des ersten Adventssonntags als Basis für seine Predigt.

Der Aufruf zur inneren Erneuerung

Zunächst lud Papst Leo XIV. zur Erneuerung der persönlichen Glaubenskraft ein. Das Bild vom Berg Zion, der „höchste der Berge“, stehe als Ort des Lichtes und des Friedens und symbolisiere eine Gemeinschaft, deren Freude am Guten ansteckend sei.

„Wenn wir den Menschen, denen wir begegnen, wirklich helfen wollen, dann sollten wir auf uns selbst achtgeben“, mahnte der Papst. Er rief dazu auf, die „Werke der Finsternis abzulegen“ und „die Waffen des Lichts anzulegen“, um bereit zu sein für den Herrn, der jeden Tag an unsere Tür klopfe.

„Wenn wir den Menschen, denen wir begegnen, wirklich helfen wollen, dann sollten wir auf uns selbst achtgeben“

Die drei Brücken über den Bosporus als ökumenisches Symbol

Das zentrale Bild der Predigt war das der Brücken, das der Papst von Istanbul ableitete - die Stadt steht auf zwei Kontinenten. Die drei großen Brücken über den Bosporus seien zwar beeindruckend, aber „doch so klein und zerbrechlich“, wenn man sie mit den riesigen Gebieten vergleiche, die sie verbinden.

Diese dreifache Überbrückung des Meeres sei ein Sinnbild für das gemeinsame Streben nach Einheit, das auf drei wesentlichen Ebenen erfolgen müsse, so Leo.

Highlights der Messe

Erstens innerhalb der katholischen Gemeinschaft: In der Türkei vereine die Kirche vier verschiedene liturgische Traditionen - lateinisch, armenisch, chaldäisch und syrisch. Die Einheit, die sich um den Altar festige, sei ein Geschenk Gottes. Ihre Umsetzung erfordere jedoch „Pflege, Aufmerksamkeit und ‚Instandhaltung‘“, damit ihre Fundamente stabil blieben.

Zweitens im ökumenischen Dialog: Der gemeinsame Glaube an den Erlöser verbinde alle Christen. Die Anwesenheit von Vertretern anderer Konfessionen sei ein wichtiges Zeugnis dafür. Papst Leo XIV. erinnerte an das gemeinsame Gebet vom Vortag in ?znik (Nizäa) und erneuerte das Ja zur Einheit, „‚damit alle eins sind‘ (vgl. Joh 17,21), ‚ut unum sint‘“.

Und drittens im interreligiösen Dialog: Die Verbindung zu den Anhängern nichtchristlicher Gemeinschaften sei entscheidend. Angesichts einer Welt, in der Religion zu oft zur Rechtfertigung von Gewalt missbraucht werde, müssten Gläubige „die Mauern der Vorurteile und des Misstrauens einreißen“ und alle Menschen einladen, „Friedensstifter“ zu sein.

Der Papst schloss seine Predigt mit dem Appell, diese Werte in der Adventszeit als Vorsatz für das persönliche und gemeinschaftliche Leben anzunehmen: „Behalten wir immer beide Ufer im Blick, auf dass wir Gott und unsere Brüder und Schwestern von ganzem Herzen lieben, gemeinsam weitergehen und uns eines Tages alle im Haus des Vaters wiederfinden.“ (vn 29)

 

 

 

 

 

Papst prangert in Istanbul fehlenden Respekt für ältere Leute an

 

Papst Leo XIV. hat mangelnden Respekt für Seniorinnen und Senioren beklagt: „In vielen Bereichen der Gesellschaft, in denen Effizienz und Materialismus vorherrschen, ist der Respekt vor den älteren Menschen verloren gegangen", sagte das katholische Kirchenoberhaupt am Freitagvormittag beim Besuch einer von Ordensfrauen betriebenen Sozialeinrichtung für ältere Menschen in Istanbul.  Stefanie Stahlhofen – Vatikanstadt

 „Die Heilige Schrift und die guten Traditionen lehren uns jedoch, dass – wie Papst Franziskus immer wieder gern sagte – die Alten die Weisheit eines Volkes sind, ein Reichtum für die Enkel, für die Familien, für die gesamte Gesellschaft!",sagte das katholische Kirchenoberhaupt unter Berufung auf seinen Vorgänger im Amt. Von Franziskus, der am Ostermontag gestorben war, hat Papst Leo XIV. diese, seine erste Auslandsreise, die ihn vom 27. November bis zum 30. November in die Türkei (Türkiye) und anschließend bis 2. Dezember in den Libanon führt, übernommen. 

Am 2. Reisetag in der Türkei besuchte Papst Leo XIV., der selbst vor kurzem 70 geworden ist, diesen Freitagmorgen eine Sozialeinrichtung für ältere Menschen der Kleinen Schwestern der Armen in Istanbul. Die Kleinen Schwestern der Armen sind ein katholischer Orden, der im Jahr 1839 von der Heiligen Jeanne Jugan gegründet wurde und sich besonders um bedüftige ältere Leute kümmert.

Das Geheimnis der Nächstenliebe

In der Kapelle des Seniorenzentrums, wo sich Mitarbeiter, Betreute und Helfer versammelt hatten, würdigte der Papst die Ordensfrauen mit den Worten:

 „Liebe Schwestern: Ihr nennt euch ,Kleine Schwestern der Armen`. Ein sehr schöner Name, der zum Nachdenken anregt! Ja, der Herr hat euch nicht nur gerufen, den Armen beizustehen oder zu helfen. Er hat euch berufen, ihnen ,Schwestern` zu sein! Wie Jesus, den der Vater zu uns gesandt hat, nicht nur, damit er uns hilft und uns zu dient, sondern damit er unser Bruder ist. Das ist das Geheimnis der christlichen Nächstenliebe: Bevor man für andere da ist, muss man mit ihnen sein, in einer Gemeinschaft, die auf Geschwisterlichkeit beruht."

„Das ist das Geheimnis der christlichen Nächstenliebe: Bevor man für andere da ist, muss man mit ihnen sein, in einer Gemeinschaft, die auf Geschwisterlichkeit beruht“

All dies leben die Ordensfrauen in der Senioren-Einrichtung in Istanbul und andernorts inzwischen schon seit mehr als 120 Jahren. Heute sind die Kleinen Schwestern der Armen in mehr als 30 Ländern weltweit vertreten. Die Leiterin des Seniorenzentrums verlas ein Grußwort auf Englisch, das sie im Namen der Mutter Oberin und des ganzen Ordens sowie aller Besucher dankend für die Visite an Papst Leo XIV. richtete: 

„Die älteren Bewohner, die wie Familienmitglieder unser Leben in diesem Heim teilen, empfinden dies ebenfalls als große Ehre. Ihr Leben, das oft von Not und Leid geprägt war, kann heute bezeugen, dass Gott sie unendlich liebt, indem er ihnen diese Freude und dieses Privileg schenkt. Auch unsere Mitarbeiter, Freunde und Wohltäter, die hier anwesend sind, gehören zu dieser Familie."

Papstbesuch als Stärkung im Glauben - und Zeichen der Liebe für Ältere und Bedürftige

Der Papst sei „im Namen Christi und seiner Kirche gekommen", um die katholische Kirche und die Christen in der Türkei im Glauben zu bestärken, so die Leiterin des Seniorenzentrums weiter. Die heutige Türkei zählt zu den wichtigsten Regionen des frühen Christentums; inzwischen sind jedoch mehr als 99 Prozent Muslime. Papst Leo XIV. gebe durch seinen Besuch bei den älteren Menschen „ein besonderes Zeugnis für die unermessliche Liebe des Herzens Jesu zu einigen der schutzbedürftigsten und oft gebrechlichsten Mitgliedern der heutigen Gesellschaft" -  „Danke, Heiliger Vater, dass Sie diesen Besuch bei den älteren Menschen in Ihr Programm aufgenommen haben. Damit unterstreichen Sie die wahre Bedeutung der Fürsorge für ältere Menschen in unserer heutigen Welt."

, dass Sie diesen Besuch bei den älteren Menschen in Ihr Programm aufgenommen haben. Damit unterstreichen Sie die wahre Bedeutung der Fürsorge für ältere Menschen in unserer heutigen Welt“

Auch Papst Leo XIV. versäumte es nicht, zum Ende seines Grußwortes noch einmal allen zu danken: „Ein doppeltes Dankeschön also gilt diesem Haus, das im Namen der Geschwisterlichkeit andere aufnimmt und dies mit den älteren Menschen tut. Das ist – wie wir wissen – nicht einfach, es erfordert viel Geduld und viel Gebet. Deshalb wollen wir zum Herrn beten, er möge euch begleiten und beistehen, und ihn um seinen Segen bitten. " 

Es folgte ein gemeinsames Ave Maria; dann trug sich der Papst ins Goldene Buch ein und es gab einen Geschenkeaustausch. (vn 28)

 

 

 

 

Türkei: Christen erinnern an Konzil vor 1.700 Jahren

 

Es war einer der Höhepunkte seiner ersten Auslandsreise: Papst Leo XIV. hat in der türkischen Stadt Iznik an einem ökumenischen Treffen teilgenommen. Es markierte das Gedenken an das Konzil von Nizäa, das dort vor 1.700 Jahren stattgefunden hat. Stefan von Kempis – Vatikanstadt

Abwechselnd auf Griechisch und auf Latein sangen die Chöre, als christliche Verantwortliche der unterschiedlichsten Couleur sich feierlich auf einem Steg am See von Iznik trafen: Papst und Patriarchen, Kirchenoberhäupter, Präsidenten oder Generalsekretäre christlicher Weltgemeinschaften, Vertreter ökumenischer Organisationen. Umgeben von den Resten einer antiken Basilika und eines kaiserlichen Palastes entzündeten sie Kerzen vor einer Ikone. Im Jahr 325 hat Kaiser Konstantin hier das erste allgemeine Konzil der Christenheit zusammengetrommelt; es formulierte den Großteil eines Glaubensbekenntnisses, das auch heute noch nahezu alle Christen untereinander verbindet. Eine Weltreligion blickt zurück auf ihre Anfänge.

„Wir sind hier, um lebendiges Zeugnis für denselben Glauben abzulegen, den die Väter von Nizäa bekundet haben.“ Das sagte der Ökumenische Patriarch von Konstantinopel, Bartholomaios I., in seiner Begrüßungsrede.

Zurück an die Quelle

„Wir kehren zu dieser Quelle des christlichen Glaubens zurück, um voranzuschreiten. Wir erfrischen uns an diesen Wassern der Ruhe, um Kraft für die vor uns liegenden Aufgaben zu schöpfen. Die Kraft dieses Ortes liegt nicht in dem, was vergeht, sondern in dem, was ewig währt. In Nizäa hat die Geschichte Zeugnis abgelegt für die Ewigkeit, für die Tatsache, dass unser Herr und Erlöser Jesus Christus wahrer Gott von wahrem Gott ist, eines Wesens mit dem Vater (????????? ?? ?????).“

Damit war eine der entscheidenden christologischen Formulierungen aufgerufen, zu denen sich einst das erste christliche Konzil durchgerungen hatte. Die Teilnehmenden rezitierten das Große Nizäno-Konstantinopolitanische Glaubensbekenntnis und außerdem - jeder in seiner Sprache - das Vaterunser.

Gemeinsam das Credo rezitiert

Leo XIV. rief in einer Ansprache zu einer Gewissenserforschung auf: Jeder Christ solle sich fragen, „wer Jesus Christus für einen jeden von uns ist“. Damit bezog er sich direkt auf die heftige Kontroverse von Nizäa vor 1.700 Jahren.

„Indem er die Göttlichkeit Christi leugnete, reduzierte Arius ihn auf einen einfachen Mittler zwischen Gott und den Menschen und ignorierte dabei die Wirklichkeit der Menschwerdung, sodass das Göttliche und das Menschliche unüberbrückbar voneinander getrennt blieben. Aber wenn Gott nicht Mensch geworden ist, wie können die Sterblichen dann an seinem unsterblichen Leben teilhaben? Das stand in Nizäa auf dem Spiel und steht auch heute auf dem Spiel: der Glaube an den Gott, der in Jesus Christus einer von uns geworden ist, um uns Anteil an der göttlichen Natur zu geben.“

Ein Augustinus-Zitat

Dieses Bekenntnis des Glaubens an Jesus Christus ist für Papst Leo „von grundlegender Bedeutung“ auf dem Weg zur vollen Gemeinschaft der Christen, der unverzichtbare Ausgangspunkt. „In diesem Sinne können wir, um den heiligen Augustinus zu zitieren, auch im ökumenischen Bereich sagen: ‚Obgleich wir Christen viele sind, sind wir in dem einen Christus eins‘.“

In diesem Bewusstsein sollten die Christen „das Ärgernis der leider noch bestehenden Spaltungen überwinden“: „Je mehr wir untereinander versöhnt sind, desto mehr können wir Christen ein glaubwürdiges Zeugnis für das Evangelium Jesu Christi geben, das eine Botschaft der Hoffnung für alle ist“. Dieses „für alle“ unterstrich Papst Leo dann noch einmal ganz dick: Christliche Einheit gehe einher „mit dem Streben nach Geschwisterlichkeit unter allen Menschen“. Damit rührte Leo an ein Thema, das seinem verstorbenen Vorgänger Franziskus besonders am Herzen gelegen hat.

Gegen die Vereinnahmung der Religion

„Es gibt eine universale Geschwisterlichkeit, unabhängig von Ethnie, Nationalität, Religion oder Meinung. Die Religionen sind von Natur aus Hüter dieser Wahrheit und sollten die einzelnen Personen, Gruppen von Menschen und Völker dazu ermutigen, sie anzuerkennen und zu praktizieren. Das Heranziehen von Religion, um Krieg und Gewalt zu rechtfertigen, muss, wie jede Form von Fundamentalismus und Fanatismus, entschieden abgelehnt werden...“

Bei diesem Appell gegen die Vereinnahmung von Religion braucht man nicht unbedingt an den Islam zu denken, die Mehrheitsreligion in der Türkei. Auch unter Christen gibt es dieses Phänomen. So rechtfertigt etwa die russisch-orthodoxe Kirche den Angriffskrieg in der Ukraine auch mit religiösen Motiven. Zum Gedenken in Iznik hatte die russische Orthodoxie offenbar keinen Vertreter geschickt. (vn 28)

 

 

 

 

Papst Leo wirbt in Ankara für „plurale Gesellschaft“

 

Es war seine erste Rede auf türkischem Boden: Leo XIV. hat in Ankara für eine „plurale Gesellschaft“ geworben. Bei einem Auftritt im Komplex des Präsidentenpalastes kritisierte er das „Gesetz der Gewalt“ und erinnerte an die Rolle von Frauen in der Gesellschaft. Stefan von Kempis – Vatikanstadt

Es war Präsident Recep Tayyip Erdogan, der den Gast aus Rom vor seinem 1.150-Zimmer-Palast willkommen hieß. 21 Kanonenschüsse wurden abgefeuert und Hymnen intoniert, bevor die beiden ungleichen Staatschefs sich zu einem Gespräch zurückzogen. Leo war am Morgen von Rom aus zu seiner ersten Auslandsreise als Papst in die Türkei (offiziell Türkiye) aufgebrochen. Erdogan ist der Bauherr des gigantischen Palastes, der eine Fläche von 300.000 Quadratmetern für sich beansprucht.

In der Nationalbibliothek von Ankara, die zum Palastbereich gehört und in der Motive aus der Osmanen- und Seldschuken-Ära dominieren, hielt Leo XIV. dann eine Ansprache an Vertreter von Staat und Gesellschaft. Dabei würdigte er die Türkei zunächst für ihre reiche Geschichte und Kultur; sie zeige, „dass in der Begegnung zwischen unterschiedlichen Generationen, Traditionen und Ideen die großen Zivilisationen Gestalt annehmen“.

Leos Appell an Erdogan: „Unterschiede zur Geltung kommen lassen“

Die Türkei sei eine Brücke zwischen Asien und Europa; doch auch in ihrem Innern sei sie dazu aufgerufen, Gegensätze zu überbrücken und dabei „Unterschiede zur Geltung kommen zu lassen“. Dadurch solle sie „zu einem Begegnungsort verschiedener Empfindungsweisen (werden), deren Vereinheitlichung eine Verarmung darstellen würde“.

Leo fuhr fort: „Eine Gesellschaft ist nämlich dann lebendig, wenn sie plural ist: Es sind die Brücken zwischen ihren verschiedenen Seelen, die sie zu einer Zivilgesellschaft machen“. Näher ging der Papst auf die türkische Innenpolitik nicht ein. Der bekannteste Oppositionspolitiker, Ekrem ?mamo?lu, sitzt seit März dieses Jahres in Haft; die Staatsanwaltschaft fordert für ihn mehr als 2.000 Jahre Haft, u.a. wegen der Gründung einer kriminellen Vereinigung.

Plädoyer für den „Beitrag der Frau“

Die Christen sähen sich, so fuhr Leo XIV. fort, als „Teil der türkischen Identität“ und wollten „positiv zur Einheit Ihres Landes beitragen“. Wegen des Prinzips des Laizismus, das sich aus der türkischen Verfassung ergibt, ist die katholische Kirche in der Türkei ohne gesicherten juristischen Status. Der Papst hob hervor, dass Religion in der (mehrheitlich muslimischen) türkischen Gesellschaft „eine sichtbare Rolle spielt“. Besonders wichtig sei es aber in einer solchen Gesellschaft, „die Würde und Freiheit aller Kinder Gottes zu achten: von Männern und Frauen, Landsleuten und Ausländern, Armen und Reichen“.

Lobende Worte fand der Papst dafür, dass die traditionelle Familie „mehr als in anderen Ländern in der türkischen Kultur von großer Bedeutung“ sei. Er verband das mit einem Plädoyer für den „Beitrag der Frau“. „Insbesondere die Frauen stellen sich durch ihr Studium und ihre aktive Teilnahme am beruflichen, kulturellen und politischen Leben zunehmend in den Dienst des Landes und seines positiven Einflusses auf internationaler Ebene. Daher sind die in diesem Sinne wichtigen Initiativen zur Unterstützung der Familie und des Beitrags der Frau zur vollen Entfaltung des sozialen Lebens sehr zu schätzen.“ Die Türkei ist 2021 auf Initiative Erdogans aus der „Istanbul-Konvention“ ausgetreten, die sich gegen Gewalt an Frauen richtet. Zur Begründung dieses Schritts gab Erdogan an, die Konvention schwäche die Familien.

„Die Türkei als Faktor der Stabilität und der Annäherung zwischen den Völkern“

Ausdrücklich kam Papst Leo auch auf die außenpolitische Rolle seines Gastlands zu sprechen: „Möge die Türkei ein Faktor der Stabilität und der Annäherung zwischen den Völkern sein, im Dienste eines gerechten und dauerhaften Friedens“. Erdogan versucht sein Land zwischen den Blöcken zu positionieren; sowohl im Gaza- wie im Ukraine-Konflikt gingen und gehen von der Türkei wichtige Friedensinitiativen aus.

„Nach der Zeit des Aufbaus der großen internationalen Organisationen, die auf die Tragödien der beiden Weltkriege folgte, durchleben wir derzeit eine Phase starker globaler Konflikte, in der Strategien der wirtschaftlichen und militärischen Macht vorherrschen... Wir dürfen dieser Entwicklung auf keinen Fall nachgeben! Es geht um die Zukunft der Menschheit.“

Moschee auf Papst-Medaille

Der türkische Präsident hatte Leo in einer längeren Ansprache herzlich begrüßt: Seine Reise werde „den Hoffnungen auf Frieden in der ganzen Welt Auftrieb geben“. In vielen türkischen Dörfern stünden Moscheen und Kirchen „friedlich nebeneinander“, und Unterschiede – ob religiöse oder andere – seien „kein Element der Spaltung, sondern Elemente, die uns untereinander verbinden“. Erdogan sprach auch internationale Konflikte an: Sein Land habe selbstlos syrische Flüchtlinge aufgenommen und zwischen Russland und der Ukraine vermittelt, es stehe auch (wie der Vatikan) für eine Zweistaatenlösung Israel-Palästina ein. 

Der Papst schenkte Erdogan eine Medaille, die aus Anlass seiner Reise geprägt wurde. Auf ihr sind u.a. die Minarette der Blauen Moschee von Istanbul zu sehen, der Stadt, in der Erdogan in den neunziger Jahren vor seinem Aufstieg an die Spitze des Staates Oberbürgermeister war. Am Samstagmorgen wird Leo XIV. diese Moschee besuchen. (vn 27)

 

 

 

 

 

Religionen haben eine gemeinsame Verantwortung für die Zukunft

 

Internationales Bischofstreffen in Augsburg

Mit einem Appell zum Dialog zwischen den Religionen und einer gegenseitigen Wertschätzung der verschiedenen Glaubensbekenntnisse ist heute (26. November 2025) in Augsburg ein internationales Bischofstreffen mit zahlreichen Experten für den interreligiösen Dialog eröffnet worden. Unter dem Leitwort „Nostra aetate, 60 Jahre später: Perspektiven für den katholisch-muslimischen Dialog“ hat die Sektion für den Interreligiösen Dialog des Rates der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) eingeladen. Der Gastgeber des Treffens, Bischof Dr. Bertram Meier, Vorsitzender der Kommission Weltkirche und der Unterkommission für den Interreligiösen Dialog der Deutschen Bischofskonferenz, erinnerte in seiner Begrüßungsrede an die lange Tradition friedlicher Vermittlung in Augsburg: „Bis heute hat die Confessio Augustana für die lutherischen Kirchen in aller Welt eine hohe Bedeutung. Und es war der Augsburger Religionsfrieden von 1555, der erstmals darauf abzielte, ein friedliches Zusammenleben der verschiedenen Konfessionen zu ermöglichen.“

Bischof Meier fügte hinzu: „In dieser Friedensstadt wissen wir, dass der Frieden ein kostbares und zerbrechliches Gut ist, das niemals als selbstverständlich gelten darf. Frieden zwischen Nationen, Kirchen und Religionen ist letztendlich immer ein Geschenk Gottes. Aber es ist ein Geschenk, das unserer aktiven Mitwirkung und sorgfältigen Mitarbeit bedarf. Viel hängt davon ab, ob wir wirklich imstande sind, die Anderen nicht als Gegner und Feinde zu betrachten, sondern als Kinder Gottes, ausgestattet mit derselben Würde, unsere Schwestern und Brüder.“ Gleichzeitig würdigte Bischof Meier das Konzilsdokument Nostra aetate von 1965, das „zu Recht als unsere katholische ‚Magna Carta‘ des interreligiösen Dialogs angesehen“ wird. Bei vielen Dialogbegegnungen, die er mit den Religionen erlebe, nehme er wahr, „dass selbst angesichts von Differenzen und Spannungen die Perspektive, die die katholische Kirche in Nostra aetate eingenommen hat, durchwegs auf positive Resonanzen stößt. Tatsächlich gilt sie als verlässlicher Kompass in Gewässern, durch die man nicht immer leicht navigieren kann.“

Bischof Meier erinnerte an die entscheidenden Passagen von Nostra aetate gerade mit Blick auf den Islam, wo es um die jeweilige Wertschätzung des anderen gehe. Heute sei es notwendig, „sowohl die Gemeinsamkeiten als auch die Unterschiede im Blick zu haben. Denn Dialog bedeutet nicht, die eigene Religion aufzugeben, sondern kann vielmehr zu einer Vertiefung des eigenen Glaubens führen. Und schließlich ist es gerade die Erfahrung von Konflikten, die drängenden Anlass dazu gibt, hier und jetzt unsere gemeinsame Verantwortung für die Zukunft der Menschheit und der gesamten Schöpfung wachzurufen und gemeinsam aktiv zu werden.“

Die Tagung in Augsburg dauert noch bis zum kommenden Freitag. Auf dem Programm stehen unter anderem ein Vortrag von Kardinal Michael Louis Fitzgerald, dem früheren Präsidenten des Päpstlichen Rates für den Interreligiösen Dialog, über die Entwicklung der christlich-muslimischen Beziehungen seit Nostra aetate sowie eine Begegnung mit der Augsburger Oberbürgermeisterin Eva Weber und dem Runden Tisch der Religionen Augsburg. dbk 27

 

 

 

 

 

Neuer Weihbischof in Mainz hat indische Wurzeln

 

Papst Leo XIV. hat einen neuen Weihbischof für das Bistum Mainz ernannt. Es handelt sich um den aus Indien stammenden Pater Joshy George Pottackal.

Das teilten der Vatikan und das Bistum am Mittwochmittag mit. Damit wird zum ersten Mal ein Katholik mit außereuropäischen Wurzeln Bischof in Deutschland. Pottackal besitzt die deutsche Staatsbürgerschaft.

Seelsorger mit Herz

Der Mainzer Bischof Peter Kohlgraf würdigte den 48-jährigen neuen Weihbischof als Seelsorger mit Herz, der bescheiden, kompetent und mit guter Urteilskraft als Seelsorger wirke. Dass mit Pottackal erstmals ein Nicht-Europäer Bischof in Deutschland werde, sei ein starkes und wichtiges Zeichen, so Kohlgraf. „Wir sind berufen, Einheit in Vielfalt zu leben - mit unterschiedlichen Glaubenswegen und kulturellen Hintergründen. Es gibt in dieser Kirche keine Fremden.“

Kein Doktortitel, aber kurze Predigten

Pottackal sagte, er habe nicht mit der Ernennung gerechnet. Es sei ihm wichtig, nahe bei den Menschen zu sein. „Ich bin kein Theoretiker mit Doktortitel. Meine Predigten sind selten länger als fünf Minuten“, sagte der neue Weihbischof bei einer ersten Pressekonferenz.

Die offizielle Bischofsweihe ist für 15. März im Mainzer Dom geplant. Pottackal folgt auf den bisherigen Weihbischof Udo Markus Bentz, der 2023 Erzbischof von Paderborn wurde. Ein Weihbischof unterstützt den Ortsbischof in der Leitung des Bistums. (kna 26)

 

 

 

 

 

Papst: Das Leben ist ein Geschenk

 

Papst Leo hat dazu ermutigt, Leben als Geschenk zu begreifen und Leben weiterzugeben. „Zeugen“ bedeute nicht allein Mutter- oder Vatersein, sagte er bei seiner Generalaudienz. Zeugen bedeute etwa auch, Mitmenschen selbstlos zu helfen oder sich für die Schöpfung und eine solidarische Wirtschaft einzusetzen. Anne Preckel - Vatikanstadt

„Zeugen bedeutet, auf den Gott des Lebens zu vertrauen und das Menschsein in all seinen Ausdrucksformen zu fördern“, brachte es der Papst am Mittwoch am Petersplatz auf den Punkt.

Das komme „vor allem im wunderbaren Abenteuer der Mutterschaft und Vaterschaft“ zum Ausdruck, aber „auch in sozialen Kontexten, in denen Familien Schwierigkeiten haben, die Last des Alltags zu tragen, und oft in ihren Plänen und Träumen gebremst werden“, führte er aus. In derselben Logik bedeute Zeugung, „sich für eine solidarische Wirtschaft einzusetzen, das von allen gleichermaßen genossene Gemeinwohl anzustreben, die Schöpfung zu respektieren und zu pflegen, Trost durch Zuhören, Präsenz und konkrete, selbstlose Hilfe zu spenden“.

Woran die Welt von heute krankt

Leo XIV. diagnostiziert der heutigen Welt eine „weit verbreitete Krankheit“, nämlich einen „Mangel an Vertrauen in das Leben, als hätte man sich resignierend mit einem negativen Schicksal abgefunden“. Leben werde in einer solchen Sichtweise nicht mehr als Geschenk, sondern als „Unbekannte, ja fast Bedrohung wahrgenommen, vor der man sich schützen muss, um nicht enttäuscht zu werden“, bedauerte der Papst. Aus diesem Grund sei „der Mut zu leben und Leben zu schenken und zu bezeugen heute dringender denn je“.

Leben sei ein Geschenk, das wir uns nicht selbst geben könnten, führte Papst Leo weiter aus. Es müsse „ständig genährt“ werden und bedürfe einer „Pflege“, die es erhalte und mit neuem Elan erfülle. Auch brauche es einen Sinn und eine Richtung, denn ohne Hoffnung „läuft es Gefahr, wie eine Klammer zwischen zwei ewigen Nächten zu erscheinen, wie eine kurze Pause zwischen dem Vorher und nachher unseres Daseins auf Erden“.

 „An das glauben, was wir noch nicht sehen und nicht berühren können“

Auf das Leben zu hoffen bedeute hingegen Vertrauen, uns der Liebe Gottes anzuvertrauen, „an das zu glauben, was wir noch nicht sehen und nicht berühren können“. Gott sei der „Freund des Lebens“ schlechthin, erinnerte der Papst. Jesus heilte Kranke, ließ verwundete Körper und Seelen genesen und erweckte sogar Tote wieder zum Leben. Er gab Sündern ihre Würde zurück, gewährte Vergebung und spendete vor allen Verzweifelten, Ausgegrenzten und Fernstehenden Hoffnung.

Gott bleibe seinem Plan der Liebe und des Lebens „für immer treu“, betonte Leo XIV. – auch wenn das Menschsein in seiner Freiheit auch durch Widersprüche und Dramen geprägt sei: „Er wird nicht müde, die Menschheit zu unterstützen, auch wenn sie, in der Nachfolge Kains, dem blinden Instinkt der Gewalt in Kriegen, Diskriminierungen, Rassismus und vielfältigen Formen der Sklaverei folgt.“ Vn 26

 

 

 

 

Vatikan: „Monogamie ist keine Einschränkung“

 

„Una caro – Ein Loblied auf die Monogamie“: So heißt ein Vatikan-Dokument, das am 24. November veröffentlicht wurde. Es betont den Charakter der Ehe als „exklusive Vereinigung“ und verurteilt häusliche Gewalt.  Isabella Piro und Edoardo Giribaldi

„Unauflösliche Einheit“: So definiert die sogenannte ‚Lehrmäßige Note‘ der obersten Glaubensbehörde im Vatikan die Ehe. Mit dem Titel „Una caro“ (Ein Fleisch) bezieht sich der Text prominent auf das Buch Genesis, wo Adam über Eva sagt: „Das endlich ist Bein von meinem Bein / und Fleisch von meinem Fleisch“ (Gen 2,23). Das Dokument „Una caro“ wurde von Papst Leo XIV. gebilligt; es hat sieben Kapitel und eine Schlußfolgerung.

Drei Beweggründe für das Dokument

Kardinalpräfekt Víctor Manuel Fernández zählt in seiner Einleitung drei Beweggründe für den Text auf: Erstens den aktuellen „globalen Kontext der Entwicklung technologischer Macht“. Sie verleite den Menschen dazu, sich als „ein Wesen ohne Grenzen“ zu betrachten und sich somit vom Wert einer ausschließlichen Liebe, die nur einer einzigen Person vorbehalten ist, zu entfernen. Zweitens weist er auf die Diskussionen mit afrikanischen Bischöfen zum Thema Polygamie hin und erinnert daran, dass „eingehende Studien über afrikanische Kulturen“ die „weitverbreitete Ansicht“ widerlegen, dass die monogame Ehe ein Ausnahmefall sei. Drittens stellt er fest, dass im Westen die „Polyamorie“, das heißt öffentliche Formen nicht-monogamer Partnerschaften, zunimmt.

Die Ehe und die Vereinigung zwischen Christus und der Kirche

Das Dokument des Glaubensdikasteriums will die Schönheit der ehelichen Einheit hervorheben, die „mit Hilfe der Gnade auch die Vereinigung zwischen Christus und seiner geliebten Braut, der Kirche“, durchscheinen lasse. Der Text richtet sich in erster Linie an Bischöfe, soll aber – wie Kardinal Fernández betont – auch jungen Menschen, Verlobten und Ehepaaren helfen, den Reichtum der christlichen Ehe zu erkennen.

Freies Einverständnis und gegenseitige Zugehörigkeit

Das Dokument streicht heraus, dass die Monogamie keine Einschränkung ist, sondern vielmehr die Chance zu einer Liebe, die sich zur Ewigkeit hin öffnet. Zwei Elemente erscheinen dabei wichtig: die gegenseitige Zugehörigkeit und die eheliche Liebe. Für die gegenseitige Zugehörigkeit bildet allerdings eine „freie Zustimmung” der beiden Ehepartner die Voraussetzung; ein solcher Ehebund spiegelt die dreifaltige Gemeinschaft Gottes wider. Das Dokument spricht von einer „Zugehörigkeit des Herzens, in das nur Gott hineinschaut“ und wo nur Er eintreten kann, „ohne die Freiheit und Identität der Person zu beeinträchtigen“.

Die Freiheit des anderen nicht verletzen

So verstanden „impliziert die gegenseitige Zugehörigkeit, die der ausschließlichen gegenseitigen Liebe eigen ist, eine behutsame Fürsorge und eine heilige Furcht, die Freiheit des anderen zu verletzen, der die gleiche Würde und damit die gleichen Rechte hat“. Wer liebt, weiß, dass „der andere kein Mittel sein kann, um die eigenen Unzufriedenheiten zu lindern“, und ist sich außerdem im Klaren darüber, dass die eigene Leere niemals „durch die Beherrschung des anderen“ gefüllt werden darf. In diesem Zusammenhang bedauert die ‚Lehrmäßige Note‘ ausdrücklich die „vielen Formen ungesunden Verlangens, die in verschiedene Ausprägungen von offener oder subtiler Gewalt, Unterdrückung, psychologischem Druck, Kontrolle und schließlich Ersticken münden“. Es handelt sich um „mangelnden Respekt und Ehrfurcht vor der Würde des anderen“.

Die Ehe ist kein Besitz

Ein gesundes „Wir beide“ impliziert nach dem Dafürhalten der vatikanischen Glaubensbehörde hingegen „die Gegenseitigkeit zweier Freiheiten, die niemals verletzt werden, sondern immer eine Grenze bestehen lassen, die nicht überschritten werden darf“. Dies geschieht, wenn „die Person sich nicht in der Beziehung verliert und nicht mit dem geliebten Menschen verschmilzt“ – aus Respekt vor dem anderen. Eine gesunde Liebe ist dementsprechend eine, „die niemals den anderen absorbieren will“. In diesem Zusammenhang betont das Dokument, dass das Paar „verstehen und akzeptieren“ können muss, dass jeder etwas Raum fürs Alleinsein und Nachdenken braucht. Schließlich ist die Ehe „kein Besitz“, „kein Anspruch“ und auch keine vollständige Befreiung von der Einsamkeit (nur Gott kann nämlich die Leere füllen, die ein Mensch empfindet). Allzu viel Distanz ist aber auch nicht gut: „Wenn sie zu sehr um sich greift, bringt sie das ‚Wir beide‘ in Gefahr“.

 „Beten, um in der Liebe zu wachsen“

Als „wertvolles Mittel“ für Paare, um in Heiligkeit und Liebe zu wachsen, empfiehlt der Vatikan das Gebet. Das „göttliche Geschenk” der Ehe werde durch Beten und sakramentales Leben gestärkt.

Sexualität und Fruchtbarkeit

Das Papier aus dem Glaubensdikasterium bietet auch einige Überlegungen zum Thema Sexualität. Dank der verwandelnden Kraft der Liebe lässt sich – so der Gedankengang – Sexualität nicht (nur) als Trieb verstehen, den es auszuleben gilt, sondern als „wunderbares Geschenk Gottes“, das sich auf Selbsthingabe reimt und bei dem das Wohl des anderen an erster Stelle steht. Fruchtbarkeit muss nicht „das ausdrückliche Ziel jedes Geschlechtsakts sein“; im Gegenteil, die Ehe behält ihren grundlegenden Charakter auch dann, wenn sie kinderlos ist.

Soziale Netzwerke und neue Pädagogik

Doch wie lässt sich „im Kontext des postmodernen Konsumindividualismus“, der den vereinigenden Sinn von Sexualität und Ehe leugnet, die Möglichkeit treuer Liebe bewahren? Die Antwort, so das Dokument, liegt in der Erziehung: „Das Universum der sozialen Netzwerke, in dem die Scham verschwindet und symbolische und sexuelle Gewalt zunimmt, zeigt die Dringlichkeit einer neuen Pädagogik“. Es ist notwendig, „die Generationen darauf vorzubereiten, die Liebeserfahrung als anthropologisches Geheimnis anzunehmen“, indem die Liebe nicht als bloßer Trieb, sondern als Aufruf zur Verantwortung und „Fähigkeit zur Hoffnung des ganzen Menschen“ dargestellt wird.

Die Aufmerksamkeit für die Armen

Zur ehelichen Gemeinschaft gehört, die sich Paare nicht in ihrem Schneckenhaus einschließen, sondern sich gemeinsamen Projekten öffnen, um „etwas Schönes für die Gemeinschaft und für die Welt zu tun“. Denn „der Mensch verwirklicht sich selbst, indem er sich in Beziehung zu anderen und zu Gott setzt“, ansonsten würden Egoismus und Selbstbezogenheit fröhliche Urständ feiern. Das Dokument appelliert an das „soziale Bewusstsein“ der Paare und meint damit vor allem Aufmerksamkeit für die Armen. Schließlich sind diese – so schrieb es Papst Leo in seinem ersten größeren Text „Dilexi te“ – nicht nur ein soziales Problem, sondern eine „Familienangelegenheit“ für Christen.

„Die eheliche Liebe als Versprechen der Unendlichkeit“

Zu guter Letzt bekräftigt die ‚Lehrmäßige Note‘, dass „jede echte Ehe eine Einheit aus zwei Individuen ist, die eine so intime und umfassende Beziehung erfordert, dass sie nicht mit anderen geteilt werden kann“. Von den beiden wesentlichen Eigenschaften der Ehe – Einheit und Unauflösbarkeit – begründet daher die erste die zweite. Nur so kann eheliche Liebe eine dynamische Realität sein, die in kontinuierlichem Wachstum und Entwicklung im Laufe der Zeit zu einem „Versprechen der Unendlichkeit“ wird.

Vom Buch Genesis zum Lehramt der Päpste

Nebenbei bemerkt lässt sich im neuen Vatikan-Dokument auch ein umfassender Exkurs zum Thema Monogamie aus kirchlicher Sicht finden. Vom Buch Genesis über die Kirchenväter und die wichtigsten lehramtlichen Äußerungen bis hin zu Philosophen und Dichtern des 20. Jahrhunderts wird alles aufgeboten, was sich zum „Wir beide“ sagen lässt. Natürlich darf auch der hl. Augustinus nicht fehlen; er wird mit den Worten zitiert „Gib mir ein Herz, das liebt, und es wird verstehen, was ich sage“.

Dokument im Pressesaal vorgestellt

Das Dokument wurde am Dienstag, 25. November, im Presseamt ??des Heiligen Stuhls von Kardinal Víctor Manuel Fernández, dem Präfekten des Dikasteriums für die Glaubenslehre, und der italienischen Philosophie-Professorin Giuseppina De Simone von der Päpstlichen Theologischen Fakultät Süditaliens in Neapel vorgestellt. Kardinal Fernández hob bei dieser Gelegenheit das dynamische und allumfassende Wesen der monogamen Ehe hervor, bei der die Ehepartner das Leben in seiner Fülle teilten, so der Glaubens-Präfekt. Er verwies zugleich auf die „unveräußerliche Würde“ der in der Ehe vereinten Menschen.

Die Verteidigung der Monogamie bedeute auch, die Würde der Frau zu schützen - dies könne nicht geschehen, „wenn der andere Mensch lediglich zum Objekt der Befriedigung der eigenen Begierden wird“, so der Kardinal weiter. Die Ehe dürfe nicht zur „Beherrschung des Partners“ werden, so Fernández. Formen „ungesunder Begierde“ können tatsächlich zu offener oder subtiler Gewalt, zu Unterdrückung, psychischem Druck, Kontrolle und Erstickung führen, oft begleitet von Untreue. „Wahre Liebe erkennt die heilige Dimension des anderen an und erfordert eine behutsame Wahrung seiner Freiheit“, formulierte hierzu die italienische Philosophie-Professorin De Simone.

Auf Fragen anwesender Journalisten erklärte Kardinal Fernández, der Text des Dokumentes sei bereits seit Monaten fertig, seine Veröffentlichung jedoch im Vorfeld des ersten Apostolischen Schreibens von Papst Leo XIV., „Dilexi te“, verschoben worden. Das Schreiben gehe zudem nicht auf die Verwendung von Verhütungsmitteln ein. Anschließend kam der Kardinal auf das Thema Polygamie und deren Verbreitung auf dem afrikanischen Kontinent zurück und nannte als Beispiel Äquatorialguinea, wo diese Praxis in kleinen Dörfern noch immer weit verbreitet sei. Er erklärte, dass sich manche Priester, die versuchten, Gemeinschaften mit Gläubigen in monogamen Ehen zu bilden, oft isoliert fühlten: „Das sind schwierige Situationen“, räumte er ein. Es handele sich um einen Prozess, der schrittweise erfolgen müsse, wie auch Bischöfe vor Ort selbst einräumten. (vn 25)

 

 

 

 

 

Papst vor Reise: In Nizäa Botschaft der Einheit für Christen

 

Als Reise der Hoffnung und des Friedens hat der Papst seine bevorstehende Reise in die Türkei und in den Libanon beschrieben. Vor Journalisten in Castel Gandolfo äußerte er sich am Dienstagabend auch zur Ukraine und zur Lage in Nahost - es gelte immer den Dialog zu suchen.

„Ich freue mich sehr, den Libanon besuchen zu können“, beantwortete Papst Leo die erste Frage zu seiner bevorstehenden Reise in die Türkei und den Libanon. Er äußerte sich am Dienstagabend, achtundvierzig Stunden vor seiner Abreise nach Ankara, in Castel Gandolfo. In den Albaner Bergen verbringt der Papst jeweils einen wöchentlichen Ruhetag; Dienstag abends kehrt er üblicherweise in den Vatikan zurück, um am Mittwoch die Generalaudienz zu leiten.

Botschaft des Friedens und der Hoffnung

„eine außergewöhnliche Gelegenheit sein, die Einheit unter allen Christen zu fördern“

Mit Blick auf seine erste apostolische Reise in die beiden Länder des Nahen Ostens, die ihn anlässlich des 1700. Jahrestages des Konzils von Nizäa auch nach Iznik führen wird, betonte der Papst, dass er insbesondere im Heiligen Jahr eine Botschaft des Friedens und der Hoffnung überbringen werde. Er präzisierte, dass die Reise der Feier des Jahrestages diene. „Vor wenigen Tagen haben wir ein Dokument veröffentlicht, das genau die Bedeutung der Glaubenseinheit hervorhebt, die auch eine Quelle des Friedens für die ganze Welt sein kann. Wir müssen Zeugnis ablegen.“ Leo XIV. erinnerte an seine Treffen mit dem Patriarchen von Konstantinopel, Bartholomäus. „Ich denke, dies (die erneute Begegnung, Anm.) wird eine außergewöhnliche Gelegenheit sein, die Einheit unter allen Christen zu fördern.“

Ob Nahost oder Ukraine: Waffen sind keine Lösung

Mit Blick auf Israels Bombardierung von Hisbollah-Vierteln in Beirut erklärte Leo XIV. auf Englisch: „Es gibt Grund zur Besorgnis.“ Er appellierte an alle, „Wege zu finden, den Einsatz von Waffen als Mittel zur Problemlösung aufzugeben.“ Er mahnte zu gegenseitigem Respekt, zum Dialog und zur „Arbeit an Lösungen für die uns betreffenden Probleme“. Es gelte „alle Menschen zu ermutigen, Frieden und Gerechtigkeit zu suchen, denn Gewalt ist oft die Folge von Ungerechtigkeit“. Gemeinsam gelte es für mehr Einheit und mehr Respekt einzutreten - zwischen den Menschen und gegenüber allen Religionen.

„Wege finden, den Einsatz von Waffen als Mittel zur Problemlösung aufzugeben“

Auch zur Ukraine - wo seit drei Jahren Krieg herrscht, während gleichzeitig der Friedensplan von US-Präsident Donald Trump diskutiert wird - äußerte sich Leo XIV.: „Wir müssen abwarten. Gott sei Dank arbeiten sie daran...“, gab er seiner Hoffnung Ausdruck, „es scheint, als kämen sie einander näher. Es gibt einige Probleme im Dialog. Ich möchte alle in jedem Fall zu einem Waffenstillstand einladen, denn so viele sterben immer noch.“ Es brauche Dialog, um eine Lösung zu finden, bekräftigte der Papst.

Neue Mentalität, um Gewalt gegen Frauen zu unterbinden

„Jeder Mensch verdient Respekt vor seiner Würde“

Mit Blick auf das Problem der Gewalt gegen Frauen betonte der Papst, dass es bei der Erziehung junger Menschen anzusetzen gelte, um das Phänomen einzudämmen. „Jeder Mensch verdient Respekt vor seiner Würde“. Die Aggression betreffe auch oft junge Menschen, so Leo XIV., der zum Ende der Gewalt aufrief. Es gelte eine andere Mentalität zu schaffen. „Wir müssen friedliebende Menschen sein, die alle Menschen lieben.“ Am 25. November wird der Internationale Tag zur Beseitigung von Gewalt gegen Frauen begangen.

Gott danken

Abschließend beantwortete der Papst die Frage einer Journalistin, wie er als Amerikaner Thanksgiving feiern wird, das in seine Reisezeit fällt. „Es gibt so vieles, wofür ich dankbar bin. Ich möchte alle ermutigen, insbesondere anlässlich dieses schönen Feiertags in den Vereinigten Staaten, der Menschen unterschiedlichen Glaubens oder auch jene ohne Glauben vereint, jemandem zu danken und zu erkennen, dass wir alle viele Gaben erhalten haben, allen voran das Geschenk des Lebens, das Geschenk des Glaubens und das Geschenk der Einheit.“ Der Papst ermutigte dazu, „Frieden und Harmonie zu fördern und Gott zu danken“ - für das, was er uns gegeben habe. Vn 25

 

 

 

 

 

Ratzinger-Preis 2025 geht an Dirigent Riccardo Muti

 

Der italienische Dirigent Riccardo Muti erhält den Ratzinger-Preis 2025. Er wird ihn am 12. Dezember aus den Händen von Papst Leo XIV. entgegennehmen, teilte die Vatikanische Joseph-Ratzinger-Benedikt-XVI.-Stiftung an diesem Montag mit. Die Überreichung findet im Rahmen eines Weihnachtskonzerts unter Mutis Leitung in der vatikanischen Audienzhalle statt.

Vatikan: Verleihung der Ratzinger-Preise für „offene Vernunft“

Papst Benedikt XVI. habe die Kunst des italienischen Maestro sehr geschätzt, hieß es in der Mitteilung. Riccardo Muti wird mit den Worten zitiert, er habe seinerseits Papst Benedikt „stets mit tiefer Bewunderung begleitet“, seine Gedanken und Meditationen seien und blieben „für Männer und Frauen guten Willens eine Quelle der Inspiration“. Das letzte private Treffen mit dem emeritierten Papst Benedikt „wird für mich und meine Frau eine Erinnerung voller Glauben und Hoffnung bleiben“, so Muti laut der Mitteilung.

Der Ratzinger-Preis wurde 2011 geschaffen. Jedes Jahr schlägt das wissenschaftliche Komitee der Stiftung Persönlichkeiten vor, die sich in christlich inspirierter Kultur und Kunst hervorgetan haben. Die meisten Preisträger bisher stammten aus der Theologie, vertreten waren aber auch verdiente Exponenten der Rechtswissenschaft und der Kunst aus verschiedenen Kontinenten und Konfessionen.

Zu den Ratzinger-Preisträgern aus dem deutschen Sprachraum zählten bisher die Theologin Marianne Schlosser und die Religionsphilosophin Hanna-Barbara Gerl-Falkovits, die Theologen Christian Schaller, Karl-Heinz Menke und Ludger Schwienhorst-Schönberger. Aus dem Bereich Kunst sind unter anderem der estnische Komponist Arvo Pärt und der Schweizer Architekt Mario Botta vertreten.

Die Auszeichnung, die bei ihrer Einrichtung 2011 als „Nobelpreis der Theologie“ bezeichnet wurde, ist mit 50.000 Euro dotiert. Der Fonds der „Vatikanischen Stiftung Joseph Ratzinger Benedikt XVI.“ speist sich aus den Erlösen der Werke Joseph Ratzingers und aus öffentlichen wie privaten Spenden. (vn 24)

 

 

 

 

 

Weihbischof Lohmann zum Abschluss der UN-Klimakonferenz 2025 (COP30)

 

„Es darf kein Prozess kleiner Schritte bleiben, wo wir große Sprünge bräuchten.“

Anlässlich der gestern (22. November 2025) zu Ende gegangenen UN-Klimakonferenz 2025 (COP30) in Belém (Brasilien) erklärt Weihbischof Rolf Lohmann (Münster), Vorsitzender der Arbeitsgruppe für ökologische Fragen der Deutschen Bischofskonferenz:

„Zehn Jahre nach der wegweisenden UN-Klimakonferenz in Paris fällt eine Bewertung der weltweiten Bemühungen zum Klima- und Umweltschutz ernüchternd aus. Das 2015 beschlossene Ziel, den weltweiten Temperaturanstieg auf maximal zwei Grad Celsius, besser noch auf 1,5 Grad zu begrenzen, lässt sich kaum noch erreichen. Auch das Fazit zur diesjährigen Klimakonferenz in Belém ist gemischt. So sind etwa die Finanzierungszusagen für den Fonds zur Anpassung an Schäden, die durch den Klimawandel hervorgerufen werden, hinter den Erfordernissen zurückgeblieben. Außerdem konnten sich die Staaten nicht auf einen klaren gemeinsamen Fahrplan für den bereits geplanten Ausstieg aus fossilen Energien einigen – dabei wären konkrete Ausstiegsdaten wichtig.

Damit bleibt das Grundproblem bestehen, dessen Lösung auch Papst Leo XIV. in seiner Videobotschaft zur COP30 angemahnt hat: ‚Hoffnung und Entschlossenheit müssen erneuert werden, nicht nur in Worten und Bestrebungen, sondern auch in konkreten Taten.‘ Dieser Aufforderung schließe ich mich dezidiert an. Es fehlt ein geeinter politischer Wille zur sozial-ökologischen Transformation. Längst ist bekannt, dass Investitionen in den Klima- und Umweltschutz Investitionen in eine lebenswerte Zukunft sind. Wirtschaft und Ökologie müssen zusammengedacht werden und sind mittel- bis langfristig auch nur gemeinsam denkbar. Je eher wir diese Erkenntnis umsetzen, umso leichter lässt sich die Transformation bewerkstelligen. Es darf kein Prozess kleiner Schritte bleiben, wo wir große Sprünge bräuchten.

Aber es gibt auch positive Signale, die von dieser COP ausgehen. Beispielhaft möchte ich den Fonds zum Schutz der Regenwälder (TFFF) hervorheben. Der Regenwald ist die ‚grüne Lunge‘ unseres Planeten und Lebensraum für zahlreiche Tier- und Pflanzenarten. Ihn zu schützen, ist ein zentraler Bestandteil der Bewahrung der Schöpfung. Die brasilianische Regierung hat diesen Fonds ins Leben gerufen, in den sowohl Staaten als auch private Investoren einzahlen können. Erfreulicherweise sind hier namhafte Summen zusammengekommen. Auch Deutschland leistet einen Beitrag mit der Zusage von einer Milliarde Euro. Das ist ein wichtiges Signal.

Der Ruf nach einer ökologischen Umkehr aus der vor zehn Jahren veröffentlichten Umwelt- und Sozialenzyklika Laudato si’ von Papst Franziskus ist ein bleibender Auftrag. Wir dürfen nicht resignieren – und ich werde es auch nicht! Im Sinne des Heiligen Jahres erinnere ich daran, dass wir Pilger der Hoffnung sind. Es kommt auf uns alle an und wir alle können einen Beitrag leisten.“ Dbk 23

 

 

 

 

 

Papst Leo XIV.: Christliche Hoffnung bedeutet „Stellung beziehen“

 

Papst Leo XIV. hat an diesem Samstag anlässlich der Sonderaudienzen zum Heiligen Jahr tausende Pilger empfangen, darunter eine große Zahl von Teilnehmern des Jubiläums der Chöre und Choräle. In seiner Katechese auf dem Petersplatz forderte der Papst die Gläubigen auf, nicht in träger Ruhe zu verharren, sondern aktiv „Stellung zu beziehen“ gegen Ungerechtigkeit und für die Würde des Menschen. Mario Galgano

Zu Beginn erinnerte der Papst die Pilger an den Ursprung ihrer Reise: „Für viele von Euch ist es die Erfüllung einer großen Sehnsucht, heute in Rom zu sein.“ Er betonte, dass der Herr die Gläubigen selbst an die Hand genommen habe, doch „wem viel gegeben wurde, von dem wird viel zurückgefordert werden“. Dies sei ein Zeichen des Vertrauens.

Das Feuer der Liebe und der Sehnsucht

Der Friede, den Jesus bringe, sei kein Zustand der Ruhe, sondern ein „Feuer“, das fordert: „Der Friede, den Jesus bringt, ist wie ein Feuer und verlangt uns viel ab.“

Der Papst forderte die Gläubigen auf, aktiv zu werden: „Angesichts von Ungerechtigkeiten, Ungleichbehandlung, wo die Menschenwürde mit Füßen getreten wird, wo den Schwachen das Wort entzogen wird: Stellung beziehen.“ Wahre christliche Hoffnung bedeute, zu erkennen, dass die Dinge nicht so weitergehen dürfen wie bisher.

Als leuchtendes Beispiel nannte Papst Leo XIV. die amerikanische Sozialaktivistin Dorothy Day (1897–1980): „Dorothy Day hat Stellung bezogen.“ Sie sah, dass das Wachstumsmodell ihres Landes nicht allen die gleichen Chancen bot, und engagierte sich für Arbeiter und Migranten.

Der Papst hob die Methode von Dorothy Day hervor: „Sie schrieb und sie diente: Es ist wichtig, Verstand, Herz und Hände zu vereinen.“ Sie habe als Journalistin gedacht, zum Nachdenken angeregt und dann Mahlzeiten serviert und Kleidung verteilt. „Auf diese Weise bedeutet Hoffen, Stellung zu beziehen.“

Lob für die Chöre zum Gedenktag der Heiligen Cäcilia

Die Audienz stand im Zeichen des Jubiläums der Chöre und Choräle, an dem an diesem Wochenende rund 35.000 Pilger aus 117 Ländern teilnehmen.

Der Papst dankte den Sängern für ihren Dienst in den Gemeinden und betonte die wichtige Rolle von Musik und Gesang: „Die Musik und der Gesang im liturgischen Bereich sind eine Form des Gebets, ein Empfinden für das Schöne, das zu Gott erhebt und die Herzen im Lob vereint.“

Er grüßte die Chöre insbesondere an ihrem Gedenktag: „Die Heilige Cäcilia, Patronin der Musik und des Gesangs, deren Gedenktag wir heute feiern, möge Ihr Engagement und Ihre Mission unterstützen.“

Am Ende der Audienz wurde Papst Leo XIV. von einer der auf dem Platz stehenden Kapellen mit einem Minikonzert überrascht, das er mit Applaus bedachte. Ab dem späten Nachmittag sollten über 100 für das Jubiläum registrierte Chöre die Abendmessen in mehr als 90 Kirchen Roms gestalten.

(vn 22)

 

 

 

 

 

Satzung der Synodalkonferenz einstimmig beschlossen

 

„Der Ausschuss endet – der Synodale Weg geht weiter“

Mit dem einstimmigen Beschluss einer Satzung der künftigen Synodalkonferenz der katholischen Kirche in Deutschland ist die Sitzung des Synodalen Ausschusses in Fulda heute (22. November 2025) zu Ende gegangen. Das Präsidium des Ausschusses sprach von einer „nachhaltigen Entscheidung, die dem Miteinander in unserer Kirche Zukunft gibt“.

Als einen zentralen Punkt bezeichnete die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (Zdk), Dr. Irme Stetter-Karp, „dass Bischöfe und Laien in dieser Synodalkonferenz künftig gemeinsam beraten und Beschlüsse fassen“. Das sei „eine neue Qualität von Gemeinsinn, in einer Zeit voller Herausforderungen. Ich bin sicher, dass diese Neuerung vor allem deshalb zustande kommen konnte, weil das Vertrauen zueinander in mehr als fünf Jahren auf dem Synodalen Weg gewachsen ist. Es ist wohl mehr als ein Zufall, dass der Synodale Ausschuss sein Werk im Übergang zu einer Synodalkonferenz fast genau am Jahrestag des Abschlusses der Würzburger Synode vor fünfzig Jahren vollenden konnte. Damals, am 23. November 1975, hieß es: ‚Die Synode endet – die Synode beginnt.‘ Ich bin dankbar, dass wir hier in Fulda sagen können: Der Ausschuss endet – der Synodale Weg geht weiter.“

Auch der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zeigte sich zufrieden: „Das ist ein großartiger Moment, auch ein Stück historisch. Der Weg bis hierher hat viel Arbeit im Vorfeld bedeutet, auch im Gespräch mit Rom. Mir fällt ein großer Stein vom Herzen und die Einstimmigkeit zur Satzung zeigt auch, wie sehr wir zusammengefunden haben durch die Arbeit im Synodalen Ausschuss. Es war ein Weg in Deutschland und mit der Weltgemeinschaft der Kirche. Wir haben es hier geschafft, wichtige Schritte von Partizipation, Transparenz, Rechenschaft, gemeinsamem Beraten und Entscheiden voranzugehen.“ Ausdrücklich wandte sich Bischof Bätzing an jene Bischöfe, die aus dem Prozess des Synodalen Weges ausgestiegen sind: „Es ist mein Wunsch, dass am Ende auch alle mitwirken wollen und können. Um es ehrlich zu sagen: Wir haben aus den Erfahrungen des Synodalen Weges gelernt, da gab es auch Verletzungen und die kritische Frage, ob Minderheiten ernstgenommen wurden. Die jetzigen Erfahrungen im Ausschuss haben zu einem anderen Miteinander geführt und Wege ermöglicht, Fragen gemeinsam zu klären. Wir können uns einander zumuten in der unterschiedlichen Verantwortlichkeit. Aber wir wissen, im Ziel gehen wir zusammen. Das ist etwas, das prägt, das macht es konstruktiv“, so Bischof Bätzing.

Zu den Eckpunkten der Satzung gehört – neben der Grundsatzentscheidung, gemeinsam zu beraten und Beschlüsse zu fassen, um dem Sendungsauftrag der Kirche gerecht zu werden – die Zusammensetzung der künftigen Synodalkonferenz: Sie wird aus den 27 Diözesanbischöfen, ebenso vielen Mitgliedern des ZdK und weiteren 27 von der Synodalversammlung zu wählenden Mitgliedern bestehen.  „In der Synodalkonferenz kommen Gläubige unterschiedlicher Berufung zusammen. Gemeinsam bringen sie die Vielfalt des Volkes Gottes der Kirche in Deutschland zum Ausdruck“, heißt es in der Satzung. Die Synodalkonferenz fördere „stetig das Handeln der Kirche in Deutschland im Dienst der Evangelisierung“. Die Deutsche Ordensobernkonferenz sowie der Beirat der Betroffenen von sexuellem Missbrauch in der Kirche werden je zwei Mitglieder in die Synodalkonferenz entsenden. Weitere Details soll eine Geschäftsordnung regeln, deren Eckpunkte im Ausschuss beraten wurden.

Festgehalten wurde die Verantwortung der Adressaten für die Umsetzung der Beschlüsse der Synodalkonferenz. Sie sollen Rechenschaft darüber ablegen, „falls sie einem Beschluss nicht folgen können“.  In einer Protokollnotiz zur Satzung hielt der Synodale Ausschuss zudem fest, in welcher Intention der für die Synodalkonferenz vorgesehene Finanzausschuss arbeitet. Die Konferenz solle sicherstellen, dass weitere Gläubige so bald als möglich in entscheidungserheblicher Weise und dauerhaft an den Entscheidungen des Verbandes der Diözesen Deutschlands (VDD) in Haushaltsfragen mitwirken. 

In den nächsten Schritten muss die Satzung von der Vollversammlung der Deutschen Bischofskonferenz sowie der Vollversammlung des ZdK angenommen werden. Danach wird sie dem zuständigen Dikasterium im Vatikan zur Erteilung einer „Recognitio ad experimentum“ vorgelegt.  

Der Samstagvormittag stand auch im Licht des Berichts zweier Kommissionen des Synodalen Ausschusses: Die Kommission für Evaluation und Monitoring der Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges berichtete über Ergebnisse. Die Kommission zur Weiterentwicklung der Initiativen des Synodalen Weges brachte den Handlungstext „Gemeinsam beraten und entscheiden“ für die Bistumsebene ein, der einstimmig angenommen wurde. Dbk 22

 

 

 

 

 

Bischöfe und Laien wollen neues nationales Kirchengremium schaffen

 

In der katholischen Kirche in Deutschland wird es möglicherweise bald schon ein neues nationales Gremium aus Bischöfen und Laien geben. „Wir gehen auf die Zielgerade", sagte die Präsidentin des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK) Irme Stetter-Karp am Freitag in Fulda. Dort findet die mutmaßlich letzte Sitzung des Synodalen Ausschusses statt.

Der Ausschuss soll unter anderem die Voraussetzungen für die geplante Synodalkonferenz schaffen, in der Bischöfe und Laien ihre Beratungen auf Bundesebene verstetigen wollen. Bis Samstag wollen die 62 in Fulda anwesenden Mitglieder des Ausschusses eine Satzung für das neue Gremium verabschieden. Diese regelt dann auch die Befugnisse und Kompetenzen der Synodalkonferenz.

Zustimmung aus Rom erforderlich

Im Anschluss daran müssen das ZdK sowie die Vollversammlung der deutschen Bischöfe der Satzung zustimmen, wie der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Georg Bätzing, erläuterte. Danach werde die Satzung in Rom vorgelegt. In der Vergangenheit hatte der Vatikan mehrfach Vorbehalte mit Blick auf das Projekt geäußert. Im Kern ging es dabei um die Frage, ob und in welcher Weise Bischöfe und Laien gleichberechtigt Entscheidungen über das kirchliche Leben in Deutschland fällen können.

Stetter-Karp und Bätzing zeigten sich zuversichtlich, dass es aus Rom keine grundsätzlichen Einwände gegen die geplante Synodalkonferenz gebe. Die bisherigen Gespräche hätten ein „echtes Interesse an der Entstehung von etwas Neuem" gezeigt, sagte die ZdK-Präsidentin. Bischof Bätzing betonte, man sei eingebunden in den vom damaligen Papst Franziskus angestoßenen Weg zu einer Veränderung und Erneuerung der Kirche. Er gehe davon aus, dass das neue Gremium bald schon arbeitsfähig sei, so der Bischof von Limburg: „Wir planen Termine für das nächste Jahr".

Ruf nach mehr Tempo bei Reformen

Im Vorfeld hatten 18 katholische Verbände, Gruppen und Initiativen gefordert, die Reformvorhaben etwa beim Umgang mit sexuellen Minderheiten oder der Rolle von Frauen in der Kirche weiterzuentwickeln und kirchenrechtlich umzusetzen.

Vor dem Tagungsort in Fulda demonstrierten am Freitag rund 20 Menschen einer Gruppe namens Deutsche Gesellschaft zum Schutz von Tradition, Familie und Privateigentum gegen den Reformdialog in der Kirche. Unter dem Motto „Bleiben wir katholisch!" beteten sie den Rosenkranz.

Gegen den Synodalen Weg von Bischöfen und Laienvereinigung in Deutschland hatte sich von Beginn an Widerstand in traditionsverbundenen katholischen Kreisen formiert. Auch eine Minderheit der deutschen Bischöfe, unter ihnen Kardinal Rainer Maria Woelki und Stefan Oster, zeigten sich wiederholt kritisch über Vorgangsweise und Anliegen des Synodalen Wegs.  (kna 21)

 

 

 

 

Ukraine: Parolin verurteilt Angriffe auf zivile Infrastruktur

 

Kardinal Pietro Parolin hat bei einer Messe zum Gedenken an die Opfer des Holodomor in der römischen Kirche Sant’Andrea della Valle die jüngsten Angriffe auf die ukrainische Energieversorgung scharf kritisiert. „Es gibt keine Rechtfertigung, Tausende Zivilisten im Dunkeln und in der Kälte leben zu lassen“, sagte der vatikanische Staatssekretär.

Jeder Akt, der Menschen ihre Würde nehme, sei „eine Beleidigung der ganzen Menschheit und ein Affront gegen Gott“. Parolin erinnerte bei der Messe an diesem Donnerstag in Rom an die Worte von Papst Leo XIV., man müsse auf einen Waffenstillstand und anschließenden Dialog drängen.

Am Rande der Feier äußerte sich Parolin auch zu einem Friedensplan für die Ukraine, der von US-Präsident Donald Trump stammen soll. Er hoffe, dass „Wege des Dialogs“ geöffnet würden. Die Verhandlungen würden sicher schwierig, doch ein Kompromiss sei nötig. Europa solle sich weiterhin aktiv einbringen und „nicht ausgeschlossen bleiben“, zumal die EU sich auch bisher schon aktiv für die Ukraine eingesetzt habe.

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Über mögliche territoriale Zugeständnisse der Ukraine an Russland zu reden, hält der Kardinalstaatssekretär indessen für „verfrüht“, da solche Fragen Ergebnis der Verhandlungen seien. Die Bemühungen des Heiligen Stuhls für Gefangenenaustausch und die Rückkehr ukrainischer Kinder aus Russland liefen weiter.

„Europa muss an Friedensbemühungen für Ukraine beteiligt werden“

In seiner Predigt erinnerte Parolin an den Holodomor, die von Stalin verursachte Hungersnot in den dreißiger Jahren des letzten Jahrhunderts, die Millionen Menschen das Leben kostete. Dieses Verbrechen sei nicht von der Natur verursacht worden, sondern von „Hass, Ungerechtigkeit und Machtmissbrauch“. Im Jubiläumsjahr wolle man Hoffnung erneuern – für die Opfer von damals und die Leidenden von heute. Am Ende vertraute er „alle Opfer von Hunger, Hass und Gewalt“ der Barmherzigkeit Gottes an und bat um eine „gerechte und dauerhafte“ Friedensperspektive für die Ukraine.

Anwesend waren rund 50 Botschafter sowie vier ukrainische Teenager, die während des Kriegs nach Russland gebracht und kürzlich an ihre Familien zurückgeführt wurden. An diesem Freitag wollte Papst Leo die Jugendlichen bei sich im Vatikan empfangen. (vn 21)

 

 

 

 

Synodaler Ausschuss kommt in Fulda zusammen

 

Beratung zu Satzung einer geplanten Synodalkonferenz im Mittelpunkt

In Fulda hat heute (21. November 2025) die fünfte und letzte Sitzung des Synodalen Ausschusses begonnen. An ihr nehmen 62 der insgesamt 70 Mitglieder teil, ebenso vier geladene Gäste aus den (Erz-)Bistümern Eichstätt, Regensburg, Passau und Köln.

Die Mitglieder des Gremiums beraten zwei Tage lang über zentrale strukturelle und inhaltliche Weichenstellungen für eine synodale Weiterentwicklung der katholischen Kirche in Deutschland. Im Zentrum stehen die weiteren Arbeiten an der Satzung sowie an den Eckpunkten einer Geschäftsordnung für eine geplante Synodalkonferenz, die künftig als bundesweites synodales Gremium wirken soll.

Grundlage der Beratungen sind die Ergebnisse der drei Kommissionen, die seit der letzten Sitzung im Mai ihre Arbeit intensiv fortgeführt haben. Kommission I befasst sich mit dem Strukturprinzip der Synodalität und der Ordnung eines möglichen Gremiums auf Bundesebene; Kommission II legt Berichte zum Monitoring und zur Evaluation der Umsetzung der Beschlüsse des Synodalen Weges vor; Kommission III bringt Vorschläge zur Weiterentwicklung der Initiativen des Synodalen Weges ein.

Bischof Dr. Georg Bätzing, Präsident des Synodalen Weges und Vorsitzender der Deutschen Bischofskonferenz, betonte zum Auftakt: „Wir sind in der entscheidenden Phase, ein bundesweites synodales Gremium auf den Weg zu bringen. Die zurückliegenden Gespräche in Rom haben mir dazu Mut gemacht. Ich nehme wahr, dass das Abschlussdokument der Weltsynode gut auf unserem Weg rezipiert wird. Vieles, was darin geschrieben wurde, ist wichtig in der Implementierung unseres Weges. Gehen wir diesen Weg mutig voran zur letzten Synodalversammlung im Januar 2026, wenn wir dann ein weiteres, ein neues Kapitel von Synodalität in unserem Land aufschlagen.“

Als positives Signal wertete Bischof Bätzing die Entscheidung des XVI. Ordentlichen Rates der Bischofssynode, das Synodensekretariat mit der Vorbereitung der Kirchenversammlung 2028 zu beauftragen. Dabei seien unter anderem die Fortbildung im synodalen Denken und das Achten auf unterschiedliche Kulturen als zentrale Themen benannt worden. „So wie die deutschen Mitglieder der Delegation Ende Oktober bei der Heilig-Jahr-Feier der Synodalteams die Gesprächsmöglichkeiten und den Austausch genutzt haben, sollten wir als Kirche in Deutschland weiterhin die Chance im Zugehen auf die Kirchenversammlung nutzen und unsere Erfahrungen und Fragen aktiv in die weltkirchlichen Beratungen einbringen. So können wir unser gemeinsames Ringen um eine glaubwürdige Gestalt von Kirche mit der Weltkirche teilen“, sagte Bischof Bätzing.

Die Präsidentin des Synodalen Weges und des Zentralkomitees der deutschen Katholiken (ZdK), Dr. Irme Stetter-Karp, sagte: „Wir gehen auf die Zielgerade! Der Synodale Ausschuss tagt heute und morgen zum letzten Mal. Denn er hat seine Hauptaufgabe erfüllt, wenn er die Satzung eines künftigen Synodalen Gremiums auf Bundesebene beschließt – und genau das werden wir heute und morgen hier in Fulda tun. Wenn uns gelingt, was wir uns vorgenommen haben, wird es in Deutschland ein Gremium auf überdiözesaner Ebene geben, in dem katholische Bischöfe und Laien mit gleichem Stimmrecht gemeinsam beraten und entscheiden. Und in dem die Zahl der Laien zugleich kein Beteiligungs-Alibi ist. Kein Wunder, dass sich Rom für uns interessiert!“

In den zurückliegenden Wochen, vor allem in den letzten Tagen, hätten manche dieses große Interesse des Vatikans an der Satzung als Misstrauen gedeutet. „Wir nehmen es ganz anders wahr: Die Gespräche, die geführt wurden, offenbaren ein echtes Interesse an der Entstehung von etwas Neuem. In dem Bewusstsein, dass dieses synodale Gremium auf Bundesebene auch das Interesse von Katholikinnen und Katholiken in anderen Ländern und auf anderen Kontinenten wecken wird. Wir gehen einen großen Schritt hin zu mehr Miteinander, zu Umkehr und Erneuerung der Kirche.“ Stetter-Karp erinnerte zugleich an den Beginn des Synodalen Weges mit dem Entsetzen über das Ausmaß des Missbrauchsskandals. „Engagierte Bischöfe und engagierte Laien übernehmen gemeinsam Verantwortung für Veränderung. Wir wollen es wagen – und setzen all unsere Kraft in die kommenden zwei Tage.“ Dbk 21

 

 

 

 

Leo XIV.: Ein Kurzbesuch in Assisi

 

Papst Leo XIV. hat am Donnerstag Vormittag Assisi besucht, die Stadt des hl. Franz. Bei einer Begegnung mit den italienischen Bischöfen skizzierte er dort seine Vorstellungen von einer „wirklich geeinten“, synodalen Kirche. Stefan von Kempis – Vatikanstadt

Konkret rief der Papst dazu auf, bei den Reformen in der italienischen Kirche nicht innezuhalten; da geht es vor allem um die Zusammenlegung von Bistümern. Er riet auch ausdrücklich zu stärkerer Beteiligung von Laien bei der Auswahl von Bischöfen und dazu, die Altersgrenze von 75 Jahren für Ortsbischöfe einzuhalten.

Es war der erste Aufenthalt des im Mai gewählten Papstes in Assisi, einem Städtchen, das sein Vorgänger Franziskus häufig besucht hat. Gleich nach seiner Ankunft betete Leo in der Basilika San Francesco in der Oberstadt von Assisi am Grab des hl. Franz. Anschließend traf er sich in der Basilika Santa Maria degli Angeli in Assisis Unterstadt mit den italienischen Bischöfen, die dort in den letzten Tagen ihre Herbstvollversammlung gehalten haben.

„Die Welt braucht die Botschaft von Assisi dringend“

Assisi sei ein Ort des Glaubens, der Geschwisterlichkeit und des Friedens, so Leo XIV. Die Welt brauche die Botschaft, die Assisi übermittle, dringend. Zur Botschaft dieser Stadt gehöre auch, Christus in den Mittelpunkt zu stellen, so wie der hl. Franz das getan habe. „Auf Jesus schauen – das ist das Erste, wozu auch wir aufgerufen sind… In einer Zeit starker Fragmentierung ist es nötig, wieder zu den Grundlagen unseres Glaubens zurückzukehren, zum Kerygma.“

Auf Christus schauen bedeute auch, unsere Mitmenschen mit ihren Sorgen und Nöten in den Blick zu nehmen und ihnen Frieden zu bringen. „Wir leben in einer Zeit der Brüche, auf nationaler wie internationaler Ebene; Botschaften und ein Tonfall der Feindseligkeit und der Gewalt sind weit verbreitet; das Rennen um Effizienz lässt die Schwächsten zurück; die technologische Omnipräsenz bringt die Freiheit in Bedrängnis… Doch die Schrift und der Heilige Geist drängen uns, als Handwerker der Freundschaft, der Geschwisterlichkeit, der authentischen Beziehungen in unseren Gemeinschaften zu arbeiten.“

Für eine „kollegiale Kirche“

Nach diesen Überlegungen fasste Papst Leo XIV. den synodalen Prozess der italienischen Kirche ins Auge. Er wünsche sich den „Einsatz aller“, damit wirklich eine „kollegiale Kirche“ Gestalt annehme. „Angesichts der Herausforderungen der Evangelisierung und der Veränderungen der letzten Jahrzehnte, u.a. im demografischen Bereich, dürfen wir beim Thema der Zusammenlegung von Diözesen nicht zurückrudern! … Wir müssen angesichts der Anforderungen der christlichen Verkündigung bestimmte territoriale Grenzen überwinden und unsere religiöse und kirchliche Identität offener gestalten.“

„Auf die Laien hören“

Entscheidend sei, „dass wir in diesem synodalen Stil lernen, zusammenzuarbeiten und in den Ortskirchen offene, gastfreundliche christliche Gemeinschaften aufzubauen“. Dabei sei auch das „aufmerksames Hinhören“ auf die Beiträge der Laien wichtig. „In diesem Sinne muss die Koordinierung zwischen dem Dikasterium für die Bischöfe und der Apostolischen Nuntiatur im Sinne einer gemeinsamen Verantwortung eine stärkere Beteiligung von Personen an der Konsultation zur Ernennung neuer Bischöfe fördern, zusätzlich zum Anhören der amtierenden Ortsbischöfe…“

Wenn Bischöfe nicht loslassen können

Eine synodale Kirche müsse sich, so fuhr der Papst fort, beständig erneuern. „Es muss vermieden werden, dass trotz guter Absichten Trägheit die notwendigen Veränderungen verlangsamt. In diesem Zusammenhang müssen wir alle die innere Haltung pflegen, die Papst Franziskus als ‚Abschied nehmen lernen‘ bezeichnet hat – eine wertvolle Haltung, wenn man sich darauf vorbereiten muss, sein Amt niederzulegen. Es ist gut, dass die Regel des 75. Lebensjahres für das Ausscheiden der Ortsbischöfe in den Diözesen eingehalten wird, und nur im Falle der Kardinäle kann eine Fortsetzung des Dienstes gegebenenfalls für weitere zwei Jahre in Betracht gezogen werden.“

Schließlich hatte Papst Leo für „seine“ italienische Kirche auch noch ein paar Worte der Ermunterung. Ihr Engagement in der Gesellschaft sei auch künftig gefragt. Das sagte er übrigens auch mit Blick aufs Digitale: „Seelsorge kann sich nicht darauf beschränken, Medien zu nutzen; sie muss auch zu Menschlichkeit in der digitalen Welt erziehen und beitragen, bei der die Wahrheit nicht in der Vervielfältigung der Verbindungen abhanden kommt…“

Im Kampf gegen Missbrauch nicht müde werden

Ausdrücklich forderte der Papst die Bischöfe dazu auf, sich für eine „Kultur der Prävention von Missbrauch“ zu engagieren. „Die Aufnahme und das Zuhören gegenüber den Opfern sind das authentische Merkmal einer Kirche, die in der gemeinschaftlichen Bekehrung die Wunden erkennt und sich bemüht, sie zu lindern, denn wo der Schmerz tief ist, da muss die Hoffnung, die aus der Gemeinschaft entsteht, noch stärker sein.“ Er danke für das bisher auf diesem Feld Geleistete und setze darauf, dass das Engagement für den Schutz von Minderjährigen und schutzbedürftigen Erwachsenen nicht erlahme.

„Gemeinsam gehen, mit allen gehen: Das bedeutet, eine Kirche zu sein, die unter den Menschen lebt“

„Gemeinsam gehen, mit allen gehen: Das bedeutet auch, eine Kirche zu sein, die unter den Menschen lebt, ihre Fragen aufnimmt, ihre Leiden lindert, ihre Hoffnungen teilt. Bleibt weiterhin den Familien, den Jugendlichen, den älteren Menschen und denen, die in Einsamkeit leben, nahe. Setzt euch weiterhin für die Armen ein: Die christlichen Gemeinschaften, die überall in der Region verwurzelt sind, die vielen Seelsorger und Freiwilligen, die Diözesan- und Pfarrcaritas leisten bereits großartige Arbeit in diesem Sinne, und dafür bin ich euch dankbar.“

Nach seiner Begegnung mit den italienischen Bischöfen in Assisi reiste Leo XIV. ins nahegelegene Montefalco weiter, um dort mit Augustinerinnen eine heilige Messe zu feiern. Im Anschluss daran kehrte er nach Rom zurück.

Hintergrund

Etwa achtzig Prozent der Italiener sind katholisch. Auch wenn Kardinal Matteo Zuppi, der Vorsitzende der Bischofskonferenz, vor ein paar Tagen geäußert hat, Italiens Christentum sei am Ende, „das Christliche allerdings nicht“, hat der Katholizismus doch noch immer starken Einfluss auf das Denken und Fühlen der Menschen im Land.

Italiens Bischofskonferenz ist die zahlenmäßig stärkste Europas; aus historischen Gründen haben sich viele Bistümer entwickelt, in denen heute weniger als 100.000 Katholiken leben. Der Prozess einer Zusammenlegung von Bistümern kommt nur schleppend voran. Auch in der Aufarbeitung von Missbrauchsfällen steht Italiens Kirche in mancherlei Hinsicht noch am Anfang. (vn 20)

 

 

 

 

EU-Bischöfe fordern Einsatz gegen antichristlichen Hass

 

Die COMECE fordert einen EU-Koordinator gegen antichristlichen Hass und besseren Schutz für Gläubige. Bei einem Treffen am 17. November warnten verschiedene Religionsvertreter vor wachsender Diskriminierung.

Mit einem Apell an die Europäische Union hat die Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Union (COMECE) den Schutz von Gläubigen in Europa und den Einsatz gegen antichristlichen Hass in den Mittelpunkt gestellt. Bei der jährlichen Sitzung  zwischen der Europäischen Kommission und religiösen Führern betonte Czeslaw Kozon, Bischof von Kopenhagen und Vizepräsident der COMECE, die Dringlichkeit eines europäischen Koordinators zur Bekämpfung von Diskriminierung und Gewalt gegen Christen.

Die COMECE „fordert nachdrücklich die Ernennung eines EU-Koordinators für die Bekämpfung von antichristlichem Hass.“ Sie verweist darauf, dass „immer mehr Berichte auf das Auftreten von Verbrechen gegen Christen und von Hass, Intoleranz und Diskriminierung ihnen gegenüber innerhalb der Europäischen Union aufzeigen.“ Notwendig sei, „einen angemessenen Schutz der Gläubigen und ihrer heiligen Stätten zu gewährleisten, unabhängig davon, ob sie einer Mehrheits- oder Minderheitsreligion angehören.“

Bischof Kozon erklärte: „Es gibt mehr als einen konkreten Grund, warum viele Christen derzeit Diskriminierung, Ausgrenzung, Belästigung, Hass und Gewalt ausgesetzt sind.“ In zunehmend säkularisierten Gesellschaften gebe es immer weniger Raum für Religion sowie für religiöse Argumente in der Politik und in der öffentlichen Debatte.“

Christliche Politik

Laut COMECE zeigt sich dies unter anderem in der Diskriminierung von Politikern, „die klassische christliche Ansichten zu Abtreibung, Euthanasie, Ehe und Familienleben vertreten“, oder in deren freiwilliger Enthaltung, ihre Überzeugungen öffentlich zu äußern.

Der Bischof bemerkt außerdem: „Sehr oft werden klassische christliche Prinzipien und Tugenden als Widerspruch oder sogar als Bedrohung für die moderne Gesellschaft angesehen.“ Dies könne zu Einschränkungen des Rechts führen, nach christlichen Grundsätzen zu erziehen, und zu „Misstrauen gegenüber dem Recht der Eltern, ihre Kinder nach ihrem Glauben zu erziehen.“

Aus diesem Grund formulierte die COMECE eine weitere zentrale Bitte an die EU: Es „ist von grundlegender Bedeutung, und wir würden uns wünschen, dass mehr dafür getan wir,“ um „religiöse Bildung über das Wesen, die Grundprinzipien, das Selbstverständnis und die Strukturen der Religionen“ zu fördern.

„Hass zu überwinden ist nicht nur eine rechtliche oder technologische Herausforderung, sondern eine moralische und spirituelle Herausforderung, die jeden von uns zur Umkehr, zur Erneuerung des Gewissens und zur Rückkehr zu unserer wahren Menschlichkeit nach dem Bild Gottes aufruft.“

An dem Treffen nahmen christliche, jüdische, muslimische und buddhistische Vertreter teil. Erzbischof Nikitas von Thyateira und Großbritannien im Ökumenischen Patriarchat von Konstantinopel ging in seiner Rede auf den zunehmenden scharfen Ton der öffentlichen Debatte ein und rief die EU auf, Programme zur Eindämmung und Bekämpfung von Hassreden zu unterstützen. (sir 20)

 

 

 

 

Papst fordert Waffenstillstand und Dialog: „In der Ukraine sterben weiter Menschen"

 

Vom Frieden in der Ukraine über die Maßnahmen gegen Migranten in den USA, den Terrorismus in Nigeria bis hin zu möglichen Reisen im Jahr 2026: das waren die Themen, die Leo XIV. diesen Dienstagabend in Castel Gandolfo im Gespräch mit Journalisten angesprochen hat. Und der Papst hat auch verraten, warum die Tage in Castel Gandolfo für ihn so wichtig sind...

Vor den Toren der Villa Barberini beantwortete der Pontifex, wie inzwischen üblich, die Fragen der Journalisten – beginnend mit der zur Ukraine, die weiter von massiven russischen Angriffen betroffen ist. Am Vorabend des Versuchs, die Verhandlungen in der Türkei wieder aufzunehmen, wurde dem Papst die Frage gestellt, ob Gebiete an Russland abgetreten werden sollten, um den Krieg zu beenden – eine Hypothese, die kürzlich auch von US-Präsident Donald Trump in den Raum gestellt wurde. „Das müssen sie selbst entscheiden, die Verfassung der Ukraine ist sehr klar“, erklärte Leo XIV. „Das Problem ist, dass es keinen Waffenstillstand gibt, dass sie nicht zu einem Punkt kommen, an dem sie miteinander reden und sehen können, wie dieses Problem gelöst werden kann... Leider sterben jeden Tag Menschen. Ich denke, man muss auf Frieden bestehen, beginnend mit diesem Waffenstillstand, und dann muss man miteinander reden.“

Die Frage der Migranten in den USA

Papst Leo äußerte sich auch zur Erklärung der US-Bischofskonferenz vom 13. November zu Migranten und Asylbewerbern, die in Baltimore veröffentlicht wurde, wo die Vollversammlung der US-amerikanischen Bischofskonferenz stattfand. Zum ersten Mal seit Jahren haben die US-Bischöfe einen Hirtenbrief veröffentlicht, in dem sie sich gegen Massenausweisungen aussprechen, ihre Besorgnis über die Lage im Land zum Ausdruck bringen und bekräftigen, dass nationale Sicherheit und der Schutz der Menschenwürde nicht unvereinbar seien. Der Papst würdigte die Erklärung seiner Landsleute als „sehr wichtig“. „Ich möchte vor allem alle Katholiken, aber auch alle Menschen guten Willens auffordern, aufmerksam auf das zu hören, was sie gesagt haben. Ich glaube, wir müssen nach Wegen suchen, Menschen mit Menschlichkeit zu behandeln und mit der Würde, die ihnen zusteht,“ so seine Stellungnahme.

„Wenn sich Menschen illegal in den Vereinigten Staaten aufhalten, gibt es Möglichkeiten, damit umzugehen. Es gibt Gerichte. Es gibt ein Rechtssystem. Ich denke, dass es in diesem System viele Probleme gibt. Niemand hat gesagt, dass die Vereinigten Staaten offene Grenzen haben sollten,“ so Papst Leo weiter. „Ich denke, jedes Land hat das Recht zu bestimmen, wer, wie und wann Menschen einreisen dürfen. Aber wenn Menschen ein gutes Leben führen, viele von ihnen seit 10, 15 oder 20 Jahren, und man sie dann auf eine Weise behandelt, die, gelinde gesagt, äußerst respektlos ist – und es leider auch zu Gewalt gekommen ist –, dann denke ich, dass die Bischöfe ihre Aussagen klar auf den Punkt gebracht haben. Ich möchte alle Menschen in den Vereinigten Staaten einfach dazu auffordern, ihnen zuzuhören.“

Die Verfolgungen in Nigeria

Die nächste Frage betraf Afrika, insbesondere Nigeria: ein Land, das auch in den Appellen des Angelusgebets vom vergangenen Sonntag erwähnt wurde, und wo die Welle des Hasses und der Gewalt besonders Christen trifft: „Ich denke, dass in bestimmten Gebieten Nigerias sicherlich Gefahr für Christen besteht, aber die Gefahr betrifft alle Menschen, Christen und Muslime wurden getötet,“ stellte der Papst klar. Die Frage des Terrorismus habe mit Kriegswirtschaft und der Kontrolle von Land zu tun. „Leider sind viele Christen ums Leben gekommen, und ich halte es für sehr wichtig, dass die Regierung gemeinsam mit allen Völkern für echte Religionsfreiheit und Respekt für alle Menschen eintritt,“ so seine Forderung.

Die nächste Papstreise...

Auf eine mögliche Reise in „sein“ Lateinamerika angesprochen – beginnend mit Peru, wo er über zwanzig Jahre als Missionar tätig war –, verwies Papst Leo auf den noch vollen Terminkalender des Heiligen Jahres. „Für das nächste Jahr werden wir nach und nach planen. Ich bin immer gerne gereist. Das Problem ist nur, das mit den vielen Verpflichtungen unter einen Hut zu bringen“. Als mögliche Reiseziele nannte er unter anderem Fatima, Guadalupe in Mexiko sowie Uruguay, Argentinien – und natürlich Peru.

Die Tage in Castel Gandolfo: Balsam für Leib und Seele

Papst Leo plauderte auch aus dem Nähkästchen und beschrieb, wie er seine Dienstage in Castel Gandolfo verbringt: „Ein bisschen Sport, ein bisschen Lesen, ein bisschen Arbeit, jeden Tag gibt es Korrespondenz, Telefonate, bestimmte Angelegenheiten, die vielleicht wichtiger und dringender sind, ein bisschen Tennis, ein bisschen Schwimmen“. Auf die Frage, warum er diese „Auszeit“ von seiner wöchentlichen Tätigkeit brauche, antwortete der Papst: „Ich denke, der Mensch muss wirklich gut auf sich achten. Jeder sollte ein wenig für seinen Körper und seine Seele tun, alles zusammen. Mit tut das sehr gut.“ Es sei „eine Pause“ – so der Pontifex – „die sehr hilfreich“ sei.

Die Missbrauchsvorwürfe gegen den Bischof von Cádiz

Am Tag nach der Audienz mit der spanischen Bischofskonferenz wurde der Papst auch zum Fall des Bischofs von Cádiz und Ceuta, Rafael Zornoza, befragt, dem vorgeworfen wird, als Priester in den 1990er-Jahren einen Minderjährigen mehrfach sexuell missbraucht zu haben. „Jeder Fall unterliegt klar festgelegten Protokollen“, erklärte Papst Leo dazu. „Der Bischof selbst musste Stellung nehmen und betont seine Unschuld. Es wurde eine Untersuchung eingeleitet, und wir müssen sie ihren Gang nehmen lassen. Je nach Ergebnis wird es Konsequenzen geben.“ An die Opfer gewandt, äußerte der Papst vor allem die Hoffnung, „dass sie einen sicheren Ort finden, an dem sie sprechen und ihre Fälle vorbringen können“. Damit verbunden sei es „auch wichtig, die Prozesse zu respektieren, die Zeit brauchen, aber wir haben auch schon darüber gesprochen, dass es notwendig ist, die von der Justiz, in diesem Fall von der Kirche, vorgegebenen Schritte zu befolgen.“ (vn 18)

 

 

 

 

 

Erzbischof Heße wirbt für gegenseitiges Verständnis

 

Der Hamburger Erzbischof Stefan Heße wirbt anlässlich des Tags der Religionen am Montag eindringlich für das Miteinander und den gegenseitigen Respekt zwischen den Glaubensgemeinschaften. Die ganztägige Veranstaltung in Hamburg wurde vom Runden Tisch der Religionen ausgerichtet und endete mit einem Senatsempfang.

Erzbischof Heße betonte die Bedeutung des städtischen Rückhalts für diese Form des Austauschs: „Ich bin dankbar, dass das Miteinander der Religionen hier in der Stadt vom Senat sehr unterstützt wird“. Er sei überzeugt, dass nur Dialog zur Verständigung und damit zum Frieden in der Gesellschaft beitragen könne.

Dialog werde jedoch oft falsch verstanden. „Dialog heißt nicht, dass wir immer einer Meinung sind, sondern dass ich mit Respekt auf den anderen zugehe, versuche, ihn zu verstehen, seine Religion kennenzulernen und ihn wertzuschätzen.“

Lob für den „Religionsunterricht für alle“

Diese Grundhaltung des respektvollen Umgangs müsse bereits bei jungen Menschen gefördert werden. Daher lobte Erzbischof Heße den Hamburger „Religionsunterricht für alle“. In diesem konfessionsübergreifenden Unterricht lernen Kinder aller Glaubensrichtungen und auch Kinder, deren Familien keiner Religionsgemeinschaft angehören, gemeinsam über Religionen. Das Erzbistum Hamburg ist seit 2022 aktiv in dieses Modell involviert.

Der Erzbischof sieht darin ein wichtiges Instrument zur Förderung des gesellschaftlichen Zusammenhalts: „Ich habe die Hoffnung“, so der Erzbischof, „dass das das Miteinander in unserem Land interreligiös und interkulturell weiter nach vorne bringt.“

Der Tag der Religionen wurde am Montag vom Runden Tisch der Religionen in Hamburg ausgerichtet. Das Forum, das 1998 gegründet wurde, setzt sich bundesweit für Toleranz und Verständigung ein. Die Veranstaltungen des Tages gipfelten in einem Empfang mit Staatsrat Jan Pörksen, bei dem die religiöse Vielfalt in den Schulen und das Modell des gemeinsamen Religionsunterrichts besonders hervorgehoben wurden. (pm 18)

 

 

 

 

 

Kirchliche Institutionen senden starkes Signal an COP30

 

Zum Weltklimakonferenz (COP30) im brasilianischen Belém haben 46 kirchliche Institutionen in Deutschland die größte Divestment-Initiative in der Geschichte des Landes bekannt gegeben. Die Einrichtungen schließen ihre Geldanlagen in fossile Energieträger aus und bekennen sich damit nicht nur verbal, sondern auch finanziell zu einem Kurs der Klimagerechtigkeit.

Die Initiative, die von Christians for Future koordiniert wurde, ist Teil einer weltweiten Aktion von insgesamt 62 kirchlichen Organisationen. Gemeinsam fordern sie die Verhandlungsführerinnen und -führer der COP30 auf, Investitionen aus fossilen Energien abzuziehen und in eine gerechte, nachhaltige Zukunft zu lenken.

EKD, Kirchenbanken und Jesuiten beteiligt

Die Breite der beteiligten Organisationen unterstreicht die gewachsene Bedeutung des Themas in den deutschen Kirchen. Zu den 46 Einrichtungen zählen: 42 Mitglieder des Arbeitskreises Kirchlicher Investoren (AKI): Darunter die Evangelische Kirche in Deutschland (EKD), fast alle evangelischen Landeskirchen, kirchliche Finanzinstitutionen und diakonische Werke, sowie katholische Organisationen wie unter anderem die Zentraleuropäische Jesuitenprovinz, die Steyler Bank und die Pax-Bank für Kirche und Caritas.

Während die AKI-Mitglieder Investitionen in die Kohleförderung sowie in unkonventionelle Öl- und Gasförderung ausschließen, gehen einige katholische Institutionen wie die Jesuiten, die Steyler Mission sowie die Steyler und die Pax-Bank noch weiter und verzichten vollständig auf Investitionen in fossile Brennstoffe.

„Wichtiger christlicher Eckpfeiler“

Die Initiatoren ordnen die Erklärung als deutliches Gegengewicht zur aktuellen politischen Debatte ein. „Wir sehen in der großen Divestment-Erklärung ein wichtiges Zeichen: Im Gegensatz zum aktuellen Zurückdrehen der Klimapolitik in der Politik bekennen sich wichtige christliche Eckpfeiler unserer Gesellschaft weiterhin zu einem Weg der Klimagerechtigkeit“, erklärte Philipp Schultes von Christians for Future.

Kathrin Fingerle, ebenfalls aktiv bei Christians for Future, ergänzte, die heutige Veröffentlichung sei „ein großer Erfolg langjährigen Aktivismus, aber auch der kircheninternen Arbeit“. Die Kirchen gingen „weiter glaubwürdig den Weg der Klimagerechtigkeit – die Politik sollte es ihnen gleichtun“.

Die internationale Erklärung, koordiniert vom Laudato Si’-Bewegung und dem Weltkirchenrat (ÖRK), reiht sich in eine Reihe eindringlicher Appelle an die Klimakonferenz ein. Unter anderem fordern katholische Bischöfe aus dem Globalen Süden ein Ende der Nutzung fossiler Energieträger aufgrund der „ökologischen und moralischen Schuld gegenüber dem Globalen Süden“.

Weltweit haben seit 2013 über 1.700 Institutionen mit einem Anlagevolumen von über 40 Billionen US-Dollar ihren Rückzug aus fossilen Investitionen beschlossen – darunter über 600 religiöse Einrichtungen. Die deutsche Initiative ist damit ein wesentlicher Bestandteil einer global wachsenden Bewegung. (pm 18)

 

 

 

 

 

„Polen und Deutsche brauchen einander“

 

Bischöfe aus Polen und Deutschland begehen in Breslau den 60. Jahrestag des Briefwechsels zur Versöhnung

Heute (18. November 2025) jährt sich zum 60. Mal der Beginn des Briefwechsels zwischen den polnischen und den deutschen Bischöfen. 20 Jahre nach dem Zweiten Weltkrieg luden die beim Zweiten Vatikanischen Konzil anwesenden Bischöfe aus Polen ihre deutschen Mitbrüder zur Millenniumsfeier der Christianisierung Polens ein. Sie verbanden diese Geste mit einer Betrachtung der gemeinsamen Geschichte beider Völker, die in eine Versöhnungsbotschaft nach den Schrecken des Krieges und der deutschen Okkupation mündete. Der Satz „Wir vergeben und bitten und Vergebung“ ist in das historische Gedächtnis der beiden Nationen und Europas eingegangen. In ihrer Antwort griffen die deutschen Bischöfe die Versöhnungsbotschaft auf und erklärten, die ihnen entgegengestreckten Hände dankbar ergreifen zu wollen. Der Botschaft der polnischen Bischöfe und der Antwort der deutschen Seite war keine sofortige positive Rezeption in den jeweiligen Ländern beschieden. Bereits nach wenigen Jahren wurde der Briefwechsel jedoch als epochales Ereignis eingeschätzt, als zentrales Moment einer historischen Bewegung, die in Europa trotz aller Konfrontation Entspannung und Versöhnung anbahnen half.

Um diese Ereignisse zu würdigen, gemeinsam an das seither im Verhältnis von Polen und Deutschen Erreichte zu erinnern und den Blick zugleich auf die neuen Herausforderungen in einem abermals kriegsbeladenen Europa zu richten, sind Delegationen der Polnischen und der Deutschen Bischofskonferenz am heutigen Tag in Breslau zusammengekommen. Im Mittelpunkt standen ein Festakt am Denkmal für den Breslauer Kardinal Boles?aw Kominek, der als Hauptverfasser des polnischen Briefes verehrt wird, ein Festgottesdienst in der Kathedrale St. Johannes der Täufer sowie die Unterzeichnung einer Gemeinsamen Erklärung der Vorsitzenden beider Bischofskonferenzen.

Beim Festakt sprachen neben den Vorsitzenden beider Bischofskonferenzen von staatlicher Seite der Staatsekretär im polnischen Außenministerium, Wojciech Jacek Zaj?czkowski, und der Polen-Beauftragte der deutschen Bundesregierung, Knut Abraham. Darüber hinaus wurde eine aus Anlass des 60. Jahrestages vom Senat der Republik Polen verabschiedete Resolution verlesen. Die Ansprachen der beiden Kirchenvertreter stellten Mut und Weitsicht des späteren Kardinals Kominek heraus, der durch die Initiierung des Briefwechsels zu einer herausragenden Gestalt des europäischen Katholizismus in der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts geworden sei.

In seiner Predigt in der Eucharistiefeier erläuterte der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, anhand der Seligpreisungen Jesu das christliche Verständnis von Versöhnung, das sich auch im Briefwechsel von 1965 spiegele. Die Bezeugung dieser Versöhnung sei keine politische Strategie, könne aber, gerade weil sie sich der Logik der Welt entziehe und entgegensetze, erhebliche politische Folgen zeitigen. Dies erweise sich in der Rezeptionsgeschichte des Briefwechsels.

Auch die Gemeinsame Erklärung mit dem Titel Mut zur ausgestreckten Hand erinnert an die politische Bedeutung des Briefwechsels. Sie wurde vom Vorsitzenden der Polnischen Bischofskonferenz, Erzbischof Tadeusz Wojda, und von Bischof Bätzing unterschrieben: „So leisteten die Briefe schließlich auch einen gewichtigen Beitrag für den Weg einer politischen Verständigung, die zur Anerkennung der Staatsgrenze an Oder und Neiße und zu weiteren Schritten zu guter Nachbarschaft zwischen Polen und Deutschen führte.“ Ausdrücklich wird in diesem Zusammenhang auf die wirksamen Beiträge der Evangelischen Kirche in Deutschland und auf Initiativen „aus dem Raum der katholischen Kirche“ in diesem Prozess hingewiesen. Die Erklärung stellt klar vor Augen, dass der Versöhnungsprozess zwischen Polen und Deutschen nicht abgeschlossen ist: „Die historischen Verletzungen prägen unsere Gegenwart bis heute.“ In sehr entschiedenen Worten wehren sich die Vorsitzenden der Bischofskonferenzen gegen alle Versuche der politischen Ausbeutung weiter bestehender Spannungen: „Manche politischen Akteure versuchen, das immer noch Schmerzende und das historisch Unabgegoltene politisch zu nutzen. Für uns ist klar: Politische Spiele mit den historischen Verletzungen widersprechen dem Geist der Versöhnung, wie er im Briefwechsel zum Ausdruck kam.“

Mit Blick auf die heutige politische Lage spricht die Gemeinsame Erklärung von der „Hoffnung auf Versöhnung für Europa und die Welt“. Nachdrücklich widersetzt sie sich Tendenzen der nationalen Abschottung, die die heutige Zeit prägen: „Der Versuchung, sich auf nationale Sonderwege zu begeben und sich international von der Politik der regelbasierten Zusammenarbeit zu verabschieden, gilt es zu widerstehen. Die europäische Idee, einen gemeinsamen Raum des Rechts und des Friedens zu schaffen, ist weiterhin zentral.“ Auf dieser Linie liegt auch die Verurteilung des russischen Kriegs gegen die Ukraine. Die Bischöfe zeigen sich „von der Notwendigkeit überzeugt, dass Europa gemeinsam der Gewalt entgegentreten muss. Praktische Solidarität mit den Angegriffenen und Mitgefühl mit allen Opfern des Krieges sind gefordert.“

In seinem Statement bei der Pressekonferenz knüpfte Bischof Bätzing an diese Aussagen der Gemeinsamen Erklärung an und bedauerte die oft unzureichende Dynamik in den polnisch-deutschen Beziehungen. Zwar dürfe „das erreichte Maß an guter Nachbarschaft und Normalität“ nicht gering geschätzt werden. „Aber: Mit dem bloßen Ausruhen auf den Meriten der Vergangenheit, mit einer gepflegten Langeweile in den Beziehungen zwischen den Staaten, zwischen den Gesellschaften und vielleicht auch in der Kirche (…) ist die Zukunft nicht zu gewinnen.“ Vielmehr gelte: „Polen und Deutschland brauchen einander – und sie werden gebraucht: in vielerlei Hinsicht, vor allem aber für den Aufbau eines Europas, das für uns alle der Garant für Sicherheit und Frieden, für Freiheit und soziale Gerechtigkeit sein soll.“ Auf diesem Weg sei auch das gemeinsame Zeugnis der Kirche in Polen und in Deutschland gefordert. „Denn wenn sie mit einer Stimme spricht, vermag sie eine wirksame ethische Orientierung in die Debatten hineinzutragen, die Maß nimmt am Evangelium.“

Die Polnische Bischofskonferenz ist neben Erzbischof Wojda unter anderem von Kardinal Grzegorz Wojciech Ry? (Krakau), Erzbischof Dr. Józef Kupny (Breslau) und Erzbischof Stanis?aw Budzik (Lublin) vertreten. Der deutschen Delegation gehören neben Bischof Bätzing Kardinal Rainer Maria Woelki (Köln), Erzbischof Dr. Heiner Koch (Berlin), Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), Bischof Wolfgang Ipolt (Görlitz), Bischof Heinrich Timmerevers (Dresden-Meißen), Weihbischof Rolf Steinhäuser (Köln) und die Generalsekretärin der Deutschen Bischofskonferenz, Dr. Beate Gilles (Bonn), an. Dbk 18

 

 

 

 

 

„Wenn Zugehörigkeitsgefühl schwindet, werden wir wie Bäume ohne Wurzeln“

 

Papst Leo XIV. hat an diesem Montagnachmittag (17. November 2025) die Priester, die in den Päpstlichen Vertretungen weltweit im diplomatischen Dienst tätig sind, im Vatikan empfangen. Die Audienz fand im Rahmen des Jubiläums der Hoffnung statt und diente dazu, die Priester in ihrem anspruchsvollen Dienst zu bestärken. Mario Galgano - Vatikanstadt

Der Papst forderte sie auf, trotz ihrer internationalen Tätigkeit stets verwurzelt zu bleiben und sich nicht von der Kirche und den Völkern zu isolieren.

Der Papst betonte, dass der Dienst der Mitarbeiter – die Präsenz der pastoralen Sorge des Papstes in den jeweiligen Ländern – schwierig sei und „ein brennendes Herz für Gott und ein offenes Herz für die Menschen“ erfordere.

Dienst mit dem Volk Gottes

Zu Beginn unterstrich Leo XIV., wie wichtig es sei, dass der Dienst der Priester „mit dem Volk Gottes“ geschehe und nicht von ihm getrennt. Er dankte ihnen, dass sie dem Ruf des Meisters gefolgt seien, alles zu verlassen, um das Evangelium zu verkünden.

Ein zentrales Thema war die geistliche Verwurzelung und das „Sentire cum Ecclesia“ (Mit der Kirche fühlen). Der Papst warnte die Diplomaten eindringlich vor den Gefahren der Entwurzelung und Isolation, die in ihrem internationalen Umfeld lauern können:

„Bleibt stattdessen dem kirchlichen Leib und der Geschichte der Völker eingepfropft: sowohl dem, aus dem ihr kommt, als auch denen, zu denen ihr gesandt werdet.“

Er fuhr fort: „Wenn dieses Zugehörigkeitsgefühl schwindet, stellt sich die Demotivation ein: Dann werden wir wie Bäume ohne Wurzeln. Wenn der Baum jedoch nicht aufhört, den Lebenssaft zu empfangen, kann er auch anderswo verpflanzt werden und so neue Früchte tragen.“

Inkulturation ist kein Folklore

Die Priester forderte er auf, sich nicht als distanzierte Beobachter zu verhalten, sondern als „leidenschaftliche Jünger Christi“, die sich mit „evangelischem Stil“ in die Kontexte einfügen, in denen sie leben und arbeiten.

„Die großen Missionare erinnern uns nämlich daran, dass die Inkulturation keine folkloristische Haltung ist, sondern aus dem Wunsch entsteht, sich der Erde und den Menschen, denen wir dienen, zu widmen.“

Besonders gedachte der Papst jener Priester, die in Kontexten von „Schwierigkeit, Konflikt und Armut“ tätig sind. Ihnen riet er, sich in Momenten der Entmutigung an den heiligen Augustinus zu erinnern: „Pondus meum, amor meus“ – „Meine Last ist meine Liebe“.

Abschließend ermahnte der Papst die Mitarbeiter, die Kapelle in ihren Vertretungen als das wahre Zentrum ihres Hauses zu sehen, wo das Licht des Tabernakels „Schatten und Unruhe vertreiben“ und sie so zu „Pilgern der Hoffnung“ machen könne, besonders dort, wo es den Völkern an Gerechtigkeit und Frieden mangele. (vn 17)

 

 

 

 

 

Synode: Zwischenberichte der Arbeitsgruppen veröffentlicht

 

Papst Franziskus hatte sie im März 2024 am Rand der katholischen Weltsynode eingesetzt – jetzt haben die Studiengruppen ihre Berichte über die bisher geleistete Arbeit vorgelegt. Am 31. Dezember sollen die Schlussberichte an Leo XIV. übergeben werden. Zu den Themen gehören: digitale Mission, Rolle der Frauen, Ökumene, Polygamie, Liturgie, das Amt der Nuntien und die Auswahl von Bischöfen. Salvatore Cernuzio – Vatikanstadt *

Papst Franziskus hatte sich eine engere Zusammenarbeit zwischen den Behörden der Römischen Kurie und dem Generalsekretariat der Synode gewünscht. Daher gründete er zehn Studiengruppen und gab ihnen den Auftrag, die auf der Synode über Synodalität aufgeworfenen Themen zu vertiefen. Zwanzig Monate später veröffentlichen die Gruppen nun an diesem Montag, 17. November, ihre Zwischenberichte, nachdem sie erste Papiere schon auf der zweiten Vollversammlung der Weltsynode im vergangenen Oktober präsentiert hatten.

Zwei neue Gruppen

Die Themen sind vielfältig: von der Mission im digitalen Bereich über die Ämter und die Beteiligung von Frauen in der Kirche bis hin zu den Beziehungen zu den Ostkirchen, der Rolle der Nuntien und der Auswahl neuer Bischöfe. Außerdem Ökumene, Ostkirchen und „kontroverse“ Lehrfragen wie beispielsweise Gewalt gegen Frauen in Kriegssituationen. Zusammen mit den Zwischenberichten wurden auch die Ausarbeitungen der Kirchenrechtlichen Kommission und des SECAM (Verband der Bischofskonferenzen von Afrika und Madagaskar) über die Herausforderung der Polygamie vorgestellt – sowie zum ersten Mal ein Bericht der Gruppe „Die Liturgie in synodaler Perspektive”.

Dies ist eine der beiden neuen Gruppen, die Leo XIV. den von seinem Vorgänger Franziskus eingerichteten Gruppen hinzugefügt hat; sie hat Ende Juli 2025 ihre Arbeit aufgenommen. Die andere Gruppe befindet sich noch im Aufbau; sie befasst sich mit dem Statut der Bischofskonferenzen, der kirchlichen Versammlungen und der Partikularkonzilien.

Verlängerung der Frist für die Vorlage der Schlussberichte

Alle Gruppen waren aufgefordert worden, dem Papst ihre Überlegungen bis Ende Juni 2025 vorzulegen. Der Tod von Franziskus Ende April, die Wahl Leos XIV.‘ am 8. Mai und der Bedarf an mehr Zeit für die Arbeiten machten allerdings eine Verlängerung der Frist erforderlich. Der neue Papst hat im vergangenen Juli eine entsprechende Verlängerung gewährt und darum gebeten, ihm die Schlussberichte „soweit möglich” bis zum 31. Dezember 2025 vorzulegen. „Einige Gruppen stehen kurz vor dem Abschluss ihrer Arbeit, andere werden in den kommenden Monaten noch weiterarbeiten“, erklärt Kardinal Mario Grech, Generalsekretär der Synode, in einem Begleitschreiben.

Die Beziehungen zu den Ostkirchen

Der erste Bericht befasst sich mit den Beziehungen zwischen den katholischen Ostkirchen und der lateinischen Kirche. Er wurde von der Studiengruppe 1 verfasst, deren Mitglieder vom Dikasterium für die Ostkirchen ausgewählt worden sind. Ein Fragebogen mit 25 Fragen, „Vorschläge und Wünsche“ des Rates katholischer Patriarchen des Nahen Ostens sowie eine Konsultation zu „Themen von gemeinsamem Interesse“ prägten die Arbeit der Gruppe 1 sowie der Vorbereitungsgruppe.

Jene konzentrierte sich ausschließlich auf Fragen der Seelsorge an Gläubigen der Ostkirchen, die in der Diaspora leben und dort über keine leitende Hierarchie verfügen. Zu den Themen, mit denen sich die Studiengruppe befassen will, gehört eine mögliche Überarbeitung von Normen des Gesetzbuches katholischer Ostkirchen (CCEO).

Der Schrei der Armen und der Erde

Vier Frauen und drei Männer, darunter Ordensleute und Laien aus fünf Kontinenten, arbeiteten in der Studiengruppe 2 zum Thema „Auf den Schrei der Armen und der Erde hören”. Die Mitglieder nahmen Kontakt zu zahlreichen Verbänden und Ortskirchen auf, hielten eine Reihe von Zoom-Treffen ab und tragen in ihrem Zwischenbericht die Vorschläge von Bischöfen, Theologen und Seelsorgern zusammen. Die Gruppe hat auch den Internationalen Verband der Generaloberen von Frauenorden (UISG) konsultiert und mit ihrer Hilfe über 200 Beiträge aus diesen Orden gesammelt; mit dem Büro für Behindertenfragen der Australischen Bischofskonferenz tauschte sie sich außerdem über die Teilhabe von Menschen mit Behinderungen am Leben der Kirche aus.

Der Schlussbericht wird derzeit ausgearbeitet; in der laufenden „Rückmeldungsphase” will sich jedes Mitglied der Gruppe darum bemühen, „mit armen oder ausgegrenzten Menschen oder Gemeinschaften” auf seinem Herkunftskontinent in Kontakt zu treten.

Die Mission im digitalen Umfeld

Als Antwort auf den Aufruf der Weltsynode hat die Studiengruppe 3 die Frage der Mission der Kirche im digitalen Umfeld vertieft. Dabei legte sie den Schwerpunkt auf das Anhören der unterschiedlichsten Stimmen: Vertreter des Heiligen Stuhls, Theologen, Kommunikationsexperten und Wissenschaftler. Die Gruppe 3 beriet sich außerdem mit 84 Kommunikationsbüros der Bischofskonferenzen. Darüber hinaus rief sie die Initiative „Die Kirche hört dir zu” ins Leben, in deren Rahmen 1.618 „digitale Missionare“ aus 67 Ländern Erfahrungen mit der digitalen Begleitung von Jugendlichen und Menschen am Rande der Gesellschaft sammeln konnten. Wichtig war auch der Austausch mit der Päpstlichen Kommission für den Schutz von Minderjährigen, deren Mitglieder ethische Fragen sowie Aspekte des Schutzes im digitalen Kontext hervorgehoben haben.

Um eine noch bessere Dynamik zu erreichen, wurden drei thematische Arbeitsgruppen eingerichtet, die Wissenschaftler, Pastoralfachleute, „Digital Creators“ und junge Menschen unter 35 Jahren aus allen Teilen der Welt an einen Tisch bringen. Derzeit wird an der Ausarbeitung des Schlussberichts gearbeitet, der auch mit Erkenntnissen aus den Heilig-Jahr-Feiern der katholischen Influencer angereichert werden soll.

Die Überarbeitung eines Dokuments über Priesterausbildung

Ein langer Weg wird im Bericht der Studiengruppe 4 skizziert: Er beschäftigt sich mit der „Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis“, einem Dokument aus dem Jahr 2016 über die Priesterausbildung. Die Perspektive ist eine Überarbeitung dieses Papiers im Sinne der Synodalität – auch wenn es sich da um „ein neues Dokument handelt, das sich noch in der Rezeptionsphase befindet und das bereits wichtige Neuerungen in Bezug auf die synodale und missionarische Dimension der Kirche gebracht hat“. Derzeit werden die jeweiligen „Ratio Nationalis“ ausgearbeitet (ein Teil davon wurde bereits vom vatikanischen Dikasterium für den Klerus bestätigt, andere sind noch in Ausarbeitung). Allerdings stellt der Zwischenbericht fest, dass „es derzeit nicht angebracht scheint, über eine vollständige Überarbeitung der ‚Ratio‘ nachzudenken“.

Gleichzeitig hebt der Bericht von Gruppe 4 hervor, dass es mittlerweile eine Reihe neuer „Anforderungen“ gibt, „die nicht ignoriert werden können“. Dazu gehören die Forderung nach „einer Ausbildung, die stärker in die Erfahrung des Volkes Gottes eingebettet ist“, gemeinsame Momente zwischen Laien, Geweihten und Seminaristen sowie eine stärkere Beteiligung von Frauen und Familien. Deswegen wird ein mögliches Ergänzungsdokument zur „Ratio Fundamentalis“ in Betracht gezogen. Darin sollen auch „wichtige Anregungen“ berücksichtigt werden, die seit Oktober 2024 von den Teilnehmern der Synode vorgebracht wurden, darunter die Herausforderungen durch soziale Netzwerke und KI sowie die Gestaltung der Seminare.

Die Teilhabe von Frauen am Leben der Kirche

Die Studiengruppe 5 befasste sich mit dem Thema der Teilhabe von Frauen am Leben und an der Leitung der Kirche. Entsprechend den Vorgaben des Generalsekretariats der Synode arbeitet derzeit das Dikasterium für die Glaubenslehre an einem Schlussbericht zu diesem Thema. Die vatikanische Behörde hat dazu die Stellungnahmen von Frauen, die an der Sendung und Leitung der Kirche beteiligt sind, eingeholt und „enormes“ Material zusammengetragen und ausgewertet.

Die ersten Konturen des Schlussberichts sind jetzt schon bekannt: Er wird aus einer Zusammenfassung der wichtigsten Ergebnisse und Übereinstimmungen zum Thema der Rolle der Frauen bestehen. Ein Anhang soll außerdem das „umfangreiche Material” präsentieren, welches das Dikasterium erhalten hat. Dieser Anhang wird in sieben Teile gegliedert sein; dazu gehören etwa die Stellungnahmen von Frauen, die an der Leitung der Kirche beteiligt sind und/oder in der römischen Kurie arbeiten, sowie Überlegungen zu den kritischen Themen Klerikalismus und Macho-Wesen.

„Ergebnisse der Studiengruppe zum Frauendiakonat werden in Kürze bekanntgegeben“

Natürlich wird auch der Beitrag von Franziskus und Leo XIV. zur Rolle der Frauen in der Kirche ausgefaltet werden. Der erste Entwurf des Berichts wurde bereits im Juli 2025 mit Beraterinnen der obersten Glaubensbehörde besprochen; ihre Beiträge werden auch im zweiten Teil berücksichtigt werden.

Auf besonderes Interesse stößt die Frage des Zugangs von Frauen zum Diakonat; hierzu hatte Papst Franziskus gleich zweimal eine Studienkommission einberufen. Der Zwischenbericht führt nun aus, dass „dieser Kommission alle Beiträge übermittelt wurden, die im Rahmen der Synodenarbeit zu diesem Thema entstanden sind“. Die Ergebnisse der Arbeit der Kommission sollen in Kürze bekanntgegeben werden.

Beziehungen zwischen Bischöfen, geweihten Personen und kirchlichen Vereinigungen

Die Arbeit der Studiengruppe 6 gliederte sich in drei thematische Untergruppen. Diese analysierten jeweils die Beziehungen zwischen Bischöfen und geweihten Personen, die Zusammenarbeit zwischen Bischofskonferenzen und Verbänden der Ordensoberen sowie die Beziehungen zwischen kirchlichen Vereinigungen und Ortskirchen. Bischöfe, Ordensleute und Laien aus verschiedenen Himmelsrichtungen tauschten sich auf der Grundlage des Lehramtes und ihrer direkten Erfahrungen aus.

Nach Dialogen, Interviews, Fragebögen und Diskussionen (die nicht ohne „Schwierigkeiten“ verliefen, wie es heißt) erstellten die Untergruppen einen zusammenfassenden Bericht und arbeiten nun am Schlussbericht. In dieser letzten Phase werden auch die Vereinigungen der Generaloberen und Generaloberinnen (USG und UISG) sowie die zuständigen vatikanischen Dikasterien angehört.

Figur und Dienst des Bischofs

Kriterien für die Auswahl von Kandidaten für das Bischofsamt unter Beteiligung der Ortsbischöfe und der Gläubigen; Aus- und Fortbildung der Bischöfe; die richterliche Funktion des Hirten; die Art und Durchführung der Ad-limina-Besuche: Mit all diesen Fragen setzte sich die Studiengruppe 7 auseinander. Das Team traf sich seit dem Ende der zweiten Vollversammlung der Weltsynode vom Oktober 2024 einmal im Monat und hat in den letzten Monaten etwa 200 Personen angehört.

Zum Thema der Auswahl von Kandidaten für das Bischofsamt erhielt die Gruppe von Papst Franziskus über den damaligen Kardinal Robert F. Prevost, Präfekt des Dikasteriums für die Bischöfe (und heute Papst Leo), „die Befugnis, die vertraulichen Anweisungen zu prüfen”, welche an die Nuntiaturen ergangen sind. In diesen Anweisungen geht es um das Verfahren für Bischofsernennungen in den Zuständigkeitsbereichen“ der Dikasterien für die Bischöfe und für die Evangelisierung.

Die Gruppe befragte während der Weltsynode im Vatikan etwa 80 Teilnehmende, welche Anfragen und Erwartungen formulierten. Bei einer Gelegenheit wurde eine „Expertin für die Auswahl von Führungskräften internationaler Unternehmen“ eingeladen, um „nützliche Informationen aus den in der Zivilgesellschaft angewandten Verfahren“ zu gewinnen. Außerdem wurden die Vorsitzenden der Bischofskonferenzen und die päpstlichen Vertreter (Nuntien) per Fragebogen um ihre Meinung gebeten. Auch Laien wurden schriftlich konsultiert, und es wurden etwa 25 freie Beiträge geprüft, die an das Sekretariat der Synode geschickt worden waren.

Aufgrund dieser intensiven Zuhörphase erzielte die Gruppe einen Konsens über einige Perspektiven. Dazu gehören beispielsweise die Förderung „größerer Investitionen in die Ausbildung des Volkes Gottes“ oder eine „stärkere Einbindung“ der Bischöfe der Ortskirchen.

Die Rolle der Nuntien

Die Studiengruppe 8 stand vor der Aufgabe, zu „prüfen”, wie das Amt der päpstlichen Vertreter (Nuntien) „in einer missionarischeren und synodaleren Perspektive weiterentwickelt werden kann“. Dieses Mandat führte zu zahlreichen Treffen im Sekretariat der Synode in Rom und über Zoom. Zunächst wurde ein Sondertreffen mit den Vorsitzenden der Bischofskonferenzen einberufen, die an der Synode vom Oktober 2024 teilnahmen. Von den insgesamt 61 Vorsitzenden, die zur Weltsynode nach Rom gekommen waren, nahmen 45 an dem Sondertreffen teil; andere führten persönliche Gespräche mit Mitgliedern der Gruppe. Anschließend wurde ein Webinar mit Nuntien aus aller Welt organisiert, um über Synodalität zu diskutieren (87 Teilnehmer). An die Präsidenten der verschiedenen Bischofskonferenzen wurde schließlich ein Brief geschickt, der von Kardinal Grech und Kardinal Oswald Gracias, emeritierter Erzbischof von Bombay (Indien), unterzeichnet war und in dem sie aufgefordert wurden, Vorschläge zum Dienst der Nuntien zu unterbreiten. Ein weiterer Brief ging an die Diplomaten selbst; darin wurden sie gebeten, Kommentare und Hinweise zu geben.

In beiden Fällen waren die Antworten „positiv und von großem Wert“. Derzeit werden die Stellungnahmen analysiert und an die Mitglieder der Studiengruppe weitergegeben; wegen der geografischen Entfernungen nimmt dies einige Zeit in Anspruch, doch es ist davon auszugehen, dass der Schlussbericht tatsächlich Ende Dezember 2025 auf dem Tisch liegen wird. Zu den vertieften Fragen gehören: das Auswahlverfahren für die Kandidaten für die vatikanische Diplomaten-Akademie und ihre Ausbildung; die Unterstützung der Mitglieder des diplomatischen Dienstes in den ersten Jahren ihrer Tätigkeit; regionale Treffen zwischen Nuntien; Betreuung nach der Pensionierung.

„Umstrittene“ doktrinäre, pastorale und ethische Fragen

„Eine Umkehr im Denken und eine Umgestaltung der Praktiken in Treue zum Evangelium Jesu”: Mit diesem Vorsatz beugt sich die Studiengruppe 9 über „umstrittene” doktrinäre, pastorale und ethische Fragen - wobei sie lieber von „aufkommenden“ als von kontroversen Themen spricht. Homosexualität, Konflikte und gewaltfreie Praxis des Evangeliums, Gewalt gegen Frauen in bewaffneten Konflikten: Zu diesen Fragen, so heißt es im Bericht, sei es nicht das Ziel, „Lösungen zu finden, die für alle passen, sondern einige Referenzkriterien anzubieten”. Der Horizont sei das „Prinzip der Pastoralität”, also eine seelsorgerliche Optik. Der Zwischenbericht spricht davon, „dass „es keine Verkündigung des Evangeliums Gottes gibt ohne Anerkennung und Förderung der Subjektivität des anderen, ohne Gastfreundschaft und ohne Verantwortung gegenüber dem Gesprächspartner“.

Der ökumenische Weg

Synodalität und Einheit der Christen: Diese Themen sind miteinander verknüpft. Das war der Ausgangspunkt der Überlegungen von Gruppe 10 zum ökumenischen Weg. Dabei wurden speziell drei Aspekte untersucht, nämlich Synodalität und Primat des Petrusamts; eucharistische Gastfreundschaft mit besonderem Augenmerk auf interkonfessionelle Paare und Familien; und schließlich das Phänomen „nichtkonfessioneller“ Gemeinschaften und christlich inspirierte „Erweckungsbewegungen“. Nach der Ausarbeitung eines theologischen und pastoralen Rahmens finden derzeit Konsultationen mit dem Dikasterium zur Einheit der Christen, mit ökumenischen Gemeinschaften wie Taizé, Chemin Neuf und Fokolarbewegung sowie mit Theologen aus verschiedenen Kontinenten statt. Ziel ist es, praktische Leitlinien zu erarbeiten.

Die Liturgie in synodaler Perspektive

Eine weitere Studiengruppe – die, wie oben schon erwähnt, Papst Leo ins Leben gerufen hat – befasst sich mit der Liturgie und hat an diesem Montag zum ersten Mal ihre Arbeit vorgestellt. Das Team wird vom Dikasterium für den Gottesdienst koordiniert und arbeitet mit dem Generalsekretariat der Synode zusammen. Ausgangspunkt seiner Überlegungen ist die Verbindung zwischen Eucharistiefeier und einem synodalen, missionarischen Leben der Kirche.

„Die Rolle von Frauen in den biblischen Lesungen bei der Messfeier stärker hervorheben“

Zu den untersuchten Themen gehört auch die Frage, „wie insbesondere die Anerkennung der Rolle der Frauen gefördert werden kann, vor allem dort, wo sie weiterhin unter Diskriminierung leiden“. Dabei wird darüber nachgedacht, „die biblischen Zeugnisse über die Rolle von Frauen in der Heilsgeschichte in den liturgischen Lesungen hervorzuheben“.

Kirchenrechtliche Kommission

Zu den Zwischenberichten der zehn Studiengruppen kommt der Bericht der Kirchenrechtlichen Kommission hinzu, die während der ersten Vollversammlung der Weltsynode im Oktober 2023 eingerichtet wurde. Seitdem ist die Kommission achtmal zusammengetreten und hat sich mit den Themen Laien/Frauen, Bischofskonferenzen/Partikularkonferenzen und Mitwirkungsgremien befasst. Zu diesen Themen wird die Möglichkeit einer Überarbeitung der geltenden Rechtsvorschriften geprüft.

Polygamie

Zum Thema Polygamie hat die Kirche in Afrika eine Expertengruppe innerhalb des SECAM (Verband der Bischofskonferenzen von Afrika und Madagaskar) gebildet. Spezialisten aus verschiedenen Teilen Afrikas und Experten für Kirchenrecht, Anthropologie, Bibelstudien und Seelsorge reflektieren darüber, wie „eine theologische und pastorale ‚Unterscheidung der Geister‘ zur Polygamie gefördert werden kann“ und wie „Menschen in polygamen Beziehungen, die sich dem Glauben annähern“, begleitet werden können. Die zentralen Fragen lauten: Welche Seelsorge ist für polygame Menschen angemessen? Welche pastoralen Initiativen können Christen dabei unterstützen, die monogame Ehe zu akzeptieren?

Die Gruppe hat auch ein vorläufiges Dokument verfasst, das dem Dikasterium für die Glaubenslehre vorgelegt wurde. Dieses reagierte mit „ermutigenden Rückmeldungen“ sowie einigen „spezifischen Anmerkungen”. Der Text wird derzeit noch einmal überarbeitet und wurde daher noch nicht an die nationalen Bischofskonferenzen weitergeleitet; er wurde jedoch im vergangenen Sommer während der Vollversammlung des SECAM in Kigali (Ruanda) von Bischöfen und Theologen vorgestellt und diskutiert. (vn 17)

 

 

 

 

 

Internetseite für Geistliche Gemeinschaften und kirchliche Bewegungen

 

Angebot unter gemeinschaften-bewegungen.de

Geistliche Gemeinschaften und kirchliche Bewegungen sind Zusammenschlüsse von Gläubigen aufgrund eines gemeinsamen Charismas in unterschiedlichen Lebensformen. Sie haben sich vermehrt nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil in der Kirche entwickelt und ermöglichen vielen Menschen, eine geistliche Heimat in Glauben und Kirche zu finden. Geistliche Bewegungen und Gemeinschaften unterscheiden sich dabei untereinander deutlich in Größe und Verbreitung, innerer Struktur, institutioneller Verfassung und jeweiliger Tätigkeit.

Die Kommission für Geistliche Berufe und Kirchliche Dienste der Deutschen Bischofskonferenz stellt nun mit einer Internetseite einen Service bereit, durch den verlässliche Informationen im Internet zu katholischen Geistlichen Gemeinschaften und Bewegungen abrufbar sind. Unter gemeinschaften-bewegungen.de finden sich die offiziell von der Kirche anerkannten Bewegungen und Gemeinschaften, also jene, die beispielsweise eine kirchenrechtliche Anerkennung durch einen Diözesanbischof oder – im Fall von internationalen Bewegungen – durch den Heiligen Stuhl besitzen. Vorausgesetzt wird zudem, dass die Vereinigungen die Vorgaben der deutschen Bischöfe hinsichtlich Prävention und Intervention gegen sexualisierte Gewalt umsetzen.

Weihbischof Dr. Christoph Hegge (Münster), der die bischöfliche Arbeitsgruppe „Kirchliche Bewegungen und neue Geistliche Gemeinschaften“ auf nationaler Ebene leitet, hebt hervor, dass „nach der Lehre von Papst Johannes Paul II. Charismen und kirchliche Ämter ihren Ursprung im Wirken des Heiligen Geistes haben. Sie sind in gleicher Weise wesentlich für die Kirche und bilden ihre Grundlage. Daher muss auch den vielfältigen Charismen in Geistlichen Gemeinschaften und Bewegungen eine größere Bedeutung für die Erneuerung der Kirche im Geist des Evangeliums zukommen.“

Die neue Internetseite enthält unter anderem eine Einführung zu den unterschiedlichen Formen des Gemeinschaftslebens, eine Übersicht, in der einzelne Gemeinschaften und Bewegungen sich selbst vorstellen, offizielle Dokumente und Expertentexte sowie aktuelle Informationen und Kontaktmöglichkeiten. Dbk 17

 

 

 

 

Papst Leo speist mit Bedürftigen

 

Papst Leo hat am 9. Welttag der Armen mit Bedürftigen in der Audienzhalle gespeist. Dabei gedachte er seinem Vorgänger Papst Franziskus, der den Welttag der Armen ins Leben gerufen hatte.

Am Welttag der Armen waren in der vatikanischen Audienzhalle die runden Tische gedeckt, 1.300 Personen aus aller Welt nahmen an dem Mittagessen mit Leo XIV. teil. Es herrschte ein Atmosphäre der Vertrautheit, Freude und Einheit. Die Gäste erzählten bei Tisch ihre Geschichten, die von Krankheit, Armut, Leid und Hoffnung geprägt waren, Ordensleute kümmerten sich um Kleinkinder, der Papst war mittendrin.

Würdigung von Papst Franziskus

„Mit großer Freude versammeln wir uns an diesem Nachmittag zum Mittagessen, am Welttag der Armen, den unser geliebter Vorgänger Papst Franziskus so sehr gewünscht hat. Einen herzlichen Applaus für Papst Franziskus!“, wandte sich Papst Leo mit einer Würdigung seines Vorgängers an seine Gäste.

Leo XIV. würdigte die Ordensgemeinschaft der Vinzentiner, die das Mittagessen für Bedürftige ausgerichtet hatten und die Speisen servierten. Sie wollten anlässlich ihres 400-jährigen Bestehens ein konkretes Zeichen für die Armen setzen. Dazu der Papst:

„Dieses Mittagessen, das wir jetzt erhalten, wird uns durch die Vorsehung und die große Großzügigkeit der Gemeinschaft von San Vincenzo, den Vinzentinern, angeboten, denen wir danken möchten. Außerdem ist heute ein Jubiläum: Es sind 400 Jahre seit der Geburt ihres Gründers vergangen. Sie werden uns begleiten und am Tisch bedienen. Herzlichen Glückwunsch an Sie alle, die Priester, Ordensleute und ehrenamtlichen Laien, die weltweit tätig sind und vielen armen Menschen und Menschen in Not helfen. Wir sind an diesem Tag wirklich voller Dankbarkeit und Wertschätzung“, so Papst Leo.

Gottes Segen für alle Bedürftigen 

Die anwesenden Bedürftigen kamen aus allen Teilen der Welt, etwa aus dem römischen Stadtteil Primavalle, aus dem afrikanischen Nigeria, aus der Ukraine, aus Kuba oder aus Barcelona. Papst Leo XIV. bat dann um Gottes Segen für alle Anwesenden und auch „die vielen Menschen, die unter Gewalt und Krieg, unter Hunger leiden“: „Segne uns, Herr, und diese Gaben, die wir aus deiner Vorsehung empfangen. Segne unser Leben, unsere Geschwisterlichkeit. Hilf uns allen, immer vereint in deiner Liebe zu wandeln. Darum bitten wir dich im Namen Jesu Christi, unseres Herrn. Amen. - Alles Gute und guten Appetit!“

Auf den ersten Gang mit Pasta folgte im Menü ein Schnitzel und zum Nachtisch gab's napoletanisches Babà und Obst. Zahlreiche Organisationen hatten sich an der Organisation der Veranstaltung beteiligt. Es gab musikalische Einlagen, und die Teilnehmer erhielten jeweils einen Rucksack mit Lebensmitteln und Hygieneartikeln als Geschenk. (Antonella Palermo, vn 16)

 

 

 

 

 

„Kino ist mehr als eine Leinwand“: Papst Leo XIV. empfängt Stars

 

Papst Leo XIV. hat an diesem Samstagmorgen (15. November) eine hochkarätige Delegation von Filmschaffenden aus aller Welt – darunter Stars wie Cate Blanchett, Spike Lee, Monica Bellucci und Gus Van Sant – im Apostolischen Palast empfangen. In seiner Ansprache würdigte das Kirchenoberhaupt das Kino als „Werkstatt der Hoffnung“ und als eine „junge, träumerische und etwas rastlose Kunstform“, die in diesen Tagen ihr 130-jähriges Bestehen feiere. Mario Galgano - Vatikanstadt

Die Audienz, die vom Dikasterium für Kultur und Bildung veranstaltet wurde, knüpfte an die Tradition an, den Dialog zwischen Kirche und Kunst zu pflegen.

Kino als Pilgerreise und Hoffnung in Bewegung

Papst Leo XIV. betonte, dass der Wert des Kinos weit über bloße Unterhaltung hinausgehe. Es sei eine „populäre Kunst im edelsten Sinne“, die das Erzählen des spirituellen Abenteuers des Menschen mit bewegten Bildern verbinde.

„Es tröstet mich zu denken, dass Kino nicht nur bewegte Bilder ist: Es bedeutet, die Hoffnung in Bewegung zu setzen!“, rief der Papst den Schauspielern und Regisseuren zu.

Das Betreten eines Kinosaals sei wie das Überschreiten einer Schwelle, wo sich das Auge wieder aufmerksam und der Geist für das Unerwartete öffne. Im Hinblick auf das bevorstehende Heilige Jahr betonte der Papst:

„Auch ihr... seid als Pilger der Fantasie unterwegs, als Suchende nach Sinn, als Erzähler der Hoffnung, als Botschafter der Menschlichkeit.“

Kampf gegen den Algorithmus und die Leere der Kinosäle

Leo XIV. warnte davor, dass das Kinoerlebnis in Gefahr sei. Die Logik des Algorithmus neige dazu, „das zu wiederholen, was ‚funktioniert‘“, während die Kunst das „Mögliche“ eröffne. Gleichzeitig beklagte er das Verschwinden der Kinosäle aus den Städten.

„Die Kinosäle erleben eine besorgniserregende Erosion, die sie den Städten und Stadtvierteln entzieht. Und nicht wenige sagen, dass die Kunst des Kinos und das Kinoerlebnis in Gefahr sind. Ich lade die Institutionen dazu ein, sich nicht damit abzufinden und zusammenzuarbeiten, um den sozialen und kulturellen Wert dieser Aktivität zu bekräftigen.“

Die Filmschaffenden forderte er auf, die Langsamkeit, die Stille und die Differenz zu verteidigen: „Schönheit ist nicht nur eine Flucht, sondern vor allem ein Aufruf.“

Die Wunden der Welt erzählen

Der Papst rief die Filmschaffenden dazu auf, das Kino zu einer „Kunst des Geistes“ zu machen, und zitierte dafür den Filmpionier David W. Griffith: „Was dem modernen Film fehlt, ist Schönheit, die Schönheit des Windes, der durch die Bäume weht.“ Leo XIV. bezog dies auf das Evangelium: „Der Wind weht, wo er will... So ist es mit jedem, der aus dem Geist geboren ist.“

Die Filmschaffenden ermutigte er, die Wunden der Welt, die in Gewalt, Armut, Exil und vergessenen Kriegen liegen, ohne Angst anzugehen:

„Habt keine Angst vor der Auseinandersetzung mit den Wunden der Welt. Gewalt, Armut, Exil, Einsamkeit, Abhängigkeiten, vergessene Kriege sind Wunden, die gesehen und erzählt werden wollen. Großes Kino nutzt den Schmerz nicht aus: Es begleitet ihn, untersucht ihn.“

Abschließend erinnerte der Papst daran, dass ein Film ein „gemeinschaftlicher Akt“ sei, ein Chorwerk, das nur durch die Zusammenarbeit aller – von den Schauspielern bis zu den Maskenbildnern und Requisiteuren – entstehen könne. Er schloss mit dem Wunsch, dass das Kino immer „ein Ort der Begegnung, ein Zuhause für diejenigen, die nach Sinn suchen, eine Sprache des Friedens“ bleibe. (vn 15)

 

 

 

 

 

Leo XIV. ruft zum Kampf gegen „kulturelle Leere“ auf

 

Papst Leo XIV. hat die Päpstliche Lateran-Universität (PUL) in Rom mit einem klaren Missionsauftrag für die kommenden Jahre ausgestattet: Das 253. akademische Jahr solle im Zeichen der „wissenschaftlichen Redlichkeit“ stehen und dem Kampf gegen die „kulturelle Leere“ dienen, die in der heutigen Gesellschaft um sich greife. Mario Galgano - Vatikanstadt

In seiner Ansprache zur feierlichen Eröffnung des akademischen Jahrs an diesem Freitag, 14. November, betonte das Kirchenoberhaupt die einzigartige Rolle der Lateran-Universität, die das „Lehramt des Papstes“ selbst zum Leitstern habe.

 „Diese Universität hat im Gegensatz zu anderen renommierten akademischen Einrichtungen... kein Charisma ihres Gründers zu bewahren, zu vertiefen und weiterzuentwickeln, sondern ihre besondere Ausrichtung ist das Lehramt des Papstes“, so Leo XIV.

Theologie muss auf „Transhumanismus“ antworten

Ein Hauptanliegen des Papstes war die Notwendigkeit, den Glauben in den aktuellen kulturellen Szenarien zu verankern. Insbesondere die Fakultät für Philosophie sei aufgerufen, sich den „aufkommenden Formen der Rationalität, die mit Transhumanismus und Posthumanismus verbunden sind“, zu stellen. Die Theologische Fakultät müsse das Glaubensgut so hervorheben, dass es als „ein vollkommen menschlicher Vorschlag erscheint“, der das Leben transformieren kann.

Geschwisterlichkeit gegen Individualismus

Leo XIV. forderte die akademische Gemeinschaft auf, eine Kultur der Gegenseitigkeit und des Dialogs zu fördern, um dem „Virus des radikalen Individualismus“ entgegenzuwirken. Angesichts der Vielfalt der Studenten und Dozenten aus fünf Kontinenten sei die Lateran-Universität aufgerufen, „ein prophetisches Zeichen der Gemeinschaft und Geschwisterlichkeit“ zu sein.

Verteidigung der Wissenschaftlichkeit

Scharfe Kritik übte der Papst an Einschätzungen, dass Forschung und Studium für das kirchliche Leben nicht nützlich seien, oder aber dass die pastorale Praxis wichtiger sei als akademische Vorbereitung. Diese Haltung führe zur Gefahr der Vereinfachung komplexer Fragen und ende in „Banalität, Ungenauigkeit oder Starrheit“ . „Deshalb fordere ich Sie auf, in Bezug auf die Wissenschaftlichkeit nicht nachzulassen, sondern weiterhin leidenschaftlich nach der Wahrheit zu suchen.“

Das Gemeinwohl als Ziel

Die Ausbildung müsse Menschen hervorbringen, die „in der Logik der Unentgeltlichkeit und in der Leidenschaft für Wahrheit und Gerechtigkeit zu Erbauern einer neuen, solidarischen und geschwisterlichen Welt werden können“. Dazu ermutigte er die Universität ausdrücklich, die jüngeren Studiengänge in Friedenswissenschaften sowie Ökologie und Umwelt inter- und transdisziplinär weiterzuentwickeln.

Juristen sollen Verwaltungsprozesse studieren

Ein spezifischer Appell erging an die Fakultäten für Rechtswissenschaften (Kirchenrecht und Zivilrecht). Diese sollen das Recht durch einen umfassenden Vergleich zwischen den zivilen und katholischen Rechtssystemen studieren und lehren. Leo XIV. ermutigte die Juristen, auch „die Verwaltungsprozesse, eine dringende Herausforderung für die Kirche, zu berücksichtigen und gründlich zu studieren“.

Zuvor hatte der Großkanzler der Universität, Kardinal Baldassare Reina, in seiner Begrüßung auf die enge Verbundenheit der PUL mit dem Papst hingewiesen und erklärt, man sei stets bereit, die Mission fortzuführen, die der Nachfolger Petri vorgebe. Der Rektor, Erzbischof Alfonso Vincenzo Amarante, erklärte nach der Papst-Rede, die Ansprache werde „zu einer festen Verpflichtung für unseren zukünftigen Weg“ werden - und erklärte in diesem Sinne das akademische Jahr 2025-2026 für eröffnet. (vn 14)

 

 

 

 

 

Wehrdienst-„Kompromiss“

 

Der Kompromiss beim Wehrdienst in Deutschland stößt bei beiden christlichen Militärbischöfen und dem Militärbundesrabbiner auf Zustimmung. Sie formulieren Forderungen an die Politik und setzen eigene Schwerpunkte.

So hält der katholische Militärbischof Franz-Josef Overbeck den Schritt hin zu einer verpflichtenden Musterung für sinnvoll. „Vor dem Hintergrund der verschärften Sicherheitslage und der derzeit zu geringen Personalstärke der Bundeswehr sehe ich die Notwendigkeit, den Aufwuchs der Truppe glaubwürdig zu gewährleisten“, sagte Overbeck am Freitag der Katholischen Nachrichten-Agentur (KNA) in Berlin.

Wehrpflicht möglich

Die Wehrpflicht ist in Deutschland im Jahr 2011 ausgesetzt worden. Vor dem Hintergrund der aktuellen weltpolitischen Entwicklungen verschärfte sich in den vergangenen Monaten die Debatte darüber, ob ein freiwilliger Wehrdienst ausreicht. Am Donnerstag erzielten CDU, CSU und SPD nach Wochen des politischen Ringens eine Einigung über eine Wehrdienstreform. Demnach sollen zunächst alle jungen Menschen ab 18 Jahren zu Eignung und Motivation befragt werden; für junge Männer soll die Beantwortung verpflichtend sein. Ab 2027 sollen dann sukzessive junge Männer ab dem Jahrgang 2008 verpflichtend gemustert werden.

Sollte das freiwillige Dienstmodell nicht ausreichen, soll ein neues Gesetzgebungsverfahren angestoßen werden, um die Wehrpflicht wieder einzuführen. Falls über eine sogenannte Bedarfswehrpflicht zu viele Männer potenziell infrage kämen, sieht der Kompromiss der Koalition offenbar auch die Möglichkeit eines Losverfahrens vor. Dann würden die Männer, die verpflichtend eingezogen werden, per Los bestimmt. Zugleich sieht der Kompromiss eine Stärkung der Freiwilligendienste um 15.000 weitere Stellen vor.

Lob für Freiwilligendienste

Der katholische Militärbischof Overbeck sagte, ihm scheine es ein guter Weg zu sein, dass der Schwerpunkt weiterhin auf der Werbung um Freiwillige liege. Eine Pflicht sei ein Eingriff in die Freiheitsrechte. Elemente wie ein Losverfahren, die mit Gerechtigkeitsproblemen einhergingen, dürften nur als letztes Mittel zur Anwendung kommen. „Selbstverständlich schützt weiterhin Artikel 4 des Grundgesetzes alle Menschen davor, gegen ihr Gewissen zum Dienst an der Waffe gezwungen zu werden.“ Ausdrücklich begrüßte er alle politischen und gesellschaftlichen Maßnahmen, die die zivilen Freiwilligendienste ausbauen und stärken.

Auch der evangelische Militärbischof Bernhard Felmberg hatte am Donnerstag der KNA gesagt, dass es eine kluge Entscheidung sei, dass auch die Freiwilligendienste gestärkt werden sollten. Die getroffene Regelung zum Wehrdienst könne als ein „Stufenmodell von der Freiwilligkeit zur Pflicht“ bezeichnet werden. „Aus diesem Grund ist es gut, dass die neue Regelung verpflichtende Elemente vorsieht, aber grundsätzlich auf Freiwilligkeit setzt.“ Diese Freiwilligkeit sei nur dann zielführend, wenn genügend Freiwillige zur Verfügung stehen. „Es bleibt somit abzuwarten, ob die getroffene Entscheidung ausreicht.“

„Sache der Politik“

Militärbundesrabbiner Zsolt Balla begrüßte grundsätzlich, dass eine Entscheidung getroffen wurde. „Doch der Wehrdienst und dessen Ausgestaltung ist Sache der Politik“, sagte Balla der KNA. Mit Blick auf die Militärseelsorge betonte er: „Besonders am Herzen liegen uns gute Bedingungen für alle Soldatinnen und Soldaten, egal, ob jung oder altgedient.“

Falls junge Juden künftig zum Wehrdienst herangezogen werden sollten, sehe sich die 2021 gegründete jüdische Militärseelsorge in der Verantwortung, für ihr Wohl zu sorgen und sie bestmöglich zu betreuen – „während wir auch allen anderen Soldatinnen und Soldaten weiterhin zur Seite stehen“, betonte Balla.

(kap 14)

 

 

 

 

 

Leo XIV. schafft neue Rechtsgrundlage für Apostolat des Meeres

 

Mit einem an diesem Donnerstag, 13. November, veröffentlichten Chirograph hat Papst Leo XIV. das Apostolat des Meeres in neuer kanonischer Form als zentrales und koordinierendes Organ für die Seelsorge an Seeleuten und Meeresanrainern errichtet. Zugleich genehmigt der Papst dessen Statut.

Seit langem habe die Kirche ein besonderes Augenmerk auf die „Menschen des Meeres“, wird in dem Dokument erläutert: gemeint sind Seeleute, Schiffer und ihre Familien sowie alle, deren Leben in existenzieller Weise mit der Schifffahrt und der Fischerei auf Meeren, Flüssen und Seen verbunden ist. Dabei wird insbesondere auf die „pastoralen und legislativen Maßnahmen des Apostolischen Stuhls“ hingewiesen, durch die den spirituellen Bedürfnissen jener Gläubigen entsprochen wurde, „die aufgrund menschlicher Mobilität nicht in den Genuss der gewöhnlichen seelsorglichen Betreuung kommen können“ – beginnend mit dem Motu proprio Iam pridem von Pius X. aus dem Jahr 1914, ergänzt durch weitere Dekrete.

Die nun erfolgte Errichtung dieses zentralen und koordinierenden Organs, so präzisiert das Dokument, entspringe dem „lebhaften Wunsch, dass die geistliche Fürsorge der Kirche im Bereich der Seelsorge für die Menschen des Meeres mit Begeisterung und Großzügigkeit fortgesetzt werden möge“.

Konsultationen seit 2022

Die Gründung ist das Ergebnis eines langen Konsultationsprozesses, der im Oktober 2022 begann – unter Beteiligung nationaler Direktoren und der Bischöfe, die in den verschiedenen Kontinenten das Werk des Apostolats des Meeres fördern. Im Jahr 2025 wurden die Beratungen zu den Zielen und zur Struktur des Apostolats des Meeres fortgesetzt.

Diese Konsultationen wurden vom Dikasterium für den Dienst der ganzheitlichen menschlichen Entwicklung geleitet und koordiniert, das gemäß Artikel 166 § 1 der Apostolischen Konstitution Praedicate Evangelium sowohl die Leitung des gesamten Werkes des Apostolats des Meeres als auch die Aufsicht über sein zentrales Organ ausübt.

Die einzelnen Verfügungen

Das Apostolat des Meeres war in den letzten Jahrzehnten mehrfach Objekt päpstlicher Verfügungen. In diesem Zusammenhang erinnert das päpstliche Dokument auch an das Dekret Apostolatus Maris der damaligen Päpstlichen Kommission für die geistliche Betreuung der Migranten und Reisenden vom 24. September 1977, mit dem diesbezügliche Normen und Vollmachten im Licht des Zweiten Vatikanischen Konzils überarbeitet wurden.

Ebenso wird das Motu proprio Stella Maris des heiligen Johannes Paul II. vom 31. Januar 1997 erwähnt, mit dem die zuvor erlassenen Bestimmungen aktualisiert wurden. Schließlich wird auf die Verfügung von Papst Franziskus verwiesen, seit der die Leitung des Werkes des Apostolats des Meeres beim Dikasterium für den Dienst der ganzheitlichen menschlichen Entwicklung liegt. Dieses Dikasterium hat inzwischen auch die Zuständigkeit für die Pastoral der Migranten und Menschen unterwegs übernommen. (vn 13)

 

 

 

 

 

 

Bischof Bertram Meier zum Welttag der Armen

 

„Die Armen gehören zur Familie“

Am Sonntag (16. November 2025) begeht die katholische Kirche den von Papst Leo XIV. ausgerufenen neunten Welttag der Armen. Das Leitwort der diesjährigen Botschaft lautet: „Du bist meine Hoffnung“ (Ps 71,5). Papst Leo XIV. stellt darin die Hoffnung auf Gott in den Mittelpunkt, „der in Christus durch seinen Tod und seine Auferstehung zu ‚unserer Hoffnung‘ geworden ist“ (vgl. 1 Tim 1,1). Diese Hoffnung zeigt sich nach seinen Worten konkret in der Liebe zu den Armen.

Der Vorsitzende der Kommission Weltkirche der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), greift die Botschaft des Papstes auf und betont die geistliche Herausforderung des Tages: „Der Welttag der Armen fordert uns jedes Jahr heraus, die Liebe Gottes zu den Armen ernst zu nehmen. So fragt uns Papst Leo XIV. in seiner Botschaft zum Welttag der Armen, ob wir uns diesen Gott, der sich selbst den Armen zuwendet, auch als Wegbegleiter für unser eigenes Leben wünschen. Das hätte Konsequenzen, auf die der Papst hinweist: Als Christen würden wir Reichtümer relativieren und unsere Entscheidungen am Gemeinwohl ausrichten, als Kirche würden wir die Armen in den Mittelpunkt der gesamten Pastoral stellen.“

Bischof Meier erklärt: „Für Papst Leo XIV. sind die Armen keine Zusatzbeschäftigung für die Kirche, sie sind die am meisten geliebten Schwestern und Brüder.“ In seiner Apostolischen Exhortation Dilexi te über die Liebe zu den Armen schreibt der Papst: „Christen dürfen die Armen nicht bloß als soziales Problem betrachten: Sie sind eine ‚Familienangelegenheit‘. Sie gehören ‚zu den Unsrigen‘“ (Nr. 104).

Mit Blick auf die aktuelle gesellschaftliche und politische Entwicklung mahnt Bischof Meier, „dass die Liebe zu den Armen keine Konjunktur hat“. Dabei denkt er „an die Beratungen und Entscheidungen über den Bundeshaushalt, in dem die Mittel für die so wichtige humanitäre Hilfe für die Ärmsten der Armen in den Flüchtlingslagern dieser Welt drastisch gekürzt wurden. Eine Reduzierung dieser Hilfe um 50 Prozent in nur einem Jahr – größer kann der Kontrast zu den von Papst Leo XIV. geforderten politischen Prioritäten kaum sein.“ Auch die Folgen des Klimawandels träfen „vor allem die Armen, deren Lebensgrundlagen durch Dürre oder Hochwasser bedroht und zerstört werden“.

Zugleich erinnert Bischof Meier an die persönliche Verantwortung: „Die Liebe zu den Armen, so Papst Leo XIV. in seiner Botschaft, habe die Heiligen zu allen Zeiten in der Kirche befähigt, wirklich solidarisch mit ihnen zu sein.“ Diese Liebe könne „viele Ausdrucksformen“ haben – vom persönlichen Engagement über die Unterstützung der Caritas bis zu Spenden an Hilfswerke.

„Wenn wir uns den Armen in Deutschland und in der Welt solidarisch zuwenden, setzen wir Zeichen der Hoffnung“, so Bischof Meier abschließend. „Lassen Sie uns zum Welttag der Armen neu darüber nachsinnen, wie wir mit den Armen wirklich eine Familie bilden können – vereint in der Hoffnung auf Gott, der uns alle als seine Kinder, als Schwestern und Brüder, sieht.“ Dbk 14

 

 

 

 

 

Zollner über digitale Bildung: Noch sehr viel Luft nach oben

 

Der international bekannte Safeguarding-Experte Pater Hans Zollner ermutigt zu mehr digitaler Bildung und zu einem interdisziplinären und interkulturellen Austausch über eine ethische Grundlegung der Künstlichen Intelligenz. Die katholische Kirche könne hier wichtige Weichenstellungen mit gestalten, ist er überzeugt. Der Jesuit war einer der Sprecher bei der internationalen Konferenz „Die Würde von Kindern und Jugendlichen im Zeitalter der Künstlichen Intelligenz“, die der Papst empfing.

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Radio Vatikan sprach mit dem Safeguarding-Experten Pater Hans Zollner nach seiner Audienz bei Papst Leo. In dem Interview erläuterte der Leiter das Safeguarding-Institutes IADC der Gregoriana-Universität Risiken, die die Nutzung digitaler Medien und von KI für Kinder beinhaltet, und die Notwendigkeit, den Schutz und die Würde von Kindern bei der Entwicklung, Verbreitung und Nutzung solcher Technologien zu verankern. 

Kirche könnte vorangehen

Papst Leo hat in seiner Rede zu digitaler Bildung und auch zu einer digitalen Pädagogik aufgerufen. Davon sind wir doch eigentlich noch ziemlich weit entfernt - oder, Pater Zollner?

Als eine Aufgabe, die sich die Schulen, die Universitäten stellen, in einer konzertierten Weise, sind wir davon noch weit entfernt. Also ich glaube, dass da sehr viel Luft nach oben ist und dass wir da auch durch das katholische Ausbildungssystem, Schule und andere Einrichtungen plus Universitäten, eine große Möglichkeit haben, eine wichtige Funktion zu erfüllen, die sonst niemand erfüllt!

„Also ich glaube, dass wir eine große Möglichkeit haben, eine wichtige Funktion zu erfüllen, die sonst niemand erfüllt!“

P. Zollner u?ber KI und Kinderschutz (Interview: A. Preckel, Vatican News)

Über Risiken aufklären 

Bei der Konferenz jetzt zum Thema Kinderschutz und künstliche Intelligenz ging es auch um Risiken, denen Kinder ausgesetzt sind in Bezug auf KI. Können Sie diese Risiken noch einmal beschreiben?

Die Risiken sind mannigfach. Ein großes Risiko ist allein schon die Abhängigkeit von Mobilgeräten. Kann ein Kind zehn Minuten, eine Viertelstunde ohne sein Gerät sein? Wie geht das, wenn keine Nachrichten ankommen oder wenn nicht ein ständiger Kontakt auch mit den sozialen Kanälen, die benutzt werden, vorliegt? Also da sind schon auch Gehirnmechanismen beeinflusst, die nicht einfach zu kontrollieren sind.

Das andere große Thema ist: Wie ist die Beziehungsgestaltung? Wie gehen Kinder, Jugendliche, miteinander um über diese Kanäle? Wie beeinflussen zum Beispiel Chatbots auch die emotionale Welt, die Vorstellungswelt? Wie beeinflussen sie, wie Vertrauen aufgebaut wird? Welche Vorstellungen von Freundschaften entwickeln sich? Und auch da haben wir ja gesehen, dass es bis dahin gehen kann, dass sich Menschen, Kinder, auch Jugendliche, so auf Chatbots verlassen, dass sie keine kritische Distanz mehr haben. In einigen Fällen ist es ja dann sogar zu Suizid gekommen - beziehungsweise zu einer Abhängigkeit, die den Kontakt zur Außenwelt sehr eingeschränkt hat.

Also insofern ist - neben den vielen guten Dingen, die künstliche Intelligenz bietet und die uns das Leben sehr viel einfacher macht in vielen Bereichen - gerade auch für Kinder und Jugendliche die Frage, wie wir sie besser schützen können.

Wichtige Weichenstellungen

Das ist auch ein Auftrag an Institutionen, damit Kinder auf einen mündigen Umgang mit diesen Technologien vorbereitet werden. Wo sehen Sie, dass diese Verantwortung tatsächlich auch schon wahrgenommen wird?

Also man kann sagen, dass sich die Regierungen je nach Couleur schon auf dieses Thema eingelassen haben. In Australien oder in Großbritannien gibt es da durchaus weitreichende Gesetze und Maßnahmen. Aber wie wir ja immer wieder erfahren, es ist nicht nur die Macht der Regierungen. Die ist an sich sehr begrenzt, weil es sich bei den großen Tech-Companies um multinationale Unternehmen handelt, die sich von einer einzigen Regierungs- oder Gesetzesinitiative nicht groß beeindrucken lassen müssen. Man muss natürlich auch sagen, dass sie so reich sind, so viel Geld haben, dass sie sich auch sehr viel erlauben können und auch viel im politischen Bereich oder im Gesetzgebungsbereich beeinflussen können, sodass sie Vorstellungen von dem, wie die Welt der künstlichen Intelligenz in der Zukunft ausschauen wird, sehr stark prägen wollen.

Wir sind jetzt an einem wirklich sehr wichtigen Kreuzungspunkt, weil Modelle, die bisher gegolten haben, auch für künstliche Intelligenz abgelöst werden können und müssen. Und neue Vorstellungen sind da, die gerade von den größten Playern und den einflussreichsten Playern im Feld stark aktiv betrieben werden.

Die Konferenz hier in Rom sollte eben zeigen, dass es eine Alternative dazu gibt und dass wir auch in der Lage sind, mit den Leuten zu reden, auch mit Rechtsbehörden, die da eine Sache mit einzubringen haben, sodass wir Alternativen bieten können. Und wenn wir gute Alternativen bieten können, dann wird sich auch die Frage stellen, ob die Gesellschaften, die großen Companies, darauf eingehen, weil sie einsehen, dass sie mit einem Modell des reinen Vermarktens dieser Daten, was ja jetzt eigentlich das Gängige ist, nicht mehr weiterkommen werden.

Dialog suchen, Bewusstsein schärfen

Auf der Konferenz waren ja in der Tat einige Tech-Firmen auch vertreten. Der Vatikan versucht, das Gespräch auch zu suchen mit diesen Firmen, um eben ethische Standards da auch zu verankern, etwa durch den „Rome Call for KI Ethics“. Aber natürlich auf einer freiwilligen Basis. Sehen Sie schon Ansätze, wo das tatsächlich auch umgesetzt wird, wo das fruchtet? Oder würden Sie sagen, freiwillige Basis? - Schwierig!

Ja, wie gesagt, auf gesetzlicher Basis wird es auch schwierig bleiben, weil - wenn die nicht wollen, dann können sie immer die Karte ziehen ,Wir gehören da nicht zu diesem Land oder zu jenem‘. Und eine Weltautorität einzurichten, die das Ganze regulatorisch wirklich bestimmen könnte, das würde sehr schwer werden. Insofern wird man einerseits auf die Freiwilligkeit bauen und andererseits auf die Überzeugung auch von Argumenten, die darauf zurückgehen, zu fragen, wer wollen wir sein als Menschen? Um was geht es uns denn, wenn wir in die Zukunft schauen?

Ich glaube, immer mehr Menschen werden auch sich dessen bewusst, dass die Mittel, die wir haben, sowohl im Internet als auch in der künstlichen Intelligenz, nicht dazu dienen, dass es uns als Menschheit besser geht, sondern dass wir an einer sehr kritischen Schwelle stehen, an der große Gefahren auch für das Weiterleben der Menschheit produziert werden. Und ich glaube, die Tatsache, dass alle hier Anwesenden, auch großen Firmen von Google über OpenAI, über andere, die hier präsent waren, die Erklärung unterschrieben haben, die wir vorgelegt haben, zeigt, dass sich mindestens einige auch in diesen großen Firmen dessen bewusst sind, dass wir nicht einfach nur so weitermachen können wie bisher.

Dankeschön. Die Fragen stellte Anne Preckel. (vn 13)

 

 

 

 

 

Kinderschutz und KI: Papst fordert digitale Pädagogik

 

Mit Blick auf Künstliche Intelligenz hat Papst Leo Regierungen und internationale Organisationen dazu aufgerufen, Maßnahmen zum Schutz der Würde Minderjähriger zu entwickeln und umzusetzen. Außerdem forderte er eine digitale Bildung und Pädagogik, um einen aufgeklärten Umgang mit KI zu ermöglichen. Anne Preckel - Vatikanstadt

Der Papst empfing am Donnerstagmorgen Teilnehmer der Konferenz „Die Würde von Kindern und Jugendlichen im Zeitalter der Künstlichen Intelligenz“, die am Vortag in Rom stattgefunden hatte.

Der Einsatz von KI werfe „wichtige ethische Fragen“ auf, „insbesondere hinsichtlich des Schutzes der Würde und des Wohlergehens von Minderjährigen“, hob er in seiner Ansprache hervor. Kinder seien „besonders anfällig für Manipulationen durch KI-Algorithmen, die ihre Entscheidungen und Präferenzen beeinflussen können“, erinnerte Leo XIV.

Regulierung und Kontrolle

Eltern und Erzieher müssten sich dieser Dynamik bewusst sein, und es brauche Instrumente, um die Interaktion junger Menschen mit Technologie zu überwachen und zu lenken, so der Papst. In der Pflicht sieht er hier einerseits Regierungen und internationale Organisationen. Sie seien dafür verantwortlich, Maßnahmen zum Schutz der Würde Minderjähriger im Zeitalter der KI zu entwickeln und umzusetzen.

„Dazu gehört die Aktualisierung bestehender Datenschutzgesetze, um den neuen Herausforderungen durch aufkommende Technologien gerecht zu werden, sowie die Förderung ethischer Standards für die Entwicklung und Nutzung von KI.“

Digitale Bildung notwendig

Neben politischen Maßnahmen brauche es einen mündigen Umgang mit KI und den neuen digitalen Möglichkeiten, schärfte er ein: es brauche „digitale Bildung“.

„Was wir brauchen, sind tägliche, kontinuierliche Bildungsbemühungen, die von Erwachsenen durchgeführt werden, die selbst geschult und durch Kooperationsnetzwerke unterstützt werden“, betonte der Papst. „Dieser Prozess beinhaltet das Verständnis der Risiken, die sowohl der Einsatz von KI als auch ein verfrühter, unbegrenzter und unbeaufsichtigter Zugang zur digitalen Welt für die Beziehungen und die Entwicklung junger Menschen mit sich bringen können.“

Minderjährige müssten für Risiken im Zusammenhang mit KI und dessen Auswirkungen auf ihr persönliches und soziales Leben sensibilisiert werden, hob er weiter hervor. Nur dann könnten sie die digitale Welt verantwortungsvoll nutzen.

„Nur durch einen pädagogischen, ethischen und verantwortungsvollen Ansatz können wir sicherstellen, dass künstliche Intelligenz als Verbündeter und nicht als Bedrohung für das Wachstum und die Entwicklung von Kindern und Jugendlichen dient“, erinnerte der Papst.

Hintergrund

Die internationale Konferenz „The Dignity of Children and Adolescents in the Age of Artificial Intelligence“ fand am 12. November in Rom statt und wurde von der Stiftung „Child for Study and Research into Childhood and Adolescence“ gemeinsam mit „Telefono Azzurro“ ausgerichtet. Zum Abschluss wurde eine gemeinsame Erklärung unterzeichnet. Papst Leo, der sich regelmäßig akzentuiert zum Thema KI äußert, empfing die Teilnehmer am Donnerstag in Audienz.

Die Veranstaltung brachte führende Vertreter aus Wissenschaft, Institutionen, Forschung und Technologie zusammen, um die ethischen, rechtlichen, sozialen und anthropologischen Auswirkungen der künstlichen Intelligenz zu erörtern. Ziel war die Förderung eines interdisziplinären und interkulturellen Dialoges über KI und die Arbeit an einer gemeinsamen Vision eines digitalen Humanismus, basierend auf Respekt, Empathie und Verantwortung. (vn 13)

 

 

 

 

 

Appell zur Zukunft denkmalgeschützter Kirchen in Deutschland

 

44.000 katholische und evangelische Kirchen und Kapellen

Im Auftrag des Deutschen Nationalkomitees für Denkmalschutz haben sich staatliche, kommunale und kirchliche Fachleute im März 2025 in Köln auf Empfehlungen für den Umgang mit denkmalgeschützten Kirchen verständigt. Sie richten sich an alle Betroffenen und Interessierte, insbesondere an politisch Verantwortliche in Bund, Ländern und Kommunen, an Entscheidungstragende in den Denkmalämtern und -behörden der Länder und  Kommunen, in den (Erz-)Diözesen, Landeskirchen sowie an Planende.

Heute (13. November 2025) veröffentlichen diese Fachleute einen Appell an die genannten Akteure, insbesondere bei Zielkonflikten um Nutzungsveränderungen und -erweiterungen in denkmalgeschützten Kirchengebäuden konstruktiv gemeinsame Lösungen zu finden. Das Dokument wurde auf der Jahrestagung des Deutschen Nationalkomitees für Denkmalschutz am 3. November 2025 in Berlin verabschiedet.

Im Appell heißt es: „Kirchen sind in ihrer Qualität und Quantität wesentlicher und prägender Bestandteil der europäischen Kultur- und Denkmallandschaft. Diese ‚Andersräume‘ haben auch als identitätsstiftende sowie bau- und kunsthistorische Schätze eine herausragende Bedeutung für unsere Gesamtgesellschaft.“ In der Bundesrepublik Deutschland gibt es rund 44.000 katholische und evangelische Kirchen und Kapellen. Davon sind ca. 90 Prozent denkmalgeschützt. „Die Bewahrung dieser so ortsbild- und landschaftsprägenden Gebäude ist für die gesamte Gesellschaft eine große Herausforderung. Diese kann nur gemeinsam bewältigt werden“, heißt es in dem Appell. Dbk13

 

 

 

 

 

Papst: Ohne Geschwisterlichkeit können wir nicht überleben

 

Denn dabei handele es sich um eine „zutiefst menschliche“ Eigenschaft, betont Papst Leo XIV. in seiner Katechese bei der Generalaudienz an diesem Mittwoch. Auch wenn viele Konflikte, Kriege und Spannungen das Gegenteil zu beweisen schienen, könnten wir ohne dieses Gemeinschaftsgefühl nicht „überleben, wachsen und lernen“.

Auch an diesem Mittwoch führte Papst Leo XIV. seine Katechesereihe über den Tod und die Auferstehung Christi fort. Insbesondere dachte er darüber nach, wie das „Erleben der österlichen Spiritualität“ „Hoffnung für das Leben“ gebe und dazu ermutige, „in das Gute zu investieren“.

Dies helfe uns auch dabei, die Geschwisterlichkeit zu fördern und wertzuschätzen, „die zweifellos eine der großen Herausforderungen für die heutige Menschheit ist, wie Papst Franziskus deutlich erkannt“ habe, so Leo mit einem Verweis auf seinen Vorgänger, der dem Thema der menschlichen Brüderlichkeit eine eigene Enzyklika gewidmet hatte.

„Brüderlichkeit entspringt einer zutiefst menschlichen Eigenschaft. Wir sind zu Beziehungen fähig, und wenn wir es wollen, können wir echte Bindungen untereinander aufbauen. Ohne Beziehungen, die uns seit Beginn unseres Lebens unterstützen und bereichern, könnten wir nicht überleben, wachsen und lernen“, so Leo.

Brüderlichkeit ist nicht selbstverständlich

Zwar gebe es viele verschiedene Beziehungen, die mal inniger und mal oberflächlicher seien. Unsere Menschlichkeit entfalte sich allerdings am besten, wenn es uns gelinge, zusammenzuleben und echte Bindungen einzugehen, zeigt das Kirchenoberhaupt sich überzeugt. Wenn wir uns jedoch auf uns selbst zurückzögen, riskierten wir Einsamkeit und sogar Narzissmus, der uns dazu bringe, uns nur aus Eigennutz um andere zu kümmern.

„Wir wissen sehr wohl, dass Brüderlichkeit auch heute noch nicht selbstverständlich ist, dass sie nicht unmittelbar gegeben ist. Viele Konflikte, zahlreiche Kriege auf der ganzen Welt, soziale Spannungen und Hassgefühle scheinen vielmehr das Gegenteil zu beweisen“, räumt Leo ein. Dennoch sei Geschwisterlichkeit „kein schöner, unerreichbarer Traum“ dem nur einige wenige Illusionisten nachhingen. Doch um das Gegenmittel zu den Krankheiten zu finden, die die Geschwisterlichkeit unterminieren, müsse man „zu den Quellen gehen“, aus denen man Kraft schöpfen könne – nämlich Gott, erinnerte Papst Leo.

Unterschiedslos auf alle anwenden 

Das Wort „Bruder“ stamme von einer sehr alten Wurzel ab, die „sich kümmern“, „am Herzen liegen“, „unterstützen“ und „versorgen“ bedeutet, so der Papst. „Auf jeden Menschen angewendet“, werde es letztlich zu einer Einladung, denn Spannungen beschränkten sich keineswegs auf die Beziehungen zwischen Fremden, sondern beträfen oft auch die innerste Familie. Damit werde deutlich, dass es „heute dringender denn je notwendig“ sei, über den Gruß des heiligen Franz von Assisi nachzudenken, mit dem er sich alle wandte:

„Omnes fratres war die inklusive Art und Weise, mit der Franz alle Menschen auf die gleiche Ebene stellte, gerade weil er sie in ihrem gemeinsamen Schicksal der Würde, des Dialogs, der Aufnahme und der Erlösung erkannte.“

Diesen Ansatz habe Papst Franziskus wieder aufgegriffen und dessen Aktualität in seiner Enzyklika Fratelli tutti 800 Jahre später betont, unterstreicht Leo weiter.

„Dieses ,alle‘, das für den heiligen Franziskus das einladende Zeichen einer universellen Brüderlichkeit bedeutete, drückt einen wesentlichen Zug des Christentums aus, das von Anfang an die Verkündigung der Frohen Botschaft war, die zur Erlösung aller bestimmt war, niemals in exklusiver oder privater Form“, so der Papst, der darauf hinweist, dass diese Geschwisterlichkeit „auf dem Gebot Jesu“ gründe, welches „insofern neu“ sei, „als es von ihm selbst verwirklicht wurde“:

„Dank ihm, der uns geliebt und sich für uns hingegeben hat, können wir unsererseits einander lieben und unser Leben für andere hingeben, als Kinder des einen Vaters und wahre Geschwister in Jesus Christus.“

Zur Solidarität gerufen

Wie das Johannesevangelium feststelle, habe Jesus „uns bis zur Vollendung geliebt“, trotz seiner eigenen Angst und Verlassenheit. Doch mit der Auferstehung habe er eine neue Geschichte eingeleitet; während die Jünger „nach langer Zeit des Zusammenlebens“ zu Geschwistern werden, „besonders dann, als sie ihn als den Auferstandenen erkennen, die Gabe des Heiligen Geistes empfangen und zu Zeugen davon werden“, führt Papst Leo aus.

Abschließend fordert er alle Mitglieder der menschlichen Familie auf, sich „gegenseitig in schwierigen Zeiten“ zu unterstützen. „Brüder und Schwestern (…) wenden sich nicht von denen ab, die in Not sind: Sie weinen und freuen sich gemeinsam in der Aussicht auf Einheit, Vertrauen und gegenseitige Zuversicht“, so Papst Leo, der unterstreicht, dass wir alle gerufen seien, einander zu lieben, wie Jesus uns geliebt habe. Denn die Geschwisterlichkeit, „die uns (…) Christus geschenkt hat, befreit uns von der negativen Logik der Egoismen, der Spaltungen und der Überheblichkeiten und führt uns zurück zu unserer ursprünglichen Berufung im Namen einer Liebe und einer Hoffnung, die sich jeden Tag erneuern.“

Die Auferstehung Jesu zeige und den Weg, „um uns als Geschwister zu fühlen und um Geschwister zu sein“, betont Papst Leo.

Papst gratuliert EWTN Deutsch

Nach der Generalaudienz traf Papst Leo wie üblich die Bischöfe und einige ausgewählte Teilnehmer zu einem persönlichen Gruß - darunter auch Martin Rothweiler, Geschäftsführer und Programmdirektor von EWTN Deutschland, das sein 25. Jubiläum feiern konnte. Nach der Begegnung mit dem Papst sagte er gegenüber Radio Vatikan: 

„Es war ein ganz besonderer Moment, heute dem Heiligen Vater zu begegnen. Sehr bewegend. Ihm auch noch einmal unseren Dank für seine Glückwünsche und Segenswünsche persönlich sagen zu können, die er uns anlässlich unseres Jubiläums in einem Telegramm übermittelte, in dem er uns auch seinen apostolischen Segen erteilt hat. Es war mir ein großes Anliegen, und er hat sich auch wiederum bedankt für 25 Jahre treuen Dienst für das Evangelium. Er hat uns auch aufgefordert, in Treue zum Evangelium unsere Arbeit fortzusetzen. Ein ganz, ganz großartiger Moment - und auch noch mal ein weiterer Höhepunkt in unserem Jubiläumsjahr. Ich habe ihm natürlich auch unser Gebetsversprechen zugesagt und ihm ganz, ganz herzlich gedankt. Bei der Gelegenheit hat er noch ein Bildnis von Mutter Angelika gesegnet, das wir bei uns im EWTN-Studio in Köln aufbewahren werden.“

... Prominenz im Vatikan

Papst Leo traf an diesem Mittwoch im Vorfeld der Generalaudienz auch Prominenz aus dem Showbusiness, darunter Supermodel Naomi Campbell und die beliebte italienische Sängerin Laura Pausini, als deren Fan sich der Pontifex bei der Gelgenheit geoutet hat. Vn 12

 

 

 

 

 

Bischof Kräutler bei COP30: „Die Kirche war immer gegenwärtig“

 

Der emeritierte Bischof von Xingu, Erwin Kräutler, ist eine der bekanntesten Stimmen im Einsatz für die Menschenrechte der indigenen Bevölkerung und den Erhalt des Amazonas-Regenwaldes. Im Interview mit uns betont Kräutler am Rande der COP30 im brasilianischen Belem die historische Rolle der Kirche in der Region – und deren Konfrontation mit mächtigen wirtschaftlichen Interessen.

Mario Galgano - Vatikanstadt und Silvonei Protz - Belem

Kräutler, der von 1981 bis 2015 Bischof der flächenmäßig größten Diözese Brasiliens, Xingu, war, unterstreicht die schwierige, aber konsequente Präsenz der Kirche in Amazonien: „Die Kirche war immer präsent in Amazonien, wenn auch mit großen Schwierigkeiten.“

Er macht in aller Deutlichkeit klar, auf wessen Seite die Kirche stand: „Amazonien wurde immer von den Bischöfen und von den Ordensleuten verteidigt gegen die Machenschaften großer Konzerne oder die Machenschaften, die mit den Indios aufhören wollten.“

Der Bischof erinnert sich an eine Episode in Berlin, wo ihm zwei Gesprächspartner rieten, nicht über die Indios zu sprechen, da diese in 20 Jahren ohnehin verschwunden sein würden. „Du musst dich einsetzen für die Armen“, war die damalige Devise. Doch Kräutler widersprach dieser fatalistischen Haltung. Die dahinterstehende "Idee" sei gewesen: Die Indios sollen verschwinden, weil sie auf Gebieten leben, die reich an Bodenschätzen sind.

Begleitet von Polizisten

Kräutler beschreibt die Plünderung des Regenwaldes durch Holzhändler, die „in jedem Gebiet von Amazonien gegenwärtig waren und alle Edelhölzer geplündert haben - bis kein einziger Baum mehr stand.“

Der Widerstand der Kirche gegen diese Zerstörung hatte persönliche Konsequenzen für ihn und seine Mitstreiter: „Darum haben wir als Kirche Schwierigkeiten bekommen.“ Kräutler selbst musste jahrelang unter Polizeischutz leben: „Ich selbst bin jahrelang von Polizisten begleitet worden, weil ich mich lautstark für das Überleben der indigenen Völker und für das Makrobiom eingesetzt habe.“

Dieser Einsatz sei eine Lebensaufgabe, die er fortführen werde, solange er lebe, so Kräutler.

Die Bedeutung der öffentlichen Bühne

Der Bischof erwähnt auch die wachsende internationale Sichtbarkeit des Kampfes für Amazonien. Er erinnert an frühere Umweltkonferenzen, wie eine in Paris, bei der sich die Kirche schon damals lautstark gezeigt habe.

Doch die aktuelle Entwicklung, dass Bischöfe parallel zu globalen Gipfeln zusammenkämen und eine eigene Konferenz abhielten – wie auch die Präsenz kirchlicher Vertreter bei den großen Klimakonferenzen ("COP") – sei neu: „Das war noch nie der Fall. Und da danke ich dem lieben Gott und den Leuten, die da sind.“ (vn 11)

 

 

 

 

 

In Zeiten des Misstrauens Vertrauen neu gewinnen

 

Bischof Bätzing ruft beim St.-Michael-Jahresempfang zu „Kooperationen der Hoffnungsvollen“ auf

Angesichts einer Welt voller Widersprüche, die in vielfacher Weise bedroht sei, und mit Blick auf die Spannungen innerhalb der Gesellschaft in Deutschland, hat der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, zu Auswegen aus der Vertrauenskrise aufgerufen: „Nicht auf die Unglückspropheten und Angstmacher richtet sich unser Blick, sondern auf Kooperationen der Hoffnungsvollen, mit denen wir gemeinsam für Gerechtigkeit, Frieden und die Bewahrung der Schöpfung eintreten wollen“, sagte er heute (10. November 2025) beim St. Michael-Jahresempfang in Berlin. Vor rund 600 geladenen Gästen, darunter Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier, Bundestagspräsidentin Julia Klöckner und Bundesministerin Karin Prien sowie Vertreterinnen und Vertretern der Religionen und der Ökumene, erinnerte Bischof Bätzing daran, dass es in der öffentlichen Wahrnehmung ein „Zufriedenheitsparadox“ gebe: „Ich frage mich: Wie können wir persönlich Auskommen, Frieden, Freiheit genießen und uns zugleich in einem kollektiven Tonfall des Misstrauens, der Gereiztheit und der Dauerunzufriedenheit einrichten?“

In seiner Rede konstatierte Bischof Bätzing veränderte Grundlagen für das Vertrauen in der Politik und in der Kirche: „In der Vergangenheit war die Vertrauensbildung vielfach identitätsbasiert“, man habe einer politischen Partei vertraut, weil man ihr angehörte, man habe hier einen entscheidenden Paradigmenwechsel vollzogen: „Der Vertrauensaufbau vollzieht sich leistungs- bzw. erfahrungsbasiert statt identitätsbasiert. Ich vertraue mithin einer bestimmten politischen Partei nicht deshalb, weil sie eine bestimmte politische Partei ist, sondern weil sie das leistet, wofür sie angetreten ist. Ebenso wenig vertraue ich einer Kirche deshalb, weil ich ihr angehöre, sondern vornehmlich, wenn sie erfüllt, was in meinen Augen ihre Aufgabe ist. Ein in früheren Zeiten verbreiteter Vertrauensvorschuss ist jedenfalls im Blick auf die Kirche angesichts von Machtmissbrauch und Skandalen weitgehend aufgebraucht“, so Bischof Bätzing. Heute müsse es neu gelten, Vertrauen zu gewinnen, indem man Probleme löse.

Das sei auch entscheidend für eine dienende Kirche: „Ich finde diese perspektivische Ausrichtung … ungemein tröstlich und ermutigend. Bedeutet die Rückkehr zu einer dienenden Kirche doch auch, dass sich die Überbringerin der Botschaft aus einem für viele anstößigen Selbstwiderspruch befreien und ihrer Botschaft zu neuer Kraft verhelfen kann. Und die Kirche hat doch nur insofern eine Berechtigung, als sie der ihr aufgetragenen Botschaft – dem Evangelium von der Freiheit in Christus – zur Geltung verhilft. Die Kirchenmitgliedschaftsuntersuchung zeigt überdeutlich, dass wir in einer säkularen Gesellschaft an genau diesem Anspruch gemessen werden. Sowohl Kirchenmitglieder als auch Konfessionslose wünschen sich die Kirche als gesellschaftliche Akteurin mit einem profiliert diakonischen Profil“, betonte Bischof Bätzing.

Der Vorsitzende der Deutschen Bischofskonferenz ging dabei auch noch einmal auf die Situation in Kirche und Gesellschaft ein, wo man gewissermaßen am „offenen Patienten“ beobachten könne, was passiere, „wenn Misstrauen, Aggression und Spaltung um sich greifen. Wir werden uns eingestehen, dass Institutionen fragil sind und ihr Fortbestand keineswegs selbstverständlich ist. Und zugleich werden wir feststellen, dass mit der Sorge um den Fortbestand der Demokratie ja nicht nur äußerlich die Frage nach einer Staatsform, sondern viel grundlegender die Sorge um die dauerhafte Geltung fundamentaler Werte unseres Zusammenlebens verbunden ist, wie sie unser Grundgesetz in der Präambel und mit den Grundrechten formuliert hat.“ Eindringlich warnte Bischof Bätzing vor erheblich zunehmenden Empörungsdynamiken: „Der aggressive Ton politischer Debatten, Ausbeutungslogiken und die Vernachlässigung der Perspektiven der Schwächsten zeugen davon, dass wir drohen, uns selbst, die Menschlichkeit, das, was unsere Gesellschaft im Innersten zusammenhält, aus den Augen zu verlieren. Wir rasen und werden getrieben – und kommen doch nicht voran.“

Mit Blick auf die Kirche sicherte Bischof Bätzing – auch der Politik – zu, dass man weiterhin präsent sei im öffentlichen Raum: „In den grundlegenden Debatten des gesellschaftlichen Diskurses und den sich daraus ergebenden Gesetzesinitiativen wird man auch künftig mit Stimmen aus dem Raum der Kirche rechnen müssen – nicht, weil wir besondere Freude daran hätten, als ‚Störenfriede‘ aufzutreten, sondern weil uns durch das Evangelium aufgetragen ist, für Frieden und Verständigung zu streiten und dabei möglichst viele Menschen einzubeziehen, gerade auch diejenigen, die nicht für sich sprechen können oder am Rande stehen.“ Dbk 10

 

 

 

 

 

Katholischer Sozialverband gegen AfD

 

„Kolping steht für Offenheit, Menschlichkeit und Solidarität. Diese Werte stehen im Gegensatz zu den Grundhaltungen der AfD“. Das schreibt das katholische Kolpingwerk auf der Social-Media-Plattform Instagram. Eine Doppelmitgliedschaft in der Partei Alternative für Deutschland (AfD) und im Kolpingwerk soll von nun an nicht mehr erlaubt sein.

Der Sozialverband Kolping Deutschland zählt deutschlandweit rund 200.000 Mitglieder. Auf der Bundesversammlung wurde nun eine Satzungsänderung beschlossen, die es ermöglicht, künftig Mitglieder auszuschließen. Das zielt ausdrücklich auf Personen, die an Überzeugungen festhalten, die mit den Werten von Kolping Deutschland unvereinbar sind oder dem von der Bundesversammlung beschlossenen Leitbild widersprechen.

Klare Linie

Aus diesem Grund ist „eine Mitgliedschaft bei Kolping Deutschland mit einer Mitgliedschaft in der AfD unvereinbar“, so der Beschluss wörtlich. Auf Instagram erklärt der Sozialverband, es brauche klare Grenzen gegenüber rechtspopulistischen Ideologien. Diese Ideologien seien: „Nationale Abschottung, Abwertung von Migrant*innen, Angriffe auf inklusive Gesellschaften und antipluralistische Tendenzen. Diese Positionen kollidieren direkt mit den Werten katholischer Verbände“.

Mit dem Beschluss verpflichtet Kolping Deutschland seine Mitglieder zu einer klaren Linie: Wer Mitglied in der AfD ist, kann nicht zugleich Mitglied bei Kolping Deutschland oder einer seiner Gliederungen bleiben. Damit verdeutlicht der katholische Sozialverband seine Orientierung an der katholischen Soziallehre und den Werten des deutschen Grundgesetzes. (kolping 10)

 

 

 

 

 

EKD-Friedensbeauftragter stellt sich gegen Denkschrift

 

Der Friedensbeauftragte der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD), Landesbischof Friedrich Kramer aus Mitteldeutschland, hat an diesem Montag für Aufsehen auf der in Dresden tagenden EKD-Synode gesorgt: Er widersprach der am selben Tag vorgestellten Friedensdenkschrift seiner eigenen Kirche, die die atomare Abschreckung nicht länger kategorisch ablehnt. Vom Mario Galgano

Während es in dem neuen Grundsatzpapier heißt, „Der Besitz von Nuklearwaffen kann aber angesichts der weltpolitischen Verteilung dieser Waffen trotzdem politisch notwendig sein, weil der Verzicht eine schwerwiegende Bedrohungslage für einzelne Staaten bedeuten könnte“, bezog Bischof Kramer klar Stellung dagegen.

Vor den Synodalen forderte er: „Ich bin der Meinung, wir sollten bei einem klaren Nein ohne jedes Ja bleiben.“ Zudem müssten alternative Instrumente zur Friedensschaffung – wie zivile Friedensarbeit und „klare Grenzen militärischer Mittel zum Schutz vor Gewalt“ – weiterhin im Fokus bleiben.

Scharfe Kritik von Friedensgruppen

Auch kirchliche Friedensgruppen äußerten sich kritisch zur Denkschrift. Die Aktionsgemeinschaft Dienst für den Frieden (AGDF) monierte, der Text setze eine neue Priorität beim Schutz vor Gewalt, unterstreiche dabei eine Notwendigkeit militärischen Handelns und unterschätze Möglichkeiten ziviler Konfliktbearbeitung.

Der Rat der EKD folge damit „der Logik der Zeitenwende“ und räume dem Schutz vor Gewalt Vorrang vor dem Primat der Gewaltfreiheit ein, so die AGDF. „Damit tritt die Bestimmung des gerechten Friedens als Doppelbewegung der Abnahme von Gewalt und der Zunahme von Gerechtigkeit in den Hintergrund, die den Horizont der evangelischen Friedensethik in Richtung globaler Fragen und der Ökumene geweitet hatte.“

Die AGDF sieht in der Denkschrift eine Verkennung der Tatsache, dass militärisches Handeln schnell an Grenzen stoße, sobald ein Krieg ausgebrochen sei. Man befürchte, dass der Text das Militär im Blick auf den Schutz vor Gewalt überschätze und darauf fokussiert sei, „militärisches Handeln friedensethisch zu rehabilitieren.“ Die EKD fordere eine Politik, die auf militärische Stärke baue, obwohl Analysen zeigten, dass dies nur eingeschränkt zu globaler Gerechtigkeit, Demokratie oder Sicherheit beitragen könne – und die Probleme im Gegenteil oft verschärfe.

Ökumene in Ostdeutschland im Fokus

Am Samstag, 9. November, sprach Bischof Heinrich Timmerevers von Dresden-Meißen in Vertretung des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz auf der sechsten Tagung der 13. Synode der EKD und der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands (VELKD) in Dresden.

Er betonte die langjährige, positive Zusammenarbeit der Kirchen in Deutschland: „Die Deutsche Bischofskonferenz und die EKD stehen im Kontaktgesprächskreis in einem beständigen und förderlichen Austausch über die Themen, die sie gemeinsam betreffen.“

Besonders hob Bischof Timmerevers die ökumenische Zusammenarbeit in Ostdeutschland hervor: „Aus meiner eigenen Erfahrung kann ich sagen, dass gerade in den ostdeutschen Gebieten, wo das Christentum in einer mehr oder weniger ausgeprägten Minderheitensituation ist, Christsein ohne die Gemeinschaft mit den Schwestern und Brüdern in anderen Kirchen und christlichen Gemeinschaften nicht denkbar und nicht lebbar wäre.“ Diese Tradition des gemeinsamen Zeugnisses habe sich bereits zu Zeiten der DDR gefestigt.

Für die Zukunft kündigte Bischof Timmerevers eine Initiative an: Die Evangelisch-Lutherische Landeskirche Sachsens und das Bistum Dresden-Meißen prüfen die Gründung einer „Gemeinsamen Akademie der Kirchen in Sachsen“. Ziel sei es, eine gemeinsame Bildungs- und Begegnungsstätte zu etablieren. „Diese Akademie soll mehr sein als eine Institution – sie soll ein lebendiger Ort werden, an dem Christinnen und Christen verschiedener Konfessionen zusammenkommen, voneinander lernen und sich gemeinsam auf Verantwortung in Kirche und Gesellschaft vorbereiten,“ sagte er. Er sieht darin eine „große Chance“ und ein „sichtbares Zeichen dafür, dass Kirche – ausdrücklich in der Ökumene verbunden – zukunftsorientiert, gestaltungsfähig und relevant für die Menschen unserer Region ist.“ (ekd/dbk 10)

 

 

 

 

 

Bischof Timmerevers spricht auf der Synode der EKD

 

Christsein in Ostdeutschland nicht ohne ökumenische Gemeinschaft lebbar

Bischof Heinrich Timmerevers (Dresden-Meißen) hat heute (9. November 2025) in Vertretung des Vorsitzenden der Deutschen Bischofskonferenz, Bischof Dr. Georg Bätzing, auf der sechsten Tagung der 13. Synode der Evangelischen Kirche in Deutschland (EKD) und der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands (VELKD) in Dresden gesprochen. Er betonte, dass die Kirchen in Deutschland sind miteinander seit vielen Jahren auf einem guten Weg seien: „Die Deutsche Bischofskonferenz und die EKD stehen im Kontaktgesprächskreis in einem beständigen und förderlichen Austausch über die Themen, die sie gemeinsam betreffen.“

Der Bischof von Dresden-Meißen hob die ökumenische Zusammenarbeit in Ostdeutschland in seiner Ansprache besonders hervor: „Aus meiner eigenen Erfahrung kann ich sagen, dass gerade in den ostdeutschen Gebieten, wo das Christentum in einer mehr oder weniger ausgeprägten Minderheitensituation ist, Christsein ohne die Gemeinschaft mit den Schwestern und Brüdern in anderen Kirchen und christlichen Gemeinschaften nicht denkbar und nicht lebbar wäre.“ Diese Zusammenarbeit geht auf eine Tradition zurück, die sich bereits in den Jahren der DDR gezeigt hat: „Für die Gläubigen – ob evangelisch oder katholisch – wuchs in dieser Zeit das Bewusstsein, nicht allein zu stehen, sondern gemeinsam Zeugnis zu geben.“

Für die Zukunft der Ökumene in der Region sagte Bischof Timmerevers: „In enger Zusammenarbeit prüfen die Evangelisch-Lutherische Landeskirche Sachsens und das Bistum Dresden-Meißen die Gründung einer Gemeinsamen Akademie der Kirchen in Sachsen mit dem Ziel, eine gemeinsame Bildungs- und Begegnungsstätte zu etablieren. Diese Akademie soll mehr sein als eine Institution – sie soll ein lebendiger Ort werden, an dem Christinnen und Christen verschiedener Konfessionen zusammenkommen, voneinander lernen und sich gemeinsam auf Verantwortung in Kirche und Gesellschaft vorbereiten.“ Diese „Gemeinsame Akademie der Kirchen“ sei eine große Chance. „Wenn wir diesen Schritt wagen, setzen wir ein sichtbares Zeichen dafür, dass Kirche – ausdrücklich in der Ökumene verbunden – zukunftsorientiert, gestaltungsfähig und relevant für die Menschen unserer Region ist“. Dbk 10

 

 

 

 

 

„Wir sind Kirche“ will Reformideen an Jüngere weitergeben

 

Die innerkirchliche katholische Reformgruppierung „Wir sind Kirche" will sich vermehrt dafür einsetzen, ihre Anliegen an die jüngere Generation weiterzugeben. Das teilte die Bewegung am Wochenende in Nürnberg anlässlich einer Versammlung zu ihrem 30-jährigen Bestehen mit.

Die Kernthemen der Bewegung blieben jedenfalls weiterhin relevant, heißt es: „Partizipation und eine wirklich geschwisterliche Kirche, Frauengleichberechtigung, Dienste in der Kirche, Zölibat und Sexualmoral.“ Dazu wolle man sich immer wieder und auch gemeinsam mit anderen Gruppierungen zu Wort melden.

Der neue Papst Leo XIV. mache mit seinem Bekenntnis zur Synodalität und seinem Schreiben „Dilexi te" Hoffnung – „aber wir sind weiter gefordert“. Auch sei die Bewegung bereits gut vernetzt, wichtig sei jedoch, dass deren Mitglieder, die im Wesentlichen zur älteren „Generation Konzil“ gehörten, sich eben mit jüngeren Menschen vernetzten. „Es geht um die Weitergabe der Botschaft Jesu an Menschen in den nachwachsenden Generationen." Dazu könne es etwa ein eigenes Team geben, das sich zukünftig mit dieser Frage beschäftigen solle.

Der emeritierte Theologieprofessor Norbert Mette machte darauf aufmerksam, dass durch innerkirchliche Reformen keine größere Zustimmung zum Glauben oder zu den Kirchen erreicht werden könne. Zudem sei die These nicht mehr aufrechtzuerhalten, dass Menschen ohne Religion etwas fehle, sagte er laut Skript bei einem Vortrag. Daher brauche es eine Begegnung und Kooperation von Gläubigen und Nichtgläubigen auf Augenhöhe. Die Kirche müsse sich auf das moderne Selbstverständnis des Menschen einlassen. Auftrag von Reformbewegungen sei nicht nur, gegen kirchenpolitische Maßnahmen zu protestieren, sondern ihr Tun selbst theologisch zu reflektieren.

Neues Bundesteam und neue Vorsitzende

„Wir sind Kirche“ wählte den Angaben zufolge außerdem ein neues Bundesteam. Laut Mitteilung gehören diesem künftig die Philosophin Ma Adler aus dem Landkreis Leer in Ostfriesland, die Deggendorfer Volkskundlerin Sigrid Grabmeier und der Berliner Baustoffverfahrenstechniker Konrad Mundo an. Dazu zählen ebenso Jurist Christoph Schomer aus Remagen sowie Stadtplaner Christian Weisner aus Dachau.Zudem wählten die Mitglieder der Bewegung einen neuen Vorstand, so die Mitteilung weiter. Zu diesem gehörten künftig der schleswiger Hörgeschädigtenpädagoge Johann Bürgstein, die Kassler Romanistin Susanne Ludewig sowie die Rheinstettenerin Ute Heberer.  (kna 9)

 

 

 

 

 

Angelus: Unsere Fehler hindern Gott nicht daran, uns zu lieben

 

Am Tag der Weihe der Lateranbasilika lädt der Papst beim Mittagsgebet dazu ein, den Blick zu weiten: vom künstlerischen Ausbau zum spirituellen Gehalt, um das Geheimnis der Kirche besser zu verstehen. Ihre Heiligkeit, so der Papst mit einem Ratzinger-Zitat, beruhe nämlich nicht auf unseren Verdiensten, sondern auf der Liebe Gottes, der immer wieder die „schmutzigen Hände der Menschen” wählt.

Noch kurz zuvor hatte Papst Leo die Messe zum Weihetag der Bischofskirche von Rom und „Mutter aller Kirchen“ gefeiert, doch pünktlich um 12 Uhr zeigte er sich am Fenster des Apostolischen Palastes, um das Mittagsgebet zu sprechen. 35.000 Pilger erwarteten ihn auf dem Platz, als er an diesem besonderen Tag dazu einlud, das „Geheimnis der Einheit und Gemeinschaft mit der Kirche von Rom“ zu betrachten, „die dazu berufen ist, die Mutter zu sein, die aufmerksam Sorge trägt für den Glauben und den Weg der Christen in aller Welt.“ Das Weihefest der Lateranbasilika wird als Herrnfest in der gesamten katholischen Kirche gefeiert.

Die architektonischen Wunder der Basilika San Giovanni in Laterano als Ausgangspunkt für seine Überlegungen nehmend, lud Leo ein, den Blick zu weiten und das Herz zu einem tieferen spirituellen Blick zu erziehen.

„Oft hindern uns die Schwächen und Fehler der Christen sowie viele Klischees und Vorurteile daran, den Reichtum des Geheimnisses der Kirche zu erkennen. Ihre Heiligkeit beruht nämlich nicht auf unseren Verdiensten, sondern auf ,der nicht mehr zurückgenommenen Hingabe des Herrn‘, die weiterhin ,immer wieder auch und in gerade paradoxer Liebe die schmutzigen Hände der Menschen wählt‘“, so Papst Leo mit einem Zitat aus der Einführung in das Christentum von Joseph Ratzinger/Benedikt XIV..

Christus, die Tür, die uns zum Vater führt

Die Lateranbasilika sei nicht nur „ein Bauwerk von außerordentlichem historischem, künstlerischem und religiösem Wert“, sondern auch „das Antriebszentrum des Glaubens“, welcher den Aposteln anvertraut und „über die Geschichte hinweg“ weitergegeben wurde, so der Papst in seiner Predigt. Insbesondere hatte er dabei das Mittelschiff im Blick, das „die zwölf großen Statuen der Apostel beherbergt, der ersten Jünger Christi und Zeugen des Evangeliums“.

Dies führe zu einer „geistlichen Sichtweise“, mit der man über das äußere Erscheinungsbild hinausgehen könne, „um im Geheimnis der Kirche weit mehr als nur einen Ort, einen physischen Raum, ein Gebäude aus Steinen zu erkennen“, führt Papst Leo seine Überlegung weiter. Schließlich sei letztlich der „gestorbene und auferstandene Christus das wahre Heiligtum Gottes“:

„Er ist der einzige Mittler des Heils, der einzige Erlöser, derjenige, der sich mit unserem Menschsein verbindet und uns mit seiner Liebe verwandelt, und so die Tür darstellt (vgl. Joh 10,9), die sich für uns öffnet und uns zum Vater führt.“

Lebendige Steine

Mit Christus vereint, werden die Christen zu „lebendigen Steinen“, die berufen sind, das Wort des Lebens zu bezeugen und zu verkünden.

„Wir sind die Kirche Christi, sein Leib, seine Glieder, die berufen sind, sein Evangelium der Barmherzigkeit, des Trostes und des Friedens in der Welt zu verbreiten, durch jenen geistlichen Gottesdienst, der vor allem in unserem Lebenszeugnis zum Ausdruck kommen muss.“

Es gelte, unseren Weg in der Freude zu gehen, „das heilige Volk zu sein, das Gott sich erwählt hat“, so Papst Leo abschließend. Vn 9

 

 

 

 

Sechs Monate mit Leo: Zeichen des Friedens für eine von Hass verwundete Welt

 

Es gibt einen roten Faden, der das Lehramt des neuen Papstes durchzieht, der ein Modell christlicher Gemeinschaft vorgeschlagen hat, in dem man Gemeinschaft lebt – missionarisch und deshalb fähig, allen zu dienen, angefangen bei den Letzten –, engagiert im Fördern von Dialog und Frieden. Eine Kirche, die sich nicht an die Mächtigen „anlehnt“ und die Mission nicht mit religiösem Marketing verwechselt, sondern die weiß, Sauerteig zu sein, weil sie das Licht eines Anderen reflektiert. Andrea Tornielli (Chefredakteur) - Vatikanstadt

Seit jenem Nachmittag des 8. Mai sind sechs Monate vergangen, als der neue Bischof von Rom, erster US-Papst und Augustiner, von der Zentralloggia des Petersdomes erschien. Es gibt einen roten Faden, der sein Lehramt durchzieht, und dieser ist der einer Kirche als Zeichen von Einheit und Gemeinschaft, die zu Gärung für eine versöhnte Welt werden soll angesichts von Kriegen, Hass und Gewalt. Es lohnt sich, einige Meilensteine dieses Lehramts nachzuzeichnen, die zeigen, wie die Verkündigung des Wesentlichen des Glaubens niemals losgelöst ist von der Zeugnisgabe der Nächstenliebe, vom konkreten Einsatz für die Letzten und vom Bau einer gerechteren Gesellschaft. Schon in seinen ersten Worten, ausgesprochen im Gruß unmittelbar nach der Wahl: „Friede sei mit euch allen! (…) Das ist der Friede des auferstandenen Christus, ein entwaffneter und entwaffnender Friede, demütig und beharrlich. Er kommt von Gott, Gott, der uns alle bedingungslos liebt. (…) Wir müssen gemeinsam suchen, wie wir eine missionarische Kirche sein können, eine Kirche, die Brücken baut, den Dialog, immer offen aufzunehmen.“ In der Predigt der Messe zur Eröffnung des Pontifikats am 18. Mai 2025 sagte er: „eine Kirche … vereint, Zeichen der Einheit und der Gemeinschaft, die zu Gärung für eine versöhnte Welt wird. In unserer Zeit sehen wir noch zu viel Zwietracht, zu viele Wunden verursacht durch Hass, Gewalt, Vorurteile, Angst vor dem Anderen, durch ein wirtschaftliches Paradigma, das die Ressourcen der Erde ausbeutet und die Ärmsten an den Rand drängt. Und wir wollen, in diesem Teig, ein kleiner Sauerteig der Einheit, der Gemeinschaft, der Geschwisterlichkeit sein.“

Im Herzen der Mission: Verschwinden, damit Christus bleibt

Am Tag nach der Wahl, bei der ersten Feier mit den Kardinälen in der Sixtinischen Kapelle, rief Leo XIV. auf zu einem „unverzichtbaren Engagement für jeden, der Autorität im Dienst der Kirche ausübt: verschwinden, damit Christus bleibt, sich klein machen, damit Er erkannt und verherrlicht werde, sich ganz einsetzen, damit niemand die Gelegenheit versäume, Ihn kennenzulernen und zu lieben.“ In der Predigt vom 18. Mai sprach der Papst von „Liebe und Einheit“ als die beiden Dimensionen, die Jesus Petrus anvertraut hat, und erklärte, dass diese Aufgabe nur möglich sei, weil Petrus „in seinem Leben die unendliche und bedingungslose Liebe Gottes erfahren hat, selbst in der Stunde des Versagens und der Verleugnung“. Denn, wie er zu den Jugendlichen sagte, die sich am Abend des 2. August in Tor Vergata versammelten: „Am Ursprung von uns selbst stand keine unsere Entscheidung, sondern eine Liebe, die uns gewollt hat.“ Diese Liebe geht uns voraus, wie der Papst in der Katechese bei der Audienz am Mittwoch, dem 20. August erklärte, im Gespräch über Judas, der bei der Letzten Abendmahl Jesus das Brot reicht: „Jesus setzt seine Liebe fort und bis zum Ende (…) Denn er weiß, dass die wahre Vergebung nicht auf die Reue wartet, sondern sich zuerst schenkt, als ein freies Geschenk, noch ehe sie angenommen wird.“

Die Mission der Kirche ist, diese Liebe zu bezeugen. Um dies zu tun, erklärte Leo XIV. am 7. Juni 2025 während der Pfingstwache: „Es bedarf keiner mächtigen Unterstützer, keine weltlichen Kompromisse, keine emotionalen Strategien. Evangelisierung ist Werk Gottes und, wenn sie manchmal durch unsere Personen hindurchgeht, dann wegen der Bindungen, die möglich macht.“ Der Kirche brauche es keine Marketing-Strategien, denn Evangelisierung ist in der Tat Gott, der wirkt. Grundlegend für die Mission sei Einheit in der Vielfalt, also gelebte Gemeinschaft. Es sei ein Glaube, wie er am Sonntag, dem 5. Oktober 2025 beim Jubiläum der Weltmission verkündete, der „sich nicht mit den Mitteln der Macht und auf außerordentliche Weise aufzwingt (…) Es ist eine Errettung, die sich realisiert, wenn wir uns persönlich einsetzen und uns kümmern, mit der Mitgefühl des Evangeliums, um das Leid unseres Nächsten“. Es sei ein Glaube, der andere nicht richte, der uns nicht glaubt „perfekt“ zu sein mache, auch weil, wie er beim Angelus am Sonntag, dem 24. August erklärte, Jesus „die Sicherheit der Gläubigen“ herausfordere: „Er nämlich sagt uns, dass es nicht genügt, den Glauben mit Worten zu bekennen, mit Ihm Mahl zu halten und das Evangelium gut zu kennen. Unser Glaube ist authentisch, wenn er unser ganzes Leben umarmt, wenn er zu einem Kriterium für unsere Entscheidungen wird, wenn er uns zu Frauen und Männern macht, die sich im Guten einsetzen und im Liebe riskieren, so wie es Jesus getan hat.“

Frieden bezeugen

Nachdem er dies schon in jenem ersten Gruß am Tag der Wahl getan hatte, sprach Leo XIV. sehr oft vom Frieden und lud die Christen ein, ihn konkret zu bezeugen: „Gewaltlosigkeit als Methode und als Stil muss unsere Entscheidungen, unsere Beziehungen, unsere Handlungen kennzeichnen“, sagte er am 30. Mai zu Bewegungen und Verbänden der „Arena des Friedens“. Zugleich erhob der Nachfolger Petri mehrfach seine Stimme gegen die Aufrüstung, wie er es am Ende der Audienz am 18. Juni tat: „Wir dürfen uns nicht an den Krieg gewöhnen! Im Gegenteil, man muss den Reiz der mächtigen und hochentwickelten Waffen als Versuchung zurückweisen.“ Am 26. Juni empfing Leo XIV. die Teilnehmenden der ROACO, der Versammlung der Werke zur Hilfe für die osteuropäischen Kirchen, und sagte: „Wie kann man glauben, nach Jahrhunderten Geschichte, dass kriegerische Handlungen Frieden bringen und nicht gegen jene zurückschlagen, die sie geführt haben? (…) Wie kann man die Friedenssehnsucht der Völker weiter verraten durch falsche Propaganda der Aufrüstung, in der vergeblichen Illusion, dass Überlegenheit die Probleme löst anstatt Hass und Rache zu nähren? Die Menschen werden zunehmend weniger unwissend über die Menge an Geld, die in die Taschen der Händler des Todes fließt und mit denen man Krankenhäuser und Schulen bauen könnte; stattdessen werden jene zerstört, die bereits errichtet sind!“

Der Frieden-Aufruf des Bischofs von Rom betrifft sowohl die Regierungsverantwortlichen der Nationen, damit sie den Reichtum nicht „gegen den Menschen wandeln, ihn in Waffen verwandeln, die die Völker zerstören, und in Monopole, die die Arbeiter erniedrigen“ (Predigt vom Sonntag, dem 21. September in der Kirche Sankt Anna im Vatikan), als auch jeden Einzelnen von uns, denn der Aufruf Jesu lautet, die Hand zu entwaffnen – aber zuerst und vor allem das Herz. Wie Leo XIV. am Ende der Marien-Wache für den Frieden am Samstag, dem 11. Oktober 2025 erklärte: „‘Steck dein Schwert weg’ ist ein Wort, das sich an die Mächtigen der Welt richtet, an jene, die über das Schicksal der Völker bestimmen: habt den Mut zur Entwaffnung! Und zugleich richtet es sich an jeden von uns, damit wir uns immer mehr bewusst werden, dass wir für keine Idee, keinen Glauben, keine Politik töten dürfen. Was vor allem entwaffnet werden muss, ist das Herz, denn wenn in uns kein Frieden ist, werden wir keinen Frieden geben.“

Die Liebe zu den Armen

In seiner ersten apostolischen Ermahnung, veröffentlicht am 9. Oktober, erklärte Papst Leo, dass wir, wenn wir denen helfen, die leiden, „uns nicht im Horizont der Wohltätigkeit befinden, sondern der Offenbarung: der Kontakt mit denen, die keine Macht und Größe haben, ist eine grundlegende Art der Begegnung mit dem Herrn der Geschichte“. Die Liebe zu den Armen sei kein „optionaler Weg“, sondern stelle das „Kriterium des wahren Kultes“ dar. Beim Treffen mit den Apostolischen Nuntien am 10. Juni 2025 sagte der Papst zu ihnen: „Ich zähle auf euch, damit in den Ländern, in denen ihr lebt, alle wissen, dass die Kirche stets bereit ist zu allem aus Liebe, dass sie stets an der Seite der Letzten und der Armen steht.“ Und am 13. Juli von Castel Gandolfo forderte er auf, im Beispiel des Guten Samariters nicht „vorüberzugehen“, sondern uns „das Herz durchbohren“ zu lassen von „allen, die im Bösen, im Leiden und in der Armut versinken“, von „so vielen Völkern, die beraubt, geplündert und ausgebeutet sind, Opfer unterdrückender politischer Systeme, einer Wirtschaft, die sie zur Armut zwingt, eines Krieges, der ihre Träume und ihr Leben tötet“. Beim Jubiläum der Gerechtigkeitsarbeiter am 20. September lud der Papst ein, den Blick nicht abzuwenden von der „Realität vieler Länder und Völker, die Hunger und Durst nach Gerechtigkeit haben, weil ihre Lebensbedingungen so ungerecht und unmenschlich sind, dass sie inakzeptabel sind“, und erinnerte daran, dass „der Staat, in dem es keine Gerechtigkeit gibt, kein Staat ist“. Am 23. Oktober 2025 sagte der Nachfolger Petri beim Treffen mit den Volksbewegungen, dass „Ausgrenzung das neue Gesicht der sozialen Ungerechtigkeit ist. Der Abstand zwischen einer ‚kleinen Minderheit‘ – 1 Prozent der Bevölkerung – und der großen Mehrheit hat sich dramatisch vergrößert. (…) Als Bischof in Peru freue ich mich, eine Kirche erfahren zu haben, die die Menschen in ihren Schmerzen, in ihren Freuden, in ihren Kämpfen und Hoffnungen begleitet.“

Die Migranten – unsere Geschwister

Leo XIV. sprach in seiner Predigt zum Jubiläum der Weltmission und der Migranten, am Sonntag, dem 5. Oktober, von der „Geschichte so vieler unserer Brüder, der Migranten“, die „nicht die Kälte der Gleichgültigkeit oder das Stigma der Diskriminierung finden dürfen und dürfen nicht!“ Und in der Ansprache an die Volksbewegungen am 23. Oktober sprach er über das Thema Sicherheit: „Mit dem Missbrauch der verwundbaren Migranten erleben wir nicht die rechtmäßige Ausübung nationaler Souveränität, sondern vielmehr schwere Verbrechen, die vom Staat begangen oder toleriert werden. Es werden zunehmend unmenschlichere Maßnahmen – politisch sogar gefeiert – ergriffen, um diese ‚unerwünschten‘ so zu behandeln, als wären sie Müll und keine Menschen. Der Christentum hingegen bezieht sich auf den Gott der Liebe, der uns alle Brüder werden lässt und von uns verlangt, als Brüder und Schwestern zu leben.“ (vn 8)

 

 

 

 

Papst Leo: Arbeit ist Quelle der Hoffnung und des Lebens

 

Trotz einer leicht erkälteten Stimme hat Papst Leo XIV. an diesem Samstag auf dem Petersplatz seine Katechese vor Tausenden von Gläubigen gehalten, die anlässlich des Jubiläums der Arbeitswelt versammelt waren. Der Papst sprach über die christliche Hoffnung, die in den „Überraschungen Gottes“ verwurzelt ist, und stellte das afrikanische Vorbild des seligen Märtyrers Isidore Bakanja in den Mittelpunkt. Mario Galgano - Vatikanstadt

„Die Kriterien Gottes, der immer bei den Letzten beginnt, sind bereits in Korinth ein ‚Erdbeben‘, das nicht zerstört, sondern die Welt aufrüttelt“, erklärte der Papst in seiner Ansprache. Das Jubiläumsjahr sei ein „Jahr der Gnade“, das die Gläubigen dazu dränge, die Andersartigkeit Gottes anzuerkennen und in ihr reales Leben zu übertragen.

Hoffnung als Zeugnis und die Kraft des Kreuzes

Das katholische Kirchenoberhaupt betonte, dass christliche Hoffnung untrennbar mit dem Zeugnis verbunden sei: „Hoffen heißt bezeugen: bezeugen, dass sich bereits alles verändert hat, dass nichts mehr so ist wie zuvor.“

Papst Leo XIV. sprach sich für gute Arbeitsmöglichkeiten besonders für junge Menschen aus. Arbeit müsse eine Quelle der Hoffnung und des Lebens sein, so der Papst am Samstag auf dem Petersplatz im Vatikan. Dem Einzelnen müsse seine Beschäftigung ermöglichen, seine Kreativität und seine Fähigkeit, Gutes zu tun, zum Ausdruck zu bringen.

Als Beispiel nannte er den seligen Isidore Bakanja (1885-1909), einen Laien aus dem Kongo und Patron der Laien in seinem Land. Bakanja, der als Landarbeiter unter einem skrupellosen europäischen Gutsherrn litt, hielt trotz Misshandlungen und Folter an seinem Glauben fest. Selbst kurz vor seinem Tod durch die Misshandlungen legte Bakanja den Trappistenpatres gegenüber sein Zeugnis ab: Er hege keinen Groll und versprach, für diejenigen zu beten, die ihn so zugerichtet hatten.

„Das, liebe Brüder und Schwestern, ist die Botschaft des Kreuzes. Es ist ein gelebtes Wort, das die Kette des Bösen durchbricht“, führte Papst Leo XIV. aus.

Institutionen und Zivilgesellschaft rief Leo XIV. zu einem gemeinsamen Engagement für stabile und würdevolle Beschäftigungsmöglichkeiten auf. Diese müssten besonders jungen Menschen erlauben, ihre Träume zu verwirklichen und zum Gemeinwohl beizutragen.

Afrika als Vorbild für den Globalen Norden

Der Papst hob hervor, dass oft die alten Kirchen im Globalen Norden von den jungen Kirchen – insbesondere aus Afrika – dieses Zeugnis erhielten. Afrika gebe „viele junge Zeugen des Glaubens“ als Ansporn für die Welt. Die Botschaft des Jubiläums sei, zu bezeugen, dass die Erde dem Himmel gleichen kann, da „die Stärke des Lichts auch inmitten von Schwierigkeiten stärker [wird]“.

Den deutschsprachigen Pilgern, die in großer Zahl anwesend waren, empfahl der Papst die Fürsprache der Gottesmutter: „Vertrauen auch wir uns ihr, der Mutter der Hoffnung, an, damit sie uns helfe, den Willen des Vaters im Himmel zu tun.“

Der Papst äußerte sich im Rahmen einer Jubiläumsaudienz, die während des Heiligen Jahres 2025 an bestimmten Samstagen stattfindet. An diesem 8. November wurde im Vatikan zudem die Sonderveranstaltung für die Arbeitswelt begangen. (vn 8)

 

 

 

 

 

Italien: Fehler-Analyse in Bozen vorgestellt

 

Im Fall der nach massiver öffentlicher Kritik wieder zurückgenommenen Versetzung eines Südtiroler Priesters sind am Freitag in Bozen die Ergebnisse einer externen Analyse vorgestellt worden.

Der von der Diözese Bozen-Brixen mit der Untersuchung des Vorgangs beauftragte Rechtsanwalt Ulrich Wastl von der Münchner Kanzlei Westpfahl Spilker Wastl (WSW) sprach dabei von einem „systemischen Totalversagen“ in entscheidenden Kommunikations- und Entscheidungsstrukturen. Bischof Ivo Muser kündigte bei der eigens organisierten Fachtagung „Mut zur Umsetzung“ Konsequenzen an. Unter anderem soll eine organisatorische Neuordnung des Bereichs Aufarbeitung und Prävention in der Diözese stattfinden und Betroffene besser eingebunden werden. Auch eine unabhängige Interventionsstelle wird eingerichtet.

Muser hatte im September einen Priester, der im Anfang 2025 vorgestellten Gutachten zum Umgang mit Missbrauchsfällen in der Diözese Bozen-Brixen seit Mitte der 1960er Jahre belastet wurde, auf eine andere Seelsorgestelle versetzt. Eine Fachgruppe hatte den geplanten Einsatz des Priesters laut Diözese vorab geprüft und die Entscheidung, den Geistlichen weiterhin in der Seelsorge zu belassen, unter Auflagen für vertretbar gehalten. Nach heftiger Kritik nahm Muser die Entscheidung zurück und sprach von einer „Fehlentscheidung“. Der Geistliche war 2009 wegen Verjährung strafrechtlich freigesprochen worden. Zivilrechtlich erhielt die betroffene Familie später eine Entschädigung in sechsstelliger Höhe.

„Entscheidungen wurden ohne klare Zuständigkeiten, ohne ausreichende Dokumentation und ohne die Perspektive der Betroffenen getroffen“

„Entscheidungen wurden ohne klare Zuständigkeiten, ohne ausreichende Dokumentation und ohne die Perspektive der Betroffenen getroffen“, sagte der im Anschluss mit einer Fehleranalyse beauftragte Rechtsanwalt Wastl am Freitag. Es habe „keine einzelne Person versagt, sondern das System als Ganzes“, so der Jurist. Hauptziel der Untersuchung sei nicht die Suche nach Schuldigen, sondern das Lernen aus Fehlern. „Systemisches Versagen kann zur Chance werden, wenn Verantwortung und Transparenz neu geordnet werden“, sagte Wastl.

Künftig unabhängige Interventionsstelle

Bischof Muser bekannte erneut, dass die Diözese in dem Fall strukturelle Fehler gemacht habe. „Es war keine böse Absicht, aber es war ein Versagen. Wir wollen daraus lernen und wir übernehmen Verantwortung“, sagte er. Neben der Neuordnung des Aufarbeitungs-Bereichs unter klar definierten Zuständigkeiten und einer lückenlosen Dokumentation aller relevanten Entscheidungen und Abläufe kündigte er an, dass so schnell wie möglich eine unabhängige Interventionsstelle als Kontroll- und Vertrauensinstanz eingerichtet werde.

Man wolle Betroffenen gerecht werden und alles tun, um künftige Betroffene zu schützen, fügte Muser hinzu. „Es geht auch darum, die Betroffenen viel mehr einzubeziehen und abzuwägen, wie wirken unsere Entscheidungen auf Betroffene, auf Menschen, die schweres Leid ertragen mussten“, sagte der Bischof im Interview mit RAI Südtirol am Rande der Tagung.

„Wie wächst Vertrauen? Nicht dadurch, dass man vorgibt, perfekt zu sein“

Peter Beer vom Safeguarding-Institut der Päpstlichen Gregoriana-Universität in Rom sprach bei der Tagung über den Umgang mit Spannungen im Prozess der Aufarbeitung. „Der Bischof hat nach der Vorstellung des ersten Berichts über die Missbrauchsfälle in der Diözese eine neue Fehlerkultur angekündigt, und er löst heute dieses Versprechen ein. Die heutige Tagung mit dem Bericht über mannigfaches Versagen ist der Ernstfall dieser Fehlerkultur“, sagte Beer. Zum Thema Verantwortung, Leitung und Kirchenmitglieder sagte er: „Wie wächst Vertrauen? Nicht dadurch, dass man vorgibt, perfekt zu sein, sondern indem man anerkennt, es nicht zu sein, darüber spricht und gemeinsam Verbesserungen, Veränderungen und Weiterentwicklungen angeht. Genau das passiert hier.“

Vorreiter unter Italiens Diözesen

Als erste Diözese Italiens hatte die Diözese Bozen-Brixen zu Jahresbeginn eine den Zeitraum von 1964 bis 2023 umfassende unabhängige Untersuchung zu Missbrauchsfällen in ihrem Bereich vorgelegt, die auch Empfehlungen zur Stärkung der Belange der Betroffenen, zum Umgang mit Beschuldigten und Tätern und präventiven Maßnahmen enthält. Das mehr als 600 Seiten umfassende WSW-Gutachten ist Teil des mehrjährigen Projekts „Mut zum Hinsehen“, bei dem Missbrauchsfälle im kirchlichen Bereich und ihr Umgang damit aufgearbeitet sowie die Prävention von Missbrauch in der Südtiroler Diözese weiter verbessert werden soll. Eine Ombudsstelle der Diözese für Missbrauchsfälle gibt es in der Südtiroler Diözese seit dem Jahr 2010. (kap 7)

 

 

 

 

 

Parolin auf Klimagipfel: „Die Zeit wird knapp“

 

Am Donnerstag hat in Belém im Nordosten Brasiliens ein Gipfel von Staats- und Regierungschefs im Vorfeld der COP30 begonnen. Der Heilige Stuhl, der zu den 143 vor Ort vertretenen Delegationen gehört, wird von Kardinalstaatssekretär Pietro Parolin vertreten. Silvonei José Protz –Belém

In einem Interview mit den Medien des Heiligen Stuhls sagte Parolin: „Die Zeit wird langsam knapp“. Die bereits bei früheren COP-Konferenzen zum Klimawandel eingegangenen Verpflichtungen müssten dringend „umgesetzt“ und „konkretisiert“ werden. Die COP30, 30. Klimakonferenz der Vereinten Nationen, beginnt am 10. November in der Hauptstadt des Bundesstaates Pará am Amazonas.

In dem Interview weist der Kardinal darauf hin, dass das Phänomen des Klimawandels heute „mehr Vertriebene“ verursache als Kriege oder Konflikte. Aus seiner Sicht könnten Überlegungen und Maßnahmen zum Klimawandel eine Gelegenheit sein, den Multilateralismus wiederzubeleben, der seit Jahren „eine schwere Krise“ durchlebe.

Interview

Der Papst ist besorgt über die Folgen des Klimawandels für das Leben von Millionen von Menschen, insbesondere der Ärmsten. Was sollten die Prioritäten der lokalen Kirchen in den verschiedenen Regionen der Welt sein?

„Tatsächlich ist dies ein Phänomen, das immer mehr Menschen betrifft, natürlich im negativen Sinne, und zwar vor allem die Schwächsten. In den letzten Monaten hatten wir Treffen mit den Behörden der Pazifikinseln, wo wir mit der tragischen Realität eines bevorstehenden Untergangs konfrontiert wurden: Wir können uns vorstellen, was das für die Bevölkerung bedeuten kann, nicht wahr? Und nach dem, was ich gelesen habe, ist die Zahl der Vertriebenen heute aufgrund des Klimawandels höher als aufgrund der Konflikte, die weltweit stattfinden. Es handelt sich also wirklich um eine Notsituation.

„Ich glaube, dass es vor allem wichtig ist, die ethischen Dimensionen dieses Phänomens hervorzuheben“

Die Kirche hat sich auf Ebene des Heiligen Stuhls engagiert. Wir haben an den großen Beitrag erinnert, den Papst Franziskus mit Laudato si' und dann mit Laudate Deum geleistet hat. Und natürlich stehen auch die Ortskirchen hinter diesem Engagement. Ich habe gehört, dass sich auch anlässlich der Cop30 die Kirche in Brasilien stark dafür einsetzt, dieses Thema auf die Ebene der verschiedenen Gemeinschaften und auch der Menschen zu bringen. Und dann gab es eine Zusammenarbeit zwischen den Versammlungen der (Bischofs-)Konferenzen verschiedener Kontinente, es gibt also eine Bewegung.

Ich glaube, dass es vor allem wichtig ist, die ethischen Dimensionen dieses Phänomens hervorzuheben. Natürlich können wir keine technischen Antworten geben, da uns die Mittel und Kompetenzen dafür fehlen, auch wenn unsere Experten im Staatssekretariat und in anderen Dikasterien diese Aspekte und Dimensionen verfolgen. Sie nehmen auch am Dialog und an den laufenden Verhandlungen zu diesen Aspekten teil. Ich glaube jedoch, dass der wesentliche Beitrag des Heiligen Stuhls und der Ortskirchen darin besteht, das Bewusstsein zu schärfen und eine ethische Antwort auf das Problem des (Klimawandels) zu geben. Dies erfordert natürlich auch einen großen Aufwand an Ausbildung und Erziehung.“

„Der Klimawandel bietet wirklich eine Gelegenheit, den Multilateralismus wiederzubeleben, der in den letzten Jahren eine große Krise durchgemacht hat“

Sie haben viele Weltpolitiker getroffen. Was wird man von der COP30 als konkrete Maßnahme auf Regierungsebene mit nach Hause nehmen können?

„Mich hat heute Morgen beeindruckt, wie ein Teilnehmer sagte, dass man auch von der COP30 keine großen Ankündigungen erwarten sollte, sondern vielmehr das Engagement und die Entschlossenheit der heute bei der Eröffnung anwesenden oder vertretenen Staats- und Regierungschefs, die bereits eingegangenen Verpflichtungen umzusetzen – was die Reduzierung der CO2-Emissionen, die Hilfe für die am stärksten gefährdeten Länder, die Widerstandsfähigkeit usw. betrifft. Es gibt also viele Bereiche, und ich glaube, dass diese Verpflichtungen konkretisiert werden müssen.

Und dann würde ich noch auf andere grundlegende Dinge hinweisen: Das Erste ist, dass die Zeit knapp geworden ist. Es besteht also Dringlichkeit, diese Dringlichkeit muss vorhanden sein. Dann auch die Dimension des Multilateralismus: Der Klimawandel bietet wirklich eine Gelegenheit, den Multilateralismus wiederzubeleben, der in den letzten Jahren eine große Krise durchgemacht hat. Ich glaube also, dass dies die Richtungen sind, in die wir gehen und arbeiten müssen.“ (vn 7)

 

 

 

 

 

Papst ermutigt kulturelle Vielfalt des Christentums in Europa

 

Papst Leo XIV. hat im Vatikan Vertreter europäischer Kirchen empfangen und zu einer offeneren Haltung gegenüber kultureller Vielfalt aufgerufen. Bei der Audienz an diesem Donnerstag, dem 6. November, würdigte er die neu überarbeitete „Charta Oecumenica“. Das Dokument soll die Zusammenarbeit der christlichen Kirchen in Europa neu stärken.

Die Überarbeitung der Charta, die erstmals 2001 veröffentlicht wurde, erfolgte seit 2022 durch eine gemeinsame Arbeitsgruppe. Unterzeichnet wurde der neue Text am 5. November in der Kirche des Martyriums des heiligen Paulus an der römischen Abtei Tre Fontane. Die Unterzeichner erinnerten daran, dass das Dokument vor 25 Jahren „ein Meilenstein der europäischen ökumenischen Zusammenarbeit“ gewesen sei.

Leo XIV. betonte in seiner Ansprache, dass die Herausforderungen für Christen in Europa im Wandel stehen. Er forderte, „gemeinsame Sorgen“ beim Verkünden des Evangeliums zu teilen.

Christengemeinden in Europa immer mehr in der Minderheit

Laut dem Papst entwickelt sich das Christentum in Europa mit zwei Geschwindigkeiten: Auf der einen Seite stehen „positive und ermutigende Zeichen“, auf der anderen Seite sehen sich viele christliche Gemeinschaften „immer mehr in der Minderheit“. Auf dem Kontinent gebe es zudem „neue Generationen und Neuankömmlinge“, die ihre persönlichen Erfahrungen und „sehr unterschiedliche kulturelle Ausdrucksformen“ mitbringen.

Die Kirchen sollten diese Stimmen hören und Beziehungen vertiefen, so der Papst. Inmitten von Gewalt und Kriegen seien „die Gnade, die Barmherzigkeit und der Friede des Herrn wirklich wesentlich“, um das Evangelium in „sich wandelnden Kontexten“ zu verkünden. Die neue Charta wolle helfen, „unsere Geschichte mit den Augen Christi zu betrachten“ und gemeinsame Wege zu erkennen.

„Der Weg der Synodalität, den die katholische Kirche geht, ist und muss ökumenisch sein, so wie der ökumenische Weg synodal ist“

Auf das Verhältnis von Synodalität und Ökumene verwies Leo XIV. mit dem Satz von Papst Franziskus: „Der Weg der Synodalität, den die katholische Kirche geht, ist und muss ökumenisch sein, so wie der ökumenische Weg synodal ist.“ Die überarbeitete Charta formuliere dafür eine „gemeinsame Vision“ und unterstreiche die „bleibende Aktualität“ der christlichen Botschaft.

Zum Abschluss verwies Leo XIV. auf seine bevorstehende Reise in die Türkei, an die Orte des Konzils von Nizäa, um dort mit anderen Kirchenführern zu beten. Im laufenden Jubiläumsjahr solle Europa bezeugen: „Jesus Christus ist unsere Hoffnung“ – „der Weg“ und „das letzte Ziel“ des geistlichen Pilgerwegs. (vn 6)

 

 

 

 

 

Stichwort: Charta Oecumenica

 

Die Charta Oecumenica ist eine Selbstverpflichtung der Kirchen in Europa. Sie soll für eine wachsende Zusammenarbeit sorgen. Die Konferenz der Europäischen Kirchen und der Rat der Europäischen Bischofskonferenzen haben diese Grundlage ihrer Zusammenarbeit jetzt aktualisiert.

Es begann in Augsburg: Dort kam es im Jahr 1999 zur Unterzeichnung einer Gemeinsamen Erklärung zur Rechtfertigungslehre, eines zentralen Dokuments für die Annäherung der katholischen Kirche an den Lutherischen Weltbund, welcher aus verschiedenen protestantischen Kirchen zusammengesetzt ist. Die Gemeinsame Erklärung machte deutlich, dass auch jahrhundertealte konfessionelle Differenzen durchaus überwunden werden können. Das öffnete den Weg für weitergehende ökumenische Zusammenarbeit - und zwar nicht nur auf bilateraler, sondern auch auf europäischer Ebene. Die Stoßrichtung der ökumenischen Bewegung führte nahezu zwangsläufig dazu, dass es auch auf europäischer Ebene zu einem gemeinsamen Dokument kommen musste.

„In diesem Sinn nehmen wir diese Charta als gemeinsame Verpflichtung zum Dialog und zur Zusammenarbeit an.“

Somit wurde die Charta Oecumenica zum tragenden Pfeiler für die Zusammenarbeit verschiedenster Kirchen und kirchlicher Gemeinschaften in Europa. Bereits 1997 in Auftrag gegeben, wurde sie 2001 zunächst in deutscher Sprache durch die Spitzenkräfte der Konferenz der Europäischen Kirchen (KEK) und des Rates der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) unterzeichnet. Die Charta enthält keine lehramtlichen Aussagen, sondern versteht sich als pastorale Selbstverpflichtung, welche die Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften entsprechend ihren Möglichkeiten umzusetzen versuchen.

Durch die Unterzeichnung haben sich die Mitgliedskirchen des KEK und des CCEE auf lauter gute Vorsätze verpflichtet: gemeinsam zur Einheit im Glauben zu gelangen, das Evangelium gemeinsam zu verkünden, aufeinander zuzugehen, gemeinsam zu handeln, miteinander zu beten, Dialoge fortzusetzen, Europa mitzugestalten, Frieden zu schaffen, die Schöpfung zu bewahren, die Gemeinschaft mit dem Judentum zu vertiefen und Begegnungen mit dem Islam sowie anderen Religionen und Weltanschauungen zu initiieren. 

An diesem Donnerstag, 5. November 2025, wurde in Rom eine aktualisierte Fassung der Charta Oecumenica unterzeichnet. Das soll für eine neue Rezeption des Grundlagendokuments für die ökumenische Zusammenarbeit sorgen. Die Aktualisierung ist notwendig, da sich „die Situation der Kirchen in der Welt verändert hat“, erläutert die evangelische Theologin Lea Schlenker. „Die Säkularisierung hat unterschiedlich stark zugenommen. Die Selbstverständlichkeit, dass Kirchen eine wichtige Rolle spielen, ist zurückgegangen. Gleichzeitig gibt es eine größere Vielfalt an Kirchen. Das heißt, dass die Gesprächspartner in der Ökumene plötzlich andere sind und an anderer Position sind. Das verändert einiges.”

Außerdem wird durch die neue Rezeption die Aktualität des Dokuments unterstrichen: Es ist wichtiger denn je, ökumenisch gemeinsam zu handeln. Mit der Unterzeichnung wird „den Kirchen Europas Mut in einer Zeit, in der es an Polarisierungen, Spaltungen, Kriegen und Angst nicht fehlt“, zugesprochen, formulierte der Augsburger Bischof Bertram Meier am Mittwoch.

„Auf unserem europäischen Kontinent zwischen Atlantik und Ural, zwischen Nordkap und Mittelmeer, der heute mehr denn je durch eine plurale Kultur geprägt wird, wollen wir mit dem Evangelium für die Würde der menschlichen Person als Gottes Ebenbild eintreten und als Kirchen gemeinsam dazu beitragen, Völker und Kulturen zu versöhnen.“

Trotz der Aktualisierung der Charta Oecumenica bleiben Herausforderungen in verschiedenen theologischen Bereichen bestehen. So ist das Verständnis von Kirche, dem Menschen oder dem Einheitsbegriff nicht bei allen unterzeichnenden Kirchen oder kirchlichen Gemeinschaften identisch. Bischof Meier sagt dazu: „In einigen Fällen, wie in der orthodoxen Kirchenfamilie und in der anglikanischen Welt, sind schmerzliche Spannungen und Spaltungen zu beobachten. Wie kann man vor diesem Hintergrund dennoch einer möglichst breiten und genauen Rezeption der Charta den Weg bahnen? Sicherlich nicht, indem man die ekklesiologische oder anthropologische Debatte ausklammert, sondern vielmehr, indem man sie intensiviert.“ (domradio/dbk 5)

 

 

 

 

 

Maria-Dokument: „Wichtige Klärungen auch für Ökumene“

 

Die am Dienstag veröffentlichte „Lehrmäßige Note“ aus dem Vatikan über die Bedeutung Marias („Mater populi fidelis“) bringt wichtige Klärungen insbesondere im Blick auf die Ökumene, meint der Wiener Dogmatiker Jan-Heiner Tück.

Er äußerte sich in einem Beitrag für das Portal „communio.de“. Schließlich sei gerade von protestantischer Seite immer wieder der Verdacht erhoben worden, „die katholische Kirche würde Maria eine Stellung zuschreiben, die das Bekenntnis zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi antastet“. Dagegen schärfe das Dokument „zu Recht den Primat der Christologie vor der Mariologie ein“: „Maria ist, was sie ist, von Christus her und auf ihn hin“, so Tück.

Eine Präzisierung und ökumenische Klärung nehme das Dokument auch im zweiten Teil vor, in dem es um die Frage der Mittlerschaft Mariens geht. Tück: „'Teilnehmende Mittlerschaft' und 'mütterliche Fürsprache' Mariens ja, aber eine Konkurrenz oder gar Ergänzung zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi, nein! Das ist gerade im Blick auf das ökumenische Gespräch mit den aus der Reformation hervorgegangenen Kirchen ein wichtiges Signal.“

„Konkurrenz oder gar Ergänzung zur einzigen Mittlerschaft Jesu Christi, nein! Das ist gerade im Blick auf das ökumenische Gespräch mit den aus der Reformation hervorgegangenen Kirchen ein wichtiges Signal“

Die doppelte Provokation

Wünschenswert wäre laut Tück gewesen, wenn in dem Dokument noch stärker auf die Verortung Mariens und Jesu in der jüdischen Welt hingewiesen worden wäre. Dies geschehe zwar ansatzweise mit dem Titel „Maria von Nazareth“, jedoch wäre gerade angesichts des jüngsten 60-Jahr-Jubiläums von „Nostra aetate“ und der Kehrtwende im Verhältnis der katholischen Kirche zum Judentum eine klarere Stellungnahme gut gewesen, „dass Maria dem 'semantischen Universum Israels' entstammt, dass sie die Psalmen gebetet und die Tora gekannt hat, dass die virgo israelitica (Augustinus) die liturgischen Feste Israels gefeiert und so ihren Sohn entsprechend sozialisiert hat“.

Schließlich hätte man laut Tück auch stärker herausstreichen können, „dass das Bekenntnis zur jungfräulichen Mutterschaft Mariens eine doppelte Provokation enthält. Erstens den skandalösen Realismus, dass Gott in der Geschichte durch die jungfräuliche Geburt einen heilsgeschichtlichen Neuanfang gesetzt hat. Zweitens die mit der Mutterschaft verbundene Provokation der Inkarnation des göttlichen Wortes.“

Jesus habe keinen „Scheinleib“ gehabt, sondern sei ganz Mensch geworden - ein wichtiges Statement „gegen technognostische Strömungen, die die leibliche Konstitution des Menschen abwerten, wenn sie eine Unsterblichkeit als digitales oder sonstwie technisch erzeugtes Double verheißen“. Die Geburt Jesu durch Maria erinnere hingegen daran, „dass die christliche Erlösungshoffnung die leibliche Dimension des Menschseins einschließt“. (kap/communio 5)

 

 

 

 

 

 

Papst: Die Auferstehung Christi, Hoffnung im Dunkel der Welt

 

Ostern ist nicht nur ein Fest im Kirchenjahr. Es ist eine Quelle der Hoffnung und der Freude, die dem Menschen Orientierung gibt und seine Sehnsucht nach Erfüllung und Glück stillt. Bei seiner Generalaudienz an diesem Mittwoch erinnerte Papst Leo XIV. daran, dass die christliche Botschaft der Auferstehung gerade in einer von Krisen und Leid geprägten Zeit wie der unseren von ungebrochener Aktualität ist. Silvia Kritzenberger – Vatikanstadt

In der Fortsetzung seiner aktuellen Katechesenreihe „Jesus Christus, unsere Hoffnung“ dachte der Papst diesen Mittwoch darüber nach, wie uns die Auferstehung Christi im Alltag Hoffnung geben kann.

Ostern sei kein Ereignis der Vergangenheit, sondern das Herzstück des christlichen Glaubens und die Mitte des liturgischen Lebens, betonte der Pontifex. Die Verheißung Christi „Ich bin mit euch alle Tage bis zum Ende der Welt“ (Mt 28,20) erfülle sich bei jeder heiligen Messe, weshalb wir „ohne Sentimentalismus sagen können, dass jeder Tag Ostern ist.“

Die Sehnsucht nach Ewigkeit

„Wir machen Stunde um Stunde die verschiedensten Erfahrungen: Leid und Schmerz, Traurigkeit, verflochten mit Freude, Staunen, Gelassenheit. Aber in jeder Situation sehnt sich das menschliche Herz nach Erfüllung, nach tiefem Glück,“ stellte der Papst fest. Und genau in dieser Spannung zwischen unserer Begrenztheit und der Sehnsucht nach Ewigkeit entfalte die Osterbotschaft ihre ganze Kraft:

„Die Osterbotschaft ist die schönste, freudigste und erschütterndste Nachricht, die jemals in der Geschichte verkündet wurde. Sie ist das „Evangelium“ schlechthin, das den Sieg der Liebe über die Sünde und des Lebens über den Tod bezeugt, und deshalb ist sie die einzige Botschaft, die das Verlangen nach Sinn stillen kann, das unseren Geist und unser Herz umtreibt. Der Mensch wird von einer inneren Bewegung angetrieben, die ihn zu einem Jenseits hinzieht, von dem er sich immer angezogen fühlt. Keine kontingente Realität kann ihn befriedigen. Wir streben nach Unendlichkeit und Ewigkeit. Das steht im Gegensatz zur Erfahrung des Todes, der durch Leiden, Verluste und Misserfolge vorweggenommen wird. Dem Tod „kann kein lebender Mensch entfliehen“, zitierte Papst Leo den heiligen Franz von Assisi.

Die Osterbotschaft: die schönste, freudigste und erschütterndste Nachricht, die jemals in der Geschichte verkündet wurde

Die Auferstehung verändere nicht die Realität des Kreuzes – sie verwandele sie, gab der Papst zu bedenken. In einer Welt voller persönlicher und globaler Krisen bleibe Ostern ein Ruf zur Hoffnung, die den „Kreuzweg zu einem Weg des Lichts“ mache.

Wörtlich sagte der Pontifex: „Ostern beseitigt das Kreuz nicht, aber es besiegt es in dem wunderbaren Duell, das die Menschheitsgeschichte verändert hat. Auch unsere Zeit, die geprägt ist von zahlreichen Kreuzen, sehnt sich nach der Morgendämmerung der österlichen Hoffnung. Die Auferstehung Christi ist keine bloße Idee oder Theorie – sie ist das Ereignis, das unserem Glauben zugrunde liegt. Er, der Auferstandene, erinnert uns durch den Heiligen Geist auch weiter daran, damit wir seine Zeugen sein können, selbst dort, wo die menschliche Geschichte am Horizont keinen Lichtblick sieht.“

Zeugen einer Hoffnung sein, „die nicht enttäuscht“

Ostern bedeute also, sich vom auferstandenen Christus verwandeln zu lassen – und dadurch selbst Zeugen einer Hoffnung zu werden, „die nicht enttäuscht“.

„Wirklich an Ostern zu glauben, durch den Weg des Alltags, bedeutet, unser Leben zu revolutionieren und verwandelt zu werden, damit wir die Welt mit der sanften und mutigen Kraft der christlichen Hoffnung verändern können,“ schließt die Katechese, die Papst Leo an diesem Mittwoch auf dem Petersplatz gehalten hat. (vn 5)

 

 

 

 

 

Charta Oecumenica: Ökumenisches Grundlagenwerk wird aktualisiert unterschrieben

 

Bischof Meier: Ökumene dient der ganzen Kirche

1997 beschlossen die Konferenz Europäischer Kirchen (KEK) und der Rat der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) Leitlinien für die ökumenische Zusammenarbeit und das Zusammenwachsen der christlichen Kirchen zu entwerfen. Dieser Text, die Charta Oecumenica, wurde 2001 unterschrieben und veröffentlicht. Seitdem haben sich weitere ökumenische Verbände der Charta angeschlossen, die nach wie vor ein ökumenisches Grundlagendokument unserer Zeit ist. Anlässlich einer gemeinsamen Tagung von KEK und CCEE in Rom wird die Charta Oecumenica morgen (5. November 2025) in einer aktualisierten Fassung unterschrieben.

Bereits heute machte Bischof Dr. Bertram Meier (Augsburg), der dem Gemeinsamen Komitee von CCEE und KEK angehört, auf die Bedeutung der Charta aufmerksam. Bei einem Vortrag auf der Konferenz von KEK und CCEE, die unter dem Leitwort „Fruits of the Spirit: Ecumenical Guidelines for Journeying Together“ steht, betonte er den bleibenden Wert dieses ökumenischen Dokumentes: „Die Charta Oecumenica ist nichts weniger als die praxisorientierte Verdichtung der Fortschritte bi- und multilateraler interkonfessioneller Dialoge auf europäischer Ebene und darüber hinaus. Sie wollte und will breit und gründlich rezipiert werden. Doch letztendlich geht es dabei nicht um eine ‚von außen‘ diktierte Direktive, sondern um Selbstverpflichtungen, die sich aus der Zusammenarbeit der europäischen Kirchen ergeben. Auch wenn die Charta selbst die ‚ökumenische Rezeption‘ als Konzept nicht ausführlich erarbeitet, ist dieser Begriff für das ganze Projekt der ‚Leitlinien für die wachsende Zusammenarbeit zwischen den Kirchen in Europa‘ konstitutiv“, so Bischof Meier.

Dabei erinnerte er daran, dass die Kirchen aufgerufen seien, „wohlwollend, aber doch kritisch Gaben interkonfessioneller Zusammenarbeit zu empfangen. Empfangen als Haltung prägt das Christentum bis zu seinen geschichtlichen Anfängen und seinem innersten theologischen Kern. (…) Auch wenn die Signatarkirchen der Charta Oecumenica unterschiedliche Vorstellungen über Kriterien, Strukturen und Werkzeuge ökumenischer Rezeption haben, sind sie sich grundsätzlich darüber einig, dass es nicht primär um einmalige Ereignisse, sondern um langfristige Prozesse geht. Ohne die Bedeutung von jenen Momenten zu unterschätzen, wo Einheit, Übereinstimmung und Akzeptanz besonders aussagekräftig und sichtbar werden (einen solchen werden wir wohl mit der Unterzeichnung erleben), ist ökumenische Rezeption vor allem eine dynamische, facettenreiche und sich immer weiter entwickelnde Realität“, betonte Bischof Meier. Er erinnerte in seinem Vortrag auch an den Sinn der Ökumene: „Die Ökumene ist nicht einfach selbstreferenzielle Beschäftigung von Experten, sondern Dienst zum Wohl des ganzen Leibes Christi.“ Deshalb sei eine weitere Rezeption der Charta notwendig: „Gerade weil wir eine fruchtbare Zusammenarbeit auf pastoraler Ebene wollen, müssen wir mutig und innovativ diskutieren: Auch hier dürfen Praxis und Theorie keinen Gegensatz bilden.“

Bischof Meier warb dafür, die demografische, geschichtliche, kulturelle und kontextuelle Vielfalt Europas anzusehen, die sich auch im Rezeptionsprozess der Charta widerspiegele: „Während in einigen Teilen Europas bestimmte Thesen der Charta von 2001 als zu mutig erschienen, konnten Gläubige aus anderen Kontexten ihre Frustration über die vermeintlich ökumenischen Selbstverständlichkeiten des Dokuments und seinen fehlenden Durchbruchscharakter nicht verbergen. Ähnliche Reaktionen wird auch diese neue Version hervorrufen. Bei einem Rezeptionsprozess auf europäischer Ebene kann es allerdings nicht um einen Geschwindigkeitswettbewerb gehen, sondern es muss ein gemeinsamer und von allen aufnehmbarer Rhythmus gefunden werden. Fruchtbar wäre es, wenn die Kirchen in Europa sensibler für diese Asymmetrien werden, aber sie nicht als frustrierend, sondern vielmehr als kritisch-konstruktive Rückmeldungen wahrnehmen, um langfristig zu einem zukunftsfähigen Miteinander zu gelangen.“ Dbk 4

 

 

 

 

 

Vatikan warnt vor Fehlentwicklungen bei Marienverehrung

 

Der Vatikan will Übertreibungen und Fehlentwicklungen bei der Marienverehrung zurechtstutzen. In einem Dokument, das an diesem Dienstag publiziert wurde, wird der Gebrauch des Titels „Miterlöserin“ in Bezug Maria für „immer unangebracht“ erklärt.

„Dieser Titel birgt die Gefahr in sich, die einzigartige Heilsvermittlung Christi zu verschleiern, und kann daher zu Verwirrung und einem Ungleichgewicht in der Harmonie der christlichen Glaubenswahrheiten führen, denn in keinem anderen (als in Christus) ist das Heil zu finden.“ Das erklärt eine „Lehrmäßige Note zu einigen marianischen Titeln“, die von der obersten Glaubensbehörde des Vatikans (Glaubens-Dikasterium) erstellt und vom neuen Papst Leo XIV. gebilligt wurde.

„Es ist daher notwendig, sich stets an die christliche Überzeugung zu erinnern und sie nicht zu verdunkeln: Es ist fest zu glauben, dass Jesus Christus, der Sohn Gottes, der Herr und der einzige Erlöser ist, der durch seine Menschwerdung, seinen Tod und seine Auferstehung die Heilsgeschichte, die in ihm ihre Fülle und ihren Mittelpunkt findet, zur Vollendung gebracht hat.“

„Der Titel Miterlöserin ist immer unangebracht“

Das Dokument erwähnt, dass mehrere Päpste, darunter Johannes Paul II. (1978-2005), den Titel „Miterlöserin“ verwendet haben, „ohne ihn näher zu erläuern“. Doch Kardinal Joseph Ratzinger, der spätere Papst Benedikt XVI. (2005-13), habe in seiner Zeit als Präfekt der damaligen Glaubenskongregation geurteilt, der Titel „entfernt sich zu weit von der Sprache der Schrift und der Väter und ruft daher Missverständnisse hervor“. Ähnlich äußerte sich dann auch Franziskus (2013-25) bei mehreren Gelegenheiten.

Eher kritisch bewertet das Dokument auch den marianischen Titel „Mittlerin aller Gnaden“. Er sei „in der Offenbarung nicht eindeutig begründet“, heißt es mit einem Zitat von Kardinal Ratzinger, und bringe „Schwierigkeiten für die theologische Reflexion wie auch für die Spiritualität mit sich“. „Unser Heil ist allein das Werk der rettenden Gnade Christi und nicht das eines anderen.“

„Abgeleitete und untergeordnete Teilhabe am Heilsgeschehen“

Das Papier weist Maria eine „abgeleitete und untergeordnete Teilhabe“ am Heilsgeschehen zu. Dabei betont es, dass diese und ähnliche Einschätzungen sich nicht gegen Maria richteten. Die Mutter Jesu sei in ihrem ganzen Sein „auf ihren Herrn ausgerichtet“; wer sie „auf eine Stufe mit dem Sohn Gottes stellt, bliebe deshalb außerhalb der Dynamik, die einem echten marianischen Glauben eigen ist“.

„Besonderes ökumenisches Bemühen“

Eine Mitwirkung Mariens am Heilsgeschehen macht das Dokument aus dem Vatikan nicht bei der „Mitteilung der Gnade selbst“ aus, „sondern in der mütterlichen Fürsprache“. Wer Maria vertrauensvoll anrufe, entferne sich damit „weder von Christus noch vom Evangelium“, weil er „in diesem mütterlichen Bild alle Geheimnisse des Evangeliums lesen“ könne. Positiv wertet das Vatikan-Dokument den marianischen Titel „Mutter der Glaubenden“. 

Präfekt des Glaubens-Dikasteriums ist der argentinische Kardinal Víctor Fernández. Er gibt in seinem Vorwort an, dass die Klarstellung aus seiner Behörde eine Antwort „auf zahlreiche Anfragen und Vorschläge“ sei. Die entsprechenden Fragen seien „in den letzten dreißig Jahren in den verschiedenen Arbeitsbereichen des Dikasteriums wiederholt erörtert“ worden. Dem Leitfaden gehe es nicht nur um eine „Vertiefung der angemessenen Grundlagen der Marienverehrung“, sondern auch um ein „besonderes ökumenisches Bemühen“.

Hintergrund

Maria war die Mutter Jesu. Ein Konzil in Ephesus verlieh ihr 431 den Titel „Gottesgebärerin“. Marienverehrung ist kennzeichnend für das katholische und ostkirchliche Christentum, während sie in den lutherischen Kirchen kaum eine Rolle spielt. Der Reformator Martin Luther (1483-1546) betonte in seinen Schriften, dass die Erlösung allein durch Jesus Christus gekommen sei und Maria daher nicht als Heilsmittlerin angesehen werden dürfe. Darin pflichtet ihm das neue Vatikan-Dokument bei.

Das Zweite Vatikanische Konzil hat die katholische Lehre zu Maria innerhalb der Konstitution „Lumen gentium“ (Kap. 8) behandelt, nicht in einem eigenen Dokument. Die „Lauretanische Litanei“, deren Grundstock ins Mittelalter zurückreicht, führt zahlreiche marianische Titel auf. Sie wurde zuletzt von Papst Franziskus um drei Anrufungen, darunter „Trost der Migranten“, erweitert. (vn 4)

 

 

 

 

John Henry Newman: Ein Kirchenlehrer für unsere Zeit

 

Nur 37 Persönlichkeiten der Kirchengeschichte tragen bisher den Titel „Kirchenlehrer“. Diesen Samstag wird der britische Kardinal John Henry Newman in diesen illustren Kreis aufgenommen. Im Gespräch mit Radio Vatikan erklärt Pater Hermann Geissler vom Newman-Zentrum in Rom, was diesen Heiligen, der auf Herzensbildung statt bloßes Wissen setzte und unbeirrbar auf das Wirken Gottes vertraute, so besonders macht. Von Silvia Kritzenberger

Am 1. November 2025 wird Papst Leo XIV. den heiligen John Henry Newman bei einer feierlichen Zeremonie in Rom zum Kirchenlehrer erheben – eine besondere Ehre, die vor ihm bisher nur 37 anderen Heiligen zuteilwurde.

„Damit jemand zum Kirchenlehrer ernannt werden kann, muss er oder sie ein heiliges Leben geführt haben, nur Heilige können also Kirchenlehrer werden, und darüber hinaus muss eine eminente Lehre vorliegen: also eine ganz herausragende Lehre, die der Kirche hilft, das Evangelium besser zu verstehen und die für die Glaubenslehre der Kirche von herausragender Bedeutung ist,“ erklärt Pater Hermann Geissler FSO - Leiter des Internationalen Zentrums der Newman-Freunde in Rom -, was es mit dieser besonderen Auszeichnung für den anglikanischen Gelehrten auf sich hat, der 1845 durch seinen Übertritt zum Katholizismus für Aufsehen sorgte.

Newman und die Herausforderungen unserer Zeit

Newman sei ein Heiliger für unsere Zeiten gewesen, der unsere Herausforderungen nicht nur vorausgesehen, sondern auch selbst durchlebt habe: „die Herausforderungen durch die Technik und Wissenschaft, die Herausforderung auch durch den modernen Atheismus.“ Seine große Stärke liege – wie Pater Geissler betont – darin, dass er „gerade für die Herausforderungen der Kirche unserer Zeit sehr ausgewogene und überzeugende Antworten“ bieten könne.

2010 wurde der englische Kardinal, Theologe und Philosoph von Benedikt XVI. seliggesprochen, neun Jahre später von Papst Franziskus zum Heiligen erklärt. Joseph Ratzinger lernte Newman schon als Seminarist in Freising kennen.

„Er war vor allem angetan von seiner Gewissenslehre: Der Gehorsam in der Kirche wurzelt in der freien Gewissensentscheidung der Mitglieder,“ erinnert sich Pater Geissler. „Er war dann auch angetan von Newmans Entwicklungslehre: Der Glaube ist nicht wie ein Paket vom Himmel gefallen, sondern hat sich im Laufe der Jahrhunderte entwickelt und entfaltet, so wie ein Organismus, der mit der Zeit wächst und heranreift. Und er war auch angetan von Newmans Mut, zur Wahrheit zu stehen und dafür auch zu leiden.“

Die Kraft des Gebets

Wie uns Sr. Anna Düringer erzählt, zog der britische Heilige die Kraft dafür vor allem aus dem Gebet. „Einmal erklärte Newman das Gebet in einer Predigt folgenderweise: Gebet ist die Übung, sich Gott und der unsichtbaren Welt zuzuwenden. In jeder Saison, an jedem Ort, in jeder Not“, betont die Österreicherin, die seit 2022 am Newman-Zentrum im englischen Littlemore wirkt, „dem Ort an dem Newman zur Klarheit gekommen ist, dass die katholische Kirche die erste Kirche ist“ und wo Gäste auch im persönlichen Gebetsraum des Heiligen beten können.

Die Menschen in ihrem Herzen formen...

Integrität und Herzensbildung waren für Newman wesentlich. Seine Gedanken zur Bildung und zum Laienapostolat sind auch für die Kirche des 21. Jahrhunderts aktuell. Newman war es immer ein Anliegen, nicht nur Fachwissen weiterzugeben, sondern die Menschen vor allem in ihrem Herzen zu formen.

„Er hat gesagt, dass für die Bildung Wissen, Tugend und Religion notwendig sind. Er hat ein ganzheitliches Bildungskonzept gefördert, das von ganz großer Bedeutung und Aktualität ist, weil heute Bildung ja weithin reduziert ist auf die Weitergabe von Spezialwissen,“ führt Pater Geissler dazu aus. Newman aber habe gewollt, dass Persönlichkeiten herangeformt werden: Menschen, die wirklich reif sind und die in Gesellschaft und Kirche Verantwortung übernehmen können.

Das Gewissen: Echo der Stimme Gottes

Auch die Mitglieder der Weißen Rose kannten und schätzten Newmans Schriften. Vor allem seine Gedanken zum Gewissen, zur Wahrheit und der persönlichen Verantwortung vor Gott waren für die Geschwister Scholl und ihre Freunde eine wichtige Inspiration bei ihrem Widerstand gegen das NS-Regime…

„Newman war davon überzeugt, dass wir im Gewissen nicht unsere eigene Stimme hören, dass das Gewissen nicht Selbstbehauptung ist, sondern dass das Gewissen das Echo der Stimme Gottes in mir, in meinem Herzen, ist. Und deswegen müssen wir dieser Stimme immer gehorchen; wir müssen auf sie hören, sie respektieren, sie natürlich auch formen, damit sie eine wahre Stimme ist – formen und ausrichten nach dem Evangelium, nach der Lehre der Kirche. Aber Newman würde immer sagen, dass wir verpflichtet sind, dem Gewissen zu folgen, und die Autorität hat nur die Bedeutung, der Gewissensformung zu dienen. Wenn wir nicht überzeugt sind von einer Autorität, dann hat sie auch keine bindende Kraft für uns. Und wenn sie gar gegen die Wahrheit steht, dann ist sie nicht verbindlich für uns – und da müssen wir ihr vielleicht sogar Widerstand leisten.“

Die Botschaft Newmans für die Menschen von heute

Auch heute hat Newmans Lebensweg Menschen, die auf der Suche nach Sinn und Wahrheit sind, noch viel zu sagen. Als eifriger Wahrheitssucher, der er selbst war, würde es Newman – wie Pater Geissler meint – wohl schon als „gutes Zeichen“ sehen, wenn jemand nach der Wahrheit sucht, weil dies zeige, dass er „bereits von Gottes Gnade ergriffen“ sei. Und er würde vielleicht empfehlen, „sich auch anderen Menschen anzuvertrauen: Freundschaft, gute Freundschaft ist ein großes Geschenk auf unserem Weg zum Herrn.“

Auch angesichts der heutigen Kirchen- und Glaubenskrise würde Newman wohl nicht verzweifeln, sondern Mut machen und dazu einladen, wie er selber zutiefst auf Gott zu vertrauen: „Ich denke, Newman würde nicht erschrecken über die Schwierigkeiten, die die Kirche heute zu bestehen hat,“ meint Pater Geissler. „Er hat es irgendwie vorhergesagt, dass solche Herausforderungen kommen werden. Newman würde uns vielmehr ermutigen: Er würde uns sagen: Vertraut auf den Herrn, vertraut auf die Gnade; die unsichtbare Welt Gottes ist wirklicher und wichtiger und bedeutsamer und auch mächtiger als die sichtbare Welt um uns herum. Newman hatte ein unglaubliches Vertrauen auf den Herrn. Das würde er uns heute vor allen Dingen sagen.“

 

Und was würde er wohl dazu sagen, dass er nun zum Kirchenlehrer ernannt wird?

„Newman wäre sehr verwundert, wenn jemand sagen würde, er sei ein Heiliger oder gar ein Kirchenlehrer. Er hat ja immer davon gesprochen, dass er kein Heiliger war und dass er, wenn er mal in den Himmel kommt, dem heiligen Philipp (Neri) vielleicht die Schuhe putzen wird. Er hatte Sinn für Humor!“

Das Internationale Zentrum der Newman-Freunde

Das Internationale Zentrum der Newman-Freunde entstand 1975 im Anschluss an das erste akademische Newman-Symposium in Rom. Seit nunmehr 30 Jahren wird es von Pater Geissler geleitet. Das Zentrum veranstaltet Gottesdienste, Newman-Walks, Einkehrtage, aber auch Symposien, Kongresse und Studientage.

(vn 1)